Dopo “Bergamo urbs picta – Facciate dipinte a Bergamo dal XV al XVIII secolo” (2009), Tosca Rossi, Guida turistica di Bergamo e provincia Storica dell’arte, ha proposto e perfezionato il suo studio dedicato ad Alvise Cima (1643-1710), pittore e cartografo bergamasco, a cui molto spesso la bibliografia locale ha erroneamente attribuito la paternità di tutte le vedute “a volo d’uccello” ad oggi note di Bergamo.
L’esito di uno studio decennale che l’autrice ha dedicato alla nostra città e che prosegue a tutt’oggi, è confluito in una preziosa pubblicazione, edita nel 2012, dal titolo “A volo d’uccello – Bergamo nelle vedute di Alvise Cima – Analisi della rappresentazione della città tra XVI e XVIII secolo” (1).
I PITTORI CIMA DI BERGAMO
La ricerca certosina, compiuta negli archivi storici di Bergamo, Milano e Roma, ha permesso di ripercorrere le tappe della bottega paterna di Alvise, collocando la famiglia in un ceto discretamente benestante della Bergamo della seconda metà del Seicento: dai riscontri e dai dati rinvenuti risulta sostenibile l’ipotesi, peraltro già proposta in passato, che più che un pittore Alvise fosse un cartografo o un decoratore, forse di stendardi e apparati processionali o di arme e blasoni, viste anche le sue costanti frequentazioni religiose, ampiamente testimoniate dai lasciti testamentari.
A questa sezione è dedicata la prima parte del libro.
Di Alvise Cima si conosceva solo una sola data (1693) e una presunta parentela con Sebastiano Cima (Milano 1599 – Bergamo 1677) motivata solo dallo stesso cognome, nonché qualche citazione sparsa negli archivi, insieme alla sicurezza che fosse l’artefice della riproduzione in scala dei fregi degli arazzi medicei della Basilica di Santa Maria Maggiore, poi inviati ad Anversa in Belgio perché fossero riprodotti nuovi manufatti fiamminghi, giunti in Basilica di Santa Maria Maggiore nel 1698 col nome di “Trilogia d’Anversa”.
L’autrice ha ricostruito, insieme all’albero genealogico dei pittori Cima di Bergamo, anche l’intera vicenda personale e professionale di tutti i componenti il nucleo familiare di Alvise.
E’ stato quindi analizzato tutto il parco opere ad oggi noto della bottega, restituendo al padre di Alvise, il pittore Sebastiano (il primo “bergamasco” della famiglia, giunto in città da Milano “per colmare l’assenza di artisti che aveva drammaticamente causato la peste manzoniana del Seicento”) la paternità di due dipinti (considerati fino a ieri di “anonimo secentesco”), collocati a Comun Nuovo e ad Orezzo”.
Opere di Sebastiano Cima si trovano in varie chiese della Bergamasca: a Curnasco di Treviolo, nel monastero di Astino, Mozzo, Adrara S. Martino, Azzano S. Paolo, oltre alla pala della Parrocchiale di Seriate rubata nel 1991.
La ricerca ha quindi dato nuova luce a questo ramo cadetto di artisti, di modesta levatura per il genere religioso, ma di assoluto interesse dal punto di vista storico-documentaristico.
Grazie ai Cima di Bergamo, seppur indirettamente, si è potuto aggiungere un altro tassello alla storia della città, perché di un edificio, di cui si era persa memoria, si sono ritrovati atti, cronache e l’inventario di tutti i beni e dei paramenti che corredavano le sue funzioni e che lo ponevano al centro della morbosa quotidianità pubblica nei secoli XVII-XVIII: si tratta della Chiesa della Carità, detta anche del Crocifisso o della Buona Morte, sede della Confraternita omonima legata alla casa madre fiorentina e alla filiale romana, i cui membri appartenevano alle maggiori famiglie nobili dell’epoca e la cui attività era dedicata alla cura, consolazione e sepoltura dei condannati a morte delle carceri cittadine.
Dalla biografia di Alvise a Bergamo, ricostruita dagli anni Quaranta del Seicento al primo decennio del Settecento, è emerso che il pittore, proprio come il padre, realizzò numerose tele per le principali famiglie nobili di Bergamo: gli Alessandri, i Roncalli, i Benaglio, i Solza.
In questa prima parte della pubblicazione sono quindi state inserite tutte le opere accertate di Alvise, che contengono inoltre alcuni identici elementi decorativi.
LE VEDUTE “A VOLO D’UCCELLO” NELLA CARTOGRAFIA
Nella seconda parte del libro viene riassunta la storia della cartografia, dalle origini fino al momento in cui diviene strumento di potere ed elemento decorativo nel corso dei secoli XV-XVI, al fine di motivare la necessità della realizzazione delle vedute prospettiche o cosiddette “a volo d’uccello”.
Le vedute “a volo d’uccello” sono eseguite in un’epoca in cui la “rilevazione dall’alto”, ad opera del rilevatore e del cartografo, scaturiva esclusivamente dal rilievo paziente e metodico dell’edificato (in parte ora scomparso per demolizioni e ricostruzioni successive) ottenuta percorrendo la città a piedi:
“La veduta definita “a volo d’uccello” si impone nel corso del XVI secolo come il metodo per eccellenza di misurazione della città, in quanto contiene tutte quelle qualità che permettono un’attendibile lettura topografica del corpo urbano e un facile approccio a tale lettura” .
(D. Stroffolino).
E ancora:
“La si potrebbe assimilare ad un ritratto, “il ritratto della città”, status symbol del Cinquecento italiano e del Seicento fiammingo: la città viene studiata, analizzata, ripresa in tutte le sue angolazioni, fino a tracciare su una superficie una possibile mappa da percorrere e ripercorrere, calcare e studiare dall’alto, come una moderna planimetria su cui disporre alzati, mura, avamposti, truppe, piante per future edificazioni o progetti di verde pubblico e spazi aperti”.
(T. Rossi).
Dunque lo studio, attraverso l’analisi delle opere d’arte e dei supporti allegati al testo, si pone non solo come un invito alla rilettura del territorio cittadino, esteso fino al ventaglio dei borghi storici, ma anche come uno stimolo a ripercorrere, rivisitare vie o edifici noti e conosciuti “per misurare ancora oggi con la vista”, scandagliando comodamente ogni aspetto della città e compiendo al tempo stesso un vero e proprio affascinante viaggio nel tempo.
LA QUESTIONE DELL’ATTRIBUZIONE DELL’OPERA E LE VEDUTE COME STRUMENTO D’INDAGINE
Ad Alvise Cima (2) la bibliografia locale imputa una delle vedute a volo d’uccello più antiche e meglio conservate della nostra città, oggi esposta nell’ufficio del Direttore della Biblioteca A. Mai di Bergamo (olio su tela, cm. 164×104), comunemente noto come Bergamo, veduta prospettica di fine Cinquecento o Bergamo, veduta a volo d’uccello.
La bella composizione dai colori appropriati per indicare in grigio chiaro gli edifici, in rosso i tetti, in ocra strade e piazze, in grigio azzurrino i corsi d’acqua, così come le diverse tonalità di verde per prati, orti, alberi e boschi e l’uso sapiente del chiaroscuro (per dare rilievo ai volumi con uniforme illuminazione meridiana proveniente da sinistra): sono tutti elementi che conferiscono alla tela il fascino della veduta realistica e viva.
L’annosa questione dell’attribuzione del dipinto conservato presso la Biblioteca A. Mai è estremamente complessa: eminenti studiosi e storici locali, così come semplici appassionati o divulgatori della storia e del patrimonio cittadino si sono posti a tal proposito molti interrogativi, e sebbene non vi sia certezza riguardo la sua paternità, per la cura e la minuzia dei particolari il dipinto in questione è considerato ad oggi la più nitida veduta di Bergamo nel suo impianto medioevale ed è ritenuto il prototipo di tale genere in città, data la produzione seriale di cui fu poi oggetto l’opera per mano dello stesso Alvise Cima (3).
La veduta è quindi considerata un documento iconografico di straordinario interesse per la storia dello sviluppo urbanistico di Bergamo, e si ritiene sia stata realizzata nell’ultimo quarto del Cinquecento, all’epoca in cui si veniva costruendo la cinta muraria veneziana, avviata nel 1561 e terminata nel 1595, ovvero prima che la città subisse la profonda ferita inferta dall’imponente costruzione delle nuove mura il cui tracciato, che chiude come in una morsa tutta la parte alta della veduta, è sovrimpresso in nero: un’amputazione che interruppe bruscamente l’armonico susseguirsi della trama della città medievale, generando un’ampia fascia aperta nel tessuto edilizio.
Nulla è emerso invece riguardo la commessa delle due tele, datate 1693 e firmate Alvise Cima, raffiguranti la veduta di Bergamo, oggi al Museo Storico dell’Età Veneta di Bergamo (probabile copia) e in collezione privata (4).
E’ quindi nella terza parte del libro (considerata l’anima dello studio), la più corposa, che Tosca Rossi ha compiuto un attento e significativo lavoro di disamina della veduta, raffrontata con le altre due piante-vedute, cronologicamente posteriori di cui una, autografa di Alvise Cima realizzata nel 1693, viene ipotizzata la realizzazione nella prima metà del Seicento: inserita quindi in un intervallo temporale abbastanza circoscritto, grazie al raffronto della data di edificazione di ogni singolo edificio raffigurato e/o riportata nelle tabelle a corredo.
Da questo certosino lavoro di analisi è scaturita un’inedita guida della città, intesa quale mero strumento di lettura, che consente al lettore di immergersi in un avvincente viaggio nel tempo nella forma urbis di Bergamo tra il XVI ed il XVIII secolo.
Questo terzo capitolo è ordinato per rubriche/sezioni, a cui fanno capo diversi testi suddivisi per argomento (morfologia e rilievo, idrografia, orti e giardini, strade e piazze, edifici pubblici, palazzi privati).
Nel caso invece di borghi, edifici fortificati o edifici di carattere sacro e assistenziale, è dedicata a ognuno una scheda, composta da immagini, testo e riferimenti bibliografici, coevi ai dipinti.
LA VEDUTA “A VOLO D’UCCELLO”: UN VIAGGIO “DENTRO” LA CITTA’
Le vedute a volo d’uccello di Bergamo, oggetto d’analisi di questo libro, propongono una città che si automagnifica, iscritta entro una cortina di mura, imperniata sulla grande emergenza architettonica della Basilica: in pratica un museo a cielo aperto dell’architettura della città, che si sfrangia nei colli e che copre un arco di tempo che va dal Medioevo alla seconda metà del Seicento.
Vegliata dallo sguardo amorevole dei santi cari alla devozione cittadina – Vincenzo e Alessandro -, iscritta entro un’antica cortina di mura, Bergamo viene restituita all’osservatore con il fascino, la genuinità e l’integrità della città antica: groviglio di un organismo vivo e pulsante che restituisce la vivacità, l’humus del nucleo urbano medioevale.
Considerando di utilizzare la pianta/dipinto conservato nella Biblioteca civica Angelo Mai di Bergamo, il lettore si immerge entro un percorso che, partendo da piazza Duomo, porta a lambire i singoli edifici per ognuno dei quali viene fornita una scheda informativa.
Il viaggio si snoda in un coacervo di case e campanili e nel fitto dedalo di viottoli e slarghi, spalti, torri merlate e porte fortificate; di orti e giardini, che generosi e vivaci si dispiegano dal colle al piano, articolandosi nei borghi, quasi fossero mobili dita di una mano; un insieme armonico adagiato su una corona di colli, dove sembra quasi di avvertire il lieve gorgoglìo delle rogge e l’effluvio delle essenze arboree che punteggiano orti e colline.
Compiendo questo viaggio a ritroso nel tempo ci si inoltra fra le pieghe dell’antica città murata e turrita, “nei sagrati delle chiese, nei conventi e nei monasteri (…) prestando attenzione alle sedi di confraternite, oratori ed istituzioni caritatevoli dell’epoca, quali gli orfanotrofi e i luoghi pii, oppure soffermandosi sull’uscio di botteghe o sulla soglia delle case, fino quasi ad immaginare i vani interni dei singoli alzati”.
Ripercorrendo la Bergamo di ieri, possiamo così confrontare passato e presente, e le trasformazioni avvenute riguardo a edifici, chiese, conventi, corsi d’acqua, orti, broli ed altro ancora; e allo stesso tempo, grazie alle numerose mappe in dotazione, possiamo ripercorrere la storia e conoscere con esattezza, di ciascun edificio, l’epoca di riferimento e le sue principali caratteristiche.
Note
(1) Tosca Rossi, A volo d’uccello Bergamo nelle vedute di Alvise Cima Analisi della rappresentazione della città tra XVI e XVIII secolo, Litostampa istituto grafico, Bergamo, 2012, cm 21×28, pp. 244.
Il testo è diviso in tre sezioni: la prima è dedicata alla famiglia dei pittori Cima di Bergamo di orIgine milanese (biografia, parco opere, luoghi, connessioni con la Bergamo del XVII secolo, ecc.). La seconda alla storia della cartografia e la terza, suddivisa in schede, alla disanima delle tre vedute “della città a volo d’uccello” del ‘600, con il riconoscimento degli oltre 100 siti indicati sulle stesse e l’immagine del loro aspetto odierno. Al volume sono allegate 4 vedute “a volo d’uccello” della città in fr a colori (f.to cm 58×82 cad.) nel suo assetto medioevale, prima che venisse sconvolto dall’edificazione della cinta bastionata veneziana.
Si tratta del secondo studio pubblicato da Tosca Rossi dedicato alla nostra città.
Il primo risale al 2009, “Bergamo urbs picta – Facciate dipinte a Bergamo dal XV al XVIII secolo” dove per la prima volta tutti i lacerti affrescati presenti sugli edifici di Bergamo Alta, Bassa e colli, sono stati repertati, analizzati, descritti e corredati di ricerca storica.
(2) “Il più famoso “dei Cima di Bergamo” nasce in vicinia di S. Salvatore il 14 settembre 1643. E’ l’ultimogenito di Sebastiano e di Ursula Barili e trascorrerà la sua infanzia nella vicinia di S. Salvatore.
Perde la madre a 14 anni e con i fratelli vivrà nel palazzo degli Alessandri fino al 1682 (foto), forse 1683, come indicano i registri degli Stati d’Anime della Parrocchia. Dagli atti notarili si deduce che si trasferirà con la sola sorella Bianca nei locali avuti in eredità dalla dote materna, ubicati in S. Michele all’Arco (foto), gli stessi in cui il padre pittore Sebastiano esercitava la sua attività, per poi fissare la residenza definitiva in contrada Salvecchio nel 1689 (foto): da quel momento verrà accudito dalla sorella Bianca, che gli resterà accanto per tutta la vita, insieme con la serva Giovanna Chitona a cui era molto affezionato.
Il suo nome compare nell’Archivio MIA per i pagamenti degli incarichi svolti per la Basilica dal 1688 al 1696, ma soprattutto in numerosi atti notarili aventi per oggetto la compravendita di immobili (case e botteghe in Bergamo), la gestione di legati e di livelli, oltre a quelli in cui è citato per i rapporti intercorsi con la Nobile Compagni della Carità di Bergamo e le adunanze dei sindaci della contrada Botta di S. Sebastiano sui colli cittadini.
Non sono invece state rintracciate bollette o cedole di pagamento relative alla sua attività artigianale, che gli deve aver permesso la conduzione di una vita agiata e rispettabile: infatti, nulla è emerso riguardo la commessa delle due tele, datate 1693 e firmate Alvise Cima, raffiguranti la veduta di Bergamo, oggi al Museo Storico dell’Età Veneta di Bergamo (probabile copia) e incollezione privata.
Sua è anche la riproduzione del “frisio degli arazzi” toscani da inviare ad Anversa per la realizzazione di quelli fiamminghi, giunti in Basilica di Santa Maria Maggiore nel 1698.
Muore nella sua casa in via Salvecchio (attuale civico 7) a 66 anni il 15 marzo 1710, dopo aver redatto testamento a favore della sorella, dei Padri Teatini di Bergamo e della Nobile Compagnia della Carità di Bergamo. Viene sepolto nella chiesa della Carità di Bergamo, demolita nella prima metà del XIX secolo” (Tosca Rossi).
(3) L’obiettivo di ricondurre ai Cima di Bergamo, e ad Alvise in modo particolare, la paternità del dipinto posto nella Biblioteca Civica Angelo Mai di Bergamo (Ufficio del Direttore), non è stato purtroppo conseguito, dati anche gli estremi cronologici in cui si colloca la veduta (1595-1661) e quelli biografici del pittore in questione (1643-1710): la risposta agli interrogativi, che a tal riguardo da decenni si sono posti eminenti studiosi e storici locali, così come semplici appassionati o divulgatori della storia e del patrimonio cittadino (chi la commissionò, chi la realizzò, quando, se, come Alvise Cima intervenne), è sicuramente custodita nella documentazione e nella corrispondenza intrattenuta tra Venezia e Bergamo durante i secoli di dominio della Serenissima (1428-1797), gelosamente conservata nei rispettivi archivi storici e tuttora non rinvenuta.
(4) Va detto anche che tramite il rinvenimento dei testamenti e dallo spulcio di oltre 600 atti notarili si è inteso esistessero altre vedute del territorio cittadino e bergamasco, opera di Alvise, in parte disperse a causa delle soppressioni napoleoniche.
(5) Da S. Agostino la cinta delle muraine scendeva alle spalle di Borgo S. Tomaso in direzione di Borgo S. Caterina, che però ne rimaneva tagliato fuori, diviso dalle acque del Morla. Il tracciato seguiva il corso del torrente fino alla torre di Galgario (l’unica della cinta ad essersi salvata) e di qui alla roggia Serio, che fungeva da fossato, toccando successivamente la porta S. Antonio, all’estremità di via Pignolo, i portelli del Raso, delle Grazie (in corrispondenza dell’attuale Porta Nuova) e di Zambonate; qui giunte le muraine volgevano verso sud, circondando la parte inferiore di Borgo S. Leonardo, servite dalle porte di Cologno, di Colognola, di Osio, di Broseta, per risalire lungo via Lapacano e congiungersi sul colle alla cinta delle mura medievali […].
Fonti
– Tosca Rossi, A volo d’uccello Bergamo nelle vedute di Alvise Cima Analisi della rappresentazione della città tra XVI e XVIII secolo, Litostampa istituto grafico, Bergamo, 2012, cm 21×28, pp. 244.
– Giulio Orazio Bravi, Testo di presentazione del Calendario 2010, pubblicato dal Centro studi e ricerche Archivio Bergamasco, dalla Associazione Amici della Biblioteca e dalla Biblioteca Civica “Angelo Mai”: Veduta della città di Bergamo “prima che fusse fortificata”. Secolo XVI.
– Rotary Club di Treviglio – Bollettino n. 13 della Riunione Conviviale del 23 ottobre 2013.