Antonio abate, uno dei più illustri eremiti della storia della Chiesa, nasce a Coma, nel cuore dell’Egitto, intorno al 250 ca. e muore ultracentenario a Tebaide (Alto Egitto) il 17 gennaio 356. Condusse una vita anacoretica per oltre 80 anni.

La sua vita è nota soprattutto attraverso la Vita Antonii, scritta dal suo amico e discepolo Atanasio, vescovo di Alessandria (295-373). L’opera, pubblicata nel 357 ca. e tradotta in varie lingue, divenne popolare tanto in Oriente quanto in Occidente e diede un contributo importante all’affermazione degli ideali della vita monastica.
Antonio fu senz’altro l’esempio più stimolante e noto di coloro che instaurarono una vita eremitica e ascetica ed è considerato il caposcuola del Monachesimo, il grande movimento spirituale che vide un nuovo stuolo di cristiani desiderosi di appartenere solo a Dio e di vivere soli nella contemplazione dei misteri divini, attraverso l’eremitaggio o la vita comunitaria, espandendosi dall’Oriente all’Occidente. A due secoli dalla sua dipartita, la strada del lavoro e della preghiera avrebbe costituito la base della regola benedettina «Ora et labora» e del Monachesimo Occidentale. Del lavoro, perché i frutti del piccolo orto coltivato nel deserto della Tebaide servirono anche al sostentamento di quanti, discepoli e visitatori, si recavano da lui per aiuto e ricerca di perfezione.
L’agiografia racconta le lotte furibonde durante le quali il santo fu più volte aggredito e percosso dal demonio, che lo tentò molto a lungo. E a lungo nel deserto lottò contro l’opportunità di una vita così solitaria, contro le visioni e tutte le tentazioni cui il demonio lo sottoponeva e che superò perseverando, seguendo l’esempio di Gesù che guidato dallo Spirito si era ritirato nel deserto “per essere tentato dal diavolo”. Era infatti comune convinzione che unicamente la solitudine permettesse all’uomo di purificarsi da tutte le cattive tendenze, personificate nella figura biblica del demonio, e diventare così una nuova creatura.

Per due volte lasciò il suo romitaggio per servire la comunità cristiana, sostenendo i confessori della fede durante la persecuzione dell’imperatore Diocleziano ed appoggiando sant’Atanasio nella lotta contro gli ariani. Venne poi il tempo in cui Antonio uscì e cominciò a consolare gli afflitti, ottenendo dal Signore guarigioni, liberando gli ossessi e istruendo i nuovi discepoli.
Così fra quei monti sorsero monasteri; il deserto si popolò di monaci, che sotto la guida di un padre spirituale, abbà, si consacrarono al servizio di Dio (per questo motivo Antonio è considerato il primo degli abati): essi furono i primi di quella moltitudine di uomini consacrati che in Oriente e in Occidente portarono avanti quel cammino da lui iniziato, ampliandolo e adattandolo alle esigenze dei tempi.
Il culto delle reliquie e la nascita della comunità ospedaliera degli Antoniani
La storia della traslazione delle reliquie di sant’Antonio in Occidente si basa principalmente sulla ricostruzione elaborata nel XVI secolo da Aymar Falco, storico ufficiale dell’Ordine dei Canonici Antoniani.
Dopo il ritrovamento del luogo di sepoltura nel deserto egiziano, le reliquie sarebbero state prima traslate nella città di Alessandria, nella metà del VI secolo – così come espresso da numerosi martirologi medievali che datano la traslazione al tempo di Giustiniano (527-565) –, poi, a seguito dell’occupazione araba dell’Egitto, sarebbero state portate a Costantinopoli attorno al 670.
Successivamente, verso la fine dell’XI secolo, il nobile francese Jaucelin (1), signore di Chateau Neuf d’Albon, nella diocesi di Vienne, le ottenne in dono dall’imperatore di Costantinopoli e le portò in Francia nel Delfinato.
(1) Le testimonianze più antiche identificano Jocelino come nipote di Guglielmo, colui che, parente di Carlomagno, dopo essere stato al suo fianco in diverse battaglie, si era ritirato a vita monastica e aveva fondato il monastero di Gellone (oggi Saint-Guilhelm-le-Désert).

Qui nel 1070 un suo discendente, il nobile Guigues de Didier, fece costruire nel villaggio di La Motte aux Bois (in seguito Saint-Antoine l’Abbaye), nei pressi di Vienne, una chiesa che accolse le reliquie che divennero oggetto di devozione popolare e di pellegrinaggio, soprattutto per la guarigione dal fuoco di sant’Antonio. Inizia da qui a svilupparsi il culto taumaturgico riferito al Santo.
Più tardi, nel 1083, le reliquie vennero poste sotto la tutela del priorato benedettino che faceva capo all’abbazia di Montmajour, vicino ad Arles. Soprattutto le reliquie divennero il riferimento per la fondazione del primo nucleo di quello che poi divenne un ordine ospedaliero (Ordine di Canonici Regolari sotto la regola di Sant’Agostino, ufficialmente riconosciuto da Bonifacio VIII nel 1297), la cui vocazione originaria era quella dell’accoglienza dei malati di herpes zoster (fuoco di sant’Antonio) e di ogni forma di ergotismo, in memoria delle prodigiose guarigioni operate dal Santo.

Nel 1070, un nobile locale, Gaston de Valloire, grazie a un voto espresso per la guarigione del figlio dal fuoco di Sant’Antonio, si unì ad otto compagni e fondò una Confraternita riferita a Sant’Antonio abate e dedita presso un hospitium all’assistenza dei malati che accorrevano in pellegrinaggio. I monaci davano ospizio ai viandanti ma soprattutto assistenza ai malati e in specie crearono un centro di cura per coloro che erano affetti dal “fuoco sacro”, causata dall’ingestione della segale cornuta.

Si legge nel Dizionario degli Istituti di perfezione (2) che gli ospedalieri, laici e senza chiesa, dipendevano dai benedettini dell’abbazia di Montmajour, e professavano norme di vita religiosa primitiva, governati da un gran maestro. Provenivano dalla nobiltà (solo in seguito furono accolti borghesi), si dedicavano ai poveri aiutati da donati o conversi, tra cui alcune donne.
(2) Dizionario degli Istituti di perfezione, ed. Paoline, vol. II, 1995, pp. 134-142 “Canonici regolari di Sant’Agostino di Sant’Antonio di Vienne”.

Nel XIV e nel XV secolo le fondazioni antoniane si diffusero in tutta Europa, ed oltre, con una serie pressoché infinita di ospedali (370 nel XV secolo) e luoghi di culto dedicati a sant’Antonio abate.
In Italia i primi ospitali sorsero lungo la via francigena che collegava Delfinato e Italia, presso la Precettoria di S. Antonio a Ranverso in Val di Susa (ante 1188), poi a Roma, Teano e presso Napoli.

La popolarità e il culto per l’anacoreta egiziano si diffusero anche nella Bergamasca e in città vennero fondati dapprima, nel 1208, l’ospedale di Sant’Antonio in foris, appena fuori la porta di S. Antonio imboccato borgo Palazzo, e, verso la fine del XIV secolo, quello di Sant’Antonio “in Prato” o “di Vienne”, in luogo dell’attuale Palazzo Frizzoni: entrambi dedicati al grande abate ed entrambi con annessa chiesa.

Il piccolo ospizio di S. Antonio in foris, eretto nel 1208 da Giovanni Gatussi di Parre, rivestirà una certa importanza sino al 1458 e cioè fino a quando, insieme ad altri dieci ospedaletti cittadini, verrà assorbito dal nuovo Ospedale Grande di S. Marco per essere poi demolito e trasformato a metà del Settecento in edificio civile; mentre la chiesa verrà utilizzata solo per celebrare la messa quotidiana dai Padri Zoccolanti del vicino convento delle Grazie, remunerati dall’Ospedale Grande di San Marco. Sarà sconsacrata nell’Ottocento ed adibita ad uso civile.

I monaci antoniani erano facilmente identificabili dall’abito: alla sinistra del petto era appuntato un distintivo di panno celeste a forma di tau, la gruccia o furcilla alaria, detto la potenza di Sant’Antonio.

Questi religiosi vivevano di elemosine e lasciti, spesso causa di abusi e scontri con gli altri ordini.

La ragion d’essere degli antoniani, sempre più divisi da dispute e conflittualità interne, venne meno a partire dal XVII secolo, non solo perché da tempo si era affermato il fenomeno dell’accorpamento degli ospedali gestiti dai vari ordini, ma anche per il miglioramento delle condizioni igieniche in Europa.
Così nel 1774, due anni prima della soppressione dell’Ordine, venne decisa dal Capitolo generale degli antoniani l’unione con l’Ordine di Malta, anch’esso votato all’assistenza e alla cura dei pellegrini. Il 17 dicembre 1776 l’ordine antoniano veniva definitivamente abolito da papa Pio VI e i beni dell’ordine passarono in gran parte all’Ordine di Malta e, nel Regno di Napoli, all’Ordine Costantiniano.
I simboli di Sant’Antonio e il loro legame con i culti pre-cristiani
La malattia che l’Ordine antoniano curava in modo specifico era molto diffusa tra i poveri a causa della cattiva alimentazione: l’ergotismo, provocato dall’ingestione di segale cornuta contaminata da un fungo che sviluppava un alcaloide tossico. Sotto questa malattia ricadeva anche il meno pernicioso herpes zoster, detto anche fuoco di Sant’Antonio, che in alcuni sintomi coincideva con gli effetti dell’intossicazione.
Come emolliente per le piaghe provocate dal fuoco di Sant’Antonio gli antoniani usavano soprattutto il grasso di maiale, perciò nei loro possedimenti allevavano spesso i maiali (simbolicamente raffigurati anche nelle chiese dell’Ordine), che potevano circolare liberamente fra cortili e strade con una campanella di riconoscimento.
Per questo motivo, nella religiosità popolare il maiale cominciò ad essere associato al grande eremita egiziano, divenuto il patrono di tutti gli animali domestici probabilmente anche in virtù del legame sotterraneo con le feste per Cerere della Roma pre-cristiana, quando i buoi (il “motore” dei lavori nei campi), lasciati a riposo venivano onorati e addobbati di fiori.
Dalle feste celebrate a metà gennaio nella Roma antica, Sant’Antonio ha quindi ereditato anche il bue, estendendo la sua protezione a tutti gli animali domestici, che garantiscono con il lavoro o con le loro stesse carni la sopravvivenza dell’uomo.

Ancor oggi il 17 gennaio si benedicano le stalle, dove sempre campeggia l’immagine del Santo e dove si ospitano tutti animali “utili”, inclusi il cane ed il gatto che caccia i topi depredatori di grano. La Chiesa li accoglie quindi per la tradizionale benedizione, e per un giorno – com’era nell’era pre-cristiana – gli animali tornano ad essere creature del Padreterno esattamente come l’uomo.
Lo stesso discorso vale per il fuoco, altro elemento ricorrente nell’iconografia antoniana in virtù del potere taumaturgico del Santo nella cura del “fuoco di Sant’Antonio” e di quel “grande Spirito di fuoco” ricevuto dal Santo, e sempre presente nelle molteplici forme delle narrazioni popolari scaturite dall’immaginario collettivo.

Nell’elemento fuoco si ravvisa un sottile legame con gli antichi riti propiziatori di metà inverno legati al trionfo del Sole e all’auspicio in un nuovo raccolto e volti a purificare uomini, animali e campi per favorire il rinnovamento del Cosmo in funzione della fecondazione della Terra.
Tutti elementi che rimandano alle festività pagane di metà inverno che, addomesticate e cristianizzate, sono confluite sul giorno della festa di Sant’Antonio.

Una notizia che valutiamo fondata sulle origini del Santo del fuoco.Secondo la pia tradizione, il padre di Antonio, un alessandrino di nome Beabasso, sarebbe giunto a Ventimiglia per motivi commerciali nel 253 (secondo la cronologia ufficiale i limiti della vita del santo sarebbero tra il 250 ed il 17 gennaio del 356).Qui avrebbe sposato una ventimigliese, di nome Guitta, Gietta o Ghitta. Unione dalla quale sarebbe nato Antonio.
l’anno di Cristo 253
Il padre impose al figlio il nome Antonio , non Egizio ma Romano,ed ancora
fanciullo lo condussero a Coma in Egitto.
un saluto da Torino Ersilio Teifreto
Buonasera Sig.ra Alessandra
Sono uno studente laureando in restauro e la mia tesi è incentrata sul restauro di una scultura lignea raffigurante Sant’Antonio Abate. La scultura proviene da un piccolo paese dell’Abruzzo e anche qui l’usanza di accende falò,costituiti da alte cataste di legno, è presente da moltissimo tempo.
Vengo al punto: sto conducendo una ricerca storia sul culto di sant’Antonio in Italia ( più precisamente nel centro Italia), per poter dare alla scultura oggetto di tesi, una pseudo identità storica artistica che il tempo le ha fatto perdere. Lei avrebbe ulteriori informazioni in merito al culto del santo e alle sue molteplici rappresentazioni artistiche?
Grazie anticipatamente
Buona serata
Luigi
Buongiorno sig. Luigi, purtroppo non posso esserle d’aiuto; le mie conoscenze sul culto di S. Antonio si limitano a quanto scritto nei post. Le auguro buona ricerca.
Grazie per aver letto e risposto alla mia richiesta. Buona giornata.
Buongiorno Signora Alessandra, sono onorato della sua considerazione nella mia persona, io sono classe 47.
Una curiosità lei è nata nel Giugno 72 a Bergamo? , e un caso di ominimia con Roby Facchinetti dei Pooh con la loro musica praticamente abbiamo passato la nostra gioventù.
Le prometto che a fine anno quando daranno il via alla festa delle vigne il 15 Dicembre inizio della costruzione della Fòcara di Novoli.
un abbraccione amichevole
Ersilio
Signor Ersilio, buongiorno” Purtroppo si tratta di un’omonimia, non sono io l’illustre figlia di Roby ma anch’io come lei ho passato la gioventù ad ascoltare e cantare a squarciagola le sue canzoni 🙂
Quindi ci risentiamo a metà dicembre, benissimo, mi fa piacere e nel frattempo ricambio amichevolmente l’abbraccio.
Grazie per la sua simpatia e buona Fòcara!
Alessandra
Buonasera Signora Alessandra , siamo dei volontari e devoti al Santo Patrono del borgo di Sant’Antonio di Ranverso, il suo articolo e raro parla in modo articolato di più luoghi in Piemonte fino a Novoli (LE), la Chiesa di Sant’Antonio di Ranverso lei la chiama Abbazia per noi vuol dire molto questo mo di chiamarla , perchè solo se parliamo di tutto il Concentrico possiamo chiamarla Precettoria, sempre a Ranverso lei parla della Stadera quasi nessuno ci fa caso serviva per grossi pesi e tirava su i carri con tutto il loro contenuto, erroneamente si dice che pesavano i maiali come scrivono altri la Stadera e relativamente attuale anno 1.850 , nella stanzetta della costruzione ci sono ancora tutti i meccanismi per pesare compreso il Romano che serviva per bilanciare la trave, in questo luogo Dario Argento ha girato scene di alcuni film es……( La terza Madre).
Ma la sua chicca per noi e che ha girato l’Italia ed ha trovato la nostra Fòcara pubblicandola sul Sito come es… del fuoco ,il mio pese Natio e Novoli dove si costruisce la Fòcara e gemellato virtualmente con Ranverso accomunati dalla stessa devozione al Santo del deserto e proponiamo scambi culturali, il 20 di Gennaio 2019
a Ranverso ci sarà la benedizione degli animali e degli attrezzi agricoli.
Mentre a Novoli in diretta Streaming nel Mondo questa sera 16 Gennaio 2019 dall’alto si Incendierà la monumentale Fòcara una vera opera di Ingegneria agraria quest’anno e stata scelta la forma Piramidale essendo molto ripida e anche quella più difficile da costruire. Se gradisce ancora dialogare sull’Evento Fòcara, sull’Origine della Devozione al Santo anacoreta nel Salento, le reliquie, le Iconografie tradizionali e rare senza gli animali , il Santo che vestiva con abiti Talari, il Santo allucinato ecc…
un cordiale saluto Ersilio Teifreto
La ringrazio per il gentile commento e per le preziose indicazioni. Conosco Novoli, che in passato ho visitato più volte ed ero a conoscenza, già in precedenza, del grandioso evento che si tiene per S. Antonio e in merito al quale potremmo magari risentirci verso fine anno, in vista della prossima festa. Per quest’anno, gentile signore, purtroppo dovrò accontentarmi e fermarmi qui. Ancora grazie e a risentirci. Mi saluti Novoli e i suoi compaesani!