A soli cinque anni di distanza dall’ingresso di Napoleone in città, il 2 maggio del 1801 il giovanissimo ufficiale Henry Beyle, più noto come Stendhal, parte da Milano verso Bergamo al seguito del generale Claude-Ignace-François Michaud – che segue di guarnigione in guarnigione e di cui diverrà aiutante di campo -, per trattenersi sino al 7 luglio dello stesso anno.

Reduce dalla frequentazione della società milanese e delle sue belle dame, il diciottenne Stendhal annota le sue impressioni nelle pagine di un diario, che egli chiama journal, dove sono contenute le memorie di viaggio sul paese che diverrà la sua patria di adozione.

Ma diversamente da quanto avviene altrove, a Bergamo i suoi stati di trasporto emotivo non sono correlati tanto alle opere d’arte del territorio, quanto verso il paesaggio, probabilmente perché l’obbligo del servizio prestato nelle fila dell’esercito napoleonico lo tengono lontano da impegni di natura più leggera; ma forse anche perché in quel periodo, verso l’arte dominava l’approccio illuminista.


In effetti, il riconoscimento delle qualità artistiche delle opere disseminate nel territorio era ancora limitato: Bergamo veniva considerata un territorio di frontiera culturale e il suo patrimonio artistico rivestiva scarsa rilevanza agli occhi del giudizio critico dell’epoca.

Bisognerà attendere la fine dell’Ottocento perché la critica riconosca Bergamo come un “centro” artistico a tutti gli effetti, specialmente per le sue opere d’arte di fine Quattrocento e primo Cinquecento, incluse naturalmente quelle di influenza veneta.


Stendhal racconta dunque l’emozione provata davanti agli scenari offerti dal paesaggio:
“La strada da Milano a Bergamo è magnifica e attraversa la più bella contrada del mondo. Da Canonica, villaggio sull’Adda, a venti miglia da Milano e a dieci da Bergamo, si gode una vista fra le più belle che si possano immaginare. Quella dalla città alta di Bergamo è meno dolce e assai più distesa…”.

Da casa Terzi, dove ha preso alloggio il generale Michaud, si distinguono chiaramente gli Appennini, a venticinque leghe di distanza.

Se ne scorgono distintamente i particolari con un cannocchiale di sei pollici di Ramsden che il generale possiede.

La vista è limitata a nord-est e a sud-ovest dalle montagne alle quali è addossata Bergamo.

Segue lezioni di italiano, scherma, clarinetto, passeggia a cavallo ed è assiduo frequentatore delle rassegne teatrali, tanto da risolversi a tradurre in francese la commedia di Carlo Goldoni, Gli amori di Zelinda e Lindoro, che vede rappresentata per la prima volta in un teatro bergamasco.

Forse allude al Teatro Cerri, allestito in una sala del Palazzo della Ragione (il Sociale sarà costruito solo nel 1808), perché nel suo diario annota che “Ci sono due teatri, uno molto bello nel Borgo, cioè nella zona in piano della città, l’altro di legno sulla piazza della città vecchia. Tutte le sere andiamo a quest’ultimo, vicinissimo alla nostra abitazione. L’altro è a mezz’ora di strada”.



Qualche volta Stendhal esce a cavallo per recarsi sulle colline che coronano la città e rientra estasiato per l’armonia del paesaggio, le fitte coltivazioni che coprono i pendii, le splendide vedute.


E’ a lui che dobbiamo una delle prime testimonianze sulla bellezza dei colli che si distendono alle spalle di Bergamo : “Ho fatto col generale Michaud grandi passeggiate a cavallo. Il paesaggio di Bergamo è davvero il più bello che io abbia mai visto.



Amenissimi boschi coprono le colline dietro la città, quanto di più incantevole si possa immaginare. Sono quasi tutti riservati alla caccia, con le capanne per i cacciatori”.

Nel 1806, a distanza di diversi anni dal soggiorno a Bergamo, la città riemerge nelle sue annotazioni come un luogo della memoria e nella forma del ricordo romanzato. Lo scrittore francese rievoca la vista panoramica che si ha dalla città paragonandola al paesaggio di Montmorency , nell’Île-de-France: una “vista immensa che mi ricorda quella di Bergamo”.
L’anno successivo, in Roma, Napoli e Firenze – il testo della “Sindrome” – è presente un riferimento analogo: “Vado a passare qualche ora a Bergamo per amore della bella vista che si gode di lassù. Potete fare il giro del mondo, che non trovereste nulla di più bello”.

Della bellezza decantata da Stendhal possiamo ancora ammirarne le peculiarità, perché Bergamo ha sempre avuto cura della fascia collinare, estesa alle sue spalle per una lunghezza di circa sei chilometri.
Se Stendhal percorse a cavallo il suo itinerario alla scoperta dei colli, oggi, in alternativa a qualsiasi altro mezzo di trasporto si può partire a piedi, dalla funicolare che, al di là delle mura veneziane, conduce direttamente sul colle di San Vigilio.
Man mano si sale il paesaggio si allarga e si fa splendido…

e, una una volta arrivati, si apre una deliziosa piazzetta con un bar.

Qui, un segnale sulla destra invita a salire al castello, dal quale si godono ampi panorami.




Ma non sono da meno quelli che si aprono lungo l’itinerario che lo storico Pino Capellini invita a seguire, proseguendo per la strada che si apre davanti a voi: via S. Vigilio, dove, tra la fine dell’Ottocento e i primi decenni del secolo scorso sui due lati sorsero ville che venivano occupate soprattutto d’estate da famiglie in cerca di quiete e di frescura. Ora sono dimore invidiate per la bellezza del luogo e dei giardini.




Più avanti la strada si biforca. Mantenendovi a destra proseguite fino ad arrivare ad uno slargo con panchine. È il belvedere di San Vigilio, così chiamato per le vedute sul caratteristico ambiente dei colli e sulla pianura.

Di fianco, sulla destra, una grandiosa villa il cui progettista ha ben sfruttato i dislivelli per realizzare uno scenografico giardino.

Se volete proseguire oltre vi suggerisco un percorso che Stendhal può avere seguito in una delle sue passeggiate a cavallo. Quindi andate avanti in direzione della grande villa, passatele a fianco e proseguite a sinistra per la strada (via Vetta) che sale verso l’alto.
Il primo tratto è un po’ in salita, ma quando si addolcisce in piano vi consentirà di ammirare nuovi angoli dei colli, al culmine dello splendore quando l’autunno incalza colorando il paesaggio di calde tonalità.

Ed è proprio questa la stagione ideale per godere al meglio i grandiosi panorami che si aprono da lassù.


Più avanti la strada ridiscende, proseguite sino a che, dopo alcune case, si apre la gradinata che cala ripida verso il basso: imboccatela senza esitazione. Nel luminoso ambiente di vecchie coltivazioni che scendono degradando dal colle, vi accoglierà una veduta di alberi di pesco, di mandorlo e di cachi ricchi di frutti maturi, pronti per la raccolta.
Una volta arrivati alla fine della scalinata, prendete a sinistra per un viottolo in piano. Percorrerete uno stretto sentiero che si snoda lungo una lussureggiante valletta, dove potrete contemplare da vicino l’amenità di Monte Bastia e, là in basso, la valle di Astino, una veduta che vi allargherà il cuore!

Giunti al termine troverete, suggestiva nel suo isolamento, una dimora quattrocentesca con un loggiato dalle snelle colonne: Cà Moroni, un tempo nota “frasca” immersa in quello che a tutt’oggi rappresenta il più meraviglioso scenario dei colli di Bergamo.

Superata Cascina Moroni, salite lungo la stradina sterrata, seguitela sino a che non svolta a sinistra e proseguite lungo il sentiero di via del Rione, fra i terrazzamenti immersi nella quiete di un mondo dove il tempo pare essersi fermato.


Il viottolo, un’autentica strada di campagna che segue il tracciato di un’antica strada medievale, termina nell’asfalto di via San Sebastiano, all’altezza dell’omonima chiesa.

Seguitela a sinistra e vi troverete a passare sotto il giardino della villa che avete ammirato dal Belvedere.
Ed eccovi di nuovo su via San Vigilio in direzione funicolare, a una manciata di minuti dalla città antica.

(Stendhal, “Diario”, Torino, Einaudi, 1977).
Ultima modifica: 20/12/2024