Il Cappello d’Oro e i suoi fasti

Albergo del Cappello d’Oro, all’incrocio tra l’attuale viale Papa Giovanni XXIII e via Tiraboschi. Informa Luigi Pelandi che l’edificio, di proprietà dei Caversazzi, fu primo ad essere costruito sul nuovo stradone alla Ferrata (il Municipio aveva concesso gratuitamente lo spazio per la sua costruzione). Ne fu ideatore, impresario e direttore dei lavori lo stesso Luigi Caversazzi, padre del dottor Ciro e morto quasi novantenne nel 1907. Non appena costruito l’edificio Caversazzi, sorse l’attiguo palazzo Viscardini, dove aveva gli stalli la ditta di trasporti Cornaro (forse già inattiva ai tempi di Pelandi), ospitando anche la Farmacia Volpi, l’Orologeria Bolognini, l’Albergo Cervetta e la Tipo-litografia Mariani

La memoria del Cappello d’Oro, locanda con ristorazione appena fuori Porta Nuova – aperta nello stabile dei Caversazzi -, risale alla seconda metà dell’Ottocento, ai tempi in cui era frequentato dai commercianti della Fiera allestita oltre i Propilei, ingresso monumentale  alla città.

Viale Roma, oggi Papa Giovanni, ancora priva dei binari del tram, posati nel 1897

Nei pressi, appena fuori dalla porta daziaria sostavano dei carretti guidati da uomini con un gran cappello giallo, la cui presenza diede spunto al nome dell’albergo, che trasformò quel giallo nel più appetibile “oro”.

Viale Roma, oggi Papa Giovanni, ospita ancor oggi un totalmente rinnovato Cappello d’Oro. Il locale fu aperto nello stabile dell’impresario Luigi Caversazzi, padre del più noto Ciro, umanista e poeta, amante delle memorie patrie, entusiasta del bello (Luigi Pelandi ne ricorda il “vivido ingegno” e le “esuberanti escandescenze”). Ciro fondò la rivista “Bergomum”, dettò una monografia fondamentale sul “Piccio”, dedicò vari studi a Donizetti. Nel 1893 pubblicò a Milano un volume di versi intitolato “Pathos”, un pregevole esempio della sua raffinatezza stilistica

Stiamo parlando del primitivo Cappello d’Oro, un esercizio sempre frequentatissimo da commercianti, rappresentanti, viaggiatori. Quello che diversi anni dopo venne rilevato da quel genio speciale della ristorazione che fu il cavaliere Domenico Ruggieri, che lo trasformò sino a renderlo una stella di prima grandezza, degna di brillare anche in ambito internazionale.

Ritratto di Domenico Ruggieri, realizzato dal pittore Pino Buelli nel 1977 (per gentile concessione del signor Ivano Coletti, proprietario del dipinto)

 

Ai tempi in cui l Cappello d’Oro era di proprietà di Mario Ruggieri, l’attiguo Ristorante del Moro era gestito dal fratello di Mario, Francesco Ruggieri, di cui si ricorda la moglie, Marcella, e i figli Mario, Anna e Mingo. Erano i tempi del ristorante Manarini, cui fece seguito il famoso ristorante di Vittorio Cerea. I Ruggieri erano originari di Bisceglie, pugliesi come i Guadalupi, i D’Ambrosio, i Logoluso, i Varola, i Cavaliere, gli Arcieri e i Losapio, vinaioli trasferitisi a Bergamo, incentivati dalle agevolazioni offerte dal Comune in quanto il vino pugliese, ricco di vitamina C, era in grado di contrastare lo scorbuto nei mangiatori di polenta, quali erano appunto i bergamaschi (Archivio Wells)

Quello stesso che nel 1979 venne acquisito dai coniugi Anna ed Ernesto Zambonelli, che ne avviarono l’attività l’anno seguente. Storia alberghiera, oggi alla terza generazione, guidata dalla madre Anna, i figli Corrado e Giovanni e il nipote Daniele.

Dagli appunti di Luigi Pelandi emerge che l’albergo era gestito intorno al 1890 da Vittorio Artifoni. Vecchie locandine rintracciate dalla scrivente ci danno conto anche del nominativo di un certo Eugenio Artifoni, la cui attività venne poi rilevata dagli eredi, che dovettero condurre anche l’Hotel Cavour.

Ci fu poi Enrico Avallone, che probabilmente iniziò a gestire l’Albergo non prima del 1897, come si evince dalla mancanza dei binari del tram, posati proprio in quell’anno, seguito da Vittore Albertini, che secondo Pelandi gestì l’albergo verso il ‘900 e teneva servizio di carrozze e cavalli per ricevere alla Stazione i viaggiatori. Con quest’ultimo i locali vennero “completamente rimodernati”.

E’ sempre Luigi Pelandi ad informarci che a Vittore Albertini dovette succedere un Carlo Chighizzola, verso il 1923-1924 e poco dopo Domenico Ruggeri.

Il Cappello d’Oro in un’immagine risalente al 1925, con l’inserimento posticcio dell’insegna e della bandiera sul tetto dell’Hotel, assenti nell’originale

 

Pubblicità del 1900 dal “Diario Guida della Città e provincia di Bergamo”

Verso la fine dell’Ottocento il Cappello d’Oro godeva già di una particolare notorietà; la sua cucina, rinomatissima, era considerata la più importante della città, ben al di sopra del Concordia – che s’impose in un periodo successivo – e dell’Italia, che ai tempi si trovava in Via XX Settembre, mentre il Moderno era ancora in costruzione.

Grande Albergo Reale Italia, via XX Settembre

Forse, per le nobiltà di Città Alta, qualche nomea interessava il “Solino”, antichissimo luogo conosciuto da tutti e di cui Hermann Hesse ci ha lasciato un’indimenticabile testimonianza durante il suo soggiorno, avvenuto nel 1913.

Antico Albergo del “Sole”, Piazza Vecchia all’imbocco della Corsarola (via Colleoni)

Ma nella città al piano era il Cappello d’Oro a primeggiare, grazie alla capacità dei proprietari di offrire alla clientela le più fini agiatezze, frutto delle più recenti innovazioni.

Porta Nuova con i cancelli daziari in un’immagine anteriore al 1897

Fra queste, l’omnibus a due cavalli, un servizio di carrozze stanziato presso la stazione ferroviaria (ricordato da Umberto Zanetti ai tempi della gestione di Vittore Albertini), pronto ad accogliere in gran pompa i “signori clienti” nonostante nel viale il tram a cavalli fosse già attivo dal 1888: i binari del tram vennero posati solo nel 1897 per lo scorrimento dei vaporini “Brembo” e “Serio”, ben presto sostituiti dal tram a cavalli a causa del loro discontinuo e farragginoso funzionamento.

La Fiera vista da Porta Nuova. I binari del tram sono già stati posati

 

Il tram a cavalli, ripreso nei pressi della Fiera, faceva servizio tra i borghi (ripresa del 1897 )

L’ingresso avveniva da una porta a tre luci sistemata lungo il viale o da un grande portone aperto sull’attuale via Tiraboschi, da cui entravano le carrozze, gli equipaggi signorili, i barrocci e le timonelle provenienti anche da fuori città, oltre alle “corriere” che dal Cappello d’Oro partivano per le valli, solitamente “diligenze” a tre cavalli.

Il Cappello d’Oro in una cartolina pubblicitaria dell’epoca

Ben tre scuderie provvedevano alla sosta e alla cura dei cavalli, che i padroni più abbienti facevano strigliare fino a brillare. Nel cortile l’andirivieni non conosceva sosta: chi voleva entrare e chi voleva uscire, chi esigeva spazio per l’abbeverata, chi sollecitava per un’incombenza: un bailamme assordante cui non si sottraeva nessuno, nemmeno i clienti altolocati e più azzimati.

Albergo del Cappello d’Oro, oggi Best Western Hotel Cappello D’Oro sotto la guida della famiglia Zambonelli

La rilevanza dell’Albergo derivava naturalmente anche dalla sua posizione strategica all’incrocio tra le due principali arterie del borgo in pieno sviluppo, ai primi del Novecento in odore di modernità.

Cartolina che un ospite del Cappello d’Oro inviava a un amico nel febbraio del 1902

 

La città stava crescendo a ritmo vertiginoso e stava radicalmente modificando la vecchia struttura urbana per acquisire un volto moderno.

La costruzione della funicolare per Città Alta, risalente al 1897, aveva accelerato il trasferimento al piano di molti cittadini

 

Porta Nuova e l’insegna del Cappello d’Oro a sinistra. Considerata la presenza dei lampioni a gas e la mancanza dei binari del tram, si evince che la fotografia è anteriore al 1887

 

Questa ripresa fu eseguita a non molti anni di distanza dal medesimo punto di vista ma con sensibili differenze: vi sono i binari del tram ed è giunta l’energia elettrica a sostituire i lampioni a gas. Ne deriva che l’immagine è posteriore al 1890 e comunque non va oltre il 1901 poiché esistono ancora i cancelli daziari

Con l’abbattimento delle Muraine sorgevano nuove case, venivano tracciate nuove strade e migliorava la viabilità e, in tutto questo, il decollo dell’industria e dei commerci elettrizzava i bergamaschi.

Inizi XX secolo: Bergamo è in odore di modernità

 

In viale Roma, accanto alla Fiera

Nella città che si apprestava a crescere il Cappello d’Oro stazionava al crocevia dei tre cuori pulsanti del centro cittadino di allora, ovvero tra il Sentierone e la Fiera – la grande area del commercio e della finanza cittadina -, il Foro Boario, cioè Mercato del Bestiame, e la fermata delle vaporiere provenienti da Lodi e Milano – il famoso “tram belga” – attraverso lo smistamento di Treviglio.

Al centro dello slargo una torretta vetrata di circa otto metri e con un grande orologio in cima fungeva da capolinea, e all’arrivo del tram belga, un fumigante convoglio, venivano scaricate le folle del trevigliese e del milanese che si smistavano fra negozi, uffici pubblici, scuole ed ospedali.

Il Foro Boario, nei pressi della stazione ferroviaria, nel 1900 (foto Giovanni Limonta)

L’arrivo delle vaporiere affumicava l’aria rendendola irrespirabile per oltre una mezz’ora: il tempo richiesto per scaricare e caricare le merci e rifornire le vetture del combustibile necessario.

Il tram belga sta per sostare davanti al capolinea di Porta Nuova in attesa di ripartire alla volta di Treviglio. Lungo la strada le rotaie del tram a cavalli in servizio tra la stazione ferroviaria e piazza Baroni

Avvelenati dai miasmi del carbone i passeggeri ed i passanti non potevano far altro che tossire, mentre gli astanti in attesa di ripartire si chetavano solo al fischio potente e allo sferragliare della vaporiera. Finalmente, partiti i convogli, per qualche ora si poteva respirare.

Al frastuono che avvolgeva tutto intorno il Cappello d’Oro si contrapponeva la calma quasi irreale che si respirava al suo interno.

LA CLIENTELA

La clientela era formata prevalentemente da habitué – commercianti, rappresentanti e viaggiatori – che non badavano ad altro che a spassarsela in pace. Forniti di marenghi trascorrevano il tempo tra qualche impegno di lavoro, visite agli amici, agli uffici notarili, alle banche e al ritrovarsi al Circolo per la partita, magari assaporando l’idea di qualche scappatella.

Lustrascarpe davanti al Cappello d’Oro, 1899 (Raccolta Lucchetti)

Tutt’altra musica la domenica all’ora di cena, quando i “privilegiati” arrivavano con la famiglia, figlioli compresi, tutti azzimati ed eleganti. L’aria si faceva allora densa di attenzioni e reciproche cortesie.

Le signore svolazzavano tra chiffon e cappelli mentre gli uomini sfoggiavano le impeccabili giacche lunghe con i calzoni a righe e le scarpe di vernice, i solini e il fazzoletto ricamato nel taschino, con la catena d’oro in bella mostra sul bianco gilet inamidato.

1910 circa: le dame sul Sentierone e, accanto, il Teatro Donizetti

Il lunedì era invece giorno di traffici, delle più disparate riunioni fra negozianti, viaggiatori di commercio e mediatori d’ogni sorta, che stazionavano all’Albergo sino a notte: tipi alla buona comunque, chiassosi, bevitori e gran mangiatori.

Nei primi decenni del Novecento il Cappello d’Oro fu la sede preferita per le contrattazioni tra imprenditori ed acquirenti del bestiame, delle granaglie e dei concimi commerciati al mercato della Malpensata, Dopo le contrattazioni i “padroni” s’intrattenevano al Cappello d’Oro per il pranzo (fotografa del 1925 circa: i l nuovo Mercato del Bestiame trasferitosi alla Malpensata verso il 1915. Raccolta Lucchetti)

DOPPIO MENU PER CLIENTI….DIVERSI

Nella battagliera giornata del lunedì non si contavano perciò le tazzone di “busecca”, di foiolo, il carrello con il manzo, l’arrosto a pezzi monumentali, lo stracchino di gorgonzola tagliato alla brava, le fettone di salame casalingo, il grana dalla goccia verde.

Davanti al Cappello d’Oro nel 1913

Tutto ‘sto “ben di dio” spariva alla vista nei giorni successivi per non urtare i palati fini – non avvezzi al cibo triviale – per i quali, al Cappello d’Oro, si approntavano piatti saporiti ed invitanti, ma delicati: si dice che il famoso carrello dei bolliti fosse d’argento.

GOLOSONI ILLUSTRI

Piatti di cui, al tempo della Stagione lirica al Teatro Donizetti, due gran mangiatori come Pietro Mascagni e il maestro Leopoldo Mugnone, croce dei cantanti e degli orchestrali, non si stancavano di lodare la bontà: la cucina del Cappello d’Oro diventava magnifica.

Pietro Mascagni al Teatro Donizetti, il 3 ottobre 1940, quando lo stesso maestro diresse la Cavalleria Rusticana per il 50° anniversario dell’opera. Qui è rappresentato con tutti gli interpreti, fra cui Jolanda Magnoni, Maria Marcucci, Ida Mannarini, Alessandro Ziliani, Antenore Reali. Accanto a Mascagni è l’allora ministro e gerarca fascista Giuseppe Bottai, che proprio in quegli anni lì dirigeva il Premio Bergamo. La fotografia fu scattata dal celebre Umberto Da Re

 

La loro presenza al Cappello d’Oro si affiancava a quella degli artisti che imperversavano in città nell’agosto e nel settembre o a quella di coloro che vi facevano tappa nel viaggio verso San Pellegrino, l’aristocratica sede termale onorata da Sua Maestà la regina Margherita, da ministri, banchieri, industriali, stranieri di fama.

La Principessa Bonaparte a San Pellegrino

In tali occasioni, al Cappello d’Oro aumentavano i cuochi e i camerieri, e fu proprio lì che comparvero le rarità dei vini francesi, degli champagne, dei cru e dei cognac pregiati.

FESTE E FESTINI

Questi festini si ripetevano nello stesso salone anche in caso di elezioni, dove in seguito ai successi il ricchissimo senatore radicale Adolfo Engel non tralasciò di porgere ai suoi maggiori elettori ostriche, tartufi, pâtés di Strasburgo e larghe fette dei panettoni fatti arrivare appositamente dal Cova di Milano. In queste occasioni, si imbandivano tavolate regali con tovaglie di lino, posate d’argento e porcellane.

La storica pasticceria “Cova” rientra tra le botteghe storiche e “di rilevanza sociale” di Milano: aperta a lato del Teatro alla Scala nel 1817 da Antonio Cova, un ex soldato di Napoleone, nel 1950 si trasferì in via Monte Napoleone. Oggi, la partecipazione di maggioranza della storica pasticceria è stata aggiudicata alla holding di Louis Vuitton

All’Albergo si tenevano anche eleganti banchetti di nozze così come banchetti organizzati per varie celebrità o per nomine a Cavaliere o Commendatore.

Anni Quaranta: fra il Cappello d’Oro e la Zuccheriera

 

Fra i Quaranta e i Cinquanta: fra il Cappello d’Oro e la Zuccheriera

 

Anni Quaranta nello slargo tra via Tiraboschi e viale Papa Giovanni XXIII

Quando Bergamo ospitò Gabriele D’Annunzio, non fu difficile rendergli gloria se non raccogliersi, intorno a lui, al Cappello d’Oro nel corso di una memorabile serata pari soltanto a quella che si organizzò per la divina Rosina Storchio, in onore della quale si era approntata una cena principesca.

Rosina Storchio (1876-1945), soprano italiano, creò ruoli in diverse opere di Puccini, Leoncavallo, Mascagni e Giordano tra cui Mimi in La Boheme (1897) e Cio-Cio San in Madama Butterfly (1904)

Momenti di gloria rimasti a lungo nella memoria cittadina insieme al ricordo di centinaia di curiosi, accalcati nell’attesa, stupiti dell’incredibile via vai degli omaggi floreali che gli estimatori del celebre soprano avevano fatto pervenire.

Fuori, ravvolto nella prefettizia consunta, il Sìndech de Pòrta Nöa, seduto sui gradini dei Propilei, aspirava dalla sua pipa di gesso il fumo di un fetido trinciato e contemplava assorto la prima luna.

A che cosa pensava?

Alle fervorose arringhe degli avvocati, ch’egli ascoltava estatico e come inebetito, quando seguiva fra il pubblico i processi dell’Assise in Piazza Vecchia?

 

Riferimenti principali

Il Cappello d’Oro, da “Bergamo così (1900 – 1903?)” di Geo Renato Crippa.

Luigi Pelandi, “Attraverso le vie di Bergamo scomparsa. II. La strada Ferdinandea”. Banca Popolare di Bergamo. Co-Editore: Edizioni Bolis. Bergamo, 1963. Collana di studi bergamaschi.

 

Ultima modifica 02/12/2023

8 risposte a “Il Cappello d’Oro e i suoi fasti”

  1. forse mi era sfuggito, ma quanti ricordi vissuti anche dal sottoscritto, al Moro ho fatto il pranzo di nozze perchè Mingo era un mio amico.
    Una precisazione, visto che anche i Logoluso fano parte della mia esperienza diretta, i vinaioli pugliesi non sono arrivati a pergamo per una incentivazione commerciale generica, ma perchè il Comune aveva concesso agevolazioni alla vendita di vino pugliese ricco di vitamina C per contrastare la carenza di tale vitamine nei mangiatori di polenta, quali sono i bergamaschi

    1. Ciao Gianni, forse ti riferisci alla pellagra? So che era comune nei mangiatori di polenta. Grazie per il commento (controllo ed eventualmente correggo).
      PS: riguardo a Mingo, dovevi aver accennato qualcosa in passato, dopo aver postato una foto (quella del ristorante Moro?) in FB.

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