IL PRIMO MONUMENTO ALL’ALPINO, DAVANTI ALL’ACCADEMIA CARRARA
Per risalire al primo monumento dall’Alpino presente in città bisogna tornare al 1921, quando il Comando del 5° Reggimento Alpini proveniente dalla caserma Mainoni di Milano viene inserito nella 2ª Divisione alpina di stanza a Bergamo, dove prende possesso della Caserma Camozzi, in via S. Tomaso.
Via che tra l’altro certuni dicono chiamarsi, all’epoca, “via della Milizia”, anche se – a quanto risulta dallo Stradario storico – si chiamava come oggi, mentre “piazza della Milizia” (questa l’effettiva definizione) esisterà come tale solo dal 1929 venendo abolita almeno dal ’49.
Nel corso del trasferimento il 5° Reggimento porta con sé il proprio monumento, che solo dopo un anno sarà innalzato di fronte alla caserma Camozzi nella piazzetta antistante l’Accademia Carrara.
Nel frattempo, in previsione dell’arrivo del 5° Alpini, gli alpini bergamaschi, perlopiù ufficiali che avevano combattuto nella Grande Guerra si fanno promotori della fondazione di una Sezione bergamasca dell’ANA (Associazione Nazionale Alpini), e dopo una riunione nel salone al primo piano del Cappello d’Oro il gruppo bergamasco delle penne nere è ufficialmente costituito, invitando ad aderire tutti gli alpini ed ex alpini di Bergamo e provincia.
Il primo atto della neonata Sezione è l’invito a tutti i soci a prendere parte in corpo alle onoranze che saranno tributate di lì a tre giorni al 5° Reggimento, durante la cerimonia di inaugurazione del monumento e della targa intitolata a Gabriele Camozzi, che verrà apposta sulla parete dell’omonima Caserma alla presenza del Re Vittorio Emanuele III.
L’opera, realizzata nel 1915 dallo scultore milanese Emilio Bisi, ricorda un’episodio particolare della campagna di Libia, avvenuto nel 1912 nei dintorni di Derna (Darnah), città della Libia nord-orientale.
In quell’occasione, l’alpino Antonio Valsecchi della Val San Martino, rimasto senza munizioni insieme ai compagni del Battaglione Edolo, fronteggiava l’attacco dei nemici scagliando pietre e massi.
Il bronzo volle perciò rievocare l’eroico episodio, raffigurando l’alpino nell’atto di lanciare una grossa pietra, aiutandosi con entrambe le braccia.
Finalmente, il 15 giugno del 1922 il monumento viene solennemente inaugurato, alla presenza di Sua Maestà Vittorio Emanuele III.
Nonostante ciò, il peregrinare del monumento non è terminato. Nel 1926 infatti il 5º Reggimento deve riprendere la strada per la Brigata alpina di Milano portando appresso l’opera; opera che dopo diversi spostamenti verrà definitivamente collocata ai Giardini Valentino Bompiani, in via Vincenzo Monti (zona Pagano) (1).
Dal canto loro gli alpini bergamaschi non si rassegnano alla perdita di un’opera, il cui significato ha ormai oltrepassato la commemorazione dei Caduti della Guerra di Libia per divenire simbolo degli alpini Caduti in tutte le battaglie.
A lungo coltivano il proposito di erigere un monumento all’Alpino a ricordo dei loro compagni in Bergamo, formulando voti in occasione di adunate ed assemblee. Dalla mozione presentata il 24 febbraio 1957 al Consiglio Sezionale per l’erezione di un nuovo monumento, risulta che per la sua realizzazione – sempre procrastinata per problemi attinenti l’attività della Sezione – gli alpini avevano avanzato diverse proposte: chi lo voleva eretto nei giardini prospicienti il palazzo dell’Istituto Tecnico e chi ne escludeva l’erezione persino in una piazza; altri ancora avevano pensato ad un’opera di maggior imponenza, che unisse il fine prefissato all’utilità e alla valorizzazione artistico-turistica della città.
Non era possibile, per gli alpini, tradurre in cifre il contributo di sangue “della nostra gente bergamasca”. Realizzando l’iniziativa essi avrebbero “placato le ombre dei nostri Caduti spesso dimenticati” e lasciato “ai figli dei nostri figli il ricordo di una pagina di gloria e di sacrificio”.
Nel 1957 finalmente venne assunto un formale impegno da parte dell’assemblea sezionale, in ottemperanza al quale il Consiglio direttivo diede corso alle pratiche dando vita a un Comitato (3), nominando una Commissione tecnico-artistica (4) e indicendo un regolare bando di concorso nazionale (2 maggio 1957) per la scelta del progettista e dello scultore che avrebbe dovuto occuparsi esclusivamente della realizzazione dell’opera.
I progetti dovevano pervenire entro il 31 dicembre 1958, in quanto inizialmente l’anno fissato per l’inaugurazione del monumento era il 1960.
Nel bando il Comitato voleva dare alla città un’opera che esprimesse qualcosa di nuovo pur ricalcando lo spirito antico. Avrebbe perciò dovuto associare elementi simbolici a quelli ornamentali, traendo ispirazione, “sia pure in una vastissima gamma di possibilità espressive, dalla secolare tradizione alpina della gente orobica”, al fine di “suscitare nel pubblico un senso di rispetto e di ammirazione per il largo contributo che le genti bergamasche hanno dato in pace e in guerra alla formazione dei reparti alpini”.
DAL CONCORSO ALLA POSA DELLA PRIMA PIETRA
La partecipazione al concorso fu imponente: ben 40 artisti inviarono dalle più diverse parti d’Italia i loro bozzetti, nessuno dei quali fu ritenuto rispondente allo spirito e alla lettera delle direttive impartite. Si indisse quindi un concorso di secondo grado tra i sette artisti che avevano presentato le opere di maggior pregio, dividendo fra di essi i premi stabiliti nel bando, quale contributo per i nuovi bozzetti da presentare.
In questa seconda fase la commissione trovò l’opera che rispondeva ai requisiti richiesti, ma non tralasciando di suggerire alcune modifiche.
Vincitore fu un collettivo composto dallo scultore bolognese Peppino Marzot, dagli architetti Giuseppe Gambirasio, bergamasco, Aurelio Cortesi, di Parma, Nevio Parmeggiani, di Bologna. Al secondo e al terzo posto si classificarono rispettivamente lo scultore Giuseppe Cassani e lo scultore Giancarlo Marchesi.
Scelto il bozzetto, nel 1959 si provvide a dare corso all’esecuzione dell’opera, d’intesa con il comune di Bergamo, che convinto della nobiltà del monumento metteva a disposizione una delle migliori zone della città bassa – il Giardino Lussana – e prestava ogni sua possibile collaborazione.
Non per nulla, il sindaco Tino Simoncini era un alpino; alpini erano molti assessori e consiglieri comunali ed alpini si sentivano un po’ tutti i membri dell’amministrazione della città dei Mille, della città capoluogo di una provincia che tanti suoi figli aveva dato e continuava a dare ai reparti alpini.
Lo spirito e la solidarietà alpina (circa diecimila gli associati) con l’ausilio del Comune di Bergamo, dalla Provincia, di alcune banche, altri Enti e privati, ne permisero la realizzazione (5).
Per assicurarsi che il terreno fosse atto a sopportare il peso del monumento, si dovette ricorrere a un’indagine da parte di esperti del Politecnico di Torino, dopodiché, con la posa della prima pietra avvenuta il 31 gennaio 1960 alla presenza delle autorità cittadine, malgrado i problemi tecnici e soprattutto di carattere finanziario il desiderio degli alpini diveniva realtà.
Per desiderio di tutte le sezioni alpine bergamasche l’inaugurazione del monumento venne fatta coincidere con la 35ª Adunata Nazionale degli alpini, prevista a Bergamo per il 1962. Per Bergamo sarebbe stata la prima adunata.
Nel momento in cui la statua era in fusione, qualcuno si accorse che sul cappello dell’alpino mancava la famosa “penna” e si dovette provvedere in gran fretta.
18 MARZO 1962: L’ INAUGURAZIONE DI UN MONUMENTO DA OSSERVARE CON IL CUORE
Nessun altro monumento cittadino ebbe un tale concorso di folla, neppure quello dedicato a Donizetti. Gli alpini giunti a Bergamo furono, secondo la voce ufficiale dell’ANA, 70.000; altri ne contarono 80.000, altri ancora 100.000; tutta la città fu un brulicare di cappelli alpini che la invasero gioiosamente da ogni parte d’Italia e con ogni mezzo.
La 35ª Adunata nazionale dell’Associazione Alpini si era aperta ufficialmente il 17 marzo – giorno antecedente la cerimonia d’inaugurazione -, con l’omaggio del Consiglio Direttivo al monumento innalzato a Cassanno d’Adda all’ideatore delle milizie alpine e fondatore del Corpo, Giuseppe Domenico Perucchetti.
Nello stesso giorno, il Consiglio depose corone d’alloro alla Torre dei Caduti e al monumento ai Fratelli Calvi e in Comune si svolse un ricevimento ufficiale durante il quale il sindaco, avv. Costantino Simoncini, espresse tutta la simpatia e l’affetto della città per gli alpini.
Alpini che per due giorni furono i padroni assoluti di Bergamo, tanto che non c’era via o piazza dove non si vedessero penne nere. Sul loro incontenibile entusiasmo – che travolse transenne, forze dell’ordine, cordoni e quant’altro potesse tenere la gente lontana dagli alpini – si regolò la stessa vita cittadina. E l’organizzazione venne messa a dura prova.
La mattina del 18 marzo tutti i gruppi alpini si riunirono in località Conca d’Oro per organizzare e dare vita alla grande sfilata che durò oltre quattro ore. Considerato il gran numero di persone giunte in città venne stabilito di iniziare le cerimonie con l’inaugurazione del monumento, cui doveva poi seguire il corteo: l’inverso di quanto in genere si faceva per l’inaugurazione dei monumenti.
Alle 9,15 circa di quel 18 marzo, una quarantina di minuti dopo rispetto all’orario stabilito, per il ritardo dell’aereo che trasportava l’allora Capo del Governo Fanfani e il ministro della Difesa Andreotti, cominciò la grande manifestazione, alla presenza delle massime autorità della città e dell’ANA.
Davanti al monumento era stata eretta una vasta tribuna e, fra questa e il monumento, l’altare da campo. Sulla sinistra erano schierati i reparti di truppa alpina e d’artiglieria da montagna del 5° con relativa banda nonché un reparto del 68° Rgt. Fanteria.
Attorno all’altare erano sistemati i gonfaloni comunale e provinciale, il labaro nazionale dell’A.N.A. con le 209 medaglie d’oro, quello della sezione di Bergamo e del Nastro Azzurro, bandiere, labari, fiamme e gagliardetti di tutte le associazioni patriottiche e d’arma, e dei 160 gruppi della sezione di Bergamo.
Mons. Piazzi, vescovo di Bergamo, dopo aver dato lettura del telegramma inviato per l’occasione agli alpini da S.S. Giovanni XXIII° e vergato dal Card. Cicognani, benedì la bronzea figura dell’alpino che si inerpica per il camino, delimitato dalle due alte guglie. Subito dopo, l’ordinario militare mons. Pintonello celebrò la santa messa.
Al termine il presidente della sezione di Bergamo, dott. Gori, rivolto un breve saluto alle autorità ed agli alpini e fatta una sintesi della storia del monumento, lo consegnò ufficialmente alla municipalità; il Sindaco, ringraziando, garantì che sarebbe stato custodito “come una cosa cara, con l’amore che si riserva ai simboli di una passione accompagnata dai fremiti dell’emozione profonda”.
Ebbe quindi inizio la grande sfilata aperta dalla bandiera del 5° Reggimento seguita dal colonnello La Verghetta, dalla fanfara del 5°Alpini, da un gruppo di alpini con le più vecchie uniformi e dal battaglione d’onore formato da una compagnia di alpini e una batteria di artiglieria da montagna. Il battaglione di formazione dell’Orobica più che aprire la sfilata dovette fendere un corridoio tra la folla per poter defluire agevolmente sul percorso stabilito.
Subito dopo, veniva il labaro dell’Associazione Nazionale portato dalla medaglia d’argento Angelo Mora, alpino di Schilpario e scortato dal Presidente nazionale avv. Erizzo, dal segretario Nobile, dagli alpini che nel 1919 fondarono a Milano l’Associazione Alpini e da tutto il Consiglio Direttivo.
Il corteo continuava con il gonfalone di Bergamo decorato della medaglia d’oro al valore risorgimentale accompagnato dal sindaco Simoncini – ufficiale alpino medaglia d’argento – e dai membri della Giunta comunale; appresso seguivano i rappresentanti delle associazioni d’arma con i labari; quindi i mutilati e gli invalidi di guerra.
Iniziò poi la sfilata dei “veci” in congedo delle diverse sezioni.
I primi ad aprire la sfilata furono gli alpini della sezione di Zara, di Fiume e di Pola, tre città italiane per le quali combatterono tutti i “veci” del ‘15-’18; essi portavano uno striscione che a fatica riusciva ad avanzare in mezzo alla folla: “Gli alpini della Dalmazia e dell’Istria, vivi e morti sono qui”.
Ad essi facevano seguito gli alpini che si trovavano all’estero, delle sezioni di Montevideo, del Belgio, della Svizzera e della Francia. Mentre non erano ancora spenti gli applausi per queste penne nere, scoppiò fragoroso l’entusiasmo per gli alpini della città di Trieste, la città che ha maggiormente sofferto per unirsi alla madrepatria.
Il monumento venne sentito come un giusto tributo d’onore e di amore verso i compagni, che per la Patria avevano immolato la vita, dall’Africa alle due grandi guerre mondiali del ‘15-’18 e del ‘40-’45. Venne pensato per ricordare e celebrare l’eroismo e il sacrificio di migliaia di bergamaschi che nei reparti alpini hanno combattuto e sofferto per la Bandiera Italiana e di tutti coloro che in ogni tempo hanno compiuto e compiono il loro dovere da alpini.
Per quattro ore gli alpini di tutte le sezioni d’Italia sfilarono in corteo lungo il Viale Vittorio Emanuele e viale Roma, l’attuale viale Papa Giovanni, fra due ali compatte di folla plaudente e commossa.
A due anni dall’inaugurazione del monumento, l’opera si completò nel modo più degno, intitolando il Giardino Lussana a “Piazzale degli Alpini”.
Note
(1) Secondo Gualandris (Op. cit.) fu nel 1938 che il monumento ed il Comando ripresero la strada per Milano, da cui dovettero ripartire nel 1946 perché il Comando era stato trasferito a Merano. Gli alpini di Milano però chiesero ed ottennero che in quella città venisse inviata una copia del monumento e, da allora, rimase della metropoli lombarda in via Pagano.
(2) Emanuele Biava, Piazza Carrara e l’alpino sparito. Che fine ha fatto il monumento?
(3) Commissione composta dal dott. Giovanni Gori, presidente; dott. Guglielmo Abate, segretario; rag. Renzo Cortesi, tesoriere. Inoltre, dal magg. Vittorio Galimberti; l’avv Giovanni Rinaldi; i ragionieri Giacomo Bertacchi, Gerolamo Dominoni, Aldo Farina, Giuseppe Maffessanti, Cesare Omboni; i dottori Antonio Leidi, Livio Mondini, Alessandro Valsecchi (Arnaldo Gualandris, Op. cit.).
(4) A componenti della commissione tecnico-artistica furono nominati il Presidente della sezione bergamasca dell’Associazione Alpini, dott. Giovanni Gori, i due vice presidenti magg. Vittorio Galimberti e rag. Giuseppe Maffessanti, il consigliere nazionale dott. Antonio Leidi, lo scultore Mingozzi, professore della Brera di Milano, il prof. Trento Longaretti, direttore della Scuola d’arte dell’Accademia Carrara, l’arch. Giuseppe Pizzigoni, per designazione dell’ordine degli architetti e l’ing. Federico Rota, allora presidente dell’ordine degli ingegneri (Arnaldo Gualandris, Op. cit.).
(5) Il piano finanziario predisposto per reperire i dieci milioni dei quindici preventivati, riguardava esclusivamente gli iscritti dell’associazione alpini di Bergamo. L’onere gravante su ognuno di essi ammontava a lire 1.000, da versarsi anche in più rate, purché entro il 1960 (anno fissato in un primo tempo per l’inaugurazione del monumento). Per i rimanenti 6 milioni il Consiglio pensava a contributi di enti e privati. Ma dopo la scelta del bozzetto, le modifiche apportate allo stesso e l’adozione dei materiali più rispondenti ad un’opera di tanta importanza, la spesa lievitò notevolmente raggiungendo, con la sistemazione anche dei giardini, la cospicua somma di 48.000.000 (A. Gualandris, Op. cit.). In un bollettino dell’ANA l’ammontare fu invece di 46.000.000, raccolti interamente tra gli alpini bergamaschi.
Riferimenti
Arnaldo Gualandris, Monumenti e colonne di Bergamo, a cura del Circolo Culturale G. Greppi. Bergamo, 1976 (con introduzione di Alberto Fumagalli).
Associazione Nazionale Alpini – Sezione di Bergamo
Emanuele Biava, Piazza Carrara e l’alpino sparito. Che fine ha fatto il monumento?
Storia molto interessante,soprattutto quella relativa ai “giri “ del vecchio monumento.
Forse manca il parere dei bergamaschi sulla nuova opera :
non eravamo preparati,compresa la sottoscritta,a delle nuove forme di espressione monumentale.
Infatti non suscitò molta ammirazione,anzi,in alcuni casi,addirittura orrore.
I professori miei (intorno ai giardini Lussana in quel periodo gravitavano tutte le scuole superiori bergamasche,tranne il Sarpi e l’Esperia) ne furono quasi scandalizzati tanto da parlarne in classe,cosa che raramente accadeva intorno a fatti estranei alle materie scolastiche.
Suppongo che i tempi non fossero maturi per accettare soluzioni così fuori dai canoni, per l’epoca, perlomeno da noi, anche se sono stati proprio quelli i tempi in cui si cominciava ad uscire dal consueto, magari anche sulla scia delle idee innovative che già da tempo erano state adottate altrove. Mi sembra che il monumento abbia suscitato delle perplessità, a livello estetico, anche per la scelta del materiale e dei colori (così cupi), e per i motivi ornamentali (in effetti oggettivamente non belli….almeno secondo me), ma del resto i progettisti hanno dovuto conciliare quello che l’opera doveva esprimere e trasmettere, con soluzioni che si auspicava fossero meno classiche e più innovative. Forse per l’epoca più di così non si sarebbe potuto fare….
Grazie per il commento.