La secolare vicenda della conca di Santa Lucia, da valletta rurale a quartiere residenziale

Mollemente disteso lungo il declivio occidentale della collina di Città Alta, il quartiere di Santa Lucia prende il nome dall’antico complesso monastico domenicano femminile “di Santa Lucia in Broseta”, fondato nel 1337, di cui è sopravvissuta la chiesetta posta a fianco del vecchio orfanatrofio maschile (oggi Scuola Imiberg) in via Santa Lucia.

Il quartiere di Santa Lucia nella Valle di Santa Lucia Vecchia, compresa nel vasto anfiteatro che spazia dalla città murata a nord, lo sperone del Fortino ad est (ossia la dorsale che scende dal borgo di Sant’Alessandro) e lo sperone che da Borgo Canale si allunga alla Benaglia ad ovest, delimitata a meridione dall’espansione novecentesca (Ph Moira Vitali)

Ancor’oggi, nonostante l’intensa urbanizzazione la meravigliosa conca rappresenta una sorta di “intervallo”, quasi luogo di sospensione fra la città dei borghi e l’immediata periferia, dove ancora si avverte il profumo di un passato rurale, splendidamente fuso all’impronta elegante del costruito, a partire dalle pregevoli ville e villini di stampo liberty del primo Novecento.

La veduta di Alvise Cima riproduce una larga porzione della Valle di Santa Lucia Vecchia, ai piedi del versante occidentale delle mura medioevali, compresa fra lo sperone di via Sant’Alessandro (terminante nel grumo di case del Paesetto) e la Valle di Sant’Alessandro ai piedi di Borgo Canale, così chiamata per la presenza a monte della basilica alessandrina, distrutta per l’erezione delle mura veneziane (1561-1595), rappresentate con il tratto nero sovrimpresso. La strada che corrisponde all’attuale via Tre Armi, radicalmente mutata per l’erezione delle mura veneziane, rappresentava il legamento al piede delle mura medioevali tra la Porta Santo Stefano (ora S. Giacomo) e l’innesto di Borgo Canale. La costruzione della piattaforma di Santa Grata (P) – che ha interrotto le vie Tre Armi e Paradiso – e del baluardo di San Giovanni (Q) ha isolato ulteriormente la conca di Santa Lucia, già esclusa a valle dal circuito delle Muraine.  Di fronte al Baluardo di S. Giacomo (O), che si innesta su via Tre Armi e su quella di S. Lucia Vecchia, sorgeva il promontorio su cui era costruito il complesso monastico domenicano (Z, 25) corrispondente al Fortino, che in caso d’assedio avrebbe favorito riparo al nemico. Insieme alla vicina porta (N) ha causato la distruzione della chiesa di S. Giacomo (24) e di quella di S. Barnaba e Lorenzino

 

Via Tre Armi presenta verso sud un muro continuo che chiude lo sguardo, bucato solo dalle scalette di collegamento con la conca di Santa Lucia. Verso sud si ricongiunge al Paesetto, dove si trova la seicentesca chiesetta della Madonna del Giglio, quindi a Porta San Giacomo; mentre nella seconda parte sale costeggiando i bastioni e il Seminario, fino a guadagnare l’incrocio con via Borgo Canale, che si diparte all’altezza della colonna posta a ricordo dell’antica Basilica Alessandrina. Proseguendo scende invece su porta Sant’Alessandro

Intessuta com’è da una delle orditure più complesse e sapienti dell’intero paesaggio collinare, la conca conserva, forse più di ogni altra, innumerevoli tracce del suo primitivo carattere agricolo: basta osservare le vecchie case e le cascine sparse, ed in primis i sedumi medioevali ancora presenti nella conca del Paradiso, e il calibro minuto degli appezzamenti evocanti le antiche colture dei broli (orti-frutteti delimitati da muretti a secco), oppure i percorsi acciottolati e i terrazzamenti con i muretti a secco di contenimento, che costrituiscono l’ “armatura” dell’antico paesaggio agricolo.

La Valle di S. Lucia Vecchia in una ripresa del 1884

Se a ciò aggiungiamo i moderni giardini, le alberature e le coltivazioni che ancora resistono, otteniamo un meraviglioso colpo d’occhio sulla grande esedra verde che ancor’oggi chiamiamo a buon ragione “Conca d’Oro”.

Scaletta del Paradiso. Da via Riva di Villasanta si diparte via del Paradiso (nome proveniente da uno scomparso monastero dedicato a Santa Maria del Paradiso), che con ampie curve a gradoni sottopassa un ponticello biforcandosi sotto una grande casa rossa ben restaurata, dove troviamo una lapide con antiche indicazioni, una santella della Madonna e una fontanella. Dal bivio la via prosegue in piano verso destra costeggiando la proprietà della Comunità missionaria del Paradiso, per poi salire l’ultimo tratto con una bella gradinata. Il ramo di sinistra è invece costituito dal vicolo del Paradiso che procede più ripido e più sconnesso con qualche curva, a fianco di un canale di scolo delle acque piovane, fino a sbucare su via Tre Armi un po’ più a monte dell’altro ramo

Un’impronta che si conserva evidente nei tracciati sinuosi – per gran parte gradonati e tutti in forte pendenza – che innervano il pendio intessendo una fitta rete di collegamenti rapidi che dalla piana, dall’antico convento e i suoi dintorni, giungono, oggi come allora, in via Tre Armi, in Borgo Canale, in via Sudorno e in San Martino della Pigrizia.

 Scaletta di Santa Lucia Vecchia. La più “cittadina” delle antiche scalette che conducevano ai campi fuori le Mura, in quanto maggiormente interessata dallo sviluppo urbanistico dell’ultimo secolo, si diparte a fianco della splendida Villa Tentorio, a margine della rotonda Santa Lucia – a mezza strada fra la Galleria Conca d’Oro e la piscina Italcementi -, da dove, con un’elegante doppia scalinata, si stacca il percorso selciato che conduce in via Tre Armi attraverso una teoria di 194 gradini. Si può concatenare alla Scaletta del Paradiso, che si raggiunge salendo via Tre Armi per circa trecento metri, affiancando gli orti posti fra i sovrastanti baluardi di Santa Grata e di San Giovanni

Rimandano alla matrice rurale anche alcuni toponimi, come via degli Orti, dove permane il caratteristico ambiente agricolo collinare, vicolo degli Ortolani nonché via e vicolo Fontanabrolo (“loco ubi dicitur Fontana in valle que dicitur Brolo”), che ricorda la presenza delle acque e la densità dei broli e delle colture da giardino che resero famosa la zona fino a tutto il Cinquecento.

Scaletta di Fontanabrolo. Il suggestivo nome deriva certamente da una sorgente, oggi perduta (la fontana di Cereto) nella zona coltivata a broli (orti). La strada inizia in piano, in via Statuto sopra le piscine, quindi piega a sinistra e sale. Il primo tratto è asfaltato, di servizio ai giardini delle ville, ma presto diventa una vera scaletta acciottolata, molto ripida ma ampia e ben tenuta, che con qualche curva punta verso la chiesa di Borgo Canale. Lungo il muretto “a secco” che l’affianca, corre un caratteristico fosso per le acque pluvie. La via accoglie sulla sinistra il vicolo degli Ortolani (nella zona storica degli orti) scorciatoia di collegamento tra i due spezzoni di via Fontanabrolo – di cui non ha l’eleganza – sfociando su via degli Orti

 

Veduta verso via degli Orti dalla Scaletta di Fontanabrolo (Ph Claudia Roffeni)

Scalette che i contadini percorrevano reggendo le grandi ceste ricolme di ortaggi che foraggiavano la città al piano: via Santa Lucia, via del Paradiso (che si staccano attualmente dalla via Tre Armi), e più defilate, verso Borgo Canale e la Pigrizia, la scaletta delle More, Fontanabrolo (che raggiunge via degli Orti, sul retro della cortina del Borgo Canale), vicolo degli Ortolani e, non dimentichiamo, lo Scalone di Sant’Alessandro, che si diparte dalla parte alta di via Francesco Nullo salendo ripida con i suoi 134 scalini a raggiungere il Paesetto e Porta San Giacomo attraverso la via S. Alessandro.

Anche la breve scaletta delle More, un tempo affiancata da rovi ricchi di frutti, ci porta su via Borgo Canale ma decisamente meno in alto di via Fontanabrolo, concedendoci una lenta e godibile salita, con un’ampia veduta su tutta la Conca d’Oro. La partenza avviene di fronte all’entrata delle piscine, in corrispondenza dell’inizio di via Fontanabrolo. Dapprima il fondo è acciottolato, poi la strada si trasforma in una scaletta con larghi gradini selciati, stringendosi man mano si sale tra i muri. Alla prima curva si può tirare il fiato volgendosi all’indietro e ammirando il panorama che si allarga salendo. Dopo essersi ulteriormente ristretta e passata sotto il balcone di una casa, la scaletta giunge in via Borgo Canale, quasi alla confluenza con via San Martino della Pigrizia. Per raggiungere Città Alta, basta percorrere tutta la via Borgo Canale fino a Porta Sant’Alessandro

LA CONCA E IL SUO ANTICO MONASTERO

La chiesa di Santa Lucia oggi: ciò che resta dell’antico complesso monastico

Ai tempi della fondazione del complesso monastico di Santa Lucia, la devozione alla santa siracusana era già consolidata in Bergamo, come testimonia una scultura del secolo XI inserita nella lunetta del portale d’angolo di Santa Maria Maggiore, dove  Lucia, identificata dal nome inciso nella pietra, partecipa come ancella addetta al bagno della Neonata Maria.

Il portale d’angolo di Santa Maria Maggiore eseguito dai Maestri Campionesi

 

La scultura del secolo XI inserita nella lunetta del portale d’angolo di Santa Maria Maggiore alla metà del XIV secolo e raffigurante la nascita di Maria, vede al centro della scena Lucia (identificata dal nome inciso nella pietra) partecipare come ancella addetta al bagno della piccola Maria

Nella rappresentazione di Bergamo risalente a metà ‘400 – la prima veduta realistica della Città – il monastero “Santa Lizia” è rappresentato con due campaniletti al margine sinistro oltre “lo rizzolo” (antica cinta muraria) e la cinta delle nuove Muraine.

Il monastero di “Santa Lizia” rappresentato nella prima veduta realistica della Città, risalente a metà ‘400

Ma l’isolamento del complesso di Santa Lucia rendeva il monastero rischiosamente esposto a infauste vicende, tanto che nel 1556 (1), a scopo precauzionale le monache decisero di trasferirsi all’interno delle Muraine, trovando definitiva sistemazione nel Prato di Sant’Alessandro – sul luogo dell’attuale Palazzo Frizzoni -, dove si aggregarono al convento occupato fino a quel momento dalle Umiliate di Sant’Agata de Rasolo, fondato nel Duecento dagli Antoniani del vicino ospedale di S. Antonio.

La chiesa, che prima era dedicata a S. Agata, venne unita a quella dell’ospedale di S. Antonio di Prato e dedicata alle Sante Lucia e Agata.

Il convento SS Lucia e Agata in Prato, distrutto negli anni Trenta dell’Ottocento per la costruzione del Palazzo Frizzoni, attuale sede del Comune di Bergamo. Anche il culto di Santa Lucia si trasferisce nel convento di Santa Lucia e Agata in contrada di Prato, all’imbocco di quello che sarà il Sentierone. L’antica devozione a Santa Lucia continuerà nella chiesa dello Spasimo in via XX settembre, poco distante dal convento demolito (particolare dell’incisione del 1815 ca. Proprietà Conte G. Piccinelli, Milano)

Da quel momento, a ricordo del trasferimento della comunità monastica, l’antica chiesa nella conca di Santa Lucia prese il nome popolare di “Santa Lucia Vecchia”, trasmesso poi a tutta la valletta.

La conca di Santa Lucia prima della costruzione dei “Villini”, con al centro l’omonima  chiesa (Raccolta Gaffuri)

La costruzione dello spalto di Santa Grata e del bastione di San Giovanni delle nuove mura veneziane (1561-1595) isolarono ulteriormente la conca di Santa Lucia e presto la chiesa finì in rovina, essendo già, ai tempi della visita apostolica di Carlo Borromeo (1575), piena di attrezzi agricoli.

La Conca d’Oro dopo la costruzione delle mura veneziane (da G. Paolo Lolmo – Pala del voto, 1581)

Ai tempi della peste del 1630 narrata dal Manzoni, il medico Lorenzo Ghirardelli scriveva che nel convento di Santa Lucia, ormai  ridotto a rudere isolato, era sopravvissuto un lembo di muro sbrecciato che manteneva prodigiosamente illeso l’affresco di Cristo curvato sulla strada del Calvario, attirando “i dolenti anche da lontani paesi” così come lo stesso Ghirardelli, che colpito dalla peste vi si rivolse offrendo in voto di ricostruire la chiesa. 

Il medico Lorenzo Ghirardelli documentò la tremenda epidemia di peste del 1630 in una dettagliata cronaca, la “Historia del memorando contagio”

Sopravvissuto il Ghirardelli all’epidemia e acquistate a tal fine “…casa e ortaglie in Santa Lucia Vetera”, ma morto ancor prima di portare a compimento il suo voto (1641), la nuova chiesa verrà edificata grazie ai figli (“padroni di questo luogo”), e consacrata nel 1648 con la nuova intitolazione al Santo Nome di Gesù, in coerenza con l’effigie cui era stata rivolta la promessa ai tempi del “memorando contagio”.

Panoramica della conca di Santa Lucia, fine otto/inizi Novecento (Raccolta Gaffuri)

Nello stesso periodo, il gennaio del 1622, fuori Porta Broseta, nel Borgo Pompiliano (futuro quartiere di Loreto), posto a non più di mezzo miglio dalla città, veniva inaugurato il santuario della Beata Vergine di Loreto e nel mese di giugno, con grande processione la statua della Madonna veniva traslata dal convento di S. Lucia.  

Il santuario di Loreto in uno schizzo di Pietro Ronzoni (1781-1861), nella contrada Broseta Foris, tra il bosco della Trucca e la roggia Serio

A quei tempi, parrocchia dell’intera plaga era la chiesa di Santa Grata inter vites, che abbracciava un’area vastissima.

Tavola topografica disegnata da Angelo Mazzi raffigurante la suddivisione delle vicinie bergamasche nel tredicesimo secolo. Se la strada di S. Lucia vecchia divideva le vicinie di S. Stefano e di Antescolis, l’altra maggior parte del sistema collinare ad occidente della città costituì per secoli la vastissima vicinia di S. Grata inter vites, dipendente dalla omonima chiesa di Borgo Canale

La chiesa nella conca di Santa Lucia (con “quattro reliquie in bellissima urna” sotto l’altare), dotata di abitazione per il sacerdote e per il sacrista, disponeva di un fondo per la messa quotidiana e perpetua e della rendita di terreni siti in Curno.

La chiesa di Santa Lucia, edificata nel 1672 dai figli di Lorenzo Ghirardelli (Alessandro, arciprete di Clusone, e Andrea, cancelliere della città) sulla precedente, fondata dal vescovo Cipriano degli Alessandri nel 1337. Dotata di una navata con volte a botte, presbiterio quadrato e tre altari laterali, la chiesa ha mantenuto il monastero fino al 1910, quando è stato costruito l’oratorio decorato in stile Liberty in armonia con il nascente quartiere

 

La pala d’altare di Francesco Capella, un tempo conservata nella chiesa di Santa Lucia Vecchio, ora nella nuova Parrocchiale (Tempio Votivo)

Alla sua morte nel 1692, Andrea, figlio del medico Lorenzo Ghirardelli, venne sepolto nella chiesa.

Sulla lapide di Andrea Ghirardelli ancora visibile nella chiesa di S. Lucia, si legge: “Le spoglie mortali dell’egregio Signor Andrea Ghirardelli fu Lorenzo segretario solertissimo della Città per anni 45 in questo sacrario da lui fatto costruire in pace riposano nell’anno della salvezza MDCLXXXXII”

La nuova chiesa, come detto intitolata al Santo Nome di Gesù, risultava simile per linee e proporzioni a quella della Madonna del Giglio presso porta San Giacomo, edificata nel 1660 in sostituzione della chiesa vicinale di S. Giacomo, distrutta per la costruzione delle mura veneziane nella seconda metà del Cinquecento.

La seicentesca chiesa della Madonna del Giglio al Paesetto, fuori Porta San Giacomo, sorta con la denominazione di chiesetta della Madonna di San Giacomo in sostituzione della chiesa posta più a monte, distrutta nel corso dell’erezione delle mura veneziane

In realtà, è intitolata alla Madonna del Giglio dal 1806, a ricordo dell’evento miracoloso del 1659 che vide protagonista Felicetta Coltrini, una fanciulla storpia, qui giunta a gran fatica dal borgo San Leonardo per chiedere la grazia alla Vergine dipinta ad affresco nei pressi dei portelli posti ai piedi di Porta di San Giacomo, tra le vie Tre Armi e Sant’Alessandro: la tradizione vuole che persino i gigli ormai appassiti deposti dinnanzi alla sacra immagine, improvvisamente rifiorissero. Dopo la concessione della grazia, l’affresco venne trasportato all’interno della chiesa.  

Chiesa della Madonna del Giglio. L’interno è impreziosito dall’altare in marmo arabescato, opera della bottega dei ticinesi Manni (1714), dalle sei grandi tele di Marco Olmo (1683-1753), lo stesso autore della pala della chiesa della Carità, e dagli affreschi della volta e del lunettone di C. Tencalla, d’inizio ‘700 (Raccolta Gaffuri)

I due edifici risultavano direttamente collegati dal vicolo Santa Lucia che  risale ancor oggi, con la denominazione di via Santa Lucia Vecchia (scaletta), la via Tre Armi (via radicalmente modificata dalla costruzione delle mura veneziane) e la Porta San Giacomo nella Città Alta.

Da via Tre Armi si possono ammirare da vicino le tecniche costruttive delle Mura: il muro a scarpa di base, il redondone (la cornice arrotondata in pietra che delimita il cambio di pendenza del muro) e il parapetto verticale. L’imbocco orientale della via coincide con lo spigolo del bastione di San Giacomo, dalla classica forma a stella, mentre nel tratto sudoccidentale,  interrotto dalla piattaforma di Santa Grata e dal bastione di San Giovanni, è occupato dalle le cannoniere (ingresso sul viale delle Mura), di cui si scorgono le bocche di cannone e le “sortite”, le porte da cui i soldati potevano uscire in campo aperto (Raccolta Gaffuri)

 

La conca di Santa Lucia nell’incisione di Pierre Mortier (Planimetria di Bergamo e suo territorio, 1704. Bergamo, Biblioteca Civica)

Il territorio intorno alla chiesa non subì trasformazioni, cristallizzandosi in un ameno paesaggio agreste che lambiva i non più minacciosi contrafforti della fortezza di Bergamo, come appare in un disegno di Giacomo Quarenghi, databile intorno al 1810.

Disegno di G. Quarenghi, 1810

NELLA CONCA COMPARE IL CIMITERO

Intorno al 1810, in seguito al divieto di sepoltura nelle aree urbane, fuori Porta Broseta, a servizio del sempre più popoloso Borgo di San Leonardo venne creato un cimitero dalla forma pentagonale intitolato a Santa Lucia, con ciò restituendo la devozione dell’antico e indimenticato monastero.

Il cimitero pentagonale di Santa Lucia nella pianta di Bergamo del 1810; il cimitero si trovava alla metà dell’attuale via Nullo

Il piccolo camposanto, uno dei tre cimiteri storici sorti in quel periodo fuori le Muraine (2), si trovava esternamente alla cortina del Lapacano ed era ancora in uso nel periodo in cui, a pochi passi, era già stato avviato il cantiere per il nuovo impianto della centrale della Società elettrica Bergamasca (1911 -1926), chiamata in seguito ENEL.

Via Nullo negli anni ’20, con l’edificio novecentesco della Società elettrica Bergamasca (nata ai primi del ’900 dalla fusione fra la Società elettrica prealpina e la Società bergamasca per la distribuzione dell’energia elettrica), costruito fra il febbraio 1911 e il 1926 su progetto dell’architetto Luigi Bergonzo, padre di Alziro, il progettista dell’attuale Casa della Libertà. Il cimitero di Santa Lucia venne dismesso nel 1813

 

Del  recente complesso residenziale costruito sull’area della vecchia centrale ENEL sono sopravvissuti i prospetti del grande edificio d’angolo tra le vie Nullo e Mazzini (un tempo destinato a sala macchine e trasformatori) e la palazzina della sottostazione di trasformazione edificata tra il 1923 e il 1926. Il nuovo isolato è composto da cinque corpi di fabbrica, su progetto dello studio di Antonio Citterio e Patricia Viel and Partners

Anche se ormai dismesso, e sostituito dal nuovo camposanto di S. Giorgio alla Malpensata, nella pianta del Manzini del 1816 il piccolo cimitero è ancora presente; intanto, nel 1910, il Comune aveva già decretato l’ampliamento dell’attuale via Nullo (parallela alla distrutta cinta del Lapacano), demolendo la preesistente centrale della Società elettrica prealpina, per ricostruirne una nuova.

Pianta dell’ing. Manzini del 1816. Cerchiato in basso il cimitero pentagonale di S. Lucia (a questa soglia già dismesso) e in alto la chiesetta di Santa Lucia Vecchia, congiunte dal tracciato della roggia Curna, che dall’attuale via Garibaldi prosegue verso il futuro Ospedale Maggiore. Da questo momento si individua parte della via Santa Lucia Vecchia nell’attuale via XXIV maggio dove, all’altezza dell’ex camera mortuaria sorgeva la Cascina del Ghetto (documentata in una pianta del 1930), il cui toponimo ricorrerà nel 1939 nella definizione dei confini della parrocchia di Santa Lucia, istituita in quell’anno

 

In un atto del novembre 1336 apprendiamo che nel corso del XV secolo, in concomitanza con un “ampliamento della cerchia antica sul colle per ricomprendere la parte alta del borgo di S. Stefano”, la contrada di Broseta si dilatò verso ovest e si creò il muro del Lapacano con una nuova porta fortificata di Broseta, da cui saliva a ricongiungersi con le mura medioevali nei pressi dell’attuale porta S. Giacomo (fotografia del 1884 eseguita da Cesare Bizioli – Patrimonio Lucchetti-Museo delle Storie di Bergamo – rielaborata da Gianni Gelmini)

Nel 1838 in Porta Broseta si insediava la filanda Berizzi, dando avvio al nuovo destino proto-industriale della parte bassa della conca di Santa Lucia, lambita dalla roggia Serio.

Gli insediamenti proto-industriali fuori Porta Broseta in direzione Loreto, lungo il corso della roggia Serio

Eletto a parrocchia nel 1863, il santuario di Loreto diventava parrocchia di riferimento anche per la zona di Santa Lucia vecchia e le sue pertinenze. Nello stesso anno, il lascito Ghirardelli finiva nelle proprietà dell’Opera Pia Azzanelli Cedrelli e la chiesa diventava di patronato della stessa Opera.

Il secentesco santuario della Beata Vergine di Loreto, nella contrada Broseta Foris nel Borgo Pompiliano, era preceduto dalla Porta Nera (qui ritratta prima della sua demolizione, avvenuta nel 1831), uno degli sbarramenti avanzati medioevali, di cui è sopravvissuta solo la stongarda di San Matteo a Longuelo

Ma nel 1902 la chiesa di santa Lucia passò alla famiglia Migliorini Carminati, che acquistò le Ortaglie del Paradiso,  la chiesa e gli annessi fabbricati, con l’intenzione d’istituirvi un Orfanatrofio, realizzato nel 1916.

Romeo Bonomelli – Ritratto della famiglia Carminati. La chiesa viene officiata dal 1902 al 1922 da don Angelo, sacerdote, ultimo esponente della facoltosa famiglia Carminati, che devolverà tutto il patrimonio all’abbellimento della chiesa e all’aiuto ai derelitti

CADONO LE MURAINE: NASCE IL QUARTIERE LIBERTY ED IN SEGUITO  L’OSPEDALE 

Via Nullo, primi ‘900, con Villa Bracciano in primo piano a sx

Mentre la Città Bassa aveva cominciato a trasformarsi già a partire dall’Ottocento, dando vita ad un moderno centro cittadino con grandi palazzi istituzionali, ampie strade e innovativi mezzi di trasporto, l’abbattimento delle Muraine agli albori del Novecento cambiava il volto degli antichi borghi, decretando la perdita di isolamento anche per la conca intorno alla chiesa di Santa Lucia.

1890: le Muraine viste dal Paradiso  prima della loro demolizione

In quel “grazioso angolo di campagna con meravigliose visioni di papaveri nei campi a primavera” (ma anche ad oriente del contrafforte di S. Stefano) sorsero le prime ville padronali e le prime palazzine in stile Liberty, costruite per famiglie borghesi, professionisti, imprenditori e commercianti, per massima parte tra il 1905 e il 1915 determinando la nascita di un quartiere ordinato a scacchiera, che andrà sviluppandosi fino alla fine della Seconda Guerra mondiale, acquisendo un nuovo impulso con l’avvento del boom economico.

Il nascente quartiere di Santa Lucia, ai primi del Novecento

 

Bergamo, via Nullo. Viaggiata nel 1924 da Bergamo a Roma (proprietà Marta Volta, ricevuta da Laura Ceruti)

Nel frattempo, nel 1916 sui terreni del lascito Carminati agli Istituti Educativi  iniziava la costruzione dell’Orfanatrofio Maschile (divenuto nel periodo della Prima guerra mondiale Ospedale Militare di Riserva).

La chiesetta di Santa Lucia Vecchia con a destra il grande fabbricato dell’Orfanatrofio Maschile

 

L’Orfanatrofio Maschile, adibito nel periodo della Prima guerra mondiale a Ospedale Militare di Riserva, con cappellano don Angelo Roncalli

In quel periodo, la società dei fratelli Ingegnoli di Milano aveva acquistato i terreni per un fronte di 500 metri dal Lapacano verso S. Lucia, iniziando la costruzione dei cosiddetti “Villini” della Conca d’oro, riecheggiando l’idea della città-giardino.

All’incrocio con via Nullo, Villa Bracciano, al civico 28, ambita dimora dell’alta borghesia, probabilmente la prima a essere costruita nel 1905-1906 nel nuovo quartiere di Santa Lucia. Fu commissionata da Carlo Bracciano all’architetto Luigi Bergonzo, padre del più noto Alziro. Il motto virgiliano LABOR OMNIA VINCIT in tipici caratteri Liberty, ben esprimeva l’etica del lavoro tanto caro alla borghesia bergamasca

 

Della stagione liberty è esempio monumentale la bizzarra Villa La Bassiana (in cima a via Nullo, al civico 50, in angolo con via Albricci), costruita da Angelo Sesti nel 1916 per l’avvocato Bassano Gabba (sindaco di Milano nel biennio 1909-10 e senatore del Regno dal 1924) che ne andava particolarmente fiero. Quasi simile a un castello, i numerosi disegni del progetto sono oggi conservati presso la Biblioteca Angelo Mai

 

Poco alla volta, i moderni edifici in cemento (poco costoso e facilmente lavorabile), abbinato al ferro battuto di cancelli ed inferriate, cambiarono il volto del quartiere andando ad occupare una vasta area tutta intorno alla futura via Statuto, che presto divenne residenza della media e alta borghesia del tempo, desiderosa di distinguersi attraverso la nuova espressione artistica d’inizio secolo.

Nell’immagine, risalente al primo Novecento, l’attuale via Santa Lucia, allora chiamata via al Paradiso, dall’incrocio con via Statuto. Oggi la via del Paradiso è ubicata più avanti, lungo la scaletta che porta in Città Alta. Nate dal disegno degli architetti e dalla personalità dei committenti, le fantasiose facciate Liberty furono affrescate con motivi floreali, geometrie, iscrizioni, eleganti figure femminili dipinte o scolpite, putti, festoni di frutta e cornici curvilinee, ripresi sia dal gusto proveniente dal Nord Europa, sia dagli esempi del passato

In un primo momento, essendo la zona completamente priva di servizi, il nascente quartiere era ancora congiunto alla città dal tortuoso tracciato di via delle Cavette (attuale via Sant’Antonino), che dal sagrato di Sant’Alessandro in Colonna arrivava fino al Lapacano costeggiando il parco dei conti Belli, mentre l’idea del “traforo del Fortino” per connettere il nascente quartiere con la città, comincerà a farsi strada solo a partire dal piano regolatore promosso dal Rotary nel 1926.

Scorcio verso la Conca d’Oro

Nel 1922, l’area era abitata da circa 400 persone, ma le costruzioni in atto e l’intricata rete del tracciato stradale – già dotato delle nuove vie Milano, Torino, Albrici, Alborghetti, Rismondo -, lasciavano presagire un notevole sviluppo tra la zona immediatamente pedecollinare (l’attuale via Rosmini) e le vie Statuto (completata nel 1933), Negri, XXIV Maggio, ai tempi percorse solo da carri e da una comoda linea tranviaria che arriverà fino al nuovo Ospedale, inaugurato nel 1930, epoca in cui si comincerà a pensare ad una chiesa nuova per il quartiere.

Ex Ospedale Maggiore Il grande complesso dell’ex Ospedale Maggiore viene realizzato negli anni 1927-1930 su progetto dell’ing. Giulio Marcovigi di Bologna. L’inaugurazione avvenne alla presenza dei futuri re Umberto II e regina Mara Jose, in onore della quale venne intitolato “Principessa di Piemonte” mantenendo tale denominazione sino all’avvento della Repubblica. L’edificio ha fatto la storia del quartiere e della città intera

L’ELEZIONE A PARROCCHIA DELLA CHIESA DI SANTA LUCIA, LA CREAZIONE DEL RIFUGIO ANTIAEREO E LA NASCITA DEL TEMPIO VOTIVO 

All’inizio degli anni Trenta gli abitanti della zona erano circa 1.000, e mentre si era da tempo acquistato il “bellissimo campo d’angolo” tra via Statuto e via Alborghetti dove edificare la nuova chiesa, nel 1939 la chiesa al Santo nome di Gesù veniva smembrata da quella suburbana di Santa Maria di Loreto per essere eletta a parrocchia con il titolo di “Chiesa di Santa Lucia vergine e martire”, recuperando l’antica dedicazione.  L’anno successivo veniva ceduta dall’amministrazione dell’Orfanatrofio alla curia di Bergamo.

Chiesa di Santa Lucia vergine e martire, in via Santa Lucia

Intanto, negli anni Quaranta nella zona c’erano poche case isolate, con la chiesetta di S. Lucia dominata dal poderoso edificio dell’Orfanatrofio maschile e la roggia Curna che correva lungo la via Statuto a demarcare le due anime del rione: quella alta ed elegante e quella bassa, ancora campestre, ricca di  campi di grano, gelsi, e frutteti, delimitati da piccoli fossati.

Il quartiere di Santa Lucia, chiamato comunemente “I Villini”. La via Mazzini (oggi Garibaldi) è già tracciata nel 1908 (annullo postale del 1929 – Raccolta Domenico Lucchetti)

 

Il quartiere di Santa Lucia, chiamato comunemente “I Villini” (ripresa fotografica del 1930 – Raccolta Domenico Lucchetti)

 

Il quartiere di Santa Lucia, chiamato comunemente “I Villini” (ripresa fotografica del 1930 ca. – Raccolta Domenico Lucchetti)

 

Il quartiere di Santa Lucia, chiamato comunemente “I Villini” (edizione del 1939 – Raccolta Domenico Lucchetti)

Ma a parte le ville liberty nell’insieme la valletta era ancora un’area agricola, perennemente baciata dal sole e ancora chiamata Conca d’Oro per l’amenità del sito e per l’abbondanza e varietà dei suoi coltivi.

Scorcio sui coltivi nella conca di Santa Lucia, nell’attuale zona delle piscine (Raccolta Gaffuri)

Nel frattempo, nel 1944 era iniziato lo scavo della Galleria Conca d’Oro sotto il colle del Fortino per creare il bunker antiaereo del Comando Germanico Werhmacht, collegato in “verticale” alla sovrastante villa (oggi nota come villa Bizioli) mediante una scala scavata nella roccia di cui è ancora visibile la porta in ferro di arrivo nel bunker, il quale era a doppia uscita.

Il rifugio antiaereo nella Galleria Conca d’Oro, nel 1949 ancora chiusa al traffico, con la strada sterrata e l’interno completamente buio

In quella bellissima residenza con torre ad altana/belvedere, si svolsero le trattative che, si dice, nel 1943/’45 salvarono la città, prima da un bombardamento alleato e poi dallo scontro insurrettivo.

L’imbocco della Galleria Conca d’Oro nel 1949, adibita in tempo di guerra a rifugio antiaereo del Comando Germanico Werhmacht, collegato in “verticale” alla sovrastante villa (oggi nota come villa Bizioli), sul colle del Fortino, mediante una scala scavata nella roccia di cui è ancora visibile la porta in ferro di arrivo nel bunker, il quale era a doppia uscita

Con lo scavo della galleria,  si poneva la premessa per la realizzazione del collegamento veicolare che dal 1953 sarà la Galleria della Conca d’oro.

A causa della guerra, ma anche per mancanza di fondi la cupola inconfondibile del Tempio Votivo cominciava ad emergere solo nel 1949, avviandosi al completamento l’anno successivo (poco dopo il Congresso Eucaristico diocesano e la proclamazione del dogma dell’Assunta), quando le anime della parrocchia di Santa Lucia erano ormai salite a 3.000.

Il 25 aprile del 1952, a sei anni esatti dalla posa della prima pietra, con grande concorso di popolo la nuova chiesa venne solennemente consacrata dal vescovo Bernareggi, dedicata al “Cuore Immacolato della Beata Vergine Maria” ma presto nominata Tempio Votivo (3) in segno di gratitudine per aver risparmiato la zona dall’orrore dei bombardamenti, adempiendo al voto fatto dalla Città di Bergamo nel 1943 (4).

Un momento della solenne processione propiziatoria sulle mura veneziane, convocata dal Vescovo Adriano Bernareggi il 14 marzo 1943 (prima domenica di quaresima e terzo anno di guerra), cui presero parte oltre 40.000 persone , “al seguito del venerato Crocifisso di Rosate…che ben altre volte vide davanti a sé la folla prostrata dei fedeli bergamaschi…” (dalla cronaca de L’Eco di Bergamo del 16 marzo ’43. Fotografia tratta da L’Eco di Bergamo del 15 marzo 1943)

 

Il Tempio Votivo della Pace, costruito su progetto dell’ingegner Federico Rota, è un corpo cilindrico dal diametro interno di 20 metri e alto 24 metri, sormontato da cupola emisferica cieca di 30 metri al vertice, con profonda abside e scarselle sulle diagonali. L’esterno viene rivestito in conci di pietra di Credaro ben squadrati, con elementi in Calcare bianco Zandobbio. Nell’altare maggiore sono sigillate le reliquie dei santi Adriano, Alessandro, Grata e Lucia. L’abside è rivestita da mosaico. I quattro stemmi modellati da Elia Ajolfi per l’altare del voto ricordano chi ha maggiormente contribuito all’adempimento: il vescovo Bernareggi, la diocesi, il Comune e la Provincia di Bergamo. Ma non va dimenticato il grandissimo contributo dei parrocchiani di Santa Lucia. Tra le pregevoli opere d’arte, la “Sacra conversazione” attribuita ad Andrea del Sarto, una “Deposizione” copia da Luca Giordano e un Crocifisso seicentesco in avorio (ora sull’altare maggiore). Inoltre, vi sono opere di Ugo Riva (Via Crucis), Attilio Nani (altare maggiore e vasca battesimale), Piero Brolis (Pietà e Crocifisso), Vanni Rossi (affreschi), Angelo Gritti e Trento Longaetti, a cui si devono anche le vetrate.  Inoltre, due dipinti di ambito locale dedicati alla figura di Santa Lucia, entrambi del XVI secolo

 

Il Tempio Votivo, al centro dell’immagine, è la chiesa parrocchiale della Conca d’Oro: eretto per adempiere il voto fatto dalla Città di Bergamo nel 1943 e consacrato il aprile 1952. Vi si tengono le principali liturgie

GLI ANNI DEL BOOM E L’APERTURA DELLA GALLERIA CONCA D’ORO

Negli anni ‘50-’60, pur mantenendosi residenziale la zona si adeguò ai mutamenti economici e sociali: dagli anni ‘50 cominciarono a comparire i primi condomini di via Rosmini, via Bologna, via Milano e via Santa Lucia.

In una cartolina del 1959 gli edifici ad appartamenti segnano ormai il volto di via IV Novembre

Nel 1953 venne portato a termine il collegamento veicolare fra il quartiere di Santa Lucia e il viale Vittorio Emanuele, realizzato mediante la Galleria Conca d’Oro, lunga circa 245 metri e tutta illuminata al neon.

Galleria Conca d’Oro

Fortunatamente non andò a buon fine il progetto concepito nel 1954 per creare un’altra strada partendo dalla rotonda di S. Lucia, che avrebbe dovuto aggredire con una serie di tornanti questa zona collinosa della città, creando “una rusticana passeggiata, una specie di ‘Viale dei Colli’ meno classico certamente del celebrato viale di Firenze, ma anch’esso allagato di sole, stornellato a primavera dalle chiome dei peschi che sui nostri colli esplodono prestissimo in fiore”.

Il Tempio Votivo oggi

Così come non andò a buon fine l’idea di far passare per la galleria una linea del tram, “nella suggestione di un traforo”, per raggiungere il bel quartiere di Santa Lucia (5).

Scorcio sulla Conca d’Oro e l’Ospedale Maggiore, 1955

In seguito, nel 1964 fu istituita la parrocchia di S. Paolo, al confine col quartiere, nell’ottobre del ’63 iniziarono a costruire le piscine Italcementi, entro il 1972 fu completato il complesso dell’Eurocollege, che dall’84 ospita l’Accademia della Guardia di Finanza e, sempre nel corso degli anni ’70, i contigui nuovi insediamenti di via Anna Frank e di via Damiano Chiesa.

La costruzione del nuovo Seminario, tra il 1960 e il 1967, portò un parziale rimodellamento della morfologia della conca di Santa Lucia, compreso l’interramento di una casa. Per contenere il materiale di conferimento e scarico derivante dalla costruzione del Seminario, lungo il pendio sottostante la via Tre Armi fu piazzata una muraglia di pietre ingabbiate, oggi non più visibile perché occultata da una rigogliosa vegetazione. Nella zona delle piscine Italcementi, che funse da gigantesca discarica, vennero provvisoriamente trasportati detriti per oltre 100.000 metri cubi

 

Le piscine Italcementi negli anni Settanta. Il Centro Sportivo Italcementi distribuito su una superficie di circa 30 mila mq, di cui 6.300 coperti, per un totale di cinque piscine oltre a un palazzetto dello sport e una piccola palestra. A destra dell’ingresso, apposta alla parete un’opera di Elia Ajolfi (Bergamo 1916-2001), mentre all’interno una scultura di Franco Normanni (Bergamo 1927-2005) dedicata alla Fontanabrolo.

La chiesa di Santa Lucia,  embrione di tutta la valletta, dopo un adeguato restauro venne riaperta al culto nel 1980, quando la parrocchia contava ormai circa 8.000 abitanti; anche se, come detto, le principali liturgie si tengono a tutt’oggi al Tempio Votivo, eletto a chiesa parrocchiale della Conca d’Oro.

Nel complesso, nel quartiere convivono pacificamente le tante anime che nel tempo vi si sono sedimentate, all’ombra del pendio dorato della conca dove  natura e costruito continuano a coniugarsi in perfetta armonia.

 

Note

(1) Per il Pasta 1586, per G.B. Angelini 1590. Per notizie relative ai due siti di S. Lucia si veda anche E. Fornoni, Le vicinie cittadine, pp. 440-411.

(2) In seguito alle nuove disposizioni imposte da Napoleone con l’Editto di Saint-Cloud, emanato in Francia nel 1804 per motivi d’igiene e di salute pubblica nel 1810 a Bergamo sorsero ben tre cimiteri, tutti fuori dalle Muraine: quelli di Santa Lucia, San Maurizio e Valderde. Nel 1813, ritenuta inadatta la sua localizzazione, il cimitero di S. Lucia venne dismesso e sostituito dal nuovo camposanto di S. Giorgio, costruito alla Malpensata, tra la chiesa e il grande parcheggio a lungo occupato dal mercato del lunedì. I tre cimiteri confluiranno in seguito nel Cimitero Unico costruito in viale Pirovano agli inizi del Novecento.

(3) La solenne consacrazione avviene in coincidenza con la conclusione del Sinodo diocesano svoltosi il 23 e 24 aprile e l’apertura definitiva al culto è del ‘53.

(4) Durante la solenne processione tenutasi il 14 marzo 1943, in piazza del Duomo il vescovo proclama solenne voto: “Per la città domandiamo la protezione di Dio; domandiamo tale protezione con la mediazione del Crocifisso, perciò è stato portato in trionfo; e domandiamo tale protezione anche con l’intercessione di Maria. Ecco il mio desiderio: se saremo risparmiati dai danni delle incursioni aeree, noi promettiamo e facciamo voto di erigere, quale parrocchia nel quartiere di Santa Lucia, a guerra terminata un tempio votivo al Cuore Immacolato di Maria, tempio che rappresenti nei secoli la nostra gratitudine al Signore”. L’epigrafe latina voluta dal vescovo Bernareggi a fascia di tutto il perimetro esterno dell’edificio proclama dunque: “COLOMBA BELLISSIMA CHE PORTI L’ULIVO DELLA PACE/ACCOGLI IL VOTO DELLA CITTÀ INDENNE PER IL TUO SOCCORSO/TI RENDIAMO GRAZIE O CREATURA DELLA TRINITÀ/SIGNORA DELL’ALTISSIMO GAUDIO DELLA CHIESA SPERANZA DEL MONDO/A TE CHE HAI CALPESTATO IL MOSTRO DELLA GUERRA/DEDICHIAMO PER LE MANI DI ADRIANO VESCOVO QUESTO TEMPIO”.

(5) L’Eco di Bergamo.

Bibliografia e sitografia essenziale

Progetto Il colle di Bergamo, Lubrina, 1988.

Valentina Bailo, Roberto Cremaschi, Perlita Serra, Alle porte  di Citta’ Alta, 2012, Associazione per Città Alta e i Colli di Bergamo.

Parrocchia di S. Lucia

Tosca Rossi, A volo d’uccello Bergamo nelle vedute di Alvise Cima Analisi della rappresentazione della città tra XVI e XVIII secolo. Litostampa istituto grafico, Bergamo, 2012.

Ultima modifica: 26 marzo 2024

Bergamo alta vestita di bianco

 

Nel silenzio irreale della notte
sui colli sorpresi nel sonno 
il cielo ha posato un manto di stelle 

La coltre sottile è caduta leggera
su verdi grovigli addormentati
che mesti riposano in placida attesa

Nell’alito freddo del primo mattino
la luce del giorno si espande soffusa
filtrando sinuosa sin dentro ogni casa

Velato di un soffice candido pizzo
il colle nasconde le sue vecchie rughe
mostrando sornione un bianco sorriso

Laddove la pietra ricopre il pendio
m’inerpico lento sul fianco scosceso
a scorgere linee di azzurro orizzonte

Come gioielli sospesi nel tempo
dimore di pietra fan capolino
dal ciglio di un bosco che appare incantato

Si librano austere fra i gelidi venti
le sagome mute dei sacri edifici
da tempo immemore a dominare
un dolce profilo così familiare

Lanciando bagliori nel cielo infinito
si elevano i monti a formar la catena
che al borgo antico fa da corona

Il tempo che scorre con fluida lentezza
conduce le mente a desiderare
il caldo riparo di un  focolare

Profili di case e di alberi spogli
riflettono il gioco di nubi d’argento
nel freddo mattino sospinte dal vento

E mentre l’ombra si muove piano
cupole bianche fluttuando imponenti
elevano al cielo preghiere silenti

Per qualche istante un timido sole
fa capolino a rammentare
che nulla è immobile e fermo per sempre
ma che è soltanto calma apparente

Sinuosi rami dalle nodose dita
sferzano l’aria in tacito accordo
e sfiorando corde tese fra i rami
abbozzano il suono di una melodia

Le note s’inseguono l’un l’altra
ora più gravi ed ora leggere
ad intonar la sinfonia struggente
che dell’Inverno narra l’eterno ritorno

Storia e fascino della Funicolare di Città Alta, uno dei simboli di Bergamo

Tra la fine del Settecento e la seconda metà dell’Ottocento, il centro politico, sociale ed economico di Bergamo si sposta sempre più dalla città alta alla città bassa, dove soprattutto dopo l’Unità d’Italia vanno a concentrarsi tutti gli uffici amministrativi, le banche, le infrastrutture, le attività industriali e i collegamenti, proiettati verso il capoluogo lombardo ed oltre grazie alla nascita della stazione ferroviaria e dello scalo merci nel 1857.

I borghi sono sempre più popolosi e nuove case sorgono lungo le tradizionali vie d’accesso alla città, che trova il suo punto di incontro nel Sentierone.

In particolare, tale processo è accelerato alla metà dell’Ottocento dall’epidemia di colera, divampata velocissima a causa del cedimento dell’antico sistema fognario, dovuto al sovraccarico abitativo lungo le affollate cortine di Bergamo Alta.

Per scongiurare il declino e l’isolamento della città sul colle si intensifica la discussione sul suo risanamento e riguardo a un mezzo di trasporto collettivo che la colleghi alla città delineata al piano.

Già nel 1856 l’ingegner Angelo Ponzetti propone una linea di tram a cavalli che partendo dall’antica Fiera raggiunga il palazzo del Municipio (attuale Biblioteca Angelo Mai) compiendo l’ultimo tratto dentro un tunnel lungo oltre 60 metri.

Viene poi sperimentata, con esito disastroso, la “locomotiva Thompson”, suscitando ilarità e sberleffi, finché finalmente, dopo un lungo dibattito riguardo i mezzi più disparati per congiungere le due parti di città, nel 1887 arriva la soluzione definitiva.

E pare che al momento gli amministratori, messi alle strette da una sottoscrizione, non vedessero di buon occhio l’espandersi della Città, che allora contava poco più di 30.000 abitanti. Alcuni mesi dopo però, agli albori del Novecento le vetturine facevano la spola più o meno regolarmente, tessendo la loro trama a tutte le ore, avvicendandosi all’intenso traffico delle vie del borgo e sollevandosi in pochi minuti nel silenzio riposante, fra le bellezze artistiche e il paesaggio meraviglioso, disteso sotto le Mura veneziane.

L’UMORISTICO ESITO DELLA LOCOMOTIVA THOMPSON

Dopo una serie di proposte (1), nel 1872 per raggiungere Bergamo Alta viene sperimentata la locomotiva “Thompson”, una locomotiva stradale a vapore che dovrebbe percorrere il tratto dalla stazione ferroviaria al viale Vittorio Emanuele fino alle Mura, per poi arrestarsi in Colle Aperto.

La Locomotiva stradale a vapore realizzata dalla ditta Thompson, sperimentata a Bergamo nel 1872 per raggiungere Città Alta,  giunse per l’occasione dall’Inghilterra, Il mezzo avrebbe dovuto percorrere le vie cittadine collegando la città bassa a quella alta.  A causa di guasti continui, la sua carriera fu breve

Ma, narrano le cronache, il veicolo è lento, goffo e malfunzionante: “Dalla stazione la macchina Thompson entra in città per farsi vedere. Il mostro che cammina finisce il suo primo esperimento nell’officina Galli per qualche riparazione. Poi prove e riprove, finché nel settembre si decreta di confinarla nel Lazzaretto”.

Corrono allora per la città una serie di satire all’indirizzo della povera locomotiva.

“E sö, e sö, e sö – la Thompson la va sö – al la dovra ol cont Roncall – per menà i so siure ’in Borg Canal. – La careta del cont Roncall – la ria miga in Borg Canal – e la s’ferma in mes al vial. – Povra Thompson! – Poer cont Roncall! – E sö, e sö, e sö – la Thompson la va piö- ’l se rompit la sentürela – gna ’l magna ’la giösta piö” (nella fotografia, il Conte Roncalli)

Dopo aver compiuto alcune corse e dopo una serie di guasti, il veicolo finisce dunque dal rottamaio. Ma il desiderio di collegare la Bassa con l’Alta Città riceve una nuova spinta e dopo tre proposte (2) subito naufragate, arriva quella giusta

LA PROPOSTA VINCENTE: LA FUNICOLARE DI FERRETTI

Maggiore fortuna incontra infatti la proposta dell’ingegnere emiliano Alessandro Ferretti (1851-1930),  protagonista indiscusso nella progettazione di impianti di risalita e trasporto su binari e a fune in Italia, dall’ultimo ventennio dell’Ottocento agli anni Venti del Novecento, in un contesto legato al progresso industriale e al conseguente sviluppo delle infrastrutture.

L’ingegnere Alessandro Ferretti, il “Leonardo da Vinci” delle funicolari, nasce a Fabrico di Reggio Emilia il 14 marzo 1851 ed è ricordato in una lapide posta alla stazione inferiore di Viale Roma. Egli non fu solo un “funicolarista”: inventore e visionario, progettò opere avveniristiche e mai realizzate perché insostenibili per ragioni economiche e tecniche: dagli ascensori per edifici storici, come quello con propulsione ad aria compressa per la Torre degli Asinelli a Bologna, alle migliorie per le comunicazioni con un nuovo telegrafo a gas ed alle applicazioni di impianti in ambito agricolo e militare. Fu autore di numerosi brevetti, oggetto di privativa industriale

Giunto a Bergamo, aveva già progettato e costruito ferrovie, funicolari e teleferiche, fra le quali le funicolare di Mondovì, Genova e Monreale, gli impianti a Bologna per il colle della Guardia e per il colle di San Michele in Bosco, la teleferica di Valestra (Reggio Emilia) della lunghezza di ben cinque chilometri.

Le mura veneziane prima della realizzazione dell’impianto della funicolare, ancora prive dell’arco per il passaggio delle vetture

Coadiuvato dal collega bergamasco ingegner Luigi Valzelli (3) nel 1885  presenta un progetto per la realizzazione di una funicolare fra Città Alta e Città Bassa, da porre in collegamento con una modesta rete di tram a cavalli di adduzione alla stessa, nel tratto tra la stazione inferiore della funicolare e la stazione ferroviaria.

Disegno per il progetto della funicolare, inaugurata nel 1887

Di lì a poco, l’ingegner Ferretti ottiene in concessione dal Comune non solo il servizio della funicolare bensì l’intero trasporto cittadino, che si fonda sul tram  a cavalli (che a breve diventerà a vapore), costituendo a tale scopo la “Ferrovia Ferretti” (4).

Il tram a cavalli in città, percorre il tratto tra Piazza Pontida e Borgo Santa Caterina, mentre l’altra linea interessa il tratto stazione ferroviaria-stazione inferiore della funicolare; entrambe le linea verranno presto sostituite dal tram a vapore ed elettrificate nel 1898, sei anni dopo la funicolare

 

Gli impianti originari della funicolare, progettata e gestita da Alessandro Ferretti

L’impianto della funicolare, mossa da una macchina a vapore, viene collaudato ufficialmente il 19 novembre 1887 e dopo meno di un anno di lavori, il 20 settembre 1887 incominciano le corse tra la stazione di viale Vittorio Emanuele II e piazza Mercato delle Scarpe.

La cortina muraria veneziana presenta ora l’arco di apertura per il passaggio della funicolare. Ai piedi delle mura il monastero di Matris Domini

 

Il tunnel attraversa il “bastione cento piante” nel tratto della piattaforma di S. Andrea. La Funicolare di Bergamo Alta, uno dei due impianti di funicolare della città di Bergamo, è il primo collegamento fra la la città bassa e quella alta, realizzato da Alessandro Ferretti nel tratto viale Vittorio Emanuele II e piazza Mercato delle Scarpe

Per Ferretti è il coronamento della sfida tecnologica inseguita per decenni: la Funicolare di Bergamo, da sempre considerata il suo migliore impianto, rappresenta senza dubbio il suo capolavoro ed uno dei gioielli più belli della nostra città, apprezzato dai bergamaschi e dai numerosi turisti in visita.

La Funicolare di Monte dei Cappuccini a Torino, progettata da Ferretti, prototipo della Funicolare di Bergamo. Ferretti fu anche il progettista di brevetti applicati in svariati ambiti, in particolare il freno di sicurezza: un sistema di frenatura automatica in caso di rottura della fune che diviene elemento caratterizzante degli impianti Ferretti tanto da chiamarsi “sistema di sicurezza Ferretti”

“Ciò che sembrava un sogno ai più, ardimento pericoloso ai meno, oggi è un fatto compiuto”: era il 1887 e sul giornale “Il Campanone” l’ingegner Alessandro Ferretti presentava così la nostra funicolare, il cui prototipo è quello messo a punto nel 1884 sul Monte dei Cappuccini di Torino, ideato per le esposizioni universali: la prima funicolare della Penisola, cui seguirà quella di Mondovì.

Viene dunque realizzato un impianto di tipo tradizionale a binario unico, con due vetture “a va e vieni” che si scambiano a metà percorso, che partendo  dalla stazione di viale Vittorio Emanuele II attraversa le mura veneziane e porta sin nel cuore della città alta, nel Palazzo Rota già Suardi in piazza Mercato delle Scarpe.

Costruita con impianto di tipo tradizionale con due vetture in salita e discesa, la funicolare per Bergamo Alta fu inaugurata nel 1887 (fotografia del 1900)

 

La stazione superiore della Funicolare di Bergamo, ricavata nell’ex cortile di palazzo Rota già Suardi in piazza Mercato delle Scarpe (fotografia del 1901)

Ha solo una battuta d’arresto alla sua prima corsa in discesa,  a causa del blocco di una ruota che costringe gli eleganti passeggeri, reduci da una rappresentazione al Teatro della Società (odierno Teatro Sociale) a ridiscendere a piedi.

L’aspetto dell’originaria stazione inferiore della funicolare, in viale Vittorio Emanuele II

LA CESSIONE DELLA FUNICOLARE E L’ARRIVO DELL’ELETTRICITA’

Ma evidentemente, al ruolo del gestore Ferretti preferisce quello dell’imprenditore, perché il 29 aprile del 1890 cede l’intera azienda (funicolare e servizio di tram a cavalli) alla costituenda Società Anonima Funicolare e Tramvia (SAFT), per 449.000 lire (5).

Con altro atto, 1 settembre 1890, il Comune accorda quindi alla nuova Società la facoltà di elettrificare la linea tranviaria fra la stazione ferroviaria e la stazione bassa della Funicolare, il cui esercizio a trazione elettrica verrà inaugurato alcuni anni più tardi, l’8 ottobre 1898.

IL SERVIZIO MIGLIORA

Nel 1892 la società alla quale l’ingegner Ferretti aveva venduto la funicolare e due linee tranviarie decide di sostituire il sistema a trazione a vapore con la trazione elettrica, nonostante in quel periodo le vie siano ancora illuminate dai lampioni a gas.

Scrive Luigi Pelandi che quando la la città era ancora illuminata con i lampioni a gas, Bergamo era servita dal “gasista”, che passava per la contrada con il lungo bastone a fiamma accesa, soffermandosi agli angoli per l’accensione. Era l’ultimo saluto della sera ed il primo risveglio del mattino. E quanti accidenti si sentivano mandare al lampione perché il più delle volte l’accensione ritardava o non avveniva per tante cause esterne!

La funicolare è così il primo mezzo pubblico a funzionare a Bergamo grazie all’elettricità ma bisognerà attendere altri sei anni perché il tram a cavalli tra la stazione ferroviaria e la funicolare venga sostituito dal tram elettrico.

Nel 1892 l’impianto della funicolare fu dotato di un motore elettrico. Dopo sei anni anche il tram a cavalli che percorreva il tratto tra la stazione ferroviaria e la funicolare venne sostituito dal tram elettrico

Le caratteristiche dell’impianto rimangono pressoché invariate ma grazie al motore elettrico le prestazioni migliorano. Le vetture, della portata di 24 persone, vengono tenute in servizio anche per buona parte delle ore notturne e i passeggeri aumentano di anno in anno: se nel 1892 sono 373.146, dieci anni dopo, nel 1902, il loro numero è quasi raddoppiato.

La stazione inferiore della Funicolare nel 1905. Pelandi ricorda l’edificio che immette alla Funicolare sul principio del secolo “come l’entrata ad una galleria senza luce e senza decoro alcuno e portava a pensieri poco sicuri sula propria sorte! Tanto valeva salire la Scaletta e raggiungere la Porta di S. Giacomo”

Nel novembre 1907, dopo una lunga vertenza la proprietà degli impianti e l’esercizio passano ufficialmente al Comune, costituitosi in Azienda Municipalizzata Funicolari e Tranvie Elettriche (AMFTE), l’antesignana dell’odierna ATB.

La funicolare nel 1908

La municipalizzazione dell’Azienda è confermata dall’esito di un referendum il 7 luglio 1907. Un importante consenso popolare espresso dai 2.484 sì contro 111 no su un totale di 2.595 votanti (il 46% degli aventi diritto al voto).

Moneta dell’Azienda Municipale Funicolari e Tranvie – Bergamo

Nel 1917 si delibera la trasformazione completa della funicolare per aumentarne la capacità di trasporto e ridurre al minimo le sospensioni di servizio. L’impianto originario assume nella nuova versione dell’ing. Zaretti, costruita dalla Stigler Otis, le caratteristiche di due impianti di ascensori su piano inclinato mossi da due argani indipendenti.

Termina la Grande Guerra e tra l’agosto del 1921 e l’ottobre del ‘22, l’AMFTE può rinnovare radicalmente la funicolare di Città Alta, per la quale viene creato un doppio binario, rifatti i meccanismi dei motori e degli apparecchi di sicurezza.

Le nuove vetture “panoramiche” (così chiamate perché consentivano, grazie alle ampie vetrate, di ammirare il paesaggio durante il tragitto), introdotte durante il rinnovo dell’impianto fra il 1921 e il 1922

 

Le nuove vetture “panoramiche” e il doppio binario introdotti durante il rinnovo dell’impianto fra il 1921 e il 1922. La linea è assimilabile a due funicolari monocabina indipendenti. Infatti ogni vettura è dotata di un proprio sistema fune-motore che può agire autonomamente; i due corrispondenti contrappesi scorrono verticalmente in un pozzo collocato in asse alla stazione superiore. Grazie a questo, al di fuori degli orari di punta, può essere utilizzata in servizio una sola cabina

 

Viene rifatta anche la stazione di Viale Vittorio Emanuele II e la facciata di quella di Piazza Mercato delle Scarpe.

Stazione inferiore della funicolare: l’inaugurazione della rinnovata funicolare nel 1921

 

La stazione superiore della Funicolare di Bergamo nel 1927

 

Dopo la Grande Guerra si lavora al rinnovo dell’impianto

Con la nuova sistemazione, in prossimità della stazione superiore scompare il ponticello che fino ad allora aveva concesso di utilizzare l’antichissima via degli Anditi.

A sinistra, il percorso originario della funicolare e il panoramico terrazzo-restaurant in stile neogotico del palazzo che ospita la stazione superiore: vi era il ponticello che consentiva ancora di utilizzare l’antichissima via degli Anditi in corrispondenza del passaggio di ronda medioevale. A destra, dopo la trasformazione del 1921, il grande arco e il ponticello non esistono più e sono visibili le nuove vetture “panoramiche”

Per la temporanea chiusura dell’impianto viene introdotto un servizio sostitutivo di vetture filoviarie, tra le prime utilizzate in Italia, che arrivano fino a Colle Aperto.

Le vetture filoviarie impiegate tra l’agosto del 1921 e l’ottobre del ‘22,  nel periodo del  rinnovo dell’impianto della funicolare, nel tratto fra la stazione inferiore della funicolare e Colle Aperto

 

Le vetture filoviarie impiegate tra l’agosto del 1921 e l’ottobre del ‘22,  nel periodo del  rinnovo dell’impianto della funicolare, nel tratto fra la stazione inferiore della funicolare e Colle Aperto

 

Le vetture filoviarie impiegate tra l’agosto del 1921 e l’ottobre del ‘22,  nel periodo del  rinnovo dell’impianto della funicolare, nel tratto fra la stazione inferiore della funicolare e Colle Aperto

 

Le vetture filoviarie impiegate tra l’agosto del 1921 e l’ottobre del ‘22,  nel periodo del  rinnovo dell’impianto della funicolare, nel tratto fra la stazione inferiore della funicolare e Colle Aperto

Fino al 1925 i capannoni di rimessaggio dei tram dell’AMFTE si trovavano proprio nel fabbricato adiacente la stazione inferiore della funicolare, in viale Vittorio Emanuele II, mentre la direzione e gli uffici si trovavano più a monte in un caseggiato distrutto per regolare il viale in quel punto, onde permettere la stesura dei fili per il filobus. Nel 1930, vi verrà eretta la Casa dei mutilati e invalidi di guerra.

La Stazione inferiore della funicolare, in Viale Vittorio Emanuele II. A fianco, il fabbricato dove fino al 1925 sorgevano i capannoni di rimessaggio dei tram dell’AMFTE, in seguito ricoverati in nuove aree messe a disposizione del Comune: oltre all’edificio della centrale elettrica presso l’ex barriera Sant’Antonio, all’imbocco di via Pignolo, un’area presso l’ex Porta Broseta, dove trovò posto anche la direzione. E ciò fino alla costruzione del nuovo deposito in via Coghetti, che accolse tutto l’apparato dell’Azienda Municipalizzata Funicolari e Tramvie Elettriche (divenuta ATB dal 1979)

 

Il fabbricato adiacente alla stazione inferiore della funicolare nel 1949. L’arco di ingresso della stazione risale al rinnovo del 1921-’22

 

L’ingresso della stazione inferiore della funicolare, con l’arcata d’accesso risalente al 1921-’22 e i filobus introdotti dopo la seconda Guerra mondiale, a partire dalla linea 1, ossia nel tratto compreso tra la  stazione bassa della funicolare e la stazione ferroviaria, seguita dalle linee principali che attraversavano il centro cittadino (il filobus di destra proviene da Colle Aperto)

L’ADDIO ALLE VECCHIE “PANORAMICHE”  

Altri interventi sono necessari nel 1954 ma soprattutto nel 1963-64, quando viene costruita una nuova stazione sul Viale Vittorio Emanuele II, dove si decreta l’addio della vecchia arcata d’accesso.

L’aspetto moderno della nuova stazione delle funicolare e del nuovo edificio a lato, un tempo occupato dal capannone di rimessaggio, sostituito da quello del Caffè Funicolare, provvisto di un’ampia terrazza al piano superiore

 

In quel periodo, dopo decenni di onorato servizio, il vecchio modello delle “panoramiche” esce totalmente dalla scena.

1963: la vecchia panoramica è pronta per la rottamazione, mentre l’aspetto della stazione è già stato rinnovato

L’impianto, che era già stato rinnovato nel 1922, viene totalmente rifatto ed anche le vetture vengono sostituite.

Una delle due nuove vetture introdotte con il rinnovo del 1963

 

Una delle due nuove vetture introdotte con il rinnovo del 1963

 

Il cambio di una delle due vetture nel 1963

 

Le nuove vetture introdotte con il rinnovo del 1963

Nel 1988, scaduta la concessione governativa, le “panoramiche” sono sostituite da altre due vetture da 55 posti di costruzione Ceretti e Tanfani, molto più funzionali.

Da oltre 130 anni la funicolare collega il centro di Bergamo con la Città Alta, che raggiunge in 2 minuti e 40 secondi portandosi in piazza Mercato delle Scarpe, già sede di numerose attività commerciali. A motivo della peculiare conformazione dell’impianto i due binari presentano lunghezze diverse, pari a 240 e 234 rispettivamente per le vie di corsa destra e sinistra.metri. Il dislivello coperto è pari a 85 metri, con una pendenza massima del 52%. Ogni carrozza, due vetture arancio fiammante  di costruzione Ceretti & Tanfani, trasporta 50 passeggeri

Ma l’intervento maggiore, anche se meno evidente, riguarda l’intero sistema di trazione e gli impianti di sicurezza (lo stesso avvenne nel 1991 per la funicolare di S. Vigilio): sarà l’ultimo importante restauro, a distanza di un secolo dalla prima corsa, cui seguiranno a cadenze regolari revisioni generali dell’impianto, con la completa sostituzione dell’automazione nel 2008 e l’aggiornamento del sistema di salita nel 2016.

Pur essendo passati più di centotrent’anni dall’inaugurazione, la funicolare non ha mai perso il suo ruolo di principale attrice del trasporto pubblico bergamasco e continua a trasportare i passeggeri (oggi per un massimo di 600 all’ora) senza soluzione di continuità, mantenendo intatto il fascino dell’emersione ritmata verso la luce di Città Alta, che ne ha fatto uno dei simboli di Bergamo.

 

Note

(1) Al progetto diell’ing. Angelo Ponzetti, del 1865, seguì quello dell’ing. Tommaso Agudio, il costruttore della funicolare torinese di Superga, che venne preso in serio studio dal Comune, tanto da pubblicarsi il programma della sottoscrizione d’abbonamento. La ferrovia di congiunzione tra la città bassa e quella alta avrebbe dovuto partire dall’allora Piazza Cavour, per arrivare al Mercato delle Scarpe, il che avrebbe comportato la demolizione di casa Marieni, ove stabilire una terrazza con porticato aperto. Una stazione intermedia sarebbe stata collocata in prossimità di casa Serassi, sulla via Vittorio Emanuele. Si fissava il prezzo dell’abbonamento per la prima, la seconda e la terza classe.Secondo il progetto, il Comune avrebbe concorso con un sussiduo annuo di L. 5.000 per 10 anni. Ma più tardi il progetto fu abbandonato. Il 25 febbraio 1870 l’ingegnere Angelo Ponzetti presentava al Comune lo studio per una funicolare lungo la strada Vittorio Emanuele e le Mura di S. Giacomo da esercirsi con motore idraulico mediante l’utilizzazione di altra delle cascate esistenti lungo la roggia sul lato orientale della Fiera. Il progetto non ebbe nessuna attuazione (Luigi Pelandi, La Strada Ferdinandea, Op. Cit.).

(2) Nel 1879 l’ingegnere Sigismondo Ghilardi propose un tram a vapore da Porta Nuova a Colle Aperto, mentre nel 1885 l’ingegner Fermo Coduri e il signor Fedenco Chiari presentarono al consiglio comunale i progetti per una rete tranviaria a cavalli in città bassa e una funicolare tra città bassa e città alta, subito naufragati. Venne poi quello dei fratelli Chitò di Solto, esercenti un’officina meccanica a Bergamo. La loro funicolare avrebbe dovuto far capo a Piazza Baroni, salendo poi il viale Vittorio Emanuele, per finire, come quella d’oggi, sul Mercato delle Scarpe. I fratelli Chitò avevano anche esposto al pubblico un modellino in movimento. La mancanza di fondi, per dare il via al progetto, non permise di proseguire nell’impresa (Luigi Pelandi, La Strada Ferdinandea, Op. Cit.).

(3) L’ing. Bergamasco Luigi Valzelli (1852-1911) aveva già dato alla città ben chiare prove con lavori, studi e dimostrazioni in materia di tecnica elettrica e di edilizia: “posso affermare che fu sua l’idea della famosa Direttissima (Ferrovia elettrica Bergamo-Milano) tanto poi caldeggiata dal povero Pesentù. Me ne dà conto esatto e circostanziato un opuscolo del 1904: Cose Ferroviarie – Pro direttissima Bergamo-Milano (Tipografia R. Gatti): “la magnifica idea venne lanciata dall’ing. Valzelli per la prima volta… ed ebbe il battesimo del pubblico favore domenica 29 aprile 1893, in una solenne adunanza presso la Camera di Commercio”. E come della direttissima, così di altri numerosi progetti edilizi, l’ing. Valzelli fu non solo l’antesignano, ma l’anima. E’ sua la funicolare del Sacro Monte di Varese. Preziosi sono i suoi studi su una radicale riforma della nostra stazione ferroviaria e sul raggruppamento delle stazioni delle valli. Non v’era in quel tempo quesito di qualche importanza in ordine ai mezzi di trasporto ed allo sviluppo edilizio cittadino, senza che esso venisse risolto direttamente od indirettamente, col contributo prezioso dei suoi studi e della sua esperienza. E fu del Valzelli l’idea della Ferrovia della Valle Brembana e della Valle Cavallina”. A quei tempi — secondo quanto scrisse L’Eco del 2 maggio 1911 — il Valzelli fu definito un precursore dalla vista sicura in materia di progresso tecnico (Luigi Pelandi, La Strada Ferdinandea, Op. Cit.).

(4) Nel gennaio del 1887 la Ferrovia Ferretti ottenne, oltre alla concessione della funicolare, anche quella dell’intero servizio di trasporto pubblico cittadino, per una durata di 80 anni. La funicolare di Bergamo Alta fu terminata nel medesimo anno, entrando in servizio il 20 settembre 1887. Per la firma del contratto tra la Ferrovia Ferretti e il Comune, Luigi Pelandi riporta la data del 1° gennaio 1887, “col deposito di L. 20.000, quale cauzione. A Ferretti spetta, oltre alla gestione dell’intero sistema di trasporto, anche la costruzione dell’impianto della funicolare. Era allora sindaco il conte Gianforte Suardi (Luigi Pelandi, La Strada Ferdinandea, Op. Cit.).

(5) Per Pelandi si tratta di 470.000 lire. Il capitale proveniva pressoché tutto dalla Banca Piccolo Credito, tanto che gli umoristi del tempo ebbero a dire che la Funicolare stava diventando la via del paradiso, come allusione alle persone firmatarie ed al presidente: avvocato Luigi Salvi! (L. Pelandi, Op. cit.)

Bibliografia

Graziola G Zaninelli S. Il trasporto pubblico a Bergamo. ATB 1907-1997. Giuffrè Editore, Milano. Opuscolo edito da ATB per il centenario.

Giovanni Cornolò e Francesco Ogliari, La funicolare Bergamo Bassa – Città Alta (1887 – in esercizio), in Si viaggia… anche all’insù. Le funicolari d’Italia. Volume primo (1880-1900), Milano, Arcipelago edizioni, 2004, pp. 144-181, ISBN 88-7695-261-6.

Pino Capellini, La funicolare di Bergamo Alta, Bergamo, Arnoldi, 1988.

Luigi Pelandi, Attraverso le vie di Bergamo scomparsa II – La Strada Ferdinandea. Collana di Studi Bergamaschi, a cura della Banca Popolare di Bergamo.

Locandina della mostra dedicata alla figura di Alessandro Ferretti nel 2017,  inaugurata da ATB e Fondazione Bergamo nella storia nell’ex Ateneo di Bergamo Alta in occasione dei centodieci anni dalla nascita di ATB – Azienda Trasporti Bergamo (1907) – e dei centotrent’anni trascorsi dall’inaugurazione della Funicolare di Bergamo (1887)