Tra Valverde e la Conca d’Oro, nei verzicanti Colli, fra distese di orti e coltivi e bontà locali

Le ortaglie nascoste fra i giardini di Monte Bastia

fotografie di Claudia Roffeni

Nella rigogliosa macchia verde che dalle spalle di Città Alta si allunga fino a toccare il colle di Sombreno, trionfa una minuta orditura vegetale, per lo più addomesticata, che nei secoli ha cesellato i pendii ridisegnandone le forme, in un mirabile equilibrio sospeso tra natura ed artificio.

La trama degli orti e dei coltivi nell’anfiteatro della Conca d’Oro

 

Coltivi lungo la Scaletta delle More

Se verso nord il versante è più boscoso, selvaggio e in prevalenza ombroso, in quello esposto a mezzogiorno, più luminoso e soleggiato, l’uomo ha coltivato per secoli variegate ortaglie, alberi da frutto, olivi, vigneti ed anche gelsi, mentre più in basso biondeggiavano piccoli o grandi appezzamenti di frumento e di granoturco, curati dai mezzadri o da piccoli proprietari che nella bella stagione improvvisavano una “frasca”.

La sella di San Sebastiano, un tempo occupata dalla storica frasca dei Rapizza, circondata da vigneti

Qui gli avventori consumavano quel tanto che la natura elargiva sul posto, accompagnando le saporite pietanze con l’aspro vinello dei colli.

Vigneto sui Colli di Bergamo

 

La vigna ad Astino

 

Vigneto ai piedi dei Torni

Se questi ambienti agresti di lontana memoria sono completamente scomparsi, o nel migliore dei casi rimpiazzati dagli “agriturismi”, fra Città Alta e Colli dominano ancora gli spazi aperti dei giardini, delle ortaglie e dei coltivi, in un meraviglioso intreccio di balze, terrazze e salite innervate da scalette, che si inerpicano in alto, lungo i versanti immersi in un bucolico scenario.

L’incanto dello Scorlazzino con i suoi coltivi

 

Dalla Scaletta di via del Rione

 

Tra la città murata e la Conca del Paradiso l’olivo cresce rigoglioso, felicemente riproposto anche nei terreni sottostanti le Mura

Così è nell’ampia conca che si apre grandiosa sotto le mura, fra la città alta e la Conca d’Oro, e così è nella conca di Astino e ovunque la dolcezza del clima lascia prosperare esemplari tipici dell’ambiente mediterraneo come il fico, il corbezzolo, l’olivo e la vite, coltivata da secoli non solo a mezzogiorno ma anche lungo i terrazzamenti più felicemente esposti del versante settentrionale, come in Valmarina, Valverde e Castagneta.

Il Corbezzolo lungo la scaletta di Colle Aperto in direzione Orto Botanico

 

La maestosità del Corbezzolo lungo la scaletta di Colle Aperto

 

I frutti del Corbezzolo lungo la scaletta di Colle Aperto

Anche i muri e i muretti dei Colli protetti dai venti freddi invernali riservano gradite sorprese, ospitando fra gli anfratti numerose specie spontanee o naturalizzate che dischiudono un mondo meraviglioso: talvolta sconosciuto ma meritevole di cure e di attenzioni.

Una pianta di Cappero in via Sudorno verso i Torni, accanto alla salita gradinata dello Scorlazzone

E non stupisce che sui muri di via degli Orti in Borgo Canale – la conca “contadina” per eccellenza – oppure nella vicina via Sudorno, si trovino grandi esemplari di Cappero, riconoscibilissimo dagli splendidi festoni che si dischiudono nella maturità dell’estate.

Un primo piano sul Cappero di via degli Orti

 

Foglie di Cappero, in via degli Orti

 

Via degli Orti: pianta di Cappero

Proprio sui muretti che sostengono i terrazzamenti sparsi qua e là lungo il reticolo dei colli, trovano ospitalità molte specie di tipo mediterraneo, come le borraccine e la cedracca, una felce dalle fronde carnose coperte sulla pagina inferiore da squame argentee.

Un arbusto di lavanda sul muretto della Scaletta di via del Rione

 

Fioriture spontanee lungo la Scaletta di via del Rione

Nella parte bassa dei muretti possiamo facilmente incontrare il finocchio selvatico, dalle foglie aromatiche e capillari, la rucola, la campanula siberiana, la pervinca maggiore ed anche numerosi tipi di aglio, che si accompagnano alle vistose fioriture del geranio sanguineo, alla salvia dei prati e al verde dorato di numerose graminacee, indicatrici di habitat macrotermici.

Flora spontanea lungo il sentiero di via del Rione, presso le Case Moroni

 

Sui Colli di Bergamo non è infrequente incontrare alberi da frutta, anche spontanei, che in primavera regalano delicate fioriture

 

Rosmarino

Se percorrete il sentiero della Madonna del Bosco nella tarda primavera, ai piedi del muro di cinta del giardino di Villa Bagnada potrete notare ciuffi di profumata melissa e generose macchie di erba cipollina, mentre fra i rovi del lato opposto fanno capolino grovigli di teneri loertis, germogli di luppolo creduti “asparagi selvatici”: quelli veri, da guardare e non toccare, se ne stanno nei paraggi, ben nascosti al centro di cespugli di pungitopo, il sempreverde dalle bacche rosse la cui raccolta è vietatissima.

Villa Bagnada, sul versante meridionale della Madonna del Bosco, costeggiata da un sentiero boschivo

L’olivo prospera soprattutto verso ovest, ben esposto anche sulle larghe terrazze secolari di Astino, dove rappresenta un vero e proprio ritorno dal momento che qui esisteva il podere Monte Oliveto, in linea con la lunga tradizione sui colli di Bergamo.

L’impianto attuale dell’oliveto di Astino, disteso sui terrazzamenti, è formato da circa 130 piante, di cui le più vecchie hanno 15 anni e discendono da un progetto LIFE del Parco dei Colli. L’oliveto è affidato all’Associazione Interprovinciale Olivicoltori Lombardi ed è condotta dall’Azienda Agricola Il Castelletto

 

Nella Conca di Astino esisteva il podere Monte Oliveto, in linea con la lunga tradizione sui colli di Bergamo

Con tutte le varietà coltivate – in prevalenza Leccino, Sbresa e Frantoio, cui si aggiungono esemplari di Pendula del Sebino, Pendulino, Maurino e Muraiolo – si produce l’olio D.O.P. Laghi Lombardi, un olio naturalmente biologico, fruttato e leggero, che profuma di erba fresca lasciando un retrogusto sia di mandorla verde che degli aromi che vi crescono intorno.

Veduta sulle coltivazioni della Conca di Astino, con al centro il monastero vallombrosano

LA CONCA D’ORO

Passeggiare nel tripudio degli orti distesi lungo le terrazze della Conca d’Oro è un’esperienza unica. L’ampio anfiteatro che si apre a occidente della città, tra il crinale di Sant’Alessandro e la selvosa punta di San Matteo – che s’intravede da lontano coi suoi cipressi francescani -, regala all’avventore emozioni uniche.

La Conca d’Oro, distesa tra i contrafforti di Borgo Canale e il Colle della Benaglia, è sorvegliata amorevolmente dal colle di San Vigilio e dalla Bastia

Le sue verzicanti pendici sono coltivate da tempo immemore riportando alla mente le ceste ricolme di ortaggi portate dai contadini lungo le scalette che innervano la conca: Santa Lucia Vecchia, Paradiso, Fontanabrolo e scaletta delle More, sovrastate lungo il versante che sale a Sudorno e a San Vigilio rispettivamente dallo Scorlazzino e dallo Scorlazzone: ben sei – non c’è che dire -, cui andrebbero aggiunte la Ripa Pasqualina – che raccorda Astino a Sudorno – e la brevissima scaletta Bellavista!

Orti nella Conca d’Oro

Lungo queste splendide architetture gradinate dal tipico selciato dei colli, andavano su e giù i contadini trasportando il raccolto gelosamente coltivato fra i muriccioli a secco, a volte con l’aiuto di animali da soma; il rudimentale ma efficace sistema di raccolta delle acque garantiva l’apporto necessario per le coltivazioni.

Lungo la Scaletta delle More – Conca d’Oro

Sono davvero poche le zone della Lombardia che oggi possono reggere il confronto con tali bellezze e con il numero pressoché infinito delle mete tanto sospirate da bergamaschi e da turisti, che nella loro quiete e frescura trovano il meritato riposo e refrigerio alla canicola dei periodi estivi, godendo ad ogni piè sospinto di scorci mozzafiato.

Ortaglie e coltivi nella Conca d’Oro, ai piedi di Borgo Canale

 

Le serre al di sotto di via degli Orti

Volendo salire sul cocuzzolo di San Vigilio in un tardo pomeriggio spazzato dal vento, si può godere di quei tramonti rosseggianti e lasciarci il cuore. Da lì, sembra quasi di toccare con la mano la punta del Monviso e il profilo del Monte Rosa, che si staglia maestoso sulla linea dell’orizzonte: quegli stessi tramonti che ammaliarono Hermann Hesse quando, agli inizi del Novecento, venne in visita a Bergamo. E, naturalmente, con le cupole e le torri di Città Alta.

E fu proprio qui, nella conca protetta dal “tramontano” – il più vivo, rigido e molesto dei venti a Bergamo – che fu scelto di costruire negli anni Trenta il grande Nosocomio affacciato sulla splendida teoria dei palazzi severi, dalle chiese maestose e dai campanili solenni che profilano il paesaggio collinare.

L’Ospedale Maggiore, ai piedi della Conca d’Oro

Prima d’allora, la Conca d’Oro era una distesa agricola ricca di cascine ed orti, con biondi campi di grano, gialli spazi di ravizzone, giallo oro di gelsi in autunno, rogge correnti d’acqua e fonti: una valle caratterizzata dalla mitezza del clima per la fortunata esposizione; uno dei territori più ameni e fecondi che alla fine dell’Ottocento circondavano la città.

Una distesa di grano nella Conca d’Oro. Le colture dei grani erano frequenti sui ripiani delle balze e negli appezzamenti dello zoccolo posto alla base dei Colli (Racc. Gaffuri)

Soprattutto a ponente, grazie al particolare microclima di questo versante baciato dal sole, permangono numerosi appezzamenti che ammiriamo dai Torni e dalle stesse Mura, con le splendide geometrie di colture radenti il suolo, con le pezzature cromatiche di grande effetto e gli olivi ormai decennali, dediti alla produzione di olio EVO di ottima qualità.

Alberi d’Olivo dalla Scaletta delle More

 

Oliveto all’imbocco della Scaletta di Fontanabrolo

 

Oliveto all’imbocco della Scaletta di Fontanabrolo

Sono, questi, i pendii che verdeggiano anche a dicembre, colpiti dal sole basso sull’orizzonte che aiuta le colture nelle ampie ortaglie storiche lungo via San Martino della Pigrizia e Borgo Canale e che danno ancora reddito alle ultime famiglie depositarie di uno dei pochi prodotti tipici locali: la Scarola dei Colli, una particolare insalata che si raccoglie d’inverno sui pendii soleggiati di San Martino alla Pigrizia.

La Scarola dei Colli di Bergamo (a destra dell’immagine), è coltivata a pochi passi dalle mura della Città Alta, in una conca che ancora mantiene un’impronta rurale

Ad esse si alternano coltivazioni floreali che trovano immediato smercio presso i fioristi in città o al mercato ortofrutticolo presso la Celadina, anche se è incessante l’approvvigionamento dalla riviera ligure delle plantule più comuni da crescere: geranei, violette, begonie o roselline perfette per un bouquet da sposa.

LA SCAROLA GIGANTE DEI COLLI DI BERGAMO: CHIARA, DOLCE E CROCCANTE

Appena fuori le mura veneziane si produce ancora la Scarola Gigante bergamasca, che ha trovato fortuna nella Conca d’Oro, dove in inverno riluce sui larghi fazzoletti di terra.

Per vederli, si oltrepassa la cinquecentesca porta Sant’Alessandro percorrendo via Borgo Canale fino a via San Martino della Pigrizia al civico 2, dove si prende una stradetta acciottolata da Giuseppe Bonacina in persona, da tutti conosciuto come Bepi: uno dei pochi produttori rimasti, insieme al figlio Michele, che da 75 anni porta avanti l’attività con i cugini Martino, Franco e Angelo Viscardi.

Le coltivazioni di Scarola in via San Martino della Pigrizia, a fianco della Scaletta delle More

E’ grazie a loro se possiamo ancora ammirare lo spettacolo dei verdi campi di indivia scarola, un ortaggio a rischio di estinzione, oggi tutelato da un disciplinare nel quale l’aggiuntiva “dei Colli” è permessa solo per il prodotto coltivato all’aperto sui colli della città.

Le coltivazioni di Scarola in via San Martino della Pigrizia, a fianco della Scaletta delle More

 

La scarola dei Colli di Bergamo si distingue dalle altre varietà in commercio per il particolare processo di imbiancatura delle foglie interne

A rendere unica questa prelibatezza che trova le sue origini intorno a Bordeaux, in Francia, il sapere antico dei contadini locali e un mix di fattori ambientali, e cioè l’esposizione ottimale che la protegge dai freddi venti invernali tenendola al sole dalle otto alle cinque della sera; il terreno non argilloso ma ricco di sassolini che le permettono di stare per quattro lunghi mesi in campo aperto, senza ghiacciare.

Per poter crescere e prosperare infatti, la Scarola Gigante dei Colli di Bergamo ha bisogno di tanto freddo, per questo la si pianta, a seconda del clima, tra fine agosto ed inizi ottobre e la si lascia nel terreno per almeno quattro mesi. Il suo segreto è quindi restare al freddo il più possibile, tanto che la scarola di gennaio o di febbraio è sempre la più buona.

E’ proprio questa lunga permanenza all’aperto, insolita per un’insatata, a permetterle di iniziare ad acquisire il tipico sapore profondo.

Ma ciò che la rende speciale è la messa al buio per 7-12 giorni dopo la raccolta: o disponendola sotto terra coperta da teli oppure, come fa Giuseppe, riposta sotto “materassi” di fieno all’interno di una serra o di una cantina, dove subirà quel singolare processo di imbianchimento che renderà il suo cuore candido più fragrante e croccante e il sapore delicato: una scoperta avvenuta casualmente nel Dopoguerra e di cui oggi ringraziamo Giuseppe Bonacina (coadiuvato dalla paziente moglie Maria) nonché gli zii, pionieri di questa antica tecnica di produzione a mano, imitata da tutti gli ortolani che in gran numero lavoravano ed abitavano qui, in collina.

Dopo la raccolta, viene lavata e venduta all’ingrosso fin quasi a primavera, a circa 3 euro al kg.

Il modo migliore per apprezzarne il sapore è consumarla fresca, solo con olio, sale e aceto, magari accompagnata da un buon formaggio locale. Altrimenti si può gustare anche cotta, quando rilascia quel suo gusto così deciso: dalle torte salate, alle minestre, ripiena, sulla pizza, o servendola con polenta e maiale o con formaggio Branzi, prodotto d’eccellenza tipico della Val Brembana

Ma grazie al favorevole microclima, su questi terrazzamenti prosperano anche zucchine, fagiolini, cetrioli bianchi e teneri cornetti gialli: una delizia per il palato.

L’OLIO DELLE MURA VENEZIANE A VALVERDE: POCO MA PREZIOSO

La cascina Cerea a Valverde

Anche se l’olivo trova maggior fortuna a sud, agli esemplari citati sotto le mura o ad Astino vanno aggiunti quelli piantati più recentemente dall’azienda agricola della famiglia Cerea a Valverde, che si affiancano alla tradizionale coltivazione della vite.

Il pendio di Valverde in un’immagine di repertorio

A Valverde la tradizione resiste a dispetto dei cambiamenti che hanno portato al graduale abbandono delle famiglie contadine dal dopoguerra in avanti: qui, in questo paradiso verdeggiante che ha per sfondo la Città Alta dominata dall’altissima Torre del Gombito, sono ormai cinque generazioni che la famiglia Cerea, titolare dell’omonima azienda, continua a lavorare la fertile terra che si estende all’ombra delle mura veneziane, dove i fratelli Giuseppe (65 anni), Arcangelo (69), Giancarlo e Lucia ricavano del buon vino rosso, olio extravergine d’oliva di qualità ed anche un po’ di frutta.

Coltivi tradizionali a Valverde, ai piedi delle mura veneziane e attorno alla porta di San Lorenzo

Un tempo, era il padre degli attuali titolari ad occuparsi di tutto: della terra, delle mucche e dei maiali. Oltre alla vigna, sulle balze che arrivano sin quasi a toccare Porta San Lorenzo prosperavano il grano, il granoturco e tantissimi gelsi per i bachi da seta; gelsi con frutti bianchi leggermente aciduli e frutti neri, di cui non è rimasta nemmeno l’ombra.

Oggi, sono soprattutto i fratelli Arcangelo e Giuseppe ad occuparsi dell’azienda, coadiuvati da parenti e amici nei periodi di maggior lavoro.

Un’incredibile distesa di gelsi nella valletta di Valverde (Racc. Gaffuri)

L’ettaro scarso dello storico vigneto terrazzato all’ombra di San Lorenzo è coltivato dai Cerea dal lontano 1871, da quando la famiglia è proprietaria della “Cà de Sass”, la vecchia cascina costruita per lo più con sassi e pietre ed oggi abitata da uno dei quattro fratelli.

La cascina Cerea a Valverde, in via Maironi da Ponte 2, era in origine più piccola e apparteneva ai conti Roncalli, che detenevano le case di Colle Aperto. L’edificio è noto anche come Ca’ del Sòi, per essere stato in passato sede di una storica lavanderia grazie alla presenza di un rio che lambisce le vicinanze

Nel 1998 l’azienda ha reimpiantato solo filari di uve rosse, ricavando annualmente circa 25 quintali di uva, pari a 3 mila bottiglie.

L’oliveto e il vigneto di Valverde

Tre le tipologie di vino prodotte: Merlot in purezza, Cabernet Sauvignon in purezza e l’etichetta derivante dalla vecchia cascina: il Cà de Sass, un taglio bordolese dei due vini, la cui formula è quella del Valcalepio Rosso.

Lo storico vigneto della famiglia Cerea

Parte della produzione viene consumata in famiglia o da amici mentre il resto, etichettato a mano, è venduto a conoscenti.

Alcune immagini della vendemmia a Valverde nel 1990, all’ombra di Porta San Lorenzo, dove la famiglia Cerea conduce l’attività agricola da cinque generazioni

Dal 2000, a far compagnia al vigneto e agli alberi da frutto posti ai piedi della “Montagnetta” vi sono 150 piante di olivo, poste amorevolmente in una zona che, a detta degli esperti, si presta a tale coltivazione. Le piante messe a dimora sono di diverso tipo: Leccino, Pendolino, Frantoio, Leccio del corno, Grignano e la Sbresa, una varietà autoctona bergamasca messa a dimora in epoca più recente.

L’oliveto di Valverde, ai piedi del baluardo di San Pietro, parte del Forte di San Marco Inferiore

Per poter cogliere le olive da frangere occorrono 6-7 anni da quando l’olivo viene piantato: il tempo necessario per provare a produrre un olio tutto targato Bergamo, com’è nelle intenzioni dell’azienda oggi tutelata dal Consorzio del Parco dei Colli.

L’oliveto di Valverde

Per ora, dalle preziose olive, tutte raccolte a mano e frante a poche ore dalla raccolta, si ottiene poco olio di alta qualità, che viene imbottigliato con l’etichetta “Mura Venete”.

L’etichetta dell’olio Extra vergine d’oliva prodotto dall’azienda agricola Cerea, di Valverde, facente parte della cooperativa olivicoltori bergamaschi. Le olive vengono portate al frantoio Il Castelletto di Scanzorosciate, l’unico nella provincia di Bergamo. Dopo la frangitura l’olio viene conservato in contenitori di vetro o d’acciaio a una temperatura tra gli 8 e i 16 gradi; dopo circa un mese viene filtrato ed è pronto al consumo per dicembre. Per mantenere le sue migliori caratteristiche, andrebbe consumato entro 18 mesi dalla frangitura

Una “chicca” tutta targata Bergamo.

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