Sul Sentierone alla vecchia Fiera, tra il “Nazionale” ed altri Caffè

Il Sentierone con i suoi famosi “Caffè”, nel 1914

Verso la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento, nei locali della Fiera che si affacciavano su Sentierone fiorivano quattro splendenti caffè-ristoranti: il Gambrinus, verso la chiesa di San Bartolomeo, punto di ritrovo dei giornalisti e dei tifosi di sport: calcio e soprattutto ciclismo;  il Centrale, all’ingresso della Fiera, frequentato da professionisti ed impiegati e più tardi trasformato in Cinema Centrale; il Bramati, ritrovo preferito di alcuni giornalisti, frequentato da pensionati e da studenti e sede di dibattiti e comizi politici. Ultimo, ma non ultimo, il Nazionale, presso il torresino che guardava verso Porta Nuova, più o meno nella stessa posizione in cui si trova l’attuale: era frequentato dalla gioventù “bene” e grazie al vulcanico Pilade Frattini divenne il centro della vita mondana della città, o meglio, il simbolo della Belle Époque in salsa orobica.

Quattro torri angolari delimitavano i lati dell’ ”insigne fabrica” della Fiera. Erano rozze, basse, tutt’altro che slanciate: perciò venivano chiamate “torresini”. Nei due torresini prospicienti l’Ospedale di San Marco (di cui oggi resta solo la chiesa) avevano le loro sedi il Tribunale della Sanità e i Conservatori della Fiera. Nel torresino che dava verso il portello delle Grazie (in fotografia) erano gli uffici delle Vettovaglie: qui sorgeva il caffè Nazionale. Il torresino vicino alla chiesa di San Bartolomeo, ospitava il Tribunale della Giustizia: accanto sorgeva il caffè Gambrinus e, nel mezzo, il Bramati ed il Centrale (chiuso nel 1914 per dare spazio al Cinema Centrale)

IL CAFFE’ GAMBRINUS

Presso il torresino della Giustizia, e proprio tra le ultime botteghe affacciate sul Sentierone, era il Gambrinus, vicino alla chiesa di San Bartolomeo. Caffè alla moda e punto di ritrovo dei giornalisti, era frequentatissimo dai commercianti ma soprattutto dei tifosi di sport: durante le corse di ciclismo, il Gambrinus era il centro delle informazioni sull’andamento delle competizioni.

Il Gambrinus, presso la Fiera

Fra i giornalisti, alcuni si salutavano fraternamente, altri si guardavano in cagnesco dopo essersi lanciati accuse ed insulti sulle colonne dei rispettivi  giornali. Tra i tifosi di sport invece, il più appassionato era certamente il Gamba, il suo eroe era Enrico Brusoni, allora campione italiano del ciclismo su strada.  

Il Sentierone nel 1914, nei pressi del Gambrinus. Tramanda il Pelandi che il Gambrinus era condotto prima del 1900 da Aristide Mangili, a cui seguì Gamba e più tardi Aroldo Carini, venuto dalla “Cervetta” e poi passato al caffè del Teatro Donizetti, Tra i giornalisti del Gambrinus, Giulio Pavoni, Franco Armando Tasca, Massinari,  Parmenio Bettòli, Carlo Zumbini, Adobati, salumiere con negozio in viale Roma e corrispondente a tempo perso del “Secolo”, quotidiano radicale milanese (1)

Ma questo caffè  era soprattutto rinomato per le battute umoristiche che partivano dal cosiddetto tavolo degli aristocratici, attorno al quale convenivano verso sera l’avvocato Giuseppe Brignoli, il dottor Francesco Negrisoli, il giornalista-scrittore Giovanni Banfi, lo scultore Alfredo Faino, che non era ancora partito per la Francia e che aveva il domicilio in Fiera.

La tavola del Gambrinus era la calamita di quei clienti che cercavano l’allegria come aperitivo all’ora del pranzo. La sorgente del buon umore partiva dalla triade Banfi, Faino Brignoli, quest’ultimo umorista più unico che raro.

Lo scultore Alfredo Faino in posa nel suo studio durante la realizzazione della imponente statua della Vittoria da collocare nella Torre dei Caduti (Archivio fotografico – Fondazione Bergamo nella Storia)

 

Il caravaggino Giovanni Banfi, autore dei noti “Racconti della Bassa”, negli anni intorno al 1907 scriveva per la “Gazzetta della Provincia” (di cui diventerà direttore), che si stampava presso Ia tipografia Isnenghi, la quale aveva l’officina in via Verdi, dove sorse il cinema “Mignon” poi divenuto Ritz (nella foto). Banfi, che dedicava notevole spazio alla critica teatrale, è ricordato da Umberto Zanetti come elegante e inappuntabile, col guanto penzolante, le ghette, il bastoncino da passeggio con il pomolo d’argento e la cravatta all’ultima moda. Con Faino e Vincenzo Monetti “formava un trio spensierato di scanzonati bohémiens”. Banfi è scomparso nel 1959

Nella bella stagione aleggiava lungo il Sentierone il suono delle orchestrine che si esibivano all’aperto per i clienti dei Caffè. Si udivano i valzer viennesi di Strauss e quelli parigini di Waldteufel, la napoletana “Santa Lucia” e il “Sogno” di Schumann, le melodie della “Vedova allegra” di Franz Lehar, le note della celebre barcaiola di Offenbach; in certe sere domenicali si potevano ascoltare un tenore o un soprano intonare raffinate melodie, oppure un bravo violinista creare atmosfere piene di magia.  Il blues, il dixieland e i ritmi sincopati erano ancora di là da venire (2).

I componenti di questi complessi musicali erano giovani professionisti diplomati, che avevano alle spalle anni di studi rigorosi e che tuttavia non disdegnavano di suonare nei café chantant o nelle sale cinematografiche quando si chiudevano i sipari sulle ultime rappresentazioni delle varie stagioni operistiche cittadine (quella di carnevale al Nuovo, quella di mezza quaresima al Sociale e quella di Fiera al Donizetti). Tra questi suonatori, Oreste Tiraboschi (che dal 1913 faceva parte dell’orchestra “Gaetano Donizetti” diretta dal maestro Achille Bedini), che aprì più tardi un negozio di strumenti musicali. Renzo Avogadri (Rasghì), celebre componente del Ducato di Piazza Pontida, era al violino. 

IL CAFFE’-RISTORANTE CENTRALE

Il Centrale seguiva al Gambrinus. Caffè-ristorante di buona nomea, era frequentato da numerosi professionisti e da impiegati di concetto, che qui convenivano coi gruppi familiari per “ciacole” serali e per combinare lunghe partite a scopa, partite di “famiglia” che duravano fino alla chiusura dell’esercizio.

La Fiera nel 1908

Ma un giorno del 1914 il Caffè Centrale, condotto da Bernardo Speranza e da Giuseppe Tiraboschi detto Dindo, cessò la sua attività. Nel locale, opportunamente riattato, il 15 agosto iniziarono le proiezioni del Cinema Centrale, diretto da Pietro Airoldi, lo stesso gestore del Cinema Salone Radium, il primo cinematografo di Bergamo. Dopo aver dato – fra l’altro – alcuni “numeri” di varietà, tutti sboccatucci e licenziosetti, il Centrale, acquisito da Giulio Consonno, ridimensionò i richiami erotici e dirottò la programmazione verso il repertorio poliziesco. Giulio Consonno darà nuovo spazio agli spettacoli di varietà prima rilevando il Teatro Nuovo e poi edificando il Teatro Duse.

Quando la vecchia Fiera verrà demolita e sorgerà il nuovo centro di Bergamo, il Cinema Centrale sopravviverà all’angolo del Quadriportico del Sentierone.

Il Cinema Centrale, nel nuovo centro piacentiniano, prima della ristrutturazione (per gentile concessione di Antonella Ripamonti). Il primitivo Cinema Centrale (quello nella vecchia Fiera) iniziò le proiezioni il 15 agosto 1914. “Fra una pellicola e l’altra si arrotola il lenzuolo dello schermo e si diverte il pubblico con scenette comiche, balletti e altri “numeri” di varietà, tutti sboccatucci e licenziosetti. I rampolli della “Bergamo bene” accorrono a frotte e sperperano i loro centesimi nella nuova sala, che i genitori scandalizzati definiscono “uccellanda diabolica”. A sera, quando gli uccellini irretiti si degnano di rincasare, odono compunti i brontolamenti materni e subiscono contriti le severe lavate di capo dei padri infuriati  (Umberto Zanetti, “Bergamo d’una volta”, cit. in Riferimenti)

IL CAFFE’ BRAMATI

Il Caffè Bramati si apriva dopo il cancello della seconda tresanda. Il proprietario era il signor Camillo, un ometto sempre serio, dignitoso, con un berretto di seta nera con visiera in testa e leggermente claudicante. Di lui il Pelandi ricordava  (anche) i gustosi spuntini: prosciutto cotto alto un dito, innaffiato da un certo vinello frizzante, al prezzo di una lira, mancia compresa.

Caffè Bramati, “bigliardi, birreria”

Il “Bramati” era il ritrovo preferito di alcuni giornalisti di quel tempo e fra essi, Carlo Zumbini, il direttore della “Gazzetta Provinciale”, il battagliero competitore di Parmenio Bettòli, allora direttore-proprietario-fondatore della “Nuova Gazzetta”. La “Provinciale” parteggiava per il partito moderato conservatore, l’altra doveva essere l’organo del partito monarchico liberale. La lotta fra i due giornali, o meglio fra i due giornalisti, fu decisa, aspra, senza quartiere. Altro habitué era Francesco Scarpelli, che dirigeva il “Giornale di Bergamo” ma fu costretto a lasciare la nostra città perché inviso ai fascisti.  

Vicino al “Bramati” aveva sede il “Club di ricreazione” sorto dopo la chiusura del “Casino dei Nobili”, già funzionante al primo piano della casa Goggi in via XX Settembre e come esso svolgente, in tono più modesto, le stesse finalità. Casa Goggi, ritrovo soprattutto delle famiglie degli impiegati statali, faceva parte di uno stabile acquistato nel 1882 da Grazioso Goggi, dove si trovava anche lo storico negozio Goggi (a destra della foto), che era preceduto dalla altrettanto storica Libreria Conti. Grazioso Goggi aveva creato, oltre alla facciata, un libero passaggio pedonale comunicante con via Zambonate, all’interno del quale esponeva le sue merci

IL CAFFE’ NAZIONALE

Di tutti, il Nazionale era il più rinomato. Il caffè ristorante occupava parte del torresino rivolto verso Porta Nuova ed altre botteghe sino al primo cancello della Fiera.

Il torresino rivolto verso Porta Nuova era occupato dal caffè Nazionale insieme ad altre botteghe, sino al primo cancello della Fiera

Il locale era stato rilevato da Pilade Frattini, un impresario dotato di tanta originalità ed inventiva, geniale scopritore di talenti ed organizzatore impareggiabile di molti spettacoli teatrali.

Il Caffè Nazionale, già Trattoria della Speranza. Sui cristalli, facevano bella vista fotografie di ballerine “mezzo ignude”, di soubrettes, di balletti can-can, di musicanti, giocolieri, cantanti alla moda. “Una meraviglia. I bigotti, passando, chiudevano gli occhi, si facevano il segno della croce, pronunciavano segrete preghiere” (Raccolta D. Lucchetti)

 

Frattini Pilade, il vulcanico impresario che acquistò il Caffè Nazionale nell’anno 1900 (gestendo dal 1904 anche il Teatro Nuovo, nonché il Casinò di San Pellegrino), trasformandolo da caffè-ristorante-birreria a una sorta di café chantant, con tanto di teatrino, scuotendo la sonnacchiosa Bergamo

Capitato a Bergamo intorno al 1900,  l’aveva rilevato da Pietro Balicco, che a sua volta l’aveva acquistato nel 1894, trasformando la Trattoria della Speranza in Caffè Nazionale.

Sul Sentierone, il Caffè Nazionale, frequentato dalla gioventù “dorata” di Bergamo. La clientela, per quei tempi, sufficientemente spensierata, godeva dell’ammirazione di chi non poteva varcare le solenni “soglie” (la ripresa è del 1907)

Il Frattini mise al banco della cassa Emilia, la consorte – un’affascinante bionda – e per richiamare gente assunse in servizio, in qualità di camerieri, degli autentici cinesi, vestiti all’orientale: tutta la città parlava divertita di questi camerieri esotici, che incuriosivano per le ciabatte dipinte, i paludamenti sgargianti e i capelli raccolti a codino.

Caffè-ristorante Nazionale. Il cartellone pubblicitario con le opere liriche al Teatro Donizetti fornisce una doppia indicazione: sull’anno in cui venne scattata la fotografia (dopo il 1897, quando il teatro venne inaugurato nel nome di Gaetano Donizetti) e sulla stagione (era d’autunno) – (Archivio Fotografico – Museo delle Storie di Bergamo)

Frattini introdusse i concerti musicali “senza aumento delle consumazioni”, si inventò svariate iniziative che ora definiremmo di marketing e cercò, riuscendoci, di far sì che il Nazionale fosse più di un esercizio pubblico, ma il centro della vita mondana, artistica e intellettuale, portandovi una ventata di aria metropolitana.

Da una rivista del 1900

All’interno del locale, oltre a riservare alcune salette al gioco – sua perenne e fatale passione -, Frattini fece un teatrino di varietà, una specie di “cabaret” nel quale si esibì per una quindicina d’anni il fiore dei cantanti famosi, dei musici, delle soubrette, delle ballerine, dei comici e dei giocolieri dell’epoca. Per il suo teatrino aveva costruito persino i camerini degli artisti ed un apposito fondale.

In questa foto risalente ai primi anni del Novecento, il grande Salone Teatro del Nazionale nell’Antica Fabbrica della Fiera, ai tempi in cui il locale era gestito da Pilade Frattini. Il salone, nel quale si tenevano anche feste e dei banchetti, era posto al piano superiore e venne a un certo punto affittato da Frattini al rinomatissimo Circolo Commerciale Agricolo e Industriale, che raccoglieva i maggiori commercianti ed industriali di città e provincia fra i quali il “Pesentù”, il fautore della direttissima Bergamo-Milano

Scriveva Geo Renato Crippa che a frequentare il locale erano “i ricchi di città e di borgate, la crème della nobiltà, i viveurs e gli elegantoni, quelli che portavano il cappello verde, gli abiti confezionati da Prandoni in Milano, calzavano le scarpe del classico Assuero Rota di Città Alta, frequentavano il Cappello d’Oro ed il Concordia di Viale Roma, magari sostenevano ‘donnette’ di qualche avvenenza, pagandole a ‘mesata’ (era molto chic), non mancavano ogni mattina, sul tardi, di sbarbarsi dal barbiere ‘Biffi’ di Via Torquato Tasso”. Questi signori, potevano in verità vantarsi di una visitina – una volta tanto – “al Cova, al Savini od al Bonola di Milano, ai Casinò di San Remo o di Montecarlo, celando tali scappate alle fedelissime consorti, alle fidanzate, alle madri intransigenti e sospettose.

Al Nazionale arrivavano, in gruppo, per l’aperitivo; non più il ‘bianchino’ delle trattorie, del Garibaldi o del Gambrinus, bensì il Campari, il Carpano, il Cinzano ed il Martini o, più fine ancora, il Costumé Cannetta , un rosé milanese di classe”.

Alle cinque del pomeriggio qualche elegante divetta ingaggiata dal Frattini si degnava di fare un’apparizione lungo il Sentierone per farsi ammirare dagli snob. Le dame dell’aristocrazia e le signore della borghesia sbirciavano passeggiando sussiegose e le loro occhiate tradivano fuggevolmente l’invidia.

“Tediose sofferenze turbavano le signore altolocate alle quali, in diverse oocasioni, l’entrata era vietata. Per il Nazionale, a Bergamo, si farneticava. Se non stavano più nella pelle le nobildonne scontente dei raggiri, delle bugie e del grosso di fandonie ad esse propinate da padri, mariti e figli, addirittura le giovinette accoravansi di essere tralasciate a profitto di ‘divette’ straniere delle quali si narravan ‘mirabilie’ a ripetizione. Bizzarrie scuotevan dame e fanciulle sino ad obbligarle a trascorrere sul Sentierone, all’Isacchi , ore ed ore, in attesa spietata di assistere al passaggio delle ‘compagnie’ contrattate per serate illuminanti. Lo scodinzolamento delle ‘invidiate’ succedeva, quasi sempre, intorno al mezzogiorno o alle cinque del pomeriggio. Le critiche rattristavano i purlottii e le denuncie dei salotti i più affollati. Non mancavamo, mai, recriminazioni, accuse, denuncie e qualche lacrimuccia. Le constatazioni ferivano e come” (Geo Renato Crippa, in Riferimenti)

Nel 1906 al Nazionale arrivò persino il cinematografo, o meglio, il Cinematografo Ungari, che proiettava “vedute modernissime, riflettenti fatti seri di attualità, educativi, istruttivi, nonché aneddoti umoristici”.

Al café chantant di Pilade Frattini giunse anche Gea della Garisenda, bella e agilissima. Il suo “Inno a Tripoli” fu un trionfo. Il pubblico andò in visibilio vedendo la brunetta emiliana entrare in scena con un cappello da bersagliere in testa, nuda sotto una grande bandiera tricolore, che l’avvolgeva tutta, ed ascoltandola effondere la generosa voce di mezzo-soprano nelle note marziali di “Tripoli, bel suol d’amore…”.

Grande Caffè Ristorante Nazionale. Si noti anche la dicitura “Ristorante Frattini”

Pietro Mascagni, a Bergamo per assistere ad una recita della sua “Cavalleria”, che si dava al Donizetti sotto la prestigiosa direzione del napoletano Leopoldo Mugnone, volle godersi lo spettacolo della ”diva” seduto in prima fila nel teatrino del Nazionale.

Il primo “Nazionale” sul Sentierone, nei locali della demolita Fiera. Come indicano le scritte sul muro, il celebre caffè ospitava anche la sede dell’Automobil club e il Garage Frattini (da “C’era una volta….” di Pino Capellini, Ferruccio Arnoldi Editore)

Quando l’estroso e geniale caffettiere, che dal 1908 dispose di un aereo personale, diventò impresario, con Giovanni Ceresa, del Teatro Nuovo, non finì di far strabiliare. Da buon impresario teatrale (suo a Roma il teatro Frattini), gestì il Nuovo in prima persona, facendone uno dei teatri italiani più vivi e à la page, trasformandolo in un vero e proprio centro d’attrazione per ogni genere di spettacoli. Grazie a lui il teatro divenne la sala più polivalente della città, rendendo memorabili i primi anni del Novecento.

Quando a San Pellegrino si aprirono le sale da gioco, Frattini era il patron del Casinò: alla sua esperienza, alla sua vivace spregiudicatezza ricorsero i promotori e gli organizzatori. Fra lo sfoggio degli smoking e lo sciupio dello champagne, un fiume di denaro affluì da Milano al centro termale brembano. ll patron tentò qualche colpo al banco da gioco ed ebbe fortuna.

Poi venne la guerra del ‘15-’18, con le inevitabili restrizioni; bardature, oscuramento, tesseramento, limitazioni di generi di lusso. Il Nazionale languiva. Dopo la disastrosa rotta di Caporetto, arrivarono anche a Bergamo numerosi militari feriti e si allestì per loro una infermeria nella sede del vecchio Ricovero delle Grazie. La gente non pensava più a divertirsi.

All’inizio del 1917 Frattini pensò bene di disfarsi dell’esercizio, cedendo il locale al pasticcere Luigi Isacchi (1-1-1917), noto per avere creato il tipico dolce bergamasco della polènta e osèi. Nel vecchio café chantant, adibito a pasticceria, regnava ora un discreto silenzio; all’ora del tè qualche signora sedeva ai tavolini biancodorati in stile impero per sorseggiare compostamente un bicchierino di rosolio: Bergamo – scriveva Crippa – si trovava ora “spenta e muta, ricadendo nella sua monotonia, nei ritorni alle preferenze ineleganti. Quanti la sera vestivano lo smoking si persero come nebbia di pianura…. Il floscio riportò Bergamo alla sua semplicità ancestrale”.

Un giorno, richiamato dalla passione del gioco, Pilade Frattini andò a Stresa e puntò ostinatamente un numero alla roulette per tutta la notte: all’alba, disperato, dopo aver dilapidato una fortuna, stramazzò al suolo. Un colpo apoplettico lo aveva stroncato: era il 1920.

Il Sentierone nel 1920. Questa parte della Fiera fu l’ultima ad essere abbattuta, mentre dietro già si costruiva (Raccolta D. Lucchetti)

Di tutti i locali incontrati nel corso della nostra passeggiata, il  Nazionale è l’unico dei quattro che ha continuato a vivere – dapprima come caffè-ristorante e poi solo come caffè – anche dopo l’abbattimento della Fiera e la costruzione del Centro piacentiniano: e lo si deve anche alla notorietà del vecchio locale e alle iniziative di Pilade Frattini.

Dopo Frattini, sarà Pietro Bardoneschi ad averlo in gestione, quando aprirà la nuova e attuale sede sotto i portici, che nel 1925 vedrà nascere anche il primo Rotary Club della cittadina.

Il bar del ristorante Nazionale dopo la riedificazione (1923) nel quadro del più vasto progetto urbanistico curato dall’architetto Marcello Piacentini

 

Uno dei saloni da pranzo del ristorante Nazionale dopo la riedificazione (1923) nel quadro del più vasto progetto urbanistico curato dall’architetto Marcello Piacentini. Il servizio di ristorazione continuò sino a quando, intorno agli anni novanta, il Nazionale si ridusse a solo Caffè

 

Uno dei saloni da pranzo del ristorante Nazionale dopo la riedificazione (1923) nel quadro del più vasto progetto urbanistico curato dall’architetto Marcello Piacentini

Nel 1936, sotto quei portici prese posto il caffè Balzer, con la sua sobria e nobile eleganza, impostata da una famiglia originaria del Liechtenstein. Balzer e Nazionale, che non mancavano mai in ogni reportage dal Sentierone, accoglievano gli spettatori che uscivano dal Teatro Donizetti, tenendo aperto anche fino alle due di notte.  

In quegli anni, quando la tradizione del caffè come luogo d’incontro era ancora viva e intellettuali, artisti e “bella gente” passavano le giornate ai tavolini, sul Sentierone c’era un dualismo alla Coppi e Bartali: dall’altra parte della strada, sempre nel ’36 nel palazzo della Popolare era stato aperto un caffè il cui nome ricordava l’euforia da Impero: il Moka Efti, famoso nel Dopoguerra per i concerti serali e diventato poi l’attuale Caffè del Colleoni.

Bergamo, anni trenta; il maestro Sala con la sua orchestra al caffè Nazionale sul Sentierone (proprietà A. Sala, in Riccardo Schwamenthal, Jazz a Bergamo. Ricordi, testimonianze, documenti dagli anni trenta agli anni Settanta- Archivio Storico Bergamasco. Nuova Serie n. 2, maggio-agosto 1995)

 

Bergamo, 1945. L’orchestra di Aldo Sala al caffè Moka Efti sul Sentierone: Aldo Sala pianoforte, Angelo Kadaelli batteria, Orlando Mazzoleni contrabbasso, Rino Gabellinl sassofono tenore, Gian Maria Berlendis violino; [?] Canavesi tromba, Ada Bondi cantante (proprietà A. Sala, in Riccardo Schwamenthal, Jazz a Bergamo. Ricordi, testimonianze, documenti dagli anni trenta agli anni Settanta- Archivio Storico Bergamasco. Nuova Serie n. 2, maggio-agosto 1995)
Il celebre Moka Efti del secondo Dopoguerra, ha visto i più bei nomi del jazz italiano e locale esibirsi per il pubblico bergamasco. Mitico il suo aperitivo “giallo” Martini con oliva verde, servito in coppetta da cocktail “Martini”. Oggi i locali sono occupati dal bar Colleoni 

All’estremo  dei portici, verso Largo Belotti, era invece attivo il Savoia, chiuso in età repubblicana nel 1956 (?).

Caffè Savoia sul Sentierone

In quello stesso ’56, al Nazionale si erano ritrovati gli artisti che avevano firmato il manifesto del Gruppo Bergamo. Ma nel 1945 il Nazionale-Concordia era stato anche una mensa di guerra.

Tra alti e bassi, è arrivata la chiusura a giugno 2006. Il locale ha riaperto esattamente dopo un anno di ristrutturazione con un nuovo nome “212 barcode” (212 è il prefisso dell’area di New York) e un arredo postmoderno. Tra cambi di gestione e licenze contese, finite nelle aule del tribunale, il 1° settembre 2011 il locale a riacquisito il nome Nazionale, ma non la vecchia atmosfera: se oltre un secolo fa nelle sue eccentricità Pilade Frattini aveva preso come camerieri degli autentici cinesi, con vestiti orientali e tanto di codino (come dovevano essere nell’immaginario dell’epoca), i cinesi, senza codino, prendevano ora in gestione il locale, per tenerlo fino al  2015, quando subentrava un’altra società cinese, che ha chiuso i battenti  alla fine del 2020. Si mormora che il Nazionale sia in procinto di rifarsi il look con importanti lavori di ristrutturazione, che puntano a farlo tornare tra i locali simbolo e più frequentati del centro.

Note 

(1) Negli ultimi anni dell’Ottocento a Bergamo si pubblicavano tre quotidiani: “L’Eco di Bergamo”, d’ispirazione cattolica, diretto da Gian Battista Caironi; la “Gazzetta Provinciale”, organo indipendente diretto da Parmenio Bettòli; e l’”Unione”, foglio liberale diretto da Enrico Mercatali. L’”Unione”, fondata nel 1891, ebbe vita breve; cessò le pubblicazioni nel 1900. Vi aveva fatto le ossa Franco Armando Tasca, il quale poi diresse il “Giornale di Bergamo”, emigrando infine a Pavia dove diresse un altro giornale, spegnendosi in tarda età. Scrittore intelligente e fecondo, aveva anche trovato il tempo per scrivere una storia di Bergamo, che fu pubblicata a puntate dal “Gazzettino” di San Pellegrino Terme Luigi Pelandi, “Attraverso le vie di Bergamo scomparsa. II. La strada Ferdinandea”.  Banca Popolare di Bergamo. Co-Editore: Edizioni Bolis. Bergamo, 1963 (Collana di studi bergamaschi).

(2) “…in certe sere domenicali si potevano ascoltare un tenore nelle melodie di Tosti e di Denza e un soprano nella “Leggenda valacca” di Braga e nelle raffinate ariette in stile antico di Stefano Donaudy, nonché un bravo violinista nella “Serenata medioevale” di Silvestri, nella romanza andalusa di Sarzate, e in qualche virtuosa variazione su temi zingareschi (…) I componenti di questi complessi musicali erano giovani professionisti diplomati, che avevano alle spalle anni di studi rigorosi e che tuttavia non disdegnavano di suonare nei café chantant o nelle sale cinematografiche quando si chiudevano i sipari sulle ultime rappresentazioni delle varie stagioni operistiche cittadine (quella di carnevale al Nuovo, quella di mezza quaresima al Sociale e quella di Fiera al Donizetti). Tra questi suonatori, Oreste Tiraboschi, un violoncellista mantovano diplomatosi nel 1909 presso l’Istituto Donizetti; dal 1913 faceva parte dell’orchestra “Gaetano Donizetti” diretta dal maestro Achille Bedini. Il complesso (due pianoforti: Tironi e Briccoli; due violini: Avogadri e Pesci; due violoncelli: Airoldi e Tiraboschi) eseguiva musica da camera nella sede di via Pignolo. Il Tiraboschi aprì più tardi un negozio di strumenti musicali. Altri musicisti, Osvaldo Legramanti, contrabbassiste; Giovanni Marigliani, violinista; Eugenio Tironi… (“Umberto Zanetti, “Bergamo d’una volta”. Ed. Il conventino, 1983).

Riferimenti

Umberto Zanetti, “Bergamo d’una volta”. Ed. Il conventino, 1983.

Luigi Pelandi, “Attraverso le vie di Bergamo scomparsa. II. La strada Ferdinandea”.  Banca Popolare di Bergamo. Co-Editore: Edizioni Bolis. Bergamo, 1963 (Collana di studi bergamaschi).

Geo Renato Crippa, “Bergamo così (1900 – 1903?)”.

Il Teatro Rubini

Quello che tutti conosciamo come cinema Rubini è sorto come teatro agli inizi del secolo scorso, ricavato all’interno della Casa del Popolo, inaugurata nel maggio del 1908.

Tra viale Papa Giovanni XXIII e via Paleocapa: la Casa del Popolo, oggi Palazzo Rezzara

Il grande edificio, progettato su incarico del Consiglio direttivo dell’Unione delle Istituzioni Sociali Cattoliche Bergamasche, presieduto da Nicolò Rezzara, si estende su una vasta area compresa tra viale Papa Giovanni XXII, via Paleocapa e via Novelli; un’area  caratterizzata da una nutrita sequenza di palazzi in stile liberty ed eclettico. Oltre al teatro, l’edificio comprendeva le istituzioni cattoliche, un albergo, un ristorante, negozi, appartamenti, la Banca Piccolo Credito, la cappella, sale di lettura, sala biliardo e, allora come oggi, la redazione de “L’Eco di Bergamo”.

La Casa del Popolo (oggi Palazzo Rezzara) è situata in prossimità della stazione ferroviaria di Bergamo e occupa un’area di circa 3.500 mq, già occupata parzialmente dal Politeama Novelli, un teatro dalla vita breve. L’architetto Virginio Muzio vi eseguì gli scavi e la posa della prima pietra (1904), ma l’edificio venne variamente realizzato da Ernesto Pirovano e completato nel 1908, anno della sua inaugurazione. Il palazzo, di gusto “eclettico” (stile frequente in quel periodo per i palazzi istituzionali), riprende elementi dell’arte classica, anche se ai piani superiori si individuano motivi floreali più vicini allo stile Liberty

Dedicato a Giovambattista Rubini (Romano di Lombardia, 7 aprile 1794 – 3 marzo 1854), celebre tenore romanese, il teatro fu inaugurato nel 1907 e restò in attività per quasi 80 anni, guadagnando un posto d’onore nell’immaginario collettivo soprattutto grazie al cinematografo, presente e molto attivo sin dagli esordi del locale.

L’esterno del teatro, ricavato all’interno della  Casa del Popolo, con ingresso su via Paleocapa. Dal 1987 è stato trasformato in Centro Congressi Giovanni XXIII (ripresa del 1959)

L’INAUGURAZIONE

L’inaugurazione avvenne la sera del 16 novembre 1907 con l’opera Poliuto di Gaetano Donizetti (1), in una platea stipata, con molte signore fra il pubblico. La luce calda delle lampade a incandescenza fondeva in un insieme armonico le tonalità delle decorazioni e della pittura, e si ripercuoteva nelle dorature della sala.

Ricorda Ermanno Comuzio che l’orchestra fu da subito interrotta da schiamazzi di studenti che pretendevano a gran voce, prima dell’opera, l’esecuzione dell’Inno di Garibaldi: inno patriottico, ma non certo cattolico; e il teatro era stato realizzato per ospitare, nella Casa del Popolo, sede anche de “L’Eco di Bergamo”, quotidiano della Curia, le manifestazioni artistiche di maggior portata per il mondo cattolico. Alle ragioni idealistiche si erano mescolate quelle derivate dalle istigazioni di impresari concorrenti disturbati dalla nascita del nuovo teatro.

Interno del Teatro Rubini. L’inaugurazione avvenne il 16 novembre 1907 con l’opera “Poliuto” di Gaetano Donizetti

Quella sera, una rappresentanza di Romano depose ai piedi del busto di Giovambattista Rubini, posto nell’atrio del teatro, due splendide corone con nastri: una a nome del Municipio, l’altra a nome dei Luoghi Pii fondati dal celebre tenore romanese.

Dopo lo spettacolo, la direzione del Rubini offrì, nei locali di ritrovo della Casa del Popolo, un banchetto servito egregiamente dal signor Carminati dell’attiguo Albergo Moderno; il ridotto del teatro era infatti in comoda comunicazione con una sala da caffè annessa all’albergo, che ad ogni spettacolo faceva servizio da buffet.

Una strepitosa testimonianza d’epoca dell’Albergo Moderno, ricavato nella Casa del Popolo

COM’ERA L’ANTICO TEATRO

Il teatro, tutto in muratura, cemento e ferro – per scongiurare ogni pericolo d’incendio -, aveva una vasta platea di forma esagonale, che si estendeva anche sotto le due grandi logge che la circondavano; un palcoscenico piuttosto ristretto e tre ordini di palchi con sei palchetti di proscenio; le logge erano sostenute da una serie di graziose colonnine di ghisa, difese da robuste ed eleganti balaustre di ferro battuto, graziosamente disegnate. Purtroppo le colonnine disturbavano un po’ la visibilità.

La sala del Teatro Rubini aveva una grande platea e tre ordini di palchi; le logge erano sostenute da una serie di graziose colonnine, le balaustre erano di ferro battuto e le decorazioni, di stile floreale. Un teatro moderno, comodo, elegante, capiente e, grazie alla buona acustica, adatto a spettacoli di musica e prosa (Archivio Luciano Galmozzi)

Le decorazioni, di stile floreale seicentesco modernizzato, avevano figure e medaglioni allegorici. Le molte dorature in platea e nelle logge rendevano ancor più prezioso il teatro, riccamente illuminato a luce elettrica con graziosi lampadari e con un grandioso ed elegante lucernario sostenuto da tralicci di ferro, innalzato al centro della platea e circondato da una vetrata graziosamente decorata (2).

Come appariva l’interno del Teatro Rubini nel 1908, all’inaugurazione della Casa del Popolo (dalla pubblicazione del 1956 “Nicolò Rezzara”, di Giuseppe Belotti. Edizioni S.E.S.A.). Definito un locale per famiglie piuttosto confortevole, poteva ospitare sino a 1500 persone: 750 posti a sedere nelle logge, 250 in platea, oltre ai 500 posti in piedi. La pubblicità lo definiva arieggiato e fresco d’estate e riscaldato d’inverno

Nel teatro, eleganza, comfort, solidità, capienza e modernità erano coniugati con sapienza ed equilibrio, grazie alla presenza di impianti moderni, quali caloriferi centrali, fonti di energia indipendenti, aspiratori, ventilatori, estintori automatici, apparecchi meccanici per gli scenari. Era dotato di parecchie bocche d’acqua per l’estinzione di incendi, nonché di numerose uscite di sicurezza. E, grazie alla buona acustica (favorita dal vuoto lasciato sotto la platea e sotto il palcoscenico), era adatto a spettacoli di musica e prosa.

Moderni i camerini per gli artisti (posti su un fianco del palcoscenico), così come i locali per i coristi e le comparse, che si trovavano sotto il palcoscenico.

SPETTACOLI PER TUTTI, MA IL CINEMATOGRAFO PRIMEGGIAVA

Nel periodo che seguì l’inaugurazione, vi fu un breve ma frequentatissimo corso di recite di Ermete Novelli, e a un mese di distanza in teatro approdarono spettacoli d’ogni tipo, dalla prosa al varietà, dalla commedia dialettale ai concerti: ma il cinematografo fu comunque l’attività più sistematica, risultando in certi anni il locale più attivo della città, l’unico a permettersi a Bergamo pubblicità in grande stile sui giornali.

Fu il Rubini ad offrire al pubblico i primi Kolossal come Gli ultimi giorni di Pompei, diretto da Luigi Maggi (la “prima” si tenne il 21 febbraio 1909): il primo film muto storico-epico del cinema italiano ricordato da Ermanno Comuzio (3) come “una rivoluzione spettacolosa nelle convenzioni del trattenimento cinematografico nella prima decade del Novecento […] Giorni indimenticabili in particolare per la cassiera del teatro, Diana Barberini, che non ancora ventenne era stata ingaggiata dai gestori della Casa del Popolo (tra cui l’onorevole Gavazzeni, padre del maestro Gianandrea) per insediarsi al botteghino…. che aveva accettato l’incarico più per la passione del cinema che per la retribuzione”.

Come appariva l’interno del Teatro Rubini nel 1908, all’inaugurazione della Casa del Popolo (dalla pubblicazione del 1956 “Nicolò Rezzara”, di Giuseppe Belotti. Edizioni S.E.S.A.)

E’ interessante notare che Gli ultimi giorni di Pompei (stesso titolo di quello muto del 1908) fu anche il primo film diretto da Sergio Leone (1959).

Altro grosso successo di pubblico ottenne nel 1910 La Gerusalemme liberata, un film diretto da Guazzoni che, per meglio documentarsi, compì anche diverse ricerche alla Civica Biblioteca A. Mai. Altri kolossal dell’epoca, Il conte Ugolino e Napoléon, presentati come “colossali capolavori storici istruttivi”: un pallino di diversi locali per dare più che altro una patina culturale a spettacoli che il più delle volte avevano poco da spartire con la cultura.

A quel tempo, le proiezioni al Rubini erano “accompagnate da un pianoforte suonato da un certo signor Martina, che aveva carta bianca nell’eseguire pezzi di diversa natura a seconda del carattere delle singole sequenze che si svolgevano sullo schermo”.

Su una delle pagine pubblicitarie, pubblicata domenica 16 agosto 1914, si annunciava che dalle 16 alle 23 si sarebbe tenuto un programma straordinario con due film: Squadra navale francese nel Nord Mediterraneo e Destino vendicatore, “emozionantissimo dramma in tre parti”.

E fu proprio in quel 1914 che il teatro fu attivo come sala cinematografica per tutto l’anno, “con programmi di prim’ordine e un afflusso di pubblico sempre sostenuto”. Capitava che a volte gli intermezzi fossero rallegrati da intrattenimenti musicali, con un repertorio che variava dal drammatico allo storico, dal poliziesco al romanzo d’appendice. E non mancava mai la comica finale.

La serie di film che riscosse maggior successo fu Fantomas.

Anche se il Rubini ebbe per anni una compagnia stabile di prosa, fu comunque il cinema a riempire il teatro. Un particolare successo di pubblico ebbe nel 1938 il film Il segno della croce con Fredric March e Charles Laughton, imponendosi su tutti gli altri film storici “per la meraviglia della sintesi drammatica, lo splendore delle immagini, la tumultuosa potenza dei sentimenti”. La sontuosa messinscena mostrava “una Roma superba, dal palazzo dell’imperatore alle case dei patrizi, alle scalee immense del Circo, ai sotterranei dove sono rinchiusi i cristiani. Una visione superba per potenzialità di mezzi impiegati nella lavorazione, per la grandiosità di linee veramente imponenti, per il gusto e le proporzioni concordi dell’insieme. Un film sonoro perfetto. Incantato il pubblico”.

E’ sempre l’immancabile e poderoso “Il Novecento a Bergamo” a ricordare un evento memorabile nella storia del teatro: un’iniziativa benefica riservata ai poveri delle Conferenze di San Vincenzo per assistere al film Monsieur Vincent. Ricordando quella serata, don Andrea Spada (4) scrisse che l’invito era stato rivolto ai più poveri: umilissime donnette, poveri del dormitorio popolare, dei refettori, povera gente che abitava sulle soffitte, nei sottoscala, che d’estate dormiva all’aperto. Il locale era colmo e soffocante. Si dovette sbarrare il teatro tanta era ancora l’umile gente che attendeva di fuori. “Al buio pareva vuoto tanto era il silenzio, tanta la partecipazione accorata al film di tutta quella gente”. E a un certo punto non mancarono i singhiozzi in sala.

Talmente vario il repertorio che nell’ottobre del 1963 vi fu allestito uno spettacolo “sconvolgente”: un’edizione, voluta dal Circolo Artistico Bergamasco, in forma di “oratorio”, dell’opera Roberto Devereux di Gaetano Donizetti, diretta dal maestro bergamasco Giulio Lorandi. E dato che in città mai si era assistito a delle pagine melodrammatiche non in costume, l’esibizione suscitò grande stupore, tanto che i patiti della lirica fecero di tutto perché la rappresentazione fosse ripetuta più volte; cosa però impossibile a causa del risicato bilancio del Circolo, che non permetteva ripetizioni costose.

DUE RINNOVAMENTI IN VENT’ANNI… E POI LA FINE

La sala del Rubini fu letteralmente trasformata nel 1954 con un radicale intervento, eseguito su progetto dell’architetto Luciano Galmozzi, che ne cancellò l’impronta stilistica originaria. Logge e colonne furono sacrificate a favore di una moderna soluzione architettonica: platea e una loggia a vasta curva senza bisogno di pilastri in vista.

L’atrio del cine-teatro Rubini nel settembre del 1959, con tanto di locandina (“Un condannato a morte è fuggito”)

La capienza venne aumentata; si guadagnò da una parte in visibilità e praticità, dall’altra si perse per sempre un caratteristico esempio di architettura teatrale d’epoca, come una decina d’anni dopo avvenne per il Teatro Nuovo.

Interno del cine-teatro Rubini negli anni Sessanta

Con i suoi 1.600 (?) posti a sedere fra platea e galleria, offrì per decenni film per famiglie, le anteprime dei western di Sergio Leone e tutti i cartoni animati di Disney, restando però sempre aperto ad eventi di varia natura.

Il cinema teatro Rubini  negli anni Sessanta. La fotografia fu scattata in occasione del film “Questo pazzo, pazzo, pazzo, pazzo mondo”, pellicola americana del 1963. Erano gli anni in cui le sale cinematografiche andavano ancora forte in Italia, ma negli anni Settanta cominciò il declino che portò a una progressiva riduzione del numero di sale. Nella foto si vede anche la bottega del barbiere Algeri, aperta nel 1936 e ancora oggi in attività

 

Jazz Al Rubini. Bergamo (1956). Un concerto jazz al teatro Rubini in via Paleocapa di Bergamo nel 1956. Organizzato dal Jazz Club Ponte San Pietro e da Gioventù Studentesca presentava il Quartetto Glauco Masetti. Nella fotografia, di GIANNI CARDANI, Glauco Masetti al sassofono contralto, Gianfranco Intra al pianoforte, Al King al contrabbasso e Rodolfo Bonetto alla batteria (foto e info Riccardo Schwamenthal)

 

Volantino Di Un Concerto Jazz. Bergamo (1957). E’ il volantino di uno dei primi concerti organizzati dal Jazz Club Bergamo con la collaborazione di Gioventù Studentesca e del Jazz Club Ponte San Pietro. Il concerto, nei suoi tre tempi, faceva ascoltare tre forme del jazz classico: il jazz tradizionale con il gruppo milanese Riverside Jazz Band in cui suonava Lino Patruno che sarebbe diventato famoso, lo swing, la musica ballabile portata alla celebrità da Benny Goodman con il Quintetto Swing di Glauco Masetti e il jazz allora attuale con il Sestetto Jazz Moderno. Come si può vedere il gruppo swing e quello che faceva jazz moderno era formato sostanzialmente dagli stessi musicisti alcuni dei quali cambiavano strumenti e si adeguavano allo stile. Alcuni di questi musicisti hanno fatto la storia del jazz italiano e anche della musica leggera italiana. Per esempio il Maestro Giulio Libano, che suonava tromba e vibrafono, è stato il direttore d’orchestra che diresse e curò gli arrangiamenti del primo LP di Adriano Celentano e della maggior parte dei primi dischi di Mina. Bisogna anche ricordare che i concerti jazz al Teatro Rubini, che era all’inizio di via Paleocapa, ebbero l’aiuto e il sostegno di un grande personaggio della vita religiosa e culturale bergamasca di quegli anni: Don Tito Ravasio (foto e info Riccardo Schwamenthal)

 

La Giuria Del Concorso Orchestrine. Bergamo (1958), Al cinema teatro Rubini veniva organizzata da Gioventù Studentesca il Concorso Orchestrine a cui partecipavano gruppi musicali formati da studenti delle scuole della bergamasca. Il tifo era fortissimo in particolare quando si presentava sul palco il complesso musicale che rappresentava l’Esperia. Questo il tavolo della giuria con in primo piano a destra Guido Dietrich che sarebbe diventato un giornalista di importanza nazionale, non ricordo il nome delle due ragazze e nemmeno della terza persona, ma anche lui diventò un importante giornalista dell’Eco di Bergamo, poi c’ero io e infine, con gli occhiali, Luciano Volpi (foto e info Riccardo Schwamenthal)

Il locale fu rinnovato anche nel 1974, quando divenne “Rubini 2000”, nome col quale per un certo periodo divenne frequentatissimo, anche grazie a una serie di importanti concerti, come la prima uscita ufficiale della Premiata Forneria Marconi in veste di supporto dei Procol Harum.

Il cine-teatro ai tempi in cui era denominato “Rubini 2000”

Vi si esibirono inoltre gli Area, il Banco del Mutuo Soccorso, Arthur Brown, i Pooh più volte e molti altri.

Austerity 1973: davanti al Teatro Rubini

Tirò avanti negli ultimi anni cercando di sopravvivere all’imminente tramonto delle sale cinematografiche, sostituendo agli inizi degli anni ‘80 il Donizetti per la prosa nel periodo dei lavori di restauro e facendo cinema per ragazzi promosso dal Comune.

Alla fine, la chiusura definitiva, a causa sia della ben nota crisi delle sale cinematografiche a Bergamo e sia della crisi stessa del cinema, che diede un ulteriore colpo alla disaffezione del pubblico decretando il declino delle sale cinematografiche: la trasformazione, nel 1987, in Centro Congressi Giovanni XXIII (un centro diocesano di convegni, congressi, conferenze e attività culturali), rientra perfettamente nelle finalità per le quali il Rubini era nato nel 1907.

La bella sala teatrale dedicata al tenore Giovanni Battista Rubini, completa di tre livelli di palchi, è stata trasformata nel 1897 in un centro congressi e da un’autorimessa interrata, su progetto degli architetti Vito (1924) e Laura (1956) Sonzogni, con l’inserimento di un soffitto vetrato dell’artista Gino Motta (1935)

IL RUBINI NEI VOSTRI RICORDI

Per i film, dagli anni ‘40 agli anni ‘60 sono ricordati: Bernadette (film del 1943), Quo Vadis (film del 1951), I 10 comandamenti (film del 1956), Ben Hur (film del 1959), I magnifici 7 (film del 1960), Un dollaro d’onore (visto nel ‘60), West side story (film del 1961), Il Laureato (visto nel 1967).

Per gli anni ‘70: Rocky (la prima serie risale al 1976), La febbre del sabato sera (film del 1977), Guerre Stellari (visto nel 1977), Grease (film del 1978).

Per gli anni ‘80: Il Tempo delle mele (film del 1980), E.T. l’extra-terrestre (film del 1982), I Goonies (film del 1985).

I vostri film Disney: Biancaneve e i sette nani, Bianca e Bernie, Red e Toby nemiciamici, Gli Aristogatti, Mary Poppins, con in regalo, nei primi anni ‘6o, la spilla di Mary Poppins (un altro regalo di cui ci si ricorda era la Coca-Cola distribuita gratis la domenica mattina per lanciare il prodotto).

Dopo il film era usanza andare a mangiare un cono di panna (o meglio, lattemiele) alla latteria Valseriana in viale Papa Giovanni: “Io ricordo la domenica pomeriggio….si entrava alle 14, si vedeva il film due volte e mezzo, si usciva verso le 18, babbo e mamma ci aspettavano fuori. Se era appena passato il 27 del mese, si andava tutti alla Valseriana a mangiare la panna montata con la cannella sopra. E queste erano le nostre domeniche, peccato che, avendo dei fratelli, ero costretta ai film di cow boy con tanto di urla partecipate quando ‘arrivavano i nostri!’ Erano gli anni ‘50″.

C’è anche chi ricorda che sul muro esterno del “Valseriana”, all’angolo con via Guglielmo D’Alzano c’era una bacheca che pubblicizzava il film che in quel momento si proiettavano al Rubini.

Ma c’era anche chi preferiva il cono di panna dell’altrettanto mitico De Zordo, in S. Orsola.

La gelateria De Zordo, in via S. Orsola, negli anni Cinquanta

In ogni caso, negli anni 70 a due passi dal Rubini c’era il forno Nessi, “che sfornava ‘certe’ pizzette…”. Proprio in quegli anni il Rubini ospitava anche le assemblee che si tenevano durante le manifestazioni studentesche (quelle dell’Esperia sicuramente).

Sono solo alcuni dei tanti ricordi legati alle vicende di un teatro che per qualche decennio ha accompagnato le nostre generazioni, conquistando di diritto un posto speciale nei nostri cuori.

NOTE

(1) Tra i principali interpreti del Poliuto, Elvira Magliulo (Paolina), una delle migliori allieve del maestro Beniamino Carelli al Conservatorio di Napoli; a fare da tenore lo spagnolo José Garcia, mentre il baritono era un ventisettenne Riccardo Togni. Direttore d’orchestra, il cavalier Gino Marinuzzi, già noto a Bergamo essendosi esibito più volte al nostro teatro Donizetti.

(2) Come riportano le cronache del tempo, il teatro occupava un’area di 700 mq, misurando m. 32X23; il palcoscenico era profondo m. 9; le colonnine che sostenevano le logge erano fornite dalla ditta Mancini di Bergamo e pesavano complessivamente 200 quintali; le balaustre in ferro battuto erano state lavorate dalla ditta Scalori Leali di Milano; le decorazioni, con figure e medaglioni allegorici erano opera dei fratelli Zappettini di Bergamo, autori anche del telone-sipario. Lampadari e braccioli erano forniti dalla ditta Radaelli di Milano. L’impianto comprendeva 600 lampade e due potenti fari di sicurezza, opera della ditta cittadina Limonta, mentre il grandioso lucernario sostenuto da tralicci in ferro, posto al centro della platea, era della ditta Lorini di Milano; i caloriferi erano forniti dalla ditta cittadina Giacomo Rusconi e figli; la vetrata, graziosamente decorata, era opera della ditta concittadina Fratelli Piatti.

(3) Giornale di Bergamo del 17 luglio 1962.

(4) L’Eco di Bergamo del 1° ottobre 1948.

Riferimenti

Pilade Frattini e Renato Ravanelli, “Il Novecento a Bergamo – Cronache di un secolo”. A cura di Ornella Bramani – Vol. II. UTET. Anno 2013.

Il glorioso Cine-Teatro Nuovo: dai fasti alla decadenza

Inaugurato nel 1901, nell’epoca d’oro del teatro, il Politeama Nuovo ha avuto una non ingloriosa storia per tutta la prima metà del Novecento venendo considerato, ancora negli anni Trenta, “l’unico teatro popolare di Bergamo”. Sul suo palcoscenico si sono avvicendati a ritmo quasi vertiginoso spettacoli di ogni genere, e si può dire che nel primo quarto di secolo ne abbia davvero viste di tutti i colori: le cronache ricordano esperimenti scientifici, veri e propri spettacoli circensi (i “magnifici stalloni ammaestrati” di Guillaume o il record d’incasso ottenuto dal Circo Gatti, sempre con non meno di 2500 spettatori); esibizioni di giocoleria (uno per tutti: Enrico Rastelli, con il pubblico in delirio) e incontri di pugilato; corride con tori, esibizioni di celebri illusionisti e trasformisti (il grande Fregoli e Tiberio Alba, trasformista, caricaturista, equilibrista, violinista); cani “commediografi”, musei di anatomia, esperimenti di telepatia (celebri quelli di autosuggestione e magia del professor Majeroni); tornei di lotta femminile, giochi di prestigio, contorsionismo e persino l’esibizione di un fachiro (le cronache riportano quella del “fachiro indiano” Abdul Rahman).

Teatro Nuovo (Museo delle Storie di Bergamo – Archivio Fotografico Sestini – Archivio Domenico Lucchetti)

E non mancarono certo le opere liriche (tra gli spettacoli memorabili del primo quarto di secolo, una Traviata, “con una autentica parigina, la Daugerville, che prima non aveva mai cantato in italiano”; una Lucia di Lammermoor con una Graziella Pareto sommersa d’applausi e da fiori, e in onore della quale fu addirittura fatta coniare una medaglia d’oro); la prosa con le migliori compagnie di cartello (di Ermete Novelli, di Virginia Talli, di Ruggero Ruggeri, di Ermete Zacconi: sempre serate di “tutto esaurito”), il cabaret, l’avanspettacolo e le immancabili operette brillanti, che ebbero il potere di colmare la cassa del teatro grazie alle vedette e agli esilaranti comici più in voga.

In questo teatro di così nobili tradizioni si esibirono tra gli altri il celebre direttore d’orchestra Pietro Mascagni, i tenori Tito Schipa e Toti dal Monte, la diva Gea della Garisenda; ospitò Luigi Pirandello, vi si avvicendarono i più noti personaggi della commedia (dalla Duse a Emma Gramatica, da Tina di Lorenzo a Maria Melato, da Marta Abba all’indimenticabile Ettore Petrolini) e vi si tennero spontanee manifestazioni cittadine: da quelle “vibranti di amor patrio” a importanti comizi politici. Non mancarono quindi le conferenze con personalità come Gabriele D’Annunzio, Mussolini (ai tempi direttore dell’”Avanti!”) e Tommaso Marinetti nonché illustri studiosi e grandi patrioti come il martire Cesare Battisti: l’elenco potrebbe continuare all’infinito, in quello che per lustri è stato l’unico teatro popolare della Città, solo più tardi affiancato dal glorioso “Duse”.

Nel corso del tempo il teatro ha subito diverse modifiche, determinate dalle necessità che di volta in volta emergevano nel mondo dello spettacolo e nella vita sociale e culturale della città: costruito agli albori del Novecento su progetto degli architetti Gattemayer e Albini e sul modello del Del Verme di Milano, venne ampliato nel 1929 da Cesare Ghisalberti e Camillo Galizzi e massicciamente ristrutturato a metà degli anni Sessanta, quando venne definitivamente adibito a cinematografo dall’architetto Alziro Bergonzo: sparirono allora le storiche quinte, i palchetti, le gallerie a ferro di cavallo e il grande palcoscenico, che tanto aveva dato ai bergamaschi. Nel tempo l’edificio si è quindi progressivamente ridotto, perdendo quell’assetto tipico dei teatri di fine Ottocento/primi Novecento, di cui ai giorni nostri si ravvisa solo la facciata. Dopo aver attraversato un periodo di decadenza e dopo ripetuti tentativi di riqualificare il locale con programmazioni cinematografiche di livello, nell’estate del 2005  il cinema Nuovo ha chiuso i battenti e ancor oggi è alla ricerca di una nuova rinascita.

L’attuale Largo Belotti (ex via Masone) con la vecchia Fiera prima della costruzione del Teatro Nuovo

 

Il teatro Nuovo appena costruito (1901)

LA NASCITA DEL “NUOVO”

Nel giugno del 1897 Innocente Carnazzi e Giovanni Givoli, impresari dello spettacolo, affidavano a due capomastri milanesi, Felice Taccani e Angelo Locatelli, la costruzione del Politeama Nuovo da edificarsi su progetto degli architetti Gattermayer e Albini (1). I due impresari – nel resoconto di Luigi Pelandi – avevano acquistato alcuni mesi prima un migliaio di metri quadrati di terreno dal dottor Giovanni Piccinelli, spinti dal miraggio di certa fortuna nell’esercizio di un teatro moderno a Bergamo dopo la soppressione del Teatro Rossi e la demolizione del Politeama Givoli, che sorgevano in Piazza Baroni: il “Duse” infatti era di là da venire e in Città Bassa funzionava solo il Donizetti, il teatro massimo della città.

Teatro Nuovo

Mentre si abbatteva il Givoli (una “mostruosità” secondo le cronache del tempo), al di là della roggia Nuova aveva già messo le fondamenta il Nuovo Politeama, così chiamato perché come il suo predecessore avrebbe dovuto rappresentare un po’ di tutto.

Un singolare documento del 1897 mostra l’abbattimento del Politeama Givoli e la costruzione del Teatro Nuovo (il Teatro Rossi era stato demolito tre anni prima) – (Raccolta D. Lucchetti)

Il Nuovo venne su fra mille difficoltà, soprattutto di carattere economico: la costruzione, iniziata nel giugno del 1897, andò per le lunghe a causa di diverse inadempienze degli appaltatori. Gli impresari appaltanti, Giovanni Givoli e Innocente Carnazzi, dopo aver ricorso a giudizio, furono felici di liberarsi del fabbricato, cedendolo a Carlo Ceresa, che ai primi di marzo del 1901 fece portare a termine la costruzione (2).

Da un vecchio numero de La Rivista di Bergamo (da sinistra a destra): Innocente Carnazzi (ideatore del Teatro Nuovo), Carlo Ceresa (il primo proprietario del Nuovo), Ernesto Terzi (il primo imprersario del Nuovo)

Ma anche il Ceresa ebbe le sue grane; infatti la commissione tecnica non era convinta della stabilità delle gallerie, forse perché prevenuta da un imprevedibile incidente mortale occorso durante l’abbattimento delle gallerie del Givoli. Ma il Ceresa non si perse d’animo: con una lunga fila di carretti fece portare dai suoi coloni di Stezzano una grande quantità di sacchi di frumento, tanti da stipare le gallerie. Poi, dopo aver acceso tutte le luci ed aver affisso per beffa il cartello “tutto esaurito”, chiamò la commissione tecnica, la quale ovviamente diede il benestare (3).

Il Teatro Nuovo, sorto sull’area del giardino del dottor Giovanni Piccinelli (attuale angolo via Verdi/ Largo Belotti), fu terminato nel 1901 su progetto degli architetti Gattemayer e Albini (1897) e sul modello del Del Verme di Milano. Venne inaugurato il 23 marzo dello stesso anno, con la gestione Regazzoni – Givoli – Terzi. La facciata era molto diversa da quella attuale

 

E’ il 17 gennaio 1900. Carlo Ceresa – che ha rilevato il Teatro Nuovo, in corso di costruzione, da Giovanni Givoli e Innocente Carnazzi, – scrive alla contessa Felicita Murari Bra di Verona: “Signorina, Le invio la cartolina del Nuovo Teatro che ho fatto costruire testé qui a Bergamo, e che è stato la causa diretta di assorbire completamente il mio individuo, in modo tale di farmi anche dimenticare nella fausta occasione del principio del secolo le amicizie le più care e più preziose” (da Pilade Frattini e Renato Ravanelli, “Il Novecento a Bergamo. Cronache di un secolo”, Cit. in Riferimenti)

 

Anche la copertura è stata privata della caratteristica cupola. Per costruire il teatro fu sacrificato un migliaio di metri quadrati di terreno; il cancello posto a sinistra del teatro immetteva in un quartiere di villini immersi nel verde. Le macerie che si vedono sono un residuo della della vecchia Fiera in demolizione

L’ASPETTO DEL TEATRO DELLE ORIGINI

La struttura dell’originario “modernissimo Politeama” non presentava il tradizionale giro di palchetti, ma una triplice fila di gallerie, le due inferiori disposte ad anfiteatro e sorrette da un doppio ordine di colonne in acciaio e in ghisa.

Così si presentava il Teatro Nuovo al suo interno poco dopo l’inaugurazione. Un vero e proprio teatro “d’eccellenza”. Il progetto risale fine dell’Ottocento sulla base del gemello milanese, il Dal Verme; era impostato su tre gallerie e una platea (da D. Lucchetti, “Bergamo nelle vecchie fotografie”)

 

Teatro Nuovo nel 1901 (Foto Ogliari, dalla Rivista di Bergamo n. 6, Giugno 1926)

Luigi Pelandi annotava che il teatro era stato costruito sopra una intelaiatura di ferro, stimando il peso dei metalli usati in 24.000 chili di poutrelles, 6.600 di piombo per la copertura della cupola, 1300 di colonne in acciaio, 22.000 di colonne in ghisa, 16.000 di ferramenta.

La sala poteva contenere almeno 1800 persone.

Teatro Nuovo (annullo postale 12 settembre 1905 – Raccolta D. Lucchetti)

Denunciava inoltre il Pelandi, agli esordi del teatro, il poco sfondo del palcoscenico e l’acustica che non rispondeva in modo confortevole a causa della soverchia elevazione della prima galleria; inoltre, l’alto basamento che cingeva la platea troppo al di sopra del piano (4).

L’INAUGURAZIONE E I PRIMI SPETTACOLI

Il Nuovo fu inaugurato il 23 marzo 1901 con una rappresentazione de La sonnambula di Vincenzo Bellini, replicata quattro volte, e malgrado lo spettacolo cadesse in tempo di Quaresima e durante la settimana di Passione, sia per la novità e sia per la bontà dello spettacolo il teatro fece cinque serate di buona cassetta. Nell’occasione fu scritturata la spagnola Giuseppina Huguet, e il soprano dette vita a una deliziosa Amina con un canto di una grazia e di una sensibilità davvero indimenticabili. Vi furono un’infinità di chiamate ed un interminabile lancio di fiori. Fu, quella, una settimana di grandi piogge a Bergamo e in qualche punto la Morla minacciò di straripare.

L’interno del Teatro Nuovo da poco inaugurato (Raccolta D. Lucchetti)

Subito dopo la Sonnambula andarono in scena i primi spettacoli di prosa: Edipo re, La bisbetica domata, Amleto, Kean e Nerone. Protagonista principale Gustavo Salvini che era al massimo del suo fulgore: il pubblico, elettrizzato e fremente, lo acclamò a sazietà.

Medaglione ad alto rilievo collocato al centro del timpano triangolare che sovrasta la facciata principale (da “Comune di Bergamo, Piano di recupero ex teatro cinema Nuovo, angolo via Verdi/Largo Belotti”, Cit. nei Riferimenti)

Quell’anno – ricorda Luigi Pelandi – arrivò anche il circo, che fece fare affari d’oro al botteghino. Era il famoso Guillaume, “che tenne occupata la platea con i suoi cavalli ammaestrati, con impressionanti acrobatismi e con i suoi clown, più o meno spiritosi”. Il 1901 si chiuse con gli spettacoli della Compagnia di prosa di Alfredo De Sanctis, prima attrice Emma Gramatica.

Alla Fiera nel  1902, con Il Teatro Nuovo sullo sfondo

Al Nuovo avvenne persino la prima storica “rivolta” contro le spettatrici che prendevano posto con vistosi cappelli piumati dando luogo a curiose guerricciole terminate solo dopo che la moglie dell’impresario inaugurò la moda di entrare a teatro a capo scoperto sfoggiando una chioma d’oro indimenticabile. Da quel momento i cappelli furono lasciati nel guardaroba del teatro.

IL NUOVO CON PILADE FRATTINI

Nel 1904 il Nuovo divenne comproprietà di Carlo e Giovanni Ceresa, Italio Bissolaro e il geniale e temerario Pilade Frattini (5), che tenne l’impresa teatrale fino al 1915.

Il torresino delle Vettovaglie, che guarda verso Porta Nuova, occupato dal Caffè Ristorante Nazionale, nel 1889, due anni prima dell’arrivo di Pilade Frattini. In fondo, sulla destra, si riconosce la mole del Teatro Givoli, abbattuto nel novembre del 1897 (Raccolta D. Lucchetti)

Caffettiere elegante ed impresario infaticabile, Frattini si era stabilito a Bergamo nell’anno 1900 ed aveva acquistato il Caffè Nazionale, che apriva le sue vetrine sul Sentierone, facendone un ritrovo alla moda ed impiantandovi all’interno un piccolo teatro di varietà, nel quale si esibì per una quindicina d’anni il fiore dei cantanti famosi, dei musici, delle soubrettes, delle ballerine, dei comici e dei giocolieri dell’epoca.

Era il Frattini di una attività fenomenale, sempre in moto fra Bergamo e Milano. Ebbe in gestione anche il Casinò di San Pellegrino Terme (dove troneggiava alla roulette), frequentato al suo tempo da editori, musicisti, artisti, giornalisti e scrittori famosi (Luigi Pirandello, Arnaldo Fraccaroli, Marco Praga, Pompeo Molmenti, Sabatino Lopez). Fu anche animatore del Teatro Donizetti, dove seppe portare delle vere primizie, tra cui (1906) la prima assoluta de l’Amica,  scritta e diretta dallo stesso Pietro Mascagni. Nelle varie stagioni d’opera fece venire a Bergamo Umberto Giordano, Francesco Cilea e Giacomo Puccini e per ciascuno preparò accoglienze fastose e ricevimenti lussuosi. Ma fu al Nuovo che scaricò tutto il suo estro, portando sul palcoscenico spettacoli di grido ed esibizioni tra le più stravaganti.

Pilade Frattini (Milano, 1872 – Bergamo, 1920), comproprietario del Teatro Nuovo dal 1904 al 1915. Impresario infaticabile, dotato di tanta originalità ed inventiva, fu stroncato nel pieno della sua frenetica e inesauribile attività da un colpo apoplettico

 

Il caffè Nazionale, sulla fine dell’800 subentrò alla Trattoria della Speranza, situata nei medesimi locali. Il Caffè occupava parte del torresino ed altre botteghe fino al primo cancello della Fiera. Ciò che Frattini riuscì a fare e ad organizzare ha dell’incredibile: nel suo caffè erano  frequenti gli spettacoli (aveva allestito un teatrino con camerini). vi arrivò il cinematografo Ungari e pure frequenti erano le più varie riunioni culturali

Da buon impresario teatrale (suo a Roma il teatro Frattini), gestì il Nuovo in prima persona, facendone uno dei teatri italiani più vivi e à la page. In pratica lo trasformò in un vero e proprio centro d’attrazione per ogni genere di spettacoli e grazie a lui il teatro divenne la sala più polivalente della città: fu sede di opere liriche, operette, commedie e drammi, balletti, conferenze, comizi, eventi sportivi, esperimenti scientifici, illusionismo, giochi popolari, spettacoli circensi (il cosiddetto bal di caài).

Gli anni ai primi del Novecento furono memorabili. Per la prima volta a Bergamo si esibì una compagnia di “danzatori negri africani”; talmente giganteschi che terrorizzarono quanti incontrarono per strada prima dello spettacolo. Sul palcoscenico del Nuovo si esibì anche il “lottatore più forte del mondo”, il triestino Raicevich, che affrontò un colosso di colore che si chiamava Anglio e si diceva fosse un mezzo cannibale. In quegli anni fu persino organizzata, in teatro, un’autentica corrida, ma l’uccisione del toro fu proibita.

I famosi fratelli Raicevich ritratti intorno al 1910. I lottatori operavano negli spettacoli della Fiera (Raccolta D. Lucchetti)

Frattini era pure dotato di un grande intuito musicale e di buon fiuto: a lui si deve la straordinaria scoperta di quel genio musicale che fu il violinista Vasha Prioda: lo prelevò da un’orchestrina di un caffè milanese e lo fece debuttare al Nuovo, dove tenne un concerto anche il virtuoso pianista polacco Miecio Horszowski: “Dopo tanti anni questi nomi non diranno più niente alle nuove generazioni, abbruttite dalle stramberie assordanti e sgraziate dei cantautori e dalla zotiche e insulse balordaggini della musica leggera di massa, divenuta spregevole oggetto di consumo, e tuttavia basterà ascoltare qualche vecchia incisione riversata dai gloriosi cilindri di Edison o dai fruscianti dischi a settantotto giri per rendersi conto dell’eccellenza di quei virtuosi solisti”, scrisse Umberto Zanetti nella sua “Bergamo d’una volta”.

Con Frattini, arrivarono al Nuovo gli artisti più prestigiosi, come il mitico giocoliere internazionale Enrico Rastelli con i prodigi di equilibrio nonché l’imbattibile trasformista Leopoldo Fregoli, inventore del trasformismo teatrale e trasformista per antonomasia, che nei suoi spettacoli comprendeva anche alcuni brevi film da lui stesso interpretati. A costoro vanno aggiunti Ferravilla, gli illusionisti Mister Tomba e Elsa Barocas. Vi declamarono inoltre  le loro poesie Trilussa, Barbarani, Pascarella, Lino Selvatico.

In cartellone anche le compagnie di prosa fra le più famose e compagnie di operette fra le maggiori. Frattini portò sulle scene del Nuovo Tommaso Salvini (che insieme a Ernesto Rossi e Adelaide Ristori formava la triade dei principali attori del teatro italiano di metà Ottocento) col suo grave repertorio greco, shakespeariano e alfieriano; l’indimenticabile quartetto Galli, Guasti, Sichel, Ciarli con le sue commedie francesi; Tani, con le sue operette; “La Nave” di D’Annunzio in forma di dramma, il meglio delle compagnie dialettali (Ferravilla, Zugo, Musco); gli attori più famosi, come Gandusio, Falconi, Monaldi con la moglie, la bellissima Fernanda Battiferri. Cantanti lirici come il baritono emiliano Riccardo Stracciari, che in pieno clima verista, dopo il tramonto di Battistini, costituì un esempio vivente della scuola italiana di canto dell’Ottocento.

Frattini fece recitare le compagnie di Ermete Novelli, di Virginio Talli, di Ruggeri e Borelli, organizzò una celebrazione dell’impresa dei Mille con una conferenza d’Innocenzo Cappi e la partecipazione di ventotto reduci garibaldini.

Sempre prodigo di sorprese, nel 1904 chiamò sul palcoscenico la Compagnia comica del Gran Togo Mandrigos, un’autentica, scatenata e numerosissima tribù africana, che eseguì dei numeri sbalorditivi divertendo moltissimo il folto pubblico.

Dopo i primi abbattimenti del 1909, si evidenziano la Chiesa e l’Ospedale di San Marco. Sulla destra, il Teatro Nuovo (Raccolta D. Lucchetti)

 

La foto-cartolina (annullo postale del 25 aprile 1916) mostra la Piazza Baroni dopo i primi abbattimenti della Fiera, con a destra il Teatro Nuovo e sulla sinistra, la Chiesa e l’Ospedale di San Marco. La Piazza Baroni fu il luogo dove si effettuava la “Fiera mobile”, con mercatini e spettacoli viaggianti (sino al 1897 vi fu anche il Teatro Givoli) – (Raccolta D. Lucchetti)

Ancora al Nuovo diede un concerto nel 1908 il maestro Enrico Toselli, autore di una celeberrima serenata, cavallo di battaglia di tutti i soprani da salotto. Presente la principessa di Sassonia di cui in quel tempo si era fatto un gran parlare.

Nel 1910, il 26 e 27 febbraio, si tenne un torneo internazionale di lotta, con in palio un premio di mille lire. Tra i partecipanti, il campione del mondo Paul Pos, il campione russo Romanoff, quello italiano Masetti, quello francese Aimable de la Calmette e, con molti altri lottatori di fama, il campione dei campioni Pedersen.

Il 10 ottobre 1910 al Teatro Nuovo la Compagnia di Emma Gramatica tenne la prima delle due recite straordinarie sulla Reginetta di Saba, un lavoro di Ettore Maschino. Un giornale dell’epoca ne annunciava l’evento informando sui prezzi d’ingresso: platea una lira; prima loggia una lira e cinquanta; seconda loggia sessanta centesimi; loggione quaranta centesimi- poltrone due lire e posti numerati di prima loggia una lira oltre l’ingresso alla prima loggia.

Nel 1911, sotto l’egida del comitato bergamasco della Società Dante Alighieri, si proiettò il film L’Inferno; in una breve orazione introduttiva Innocenzo Cappi inneggò alla nuova conquista della cinematografia nazionale: la pellicola era lunga mille metri.

Ne mancarono conferenze con studiosi illustri, dicitori di fama e grandi patrioti: da Cesare Battisti a Gabriele D’Annunzio. A quest’ultimo, Frattini corrispose una notevole somma per venti “conferenze aviatorie” (“Per il dominio dei cieli”) che dovevano svolgersi in prestigiosi teatri italiani: il poeta, preteso anticipatamente e intascato graziosamente il compenso, onorò parzialmente l’impegno tenendone prima a Milano, quindi a Torino con esito entusiastico, poi a Bergamo al Teatro Nuovo intorno al 1910, interrompendo la tourneé per dissapori con lo stesso Frattini e riparando poi a Parigi. Ma aggiunge Umberto Zanetti che “Il caffettiere-impresario salutò senza rancore la proiezione di “Cabiria” al Donizetti nel 1914, ben sapendo che il poeta, ancora squattrinato e indebitatissimo sebbene in suolo francese, aveva ceduto la fama del suo nome unicamente per coniare il titolo del film. Frattini fu degno ancora una volta del suo stile e dei suoi mezzi facendo propagandare lo spettacolo – cosa mai veduta prima di allora – con un lancio di volantini da un aeroplano. In teatro, durante la proiezione, un’orchestra suonò la “Sinfonia del fuoco” di Ildebrando Pizzetti”.

Sempre in tema di conferenze, sono ricordate anche quelle (brillanti) di Innocenzo Cappa, Fradeletto, Barzilai e Pastonchi.

Presso il Nuovo è apposta una lapide con corona metallica commemorativa dedicata al patriota martire Cesare Battisti, “che prima della guerra mondiale 1915-18 vaticinò la vittoria delle nostre armi ed una più grande Italia con Trento e Trieste (da Luigi Pelandi, “Attraverso le vie di Bergamo scomparsa. II. La strada Ferdinandea”, Cit. nei Riferimenti)

Nel maggio del 1911, accompagnati dalla fama di “violenti rivoluzionari” arrivarono al Nuovo i Futuristi. La coraggiosa e sprezzante Compagnia Futuristica Marinetti & Co. (Filippo Tomaso Marinetti, Umberto Boccioni, Carlo Carrà, Giovanni Acquaviva, Luigi Russolo e Giacomo Balla) sconcertò il pubblico suscitando polemiche a non finire con lo spettacolo Intonarumori: si ripeterono in sala le stesse indignate proteste che avevano accolto l’esibizione futurista a Milano.

Lotta femminile al Teatro Nuovo, 1911

Nel 1913 intervenne anche Benito Mussolini (allora direttore dell’ “Avanti!”), acclamatissimo. Scriveva L’Eco di Bergamo che “Mentre il proletariato affollava il circo equestre in piazza Baroni, un discreto numero di borghesi ha versato 50 centesimi a beneficio dell’Avanti! e ha raggiunto il teatro Nuovo; tutti però sono rimasti prudentemente vicini il più vicino possibile alla porta a sentire e a vedere Benito Mussolini. Il direttore dell’Avanti! ha parlato del socialismo; più precisamente del suo socialismo”.

Sempre nel 1913 vi si organizzò il primo incontro di Boxe, in una serata d’accademia di ginnastica e scherma (disciplina che il Teatro Duse iniziò ad ospitare dal novembre del ‘28).

Nel 1915 il teatro ospitò Luigi Pirandello in veste di direttore artistico della compagnia teatrale che si esibiva in Sei personaggi in cerca d’autore e con in platea l’avvocato Alfonso Vajana nelle vesti di critico teatrale. Per il giugno dello stesso anno è ricordato anche un Barbiere di Siviglia con cantanti tutte femminili.

Ricorda Luigi Pelandi che Frattini ingaggiò anche molte cantanti di cartello. Fra queste, un successo personale ottenne in particolare la bella e agilissima Gea della Garisenda (autrice di successi come l’inno patriottico A Tripoli), che cantò ne La vedova allegra e nel Sogno di un valzer, con un teatro stipato all’inverosimile e il proscenio subissato da una pioggia di garofani e rose. Umberto Zanetti scrisse che “Sotto le finestre della diva, che alloggiava all’Albergo Concordia, le ovazioni dopo lo spettacolo continuarono fino alle ore piccole”. La diva si esibì anche presso café chantant di Pilade Frattini.

UN CENNO AGLI SPETTACOLI DOPO FRATTINI

Anche in seguito, e probabilmente sul solco lasciato da Pilade Frattini, il Nuovo non si fece mancare niente. Nel febbraio del 1916 ospitò Pietro Mascagni; nel 1917 vi tornò la Compagnia di Emma Gramatica. Quell’anno fu in realtà un susseguirsi di Compagnie teatrali comiche e operettistiche, lirica, varietà, illusionismo, lotta. Sempre nello stesso anno, e per diversi anni, il teatro ospitò anche esibizioni circensi, in coincidenza con la Fiera.

La satira negli anni Venti (da “Comune di Bergamo, Piano di recupero ex teatro cinema Nuovo, angolo via Verdi/Largo Belotti”, Cit. nei Riferimenti)

Con un ritmo ben regolato e a scadenza fissa, vi erano al Nuovo dai venti ai trenta cambiamenti di spettacoli annuali, saliti a 40 nel 1923.

Nel febbraio del 1918 il Teatro Nuovo veniva requisito per quattro mesi per ospitare i soldati delle terre invase: “i cittadini fecero a gara per rendere ai disgraziati fratelli meno dolorosi i loro cupi pensieri”. Il teatro riaprì nel 1918 con la Compagnia teatrale Zago /Compagnia Veneziana e vi si esibì Fregoli con grande successo e visibilio del pubblico.

Con la Grande Guerra, l’epidemia di Spagnola colpì anche la nostra città e con il 15 ottobre del 1918 il teatro dovette chiudere per 5 mesi. A fine anno, il sig. Ceresa vendeva il teatro ai sigg. Resta e Bonfiglio di Milano, che nel 1927 cedevano l’impresa teatrale al sig. Giulio Consonno. Quest’ultimo, che per anni aveva gestito il Donizetti, iniziò l’attività al Nuovo l’11 maggio e sempre in quell’anno iniziò a gestire il Teatro Duse, appena costruito.

La satira negli anni Venti (da “Comune di Bergamo, Piano di recupero ex teatro cinema Nuovo, angolo via Verdi/Largo Belotti”, Cit. nei Riferimenti)

Se per il 1920 si registrò la presenza a teatro della Compagnia drammatica Riva-Lotti-Fortis, quello successivo fu l’anno d’oro per l’impresario e per il locale: la fine della guerra scatenava frenesia e una gran voglia di divertimento e in città i cinematografi si raddoppiarono. Si diradò la programmazione di prosa e prese campo l’operetta con grandi pienoni di pubblico: fra le tante, si distinsero le soubrette Odette Marion e Alda Borelli, che vi arrivò a luglio.

Per il ‘23 si ricorda l’esibizione (musica e balletto) del coro dei “Cosacchi del Kuban” (1923), corpo corale cosacco che si era formato dopo lo scoppio della rivoluzione del 1917 e prendeva il nome da uno dei migliori e più antichi collettivi artistici russi (il Coro dell’esercito dei Cosacchi del Kuban, risalente al 1811).

Il 24 febbraio 1924 al Nuovo si tenne il primo comizio fascista. La cronaca de “L’Eco di Bergamo” riportava: “Ha parlato per circa un’ora e mezzo l’onorevole Ezio Maria Gray esaltando il fascismo e i fascisti che, ha detto, si sono imposti il compito di valorizzare le energie nazionali e di fare da correttivo fra le classi sociali e quindi da potenti pacificatori sociali”.

Nella aerofotografia del 1924 è ben visibile il Teatro Nuovo (nel tondo), con la caratteristica cupola che sovrasta la sala. I lavori per il nuovo Centro si stanno avviando a compimento: sono costruite la Banca d’Italia e la Torre dei Caduti (di Marcello Piacentini), la Camera di Commercio (di Luigi Angelini); nel 1925 sarà aperto il blocco di edifici sul Sentierone (di Marcello Piacentini). E’ in costruzione il Palazzo di Giustizia (di Marcello Piacentini, con la direzione di Ernesto Suardo). Accanto al Palazzo di Giustizia, di fronte al Teatro Nuovo, tra il 1927 e il 1928, sarà costruito quello che doveva essere il Palazzo delle Poste e Telegrafi (di Marcello Piacentini)

Quello seguente fu un anno di calma per il teatro, con spettacoli prevalentemente lirici di buon livello, mentre nel maggio del ‘27 vi si esibì la Compagnia Nazionale delle grandi attrazioni, attirando, in alcune sere, fino a 2500 spettatori. Fra le attrazioni maggiori si distinse il grande giocoliere bergamasco Enrico Rastelli, mentre per la gioia dei piccoli spettatori arrivò il “nano Bagonghi” personalità indimenticabile. Ma la cronaca del periodo ricorda per quell’anno anche Ettore Petrolini.

L’AMPLIAMENTO DEL NUOVO NEL 1929

Le nuove tecniche teatrali imposero nuove esigenze ambientali e sceniche, tali da portare, nel 1929, a un rifacimento e a un ampliamento – grazie all’acquisto di terreni circostanti -, che investirono tutto il grande edificio.

Il progetto era degli architetti Cesare Galimberti e Camillo Galizzi, mentre la ristrutturazione fu decisa con la consulenza tecnica dell’ingegner Cesare Albertini della Scala di Milano.

Fu deciso l’ampliamento del palcoscenico – di oltre otto metri -, che venne dotato dei più recenti meccanismi. Vennero sistemate la platea, le gallerie e le logge, prevedendo 600 posti a sedere in più; ampliata anche la sala d’accesso e l’attiguo caffè, formate nuove sale per il pubblico, camerini per gli artisti, ideati nuovi impianti per l’illuminazione e il riscaldamento.

Il Teatro Nuovo dopo il rifacimento del 1929 (Foto Wells, 14 dicembre 1955 – Per gentile concessione di Antonella Ripamonti)

L’ingrandimento, così come la decorazione di severo gusto artistico, dovevano rendere il teatro degno del nuovo centro cittadino.

Interno del Teatro Nuovo (Archivio D. Lucchetti)

 

Il Nuovo e il palazzo delle Poste in costruzione (1931)

Le cronache ricordano in particolare il 1944, perché a calcare le scene del Nuovo furono i memorabili Tito Schipa e Toti dal Monte, grandi cantanti lirici dell’epoca, ricordati da Nino Filippini Fantoni come voci meravigliose, capaci di rapire e portare in atmosfere paradisiache nel tempo buio, terribile e disumano della guerra.

Il Nuovo – sulla destra – era ancora teatro nell’attesa di essere trasformato in cinematografo. Sulla sinistra, all’angolo con via Petrarca, c’è il bar Anselmo, storico ritrovo nerazzurro. Immancabile l’esposizione della bandiera quando l’Atalanta vinceva. Prima del restauro piacentiniano, la via si chiamava Masone (che allora iniziava alla Torresina, di fronte alla chiesa di San Bartolomeo), poi assunse il nome di via Adua e infine di largo Belotti (da “C’era una volta…” di Pino Cappellini, Ferruccio Arnoldi Editore)

TEATRO NUOVO E DINTORNI NEGLI ANNI ’50, IN IMMAGINI

Largo Belotti e Teatro Nuovo nel 1950

 

Largo Belotti e Teatro Nuovo nel 1950.  Le “due città” a confronto (Foto Wells)

 

 

Largo Belotti, 1954 il Teatro Nuovo con il lato sud completamente a vista in seguito all’abbattimento dell’edificio che ne celava una parte

 

 

Largo Belotti: l’edificio della Cariplo in costruzione, 1957

 

Il Teatro Nuovo intorno al 1957, con a lato l’edificio della Cariplo in costruzione

 

Largo Belotti: l’edificio della Cariplo ormai ultimato, tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio degli anni Sessanta

 

Il Teatro Nuovo nel 1959. E’ visibile all’angolo il negozio di articoli sportivi “Cominelli Sport”, gestito da Severo Cominelli, campione dell’Atalanta e cannoniere principe della storia della squadra (superato in seguito da Doni)

LA CONVERSIONE A CINEMATOGRAFO

Nel 1965 si mise nuovamente in atto una ristrutturazione massiccia, che trasformò definitivamente il teatro in una grande e modernissima sala cinematografica e decretò la fine dei fasti vissuti all’inizio del XX secolo. Per la verità, la funzione esclusiva di cinematografo doveva essere attiva ancor prima della ristrutturazione del ‘65, come si evince da un articolo de “L’Eco” nel quale si legge che nell’ottobre del ‘51 il Nuovo era già totalmente adibito a cinema (6). E’ dunque plausibile pensare che in un primo momento il cinematografo fosse affiancato all’attività teatrale.

Scompariva così, inghiottito dalle ruspe, il vecchio e glorioso teatro (del quale restava ormai solo la facciata verso Largo Belotti), per far posto a una moderna sala attrezzata quasi come un Cinerama: riaperti i battenti il 2 dicembre del 1967, il primo film proiettato nel nuovo assetto fu l’americano “La battaglia dei giganti” in 70 mm. Technicolor, ultra-vision e con suono stereofonico, che poteva ora rivaleggiare con le migliori sale d’Italia. Il tutto, a sessant’anni anni dai primi tremolanti e grigi film muti.

Ricordata dalla Rivista di Bergamo come “una sala costruita ex novo dopo la completa demolizione di quella esistente: nulla più è rimasto, tranne la facciata verso largo Belotti, del vecchio e glorioso teatro che l’anziana generazione, baldanzosa nel primo triennio del secolo, nostalgicamente ricorda come “IL TEATRO” per antonomasia”. I lavori furono eseguiti dall’impresa edile Colleoni, su progetto dell’arch, Alziro Bergonzo, in collaborazione con il geometra Luciano Carzaniga. “Fautrice del rinnovamento, che ha dotato Bergamo di una sala moderna, la Società Teatro Nuovo” (l’immagine è tratta da La Rivista di Bergamo n. 12 – Dicembre 1966, pag. 17-19)

Il progettista della ristrutturazione interna fu il ben noto architetto bergamasco Alziro Bergonzo, che forte della progettazione del Manzoni di Milano, poté attenersi alle tecniche più aggiornate in materia di costruzione di sale cinematografiche.

Al tempo di tale radicale ristrutturazione, la gestione del Nuovo era affidata al comm. Giuseppe Spiaggia, figura di spicco in un settore che, dopo i fasti degli anni Cinquanta e in parte Sessanta, aveva già iniziato un cammino di fatale e drastico ridimensionamento.

La sala aveva ora milletrecento posti a sedere (980 in platea e 320 in galleria, successivamente ridotti a 900 per motivi di sicurezza) ed uno schermo di metri 13×6; da ogni poltroncina (tutte imbottite e ricoperte di stoffa blu, come quelle del Manzoni di Milano), la visibilità veniva favorita dalla platea ascendente verso lo schermo.

Sopra le pareti, anch’esse imbottite e ricoperte di stoffa, spiccavano appliques a più bracci che diffondevano un’illuminazione calda e confortevole; gli altoparlanti alle pareti assicuravano una perfetta stereofonia, favorita anche dalla spessa imbottitura di materiale acustico (ed ignifugo) delle pareti e dai pannelli assorbenti del soffitto, riflettenti il suono.

Gli impianti di proiezione, installati dalla Prevost, fornivano una proiezione limpida con fedelissima audizione del suono. Lo spazioso atrio d’ingresso era ricoperto in stucco lucido venato di tinta bluette. Altrettanto ampi i disimpegni (scale e servizi).

LA DECADENZA 

Dopo essere stato trasformato in cinematografo (indimenticabili, negli anni Settanta le Prime Visioni di Rocky e Jesus Christ Superstar, che tennero il cartellone per settimane), e dopo un periodo in cui aveva ospitato numerose compagnie di riviste, il Nuovo decadde sempre di più e, a partire dal ‘78, nel disperato tentativo di risalire un po’ la china si diede ai film a luci rosse. All’indomani dell’inaugurazione del “nuovo corso” la cassiera faceva sapere a un cronista del “Giornale di Bergamo” che “la morale e il prestigio sono una cosa, i guadagni un’altra; e non vi sono dubbi che i guadagni si fanno con i film porno, tanto che ora l’incasso quotidiano è superiore a tutte le più rosee previsioni”.

Locandina di ieri e di oggi (da “Comune di Bergamo, Piano di recupero ex teatro cinema Nuovo, angolo via Verdi/Largo Belotti”, Cit. nei Riferimenti)

In questi anni vi furono continue proteste, denunce e prese di posizione anche violente contro il dilagare dei film a luci rosse, che aveva contagiato anche altre sale della città (7). Anche il Ducato di Piazza Pontida non perse occasione, al “rasgamento della vecchia”, per bruciare sul rogo in piazza il cinema e la pornografia.

Nel 1983 i giornali annunciavano che presto si sarebbero spente le ‘luci rosse’ che fino ad ora avevano “fatto precipitare un teatro di fama come il Nuovo”. Ma la specie di stagione teatrale dedicata soprattutto a vedettes della canzone e del cabaret non servì a rianimare il locale, che nell’85 fu il primo a lanciare a Bergamo il noleggio di film in Vhs, seguito solo più tardi dai negozi “specializzati”: l’ennesimo fendente per le sale cinematografiche che, come quella del Nuovo, erano da tempo in agonia.

Nel luglio 2017 è stata avviata la dismissione delle poltroncine mediante un’operazione che prevedeva la vendita a fronte di un’offerta economica a beneficio dei Frati minori Cappuccini di Bergamo per la mensa dei Poveri; operazione che ha riscosso un notevole gradimento oltre ad aver generato una cospicua somma devoluta in beneficenza (da L’Eco di Bergamo, martedì 4 luglio 2017)

Dopo ripetuti tentativi di riqualificare il locale con programmazioni cinematografiche di livello, coinciso con la gestioni Nolli-Signorelli, nell’estate del 2005 il cinema Nuovo ha chiuso definitivamente i battenti. Col tempo le condizioni dell’edificio sono andate peggiorando ed anche il progetto, annunciato nel lontano 2017, di aprire al suo interno uno spazio dedicato alla gastronomia d’eccellenza, non è andato in porto anche a causa dell’elevato costo dei materiali edili necessari per la ristrutturazione.

NOTE

(1) “Il progetto che gli architetti Gattemayer e Albini avevano elaborato fu approvato da una commissione artistica presieduta dall’architetto Camillo Boito. Direttori dei lavori furono designati l’ingegner Caccia e il professor architetto Odoni”. (Luigi Pelandi, “La Rivista di Bergamo”, numero di giugno del 1926). Un’altra fonte indica, per quanto riguarda la gestione del teatro nel 1901, i nomi di Regazzoni – Givoli – Terzi (Comune di Bergamo, Piano di recupero ex teatro cinema Nuovo, angolo via Verdi/Largo Belotti. Relazione illustrativa generale, ottobre 2018. Progettista: Arch. Domenico Egizi).

(2) Nel resoconto di Luigi Pelandi, “I due impresari avevano acquistato alcuni mesi prima un migliaio di metri quadrati di terreno dal dottor Giovanni Piccinelli, spinti dal miraggio di certa fortuna nell’esercizio di un teatro moderno a Bergamo, dopo la soppressione del Teatro Rossi e la demolizione del Teatro Givoli, l’ordine contrattuale disponeva che il teatro fosse completamente finito per essere aperto al pubblico sei mesi dopo. Gli appaltatori dovevano a varie rate pagare L. 86 mila. Il conte Gabriele Camozzi ne assumeva la garanzia del pagamento. Ma il lavoro non era al secondo mese che già subiva soste impressionanti e da lì diffide e controdiffide causate da varie ragioni. Al febbraio del 1898 i lavori erano di ben poco proseguiti e già gli appaltanti avevano dato in anticipo poco meno della metà della somma dovuta! Del febbraio di quell’anno è un primo atto di citazione; il mese dopo la prima sentenza, e poi perizie e contro perizie e sentenze e ricorsi fino al giugno del 1899, senza che nel frattempo si procedesse gran che nella costruzione. Finalmente, in seguito a una vigorosa azione spiegata dai signori Carnazzi e Givoli, il Teribunale di Bergamo autorizzava i medesimi a condurre a termine la costruzione del Politeama e condannava i due appaltatori nei danni e nelle spese. Ricorrevano questi in Appello e poi in Cassazione, ma in tutti i giudizi rimanevano soccombenti. Carlo Ceresa rilevava il teatro; pochi anni dopo lo faceva portare finalmente a termine ai primi del marzo 1901..” (Luigi Pelandi, “Attraverso le vie di Bergamo scomparsa. II. La strada Ferdinandea”.  Banca Popolare di Bergamo. Co-Editore: Edizioni Bolis. Bergamo, 1963. Collana di studi bergamaschi).

(3) Luigi Pelandi,La Strada Ferdinandea, Ibidem.

(4) Luigi Pelandi,La Strada Ferdinandea, Ibidem.

(5) Domenico Lucchetti, “Bergamo nelle vecchie fotografie”. Grafica Gutemberg, 1976.

(6) Un articolo de “L’Eco di Bergamo” datato 6 Ottobre 1951 informa che già a quella data il Nuovo era totalmente adibito a cinema. “…inavvertita è passata da breve tempo la ricorrenza cinquantenaria di un teatro cittadino che ha avuto una non ingloriosa storia nella vita cittadina per tutta la prima metà del nostro secolo. Ci riferiamo al “Teatro Nuovo”, ora totalmente adibito a cinema”.

(7) “Le proiezioni avevano suscitato un mare di polemiche. In particolare nel 1976 c’erano state non poche pubbliche proteste per la proiezione al Capitol di Mondo porno oggi, un lungometraggio “a sensazione su quel che si fa nel mondo quanto a sesso e perversioni sessuali”. Lettere di cittadini indignati ai giornali, anche una sfilata per le vie della città. Su un grande cartello la scritta ‘Basta con le donne oggetto di film pornografici’. Un anno più tardi il Nuovo fu denunciato per l’esposizione di una locandina oscena (Erotic sex Orgasm, il titolo del film)…” (Pilade Frattini e Renato Ravanelli, “Il Novecento a Bergamo – Cronache di un secolo”. A cura di Ornella Bramani – Vol. II. UTET. Anno 2013).

Riferimenti principali

Pilade Frattini e Renato Ravanelli, “Il Novecento a Bergamo – Cronache di un secolo”. A cura di Ornella Bramani – Vol. II. UTET. Anno 2013.

La Rivista di Bergamo n. 6 – Giugno 1926.

La Rivista di Bergamo n. 12 – Dicembre 1966.

Umberto Zanetti, “Bergamo d’una volta”. Ed. Il conventino, 1983.

Luigi Pelandi, “Attraverso le vie di Bergamo scomparsa. II. La strada Ferdinandea”.  Banca Popolare di Bergamo. Co-Editore: Edizioni Bolis. Bergamo, 1963 (Collana di studi bergamaschi).

Comune di Bergamo, Piano di recupero ex teatro cinema Nuovo, angolo via Verdi/Largo Belotti. Relazione illustrativa generale, ottobre 2018. Progettista: Arch. Domenico Egizi.

Ultima modifica 26/02/2023

Il Teatro Sociale

Il Teatro della Società (questo il suo nome originario) nacque sull’onda della competizione tra la Città e i Borghi, come iniziativa secessionista da parte della costola aristocratica del Teatro Riccardi, con il preciso intento di restituire alla Città quella supremazia che il nuovo teatro le insidiava.

L’ANTEFATTO

Nel 1790, per finanziare la costruzione del “suo” teatro, nella Città Bassa, il costruttore Bortolo Riccardi fu costretto (con atto notarile del 30 giugno 1790) a vendere la proprietà dei palchi, esigendo che il canone normalmente pagato per il solo periodo della Fiera, fosse corrisposto tutto l’anno. In cambio assicurava ai palchettisti che del teatro ne avrebbero beneficiato in futuro. Gli acquirenti del tempo erano i membri delle grandi famiglie nobili, talvolta dell’alta borghesia. Ma arrivò il momento in cui, stanchi di pagare per le stagioni fuori dalla fiera, il Bortolo dovette scontrarsi con le loro pretese : nel 1802 ne scaturì un contenzioso, che portò molte famiglie nobili ad abbandonare il progetto del Riccardi e ad unirsi per erigere in autonomia un proprio teatro in Città Alta, a pochi passi dalle loro dimore. Promotori dell’iniziativa, il conte Luigi Vailetti di Salvagno e 53 esponenti delle più importanti casate nobiliari della città, una ventina almeno dei quali, proprietarî di palchi al Riccardi.

Vi erano anche ragioni socio-politiche che stavano favorendo questo processo: il territorio orobico era appena entrato a far parte della seconda Repubblica Cisalpina, e con la dominazione napoleonica, superate le ricorrenti contese interne al cosiddetto “corpo nobiliare” per il possesso dei palchetti, i tempi erano maturi per portare a compimento il progetto di un teatro a conduzione collettiva, “il primo nella storia della città, per la quale tale progetto era rimasto per quasi un secolo una semplice chimera” (1).

Presto la Città Alta sarebbe rimasta senza un edificio consono agli spettacoli del Carnevale, perché il  Cerri, l’unico teatro esistente sul colle – una struttura lignea provvisionale eretta nella Sala Maggiore del Palazzo della Ragione – di lì a qualche anno avrebbe dovuto essere smantellato (2). Dalla fine del Settecento infatti, era andata consolidandosi, all’interno dei bastioni, la consuetudine di assicurare l’intrattenimento carnevalesco per i nobili, i patrizi e i borghesi della Città, che prendeva avvio il 26 dicembre di ogni anno: la Città non poteva certo rinunciare a un suo teatro, che anche a Bergamo, come in altre città italiane nell’Ottocento, era il cuore pulsante dell’attività ricreativa e sociale, oltre che, naturalmente, un luogo di rappresentanza sociale e politica (anche al Sociale passeranno autorità, personaggi noti, star nazionali e internazionali, soprattutto i cantanti d’opera: i veri divi dell’epoca). C’era un altro buon motivo, seppur secondario, per costruire il teatro nel cuore di Città Alta, a un passo da piazza Vecchia: era infatti scomodo scendere, sia pure in carrozza, a Bergamo bassa per assistere a qualche spettacolo teatrale; ancor più scomodo e faticoso poi risalire. E soprattutto, con la pioggia o con la neve era anche pericoloso.

Tra il 1806 e il 1809, in Bergamo alta venne costruito il Teatro della Società, su progetto di L. Pollack, Di pregevole architettura, questo teatro, sorto per iniziativa di un gruppo di nobili, fu soprattutto un segno dell’ormai consolidata destinazione della Città Alta a residenza della nobiltà terriera. Per molti anni, il Teatro della Società assicurò l’intrattenimento carnevalesco per i nobili, i patrizi e i borghesi della Città, rappresentando per molte generazioni il cuore pulsante della vita artistica e culturale entro le mura

Seguendo la consuetudine, il Teatro della Società fu dunque inaugurato il 26 dicembre 1808, con l’avvio della stagione di Carnevale.

Liti, da allora, per questioni di priorità e di prestigio. Dispute al limite del duello, persino: nelle stagioni di punta, le sale del Sociale e del Riccardi entrarono immediatamente in concorrenza sul terreno dell’opera (tra il 1810 e il 1814), alimentando e rispecchiando al tempo stesso quella situazione di conflitto esistente fra gli abitanti di Città e quelli del Borgo. Tuttavia, sostanzialmente, a parte alcune deroghe, non venne messo in discussione l’avvicendamento gerarchico tra i due teatri: il Carnevale apparteneva al Sociale e ovviamente la Fiera al Riccardi (3) e per assicurarsene, il Sociale fece addirittura in modo che tale tregua venisse imposta d’ufficio (1819), evitando quantomeno la gara operistica nei periodi suddetti (in più limitando la propria offerta concorrenziale al teatro parlato, reputato di rango inferiore), ed evitando quindi un enorme dispendio economico che il Sociale non poteva sostenere.

Il 3 marzo del 1803 si procedette alla stesura di un documento a cura del notaio Tiraboschi, nulla fu lasciato al caso e tutto fu messo su carta bollata. Ciascun sottoscrittore depositò la somma di cinquemila lire: quota che, moltiplicata per 54 soci, arrivava a 270.000 lire, da pagarsi in due rate.

Una deputazione teatrale eletta dalla neonata società si occupò della scelta del luogo, dell’acquisizione e predisposizione del terreno e della commissione di un progetto all’architetto prescelto (Pollack, che lo data 7 dicembre 1803); progetto che prevedeva tre ordini di palchi e un loggione; ci sarebbero stati anche una biglietteria, una sala da caffè, una stanza delle riunioni dei soci, una o due sale di Ridotto utili all’accoglienza del pubblico nelle pause degli spettacoli.

Per costruire il teatro, fu ricavato un sito apposito nell’edificatissima Città alta, perseguendo con determinazione una frettolosa politica di acquisti, demolizioni dei fabbricati preesistenti e costruzioni, non sempre suggellata dalle necessarie autorizzazioni governative.

Il Teatro Sociale (edificio a destra) nacque in un luogo centralissimo di Città Alta, compreso tra la Corsarola (via Colleoni), vicolo Ghiacciaia e l’ex Palazzo del Podestà Veneto, che allora ospitava il Tribunale Giudiziario. L’area occupata da botteghe e vecchie e “malsane” case di proprietà pubblica e privata fu acquistata dai deputati. L’acquisto e l’abbattimento di queste, non privo di irregolarità amministrative, lasciò spazio al nuovo edificio

Pochi mesi dopo, e cioè alla fine del 1804, iniziarono i lavori, che si conclusero nel 1808 sotto l’egida di Antonio Bottani, il quale aveva sostituito il Pollack dopo la sua morte, avvenuta nel 1806. Il 16 aprile 1808 vi fu la stesura e l’approvazione del regolamento per l’estrazione dei palchi, effettuata il 30 luglio; il 26 dicembre 1808, vi fu l’inaugurazione del Teatro della Società, il primo teatro di Città Alta costruito interamente in muratura.

Il progetto per il nuovo teatro era stato dunque affidato a Leopoldo Pollack che, tra gli architetti più celebri del periodo Neoclassico, era già esperto di costruzioni teatrali, forte sia del bagaglio accumulato con Piermarini (il progettista della Scala di Milano), di cui era stato allievo, e sia per la sua esperienza diretta (progetto per il Teatro di Vienna, dei Filodrammatici a Milano). Era inoltre ben conosciuto a Bergamo per aver realizzato il palazzo Agosti Grumelli di via Salvecchio e Ia villa Pesenti Agliardi di Sombreno (committente Pietro Pesenti, che aveva ricoperto, tra il febbraio e l’aprile del 1798, la carica di Presidente dell’Amministrazione del Dipartimento del Serio, la maggior carica politica locale). La scelta di un progettista così raffinato e prestigioso, era indicativa di quanto la competizione con il “Riccardi” si palesasse, oltre che sul piano musicale, anche su quello architettonico.

Il 22 maggio 1808 venne stilato lo Statuto della Società. L’assegnazione dei palchi fu effettuata, come detto, il 30 luglio 1808. Palchi che appartenevano ai 54 nobili bergamaschi che si erano associati per costruire il Teatro, e ai quali vennero assegnati attraverso un sorteggio, contrariamente a quanto avvenuto al Teatro Riccardi: una scelta frutto delle correnti repubblicane giunte a Bergamo con i francesi a fine Settecento dopo la Rivoluzione. Qualora la posizione estratta per il palco di I o II ordine non si fosse ritenuta soddisfacente, si sarebbe potuto optare per un palco di III fila, o per uno rifiutato da altri in I e II ordine.

L’INAUGURAZIONE

L’inaugurazione ufficiale avvenne il 26 dicembre 1808 con un’opera d’eccezione per quei tempi: Ippolita regina delle Amazzoni, commissionata appositamente a Stefano Pavesi; direttore d’orchestra e primo violino fu Antonio Capuzzi accompagnato da un ottimo cast d’interpreti, tra cui il celebre soprano Adelaide Malanotte e il grande tenore bergamasco Domenico Donzelli.

L’avvenimento ebbe un grande successo di pubblico e registrò il tutto esaurito, fatto rilevante considerando che agli inizi dell’Ottocento Bergamo contava circa 30.000 abitanti ed il nuovo teatro era, per capienza, uno dei maggiori d’Italia.

Qualche giorno dopo sarebbe stata la volta di Ginevra di Scozia di Giovanni Simone Mayr. Un bel cartellone che, naturalmente, alimentava la rivalità con il Teatro Riccardi.

Sia Ippolita regina delle Amazzoni che Alfredo il Grande di Mayr (quest’ultima un’opera del 1820), furono commissionati dal Sociale, prestigio non comune ad altri teatri di pari livello nel corso dell’Ottocento.

A memoria di quella serata resta ancora un manifesto con decreto prefettizio emesso per l’occasione, in cui si ordinava che le carrozze, sia provenienti dai borghi che da Città Alta, compissero un percorso ben preciso per evitare ingorghi. Si decise inoltre che il portico del Palazzo della Ragione restasse a disposizione dei mezzi per la sosta temporanea fino a fine spettacolo. Quella sera centinaia di candele misero in risalto le decorazioni.

Nel marzo del 1816 Bergamo ricevette per la prima volta un imperatore, Francesco I d’Austria (reduce da Milano dove si era recato nel dicembre precedente per essere incoronato Re), accompagnato dall’impetratrice Maria Ludovica. I sovrani furono a Bergamo dall’11 al 15 marzo e godettero dell’ospitalità dei marchesi Terzi, nel sontuoso palazzo di Città Alta. La sera del 14 l’imperatore si recò al teatro Sociale ad ascoltare una cantata appositamente scritta da Mayr. Dato che il teatro, così come il “Riccardi”, era sprovvisto di un palco reale (progettato ma mai realizzato), per accogliere l’augusto ospite era stato costruito un palco nuovo di zecca, ricavato dai palchi centrali del II ordine sopra la porta. All’interno era stata messa una grande specchiera. Con spesa notevole, il Sociale si illuminò a giorno. Tutto contribuì ad accogliere con gioia l’imperatore

UN LENTO MA INESORABILE DECLINO

Dopo i primi anni di brillante attività, arrivarono periodi difficili. Tutto si complicò quando nel 1856, a causa delle difficoltà economiche dovute alle vicende belliche e politiche di quegli anni, il Comune di Bergamo decise di tagliare un contributo annuale utile al sostentamento del teatro (la famosa dote). Realizzare gli spettacoli era, infatti, oneroso e le sole quote dei proprietari di palco non bastavano. Cominciò dunque un lento e inesorabile declino, che costrinse il teatro a ripiegare sulla prosa (il teatro parlato era reputato di rango inferiore), o su eventi di secondaria importanza (già nel 1864 si tenne solo qualche concerto di studenti del Conservatorio di Milano). Il tutto però, nonostante le sporadiche aperture dell’ultimo ventennio, non impedì al Sociale di mettere in campo qualche rappresentazione operistica di grande rilievo.

Verso la fine dell’Ottocento, le difficoltà del Sociale erano ormai divenute l’emblema di quelle della Città Alta. Già durante gli anni austriaci la costruzione dei Propilei di Porta Nuova (1837) e della strada Ferdinandea (1838), ma soprattutto della stazione e del relativo collegamento ferroviario con Milano (1857), costituivano altrettante tappe dell’emancipazione della Città Bassa, coronate nel 1874 col trasferimento del Municipio.

Via Torquato Tasso con in primo piano il palazzo della Prefettura (ripresa del 1908). Nell’ultimo quarto dell’800, la Città Bassa si fa sempre più attrattiva, accelerando il trasferimento degli edifici pubblici, costruiti in stile tardo-neoclassico lungo il corso del Sentierone: tra il 1864 e il 1871 vengono edificati il Palazzo della Prefettura e quello della Provincia, mentre nel 1874 il Municipio lascia la sede di Piazza Vecchia per il nuovo centro, che dopo l’Unità d’Italia comincia ad essere popolato da banche. Nel frattempo, anche la stessa nobiltà tende a spostare le proprie abitazioni verso la città bassa, dove, come in via Torquato Tasso, si innalzano nuovi gruppi di edifici. La stessa sorte riguarda la via XX Settembre e tutta l’area a sud delle Muraine

E nonostante l’apertura della funicolare (1887), avesse migliorato i rapporti tra le due parti di città, le fortune del Sociale continuarono ugualmente a declinare. Emblematico in questo senso fu la sostanziale marginalità del Sociale alle celebrazioni donizettiane del 1897, che ebbero invece nel Riccardi e Città Bassa centro e sfondo.

Anche l’apertura intorno al 1890 di due nuovi locali nel centro della città, il Rossi e il Givoli, che offrivano spettacoli definiti dagli intenditori del tempo “profanazioni artistiche”, ma di facile successo, certamente non giovò alle fortune del Sociale.

Verso la fine dell’800 e nel primo decennio del secolo successivo la sala (sottoposta a restauri nel 1902, visibili nella stagione 1903; poi nel 1907, per il 1908) aprì anche a generi nuovi come l’operetta (1898, dal 1908), o addirittura a esibizioni di moderna tecnologia quali il grammofono (1898) e il cinematografo (dal 1908) che, se in altre condizioni potrebbero essere segnali d’apertura alle novità, in quel contesto di vita sempre più difficoltosa appaiono come ripieghi su repertorî meno impegnativi finanziariamente.

Si può dire che il Sociale fu attivo, seppur con alterne fortune, fino agli anni Venti del Novecento: a parte qualche glorioso sussulto nelle stagioni 1915, 1921, ’22 e ’24, le aperture del Sociale si fecero sempre più sporadiche: l’ultimo allestimento operistico si tenne nel 1929, con Il barbiere di Siviglia di Rossini, mentre gli ultimi spettacoli risalgono al 1932 (anno della chiusura definitiva), dopodiché venne abbandonato a un inesorabile degrado, una sorta di riflesso del declino di Città alta come centro propulsore della vita sociale e culturale di Bergamo.

Il Teatro Sociale prima dei lavori di restauro del 2006

La storia successiva fu segnata soltanto da progetti di demolizione, avventuristiche intenzioni di riuso e continui passaggi di proprietà (4). Questo mentre l’abbandono e il degrado si facevano sempre più preoccupanti, almeno fino all’acquisizione dell’immobile da parte del Comune di Bergamo (1976) e ai lavori di manutenzione straordinaria e messa in sicurezza compiuti tra il 1978 e il 1981 (spostata la mensa universitaria in precedenza collocata al primo piano, venne eseguito il rifacimento del tetto, ormai prossimo al crollo, ed in seguito il restauro delle facciate esterne e di parte dei locali interni).

Il degrado delle decorazioni dei palchi

Da allora, lo spazio ha ospitato soprattutto esposizioni (mostre d’arte e varie manifestazioni culturali), sino all’inizio dell’intervento di restauro, intrapreso per iniziativa congiunta del Comune e della Sovrintendenza a partire dal 2006.

Grazie  al recupero dell’edificio alla destinazione originaria (2006-2009) il teatro è rinato, ospitando lirica, prosa, festival jazz ed altri spettacoli. La sua vitalità attesta oggi una nuova centralità di Città Alta, e l’ormai raggiunta integrazione di entrambe le entità cittadine: la città antica e i borghi cresciuti alle sue falde.

LE ATTIVITA’ DEL SOCIALE NELL’OTTOCENTO

Sull’onda della competizione con il Teatro Riccardi di Città bassa, il Sociale fu memorabile sede di rappresentazioni operistiche di autori di grande levatura musicale, quali Rossini, Verdi, Ricci, Ponchielli, Mayr e del suo allievo Gaetano Donizetti, sovente accompagnate da interpreti di fama (a tal proposito si ricordano le buone stagioni tra il 1809 e il 1840).
Importanti furono le rappresentazioni di opere inedite per Bergamo: nel primo anno di attività del Sociale, Mayr con l’Oratorio di Haydn Die Schöpfung, del 1798; nel 1860, Pacini con Stella di Napoli.

Nel 1809, grazie al suo Maestro Simone Mayr (che dal 1806 aveva fondato le Lezioni Caritatevoli rivolte a ragazzi indigenti dotati di talento musicale) un giovanissimo Gaetano Donizetti calcò il palcoscenico del Sociale in qualità di corista, nell’Oratorio di Franz Joseph Haydn La Creazione del mondo, mentre nel 1814 subentrò come secondo basso buffo ad un certo punto della stagione di Carnevale. Nel 1830 il palco del Sociale fu il primo a Bergamo ad ospitare un’opera di Gaetano Donizetti: L’Ajo nell’imbarazzo. Non ebbe un gran successo, ma Gaetano non ci restò male, perché forte del consenso ottenuto in tutta Italia (Gaetano Donizetti – Autoritratto)

La sala del Sociale condivise inoltre col teatro Filarmonico di Verona l’onore di tenere a battesimo la ‘prima’ italiana dei Masnadieri di Verdi, dati simultaneamente in entrambe le sale a partire dal 26 dicembre 1847, un privilegio concesso alla ‘piazza’ bergamasca, in cui si pensa abbia giocato un qualche ruolo Alfredo Piatti (che non solo aveva preso parte alla ‘prima’ londinese dell’opera, il 22 luglio 1847, ma per il quale Verdi aveva concepito il Preludio come pagina per violoncello concertante).

Va ricordato, tra i tanti che si esibirono al Sociale, anche il violoncellista Alfredo Piatti (1822-1901), che nel 1831 suonò come solista e che, nonostante fosse chiamato in tutta Europa, negli anni sarebbe tornato più volte a Bergamo

Anche i balletti e la prosa ricoprirono un ruolo rilevante grazie alla presenza di importanti compagnie, tra gli spettacoli di teatro parlato, va menzionata (1816) la farsa del grande Farinelli, L’effetto naturale.

Grande figura di spicco nel corso di quegli anni al Sociale, fu il grande compositore bavarese Johann Simon Mayr, coinvolto fin dalla stagione inaugurale nelle attività del Sociale, che fece da cornice a un’iniziativa straordinaria: l’esecuzione, da parte di Mayr, di una partitura molto impegnativa, il già citato Oratorio di Haydn Die Schöpfung (1798), nella traduzione italiana di Giuseppe Carpani (La creazione del mondo), iniziativa che ebbe risvolti importanti per la realtà musicale bergamasca di quegli anni.

Si trattava di una delle sue prime esecuzioni italiane, se non della prima integrale; era accompagnata da un vero e proprio ‘programma di sala’, così come lo intendiamo oggi; vedeva la collaborazione tra professionisti, l’orchestra, (più o meno la medesima delle funzioni più importanti di S. Maria Maggiore) e studenti della neonata scuola di musica fondata e diretta da Mayr, e aperta nel 1806, compresi i ragazzi del Conservatorio, tra i quali Gaetano Donizetti. Con la sua iniziativa, Mayr si proponeva finalità didattiche (era un’ opera dotata di grande valore formativo) e filantropiche (la costituzione di un fondo di solidarietà per musicisti, il Pio Istituto Musicale), nell’ottica dell’ex allievo del collegio gesuitico di Ingolstadt e illuminato propugnatore di ideali educativi, che nel Regno napoleonico d’Italia trovavano terreno fertile.

Fra le altre iniziative vi fu anche la riproposta di un titolo recente ma ormai ‘classico’ del suo catalogo come Ginevra di Scozia, che Mayr aveva riveduto con la sostituzione o l’aggiunta di nuovi ‘numeri’.
Anche negli anni seguenti Mayr partecipò direttamente ad alcune stagioni carnevalesche, come accadde, ad esempio, nel 1819, quando la sua Lodoiska fu ripresa arricchita di nuovi brani da lui scritti per la circostanza. L’anno dopo debuttava addirittura una sua opera nuova appositamente commissionata, Alfredo il Grande re degli Anglo-Sassoni, per la quale nel febbraio 1820 riceveva i complimenti dell’amica Adelaide Malanotte.

Tra gli ospiti illustri va ricordato anche Niccolò Paganini, che calcò il palco del teatro per ben tre volte: funambolico, geniale e sorprendente con il suo violino, regalò al Sociale un grande spettacolo. Nel 1876 vi si esibirono anche Le dame Viennesi, un’orchestra di sole donne che richiamò a teatro molte signore eleganti incuriosite dall’evento.

Il 12 settembre 1885 si organizzò un concerto per l’inaugurazione del monumento a Giuseppe Garibaldi, appena posizionato in Piazza Vecchia (dove era stato posto il 15 settembre). Per l’occasione, sul palco del Sociale venne posto un busto dell’eroe contornato di trofei di bandiere e molti fiori. Il monumento verrà poi trasferito alla Rotonda dei Mille, il 20 settembre del 1922, perché non piaceva ai bergamaschi

IL PROGETTO DEL SOCIALE, UN TEATRO ALL’ITALIANA 

Leopoldo Pollack, Progetto del Teatro Sociale, sezione longitudinale (Bergamo, Biblioteca Civica Angelo Mai e Archivi storici). Il progetto originale di L. Pollack si compone di dieci tavole acquerellate

Pollack poté solo in parte adottare le nuove strategie che si andavano diffondendo in quegli anni: impossibilitato dalla strettezza di via Corsarola a corredare l’edificio di facciata monumentale, portico, colonnato o quant’altro avrebbe permesso di identificare un teatro a colpo d’occhio – come fu per la Scala di Piermarini – egli dovette accontentarsi di una facciata elegante sì, ma senza soluzione di continuità con i palazzi limitrofi. Solo gli elementi decorativi, attinenti al mondo delle arti teatrali, attestavano la sua natura di luogo deputato a pubblici spettacoli.

Il Teatro Sociale è un complesso di eccezionale qualità architettonica e occupa Ia maggior parte del grande isolato che ha il fronte maggiore su piazza Vecchia e che comprende anche il Palazzo del Podestà e il Palazzo dei Giuristi. Ha l’ingresso principale sulla via Colleoni e accessi dai due Iati di piazza Vecchia e vicolo Ghiacciaia. La conformazione della strada ha fatto sì che il teatro non avesse una facciata o, meglio, ne ha una molto semplice, visto che la Corsarola è, ed è sempre stata, una strada troppo stretta per costruirne una imponente. E dato che non c’era un portico per accogliere il pubblico, le carrozze si dirigevano verso il secondo ingresso posizionato sul lato sinistro raggiungibile da Piazza Vecchia, affacciato su un cortile dal quale si raggiungeva il foyer attraverso un corridoio

Nonostante ciò, col suo prospetto elegante e decorato, il Sociale si presentava all’esterno con tratti di dignità ben diversi dal Riccardi che, visto da fuori, dava l’idea di un pachiderma goffo e sgraziato. Inoltre, rispetto al Teatro alla Scala, alla Canobbiana di Milano, al Teatro di Monza e al Riccardi (attuale Teatro Donizetti) era il quarto per grandezza in Lombardia.

Leopoldo Pollack, Progetto del Teatro Sociale, facciata (Bergamo, Biblioteca Civica Angelo Mai e Archivi storici)

L’INTERNO

Pollack decise per un teatro all’italiana, con più ordini di palchi, che realizzava l’esigenza di visibilità pubblica delle classi aristocratiche e dei loro rapporti gerarchici.

Leopoldo Pollack, Progetto del Teatro Sociale, sezione trasversale (Bergamo, Biblioteca Civica Angelo Mai e Archivi storici). Vi sono collocati tre ordini di palchi, una grande galleria e una spaziosa platea, per una capienza complessiva di circa 1300 spettatori

Quanto all’impianto della platea, Pollack scelse di non ripetere la pianta a forma di cavallo dominante a quel tempo, optando invece per una più ricercata ed elegante forma ovale probabilmente di ispirazione francese. L’abbinamento di questa forma con lo sviluppo verticale dei palchi costituisce forse l’aspetto più originale del progetto.

Leopoldo Pollack, Progetto del Teatro Sociale, pianta (Bergamo, Biblioteca Civica Angelo Mai e Archivi storici)

Ottima l’acustica, grazie anche alle strutture costruite totalmente in legno.

I PALCHI

Gli 82 palchi sono distribuiti su tre ordini sovrapposti, sui quali insiste un quarto ordine di loggione.

Dietro ad ogni palco (di proprietà di una famiglia nobile) c’erano anche i camerini, piccoli ambienti di servizio, uno spazio privato a disposizione della famiglia

 

Come per il Teatro Donizetti, anche qui non c’è il palco reale, o palchettone, grande il doppio rispetto agli altri e tradizionalmente utilizzato per ospitare le autorità. Venne progettato ma mai realizzato

Pollack progettò i parapetti lignei dei palchi secondo una linea continua, come Piermarini aveva fatto per la Scala; essa dà risalto alla dimensione orizzontale degli ordini di palchi (rispetto a quella verticale evidente invece nella sezionatura a balconcino derivata dal modello del Bibiena), e conferisce alla forma complessiva della sala una armoniosa uniformità di impronta classica.
I parapetti lignei erano ricchi di decorazioni policrome, spesso sgargianti, come i colori delle pareti interne ornate talvolta anche con finti marmi, e in contrasto con i materiali poveri della pavimentazioni e delle volte a calce.

Le finestre del Ridotto si affacciano sulla Corsarola, la strada principale di Città Alta, nata sul decumano romano e ricca di notevoli resti archeologici. Lo spazio del Ridotto è oggi dedicato a incontri, eventi e conferenze stampa. Gli ambienti attuali sono il frutto del massiccio intervento di restauro avviato nel 2006

L’APPARATO DECORATIVO

Cospicue furono le spese per la decorazione: le decorazioni del soffitto e i parapetti furono eseguite da Vincenzo Bonomini e Francesco Pirovani. Bonomini, decoratore e figurista di talento, aveva anche proposto un progetto per la decorazione della volta, poi non approvato perché gli fu preferita quella a carattere figurativo di Lattanzio Querena, autore anche della medaglia della volta.

Il sipario fu dipinto da Carlo Rota con una veduta di piazza Vecchia e in collaborazione con altri artisti, come Francesco Pirovani e Domenico Minozzi; gli addobbi, sontuosi perché si voleva che la sala fosse una delle migliori esistenti

I RESTAURI DEL 1830

Nel 1830 i fondatori vollero perseguire un progetto di rinnovamento del teatro. L’operazione fu affidata ad Alessandro Sanquirico, celebre scenografo della Scala, che ridipinse sia i fregi dei parapetti dei palchi, che le decorazioni del loggione. La sala, inoltre, fu illuminata da una “ricca lumiera”, una nuova luce che permetteva agli spettatori di vedere meglio le scenografie, i costumi, il trucco degli artisti. Sarebbe così diventato più facile apprezzare il nuovo sipario dipinto da Cesare Maironi Da Ponte, che aveva studiato all’Accademia Carrara, oppure le scene di Luigi Deleidi o Pietro Ronzoni.

I RESTAURI DEL 2006-2009

L’intervento di restauro, completato nel maggio del 2009, ha consegnato alla città un teatro storico completamente recuperato alla sua originaria vocazione teatrale, attraverso un rinnovamento dei luoghi e degli apparati decorativi nonché un consolidamento generale delle strutture.

Prima dell’inizio dei lavori, il complesso architettonico del Teatro versava in una condizione di degrado molto avanzato: le file dei palchi, ormai pericolanti per l’incuria del tempo, erano inagibili; la zona della platea ed i locali del teatro avevano subito rimaneggiamenti e non rispondevano alle normative attuali. Lo stato di abbandono seguito alla chiusura del teatro fu però  anche la sua fortuna perché non furono eseguiti i tipici interventi distruttivi degli anni Sessanta

Direttore dei lavori, nonché progettista del recupero è stato l’Architetto Nicola Berlucchi, che ha improntato l’intero progetto ad un’armonica mediazione tra storico e moderno, con il preciso intento di mantenere le caratteristiche storiche e culturali del Teatro, comprese quindi tutte le decorazioni originali e le funzionalità previste nell’800.

Il Teatro Sociale prima dei lavori di restauro del 2006

Allo stesso tempo è stato garantito il rispetto delle normative di sicurezza, anche attraverso la realizzazione di nuovi vani scala non visibili dall’interno del teatro, o installando sotto la platea una vasca da 110 mila litri d’acqua come strumento antincendio.

Restituire il Sociale alla sua originaria vocazione teatrale ha significato anche l’allestimento di una moderna macchina scenica, con un nuovo palcoscenico in cui è stata inserita una struttura in acciaio (graticcia) composta da arcate del peso di 35 tonnellate, a rinforzo di quella esistente in legno.

La fossa orchestrale è stata dotata di una piattaforma meccanica elevabile su tre livelli.

Si è proceduto al rifacimento delle pavimentazioni del foyer, al restauro delle pareti, dei soffitti e delle finiture superstiti, e del nuovo portone di accesso.

Si sono attuati il ripristino dei primi tre ordini di palchi (per un totale di circa 550 posti), sezionati mediante nuove pareti divisorie, secondo il disegno originale.

S’è provveduto inoltre al rinforzo dei parapetti lignei dei palchi, cui sono stati apportati discreti ritocchi integrativi mediante un lavoro di ebanisteria, fissaggio e protezione delle decorazioni e ripresa delle lacune.
Anche per i pilastri e i controsoffitti s’è proceduto con un restauro ligneo e pittorico.

Per il quarto ordine, il loggione, è stato previsto il consolidamento statico, al fine di renderlo in futuro, tramite semplici operazioni di completamento, facilmente disponibile all’accesso del pubblico.

Al posto della vecchia cupola, che era crollata a causa delle intemperie, si è optato per una copertura a capriate di legno, che permette un’acustica migliore ed è peraltro più affascinante di un coperchione sul quale avrebbero dovuto correre pitture e decori finti.

Infine, da annoverare la realizzazione degli impianti di riscaldamento e raffreddamento, il rifacimento dell’impianto elettrico e di illuminazione, la predisposizione di adeguati servizi igienici ed infine la realizzazione di tre nuovi livelli di camerini, alla destra del palcoscenico.

Oggi il Teatro Sociale è utilizzato dalla Fondazione Teatro Donizetti per la messinscena di alcuni spettacoli di prosa e di opere liriche e per lo svolgimento di concerti jazz. È, inoltre, la location principale per la rassegna di Altri Percorsi.

NOTE

(1) Spiega Francesca Fantappiè che “Tali discordie, nel caso in cui veniva proposta la realizzazione di un teatro stabile si palesavano regolarmente al momento della distribuzione dei palchetti (…) Il possesso di un palchetto era sinonimo di uno status sociale e le contestazioni relative alla sua assegnazione erano comuni, come dimostra il caso veneziano meglio noto come «guerra dei palchi». Nel corso dei dieci anni in cui il Teatro Cerri “rimase attivo, nuove e più coese istanze sociali portarono al compimento del Teatro Sociale, un teatro a conduzione collettiva” (Francesca Fantappiè, «Per teatri non è Bergamo sito». La società bergamasca e l’organizzazione dei teatri pubblici tra ’600 e ’700. Copyright © 2010 by Fondazione per la Storia Economica e Sociale di Bergamo).

(2) Il Teatro Cerri era staro costruito nella Sala Maggiore del Palazzo della Ragione per sostituire il distrutto Teatro di Cittadella (anch’esso provvisionale) con la riserva che restasse attivo per soli dieci anni: 1797-1807 (Francesca Fantappiè, «Per teatri non è Bergamo sito», Ibidem).

(3) L’attività scenica si distribuiva su periodi precisi, che dalla fine del Settecento coinvolse principalmente due stagioni: quella di Carnevale, che si svolgeva tra dicembre e febbraio, e quella della Fiera, che si svolgeva invece tra agosto e settembre. Per l’esattezza, l’inizio della stagione del Carnevale cadeva il 26 dicembre, per cui ad esempio la dizione ‘carnevale 1810’ significava che i suoi spettacoli potevano principiare a partire dal 26 dicembre 1809.

(4) Nel ‘38 lo acquistò il Partito Nazionale Fascista ma le cose non migliorarono. Il Sociale rischiò più volte di essere abbattuto: ben due progetti proposero di abbattere tutto tranne la parte del foyer e delle sale nobili. Fortunatamente il progetto non si concretizzò; con l’inizio della II Guerra Mondiale non ci furono più fondi a disposizione. Passò poi al Demanio dello Stato, ma la situazione continuò ad essere critica per il teatro: nel 1947 e nel 1961 altri due progetti proposero di trasformarlo in un cinema. Nel 1963 venne comprato dalla Parrocchia del Duomo e nel 1976 dal Comune di Bergamo (www.teatrodonizetti.it).

Riferimenti

Paolo Fabbri, Le due città (tratto da Il Teatro Sociale di Bergamo. Vita e opere, di Luigi Pilon).

www.teatrodonizetti.it

Vanni Zanella, Bergamo città, seconda edizione, Azienda Autonoma di Turismo, Bergamo, 1977, pag. 67.

Leopoldo Pollack architetto 1751 – 1806: Le vicende del Teatro Sociale 1803 – 1978, Grafica Gutemberg, Gorle (Bg), 1978, pagg. Da 43 a 44.