Quello che tutti conosciamo come cinema Rubini è sorto come teatro agli inizi del secolo scorso, ricavato all’interno della Casa del Popolo, inaugurata nel maggio del 1908.
Il grande edificio, progettato su incarico del Consiglio direttivo dell’Unione delle Istituzioni Sociali Cattoliche Bergamasche, presieduto da Nicolò Rezzara, si estende su una vasta area compresa tra viale Papa Giovanni XXII, via Paleocapa e via Novelli; un’area caratterizzata da una nutrita sequenza di palazzi in stile liberty ed eclettico. Oltre al teatro, l’edificio comprendeva le istituzioni cattoliche, un albergo, un ristorante, negozi, appartamenti, la Banca Piccolo Credito, la cappella, sale di lettura, sala biliardo e, allora come oggi, la redazione de “L’Eco di Bergamo”.
Dedicato a Giovambattista Rubini (Romano di Lombardia, 7 aprile 1794 – 3 marzo 1854), celebre tenore romanese, il teatro fu inaugurato nel 1907 e restò in attività per quasi 80 anni, guadagnando un posto d’onore nell’immaginario collettivo soprattutto grazie al cinematografo, presente e molto attivo sin dagli esordi del locale.
L’INAUGURAZIONE
L’inaugurazione avvenne la sera del 16 novembre 1907 con l’opera Poliuto di Gaetano Donizetti (1), in una platea stipata, con molte signore fra il pubblico. La luce calda delle lampade a incandescenza fondeva in un insieme armonico le tonalità delle decorazioni e della pittura, e si ripercuoteva nelle dorature della sala.
Ricorda Ermanno Comuzio che l’orchestra fu da subito interrotta da schiamazzi di studenti che pretendevano a gran voce, prima dell’opera, l’esecuzione dell’Inno di Garibaldi: inno patriottico, ma non certo cattolico; e il teatro era stato realizzato per ospitare, nella Casa del Popolo, sede anche de “L’Eco di Bergamo”, quotidiano della Curia, le manifestazioni artistiche di maggior portata per il mondo cattolico. Alle ragioni idealistiche si erano mescolate quelle derivate dalle istigazioni di impresari concorrenti disturbati dalla nascita del nuovo teatro.
Quella sera, una rappresentanza di Romano depose ai piedi del busto di Giovambattista Rubini, posto nell’atrio del teatro, due splendide corone con nastri: una a nome del Municipio, l’altra a nome dei Luoghi Pii fondati dal celebre tenore romanese.
Dopo lo spettacolo, la direzione del Rubini offrì, nei locali di ritrovo della Casa del Popolo, un banchetto servito egregiamente dal signor Carminati dell’attiguo Albergo Moderno; il ridotto del teatro era infatti in comoda comunicazione con una sala da caffè annessa all’albergo, che ad ogni spettacolo faceva servizio da buffet.
COM’ERA L’ANTICO TEATRO
Il teatro, tutto in muratura, cemento e ferro – per scongiurare ogni pericolo d’incendio -, aveva una vasta platea di forma esagonale, che si estendeva anche sotto le due grandi logge che la circondavano; un palcoscenico piuttosto ristretto e tre ordini di palchi con sei palchetti di proscenio; le logge erano sostenute da una serie di graziose colonnine di ghisa, difese da robuste ed eleganti balaustre di ferro battuto, graziosamente disegnate. Purtroppo le colonnine disturbavano un po’ la visibilità.
Le decorazioni, di stile floreale seicentesco modernizzato, avevano figure e medaglioni allegorici. Le molte dorature in platea e nelle logge rendevano ancor più prezioso il teatro, riccamente illuminato a luce elettrica con graziosi lampadari e con un grandioso ed elegante lucernario sostenuto da tralicci di ferro, innalzato al centro della platea e circondato da una vetrata graziosamente decorata (2).
Nel teatro, eleganza, comfort, solidità, capienza e modernità erano coniugati con sapienza ed equilibrio, grazie alla presenza di impianti moderni, quali caloriferi centrali, fonti di energia indipendenti, aspiratori, ventilatori, estintori automatici, apparecchi meccanici per gli scenari. Era dotato di parecchie bocche d’acqua per l’estinzione di incendi, nonché di numerose uscite di sicurezza. E, grazie alla buona acustica (favorita dal vuoto lasciato sotto la platea e sotto il palcoscenico), era adatto a spettacoli di musica e prosa.
Moderni i camerini per gli artisti (posti su un fianco del palcoscenico), così come i locali per i coristi e le comparse, che si trovavano sotto il palcoscenico.
SPETTACOLI PER TUTTI, MA IL CINEMATOGRAFO PRIMEGGIAVA
Nel periodo che seguì l’inaugurazione, vi fu un breve ma frequentatissimo corso di recite di Ermete Novelli, e a un mese di distanza in teatro approdarono spettacoli d’ogni tipo, dalla prosa al varietà, dalla commedia dialettale ai concerti: ma il cinematografo fu comunque l’attività più sistematica, risultando in certi anni il locale più attivo della città, l’unico a permettersi a Bergamo pubblicità in grande stile sui giornali.
Fu il Rubini ad offrire al pubblico i primi Kolossal come Gli ultimi giorni di Pompei, diretto da Luigi Maggi (la “prima” si tenne il 21 febbraio 1909): il primo film muto storico-epico del cinema italiano ricordato da Ermanno Comuzio (3) come “una rivoluzione spettacolosa nelle convenzioni del trattenimento cinematografico nella prima decade del Novecento […] Giorni indimenticabili in particolare per la cassiera del teatro, Diana Barberini, che non ancora ventenne era stata ingaggiata dai gestori della Casa del Popolo (tra cui l’onorevole Gavazzeni, padre del maestro Gianandrea) per insediarsi al botteghino…. che aveva accettato l’incarico più per la passione del cinema che per la retribuzione”.
E’ interessante notare che Gli ultimi giorni di Pompei (stesso titolo di quello muto del 1908) fu anche il primo film diretto da Sergio Leone (1959).
Altro grosso successo di pubblico ottenne nel 1910 La Gerusalemme liberata, un film diretto da Guazzoni che, per meglio documentarsi, compì anche diverse ricerche alla Civica Biblioteca A. Mai. Altri kolossal dell’epoca, Il conte Ugolino e Napoléon, presentati come “colossali capolavori storici istruttivi”: un pallino di diversi locali per dare più che altro una patina culturale a spettacoli che il più delle volte avevano poco da spartire con la cultura.
A quel tempo, le proiezioni al Rubini erano “accompagnate da un pianoforte suonato da un certo signor Martina, che aveva carta bianca nell’eseguire pezzi di diversa natura a seconda del carattere delle singole sequenze che si svolgevano sullo schermo”.
Su una delle pagine pubblicitarie, pubblicata domenica 16 agosto 1914, si annunciava che dalle 16 alle 23 si sarebbe tenuto un programma straordinario con due film: Squadra navale francese nel Nord Mediterraneo e Destino vendicatore, “emozionantissimo dramma in tre parti”.
E fu proprio in quel 1914 che il teatro fu attivo come sala cinematografica per tutto l’anno, “con programmi di prim’ordine e un afflusso di pubblico sempre sostenuto”. Capitava che a volte gli intermezzi fossero rallegrati da intrattenimenti musicali, con un repertorio che variava dal drammatico allo storico, dal poliziesco al romanzo d’appendice. E non mancava mai la comica finale.
La serie di film che riscosse maggior successo fu Fantomas.
Anche se il Rubini ebbe per anni una compagnia stabile di prosa, fu comunque il cinema a riempire il teatro. Un particolare successo di pubblico ebbe nel 1938 il film Il segno della croce con Fredric March e Charles Laughton, imponendosi su tutti gli altri film storici “per la meraviglia della sintesi drammatica, lo splendore delle immagini, la tumultuosa potenza dei sentimenti”. La sontuosa messinscena mostrava “una Roma superba, dal palazzo dell’imperatore alle case dei patrizi, alle scalee immense del Circo, ai sotterranei dove sono rinchiusi i cristiani. Una visione superba per potenzialità di mezzi impiegati nella lavorazione, per la grandiosità di linee veramente imponenti, per il gusto e le proporzioni concordi dell’insieme. Un film sonoro perfetto. Incantato il pubblico”.
E’ sempre l’immancabile e poderoso “Il Novecento a Bergamo” a ricordare un evento memorabile nella storia del teatro: un’iniziativa benefica riservata ai poveri delle Conferenze di San Vincenzo per assistere al film Monsieur Vincent. Ricordando quella serata, don Andrea Spada (4) scrisse che l’invito era stato rivolto ai più poveri: umilissime donnette, poveri del dormitorio popolare, dei refettori, povera gente che abitava sulle soffitte, nei sottoscala, che d’estate dormiva all’aperto. Il locale era colmo e soffocante. Si dovette sbarrare il teatro tanta era ancora l’umile gente che attendeva di fuori. “Al buio pareva vuoto tanto era il silenzio, tanta la partecipazione accorata al film di tutta quella gente”. E a un certo punto non mancarono i singhiozzi in sala.
Talmente vario il repertorio che nell’ottobre del 1963 vi fu allestito uno spettacolo “sconvolgente”: un’edizione, voluta dal Circolo Artistico Bergamasco, in forma di “oratorio”, dell’opera Roberto Devereux di Gaetano Donizetti, diretta dal maestro bergamasco Giulio Lorandi. E dato che in città mai si era assistito a delle pagine melodrammatiche non in costume, l’esibizione suscitò grande stupore, tanto che i patiti della lirica fecero di tutto perché la rappresentazione fosse ripetuta più volte; cosa però impossibile a causa del risicato bilancio del Circolo, che non permetteva ripetizioni costose.
DUE RINNOVAMENTI IN VENT’ANNI… E POI LA FINE
La sala del Rubini fu letteralmente trasformata nel 1954 con un radicale intervento, eseguito su progetto dell’architetto Luciano Galmozzi, che ne cancellò l’impronta stilistica originaria. Logge e colonne furono sacrificate a favore di una moderna soluzione architettonica: platea e una loggia a vasta curva senza bisogno di pilastri in vista.
La capienza venne aumentata; si guadagnò da una parte in visibilità e praticità, dall’altra si perse per sempre un caratteristico esempio di architettura teatrale d’epoca, come una decina d’anni dopo avvenne per il Teatro Nuovo.
Con i suoi 1.600 (?) posti a sedere fra platea e galleria, offrì per decenni film per famiglie, le anteprime dei western di Sergio Leone e tutti i cartoni animati di Disney, restando però sempre aperto ad eventi di varia natura.
Il locale fu rinnovato anche nel 1974, quando divenne “Rubini 2000”, nome col quale per un certo periodo divenne frequentatissimo, anche grazie a una serie di importanti concerti, come la prima uscita ufficiale della Premiata Forneria Marconi in veste di supporto dei Procol Harum.
Vi si esibirono inoltre gli Area, il Banco del Mutuo Soccorso, Arthur Brown, i Pooh più volte e molti altri.
Tirò avanti negli ultimi anni cercando di sopravvivere all’imminente tramonto delle sale cinematografiche, sostituendo agli inizi degli anni ‘80 il Donizetti per la prosa nel periodo dei lavori di restauro e facendo cinema per ragazzi promosso dal Comune.
Alla fine, la chiusura definitiva, a causa sia della ben nota crisi delle sale cinematografiche a Bergamo e sia della crisi stessa del cinema, che diede un ulteriore colpo alla disaffezione del pubblico decretando il declino delle sale cinematografiche: la trasformazione, nel 1987, in Centro Congressi Giovanni XXIII (un centro diocesano di convegni, congressi, conferenze e attività culturali), rientra perfettamente nelle finalità per le quali il Rubini era nato nel 1907.
IL RUBINI NEI VOSTRI RICORDI
Per i film, dagli anni ‘40 agli anni ‘60 sono ricordati: Bernadette (film del 1943), Quo Vadis (film del 1951), I 10 comandamenti (film del 1956), Ben Hur (film del 1959), I magnifici 7 (film del 1960), Un dollaro d’onore (visto nel ‘60), West side story (film del 1961), Il Laureato (visto nel 1967).
Per gli anni ‘70: Rocky (la prima serie risale al 1976), La febbre del sabato sera (film del 1977), Guerre Stellari (visto nel 1977), Grease (film del 1978).
Per gli anni ‘80: Il Tempo delle mele (film del 1980), E.T. l’extra-terrestre (film del 1982), I Goonies (film del 1985).
I vostri film Disney: Biancaneve e i sette nani, Bianca e Bernie, Red e Toby nemiciamici, Gli Aristogatti, Mary Poppins, con in regalo, nei primi anni ‘6o, la spilla di Mary Poppins (un altro regalo di cui ci si ricorda era la Coca-Cola distribuita gratis la domenica mattina per lanciare il prodotto).
Dopo il film era usanza andare a mangiare un cono di panna (o meglio, lattemiele) alla latteria Valseriana in viale Papa Giovanni: “Io ricordo la domenica pomeriggio….si entrava alle 14, si vedeva il film due volte e mezzo, si usciva verso le 18, babbo e mamma ci aspettavano fuori. Se era appena passato il 27 del mese, si andava tutti alla Valseriana a mangiare la panna montata con la cannella sopra. E queste erano le nostre domeniche, peccato che, avendo dei fratelli, ero costretta ai film di cow boy con tanto di urla partecipate quando ‘arrivavano i nostri!’ Erano gli anni ‘50″.
C’è anche chi ricorda che sul muro esterno del “Valseriana”, all’angolo con via Guglielmo D’Alzano c’era una bacheca che pubblicizzava il film che in quel momento si proiettavano al Rubini.
Ma c’era anche chi preferiva il cono di panna dell’altrettanto mitico De Zordo, in S. Orsola.
In ogni caso, negli anni 70 a due passi dal Rubini c’era il forno Nessi, “che sfornava ‘certe’ pizzette…”. Proprio in quegli anni il Rubini ospitava anche le assemblee che si tenevano durante le manifestazioni studentesche (quelle dell’Esperia sicuramente).
Sono solo alcuni dei tanti ricordi legati alle vicende di un teatro che per qualche decennio ha accompagnato le nostre generazioni, conquistando di diritto un posto speciale nei nostri cuori.
NOTE
(1) Tra i principali interpreti del Poliuto, Elvira Magliulo (Paolina), una delle migliori allieve del maestro Beniamino Carelli al Conservatorio di Napoli; a fare da tenore lo spagnolo José Garcia, mentre il baritono era un ventisettenne Riccardo Togni. Direttore d’orchestra, il cavalier Gino Marinuzzi, già noto a Bergamo essendosi esibito più volte al nostro teatro Donizetti.
(2) Come riportano le cronache del tempo, il teatro occupava un’area di 700 mq, misurando m. 32X23; il palcoscenico era profondo m. 9; le colonnine che sostenevano le logge erano fornite dalla ditta Mancini di Bergamo e pesavano complessivamente 200 quintali; le balaustre in ferro battuto erano state lavorate dalla ditta Scalori Leali di Milano; le decorazioni, con figure e medaglioni allegorici erano opera dei fratelli Zappettini di Bergamo, autori anche del telone-sipario. Lampadari e braccioli erano forniti dalla ditta Radaelli di Milano. L’impianto comprendeva 600 lampade e due potenti fari di sicurezza, opera della ditta cittadina Limonta, mentre il grandioso lucernario sostenuto da tralicci in ferro, posto al centro della platea, era della ditta Lorini di Milano; i caloriferi erano forniti dalla ditta cittadina Giacomo Rusconi e figli; la vetrata, graziosamente decorata, era opera della ditta concittadina Fratelli Piatti.
(3) Giornale di Bergamo del 17 luglio 1962.
(4) L’Eco di Bergamo del 1° ottobre 1948.
Riferimenti
Pilade Frattini e Renato Ravanelli, “Il Novecento a Bergamo – Cronache di un secolo”. A cura di Ornella Bramani – Vol. II. UTET. Anno 2013.