Le sale cinematografiche di Bergamo e la loro storia

Come abbiamo già visto qui, nell’agosto del 1896, durante il periodo della festa patronale e a pochi mesi dalla scoperta dei fratelli Lumière, anche a Bergamo comparve per la prima volta il cinematografo, allestito sotto una tenda, fra le tante sistemate ai lati della Fiera.

Il baraccone del “Cinematografo Moderno”, che agli inizi del Novecento ospitava le prime proiezioni “stupefacenti” in Piazza Baroni, presso l’antica Fiera di Bergamo. Il primo Cinematografo comparso a Bergamo il 25 agosto 1896 consisteva in una tenda, alcune panche in legno, un proiettore Lumière di legno con una manovella cigolante e un lenzuolo sulla parete di fondo. La scoperta dei fratelli Lumière fu un fenomeno “primario” della belle époque (Domenico Lucchetti, Fotografi pionieri a Bergamo. Foto di Aristide Dragoni)

Dalla pellicola si effondevano su di un lenzuolo le immagini tremule e sfuocate delle ”fotografie in movimento”, suscitando grande entusiasmo per “l’ultima meraviglia del secolo”.

Tipi di visitatori alla Fiera

Nei primi anni del Novecento, nel cuore della belle époque, il cinematografo cominciò a uscire dagli spazi provvisori della Fiera e ad entrare nei teatri popolari cittadini, seppur associato al varietà, al cabaret e al music-hall: al Givoli di Piazza Baroni, al Politeama Novelli sul viale della stazione per poi approdare nel tempio dei melomani, il “Donizetti”, dove suscitò grave disapprovazione fra i benpensanti. E poi al Nuovo appena inaugurato, dove il vulcanico impresario Pilade Frattini diede al cinema una patente di nobiltà. A proiettare film erano gli impresari-nomadi che giravano le città con confortevoli carrozzoni, pronti a montare e a smontare in teatro i loro impianti. Nel 1908, la progressiva decadenza della Fiera, sempre più malfamata e fatiscente, portò il cinema anche al Sociale e al Rubini, per poi approdare allo scomparso bar Concordia, sul viale della Stazione, fino al primo locale permanente della città appositamente adibito agli spettacoli cinematografici: il “Cinema-salone Radium”, un baraccone tipo saloon da film western, sorto nel 1909 di fronte al boschetto di Santa Marta, avvolto in un’atmosfera da pionieri. Se nel frattempo la qualità delle proiezioni e il livello delle programmazioni erano in costante miglioramento, per i tipici spettacoli popolari come il circo, l’opera, il teatro leggero ed ogni forma di spettacolo di piazza, si avviava un lento ma inesorabile processo di decadenza.

Il Cinema Salone Radium era sorto nel 1909 di fronte al boschetto di Santa Marta, sul Sentierone (nella foto)

Di lì a poco, al Radium – destinato a vita breve – si affiancarono altre due sale cinematografiche: l’Universale, in via Torquato Tasso, e il Cinema Orobico, in piazza Santo Spirito (inaugurato il 23 luglio 1910) e, dagli anni Venti, oltre ai teatri votati al cinema (lo stesso Donizetti, il Nuovo, il Sociale, il Rubini e l’Augusteo in Borgo Palazzo), sorsero altre sale cinematografiche, molte delle quali accompagnarono per decenni i nostri sogni.

Nel frattempo le produzioni si allontanavano dal documentarismo (un fenomeno tipico degli inizi) e arrivavano i primi kolossal: da Quo Vadis? (1913) a Cabiria (1914). Nasceva così anche il divismo, quello dei grandi protagonisti del cimema “muto” e, dagli anni Trenta, del sonoro.

L’APERTURA DI NUOVE SALE NEGLI GLI ANNI VENTI  

Negli anni Venti sorsero in città ben nove sale cinematografiche, la maggior parte delle quali ebbe lunga vita: il Sant’Orsola nell’omonima via (divenuta poi la “via dei cinema”); l’Acquarium in via Verdi (chiamato il “cinema dai mille nomi”, l’ultimo dei quali fu Ritz); il Centrale, aperto nella vecchia Fiera e riconfermato nei locali del nuovo centro (quadriportico del Sentierone); il Diana, in via Borfuro; il Vittoria (ex Cinema Orobico) in piazzetta Santo Spirito; l’Olympia in via Torquato Tasso (futuro Capitol); una sala chiamata “I topi grigi” in via Moroni e il “Roncalina” vicino all’Accademia Carrara (entrambi dalla vita breve); infine, l’Odeon in via Sant’Orsola (futuro Quill).

Il Sant’Orsola (che aveva preso il posto del Cinema Roma e che più tardi si trasformò in Delle Arti) era sorto sulle ceneri di un magazzino per il cappellificio dei fratelli Moratti ed era stato inaugurato nel 1926. Era un locale lungo e stretto, più simile a un corridoio che ad una sala cinematografica. Ed era una sala decisamente popolare, tanto da essere soprannominata ol piogì – nel senso di pidocchio – perché si presumeva vi fosse poca pulizia fra i frequentatori. In realtà c’era sempre tanfo e lo schermo era ingiallito dal fumo delle sigarette.

Negli anni Trenta offriva due film (di Terza o Quarta visione) al prezzo di uno (un’usanza durata a lungo) e faceva “proiezioni speciali” mattutine, affollate di studenti che marinavano la scuola. L’edificio che lo ospitava non esiste più.

Inaugurato nel 1926, il Cinema Sant’Orsola, nella via omonima, aveva preso il posto del Cinema Roma e più tardi si trasformò in Delle Arti. L’edificio che lo ospitava non esiste più

L’Acquarium, in via Verdi, il cinema noto anche come quello dei “mille nomi”, divenne in seguito Verdi, poi Mignon, poi Ritz-Cinema d’essai ed infine infimo locale a luci rosse.

L’Acquarium era sorto nel 1921 nella palazzina di via Verdi, sulle ceneri della tipografia Isnenghi. La palazzina è sempre stata la stessa dopo che Edoardo Isnenghi l’aveva fatta trasformare in cinematografo.

Annotava Ermanno Comuzio che “sia Edoardo Isnenghi sia il figlio erano patiti di pesci e della pesca per cui, lungo tutto il corridoio del nuovo cinema che dall’ingresso portava alla platea, avevano fatto sistemare delle vasche popolate di pesci, illuminate di luce verde artificiale, a formare un fantastico acquario. Di qui il nome originale del locale”. Ma se da un lato le vasche dell’Acquarium caratterizzavano il locale ed attiravano il pubblico, l’impianto, con una fauna ittica molto casalinga, consumava acqua e soldi, spesa extra per il povero gestore del cinematografo, Guido De Poli”. Questi, “seguendo i voleri di Edoardo Isnenghi, che era sentimentalmente attaccato al ‘muto’, cercò di tenere duro con i film muti finché poté, utilizzando orchestrine in sala; ma poi, buon ultimo, dovette cedere alla nuova tecnologia del sonoro. Resse comunque poco, perché nel 1935 lasciò la direzione del cinematografo”.

L’Acquarium era comunque, per lo più, un cinematografo squisitamente popolare, sia per la programmazione di ampia attrattiva, sia per la modicità dei prezzi d’ingresso.

Prima di ospitare una sala cinematografica, la palazzina di via Verdi, ospitò Ia tipografia Isnenghi (dove si stampava anche la “Gazzetta Provinciale” diretta da Giovanni Banfi), poi trasformata in Cinema Acquarium e successivamente in Verdi (così si chiamava alla fine degli anni Trenta), poi Mignon, poi Ritz-Cinema d’essai ed infine infimo locale a luci rosse 

Il Centrale, nato sulle ceneri del Caffè Centrale, aperto nella vecchia Fiera, venne inaugurato il 15 agosto 1914. Era una sala in stile floreale, divisa in tre parti da colonnati con cariatidi, la volta decorata da stucchi e pitture, un loggiato sullo sfondo e il palcoscenico affiancato da due piccoli palchetti. La denominazione sopravvisse, all’angolo del Quadriportico del Sentierone, più o meno nella stessa posizione del precedente.

Alla vecchia Fiera, in primo piano è visibile il Caffè Nazionale, immediatamente seguito dal Caffè Centrale. E fu proprio sulle ceneri di quest’ultimo che nacque il Cinema Centrale, la cui denominazione sopravvisse nel nuovo centro progettato da Piacentini, all’angolo del Quadriportico del Sentierone, dove la nuova sala fu realizzata nella medesima posizione della precedente

 

Inserzioni pubblicitarie alla Fiera di Bergamo del 1920

 

Il Cinema Centrale, nei locali del nuovo centro piacentiniano, prima della ristrutturazione effettuata nei primi anni Cinquanta. Il Cinema aveva preso il posto del primitivo Centrale, che era sorto nei locali della vecchia Fiera, iniziando  le proiezioni il 15 agosto 1914 (per gentile concessione della signora Antonella Ripamonti)

Il nuovo cinematografo, aperto nel centro piacentiniano, era sorto per iniziativa del cavaliere di Gran Croce Lamberto Sala, titolare di una fiorente impresa di trasporti, che chiamò a dirigere il locale un suo dipendente, Giulio Consonno (che più tardi rileverà il Teatro Nuovo ed edificherà il Teatro Duse).

Il Centrale, particolarmente attento al fenomeno del ‘divismo’(da Francesca Bertini a Lyda Borelli e Pina Menichelli), diventò subito un locale molto frequentato, potremmo dire preferito: moderno ed elegante, vi si davano spettacoli di richiamo.

Il pianino che singhiozzava nel buio ben presto non bastò più per un locale di tali ambizioni; e i film cominciarono a essere accompagnati da una orchestra stabile formata da un piano, un violino (suonato dal signor Marigliani), un violoncello (suonato dal signor Tiraboschi, che poi fondò la Bottega della musica) e da un contrabbasso. I musicanti non si accontentavano di improvvisare, ma vedevano scrupolosamente il film prima del pubblico e insieme facevano delle piccole prove. L’effetto era davvero accattivante (1). Il Centrale venne restaurato nei primi anni Cinquanta.

Il Diana, in via Borfuro, uno dei più antichi della città, è stato tra quelli che a Bergamo hanno fatto la storia.

Da una guida del 1927

Era una sala non grande, di forma quadrata, in precedenza usata come magazzino-deposito di macchinari e apparecchiature da una casa tedesca. Venne inaugurato il 27 agosto 1922, con il film di Rex Ingram I Quattro cavalieri dell’Apocalisse interpretato da Rodolfo Valentino, un grande successo dell’epoca.

Scorcio di via Borfuro

Portato avanti con grande passione e intelligenza dall’ing. Arturo Scanzi, che ne era il proprietario, il Diana conobbe epoche di splendore (fu il primo, tra l’altro, a presentare il primo film sonoro-parlato e il primo film sonorizzato col sistema Movietone). Venne rinnovato negli anni Trenta e negli anni Sessanta e nel Dopoguerra divenne “Grande cinema Diana”.

Tesserini del Diana, gestito dall’E.C.I. Il primo rilasciato dal rag. Ripamonti e il secondo dall’ing Scanzi, proprietario del locale

 

La famiglia Scanzi al completo, con l’ing. Arturo Scanzi, la moglie Maria Paganoni e i figli Marialuisa (nata nel 1920) e Claudio. Sin dalla sua apertura, nel 1922, Scanzi  detenne la proprietà del Cinema Diana, le cui locandine per un certo periodo rivestirono interamente la facciata del palazzo che ospitava il Teatro Duse, gestito (o diretto) dallo stesso Scanzi, che vi risiedeva. Uomo poliedrico ed estremamente attivo, fu anche costruttore e dopo la guerra aprì una libreria (Foto A. Taramelli. Per gentile concessione di Antonella Ripamonti)

 

Per un certo periodo, le locandine del Cinema Diana rivestirono interamente la facciata del palazzo che ospitava il Teatro Duse, gestito (o diretto) dall’ing. Arturo Scanzi, proprietario del Cinema Diana. La pubblicità dei film programmati al Diana, in fotografia, risale al 1949

Il Vittoria, nato dalla trasformazione della bottega di un sellaio, in piazza Santo Spirito era sorto il 23 luglio 1910 (2) col nome di Cinema Orobico e fu definitivamente chiuso nel 1927 (3). La piccola sala era sorta per iniziativa dell’avvocato Sebastiano Carnazzi (vicedirettore della Banca Popolare) e del notaio Renzo Carnazzi, che affidò la gestione del locale al figlio Nino (futuro famoso avvocato).

In piazzetta Santo Spirito sorgeva il cinematografo Vittoria (ex Cinema Orobico). Divenne in breve il ritrovo principale della città in quanto le case distributrici, per spezzare il monopolio de facto del Centrale, cominciarono a offrire al Vittoria i film più importanti (che si fregiavano dei nomi di maggior richiamo come Gustavo Serena, Leda Gys, Lyda Borelli, Alberto Collo, ecc.). Ogni film aveva era accompagnato da un’orchestrina, cui a volte si aggiungeva il canto (ne “La canzone del cuore”, si vedeva un tenore cantare alcune romanze; un cantante nascosto interpretava i vari pezzi in sincronismo con i movimenti del tenore sullo schermo, suscitando un’enorme impressione

L’Olympia (futuro Capitol), era nato nel 1921 in via Torquato Tasso, ancora per iniziativa dell’avvocato Sebastiano Carnazzi e del notaio Renzo Carnazzi, affiancati da un socio, un certo Rossi, industriale della cera. Aveva l’esclusiva di importanti case americane (es. Fox e United Artists). Definito dai proprietari “il locale più signorile e famigliare della città”, disponeva di mille posti a sedere, un bel palcoscenico, un gruppo elettrogeno autonomo a petrolio e porte di sicurezza. In certe occasioni accoglieva anche spettacoli di varietà e persino opere liriche, preferibilmente del Settecento. Agiva un’orchestra fissa di sette elementi che, quando non suonava per il teatro, accompagnava la proiezione dei film. Fra gli ospiti di richiamo del teatro ci fu Anna Fougez, la splendente vedette del varietà, che però si esibì solo pochi giorni perché il primo dicembre 1923 il crollo della diga del Gleno bloccò tutti gli spettacoli.

Ceduto nel 1931 al Gruppo Leoni, l’Olympia divenne Cinema Italia, e solo in seguito Studio Capitol.

Il Cinema Italia, in via Torquato Tasso, nacque come Olympia nel 1921 per divenire Italia nel 1931 e successivamente Studio Capitol

Un cinema senza nome, chiamato dalla gente “I topi grigi” aveva aperto i battenti nel 1926 in via Giovambattista Moroni. Era così nominato perché per mesi vi si proiettarono i film dell’omonima serie interpretati da Emilio Ghigne detto “Za la Mort”. La sala ebbe vita breve.

Il Cinematografo Roncalina, dal nome del proprietario, il cavalier Lino Roncalli, era stato aperto nei primi anni Venti. Era una piccola sala vicino all’Accademia Carrara e allo skating, la pista di pattinaggio a rotelle del tempo. Anche questa ebbe vita piuttosto breve.

Il sabato e la domenica alla Roncalina di via San Tomaso si rappresentavano anche scassatissimi spettacoli di varietà. Il Roncalli aveva impiantato il suo locale per investire il primo premio vinto a una lotteria nazionale e tra il 1925 e il 1926 lanciò in via San Tomaso un supermercato ante litteram, dove si vendeva letteralmente di tutto (persino automobili)

Il Cinema Odeon (più tardi trasformato in Quill) fu inaugurato il 16 novembre 1931 con un film musicale, Amore gitano, interpretato da un famoso baritono americano, Lawrence Tibbet, una gran voce, potente e virtuosa.

Il Cinema Odeon in via Sant’Orsola (futuro Cinema Quill)

Il raffinato e spazioso locale, di cui si scriveva fosse la sala cinematografica più elegante e à la page di Bergamo, era dotato di una cupola apribile per permettere il ricambio dell’aria (non dimentichiamo che nei cinema fu a lungo permesso fumare). Alla fine delle proiezioni sullo schermo si chiudeva un velario, come a teatro.

Vi venivano proiettati solo film di prima visione: tutti quelli americani, compresi i primi film a colori, le comiche di Stanlio e Ollio, Greta Garbo, Shirley Temple, le dive platinate fasciate negli abiti di lamé, gli eroi dell’epopea del West e tutto ciò che, arrivato da Hollywood, contribuì a creare il “sogno americano”.

Negli ultimi anni Venti (quelli degli ultimi colossi del muto), Ben Hur fece fare lunghissime code a centinaia di spettatori impazienti soprattutto di vedere la corsa delle bighe (peraltro presa di sana pianta dalla Messalina opera girata da Guzzoni nel 1923).

SUL FINIRE DEGLI ANNI TRENTA, L’ARRIVO DEL SONORO

Negli anni Trenta il cinema a Bergamo era lo spettacolo più seguito e in centro funzionavano regolarmente sei sale: il Diana in via Borfuro, l’Olympia in via T. Tasso (futuro Capitol), il Sant’Orsola nella via omonima, il Giuseppe Verdi nella via omonima (ex Acquarium e futuro Ritz), il Centrale sul Sentierone, l’Odeon in via Sant’Orsola (futuro Quill). Tra le sale rionali invece, il cine-teatro Augusteo, in via Anghinelli, Borgo Palazzo.

Le sale del centro aprivano tutti i giorni alle 14.30 e c’era la possibilità di accedervi in qualsiasi momento (una cattiva abitudine durata a lungo). I posti a sedere più comodi erano in fondo alla sala, dove la visione era più nitida; a metà stavano i secondi mentre i terzi avevano scomode seggiole collocate proprio davanti allo schermo (4).

Finalmente, dopo gli ultimi film del muto (Greta Garbo in Anna Karenina e Rodolfo Valentino nei panni del Figlio dello sceicco), verso la fine degli anni Venti vi fu anche a Bergamo l’esordio del cinema sonoro, allora chiamato ‘cinematografo parlato e cantato.

Secondo un vecchio articolo rinvenuto dalla scrivente, sicuramente tratto da un quotidiano locale (non datato, a firma f. col.), il primo film sonoro-parlato venne presentato al Diana nel 1929: Il cantante di jazz con Al Jolson, realizzato col sistema di registrazione su dischi Vitaphone (produzione Warner Bros del 1927); e fu ancora sullo schermo del Diana che apparve il primo film sonorizzato col sistema Movietone (registrazione del suono sulla pellicola stessa, ancora in uso per tutti gli anni Sessanta), Le luci di New York.

Il Diana negli anni Trenta  divenne un cinema popolare, molto frequentato; vi si proiettava il “doppio programma”, cioè due film di cui uno solitamente era un western (allora chiamati sciopetì), seguiti quasi sempre dalla “comica finale” (con Ridolini, Harold Lloyd, Chaplin).

Il Cinema Diana, in via Borfuro, nel 1969. La gestione del Diana dalla fine degli anni Sessanta passò all’ECI (Esercizi Cinematografici Italiani), sino alla definitiva chiusura nel 1977. La consorte dell’ingegner Scanzi, Maria Paganoni, essendo fervente cattolica e molto vicina ai Padri Domenicani non voleva che il Cinema Diana funzionasse il venerdì Santo e fece in modo che per quel giorno restasse sempre chiuso per permettere anche al personale di seguire le funzioni religiose (da una conversazione con la signora Antonella Ripamonti)

Il 3 ottobre 1930 davanti al Sant’Orsola c’era la coda per assistere alla proiezione di Vendetta d’Oriente, la prima produzione sonora della grande casa Metro Goldwin Mayer, in pubblicità presentato come “vero primo film sonoro”. La sonorizzazione fu molto apprezzata, grazie anche alla resa perfetta data dagli impianti Eufon (5).

Invece, il primo film sonoro di produzione e regia italiane distribuito nelle sale (La canzone dell’amore) a Bergamo fu proiettato il 7 dicembre successivo al Cinema Italia (futuro Capitol); il film meritò un articolo entusiasta su “La Voce di Bergamo”, nonostante inizialmente fosse osteggiato da una certa critica, che temeva il declino del teatro.

Cinema Italia, in via Torquato Tasso (futuro Capitol)

Con l’avvento del sonoro in città (in provincia arrivò molto più tardi), il cinema era ormai inarrestabile e nel giro di un anno tutti gli spettatori ne furono totalmente conquistati: all’inizio sembrava una magia, il pubblico non si capacitava di come quei personaggi potessero parlare o cantare come nella vita vera; c’era addirittura chi pensava che dietro lo schermo ci fossero attori a dare le voci.

Ermanno Comuzio annotava che specialmente nelle valli, il pubblico aveva l’abitudine di leggere in coro le didascalie pronunciandole ad alta voce e producendo effetti esilaranti; quando il pubblico non faceva in tempo a leggerle, le proteste costringevano a volte gli operatori a far tornare indietro la pellicola. In alcuni paesi della Valle Seriana, più di un locale istituì addirittura una signorina che leggesse le didascalie ad alta voce, mentre tutti gli altri dovevano osservare un religioso silenzio.

Tra i film di quegli anni – in cui furoreggiava Shirley Temple, la bambina dai riccioli d’oro – si ricordano in particolare quelli con Greta Garbo (Grand Hotel e Mata Hari), l’avventuroso L’isola del tesoro, King Kong (il primo film “fantascientifico”), Io sono un evaso, film americano molto realista.

Negli anni Trenta fu effettuato anche fu il primo esperimento di film stereoscopico, da guardare con occhiali rossi e verdi. La trovata suscitò scalpore ma poi non ebbe seguito.

Dopo il sonoro arrivò il colore. Scontato il successo de Il sentiero del pino solitario, con una lunga serie di “esterni”.

GLI ANNI DEL DOPOGUERRA

Fu subito dopo la seconda guerra mondiale che a Bergamo si cominciò a fare scorpacciate di film: nel 1947, nelle nove sale cittadine (quasi tutte dipendenti da direzioni di Milano) la media giornaliera di spettatori era su cifre alte, malgrado l’handicap – anche nell’immediato dopoguerra – dell’energia elettrica, che quando mancava costringeva a sospendere lo spettacolo (tranne al Diana, che trovò modo di funzionare con energia propria mediante l’installazione di gruppi elettrogeni che fornivano la necessaria energia alla cabina di proiezione).

Nel giugno del 1945 all’Odeon arrivò, sulla jeep degli Alleati, il primo, attesissimo film americano, Serenata a Vallechiara con la campionessa di pattinaggio Sonja Henie e l’indimenticabile motivo di Chattanooga-Choo-Choo eseguito dall’orchestra di Glenn Miller.

L’Odeon tentò poi di sopravvivere trasformandosi in Quill, ma non riuscì a evitare di finire nella strage dei cinema.

L’interno del Cinema Odeon

Fu proprio in questi anni che Il Diana modificò il nome in “Grande cinema Diana”, gareggiando con l’Odeon nella presentazione di ghiotte “prime visioni”. Nel gennaio del ‘47 diede fiato alle trombe per presentare Il figlio dello sceicco, l’ultimo film di Rodolfo Valentino, con una grande novità a vent’anni dalla morte dell’idolatrato attore: “Valentino parla! Gli hanno dato una voce calda, carezzevole, quale si addice a chi ama con temperamento virile, proprio della gente del Sud”. Il 27 febbraio successivo proiettò in prima visione Da quando te ne andasti, presentato, con manifesti ovunque, come “il gigante della cinematografia mondiale”, anche grazie ai sette assi hollywoodiani, Claudette Colbert, Jennifer Jones, Joseph Cotten, Shirley Temple, Marty Wooley, Lionel Barrymore e Robert Walzer (6). Altri “filmoni”, sempre al Diana, Figlio figlio mio! con Brian Aherne, Sangue e arena e Jess il bandito con Tyrone Power. Faceva pubblicità addirittura sulla rete nazionale della radio.

Il locale, rinnovato una prima volta nel 1937, venne rimesso completamente a nuovo nel 1963. Ma non riuscì a evitare la chiusura, avvenuta il 23 luglio 1979.

Cinema Diana via Borfuro (1949). La locandina in primo piano a destra è del film “Il bacio di una morta” del 1949. Inaugurato il 27 agosto 1922 – tra i cinema più antichi della città -, il Diana venne rinnovato 1937 e nel 1963, divenendo nell’immediato Dopoguerra “Grande cinema Diana”. Chiuse i battenti il 23 luglio 1979

Le cronache ricordano in particolare un primo storico “pienone” di pubblico nel 1947 con Prigionieri del passato, film strappalacrime con Ronald Colman e Greer Garson; l’anno seguente fu la volta di Delitti senza castigo; tale e tanta la folla, che fracassò le vetrine del Cinema Centrale.

L’atrio del Cinema Centrale prima della ristrutturazione dei primi anni Cinquanta (per gentile concessione della signora Antonella Ripamonti)

Le sale di Bergamo sul finire degli anni Quaranta erano indecorose, trascurate ed esageratamente affollate; l’areazione era insufficiente, le poltrone scomode e sgangherate. Erano contenitori senza stile, con le pareti screpolate. L’illuminazione era antiquata e gli impianti di legno, scricchiolanti ed antigienici. Lontane anni luce, insomma, dall’eleganza dell’Arlecchino di Milano o dalla raffinatezza del Fiamma di Roma.

Si salvavano solo il Nuovo e il Duse, che essendo più teatri che cinematografi, avevano le diverse esigenze dell’opera, dell’operetta, della rivista e della prosa (7).

LE SALE CINEMATOGRAFICHE NEI FAVOLOSI ANNI CINQUANTA

Fino a tutti gli anni Sessanta il cinema è stato a Bergamo lo spettacolo principe, il più diffuso e popolare; spesso agli ingressi si formavano le code, specialmente il sabato e la domenica invernali, e non di rado bisognava assistere a tutta la proiezione di un film restando in piedi.

Nel 1951 Il Giuseppe Verdi (ex Acquarium e futuro Ritz) mise a segno il “colpo del secolo”: presentò in grande pompa, bagnando il naso a tutti i concorrenti, il capolavoro cinematografico del Novecento “Via col vento”. Il film in America era uscito nel 1939, ma in Italia era stato tenuto in naftalina a causa degli eventi bellici, e per la prima volta si dovette prenotare il posto al cinema

Il pubblico frequentava numeroso le sale anche nei pomeriggi dei giorni feriali: si trattava soprattutto di studenti (per i quali il Sant’Orsola offriva spettacoli anche al mattino), turnisti in attesa dell’orario di lavoro, disoccupati, buontemponi, signore e signorine e – a metà prezzo – militari e ragazzi.

Sopra la cassa campeggiavano le scritte luminose che annunciavano il primo tempo, l’intervallo, il secondo tempo e l’attualità” (cinegiornale e i provini delle prossime programmazioni).

Al cinema c’è stato a lungo il rito del cinegiornale, proiettato prima del film in programma. Dapprima il Luce (“L’unione Cinematografica Educativa”), fatta nascere dal fascismo nel 1924 con il compito di realizzare cinegiornali che diffondessero al pubblico che frequentava i cinematografi notizie educative e propaganda politica. Dopo il Luce arrivò la Settimana Incom e poi il Cinemondo. Abbandonata la pura informazione, i cinegiornali passarono a uno stile rotocalco (il futuro gossip) ed infine a un umorismo un po’ retorico, e mai volgare. Oggi i cinegiornali di quel tempo hanno un valore storico e sociale enorme

E quando ormai stava nascendo la tivù (gennaio del 1954), il cinema le studiò tutte per scongiurare il pericolo; ed ecco il cinerama (con lo schermo ingrandito anche più di dieci volte), l’esperimento del 3D, il cinema a tre dimensioni (con speciali occhialini distribuiti alla cassa), diavolerie come il cinema odoroso (Polyester all’Italia nel 1981) e il sensurround (Terremoto, con le poltrone che vibravano), ma soprattutto il cinemascope con il suono stereofonico: una delle più importanti invenzioni del cinema, la prima di una serie che è arrivata ai nostri giorni.

Si può quindi affermare che il 1953 sia stato l’ultimo anno dell’era non televisiva, l’ultim del cinema puro, senza condizionamenti. Il critico Mario Guidorizzi, forse con un pizzico di paradosso, nel saggio introduttivo del suo Hollywood afferma proprio che il cinema finisce nel 1953. Vale la pena ricordare i cinque titoli finalisti per gli Oscar di quell’anno: Da qui all’eternità (vincitore), Giulio CesareIl cavaliere della valle solitariaVacanze romane e, appunto, La tunica. Se era la fine di un’epoca, era uno splendido canto del cigno.

Un successone, al San Marco, il film “La tunica” con Richard Burton, che doveva rappresentare la prima, vera, concreta risposta del cinema a quello che stava diventando lo strapotere della televisione. Così il film venne fotografato in cinemascope e il vecchio schermo quadrato venne praticamente moltiplicato per tre

Nei primi anni Cinquanta fu completamente rinnovato il Centrale, locale che, non a torto, ha sempre avuto pretese di eleganza. L’architetto Nestorio Sacchi scrisse di “quella sala che eravamo abituati a vedere con le sue rose di lampadine al soffitto, ricordo di uno stile decorativo passato da trent’anni. In particolare l’arch. Pinetti ha trasformato l’atrio e il vaso, conferendo loro un aspetto coerente con i moderni criteri estetici e chiamando a dare la loro opera, nella parte decorativa, due artisti dotati come Domenico Rossi ed Erminio Maffioletti”.

L’atrio del Centrale, sul Sentierone, dopo il rinnovamento dei primi anni Cinquanta (per gentile concessione della signora Antonella Ripamonti)

Ci fu tra l’altro un periodo, in quegli anni Cinquanta, in cui il Centrale, nelle sere estive, proiettava i “prossimamente” dei film direttamente sul Sentierone su un maxischermo piazzato sulla balconata soprastante il Quadriportico; e il Grand Hotel Moderno allietava i clienti del suo ristorante, accomodati per la cena sul piazzale adiacente, con la proiezione di cartoni animati: era la Bergamo by night – completamente dimenticata alla fine del Novecento -, con i teatri, i cinema, i numerosi bar sul Sentierone (il Moka Efti con l’orchestrina swing) che con le loro insegne luminose e i cartelloni pubblicitari mandavano luce, colore, allegria su tutto il centro cittadino.

Il caffè Moka Efti sul Sentierone, nel 1945, con l’orchestra di Aldo Sala

 

Alla fine degli spettacoli al teatro Donizetti, fosse anche mezzanotte, c’erano i servizi dell’Azienda tranviaria che accompagnavano a casa gli spettatori; pochissime le automobili. Nei borghi circolavano ancora di meno e si poteva tranquillamente giocare in mezzo alla strada.

Città, Bergamo negli anni Cinquanta, che si piccava di essere “scenograficamente elegante”.

In quei tempi c’erano a Bergamo tredici cinematografi di Prima e di Seconda visione ed erano per lo più nella zona del centro, tenendo conto che nel ‘53 fu inaugurato l’Astra in via Sant’Orsola e tra il 1952 e il 1955 fu realizzato il complesso di edifici di piazza della Repubblica, destinato ad ospitare, nonostante la grande crisi annunciata alle porte, ben due sale cinematografiche: il San Marco e l’Arlecchino: i mitici anni di queste due sale furono anche gli anni  del Cinema Apollo, sorto nel 1971 sulle ceneri del Teatro Duse.

IL CINEMA ASTRA

Nel 1953 fu inaugurato l’Astra, l’ultimo della serie di via Sant’Orsola. In quel periodo, la marcia delle sale cinematografiche di Bergamo sembrava inarrestabile.

Il Cinema Astra, sorto nel 1953 in via Sant’Orsola, a lungo familiarmente chiamata “la via dei cinema”. Una via di borgo, piuttosto stretta e neppure tanto lunga. La via ha visto nascere e morire, nel raggio di cento metri, tre cinematografi, due dei quali con diverse denominazioni. L’Astra venne chiuso alla fine del Novecento

La vasta sala dell’Astra era stata ricavata ingegnosamente in uno spazio che non si sarebbe stimato sufficiente ad accoglierla; con la sua ampia balconata, dava una sensazione di grandiosità, facilitata anche dal confronto con l’angustia della strada in cui il cinema era ubicato. E l’ampio ingresso, con il bar contiguo, formava nella via un complesso vivace e interessante (8). Venne sottoposto a rilevanti lavori di ammodernamento nel 1973.

Nel 1954 il “Grande cinema Diana” era stato tra l’altro soprannominato “il cinema delle lacrime”, avendo a lungo proiettato “la lacrimosa istoria” de “I figli di nessuno” con un eccezionale afflusso di spettatori: quarantacinquemila in ventinove giorni tra gennaio e febbraio

 

Il garage demolito per dare spazio al complesso di edifici realizzati in piazza della Repubblica tra il 1952 e il 1955, destinato ad ospitare il San Marco e l’Arlecchino, oltre che appartamenti, uffici e un albergo, oggi denominato Hotel Excelsior San Marco

IL SAN MARCO E L’ARLECCHINO

Tra il 1952 e il 1955 fu realizzato il complesso di edifici di piazza della Repubblica, progettato e costruito dagli architetti Nestorio Sacchi ed Enrico Sesti, destinato a ospitare ben due sale cinematografiche, il San Marco e l’Arlecchino, oltre che d appartamenti, uffici e un albergo, oggi denominato Hotel Excelsior San Marco.

Il complesso di edifici di piazza della Repubblica, progettato e costruito dagli architetti Nestorio Sacchi ed Enrico Sesti tra il 1952 e il 1955, era destinato a ospitare appartamenti, uffici, due sale spettacoli (cinema San Marco e cinema Arlecchino) e un albergo (oggi denominato Hotel Excelsior San Marco). La ricchezza di elementi decorativi per gli interni del cinema San Marco, che ospita affreschi a stucco lucido realizzati da Achille Funi, Erminio Maffioletti e Silvio Rossi lungo la tromba delle scale di accesso

Le due sale furono realizzate l’una sopra l’altra: solo platea per l’Arlecchino (capace di ospitare 500 posti), platea e galleria per il San Marco (capace di ospitare 1150 posti), nonché un unico atrio d’ingresso. Più tardi, nel 1971, verrà realizzato il Cinema Apollo, sulle ceneri del Teatro Duse.

Fin da subito, il San Marco e l’Arlecchino furono considerati i cinema più chic di Bergamo, data anche la nota artistica degli affreschi dei soffitti e dell’atrio d’ingresso – opera di Elia Ajolfi – e degli affreschi a stucco lucido realizzati da Achille Funi, Erminio Maffioletti e Silvio Rossi lungo la tromba delle scale di accesso al San Marco, il tutto impreziosito dalla profusione di velluti rossi nella sala.

Mentre l’Arlecchino disponeva anche di un piccolo palcoscenico (in spettacoli di prosa vi recitarono anche Andreina Pagnani, Olga Villi, Paolo Ferrari, Mario Scaccia, Lydia Alfonsi, Walter Chiari, Piero Mazzarella), è del San Marco che le descrizioni si sprecano.

Progettato dall’architetto Enrico Sesti, poteva ospitare fino a 1150 persone nella platea e nell’ampia galleria; Sesti concepì la sala “con larghezza di vedute e con tale signorilità da fare onore a Bergamo”, risolvendo “il complesso tema con una chiarezza pianistica e una linearità strutturale esemplari”.

Il San Marco era dotato dei più moderni impianti e fu costruito secondo i più recenti accorgimenti della tecnica; la sua resa acustica era ottima, grazie all’uso di speciali materiali fonoassorbenti.

La sera dell’inaugurazione del San Marco, il poeta Alfonso Gatto tenne una brillante conferenza per introdurre il film Europa 51 di Roberto Rossellini: “Prima di venire a Bergamo mi hanno detto: “Fa da angelo custode a una Musa così giovane, il cinema, mostrale i giardini del Tasso, accompagnala come un innamorato per le strade di Città Alta, ricordale che qui, in questa città carica di segrete armonie, eppure aperta ai traffici della vita, l’arte ci sta bene di casa, sempre fra amici fedeli e discreti”.

Piazza della Repubblica, con il complesso di edifici che ospitava il San Marco e l’Arlecchino

Al San Marco le “maschere” si aggiravano per la sala con livree bordate di galloni d’oro e guanti bianchi, e nelle serate di gala, per gli uomini era di rigore lo smoking mentre per le signore, gli abiti di firma.

A pochi passi dal San Marco, il mitico ristorante Manarini

Raccontava un’ex cassiera del San Marco che alle prime, cui seguivano sempre i favolosi rinfreschi del Bar Borsa, si assisteva solo su invito e si facevano carte false pur di non mancare.

Negli altri giorni il boom era il sabato e la domenica, quando si staccavano anche quattromila biglietti al giorno. Comunque si lavorava anche nelle altre giornate, dalle 14 fino a mezzanotte ininterrottamente. Andare al cinema al pomeriggio, in quegli anni, era una consuetudine per molti.

Piazza della Repubblica, con il complesso di edifici che ospitava il San Marco e l’Arlecchino

Alain Delon e la sua troupe utilizzarono più volte la sala del San Marco per proiettare e giudicare gli spezzoni girati poche ore prima (9).

Il gestore di queste due bellissime sale era il romano (ma residente a Milano) Giuseppe Spiaggia. Figura di spicco dal tratto signorile e brillante, fu per molti anni presidente dell’Agis lombarda, e tra Milano, Bergamo e altre città della Lombardia, a un certo punto giunse ad avere in gestione oltre venticinque sale cinematografiche.

A Bergamo, dopo qualche anno, aggiunse al San Marco e all’Arlecchino il Cinema Teatro Nuovo – che spinse la proprietà a rinnovare nell’intera sua struttura, attraverso l’incarico dato all’architetto Alziro Bergonzo, di cui era amico – e, più o meno nello stesso tempo, acquistò la proprietà del Cinema Teatro Enal di via G.M. Scotti (dove c’era la vecchia Mutua), cui attribuì il nome di Cinema Ariston, divenuto poi, nel ricordo del giovanissimo figlio Alessandro, morto in moto sul circuito di Vallelunga, Cinema Alexander. Giuseppe Spiaggia morì ancora relativamente giovane, agli inizi degli anni Ottanta e ad esso succedette l’altro figlio Lamberto, cui spettò la triste incombenza di chiudere le varie sale del gruppi familiare ormai travolte da una crisi inarrestabile.

LA RISTRUTTURAZIONE DELLE SALE NEGLI ANNI SESSANTA

E’ stato soprattutto negli anni Sessanta che a Bergamo si è provveduto alle trasformazioni e alle ristrutturazioni delle sale cinematografiche. Il successo della televisione – e, per contro, i primi scricchiolii del “terremoto” che avrebbe travolto il cinema -, aveva reso non più procrastinabile il riammodernamento e l’abbellimento delle sale, che vennero “dotate di impianti perfezionati e rifornite di film selezionati con maggior cura”. Il cliente – facevano notare le cronache locali a metà degli anni Sessanta -, andava conquistato “…con spettacoli consistenti e acconciamente presentati”. Altrimenti sarebbe rimasto a casa a vedere la televisione che, bene o male, propinava tutte le sere “uno spettacolino” e per giunta gratis (32 lire contro le 500-600 che occorrevano in media per recarsi al cinema).

Tra la fine dei Sessanta e l’inizio dei Settanta in città si contavano ben quindici cinematografi che tutti i giorni aprivano alle 14 offrendo spettacoli continuati (l’ultimo film veniva proiettato alle 22.30, ma ci fu un periodo con proiezioni anche dopo la mezzanotte).

Il Diana venne rimesso completamente a nuovo nel 1963 e intorno al ’68  il Sant’Orsola fu ristrutturato per essere rinominato Delle Arti.

Il Diana, in via Borfuro, nel 1969. Fu rimesso completamente a nuovo nel 1963

1971: SULLE CENERI DEL “DUSE” NASCE IL CINEMA APOLLO

A Bergamo come altrove, parecchie sale avevano la “A” come iniziale (Ariston, Astra, Arlecchino…), perché ogni cinema cercava di stare in cima alla lista per accalappiare gli spettatori più impazienti nella lettura sui giornali dei tamburini (gli annunci dei cinema). E anche l’Apollo non fu da meno.

Un tamburino del 1961

Ultimo cinema ad essere realizzato, nel 1971, l’Apollo era sorto sulle ceneri del glorioso Teatro Duse, ma a pochi passi di distanza, in via Piccinini.

Il Teatro Duse, che si ergeva alla rotonda dei Mille, fu un bellissimo teatro dalla pregevole, imponente facciata in stile neoclassico, ricca di fregi e statue. Era stato inaugurato nel 1927 e per ben quarant’anni aveva funzionato egregiamente da politeama (adatto cioè ad ospitare ogni tipo di rappresentazione artistica), ma anche, soprattutto negli ultimi decenni, da cinema (suggestiva, nel ricordo de “L’Eco”, la prima visione del film “Help” dei Beatles, che fece affluire nella piazza centinaia di fan invasati). Fu chiuso e demolito nel 1968 per dare spazio all’edificio polifunzionale di stile brutalista, che ospitò il Cinema Apollo

Si trovava nel seminterrato dell’edificio in stile brutalista progettato in luogo del teatro, e quando venne inaugurato, i bergamaschi si stupirono non poco perché per accedervi si doveva scendere una scala; perché, come informava il “Giornale di Bergamo”, “questo nuovo cinema è dotato di un allestimento fra i più funzionali e tecnicamente avanzati”; perché, pur essendo sotterraneo, aveva sia la platea che la galleria. Inoltre tra una fila e l’altra delle poltrone c’era abbondante spazio e la visibilità era perfetta in ogni ordine di posti. Infine il locale era dotato di un modernissimo impianto di ventilazione e di condizionamento”. Secondo la pubblicità, questo era il cinema più moderno d’Italia. Ampio e molto frequentato.

Rotonda dei Mille: l’edificio polifunzionale in stile brutalista, che ha ospitato il Cinema Apollo

Nel 1973 l’Astra venne sottoposto a rilevanti lavori di ammodernamento su progetto dell’architetto Oscar della Torre. Venne tra l’altro abbassato il soffitto di un metro e quando fu riaperto al pubblico, la pubblicità sui due quotidiani cittadini affermava che si trattava della più moderna sala cinematografica di Bergamo.

Cinema Astra, in via Sant’Orsola

Da notare che, tra gli anni Settanta e gli Ottanta, a livello nazionale, Bergamo aveva la percentuale più alta di spettatori in rapporto alla popolazione e i cinema costituivano ancora una voce importante del tempo libero e della vita culturale cittadina. Negli anni Settanta il biglietto d’ingresso costava 500 lire, per aumentare negli anni Ottanta. Tra l’altro, fino al 1975 nelle sale era ancora permesso fumare.

LA CHIUSURA DEI CINEMATOGRAFI

Alla fine degli anni Sessanta s’incominciarono a intravvedere le prime crepe che avrebbero portato a quella lenta ma inesorabile crisi delle sale cinematografiche, culminata nel crollo degli anni Novanta e protrattasi sino agli inizi del nuovo millennio. Le cause? Diverse: l’avvento della televisione e di svaghi alternativi e, a seguire, la vendita di videocassette, la concorrenza delle multisala, dello streaming e dei download, per non parlare della difficoltà di parcheggiare in centro, dove si concentravano tutti i cinema.

Anche se tra gli anni Settanta e gli Ottanta in città si potevano ancora contare una quindicina di sale (al netto di quelle parrocchiali), i cinema cominciarono a cadere uno dopo l’altro come birilli: il Sant’Orsola nel 1968, l’Odeon nel 1973, il Diana e l’Ariston (poi Alexander) nel 1979, il Delle Arti e l’Excelsior nel 1980, il Quill nel 1983. Infine l’Astra, il Centrale e l’Apollo.

Il Capitol di via Torquato Tasso era – ed è – ancora attivo (come non ricordare Blade Runner, Il Tempo delle Mele con Sophie Marceau e Noi i Ragazzi dello Zoo di Berlino, con la musica di David Bowie).

Notturno, 1961

Aveva ormai i giorni contati il cinema di via Verdi che aveva esordito come Acquarium (il Ritz, per intenderci), negli ultimi tempi divenuto un santuario a oltranza del porno, dopo che, negli anni Ottanta, l’altro locale a luci rosse della zona, il Nuovo, aveva cambiato indirizzo.  Pare tra l’altro che la demolizione della “storica” palazzina – oggi occupata da una banca – fosse nei piani all’alba del terzo millennio.

Il Ritz di via Verdi era sorto nel 1921 come Acquarium, sulle ceneri della tipografia Isnenghi. Noto anche come quello dei “mille nomi”, dopo Acquarium divenne Verdi alla fine degli anni Trenta, poi Mignon, poi Ritz-Cinema d’essai ed infine infimo locale a luci rosse

 

Cine-teatro Nuovo, in largo Belotti. Sorto come bellissimo e grande teatro nel 1901, fu convertito a cinematografo nel 1965-’67, mantenendo l’originario involucro in stile neoclassico. Era gestito da Giuseppe Spiaggia (presidente dell’Agis lombarda, e che già deteneva la gestione del San Marco e dell’Arlecchino), che spinse appunto la proprietà a rinnovare il teatro attraverso l’incarico dato all’architetto Alziro Bergonzo, di cui era amico. Negli anni Sessanta divenne una sala da Prime Visioni – tenendo il cartellone per settimane – proponendo anche qualche spettacolo musicale o di cabaret. Dopo decenni di continuo rinnovamento, sia nell’aspetto che nella programmazione. Dal 1978, nel disperato tentativo di risalire un po’ la china si diede ai film a luci rosse. Nel corso degli anni Ottanta fu rilevato dai gestori del Lab80 “e una delle cose più difficili, all’inizio, fu dissuadere certi personaggi che al Nuovo entravano alle due e uscivano a mezzanotte, allignando più alle toilette che in sala..” (10). Chiuso nel 2005, è ancora oggi privo di una nuova destinazione

Ricordare le sale scomparse “è come recarsi al cimitero della memoria, una Spoon River della celluloide” (11).

Inaugurato nel 1926, il Sant’Orsola, quasi all’ingresso dell’omonima via, fu definitivamente chiuso il 2 giugno 1968 lasciando il posto, ristrutturato, al Delle Arti, demolito nel 1980 con tutto l’edificio che lo ospitava.

In via Sant’Orsola sorgevano addirittura tre sale cinematografiche, a pochi metri di distanza l’una dall’altra: quasi all’ingresso della via c’era il Sant’Orsola, che aveva in programma le Terze Visioni. Piccolo, un po’ trasandato e costantemente pieno di fumo, era aperto già dalle undici del mattino e vi bazzicavano sfaccendati o studenti che impiccavano la scuola. Fu definitivamente chiuso il 2 giugno 1968 lasciando il posto, ristrutturato, al Delle Arti, locale con pretesa d’eleganza e dalla vita breve, demolito nel 1980 con tutto l’edificio che lo ospitava

Il ‘68 fu pure l’anno della chiusura del Teatro Duse, che da tempo funzionava anche da cinematografo. Come già osservato, venne demolito per dare spazio a un edificio in stile brutalista, all’interno del quale, sorse, nel ‘71, il Cinema Apollo.

Nel 1973 fu l’Odeon di via Sant’Orsola a chiudere. Si trovava di fronte all’Astra, ma nonostante la vicinanza le sale di entrambi erano sempre gremite. Aveva una grande capienza e vantava ottime proiezioni, ma col tempo aveva perso lo smalto fino a ridursi a cinema pornografico. Chiusi i battenti, venne ribattezzato Quill, in omaggio alla moda anglofona. Il Quill chiuse i battenti nel 1983 e il palazzo che lo ospitava fu demolito.

Il Cinema Odeon, inaugurato il 16 novembre 1931 venne chiuso nel 1973, ormai ridotto a cinema luci rosse. Venne quindi trasformato in Quill, per chiudere nel 1983, demolito insieme al palazzo che lo ospitava (fotografia di Giuseppe Preianò)

 

Davanti al Cinema Odeon (fotografia di Giuseppe Preianò)

Poi fu la volta del Centrale, che si trovava all’angolo del Quadriportico del Sentierone, accanto al Caffè Nazionale. Chiuse i battenti per sempre nell’estate del 1997 e fu salutato come il cinema più antico (era stato ristrutturato nella sua originaria struttura) che ancora resisteva a Bergamo.

Quadriportico del Sentierone: è ancora presente l’insegna del Cinema Centrale

La sua chiusura, preludio alla grande crisi che travagliava il cinema, segnò il tramonto di un’epoca.

Nato sulle ceneri dell’omonimo Caffè, aperto nella vecchia Fiera, il Centrale era stato inaugurato il 15 agosto 1914 e la denominazione sopravvisse, all’angolo del Quadriportico del Sentierone, più o meno nella stessa posizione del precedente, così come l’attiguo Caffè Nazionale. Piccolo ma strategico ed elegante, nel cuore del centro progettato da Piacentini, era il cinema perfetto per la passeggiata nel salotto dei bergamaschi e dopo il film era categorico l’aperitivo al Balzer

Il Diana, in via Borfuro e l’Ariston, in via Gianmaria Scotti (poi divenuto Cinema Alexander), chiusero i battenti nel 1979. Quest’ultimo dava le Seconde e Terze Visioni; al suo posto fu realizzato il parcheggio del condominio attiguo.

Il glorioso Diana, il primo in cui vi era stato l’esordio del sonoro a Bergamo, era negli ultimi tempi notevolmente decaduto, specializzandosi in Seconde e Terze Visioni nonché in repliche (vi si riuscivano comunque a vedere film d’autore che – come allora capitava – mischiavano arte e sesso, come Ultimo tango a Parigi, proiettato prima che la censura lo mandasse al rogo). Chiuse i battenti il 23 luglio 1979 (12).

Al momento della chiusura il Diana era gestito dall’Eci (Esercizi cinematografici italiani). Unitamente al cinema Centrale (in odore di imminente chiusura), il Diana era passato da poco, come tutta la catena dell’Eci, in proprietà dell’antica casa francese Gaumont (un colosso dell’esercizio nonché della produzione e della distribuzione di film) diretta in Italia da Renzo Rossellini. La chiusura arrivò in un momento in cui gli esercizi del settore stavano ridimensionando il numero delle sale, per conservare solo le sale più produttive, cioè quelle delle grandi città (per gentile concessione della signora Antonella Ripamonti)

 

Il Diana, in via Borfuro, nel 1969. Inaugurato il 27 agosto 1922 fu tra i cinema che a Bergamo fecero la storia; era una sala non grande, di forma quadrata, in precedenza usata come magazzino-deposito di macchinari e apparecchiature da una casa tedesca. Nell’immediato Dopoguerra era diventato “Grande cinema Diana”

Nel 1980 chiusero il Delle Arti (ex Cinema Sant’Orsola, nella via omonima) e l’Excelsior, mentre nell’83, sempre in via Sant’Orsola chiuse il Quill (ex Odeon).

Nel 1986 scomparve anche lo storico cine-teatro Rubini, per lasciare il posto a un Centro Congressi. Nato come teatro e cinematografo, negli ultimi decenni diede film di Seconda visione, mantenendo pur sempre la fama di “cattedrale” del cinema. Con il nome di Rubini 2000 (1974) era divenuto frequentatissimo negli anni ‘70 anche per una serie di importanti concerti rock e pop. Ancor oggi il Cinema Rubini è rimasto nell’immaginario collettivo della città

Il Rubini, in via Paleocapa, era uno storico cine-teatro. Inaugurato nel 1907, scomparve nel 1986 per lasciare il posto a un Centro Congressi. Con i suoi 1.600 posti a sedere aveva offerto per decenni film per famiglie, le anteprime dei western di Sergio Leone e tutti i film di Disney

Altra “cattedrale” che non riuscì a sottrarsi alla chiusura era l’Astra, l’ultimo della serie di via Sant’Orsola, ribattezzata “la via dei cinema”. Localone in stile anni Sessanta, si trovava a metà della via, all’altezza dei portici. La ristrutturazione aveva fatto scomparire il gigantesco atrio d’ingresso col pavimento di marmo, chiuso in fondo dalle lunghissime vetrate che accoglievano frotte di spettatori. Fino agli anni Settanta era l’unico cinema con il bar nell’ingresso. In quegli anni, alcuni ragazzi riuscivano ad entrarvi di straforo, utilizzando una porta di emergenza che dava su un cortile di via XX Settembre, che veniva aperta dall’interno dall’unico del gruppo che aveva pagato il biglietto.

L’Astra, l’ultimo della serie di via Sant’Orsola, era stato inaugurato nel 1953, nello stesso periodo in cui venivano aperti il San Marco e l’Arlecchino

All’alba del terzo millennio sopravvivevano, nel centro di Bergamo, solo due sale cinematografiche: il Capitol in via Tasso (ex Cinema Italia fino agli anni Sessanta) e il San Marco (l’Arlecchino era già stato smantellato e il suo spazio destinato a un’altra attività).

In più c’erano tre sale rionali: Alba, Del Borgo, Conca Verde. Ormai gli spettacoli erano ridotti all’osso.

Il San Marco e l’Arlecchino, in piazza Della Repubblica, erano costruiti uno sopra l’altro. Data la loro eleganza, erano considerati una sorta di salotto cinematografico cittadino. Posto al piano superiore, il San Marco, era dedito alla programmazione popolare, mentre l’Arlecchino, al di sotto, era per film più di qualità. Tra i due, l’Arlecchino fu il primo a chiudere: venne smantellato e il suo spazio destinato a un’altra attività, mentre il San Marco fu inizialmente ridotto in una piccola e anonima e sala, per chiudere definitivamente i battenti nel 2020

 

Il Capitol, in via Torquato Tasso, era nato nel 1921 come Olympia. Ceduto nel 1931 al Gruppo Leoni, era diventato Cinema Italia (così denominato fino agli anni Sessanta, quando la via era ancora a doppio senso e ci si poteva parcheggiare proprio davanti) e successivamente Studio Capitol; venne trasformato in multisala alla fine del Novecento

L’Alba a Valtesse, in Via Biava, proponeva film di qualità, pochi campioni d’incassi e invece pellicole ricercate e per intenditori. Cercò di rifarsi il look cambiando anche nome e diventando Blob House ma alla fine non resse l’urto delle multisale e chiuse definitivamente nel giugno 2011.

Il Cinema Alba di Valtesse, divenuto Blob House e chiuso  nel giugno 2011

Ai primi di marzo del 2020 i proprietari del San Marco, da qualche tempo ridotto ad una piccola e anonima e sala, ne hanno annunciato la chiusura definitiva. “Il gestore, Michele Nolli, nipote del Piercarlo che tutti i cinefili bergamaschi ricordano con affetto, aveva pensato, con la collaborazione del Meeting, a una chiusura alla grande. Magari con una proiezione di Arancia meccanica alla presenza di Malcolm McDowell, ospite d’onore del Bfm. Invece il destino (e l’emergenza Covid 19) hanno mandato tutto all’aria” (13).

Il San Marco aveva riaperto dopo i lavori di ristrutturazione nel dicembre del  2006,  cancellando la vecchia insegna dell’Arlecchino. Nell’agosto di quell’anno era stato aperto il caffè ristorante “Ai Giardini-San Marco”, andato a occupare gli spazi su due piani che in precedenza erano del negozio di abbigliamento “Cristiano”. Nella primavera 2007, poi, aprì il Centro San Marco: palestra, centro benessere, piscina e centro fitness oltre a spazio commerciale

Il San Marco se n’è andato così in silenzio, senza il gran finale, nei giorni segnati dall’emergenza per il Coronavirus e negli stessi giorni in cui anche lo storico negozio di abbigliamento Petronio, sotto i portici tra le vie Petrarca e Locatelli, avviava una liquidazione totale, in vista della chiusura dopo 66 anni della storica attività che aveva ospitato nei suoi camerini migliaia di clienti, sempre con un occhio alla moda e l’altro al classico e all’eleganza.

Infine l’Apollo, la sala più “giovane” della città, che chiuse definitivamente nel 2005 – l’annus horribilis per i cinema di Bergamo –, diventando un parcheggio dopo anni di degrado. E pensare che a suo tempo, era stato definito “il cinema più moderno d’Italia”.

La triste fine del Cinema Apollo, che si trovava in via Piccinini nel seminterrato dell’edificio in stile brutalista progettato in luogo del teatro Duse (Foto L’Eco di Bergamo, 31 marzo 2009)

 

L’interno del cinema Nuovo prima dello smantellamento della sala (chiuso nel 2005)

LE ULTIME (POCHE) “RESISTENZE”

Come segnalato anche dai giornali locali, resistono al passare del tempo il Capitol in via Tasso – che alla fine del Novecento aveva aperto anche un’altra sala, sempre puntando su pellicole di qualità, con una programmazione più incentrata sui film di nicchia – e il Conca Verde, nel quartiere di Longuelo.

Nato come Olympia nel 1921, divenuto Italia nel ‘31 e così denominato fino agli anni Sessanta (quando la via era ancora a doppio senso e ci si poteva parcheggiare proprio davanti), il Capitol di via Torquato Tasso ha resistito a lungo, fino ad essere trasformato in multisala alla fine del Novecento. E’ gestito dalla Siec, fondata nel 1983 da Piercarlo Nolli, ex gestore del San Marco

Il Conca Verde di Longuelo è sopravvissuto allo tsunami dell’attualità ipertecnologica, con due sale, una gigante usata anche per eventi vari e una più piccola e raccolta. La qualità delle pellicole è ottima e vengono proposte diverse rassegne.

Interno Cinema Conca Verde, a Longuelo

L’Auditorium in Piazza della Libertà, sempre legato alla coraggiosamente attiva associazione cinefila Lab80, può contare sulla sua super sala, perfetta anche come teatro.

L’Auditorium in Piazza della Libertà

Del Borgo in Piazza Sant’Anna, che trasmette anche pellicole ricercati ed organizza rassegne.

L’ERA DELLE MULTISALA

Le multisala cominciarono a spopolare nell’hinterland, in nuove strutture dotate di ampi parcheggi, come a Curno, dove nel 1999 sorse la più grande multisala della Bergamasca, aperta dalla Uci-Paramount Universal Company: un complesso di seimila metri quadrati (costato trenta miliardi e costruito in sei mesi) con nove sale per duemilacinquecento spettatori (di cui la più grande, in grado di ospitarne 433), spazi ricreativi, snack bar, pizzeria e un ristorante-tavola calda sormontato da una gigantesca e scenografica cupola a vetri. Il tutto allo scopo di offrire un intrattenimento “a largo raggio”, che funzionasse da attrattiva per i clienti, avvantaggiati dalla possibilità di prenotare il biglietto per telefono, di assistere alle proiezioni seduti in poltrone ergonomiche distribuite in file ben distanziate; di potersi gustare un film proiettato su schermi giganti (venti metri il più grande), adattati ai vari tipi di pellicola grazie a sistemi computerizzati, oltre che fruire di ben tre sistemi sonori ultrasofisticati.

Alla vigilia dell’inaugurazione, “Bergamo 15” faceva comunque notare che il megacinema avrebbe posto in particolare il grosso problema dovuto all’alto numero di autovetture che si sarebbero – almeno potenzialmente – riversate ogni giorno sulle strade già superaffollate della zona, dal pomeriggio fin dopo la mezzanotte (14).

Con l’arrivo del 2025 anche l’Uci ha deciso di chiudere a causa della sempre più scarsa affluenza di pubblico, unitamente agli elevati costi di gestione. Le ultime proiezioni sono programmate tra la fine del 2024  e il 10 gennaio 2025.

§ § §

Altre e più circostanziate notizie sulle prime sale cinematografiche bergamasche possono essere attinte da una serie di articoli pubblicati da Ermanno Comuzio sul “Giornale di Bergamo” fra il 1970 e il 1971: lo studio, notevole per l’amore e la documentazione, meriterebbe di essere organicamente riunito in volume.

Note

(1) Ermanno Comuzio per il “Giornale di Bergamo” del 23 luglio 1962.

(2) Comuzio riporta, come data d’inaugurazione, il 1911 (“Bergamo-oggi” del 22 giugno 1986).

(3) Ermanno Comuzio per “Bergamo-oggi” del 22 giugno 1986.

(4) Franco Colombo per “L’Eco di Bergamo” del 12 agosto 1997.

(5) “L’Eco di Bergamo”, 4 ottobre 1930.

(6) “Il film, secondo la pubblicità, aveva stabilito diversi record mondiali durante la lavorazione per aver impiegato contemporaneamente duecento riflettori; per i centoventisette giorni per girare le varie scene; per le trecento pagine di copione e una ‘pizza’ di centoventisette chili per una proiezione di due ore e mezza; per le cinquemilatrentacinque comparse” (Pilade Frattini e Renato Ravanelli, “Il Novecento a Bergamo – Cronache di un secolo”. A cura di Ornella Bramani – Vol. II. UTET. Anno 2013).

(7) Ermanno Bersani per “La Rivista di Bergamo”, novembre-dicembre 1949.

(8) Nestorio Sacchi per “La Rivista di Bergamo”, in Pilade Frattini e Renato Ravanelli, “Il Novecento a Bergamo. Ibidem.

(9) Dai ricordi di Rosanna Boggi, una delle cassiere del S. Marco, in Pilade Frattini e Renato Ravanelli, “Il Novecento a Bergamo. Ibidem.

(10) Corriere della sera, 7 marzo 2020. “Bergamo, c’era una volta il cinema: viaggio tra le sale scomparse”. Di Davide Ferrario.

(11) Corriere della sera, 7 marzo 2020. “Bergamo, c’era una volta il cinema: viaggio tra le sale scomparse”. Di Davide Ferrario.

(12) “Al momento della chiusura era gestito dall’Eci (Esercizi cinematografici italiani) – ente sorto dalla liquidazione dell’Enic, circuito statale di sale cinematografiche – unitamente al cinema Centrale (in odore di imminente chiusura), il Diana era passato da poco, come tutta la catena dell’Eci, una sessantina di sale in tutta Italia, in proprietà dell’antica casa francese Gaumont, che ha creato la sua filiale italiana, la Gaumont-Italia, direttore Renzo Rossellini. L’Eci era sull’orlo del fallimento (si parla di dieci milioni di deficit). Evidentemente anche la Gaumont – un colosso dell’esercizio nonché della produzione e della distribuzione di film – sta ridimensionando il numero delle sale che conviene tenere. Si dice che la nuova proprietaria dell’Eci intenda conservare soltanto le sale più produttive, cioè quelle delle grandi città, sacrificando le più piccole, cioè quelle della provincia” (articolo tratto da un quotidiano locale, non datato, a firma f. col.).

(13) Corriere della sera, 7 marzo 2020. “Bergamo, c’era una volta il cinema: viaggio tra le sale scomparse”. Di Davide Ferrario.

(14) “Bergamo 15”, 30 novembre 1999.

Riferimenti principali

In primis: Pilade Frattini e Renato Ravanelli, “Il Novecento a Bergamo – Cronache di un secolo”. A cura di Ornella Bramani – Vol. II. UTET. Anno 2013.

Corriere della sera, 7 marzo 2020. “Bergamo, c’era una volta il cinema: viaggio tra le sale scomparse”. Di Davide Ferrario

L’Eco di bg 6 mag 2021. “La nostalgia senza tempo dei cinema a Bergamo negli Anni Ottanta”.

Ultima modifica: 01/12/2024

Bergamo agli albori del cinematografo

Se volessimo rintracciare il primo cinematografo di Bergamo, dovremmo aggirarci fra le tresande dell’antica Fiera durante il periodo della festa patronale: è qui che nel 1896 compare per la prima volta fra le tende sistemate ai lati della Fiera.

A passeggio negli spazi della Fiera

Ed è proprio in questo spazio, punto di confluenza della maggioranza dei “forestieri”, che dalla fine del Settecento, ma ancor di più durante l’Ottocento, al teatro “regolare” (le stagioni operistiche estive e gli spettacoli delle compagnie di attori professionisti) si affianca quello “minore” composto dai teatri dei burattini, presenti insieme ad acrobati, ciarlatani, ammaestratori di animali, giostre ed ambulanti con i loro apparecchi proto-cinematografici.

Il padiglione di Fotografia alla Fiera di Bergamo

 

Giostra in piazza Baroni, accanto alla Fiera

E se nel 1864, per la Fiera di Sant’Alessandro arriva a Bergamo il “Salon Parisien”, un’incantevole esposizione d’immagini stereoscopiche delle località più note del mondo (vedute della Torre di Pisa e della Marina di Capri), è nel 1895 che approda alla Fiera il “Teatro Ottico”, nel quale “piccoli fantocci agiscono per mezzo d’illusioni ottiche”. I visitatori si commuovono alla piagnucolosa vicenda del povero Pierrot, il quale, nel volgere di dieci minuti – tanto dura la proiezione del nastro -, viene respinto da Colombina e preso a bastonate da Arlecchino (1).

Una curiosa “stereoscopia” (fotografia tridimensionale), eseguita nel 1898 dal Dr.  Prof. Emilio Tiraboschi: un genere che ebbe larghissima diffusione sin dalla dine dell’Ottocento (Raccolta D. Lucchetti)

Nel grande recinto della Fiera il pubblico s’incanta anche davanti alla “lanterna magica”, alle pantomime delle “ombre cinesi”, agli specchi deformanti, alle marionette meccaniche, al serraglio-acquario, alla donna senza braccia che scrive con la bocca, alla Strabiliante Scoperta Fotografica (lo studio fotografico che fa il ritratto in cinque minuti), alle cuffie auricolari per ascoltare una canzone incisa su di un cilindro e al “gabinetto riservato”, nel quale gli allocchi e i perdigiorno si fanno alleggerire il borsello per poter contemplare nientemeno che alcune immagini invereconde (2).

Giostre alla Fiera di Bergamo: si noti il cartello con la scritta “SOLO PER UOMINI”

 

Alla Fiera di Sant’Alessandro

Non mancano il vitello a due teste, la donna barbuta, il cannibale della foresta e qualche altro specchietto per le allodole (3). E ancora, il Labirinto, l’Esposizione Mondiale, l’Oracolo, il Bersaglio Umoristico Meccanico, il Teatro Egiziano, il Tiro ad anelli, il padiglione della Divina Commedia (4).

La vecchia lanterna magica era un apparecchio davanti al quale si faceva girare con una manovella una pellicola saldata ad anello che proiettava un brevissimo film. Le lanterne magiche erano vendute dall’ottico e profumiere Pietro Vanoli, con negozio in via XX Settembre 41 (18 lire per le lanterne e1 lira e 25 centesimi per le pellicole), ed erano ancora pubblicizzate nel 1904 da “Isnenghi e fratello” con negozio di ottica e di orologeria in piazza Cavour (5)

E così, anche il primo antidiluviano cinematografo si annuncia come fenomeno “fieraiolo”, facendo la sua prima comparsa, nella nostra città, il 25 agosto 1896, a pochi mesi dalla scoperta dei fratelli Lumière, avvenuta il 28 dicembre 1895 a Parigi (in realtà, sulla questione si intrecciò una polemica, che si risolse in parità tra i fratelli Lumière e Edison). Fra le tante tende sistemate ai lati della Fiera, una inalberava il gran nome: ‘Cinematografo’. Era un padiglione modesto, impiantato da certo Gambari; lo spettacolo comprendeva dodici “vedute” (cioè dodici brevi film) che presumibilmente erano costituite dai primissimi film dei Lumière e da alcune riprese ‘dal vero’ dei pionieri italiani Calcina e Pacchioni (6).

I baracconi di piazza Baroni in tempo di Fiera

Le “vedute” interessarono enormemente il semplice pubblico della Fiera e il Cinematografo fece un pienone ogni giorno. “Ci si estasiava al treno che entrava in stazione muovendo ruote e stantuffi: sembrava di averlo davanti, anzi c’era chi si scostava per non farsi investire! Quel pubblico poi apprezzava il movimento degli operai e delle operaie che uscivano da una fabbrica, si divertiva a vedere bambini giocare in un prato, rideva a crepapelle alle disavventure di un giardiniere che innaffiava i fiori e restava vittima dello scherzo di un monello. Il ragazzino interrompeva il getto d’acqua mettendo un piede sul tubo di gomma e, quando il giardiniere guardava dentro l’imboccatura per rendersi conto del supposto guasto, toglieva di colpo il piede e il getto d’acqua inondava il viso del malcapitato”(7).

Il baraccone del “Cinematografo Moderno”, che agli inizi del Novecento ospitava le prime proiezioni “stupefacenti” in Piazza Baroni, presso l’antica Fiera di Bergamo. Il primo Cinematografo comparso a Bergamo il 25 agosto 1896 consisteva in una tenda, alcune panche in legno, un proiettore Lumière di legno con una manovella cigolante e un lenzuolo sulla parete di fondo. Dalla pellicola si effondevano su di un lenzuolo le immagini tremule e sfuocate. La scoperta dei fratelli Lumière fu un fenomeno “primario” della belle époque; non mancò neppure una diatriba “filologica”: cinematografo, oppure cinetografo? (Domenico Lucchetti, Fotografi pionieri a Bergamo. Foto di Aristide Dragoni)

Lo spettacolo durava “venticinque minuti. Le pellicole erano lunghe sedici metri ciascuna per una proiezione di due minuti. Un intervallo, al termine dello spettacolo, permetteva all’operatore-proprietario di riposarsi il braccio che faceva girare la manovella, di vuotare il locale e richiamare a gran voce, assistito da un aiutante, nuovo pubblico”. Il classico ‘Venghino, venghino signore e signori, l’ultima meraviglia del secolo. Non potrete dimenticare il cinematografo, nuova sbalorditiva invenzione scientifica! Fotografie in movimento, grandiose vedute di vita reale, scene magiche che danno l’impressione del vero!” (8).

Non mancavano però anche coloro che non si entusiasmarono per niente, riscontrando nel nuovo ritrovato nessuna differenza sostanziale dagli altri strombazzati e frequentati spettacoli della Fiera.

In quei primi anni del Novecento i cinematografi diventarono sempre più numerosi (il “Novecento a Bergamo” cita per esempio, l’Ideal e il Museo) e le proiezioni non avvenivano più soltanto in tempo di fiera e in Piazza Baroni.

IL PADIGLIONE DEL CINEMATOGRAFO FRANZ KUHLMANN E GLI ALTRI

Fra coloro che in particolare imposero il cinematografo a Bergamo, un ruolo di rilievo spetta a un tedesco, Franz Kuhlmann, un intraprendente impresario nomade, presente annualmente in Fiera almeno dall’anno 1900.

Prima dell’invenzione dei Lumière portava in giro per il Nord Italia serragli e giocolieri, ma seppe adeguarsi ai tempi: stabilitosi a Monza con la sua famiglia, investì i suoi risparmi in un grande telone smontabile, in una macchina da proiezione e nell’acquisto di tutti i film che poté reperire, specialmente sul mercato francese; poi si mise a girare per fiere, trovando in quella di Bergamo una delle piazze più proficue.

Kullmann, un omone imponente dai capelli rossi, con una pittoresca uniforme, redingote e tanto di cilindro, si presentava già all’esterno con un grande, meraviglioso organo meccanico, a cartoni forati, che riproduceva gli strumenti dell’orchestra (9). Nei paesi anglosassoni, in effetti, gli organi erano di gran moda nell’intrattenere gli spettatori durante gli intervalli e nel commentare le proiezioni.

Secondo le parole di un testimone, Luigi Caglio, questo organo “deliziava orecchi e vista del pubblico con una sequela doviziosa di musiche e con tutta una struttura e un’ornamentazione piuttosto pletoriche che facevano sgranare tanto d’occhi per lo stupore. In quei tempi i concerti della banda non erano frequentati e non c’era la radio che oggidì appaga ad esuberanza i bisogni dei musicofili. L’organo dei signori Kullmann era quindi una manna per gli amici della musica squattrinati, e per di più offriva il commento visivo dei motivi che diffondeva sulla piazza grazie al movimento della statuina che faceva tinnire un campanello o dei tamburini che a tratti sottolineavano coi loro movimenti lo scandire dei ritmi”.

La statuina che dominava tutte le altre era quella del direttore d’orchestra (10).

Adulti e ragazzini stavano ad osservarlo per ore prima che Herr Kuhlmann riuscisse a muoverli e a farli entrare sotto il tendone. Prima delle proiezioni chiamava il pubblico a gran voce e a proiezione iniziata annunciava i titoli dei film e ne spiegava il contenuto.

Il Cinematografo Kuhlmann era uno spettacolo nello spettacolo. Nonostante il fracasso infernale, la macchina a vapore che produceva l’energia elettrica per l’illuminazione e la proiezione brillava ai riflessi del sole e della luna, la cassa era luccicante di lustrini e nel bel mezzo vi troneggiava la moglie di Franz Kuhlmann. Per attirare maggiormente gli spettatori si fece ricorso anche all’esposizione di pupazzi di gomma riempiti d’aria, che si libravano nel cielo sopra il tendone, nonché di complicate macchine automatiche, a forma di locomotiva, per distribuire arachidi. Era un impianto ricco e costoso, di conseguenza i prezzi d’ingresso erano un po’ salati.

I primi posti, in fondo al tendone con seggiole mobili, costavano sessanta centesimi; i secondi, nel mezzo, con panche rivestite di velluto, quaranta; i terzi, sotto lo schermo e con nude panche, venti. Nonostante i prezzi il Cinematografo Kuhlmann mantenne sempre la supremazia sugli altri imprenditori del settore presenti negli anni sulla piazza a Bergamo. Questo soprattutto perché, come sosteneva la pubblicità, era il più perfezionato “per la naturalezza delle proiezioni”; l’unico che poteva “disporre di pellicole fino a 250 metri di lunghezza”.

Tra i titoli in proiezione: Nel fondo dell’oceano, Don Chisciotte della Mancia, Cent’anni di sonno, Ladri moderni….e offriva anche “proiezioni di attualità con gli ultimi avvenimenti e fatti del giorno, tra cui alcuni magnifici episodi della guerra russo-giapponese”.

Eccezionale una serata nel 1905, quando, oltre a varie proiezioni, il Cinematografo Kuhlmann mostrò “Un dramma dello sciopero, una splendida proiezione, tratta dalla vita sociale, divisa in sei quadri: 1) l’eroina; 2) il gabinetto del direttore della fabbrica; 3) tumulto e uccisione del padrone; 4) l’arresto del colpevole; 5) alla Corte d’Assise; 6) l’avvenire: davanti all’altare della pace il capitale e il lavoro si trovano uniti” (11).

Luigi Pelandi lo ricordava ancora attivo in Fiera nel settembre del 1909, quando assistette ad una “grandiosa” serata cinematografica a totale beneficio dell’Associazione Studentesca “Pro Italia irredenta”, nonché a due novità: “Gli ultimi scavi di Pompei” e “Torquato Tasso” (12).

La Fiera dell’agosto 1908

In quei primi anni del Novecento, fra i concorrenti di Franz Kuhlmann un posto di primo piano fu occupato da Filippo Leilich, che in Piazza Baroni portò il suo Cinematografo Edison. Egli, per combattere la concorrenza del più fastoso Kuhlmann offriva un programma allettante comprendente proiezioni colorate (i singoli fotogrammi venivano colorati uno per uno da esperti e pazienti pennelli) ed altre novità di richiamo, come la proiezione di un film con una vera trama, Cendrillon (Cenerentola) (13).

Un altro concorrente era il baraccone Zamperla (fondato dal proprietario di un circo minore e diretto dalla vedova, la signora Laura Del Pozzo), che di quando in quando faceva la sua apparizione in Fiera o negl’immediati dintorni, lavorando anche per il Teatro Nuovo. Impresario del settore, lo Zamperla girava le città con un carrozzone, pronto a montare e a smontare i suoi spettacoli; disponeva anche di pellicole pornografiche ufficialmente propagandate come tali. Il baraccone si presentava con un grande organo meccanico tutto luccicante e risonante delle arie operistiche e leggere più in voga. Così era annunciato dalla stampa locale: “È arrivato a Bergamo ed ha piantato le sue tende in Piazza Baroni il Grande Cinematografo Zamperla. Egli ha con sé I’officina elettrica della forza di 40 cavalli e lunedì prossimo inaugurerà un grandioso organo testé arrivato da Parigi…” (14).

Non tutti gli impresari foranei si potevano permettere organi meccanici, qualcuno ricorreva al buon vecchio organetto di Barberia. Come nel caso di quel baraccone (probabilmente il “Cinematografo deal”) di cui parla lo studioso bergamasco Sereno Locatelli Milesi. Non sappiamo, piuttosto, se l’organo serviva anche per le proiezioni (15).

LA SVOLTA 

La scoperta e il lancio di queste ”fotografie in movimento” ebbe presto fortuna; il pubblico ormai non si accontentava più delle vecchie lanterne magiche. I giornali cittadini cominciarono a scriverne un po’ più diffusamente nel 1903 (persino a spiegare cos’era il cinema e come funzionava) e fra il 1904 e il 1905, da fenomeno esclusivamente nomade e fieristico, il cinematografo cominciò ad assumere un tono decisamente più ambizioso, a mollare gli ormeggi e ad entrare nei teatri cittadini, seppur associato al varietà, al cabaret e al music-hall.

Entrò dapprima alla palestra dell’attuale Palazzo de’ Tre Passi, poi al “Givoli” di Piazza Baroni (16), al politeama “Novelli” di Viale della Stazione e, con grave disapprovazione dei benpensanti, addirittura (1899) nel nuovissimo “Donizetti”, erede del vetusto ‘Riccardi” (17), dove pare che, inizialmente, la “vergogna modernista” apparisse come una profanazione (18).

A Bergamo, il cinema entrò per la prima volta in un teatro di tradizione il 5 novembre 1899, quando il “Cinematografo Lumière” presentò al “Donizetti” un programma composto da svariate “vedute”, che occuparono da sole un’intera serata (vi ritroviamo i sopracitati) “Arrivo di un treno ferroviario” e “Uscita dalla fabbrica”). Si trattava ancora di film primitivi, girati dagli operatori dei fratelli Lumière e portati al teatro dall’impresario Terzi: un avvenimento del tutto raro in un’epoca in cui gli spettacoli cinematografici erano mostrati nei baracconi delle fiere o nei caffè-concerto. Probabilmente anzi si tratta di un primato poiché non si ha notizia che il cinema sia stato ospite, prima d’allora, di teatri. Gli intermezzi e il quadro rappresentante la Danza russa dovevano essere accompagnati non da una vera e propria orchestra (a fine secolo ancora non si usava), ma da una delle orchestrine che agivano nei locali al chiuso (non nei tendoni di fiera) per rallegrare il pubblico nelle attese, prima dello spettacolo e negli intervalli. Il cinema tornerà poi diverse volte al “Donizetti”

Subito dopo, nel teatro Nuovo appena inaugurato (19), dove ebbe una successiva brillante vita grazie al dinamico impresario Pilade Frattini, che diede una patente di nobiltà al cinema avendo compreso che ormai la prosa e gli spettacoli del circo non bastavano più (anche al Nazionale, il caffè-ristorante gestito da Pilade Frattini, nel 1906 arriverà il Cinematografo Ungari, che proietterà “vedute modernissime, riflettenti fatti seri di attualità, educativi, istruttivi, nonché aneddoti umoristici”).

Il Teatro Nuovo, in Largo Belotti, inaugurato il 23 marzo 1901

A proiettare film erano gli impresari del settore che giravano le città con confortevoli carrozzoni, pronti a montare e a smontare in teatro i loro impianti. Vanno ricordati in particolare lo Zamperla, il Roatto, i fratelli Marcenaro e il Pettini. Durante gli spettacoli proiettati al Nuovo, i titoli dei film non venivano annunciati, ma il nome dell’impresario sì. E così i manifesti dicevano: ‘Al teatro Nuovo il Cinematografo Roatto’. Alcuni impresari però davano al loro spettacolo il classico nome di fantasia (ad esempio, “Cinematografo Universal”) (20).

Le prime proiezioni erano sistematicamente abbinate a spettacoli di varietà: veniva cioè presentato all’interno dei vari programmi delle sale da spettacolo musical-popolare (come il Politeama Givoli o il Teatro Nuovo), in abbinamento al cabaret e al music-hall. Proprio per le sue modalità di presentazione, il cinema degli inizi è strettamente legato alla musica, che fin dalla fine del secolo scorso è un forte elemento di richiamo (fuori dei baracconi gli impresari nomadi – ad esempio, i già citati Franz Kullmann e Zamperla – collocavano i loro organi meccanici) (21).

La progressiva decadenza della Fiera, sempre più malfamata e fatiscente, portò il cinema in altri teatri: nel marzo del 1908 il glorioso Sociale ospitò proiezioni all’insegna del “Cinematografo Sicsim” (sigla di una compagnia di imprenditori che a maggio assunse il nome di “Cinematografo Excelsior” su iniziativa della società milanese “Industria Cinematografi”). Erano film di prima scelta, proiettati con macchinario d’ultimo modello, perfezionatissimo, veramente importante per la grande fissità delle immagini; eliminando cioè l’inconveniente principale delle proiezioni dell’epoca, il tremolio delle immagini (22).

La stampa locale ammetteva ora – e per motivi a noi noti – che “questo nuovo divertimento, alla portata di tutte le tasche, di tutte le età e condizioni, sostituisce oggi il teatro, specialmente il teatro di prosa”: un processo inesorabile, che diede il via, seppur molto lentamente, alla decadenza dei tipici intrattenimenti popolari (il circo, l’opera, il teatro leggero, ogni forma di spettacolo di piazza).

Fu poi la volta del Rubini, che il 4 agosto 1908 ospitò le proiezioni del “Grandioso Cinematografo Parlante Roosvelt American Cinematograph” (esperimento ante litteram del futuro parlato), che consisteva in un meccanismo che assicurava un approssimativo sincronismo fra proiettore e grammofono (un brevetto del francese Georges Mendel). Non mancava un “grazioso regalo” a tutti i bambini presenti in sala e si permetteva di assistere a più rappresentazioni ”senza ulteriore pagamento. I prezzi: sessanta centesimi in platea; cinquanta nella prima loggia; trenta nella seconda. Molto pubblicizzato il film “dal vero”: Due chinesi a Bergamo. Visitano le nostre antichità e fanno colazione all’hotel Moderno, un film girato in città da Giovanni Vitrotti, il miglior operatore dell’Amrosio di Torino.

L’interno del Teatro Rubini nel 1908

Il cinema arrivò quindi nel retro del bar Concordia, sul viale della Stazione, fino al primo locale permanente della città appositamente adibito agli spettacoli cinematografici: il “Cinema-salone Radium” (23).

CINEMA SALONE RADIUM: IL PRIMO VERO CINEMATOGRAFO

Il “Cinema-salone Radium”, inaugurato il 6 maggio 1909, era un capannone in legno “appositamente” costruito da una ditta di Lovere e si trovava all’incirca dove sorge ora il Credito Italiano (piazza Vittorio Veneto), di fronte al boschetto di Santa Marta (24). Era capace di ben 300 posti a sedere.

Primi del Novecento: la chiesa e il Boschetto di S. Marta, con  il busto eretto alla memoria di Lorenzo Mascheroni, inaugurato nel settembre del 1897. La chiesa, consacrata nel 1357, fu pietosamente abbattuta insieme a parte del monastero a partire dal 1915, per l’edificazione del Centro piacentiniano (Raccolta D. Lucchetti)

Decantato da una pubblicità come “il re dei cinematografi” e un “locale di prim’ordine”, era un baraccone tipo saloon da film western, con alcuni gradini da superare, un ballatoio, colonne di legno, con sala d’aspetto e bar. Vi si respirava un’atmosfera da pionieri. La pubblicità informava che il Radium era l’unico a rappresentare “costantemente le prime novità mondiali, morali, istruttive e ricreative” (25), offrendo tutti i lunedì, mercoledì e sabato un cambiamento di programma. Nei giorni feriali le proiezioni andavano dalle 19.30 in avanti, mentre nei giorni festivi iniziavano alle 14.30. L’ideatore del Radium era il vulcanico Pilade Frattini. (26), in quel periodo impresario del Teatro Nuovo e proprietario-mattatore del Caffè Nazionale.

Il Caffè Nazionale di Pilade Frattini, aperto nella vecchia Fiera

Ma non passò qualche mese che il Radium si trovò ad affrontare la concorrenza di altre due sale cinematografiche: l’Universale, in via Torquato Tasso, e il Cinema Orobico, in piazza Santo Spirito (inaugurato il 23 luglio 1910). Un incendio scoppiato nel marzo 1911 consigliò in gran fretta il trasferimento del Radium in un ambiente in muratura, presso la Società di Mutuo Soccorso. Ma la sala era disagevole e il Radium chiuse il battenti.

Nel ricordo di Luigi Pelandi, al “Radium” si tenevano i maggiori comizi sovversivi capitanati dal gruppo Rocchi, Piccinini, Marcassoli e che durante una mattinata domenicale Filippo Corridoni, presentato da Alfonso Vajana, vi tenne un comizio. Pelandi ricorda anche alcune proiezioni (“La maschera di ferro”, “I misteri di Parigi”, il colossale film “La mano nera”, che ottenne un successo strepitoso) e il prezzo d’ingresso: trenta centesimi per i primi posti (sedie) e venti per i secondi (panche); i manifesti apposti sulla porta a vetri avvertivano che “i militari di bassa forza” e i bambini pagavano la metà (27).

LE PRIME PROIEZIONI: IL CINEMA E’ ABBINATO AGLI SPETTACOLI “NAZIONAL-POPOLARI” E ALLA MUSICA

Anche al “Radium”, così come nei teatri “minori” le proiezioni erano sistematicamente abbinate a spettacoli di varietà, caratteristica fissa del “Radium”, dove sfilavano i più tipici rappresentanti del café-chantant: i loro “numeri” erano talmente apprezzati che il più delle volte il locale faceva la pubblicità non ai film, ma agli ‘intermezzi di varietà’ (28). Anche Umberto Zanetti conferma che al “Radium” le varie sequenze erano accompagnate e commentate da un pianoforte suonato da Pietro Airoldi, uno dei proprietari del locale (29).

Anche Rodolfo Paris, autore di poesie in dialetto bergamasco con lo pseudonimo “Alegher”, nonché primo duca del Ducato di Piazza Pontida, accompagnava al piano alcune proiezioni cinematografiche al Teatro Donizetti e pare fosse bravissimo nell’alternare i vari pezzi da eseguire in sincronia con le immagini (Archivio storico-fotografico Domenico Lucchetti)

Talvolta erano invece i burattini a gareggiare con le attrattive dello schermo, come nel settembre 1899 alla Scuola dei Tre Passi di Via Torquato Tasso, con un “Concerto musicale, cinematografico e trattenimento burattini”; e come nel 1909 al Caffe Concordia sul Viale della Stazione, che per tutto l’anno, sotto l’etichetta “Cinematografo e Fantocci”, proponeva spettacoli gioppinori nutriti di proiezioni di film. Mentre di questi ultimi non erano mai annunciati i titoli, degli spettacoli delle “teste di legno” figuravano sempre, ed assai circostanziati, titoli e sommari (dove Gioppino vi faceva la parte del leone: La caccia di Luigi XI con Gioppino soldato valoroso; i fulmini di Giove ovvero il debito dei’ generale, con Gioppino sentinella; i quattro simili con Gioppino servo; Le risorse per non lavorare, ossia Gioppino finto Sansone; e simili).

Decisamente più bizzarri gli abbinamenti fra il cinema e i fuochi d’artificio (come avvenne il 15 settembre 1899 nel recinto della Fiera, in occasione della ricorrenza del santo patrono), e fra il cinema e la gastronomia. Come avvenne il 4 giugno 1911 nel Salone dell‘Albergo Moderno, in cui si offriva al prezzo di lire 4 tutto compreso una ‘Festa delle rose’ con concerto, film e pranzo, con un menu tutto dedicato alle rose: Potage Rosa Gloria di Bergamo – Controfiletto di bue alla Rosa Eglantine – Polli novelli alla Rosa Lombarda – Insalatina alla Rosa d’Italia – Fragole alla Rosa Rosarum, con biscottini, più mezza bottiglia di Cimarone e mezza bottiglia di Champagne (rosé, probabilmente) (30).

Festa all’Hotel Moderno

Dopo il Cinema Salone Radium si aprirono a Bergamo altre sale. Nel frattempo era nato il divismo (prima, le produzioni non si allontanavano dal documentarismo) e arrivarono i primi kolossal: da Quo Vadis? (1913) a Cabiria (1914) (31).

Dagli anni Venti, oltre ai teatri votati al cinema sorsero altre sale cinematografiche, molte delle quali accompagnarono per decenni i sogni dei bergamaschi. E lo vedremo nel prossimo post.

Note

(1) Umberto Zanetti, “Bergamo d’una volta”. Ed. Il conventino, 1983.

(2) Umberto Zanetti, “Bergamo d’una volta”. Ibidem.

(3) Umberto Zanetti, “Bergamo d’una volta”. Ibidem.

(4) Ermanno Comuzio, “Giornale di Bergamo” del 17 agosto 1962.

(5) Pilade Frattini e Renato Ravanelli, “Il Novecento a Bergamo – Cronache di un secolo”. A cura di Ornella Bramani – Vol. II. UTET. Anno 2013.

(6) Ermanno Comuzio, “Giornale di Bergamo”. Ibidem.

(7) Ermanno Comuzio, “Giornale di Bergamo”. Ibidem.

(8) Ermanno Comuzio, “Giornale di Bergamo”. Ibidem.

(9) Pilade Frattini e Renato Ravanelli, “Il Novecento a Bergamo – Cronache di un secolo”. Ibidem.

(10) “Giornale di Bergamo”, Bergamo 5 aprile 1970.

(11) Pilade Frattini e Renato Ravanelli, “Il Novecento a Bergamo – Cronache di un secolo”. Ibidem.

(12) Luigi Pelandi, “Attraverso le vie di Bergamo scomparsa. II. La strada Ferdinandea”. Banca Popolare di Bergamo. Co-Editore: Edizioni Bolis. Bergamo, 1963 (Collana di studi bergamaschi).

(13) Pilade Frattini e Renato Ravanelli, “Il Novecento a Bergamo – Cronache di un secolo”. Ibidem.

(14) “L’Eco di Bergamo”, Bergamo 10 luglio 1906.

(15) Musica dentro e attorno le proiezioni degli inizi. Di Ermanno Comuzio (Primavera 1992). In: Immagini note di storia del cinema. Nuova serie N. 20. Associazione Italiana per le Ricerche di Storia del Cinema.

(16) Nel maggio del 1897 si erano avute al Politeama Givoli, in Piazza Baroni rappresentazioni del ‘Reale Cinematografo Lumière’ di proprietà di Giuseppe Filippi, in cui il cinema aveva il compito di concludere lo spettacolo della ‘Compagnia Eccentrica di Varietà’ composta di cantanti, clowns femminili e ‘monologhisti’ (Musica dentro e attorno le proiezioni degli inizi. Di Ermanno Comuzio (Primavera 1992). In: Immagini note di storia del cinema. Nuova serie N. 20. Associazione Italiana per le Ricerche di Storia del Cinema).

(17) Il cinema tornerà poi diverse volte al “Donizetti”, come quando nel 1906 si proiettano pellicole sotto la complicata etichetta di Electro-Chrono-Projecteur; o nel 1907, quando sul telone del teatro si mostrano scene girate a Bergamo, per le strade; o nel 1913 quando si presenta il kolossal storico Quo Vadis? accompagnato dalla musica di un’orchestra sinfonica (il cinema era muto, a quei tempi); o nel 1914, anno in cui arriva il film italiano più famoso del periodo, Cabiria. Nel 1919 venne proiettato Christus. I tre film ottennero un successo clamoroso, sicuramente anche per l’ottimo adattamento musicale del maestro Tironi, che con Cabiria seppe adeguare le musiche a quanto accadeva sullo schermo, precorrendo così le moderne soluzioni del sempre più stretto rapporto sonoro-immagine (Pilade Frattini e Renato Ravanelli, “Il Novecento a Bergamo – Cronache di un secolo”. Ibidem).

(18) Quando fu la volta del Donizetti, si scatenarono polemiche perché la “vergogna modernista” appariva come una profanazione. Si stabilì quindi di allestire cinematografo e sala di proiezione nell’atrio, e ciò a partire dall’aprile del 1908 sotto l’etichetta “Cinematografo Centrale” o anche “Cinematografo Permanente”. Curiosamente, durante la stagione della Fiera, mentre dentro il teatro si rappresentavano le opere, le proiezioni nel foyer erano perlopiù “accompagnate da un sonoro estemporaneo composto dagli acuti del tenore e dai pieni dell’orchestra che passavano le pareti”. Finalmente, nel 1912 le proiezioni trovarono posto anche all’interno del teatro per durare diversi anni (Pilade Frattini e Renato Ravanelli, “Il Novecento a Bergamo – Cronache di un secolo”. Ibidem).

(19) Nel maggio 1901 nel Teatro Nuovo da poco inaugurato si ha uno «Svariato spettacolo per l’artista Oreste Donnini, oltre al Cinematografo Lumière ed intermezzo di prosa e di canto per Ada Mancinelli». Il film proiettato in questa occasione, frammezzo alle altre esibizioni, è Le petit Poucet, fiaba in 20 quadri tratta da Perrault (Pathé) – (Musica dentro e attorno le proiezioni degli inizi. Di Ermanno Comuzio (Primavera 1992). In: Immagini note di storia del cinema. Nuova serie N. 20. Associazione Italiana per le Ricerche di Storia del Cinema).

(20) Pilade Frattini e Renato Ravanelli, “Il Novecento a Bergamo – Cronache di un secolo”. Ibidem.

(21) Musica dentro e attorno le proiezioni degli inizi. Di Ermanno Comuzio (Primavera 1992). In: Immagini note di storia del cinema. Nuova serie N. 20. Associazione Italiana per le Ricerche di Storia del Cinema.

(22) Dal programma della prima serata: “Parte prima: Giuramento bretone (dramma commoventissimo); I lunatici (cinematografia fantastica a colori); Amore di bandito (dramma commoventissimo); Buon occhio di gendarme (comicissimo)” (Pilade Frattini e Renato Ravanelli, “Il Novecento a Bergamo – Cronache di un secolo”. Ibidem)

(23) Pilade Frattini e Renato Ravanelli, “Il Novecento a Bergamo – Cronache di un secolo”. Ibidem.

(24) Alcuni autori, ad es. Umberto Zanetti, che forse ha ripreso la notizia dal Pelandi (citati in “Riferimenti”), scrivono che “Il 6 maggio 1909 accanto al Bramati, all’interno del recinto della Fiera, s’inaugurava il primo cinematografo della città, il Salone Radium”. Per questo motivo, altrove si legge che il Cinema Salone Radium fu l’antenato del futuro Centrale, sul Sentierone, chiuso nel 1997).

(25) All’inizio del 1910 i giornali annunciavano che “d’intesa con la Lega Navale Italiana, al Cinematografo Salone Radium, di fronte al boschetto di Santa Marta, ogni venerdì avverrà la proiezione di uno speciale programma: rappresentazioni dal vero di soggetti nautici, vita nelle colonie, vedute marine panoramiche ecc. Scopo dell’iniziativa è di dare intrattenimenti divertenti e istruttivi cercando di seguire possibilmente un ordine metodico nei programmi delle proiezioni. Alle proiezioni potranno assistere gratuitamente gli alunni delle scuole comunali”. L’utile era “destinato ad aumentare il fondo per il terzo viaggio d’istruzione per mare al quale sono iscritti anche alcuni bergamaschi” (Ermanno Comuzio per il “Giornale di Bergamo” del 14 luglio 1962).

(26) Pilade Frattini e Renato Ravanelli, “Il Novecento a Bergamo – Cronache di un secolo”. Ibidem. Con inserti di Ermanno Comuzio per il “Giornale di Bergamo” del 14 luglio 1962.

(27) Luigi Pelandi, “Attraverso le vie di Bergamo scomparsa. II. La strada Ferdinandea”. Ibidem.

(28) Ecco un programma tipico [10 febbraio 1912): Parte I – Triste valzer, straordinarie scene drammatiche passionali; Visioni alpestri, interessante cinematografia dal vero. Parte II ­ Intermezzo artistico di varietà. Les Del Cigno, trio artistico-comico di canto, continuo grande successo. Parte III – Il dito del destino, nuovo dramma emozionantissimo; Viaggio di nozze a tre, comica. Prezzi d’ingresso: Primi Posti cent. 40, Secondi Posti cent. 20, Soldati e bambini pagano la metà (Musica dentro e attorno le proiezioni degli inizi. Di Ermanno Comuzio (Primavera 1992). In: Immagini note di storia del cinema. Nuova serie N. 20. Associazione Italiana per le Ricerche di Storia del Cinema).

(29) Umberto Zanetti, “Bergamo d’una volta”. Ibidem.

(30) Musica dentro e attorno le proiezioni degli inizi. Di Ermanno Comuzio (Primavera 1992). In: Immagini note di storia del cinema. Nuova serie N. 20. Associazione Italiana per le Ricerche di Storia del Cinema.

(31) L’Eco di Bergamo, 13 febbraio 1985. All’Ateneo La conversazione di Ermanno Comuzio sulla nascita del cinema a Bergamo.

Riferimenti principali

Pilade Frattini e Renato Ravanelli, “Il Novecento a Bergamo – Cronache di un secolo”. A cura di Ornella Bramani – Vol. II. UTET. Anno 2013.

Immagini note di storia del cinema. Nuova serie N. 20. Associazione Italiana per le Ricerche di Storia del Cinema. Il capitolo: Musica dentro e attorno le proiezioni degli inizi. Di Ermanno Comuzio (Primavera 1992).

L’Eco di Bergamo, 13 febbraio 1985. All’Ateneo La conversazione di Ermanno Comuzio sulla nascita del cinema a Bergamo.

Umberto Zanetti, “Bergamo d’una volta”. Ed. Il conventino, 1983.

Luigi Pelandi, “Attraverso le vie di Bergamo scomparsa. II. La strada Ferdinandea”.  Banca Popolare di Bergamo. Co-Editore: Edizioni Bolis. Bergamo, 1963 (Collana di studi bergamaschi).