L’ex chiesa di S. Antonio in foris in Borgo Palazzo

All’inizio di Borgo Palazzo, poco oltre lo splendido palazzo Camozzi si apre a sinistra un piccolo slargo – dove un tempo funzionava la pesa pubblica -, sul quale si affaccia un edificio che vanta oltre ottocento anni di storia ma che la nuova destinazione d’uso risalente al Settecento ha fatto dimenticare: quella che un tempo fu la chiesetta di S. Antonio in foris, risalente all’anno 1208, sorta per desiderio del “dominus” Giovanni Gatussi di Parre, personaggio che aveva una certo appoggio politico cittadino (1).

L’edificio della chiesetta di S. Antonio in foris esiste ancora, ma trasformato in negozio

Il piccolo edificio, pressoché sconosciuto, è di misure tanto modeste da non essere notato: bisogna andarlo a cercare di proposito, tanto più che nulla, nemmeno un cartello, ricorda al passante la presenza della chiesetta – con il portale più antico rimasto della città -, sopravvissuta a tutti i mutamenti e alle demolizioni (2).

Portale laterale della chiesa con la lunetta affrescata

Era posta fuori dall’antica porta del borgo S. Antonio, nel suburbio di Mugazzone (termine che appare già nel 928, con il quale si indicava l’antico nome di Pignolo), quartiere al tempo poco abitato ma posto in prossimità di due corsi d’acqua: la Morla a sud e il canale Roggia Serio a nord, che favoriva il “forte insediamento di attività tessili, tra cui tintorie, folli, purghi e mulini” (3) all’estremità meridionale del borgo S. Antonio.

Nella veduta di Alvise Cima la chiesetta di Sant’Antonio Abate in foris è posta fuori l’antica porta di S. Antonio, aperta nelle Muraine, all’imbocco di Borgo Palazzo e in angolo con la strada che conduceva al monastero degli Umiliati del Galgario, anch’esso lambito dalla Roggia Serio a nord e non molto distante dal torrente Morla a sud. Proprio questo tratto, compreso dall’imbocco della via – dal lato di via Frizzoni – fino al ponte della Morla, corrisponde alla parte più antica del borgo ed è detto contrada della Rocchetta, con evidente riferimento ad un fortilizio. Un toponimo, questo, che si aggiunge a quello di S. Antonio, che però fa riferimento anche ad un’area esterna a borgo Palazzo

Nonostante la sua posizione apparentemente marginale, assunse ben presto una certa importanza, confermata in particolare da un documento del 1263, citato da Angelo Mazzi, in cui lo statuto della città creava una nuova vicinia staccata da quella di Mugazone, intorno alla chiesa sorta da pochi decenni (4): fatto che denota quanto il borgo stesse crescendo e acquisendo una sua autonomia rispetto a quello di Pignolo.  

Fu dunque grazie alla presenza della chiesa di S. Antonio in foris, che la zona oggi designata come Pignolo bassa assunse la nuova titolazione di vicinia di S. Antonio, cui faceva capo anche il convento di Santo Spirito. Il toponimo S. Antonio coincide dunque con la parte più antica di Borgo Palazzo, ma fa anche riferimento ad un’area esterna allo stesso, fino a comprendere l’attuale piazzetta Santo Spirito.

La porzione di Borgo Pignolo che noi tradizionalmente chiamiamo basso in passato era un Borgo dalla propria identità, per l’appunto Borgo Sant’Antonio. Fino alla metà del XIII secolo, la parte bassa di Borgo Pignolo (futuro Borgo S. Antonio) faceva parte della vicinia di S. Andrea (Via Porta Dipinta) e i suoi confini al piano correvano a ridosso delle antiche Muraine medioevali, dalla Porta di Santa Caterina, posta all’imbocco del borgo omonimo, fino al Borgo di San Leonardo, transitando quindi lungo l’attuale asse urbano di Via San Giovanni-Frizzoni-Camozzi. Fu la presenza della chiesa di Sant’Antonio in foris e dell’annesso ospedaletto, eretti nel 1208 all’estremità meridionale del borgo di Mugazone (l’antico nome di Pignolo) a giustificare la sua autonomia e la sua nuova titolazione. La vicinia di S. Antonio si estendeva dalla stongarda esistente al Maglio del Rame (allora del Vegete) fino a S. Spirito e da qui fino ad una colonna al prato di S. Alessandro

 

Insieme alla chiesa di S. Antonio in foris, la chiesa di S. Spirito faceva capo alla vicinia di S. Antonio, sorta nel 1263  (piazza S. Spirito nel 1909, Raccolta Gaffuri)

E’ difficile comprendere oggi l’area su cui si estendeva in passato questo toponimo, soprattutto quando esisteva l’omonima vicinia: la topografia del luogo è molto mutata, non solo per la scomparsa delle Muraine, della porta di S. Antonio e per la copertura della Roggia Serio, ma anche perché le vicinie in un certo senso costituivano anche dei confini fisici, coincidendo questi con recinzioni, muri di edifici, portoni (5).

La porta daziaria di S. Antonio, posta in corrispondenza del limite meridionale dell’attuale via Pignolo (Gaudenzi, 1885-1900)

 

Come si presentava la porta di S. Antonio alla fine Ottocento (Raccolta Gaffuri)

 

Il canale Roggia Serio all’altezza della torre del Galgario (attuale via Frizzoni), a pochi passi dall’ex monastero degli Umiliati del Galgario e sulla strada per la chiesa di S. Antonio in foris

La chiesa era detta “in foris” (fuori) proprio per distinguerla dalla chiesa di Sant’Antonio Abate (o di Vienne o dell’Ospedale), che sorgeva entro le Muraine, sul prato di Sant’Alessandro, demolita nell’Ottocento per l’erezione del palazzo Frizzoni (attuale Municipio).

Era affiancata da un ospedale (oggi difficilmente individuabile), il cui giuspatronato rimase alla famiglia Gatussi di Parre fino al XV secolo e fino a quel momento il piccolo ospizio duecentesco rivestì una certa importanza, e cioè fino a quando, nel 1458, venne assorbito dal nuovo e centralissimo Ospedale Grande di S. Marco insieme ad altri dieci disseminati in varie località della città (6).

Così come stava accadendo in altre città, anche a Bergamo verso la metà del Quattrocento si deliberò l’accorpamento di 11 ospedaletti sparsi tra il colle e il piano in un unico grande organismo (l’Ospedale Grande di S. Marco), al fine di ottimizzare i servizi e creare un’unica dirigenza, esercitando così un maggior controllo. Nell’Ospedale Grande di S. Marco confluì anche quello di S. Antonio Abate in foris, istituito nel 1208 sulla strada che conduceva a Seriate. Dopo cinque secoli di vita, l’Ospedale Grande venne chiuso e quasi interamente  demolito nel 1937, con l’erezione dell’ospedale Maggiore e sulla sua area fu innalzata la Casa del Fascio, che caduto il fascismo venne ribattezzata come Palazzo della Libertà

Nonostante la ex-chiesa sia ormai da tempo priva del suo campaniletto, osservando con attenzione possiamo ancora rintracciarne l’antica foggia: nel tetto spiovente (un tempo a falde in vista), nella facciata a capanna attigua al portale con stipiti in pietra che immette nella corte interna, nell’oculo sovrastante la facciata e nel piccolo portale romanico posto sul fianco, sovrastato dalla lunetta affrescata: l’unico, tra i tanti affreschi rinvenuti nella chiesa, conservatosi in loco.

Nella veduta di Alvise Cima (tela della Biblioteca), la chiesa si affaccia su una piccola rientranza di via Borgo Palazzo “Un praticello avanti le s’appiana”, scriveva l’abate Angelini). Si nota il campanile, oggi non più visibile, il tetto a spiovente e la facciata a capanna, a cavallo del portone che immette alla corte interna. L’ospedale non compare nelle didascalie e forse, suppone Tosca Rossi, neppure rappresentato: “forse rimandi del vecchio nosocomio sono rintracciabili in pianta in fronte all’attuale palazzo Camozzi e in angolo con l’attuale via Frizzoni, dove si contano tre caseggiati addossati tra loro”

Nella corte, sopra lo spazio in cui viene raccolta l’immondizia dello stabile, resta la traccia di un grande affresco devozionale. All’interno, la semplice aula unica della chiesa è ancor oggi scandita in tre campate da due arconi ogivali in pietra impostati su semipilastri (7).

Portale d’ingresso alla corte interna

 

Particolare dello stemma scalpellato sulla chiave di volta

 

Scorcio della corte interna, con il semplice portale con stipiti in pietra, oggi tamponato. In alto si intravede l’oculo

Secondo Luigi Angelini l’antico ospedale duecentesco, demolito nel Settecento, doveva trovarsi negli edifici attuali che recingono il cortile interno. In quell’epoca fu distrutto anche il campanile, per edificare i nuovi condomini che sorgono tutt’intorno (8).

La chiesetta continuò a funzionare “col nome di S. Antonio in foris, officiata fino al 1806, finché, sconsacrata nell’Ottocento (9), diverrà officina per un fabbro, poi un anonimo ambiente di magazzeno, ridotto poi ad ufficio e negozio, subendo lavori di sistemazione interna che ne hanno in parte snaturato le forme suddividendola in due piani.

Le cronache riferiscono che la chiesa non fosse molto curata e che venisse utilizzata solo per celebrare la messa quotidiana da parte dei Padri Zoccolanti del vicino convento delle Grazie, remunerati dall’Ospedale Grande di San Marco (10).

Con il tempo la chiesa finì con l’essere del tutto abbandonata. L’ultimo suo destino era la demolizione, che si voleva porre in atto nel 1937 secondo un progetto di totale rifacimento dello stabile. Demolizione che non avvenne grazie alla scoperta, da parte di don Angelo Rota, degli affreschi che l’ornavano quasi interamente (11) e al successivo intervento di Luigi Angelini (a quei tempi ispettore onorario della Soprintendenza ai monumenti), che riconobbe l’importanza della chiesetta, alla quale venne posto il vincolo.

Fu proprio in quella occasione che, scrostando l’intonaco, in corrispondenza di una traccia di porta nell’antico ingresso laterale della chiesa, affiorò la lunetta affrescata che sovrasta l’architrave del portale romanico, portato alla luce ed ancor oggi visibile sulla via, dove, scrutando con attenzione, si possono ancora notare le tracce dell’affresco duecentesco, tra i più antichi del territorio, raffigurante Madonna in trono col Bambino affiancati da sant’Antonio Abate e un santo vescovo, che malgrado lo stato di degrado è stato identificato in base ad antiche foto in san Tommaso di Canterbury; l’affresco è posto sotto un arco in pietra sui cui conci sono affrescate una serie di teste entro tondi.

Sulla lunetta del portale laterale della ex-chiesa di S. Antonio in foris, seppure sbiadita è ancora visibile la decorazione ed affresco rappresentante una Madonna in trono col Bimbo, affiancata dai santi Antonio abate e Tommaso di Canterbury. Tutt’intorno, suIl’arco di pietra intonacato che chiude Ia Iunetta, appare un motivo decorativo formato da quindicl tondi accostati l’uno accanto all’altro, racchiudenti teste di Santi di tono grigio roseo, in parte consunti e in parte anche mancanti. Ritenuti da Angelini di pregio non comune sia in senso artistico che per la loro rarità. L’affresco è stato assegnato da L. Angelini alla scuola bergamasca deII’inizio del XIII secolo, ritenendolo eseguito subito dopo il 1208, anno in cui un documento attesta Ia scelta del Iuogo di edificazione della chiesetta e deIl’ospedaIe di S. Antonio: “Le tre figure bizantineggianti aureolate (…) denotano nella Ioro ieratica rigidità il carattere tipico della pittura duecentesca”. Angelini trovava conferma alla antichità del dipinto nella vicinanza stilistica ad affreschi, anch’essi frammentari, nella cripta di S. Michele al Pozzo Bianco, nei riquadri deIl’arcone della Curia antistante alla facciata di S. Maria Maggiore e nelle figure di Santi nella bifora dipinta dell’aula della Curia

GLI AFFRESCHI DELLA CHIESA DI S. ANTONIO IN FORIS, ESPOSTI AL MUSEO DELL’AFFRESCO IN BERGAMO ALTA

I pregevoli affreschi che rivestivano quasi interamente le pareti interne della chiesa furono eseguiti tra il XIII e il XVI secolo e risultano essere tra le testimonianze più antiche del nostro territorio insieme a quelli della chiesa di San Michele al pozzo bianco di via Porta Dipinta, della Vecchia Cattedrale e della chiesa a di San Giorgio ad Almenno San Salvatore.

Le ritroviamo oggi nel cuore di Bergamo Alta in piazza Vecchia all’interno del Palazzo della Ragione, dove riaffiorano dalle pareti settentrionali della Sala delle Capriate, allestita a sede museale dagli anni Novanta del secolo scorso, divenendo Museo dell’Affresco di Bergamo, cui è possibile accedere in occasione di mostre ed eventi.

I numerosi strappi provenienti dalla chiesa di Sant’Antonio in foris di Borgo Palazzo, sono i più antichi esposti nel Museo dell’Affresco nella Sala delle Capriate al Palazzo della Ragione e sono tra i più antichi presenti nel territorio bergamasco, insieme a quelli della chiesa di San Michele al pozzo bianco di via Porta Dipinta, del Museo della Cattedrale in Piazza Vecchia e della chiesa a di San Giorgio ad Almenno San Salvatore nel parco del Romanico

 

La Vergine con S. Giuseppe e il Bambino esposta al Museo dell’Affresco di Bergamo proveniente dalla chiesa di S. Antonio in foris. E’ assegnata all’inizio del XIII secolo da L. Angelini, che lo considera coevo a quello della lunetta, risultando più arcaico del dipinto iconograficamente affine deII’aula della Curia

Proprio in quest’antica sede, si conservano molti altri lacerti o porzioni smunte e sbiadite dallo scorrere del tempo, provenienti da edifici sacri e profani della nostra città (come il monastero di S. Marta): gli affreschi della chiesetta di Sant’Antonio in foris fanno capo al secondo e terzo gruppo affisso alla parete nord del palazzo, paradossalmente il comparto più numeroso considerando la minima superficie della chiesetta da cui provengono, e ci restituiscono numerose immagini di Sant’Antonio abate, della Vergine con Bimbo, apostoli e Santi vari tra cui Bartolomeo. Giacomo e Giovanni Battista.

 Note

(1) La chiesa fu fondata nel 1208 dal vescovo di Bergamo Lanfranco (successore di Guala), per desiderio del “dominus” Giovanni Gatussi de Parre, la cui famiglia doveva risalire a quella dei conti di Parre, paese dell’alta val Seriana. Già nel 1156 un “filius Iohannis de Parre” risulta essere inserito nell’elenco dei “mille homines” che giurarono dopo la Battaglia di Palosco la pace con Brescia, mentre nel 1176 è citato un canonico della basilica alessandrina che godeva di un certo prestigio. Giovanni Gatussi de Parre aveva una certo appoggio politico cittadino. Viveva in prossimità di una fonte che viene indicata come fontana coperta nella vicinia di San Lorenzo (prossima a quella di San Pancrazio), considerata di pregio per le importanti famiglie cittadine che la abitavano. La famiglia raggiunse una certa stabilità economica acquisendo beni fondiari alla fine del XII secolo tra cui il terreno dove poi sorse la chiesa, che venne venduto nel 1208 a Giovanni dal console dalla vicinia di San Pancrazio, proveniente dalla famiglia molto vicina a quella guelfa dei Rivola (Maria Teresa Brolis, LA FONDAZIONE DELL’OSPEDALE BERGAMASCO DI S. ANTONIO “DE FORIS” (sec. XIII), in Bergomun, Biblioeca Angelo Mai, 1995). L’importanza del personaggio e i legami con le più importanti famiglie sotto l’aspetto sia politico che religioso di Bergamo (come i del Zoppo, i Rivola, i Sorlasco, i de Foro, gli Albertoni) motivano la presenza di tutte queste famiglie alla fondazione dell’ospedale con il vescovo Lanfranco e i canonici della chiesa di San Vincenzo che tre mesi dopo si presentarono per la consacrazione della prima pietra della chiesa. L’atto di consacrazione è del 28 giugno 1208 eseguita con le disposizioni canoniche della “ecclesiae hospitalis”. Fu quindi accolta la domanda di fondare una chiesa e il vescovo Lanfranco impose al Gatussi di provvedere alla custodia e alla illuminazione degli edifici, cosa che ebbe risposta affermativa indicando la protezione della chiesa alla canonica di San Vincenzo alla quale doveva versare una libra di cera annua, quale segno di sottomissione al clero, che però non poteva aggiungere altri tributi dovendo essere la chiesa e l’ospedale libero come indicato dall’atto poi perduto: “de protectione et municione et securitate ipsius hospitalis” (Maria Teresa Brolis, LA FONDAZIONE DELL’OSPEDALE BERGAMASCO DI S. ANTONIO “DE FORIS” (sec. XIII), in Bergomun, Biblioeca Angelo Mai, 1995). Il Fornoni (“Le vicinie cittadine”) precisa che “La concessione di piantare la croce, in segno di edificazione della chiesa, porta la data 13 giugno 1208 ed è rilasciata dal vescovo Lanfranco, alla presenza e col consenso di Algisio da Credario arciprete della chiesa di Bergamo, di Lanfranco arciprete di Clusone e dei canonici di S. Vincenzo”. Alla sua morte Gatussi dotò l’ospedale di vari beni, tra cui una casa situata in Città Alta, nei pressi del Mercato del Fieno (Pino Capellini e Renato Ravanelli, “I borghi di Bergamo”. Grafica & Arte, 1984).

(2) Eppure l’Angelini una targa l’aveva preparata: QUESTA CHIESETTA MEDIOEVALE/ERETTA INTORNO AL 1210/COL PORTALE AFFRESCATO/IL PIU’ ANTICO RIMASTO DELLA CITTA’. Ma la lapide non fu mai applicata (Luigi Pelandi, “Attraverso le vie di Bergamo scomparsa. Il Borgo Palazzo”. Bergamo, Ed. Bolis, stampa 1966).

(3) Tosca Rossi, “A volo d’uccello Bergamo nelle vedute di Alvise Cima Analisi della rappresentazione della città tra XVI e XVIII secolo”. Litostampa istituto grafico, Bergamo, 2012.

(4) L’importanza della chiesa è confermata da documenti citati dal Mazzi: uno del 1249, per un atto steso “in burgo de Mugatione” “in claustro hospitalis Sancti Antonii” e un altro del 1263, in cui lo statuto della città creava una nuova vicinia staccata da quella di Mugazone intorno alla chiesa sorta da pochi decenni: “vicinancia nova quae dicitur vicinia S. Antonii” (“Note suburbane” di Angelo Mazzi, Bergamo, 1892, pag. 230).

(5) Vanni Zanella “Bergamo Città”. Edito nel 1971 dall’Azienda di turismo di Bergamo.

(6) Maria Mencaroni Zoppetti (a cura di), “L’Ospedale nella città – Vicende storiche e architettoniche della Casa Grande di S. Marco”. Collana: Storia della sanità a Bergamo – 1. Fondazione per la Storia Economica e Sociale di Bergamo.

(7) Luigi Angelini, “La lunetta duecentesca della chiesetta di Sant’Antonio in Foris”. In: “Cose belle di casa nostra”, Bergamo, Stamperie Corti, 1955.

(8) Secondo Angelini l’ospedale venne demolito e trasformato nel Settecento in edificio civile (Luigi Angelini, Op, Cit.).

(9) “Per il Maironi è il 1806 (…). Nella Pianta della città e borghi esterni di Bergamo dell’architetto Giuseppe Manzini del 1816 non è più presente” (Tosca Rossi. Op. Cit., pag. 219). Riferisce Luigi Pelandi che “La chiesetta ed i locali del modesto ospedale…vennero ceduti dal Demanio al sig. Pesenti di Alzano, poi alla famiglia Zanchi (commercianti in latticini), che avevano negozio sull’angolo della via Rocchetta con l’attuale via Frizzoni, allora via Muraine sulla Circonvallazione, ove esiste tutt’ora una trattoria, quella denominata S. Antonio” (della famiglia Zanchi faceva parte il sottotenente Gioachino Zanchi, nato in Borgo Palazzo il 25 maggio 1909, “che nella guerra d’Africa immolò la sua vita in un fatto di arme glorioso”. Alla sua memoria venne concessa la medaglia d’oro al valor militare). La chiesetta “fino a pochi decenni or sono, venne passata alla ditta Agostino Moretti, che già conduceva un negozio di cesterie, sedie e scope sull’angolo di via Camozzi (n. 1). Intorno al 1955 subentrava il negozio di calzature Sperani. Fu in quel tempo che vennero asportati gli affreschi…Pare che nel frattempo i locali fossero stati invasi dai ‘barboni’, i disgraziati senza tetto dei dintorni che non trovavano posto al Dormitorio pubblico, o non volevano sottostare alle abluzioni obbligatorie del dott. Favari, nè tanto meno al ‘cordial Favari’” (Luigi Pelandi, “Attraverso le vie di Bergamo scomparsa. Il Borgo Palazzo”, Op. Cit.).

(10) La trascuratezza della chiesa è confermata da padre Donato Calvi nelle “Effemeridi” (pubblicate nel 1676), dove informa che sotto la data del 17 dicembre 1530 la chiesa, “ridotta a cattivo stato”, correva il pericolo di cadere. Per questo “l’Ospital Maggiore a cui detta chiesa è unita diede hoggi l’ordine per il risarcimento, come infatti seguì a primo opportuno tempo”. La chiesa, aggiungeva padre Donato Calvi, ha un solo altare, “ove continuamente si celebra, e le feste si convoca per l’esercitio della Dottrina Christiana” L’intervento dell’ospedale non dovette bastare perché la chiesa, prima dipendente dalla parrocchia di S. Alessandro della Croce e poi dalla parrocchiale di S. Anna, finì con l’essere del tutto abbandonata. Fu soppressa nel 1806. L’ultimo suo destino, dopo essere servita come officina per un fabbro, era la demolizione (Pino Capellini, Renato Ravanelli. Op. Cit.), che si voleva porre in atto nel 1937 secondo un progetto di totale rifacimento dello stabile.

(11) Per gli affreschi, si veda la missiva di Don Angelo Rota pervenuta a Luigi Pelandi, il quale cita anche quelli desunti da una nota di Luigi Angelini: Madonna col Bambino e S. Giuseppe (sec. XIII); Madonna col Bambino e S. Antonio (sec. XV); Madonna con Bambino; frammenti vari; teste di santi; figura di S. Antonio (Luigi Pelandi, Op. Cit.).  Nel 1954 Angelini rinvenne poi un affresco nella sacrestia: una Natività attribuita al XIII secolo (strappata nel ’55 da Allegretti o da Arrigoni, forse sotto la direzione di Pelliccioli) e alcuni affreschi frammentari (Laura Marini, “Affreschi trecenteschi: S. Marta e S. Antonio in Foris”, Osservatorio delle arti: rivista semestrale dell’Accademia Carrara, n. 1, Lubrina, Bergamo, 1988, pagg. Da 30 a 37).

Riferimenti bibliografici

Luigi Angelini, “La lunetta duecentesca della chiesetta di Sant’Antonio in Foris”. In: “Cose belle di casa nostra”, Bergamo, Stamperie Corti, 1955.

Luigi Pelandi, “Attraverso le vie di Bergamo scomparsa. Il Borgo Palazzo”. Bergamo, Ed. Bolis, stampa 1966.

Tosca Rossi, “A volo d’uccello Bergamo nelle vedute di Alvise Cima Analisi della rappresentazione della città tra XVI e XVIII secolo”, Litostampa istituto grafico, Bergamo, 2012.

Maria Teresa Brolis, “LA FONDAZIONE DELL’OSPEDALE BERGAMASCO DI S. ANTONIO “DE FORIS” (sec. XIII), in Bergomun, Biblioeca Angelo Mai, 1995.

Maria Mencaroni Zoppetti (a cura di), “L’Ospedale nella città – Vicende storiche e architettoniche della Casa Grande di S. Marco”. Collana: Storia della sanità a Bergamo – 1. Fondazione per la Storia Economica e Sociale di Bergamo.

Pino Capellini e Renato Ravanelli, “I borghi di Bergamo”. Grafica & Arte, 1984.

Francesco Rossi, “Accademia Carrara-Gli affreschi a Palazzo della Ragione”, Accademia Carrara, 1995.

Laura Marini, “Affreschi trecenteschi: S. Marta e S. Antonio in Foris”, Osservatorio delle arti: rivista semestrale dell’Accademia Carrara, n. 1, Lubrina, Bergamo, 1988, pagg. Da 30 a 37.

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