La salita al monte Ubione e al suo Castello: una piccola cima ricca di sorprese

Reportage fotografico di Maurizio Scalvini

Posto all’estremo sud delle Prealpi orobiche il monte Ubione è la prima cima che si incontra salendo la Val Brembana, segnando il confine tra questa e la Valle Imagna, di cui rappresenta la “porta d’ingresso”. Nonostante la modesta altitudine (895 metri), la cima offre uno spettacolare panorama sulle valli Imagna e Brembana e verso le pianure. Lungo il suo percorso, che si diparte dall’abitato di Clanezzo, si intersecano due itinerari:  il percorso ciclo-pedonale del Chitò, che si snoda lungo il sedime di un canale che trasportava le acque dell’Imagna alla Centrale elettrica di Clanezzo, e termina nei pressi di Capizzone (ne abbiamo parlato qui e qui), e un percorso escursionistico, il Sentiero del Partigiano “Angelo Gotti”, che inizialmente ricalca il sentiero per il monte Ubione.

Presso l’agriturismo Belvedì, compare un pannello informativo sul Sentiero del Partigiano Angelo Gotti,  che ricalca inizialmente il tracciato per la vetta dell’Ubione e che si abbandonerà una volta raggiunto un bivio (segnalato). Il sentiero è dedicato al giovane partigiano appartenente alla formazione “Val Brembo”, banda partigiana inquadrata tra le fila della brigata Fiamme Verdi “Primo Maggio”, catturato nei pressi del comando tattico Cascina Como, sul monte Ubione, e ucciso il 23 novembre 1944 (Fotografia di Maurizio Scalvini)

La modesta quota non toglie nulla al fascino di cui si gode da questa cima, che oltre ad ospitare un bivacco e comode attrezzature per rifocillarsi in plein air, offre all’escursionista la possibilità di  osservare da vicino i resti della leggendaria rocca risalente al X secolo, disposti sul pianoro che ospita la croce di vetta.

Inserito in un sistema difensivo che comprendeva anche il Castello di Clanezzo, il fortilizio fu fatto edificare da Attone di Guiberto, ultimo dei Conti di Lecco a possedere la Corte di Almenno, per contrastare qualunque assalto dalla pianura o dalle montagne e assicurarsi il controllo di tutta la zona: nel contempo, il millenario ponte di Clanezzo avrebbe consentito una via di comunicazione privilegiata con le fortezze di Clanezzo e del monte Ubione.

Il monte Ubione con il Santuario della Madonna del Castello, ad Almenno S. Salvatore, sede dell’antica Corte Regia di Lemine. Sulla vetta, osservatorio ottimale sulla pianura e sulle valli, il conte Attone di Guiberto fece edificare (X sec.) una rocca provvista di torricella, che col tempo assunse una grande importanza per il controllo del territorio, per divenire nel corso del ‘300 l’avamposto dei temuti ghibellini della Val Brembilla (Fotografia di Maurizio Scalvini)

Ampliata successivamente, divenne nel ‘300 il covo dei temuti ghibellini della Val Brembilla capitanati dai Dalmasoni di Clanezzo e dai Carminati di Ubiale, che, fedeli ai ghibellini Visconti e ostili alla guelfa Venezia, da “questo nido di umani avvoltoi” scendevano a valle a depredare i paesi di fede guelfa, compiendo le più crudeli rappresaglie. Per porre fine alle angherie compiute nei confronti della popolazione locale, tutte le case e le fortezze della Val Brembilla, compresa quella sul monte Ubione, vennero rase al suolo dai Veneziani nel gennaio del 1443, nel corso della campagna militare contro i ribelli Brembillesi, che vennero cacciati dalle loro terre e confinati oltre l’Adda. Da allora il bosco coprì tutta la montagna; sulla vetta, scomparse le vestigia dell’antico passato, non salirono che cacciatori e boscaioli.

Nel 1819 sulle pendici del monte se ne vedevano ancora le rovine, ammassate e rotolate a valle, mentre – si dice -, gli scavi eseguiti nel 1841, portarono alla luce armi (verrettoni, pugnali, e picche, e chiovi a larghe capocchie), che vennero portate al Castello di Clanezzo, di cui a quei tempi Paolo Beltrami era il signore (1).

Pochi decenni or sono, i lavori compiuti per ospitare la croce di vetta hanno portato alla luce alcuni reperti e i resti delle antiche strutture che creano oggi una sorta di museo a cielo aperto, a disposizione di chiunque lo voglia visitare.

IL PERCORSO PER IL MONTE UBIONE

Il percorso,  che  si sviluppa quasi completamente nel bosco, è sicuro e ben segnalato, richiedendo un certo sforzo solo nel tratto ripido in prossimità della cima. La salita richiede circa un’oretta e mezza di cammino, presentando un dislivello di 550 metri. E’ ideale per escursioni durante tutto il corso dell’anno, grazie alla felice esposizione del sentiero, che si sviluppa lungo il versante meridionale del monte.

La partenza avviene da Clanezzo, dove vi sono numerosi parcheggi liberi (inizio di via Belvedere o in prossimità del cimitero). Seguendo la strada asfaltata dietro il Castello, si imbocca la via Belvedere ed in breve si raggiunge l’agriturismo Cascina Belvedì, da cui si intraprende il sentiero CAI 571 noto anche come “Periplo della Valle Imagna”: un tracciato che sale gradualmente fra i boschi di castagno e che inizialmente ricalca il Sentiero del Partigiano “Angelo Gotti”, che si abbandona una volta giunti al bivio piegando a destra.

Indicazioni CAI all’uscita di Clanezzo (Fotografia di Maurizio Scalvini)

 

Agriturismo Cascina Belvedì (Fotografia di Maurizio Scalvini)

 

 

Il bivio tra il Sentiero Partigiano Angelo Gotti (a sinistra), e CAI 571 per il monte Ubione (a destra) – (Fotografia di Maurizio Scalvini)

Si affronta quindi la prima parte della ripida ascesa che conduce alla vetta, tra boschi di castagni, carpini neri e rare betulle, fino a raggiungere in circa mezz’ora il pianoro situato a metà costa del monte Ubione, che consente  all’escursionista di riprendere fiato prima di raggiungere il Passo della Regina (744 metri) e intraprendere l’ultimo strappo.

Da quest’ampia radura, lo sguardo può vagare in lontananza, godendo di un primo panorama verso Val Brembana, con bella vista sull’Arera, e verso il Canto Alto, dove si nota  il solco della Valle del Giongo: grazie all’ampia veduta offerta da questa cima, anche qui sorgeva un’antica torre presidiaria edificata ai tempi delle lotte tra guelfi e ghibellini, dalla quale si scrutava ogni spostamento di armati, che veniva prontamente segnalato con fuochi e fumate alle scolte alleate sul monte Ubione e di Cà Eminente. Sui resti della bastia in legno, arsa durante un assalto, fu eretto un maniero ghibellino, detto di Pizzidente, che fu assalito e raso al suolo dai guelfi di Sorisole e di Ponteranica nel 1404. Attorno a questa zona, nel periodo delle lotte di fazione facevano parte di un sistema fortificato anche un castello ghibellino a Petosino (dove tuttora esiste una località “Castello”), e un munitissimo fortilizio guelfo a Ponteranica, attorno alle mura della Moretta, che fu teatro degli scontri nel 1437 con Nicolò Piccinino, che, al soldo dei milanesi, tentò di strappare Bergamo a Venezia. Oltre ovviamente ai fortilizi della Val Brembilla, cui apparteneva anche quello eretto sul monte Ubione (come già osservato qui).

Il Canto Alto (antico Pizzidente) osservato dalla radura situata a metà costa del monte Ubione, all’altezza delle strutture dell’ex bacino idrico ENEL. Nel 1978, durante i lavori per la posa della nuova croce, gli alpini rinvennero i resti di un’antica torre presidiaria edificata ai tempi delle lotte tra guelfi e ghibellini (Fotografia di Maurizio Scalvini)

Il pianoro ospita i ruderi delle strutture dell’ex bacino idrico ENEL (due grandi vasche semi-interrate e un edificio ancora in buono stato), costruite all’inizio del ‘900 a servizio della Centrale di Clanezzo, posta sul sottostante fiume Brembo e da tempo in disuso: la prima vera e propria centrale della Valle Brembana ed una delle prime in Italia a sfruttare il sistema di generazione e pompaggio (2): il dislivello di ben 400 metri tra i bacini e la Centrale e la notevole capacità dei bacini (10.000 metri cubi) facevano sì che durante la notte, quando il consumo di energia elettrica è minimo, si potesse pompare fin lassù con l’energia elettrica in esubero l’acqua usata di giorno e raccolta in un bacino accanto alla centrale. Da questo grande invaso l’acqua per caduta poteva di nuovo essere sfruttata il giorno dopo o nei periodi di magra del Brembo. In pratica era il primo esempio di energia rinnovabile quasi totalmente e a basso costo.

La Centrale Schuckert a Clanezzo poco prima del 1915. Fu una delle prime, in Italia, a sfruttare il sistema di generazione e pompaggio, cioè quello che permetteva di avere una scorta d’acqua (10.000 mc) sempre a portata di turbina. Venne costruita tra il 1897 e il 1900, in posizione strategica tra l’ultima stretta del Brembo e il capoluogo, con l’obiettivo di produrre energia su vasta scala per venderla poi alle utenze private che stavano aumentando sempre di più; occorsero infatti molti anni prima che gli abitanti della zona potessero beneficiare dell’energia elettrica

 

Il Monte Ubione negli anni ‘60. Sul contrafforte del monte si nota molto bene la condotta forzata che dal bacino idrico posto a mezza costa scendeva alla Centrale elettrica sul Brembo, permettendo di accumulare e riutilizzare più volte la stessa acqua. Alle spalle del bacino si nota anche la cascina al Passo della Regina e il suo ampio pascolo, ora scomparso (fotografia di proprietà di Roberto Carminati, titolare della Carminati Stampatore di Almè, contenuta nel calendario del 2018 edito dal Comune di Almè)

Questo invaso tuttavia non poté essere costruito subito per alcuni contrasti col comune di Ubiale-Clanezzo legati anche all’apparente pericolosità di questo lago artificiale posto quasi in cima a un monte, per cui fu completato solo nel 1903. L’invaso, concepito sin dall’inizio, testimonia la lungimiranza economica e strategica dei fondatori di questa azienda (3).

Sulle pendici del monte Ubione è visibile quel che resta dei due bacini idrici artificiali e dell’edificio che serviva al loro controllo, costruiti a servizio della dismessa Centrale idroelettrica di Clanezzo. Dall’edificio sulla destra, l’unico ancora integro, veniva comandata la condotta forzata che portava l’acqua alla centrale sul Brembo. Sull’architrave di una finestra si può leggere scolpito nella pietra  l’anno di costruzione del casello: il 1908 (Fotografia di Maurizio Scalvini)

 

I ruderi presso i bacini di raccolta, lungo le pendici del monte Ubione (Fotografia di Maurizio Scalvini)

 

Il Bacino più grande, con il massiccio terrapieno a sostegno della vasca, lungo le pendici del monte Ubione. Sullo sfondo fa capolino la vetta (Fotografia di Maurizio Scalvini)

 

Il bacino grande (Fotografia di Maurizio Scalvini)

 

Il bacino grande (Fotografia di Maurizio Scalvini)

Dopo aver attraversato un folto “tunnel” di agrifogli, si raggiunge un altro dosso panoramico proteso verso la vetta e culminante nel Passo della Regina, che anticipa lo strappo finale.

La vetta in lontananza (Fotografia di Maurizio Scalvini)

Il nome della Regina fa riferimento alla regina longobarda Teotperga o Teuperga, moglie ripudiata di Lotari, e ricorre frequentemente in questi luoghi intrecciandosi con la leggenda: il ponte romano ad Almenno, la strada della Regina, la via militare romana in prossimità del ponte, Castel Regina e, da queste parti, una fonte “sana” di cui non si è rinvenuto nessun documento; è però vero che lungo le pendici del monte Ubione, a quota 750 metri, c’è un’antica sorgente che ancor oggi gli abitanti di Strozza chiamano “fontana della regina”: la permanenza della regina sul monte Ubione non è suffragata da riscontri oggettivi. E’ inevitabile allora chiedersi se sul monte vi fosse un eremo: può darsi, ma è difficile immaginarlo.

Bivio al Passo della Regina: proseguendo verso destra si intraprende un sentiero meno ripido che in breve conduce alla vetta, evitando la faticosa salita dal versante sud (Fotografia di Maurizio Scalvini)

Il Passo della Regina in realtà non scollina da nessuna parte, ma presenta un bivio che permette andando a destra di tagliare quasi in piano verso i roccoli della Passata (valico dove convergono numerosi itinerari, tra cui il sentiero Angelo Gotti): a metà di questo traverso ecco staccarsi il sentiero meno ripido che porta sull’Ubione dal versante est, aggirando dunque la ripida e faticosa “direttissima” dal versante sud.

Al Passo della Regina vi sono i ruderi delle due cascine che un tempo presidiavano un grande pascolo ormai scomparso, che abbiamo osservato nella vecchia foto in cui compariva la condotta della Centrale.

Passo della Regina (744 metri), con retrostanti ruderi di vecchie cascine e quel poco che resta di un pascolo da tempo abbandonato (Fotografia di Maurizio Scalvini)

Dal Passo della Regina si intraprende l’ultimo strappo che nel volgere di un quarto d’ora consente di raggiungere la cima,  dove è posta la grande croce che svetta sopra i comuni di Ubiale-Clanezzo e Strozza, offrendo alla vista un panorama a 360° verso Bergamo e la pianura, la bassa Val Brembana e la Valle Imagna.

La poderosa croce è stata realizzata nel 1972 dal Gruppo Alpini di Clanezzo-Ubiale e da altri Ubialesi riuniti in seguito nel “Gruppo Amici Monte Ubione” (G.A.M.U.), a ricordo dei Caduti di tutte le guerre. Il pesante braccio orizzontale, lungo 9 metri, è stato trasportato a spalle fin sulla vetta, in un sol pezzo.

La croce del monte Ubione, realizzata nel 1972 dai futuri componenti del “Gruppo Amici Monte Ubione”, è alta 23 metri, ha un braccio di 9 metri e pesa 17 quintali. Venne realizzata con il supporto del parroco don Giuseppe Valvassori e del sindaco Gino Capelli In occasione delle feste natalizie, nelle ore notturne la grande croce risplende di luce (Fotografia di Maurizio Scalvini)

 

La vasta spianata di vetta ospitante la croce cela sotto i suoi piedi i resti dell’antico Castello dei Carminati, distrutto alle fondamenta dai Veneziani nel 1443, nel corso della campagna militare contro i ribelli Brembillesi, che terminò con la loro cacciata. Dell’originaria struttura a forma di quadrilatero con l’alta torre, non ne rimangono che rovine. Con la “Cacciata dei Brembillesi” gli abitanti originari si sparsero soprattutto nel milanese, dove si diffusero in gran numero i cognomi Brembilla, poi Brambilla (Fotografia di Maurizio Scalvini)

 

Il G.A.M.U., “Gruppo Amici Monte Ubione” durante i lavori di sistemazione della sommità del monte, eseguiti negli anni 1972/’73. Il sodalizio, opera sulla vetta e nella comunità, animato dall’amore per la montagna e la natura. Nel 1993 i signori Rota di Clanezzo (tragicamente scomparsi nell’incidente aereo di Linate nell’ottobre 2001) hanno donato al G.A.M.U. il terreno del Monte Ubione, che il gruppo ha successivamente donato al comune di Ubiale insieme a tutte le opere che negli anni vi sono state realizzate. L’amministrazione ha quindi deciso di frazionarlo e si è riservata esclusivamente la cima, che ora è di sua proprietà, insieme a tutto quanto realizzato. Contestualmente ne ha affidato al G.A.M.U. la gestione e la custodia (Umberto Gamba, “Ubiale Clanezzo. Storia di una comunità”. Ferrari Editrice, Anno 2000)

Per rendere più fruibile il sito, sulla sommità del monte i componenti del G.A.M.U. hanno creato un pianoro che si presenta come una grande ed accogliente balconata, e costruito un accogliente bivacco, dove poter cucinare e ripararsi dal maltempo, arricchendo il luogo con tavoli e panche per accogliere gli amici escursionisti che salgono in occasione di ricorrenze e feste locali (ricordiamo che la prima domenica di agosto vi si svolge la tradizionale festa della montagna, che attira sulla vetta centinaia di appassionati). Il tutto è ben gestito dal Gruppo Amici Monte Ubione.

La vetta dell’Ubione, con il bivacco e tutte le strutture realizzate dal G.A.M.U. Compare anche il locale ospitante gli apparati della teleferica, realizzata alcuni anni or sono (Fotografia di Maurizio Scalvini)

 

La cima del monte Ubione è ben attrezzata con un accogliente bivacco, realizzato e gestito dal G.A.M.U., e attorniato da tavoli e panche per accogliere gli amici escursionisti (Fotografia di Maurizio Scalvini)

 

Interno del bivacco, aperto al pubblico solo in occasioni particolari (Fotografia di Maurizio Scalvini)

ALLA RICERCA DEI RESTI DEL CASTELLO

Prima dei lavori del 1972/’73 la vetta era un sottile crinale di roccette, una sorta di muretto composto da grossi sassi: ciò che restava di un muro perimetrale del Castello. Osservando l’immagine sottostante, alla base del terrapieno della grande spianata di vetta, verso nord, si vede infatti fuoriuscire un frammento di muro medioevale.

Un tratto di muratura medioevale, in posizione originale alla base della spianata di vetta, verso nord (Fotografia di Maurizio Scalvini)

Ai tempi dell’aspra contesa tra guelfi e ghibellini, l’antica rocca sull’Ubione era ormai divenuta un imponente maniero, di proprietà della potente famiglia ghibellina dei Carminati, che da questo luogo terrorizzava i guelfi dei vicini paesi. Isolato e minaccioso sul culmine del monte, a cavaliere delle due valli, appariva a chi lo contemplava da lontano come un inviolabile nido di umani avvoltoi, dal quale gli armigeri piombavano inaspettati e in cui riparavano con la preda. Nelle “Effemeridi” del Calvi, al 31 gennaio del 1360 si ricorda che Bernabò Visconti vi manteneva un castellano, diciassette soldati e due cani, mentre le cronache del 1395 narrano l’uccisione di un balestriere ad opera dei guelfi d’Imagna.

Ma com’era il  Castello? Era un massiccio quadrato irregolare con il vertice merlato. Sul lato orientale si sollevava una torre di una solidità straordinaria, come dimostrano le muraglie grosse sei piedi. Sulla facciata nord-est si apriva l’ingresso chiuso a saracinesca con un ponte levatoio, e – si dice – era così sicuro che solo le donne sarebbero state sufficienti a difenderlo e a tener fuori un grande e numeroso esercito.

Qua e là, intorno al vasto pianoro che ospita la croce e le moderne strutture, ne affiorano porzioni di muro, e per facilitare l’individuazione dei resti, visibili e non, il G.A.M.U. ha posizionato sotto la tettoia  un pannello raffigurante la planimetria della spianata di vetta, con indicata la posizione dei diversi manufatti medioevali rinvenuti negli scavi del 1973. Ha inoltre reso percorribili dei passaggi che permettono di visitare i punti di interesse, corredando il tutto di apposite targhette esplicative.

La tettoia sulla spianata di vetta, con il pannello informativo che indica la posizione dei diversi manufatti medioevali del Castello (Fotografia di Maurizio Scalvini)

 

Sotto la tettoia della foto precedente, nella parte inferiore del muretto, un tratto di muro del Castello in posizione originale (Fotografia di Maurizio Scalvini)

 

Dettaglio della foto precedente (Fotografia di Maurizio Scalvini)

Esternamente ed internamente al magazzino, sono presenti murature in pietra posate con malta a base di calce. Lo spessore notevole, circa 1.40 mt, fa supporre siano i resti delle fondamenta di una costruzione alta, probabilmente una torre di avvistamento.

Basamento della torre in posizione originale (Fotografia di Maurizio Scalvini)

 

Dettaglio (Fotografia di Maurizio Scalvini)

Come ogni castello che si rispetti, anche quello sul monte Ubione aveva un bel portale, di cui si è rinvenuta, seppur fuori contesto, la chiave di chiusura scalpellata ad arte. E’ stata posta a fianco del bivacco.

La chiave di chiusura del portale del Castello, portale di cui sono documentati lavori nel 1430, ai tempi in cui il castellano era Veneto (Fotografia di Maurizio Scalvini)

 

Nell’angolo, la chiave di chiusura del portale del Castello (non in posizione originale) – (Fotografia di Maurizio Scalvini)

Vi era inoltre una cisterna di raccolta dell’acqua piovana sulle cui rovine (ancora visibili), è stata costruita la cantina-deposito del G.A.M.U. L’acqua della cisterna, capace di 15 mc, era l’unica risorsa possibile per la guarnigione del Castello, dato che la “fontana della Regina” era un po’ troppo lontana e inutilizzabile in caso di assedio.

La cisterna, che si trova a una decina di metri dalla vetta, raccoglieva le acque provenienti dalle coperture poste a monte tramite una condotta sotterranea, di cui si è rinvenuto un tratto composto da pietre disposte a formare una canaletta. 

Sulle rovine della cisterna del Castello, attorniata dalle pietre originali, è stata costruita la cantina-deposito del G.A.M.U., il gruppo che ha realizzato la croce e attrezzato il luogo. La cisterna era composta a monte da pareti in pietra naturale e a valle da muratura di pietrame, completamente intonacate con malta di calce (Fotografia di Maurizio Scalvini)

A fianco della cantina, che anche esternamente mostra le tracce dell’antica cisterna, corre il muro perimetrale del Castello.

Tra i gradini e il muro della cantina ecco affiorare il muro medioevale della cisterna, mentre a lato corre il muro perimetrale del Castello (Fotografia di Maurizio Scalvini)

 

Muro perimetrale del Castello addossato alla cantina ricavata dalla cisterna medioevale (Fotografia di Maurizio Scalvini)

 

Muro perimetrale del Castello addossato all’antica cisterna, oggi cantina del G.A.M.U. (Fotografia di Maurizio Scalvini)

Contestualmente, si sono rinvenuti alcuni oggetti tra cui resti di vasi in ceramica, punte di frecce di balestra e proiettili in pietra e ferro ora conservati presso il Museo della Valle di Zogno.

Resti di ceramica rinvenuti tra i ruderi dell’antico Castello del monte Ubione, conservati presso il Museo della Valle di Zogno (Foto U. Gamba, op. cit.)

Doveva esistere almeno un locale sotterraneo, in quanto il plinto di fondazione per l’ancoraggio della croce metallica è stato ricavato in un locale preesistente, interrato rispetto alla quota di sommità, dunque non visibile.

Il plinto di fondazione per l’ancoraggio della croce, poggia su un ambiente sotterraneo del Castello (Fotografia di Maurizio Scalvini)

 

Sotto il basamento su cui poggia la croce è stato individuato un locale sotterraneo del Castello (Fotografia di Maurizio Scalvini)

Più a valle della spianata di vetta, a sud-est della cisterna vi erano probabilmente la fornace e la fossa per produrre la calce spenta dalle pietre calcaree locali, mentre a sud, poco più a valle, probabilmente vi era la cava per l’estrazione delle pietre da costruzione.

§ § §

Sappiamo che in epoca Veneta, dopo la costruzione della Strada Priula alla fine del Cinquecento, la cima del monte Ubione continuò a svolgere l’importante funzione di controllo all’imbocco della Val Brembana, allo scopo di proteggere la più importante delle vie mercantili della Bergamo veneziana.

La Strada, tracciata sul fondovalle per ottimizzare i traffici da Bergamo a Mezzoldo, doveva garantire attraverso il passo di S. Marco un passaggio comodo e sicuro verso la Valtellina e i Grigioni Svizzeri, porta d’accesso ai mercati centro-europei, con cui Venezia intratteneva intensi scambi commerciali, compensando degnamente le perdite subite nel Levante.

La sicurezza di questa importante strada mercantile era garantita da una capillare rete difensiva, che dalle postazioni di Ca’ S. Marco e del monte Ubione controllava l’accesso nemico dalle valli, potendo contare anche sul sostegno amico dei Grigioni Svizzeri, serbatoi di truppe mercenarie pronte a dar man forte in caso di assalto degli Spagnoli, che minacciavano i nostri confini meridionali e occidentali.

Ma questa è un’altra affascinante storia (e la racconteremo).

Note

(1) Giovan Battista Bazzoni nell’ottobre del 1883 visitò Clanezzo, vi rimase ospite per qualche tempo e con ogni probabilità vi concepì il romanzo “I Guelfi d’Imagna o Il Castello di Clanezzo”, un libro che conteneva poca verità e molta fantasia, a detta di Bortolo Belotti. Tuttavia ebbe successo, cosa che non dovette dispiacere ai coniugi Beltrami, che in quegli anni, in cui erano divenute famose le Terme di San Pellegrino, vedevano arrivare a Clanezzo molte persone desiderose di visitare i luoghi descritti nel libro e di trascorrervi qualche momento sereno. Giunti alle chiavi della Botta scendevano dalla carrozza e, affascinati dalla visione di Clanezzo attraversavano il Brembo sulla passerella e andavano a visitare i Beltrami. Scrive il Bazzoni all’inizio del suo libro che i visitatori, dall’altra parte del fiume scrutavano il bel poggio con un amenissimo giardino attorniato da alberi pittorescamente aggruppati, con fiori, viottoli, un elegante belvedere e, al di là, un’ampia casa (il Castello). Nel giardino, “dove un tempo vi era il gheffo per le scolte sorge ora un grazioso caffehaus: chi lo eresse, amatore della natura e della storia, vi depose verrettoni, pugnali, e picche, e chiovi a larghe capocchie, ch’egli stesso raccolse tra le rovine dell’antica rocca d’Ubione, di cui sull’alta vetta del monte tutte scoprì le fondamenta”. Probabilmente Bazzoni si riferisce a Paolo Beltrami (1792-1853) – (Umberto Gamba, “Ubiale Clanezzo. Storia di una comunità”. Ferrari Editrice, Anno 2000).

(2) Per realizzare questo progetto fu costruito a partire dal 1897 dalla società tedesca Schuckert un grande canale, lungo circa quattro chilometri, sulla destra orografica del Brembo la cui origine era poco a valle dei cosidetti Ponti di Sedrina con lo scopo di raccogliere tutta l’acqua proveniente da Zogno ma anche tutta l’acqua, non trascurabile, della valle di Brembilla. Questi lavori finirono nel 1900 e la nuova centrale idroelettrica, la prima in Valle Brembana che potesse definirsi correttamente in questo modo, dotata di 5 gruppi (insieme di turbina e alternatore) da 600 HP ciascuno della tedesca Siemens, entrò in funzione agli inizi del 1901 (a cura del Centro Storico Culturale Valle Brembana, “Il sogno Brembano”. Corponove editrice, 2006).

(3) Per comprendere quanto fosse fondamentale in quegli anni non sprecare alcuna goccia di acqua che potesse trasformarsi in energia elettrica basterà ricordare che dopo poco tempo, essendo stata distrutta la presa d’acqua del canale di Clanezzo poco a valle dei Ponti di Sedrina da una forte piena del Brembo, la stessa diga fu ricostruita più a monte in corrispondenza delle Grotte delle Meraviglie in territorio di Zogno. Le acque della valle di Brembilla, non potendo più essere raccolte in modo naturale, furono allora recuperate per mezzo di una piccola presa, ancora oggi visibile, nei pressi dell’antico ponte a schiena di mulo che collegava Ubiale con Zogno. Da questo luogo attraverso un canale sotterraneo interamente scavato nella roccia le acque della Brembilla furono riversate nel nuovo tratto di canale per Clanezzo che scorreva e scorre ad una quota più alta rispetto a prima. (Il sogno Brembano, op. cit.)

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