Le automobili Esperia, prodotte laddove sorse la principale scuola tecnica di Bergamo

La Città di Bergamo può vantare, fra le sue vicende storiche, quelle di alcune tra le più rappresentative industrie produttrici di auto, attive nel Primo Novecento. Se fra le moto di prestigio non possiamo non ricordare le mitiche Rumi (prodotte dalla metà degli anni ‘50 del Novecento), fra le automobili realizzate si annoverano quelle prodotte dalla gloriosa S.A.L. (acronimo di Società Automobili Lombarda), fondata a Bergamo nel 1905 con lo scopo di produrre omnibus, motori marini e automobili, per le quali venne creato il marchio “Vetture Esperia”: le prime automobili lanciate a Bergamo.

La S.A.L., “Società Automobili Lombarda, presentò a Bergamo il primo veicolo con motore a scoppio, battezzato col nome d Esperia, l’antico nome d’Italia, quasi fosse l’inizio di una prossima, allora sperata, enorme diffusione” (Luigi Pelandi, “Attraverso le vie di Bergamo scomparsa. Il Borgo Palazzo”. Bergamo, Ed. Bolis, stampa 1966)

Una fabbrica nata laddove, dopo vent’anni, una scuola soprannominata “Esperia” avrebbe preparato migliaia di tecnici per la grande crescita dell’industria bergamasca.

Il complesso scolastico dell’I.T.I.S. “Pietro Paleocapa” sorge nell’area compresa tra Via Gavazzeni e Via Europa, ed è chiamato nell’uso comune “Esperia” in ricordo dell’automobile che venne prodotta ad opera dell’azienda meccanica S.A.L. – Società Automobili Lombarda -, la quale aveva sede in questo stabile denominata Officina Esperia

La fabbrica, che si trovava nell’allora via Conventino (divenuta attorno al 1938 via Gavazzeni), era stata costruita tra il 1880 e il 1890 per fabbricare carrozze a trazione animale ed iniziava a produrre le sue auto in tempi in cui a Bergamo ne circolavano circa una decina (1).

La vecchia officina e i reparti di lavorazione della S.A.L., risalenti agli anni 1880-1890, furono realizzati con la struttura modulare degli shed, tipica degli stabilimenti inglesi, oggi ubicati nell’area centrale del complesso scolastico dell’I.T.I.S. “Pietro Paleocapa” coprendo oltre un quarto della superficie disponibile. Attualmente, sotto il soffitto a shed è stato realizzato il “Time (acronimo di tessile, informatica, meccanica ed elettrotecnica) Esperia industrial museum”, il museo scolastico dell’Itis Pietro Paleocapa, dove sono esposte pietre miliari di storia industriale, molte recuperate dai laboratori dell’istituto. Dalla macchina a vapore alla turbina Pelton, dal personal computer Olivetti alla copia di Philae, il lander della missione spaziale Rosetta

In pochi mesi l’azienda riuscì a presentare i primi autotelai, denominati “20 HP” e “40 HP”, dotati di propulsore quadricilindrico in linea da 3.770 cm³.

Auto Esperia nel 1905

 

Auto Esperia nel 1908

Nel 1909, per intervenute difficoltà finanziarie, la SAL venne posta in liquidazione ed acquisita dal tecnico Giovanni Macagno, e la ragione sociale dell’azienda mutò in “Macagno Giovanni Automobili Licenza Esperia”.

Macagno costruì nuovi autotelai “20/24 HP” e “40/50 HP”, dotati di motore monoblocco posizionato anteriormente, accensione a magnete “AT” e trasmissione cardanica sulle ruote posteriori.

Auto Esperia, Seriate 1911. Al volante Emma von Wunster Busse, al suo fianco Carlo von Wunster, nei sedili posteriori Heinrich von Wunster con la figlia Ghita. Seduto sul predellino il cognato Fritz Frenzel (Glauco Von Wunster per Storylab)

 

Auto Esperia, Seriate 1911. Al volante il nonno di Glauco, Heinrich, con al fianco suo padre, Carlo. Emma con le figlie Ghita e Agnese (Glauco Von Wunster per Storylab)

 

La prima ambulanza a motore acquistata dalla Croce Rossa Italiana risale al 1911 e fu destinata alla sezione di Bergamo. La vettura, una Maccagno 20/40 Hp, una quattro cilindri di 3.770 cc prodotta dalla “Macagno Giovanni Automobili Licenza Esperia”. La carrozzeria fu invece appositamente costruita dalla concittadina Panza tenendo presenti le necessità dell’impiego sanitario, come la comodità di disinfezione del vano posteriore o là disponibilità dell’illuminazione elettrica interna (Archivio Pelandi – Studio fotografico Modonesi)  

 

Telaio Esperia

L’auto, lucida e brillante nel suo colore rosso e verde fu subito elogiata non solo per la sua semplicità ma specialmente per la sua robustezza e per la sua raffinatezza. Per l’originalità e il prestigio dei suoi modelli, l’azienda bergamasca era fortemente apprezzata sia in Italia che in Europa, così come negli USA, patria dell’automobile di serie. Infatti il gran successo riscosso all’Esposizione mondiale di Parigi nel 1905, dove la vettura Esperia  conquistò la Medaglia d’Oro, spinse gli Stati Uniti a commissionare ben 24 esemplari di questa stupenda automobile, allargando così la fama dell’industria meccanica bergamasca anche al continente d’oltreoceano.

Sull’onda dell’emotività, ma principalmente in conseguenza della riconosciuta precisione di lavorazione dovuta sia alle moderne macchine che alla manodopera sceltissima e all’abilità degli operai, le auto prodotte nella fabbrica orobica ottennero persino il nomignolo di “gioiello” nell’ambiente dell’industria automobilistica mondiale.

Le buone caratteristiche tecniche delle vetture, note alla cronaca dei tempi per la loro affidabilità, si dimostrarono anche in alcune gare come la “Padova-Bovolenta” (nella quale una “20/24 HP” guidata da Macagno conquistò il primo posto nella III categoria) e la Parigi – Pechino, tenutasi prima del conflitto mondiale.

Ma dopo uno strepitoso successo iniziale, nel primo dopoguerra dovette cedere i brevetti e chiudere i battenti confluendo nel gigante FIAT (fondata da Giovanni Agnelli nel 1899), anche a causa della coercitiva conversione produttiva generata dalle vicende della prima guerra mondiale.

A tale proposito il “Novecento a Bergamo” cerca di fare chiarezza: “Già da un paio d’anni due auto Esperia erano in possesso, regolarmente acquistate, dalla fabbrica torinese, e quei tecnici avevano trovato nei loro congegni ‘miracolosi tesori’. Sta di fatto che a Torino si pensò che il modo migliore per sbarazzarsi di un incomodo fosse quello di farselo amico, diventandone il padrone. Un pacchetto azionario, tale che il suo possesso portasse alla maggioranza del capitale sociale, fu pertanto acquistato dal gruppo torinese che guidava le sorti della Fiat. Poi il gioco fu facile. Un’assemblea straordinaria a Bergamo votò la fusione per incorporazione dell’Esperia nella Fiat. E il grande stabilimento di Via Conventino chiuse i battenti.”

Piazza Brembana. Prima sede dell’impresa di autotrasporti Donati. Automobili, tra cui una Fiat 502, un’Esperia e un’Adler, in sosta davanti e dentro la rimessa. Distributore di benzina Shell (Eugenio Goglio, 1923)

I NOSTRI PRIMI AUTOMOBILISTI

Riporta Luigi Pelandi che dall’officina meccanica uscirono i nostri primi automobilisti. Fra questi, quel Piero Nava, morto ottantatreenne il 3 luglio 1964, che fece i suoi primi esperimenti proprio all’Esperia. Poi, vedendo che gli affari degli Zanchi andavano male, si mise in proprio ed aprì il primo garage fuori Porta Broseta ed in seguito sul viale Vittorio Emanuele, dove un tempo c’era la Standa. Ma prima di mettersi all’Esperia era stato cocchiere del vescovo mons. Guindani, che lo teneva in ottima considerazione anche per la vera perizia nella guida della pariglia vescovile. Fu poi il primo garagista della città, inizialmente in un antico stallo fuori porta Broseta di fronte alla drogheria Lazzarini. Unico a Bergamo che potesse offrire alla clientela la scelta di due automobili, quella a carrozzeria scoperta e quella chiusa, il Nava fu il primo che portò a Bergamo il pulmann. Un altro automobilista, che era stato a suo tempo operaio dell’Esperia, era “ol Bègno”, o meglio, l’intraprendente Giacomo Benigni di Borgo Palazzo (località Rocchetta), forse anche il primo automobilista del borgo nonché il più spericolato. Fra i primi automobilisti conosciuti dal Pelandi c’era anche Stefano Minossi, un costruttore di motori a scoppio (poi inventore di uno dei primi aeroplani), ex dipendente della della Società Automobili Lombarda in qualità di capo chaffeur meccanico. Minossi fu forse il primo automobilista che già correva nel 1898 e ultraottantenne guidava ancora.  Ricercato quale istruttore di aspiranti automobilisti, insegnò, fra i tanti, all’indimenticabile Giulio Zavaritt intorno al 1900, ma abbandonò ben presto questa occupazione, per darsi tutto alla meccanica automobilistica. Dal grosso volume Chi è nell’automobilismo italiano si apprende che uscito dalla Società Lombarda dopo il 1908 e recatosi a Roma, ideò e costruì uno dei primi aeroplani italiani e lo collaudò egli stesso meritando ambiti premi nel 1910 nonché la tessera d’onore  dell’Aereo Club Italia. Nel 1919 ottenne il brevetto per un tipo di motore a scoppio a due tempi.

 LA RICONVERSIONE DELL’EX FABBRICA E LA NASCITA DELLA PRINCIPALE SCUOLA TECNICA DI BERGAMO

Il Regio Istituto Industriale di Bergamo giunse nell’allora via Conventino tra il 1925 ed il 1926, riunendo le varie sezioni, sparse in quattro distinti siti cittadini. Furono così definitivamente abbandonate le vecchie sedi: in Piazza Vecchia (ora Biblioteca Angelo Mai), in via Pradello/Masone (ora sede del Provveditorato agli Studi), in via Tassis ed in via del Conventino (2).

Con notevole sforzo, non solo economico, venne dapprima riconvertita la vecchia fabbrica della S.A.L. L’immensa area era caratterizzata da un fronte di uffici (rivolto verso l’attuale via Gavazzeni, che collegava Bergamo con l’allora comune di Boccaleone), da un’ampia copertura a shed, tipica degli stabilimenti inglesi, adibita a officine e reparti di lavorazione.

L’Esperia negli anni Venti

 

La nobile palazzina degli uffici, riservata alla proprietà della fabbrica d’automobili “Maccagno Giovanni Automobili Licenza Esperia”. L’edificio si trovava in luogo dell’attuale via Europa, a fianco dell’ingresso del Pronto Soccorso della Clinica Gavazzeni, oggi riconoscibile dalla riproduzione (fuori scala) di una ruota da camion, posta nelle facciate nord e sud del piccolo edificio rimasto immutato nel suo involucro

 

In via Europa, a fianco dell’ingresso del Pronto Soccorso della Clinica Gavazzeni è ancora presente, nel suo involucro originario, la palazzina degli uffici riservata alla proprietà della “Maccagno Giovanni Automobili Licenza Esperia”. A ricordo dell’antica fabbrica, nelle facciate nord e sud dell’edificio è stata posta  una riproduzione fuori scala di una ruota da camion

Vi era anche una grande caldaia con annessa ciminiera di scarico dei fumi, due viali alberati, due depositi, gli eleganti uffici dei proprietari (sull’odierna via Europa, all’epoca strada che conduceva alla Cascina Alberata, oggi in via Gasparini).

Successivamente, sempre e solo grazie ai contributi economici del “Consorzio pro Scuole Industriali di Bergamo” furono attrezzate a nuovo le aule e i laboratori. Alcune macchine di filatura, fino a pochi anni orsono ancora presenti nell’omonimo laboratorio, riportavano il 1927 quale anno di costruzione, e, all’epoca, giunsero nuove nell’Istituto scolastico.

Nel 1935, con apposito provvedimento ministeriale, l’Istituto venne autorizzato a intitolarsi a Pietro Paleocapa, a ricordo di quel Pietro Paleocapa, che nacque a Nese (ora territorio del comune di Alzano Lombardo) nel 1787, e morì a Torino nel 1869: ingegnere, patriota, insigne collaboratore di Manin e di Cavour, ministro, tecnico e scienziato cui si devono opere di importanza internazionale nel campo dell’idraulica e delle costruzioni.

L’Esperia negli anni Cinquanta

Nell’attuale Esperia, oltre alla palazzina degli uffici sono ancor oggi visibili altre testimonianze storiche risalenti alla fine dell’Ottocento, giunte a noi indenni: il camino di scarico dei fumi, ribassato alcuni anni orsono per rischio di crollo, e ora monco; i filari di piante che conducono dalla casa del custode, verso la zona della vecchia fonderia e l’uscita verso Boccaleone.

Officine Esperia

Inoltre, l’ex palestrina, soprannominata chiesetta (al confine con l’Istituto Giulio Natta); – i tamponamenti verticali dell’officina (in mattoni pieni e con le finestrature originali) posti sia verso l’attuale palazzina d’ingresso, sia di fronte alla palazzina laboratori di chimica (in uso al Natta), sia sul lato est (di fronte alla casa del custode).

Tra gli ultimi a sparire: il serbatoio rialzato, contenente la cisterna dell’acqua di alimentazione della caldaia a vapore, che è stato abbattuto solo recentemente.

Note

(1) La storia delle origini della fabbrica non è del tutto chiara, in quanto le cronache riportano nomi e date discordanti. Luigi Pelandi scrive che il laboratorio meccanico per la realizzazione dell’automobile Esperia era stato impiantato dai fratelli Zanchi – figli di Prospero Zanchi, un filandiere dell’antica casata bergamasca – e che il comm. Stefano Minossi (un costruttore di motori a scoppio, che fu poi aviatore, anzi inventore di uno dei primi aeroplani) gli assicurava di aver fatto parte del personale della Società Automobili Lombarda – della quale era allora presidente il rag. Carlo Zanchi -, come capo chaffeur meccanico dall’agosto del 1903 fino al 1906 (Luigi Pelandi, “Attraverso le vie di Bergamo scomparsa. Il Borgo Palazzo”. Bergamo, Ed. Bolis, stampa 1966). Un’altra fonte, non specificata, tratta dalla Rivista Esperia del 2016, asserisce che “ESPERIA nacque nel 1849 nella sede industriale di via Gavazzeni, ed occupava circa 38.000 mq, dei quali 18.000 costituivano le officine, i laboratori e gli uffici. L’industria nacque come officina sotto la spinta della società “SAL – Società Automobili Lombarde” con l’intento di costruire a Bergamo un’autovettura: la prima d’Italia. Nel giro di poco tempo, pur con evidenti limiti sulla conoscenza della meccanica, appassionati come Sottocasa, Minossi e Nespoli, incominciarono a riunirsi in via Paglia. Con l’arrivo del motore, già esistente in Francia, un “Darracq”, si diede inizio alla realizzazione dell’auto: due chàssis, due putrelle portanti ruote, il motore francese e la carrozzeria costruita a Torino. Nel 1903 il controllo della fabbrica SAL passò in mano al Sig. Busi e si incominciarono a montare motori biblocco fabbricati a Milano. Pochi anni dopo la SAL fu costretta a chiudere dando via libera alla realizzazione in Bergamo dello stabilimento chiamato subito con il nome “Esperia”: l’antico nome d’Italia. Solo dopo che azionisti e proprietari furono cambiati, solo dopo aver reperito il capitale e i tecnici, l’ingegnere Ghilardi, da poco rimpatriato e con anni di esperienza, disegnò e realizzò un innovativo modello di automobile. Venne introdotto il blocco in ghisa, quattro cilindri in linea ed il motore con raffreddamento ad acqua, alimentato da una pompa, con due alberi e con due candele per cilindro. Inoltre la realizzazione dei progetti, dei disegni, dei modelli in laboratori di alta precisione (per l’epoca), permise all’industria di risolvere i problemi prima della produzione e di migliorare notevolmente il progetto specialmente negli organi fondamentali, quali il carburatore, il motore, il cambio delle velocità: particolari che resero unica l’auto”.

(2) Il Regio Istituto Industriale di Bergamo (oggi I.T.I.S. “Pietro Paleocapa”) nacque per mezzo del Regio Decreto n° 1273 del 27 aprile 1924. La genesi della scuola comunemente nota come “Esperia”, ha luogo nella prima metà dell’Ottocento, in parallelo con l’inizio dell’Era Industriale e con l’evoluzione industriale della provincia bergamasca.

1849: nasce la Scuola Serale di Disegno per operai.

1863: la Scuola per operai diviene Istituto Tecnico di seconda classe.

1864: nasce l’Istituto Reale di Mineralogia e Metallurgia, rilasciando (tra i primi in Italia) il diploma di ‘Perito nell’industria mineraria e metallurgica’.

Anno scolastico 1878-79: viene costituito il Regio Istituto Vittorio Emanuele II (padre della scuola denominata comunemente Esperia).

1885: in città esordisce un distaccamento denominato Regio Istituto Tecnico Vittorio Emanuele II (specializzazioni di meccanica e di chimica).

1885: nasce la sezione industriale di Bergamo, il solo Istituto in Italia alle dipendenze del Ministero della Pubblica Istruzione organizzato su cinque anni di corso e gestito secondo i caratteri di una scuola-officina (attuazione dell’idea di scuola integrale, tanto cara ai fautori delle tesi industrialistiche, sempre più in voga in quegli anni).

1888: nasce la sezione di filatura/ tessitura.

1902: nasce la sezione di tintoria.

1924: con il Regio Decreto n° 1273 del 27 aprile 1924 nasce ufficialmente il Regio Istituto Industriale di Bergamo, l’Istituto, che successivamente sarà attribuito all’Ing. Paleocapa. L’ente morale denominato “Consorzio pro Scuole Industriali di Bergamo” raccoglie in pochi mesi i contributi per l’individuazione e il trasferimento delle varie sedi sparse nella città, in una nuova grande unica sede, autonoma e sufficientemente ampia

Riferimenti essenziali

Rivista Esperia 2016.

Luigi Pelandi, “Attraverso le vie di Bergamo scomparsa. Il Borgo Palazzo”. Bergamo, Ed. Bolis, stampa 1966.

L’ ex cementificio Italcementi di Alzano Lombardo e un progetto non realizzato

Reportage fotografico di Francesco Bonometti

L’ex Cementificio Italcementi di Alzano Lombardo, mirabile esempio di archeologia industriale unico nel suo genere, è stato per lungo tempo uno dei cementifici più grandi e moderni di tutta Europa.

Fin dalla fine del Cinquecento sotto il governo della Serenissima, Alzano Lombardo conobbe periodi di grande prosperità derivante dallo sviluppo di attività artigianali e commerciali connesse soprattutto alla lavorazione della lana, cui si aggiunsero nel Settecento quella della fabbricazione della carta (le Cartiere Pigna) e nell’Ottocento quella della produzione di cemento, attività che in Valle Seriana vide gli albori nel 1863, soprattutto ad Alzano, Albino e Nembro (con Pesenti, Guffanti e Piccinelli). La successiva unione delle diverse aziende favorì la costituzione di quel fenomeno di concentrazione produttiva che allora portava il nome di Società Italiana dei Cementi, oggi Italcementi

Nato nel 1878 dal riadattamento di una cartiera, nel 1883 nasce come Officina Pesenti per la Produzione di Portland, iniziando una lunga e progressiva stratificazione strutturale – emblematica della sua importanza storica, industriale ed architettonica – che si è mantenuta intatta anche dopo lo spegnimento dei forni avvenuto nel 1966 e nel 1971 con la chiusura definitiva del’officina preposta all’attività di macinazione (si veda la sua storia in pillole a piè di pagina).

Definitivamente abbandonata l’attività produttiva, nel 1980 l’ex-cementificio è stato sottoposto dalla Soprintendenza per i Beni Architettonici a vincolo di tutela come monumento di archeologica industriale, mentre la struttura si avviava verso un lento declino.

Nel 1999, a seguito di campagna di alienazione di immobili di Italcementi, l’ex “cattedrale del lavoro” è stata interamente acquistata dalla società TIRONI S.P.A.

In considerazione della promozione e della valorizzazione delle straordinarie potenzialità di questo monumento di archeologia industriale di rilievo sovranazionale, l’architetto Manuel Tironi presentò ed ottenne l’approvazione di un PROGETTO DI RECUPERO per la valorizzazione e la rifunzionalizzazione dell’ex cementificio, redatto nella versione che accolse le indicazioni prescrittive della Soprintendenza (1).

Nel 2011 venne sottoscritto un Protocollo di Intesa (il cui schema fu approvato dalla Giunta Provinciale nel settembre 2011 e sottoscritto il giorno 30), con l’obiettivo di trasformare questo significativo patrimonio, da fabbrica del cemento a struttura multifunzionale che fosse “fabbrica della cultura del lavoro e del tempo libero” a beneficio di tutta la collettività (2).

Un progetto che purtroppo non venne realizzato per mancanza di fondi e che  mancò all’importante appuntamento con l’Expo del 2015.

L’ex cementificio Italcementi di Alzano Lombardo si presta ad un progetto di recupero per le buone condizioni strutturali complessive, malgrado un abbandono protrattosi per oltre quarant’anni

Oltre ad essere uno splendido esempio di archeologia industriale, l’ex cementificio rappresenta l’icona dell’industrializzazione che ha interessato la Valle Seriana e più in generale la provincia bergamasca dopo l’unità nazionale, dando braccia e ingegno, per circa un secolo, a migliaia di persone: un’intera collettività di Valle, la cui sopravvivenza era legata al cementificio.

In quanto protagonista e testimone della storia, dello sviluppo e delle vicende del territorio Seriano e bergamasco, nel progetto l’ex-cementificio è stato  riscoperto come il luogo della ripartenza per la Valle Seriana e per tutta la provincia bergamasca, in continuità con i valori storici e culturali di cui la struttura è portatrice, nell’ottica di uno sviluppo pensato in chiave di valorizzazione del territorio.

Secondo il progetto pertanto l’edificio avrebbe potuto essere riconvertito a STRUTTURA MULTIFUNZIONALE, una sorta di polo culturale, sportivo e per attività ricreative in generale (sport, arte, musica, cinema, spazi espositivi e per performance teatrali…), quindi affascinante ed innovativo luogo di aggregazione, ma anche luogo del lavoro dove avviare, per esempio, attività formative; un incubatore di imprese, un luogo dove promuovere i prodotti tipici di tutta la provincia e l’artigianato del territorio, dotato di strutture commerciali per la vendita di prodotti locali e di spazi espositivi.

L’ipotesi di gestione una volta ultimati i lavori di recupero sarebbe stata quella di una fondazione pubblico-privata.

Le potenzialità di questo monumento avrebbero dovuto essere considerate non solo in rapporto al suo non trascurabile valore storico-artistico ma anche in relazione al contesto paesistico-ambientale in cui tale struttura si inserisce (per la prossimità del Fiume Serio) (3) ed anche in rapporto alla sua accessibilità, che la pone in posizione strategica all’ingresso della Valle e vicino alla stazione “Alzano Sopra“ della tranvia Bergamo-Albino, aperta nel 2009.

Ulteriori considerazioni a supporto dell’importanza di questo progetto consistevano nella presenza dell’aeroporto di Orio al Serio (in costante crescita di traffico passeggeri) e nel deciso miglioramento della viabilità provinciale che le nuove infrastrutture come Pedemontana e Brebemi avrebbero reso possibile proiettando tutto il territorio bergamasco nel cuore dell’Europa e delle sue principali vie di comunicazione.

Donare una nuova funzionalità al Cementificio avrebbe consentito anche di porre le basi per una valorizzazione di tutte le strutture di archeologia industriale della provincia di Bergamo e dell’intero territorio lombardo.

Eredità sul territorio dopo l’Expo

Nelle intenzioni del progetto, il recupero della struttura si sarebbe inserito, inizialmente, in quello scenario di trasformazioni del territorio lombardo che avrebbe avuto come volano iniziale il grande evento di MilanoExpo 2015  e successivamente in quel processo di valorizzazione culturale, turistica ed economica che si stava attuando in Valle Seriana a favore di un RILANCIO economico, sociale e culturale dell’intera Valle (profondamente segnata dalla crisi economica dei comparti produttivi che l’hanno resa una realtà industriale di riferimento, il tessile ad esempio) e a livello provinciale e regionale (4)

Si era ritenuto infatti, che il recupero del cementificio avrebbe potuto rappresentare un progetto strategico del territorio bergamasco e lombardo in vista dell’Expo del 2015, evento importante per le numerose ricadute economiche ed occupazionali generate ma anche per la possibilità di esporre su un palcoscenico “globale” le eccellenze bergamasche nei diversi settori (in primis quello dell’alimentazione), in coerenza al tema dell’Expo di Milano nell’ottica di un’ “Expo diffusa”, rispettosa dell’eco-sistema e tesa in direzione di una crescita sostenibile del territorio nel suo insieme (l’Expo ebbe infatti come tema “Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita”, occupandosi di Alimentazione e Sviluppo Sostenibile).

Nonostante la situazione di crisi di sistema e la forte contrazione delle risorse pubbliche, pur trattandosi di un intervento di soluzione non semplice né immediata, si ritenne che l’unica soluzione che potesse garantire il superamento delle difficoltà di un progetto di tale portata, dovesse essere condivisa con tutte le entità, pubbliche e private, politiche e sociali, interessate al recupero di questo grandioso monumento di archeologia industriale. E ciò naturalmente anche per quanto riguardava il reperimento dei fondi necessari a perseguire tale obiettivo (5).

Il confronto avvenuto a livello accademico (testimoniato dagli atti del seminario di studi alla Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano), apportando una visione di medio-lungo periodo, rappresentava certamente un punto di forza a beneficio del recupero conservativo e della riqualifica funzionale dell’ex-cementificio.

La struttura allo stato attuale

Tra gli elementi principali:

– 12 forni verticali, dotati di 6 ciminiere a pianta circolare;

Il cementificio, da tempo del tutto dismesso e abbandonato, si presenta come un grigio imponente rudere industriale, mentre l’edificio in stile eclettico che lo fronteggia, originariamente destinato alla progettazione e alla costruzione del macchinario per cementifici (di cui l’Italcementi era un produttore d’avanguardia), si presenta come una struttura dall’aspetto nobile e austero, perfettamente e sapientemente restaurata

– grandi sotterranei coperti a volta;

– silos di stoccaggio del cemento o luoghi per l’insaccamento;

– una copertura sorretta da colonne in stile dorico.

Il complesso è formato da due parti:

– l’una a levante, plastica e monumentale destinata alla produzione del cemento;

Più interessante sotto il profilo industriale e scenico è la parte di levante, in quanto è possibile leggere tuttoggi l’evoluzione delle tecniche di produzione del cemento che dai primi forni a tino ha portato ai forni verticali tedeschi di fine ‘800, fino ai più performanti forni verticali Pesenti che oggi dominano la fisionomia del complesso con le sei sinuose ciminiere. Per il recupero, in funzione museale, degli antichi forni e delle sei ciminiere, si sarebbero dovuti seguire i criteri progettuali della conservazione

– l’altra a ponente, più compatta e ornata, con funzione di magazzino e per alcuni anni di sede direzionale dell’azienda.

La parte di ponente interessante sotto il profilo architettonico per lo stile eclettico che la caratterizza, emerge dall’intorno per la finezza del fronte di valle costituito da un elegante loggiato a cupolette al piano primo, contenuto da due torrette che alludono allo stile moresco e da cui il complesso prende oggi il nome. Questa parte del complesso ospita l’ALT (Arte Lavoro Territorio), una mostra di circa 250 opere di proprietà di Tullio Leggeri, collezionista d’arte contemporanea e mecenate di artisti contemporanei oltre che importante imprenditore nel settore delle costruzioni e di Elena Matous Radici, la vedova di Fausto Radici

 

La maestosità dei silos per la stagionatura del clinker e del cemento finito, uniti alle rampe ed i ponti aerei funzionali all’ingegnoso sistema di movimentazione interna dei materiali, completano la scena di un monumento che suggestiona il visitatore per la sua imponente mole e il suo immanente trascorso

 

Linee guida progetto

Il percorso museale avrebbe dovuto  snodarsi su quattro livelli, a partire dal piano interrato, per un totale di 6.500 metri quadrati. Nelle intenzioni del progettista s’intendeva in particolare “realizzare uno spazio espositivo permanente a servizio della valle per le aziende, oltre ad atelier per artisti e laboratori di ricerca, che sviluppino l’idea di un incubatore di impresa” (C)

Il progetto di recupero dell’ex cementeria, completamente inagibile ed inutilizzabile, prevedeva anzitutto un iniziale consolidamento statico dell’intera struttura, da risanare utilizzando le più sofisticate tecnologie di rinforzo e consolidamento oggi disponibili, mentre le finiture ed i collegamenti fra i vari spazi si sarebbero progettati e realizzati in modo da permettere la lettura dell’originaria struttura e tenendo conto dei principi dell’edilizia sostenibile (soluzioni progettuali autosufficienti dal punto di vista energetico e utilizzo di materiali eco compatibili).

L’enorme comparto si articolava nel progetto su una superficie di 18.547 metri quadrati divisa in parti, collegate tra loro da camminamenti a vari livelli.
Obiettivo era fare in modo che la struttura diventasse museo di se stesso, mantenendo le sue dimensioni fisiche.
ll nuovo studio aumentava a 31 mila metri quadrati la superficie recuperabile tra aree scoperte, coperte e percorsi aventi un ruolo fondamentale perché l’edifico-museo deveva essere visitabile.

Il cementificio Italcementi: la sua storia in pillole

1878
Avvio dell’attività di produzione del cemento con la trasformazione della cartiera Pesenti di Alzano Sopra, in officina di molitura del clinker cotto nei due forni realizzati nei pressi della prima cava in località Busa di Nese.
1883
Realizzazione nei pressi dell’officina di Alzano Sopra di sei forni a tino per la produzione di calce e cemento e di magazzini per lo stoccaggio del materiale finito.
1884
Apertura della ferrovia valle Seriana che contribuirà all’affermarsi del complesso industriale, con la realizzazione di uno scambio ferroviario nel cementificio per il trasporto del cemento finito.
1890-1900
Realizzazione dei forni verticali di brevetto tedesco, che consentiranno la produzione del primo portland con materiale completamente lombardo e ampliamento dei magazzini del complesso Moresco, con la realizzazione di laboratori chimici e uffici.
1904
Demolizione del preesistente forno vulcano e realizzazione dei primi quattro forni sistema Pesenti, formati da due forni con un’unica ciminiera che consentirà un notevole risparmio di carbone.
1909
Realizzazione degli ulteriori otto forni verticali sistema Pesenti con le relative quattro ciminiere. In questi anni viene realizzata anche la suggestiva copertura dei silos del clinker.
1920
Dismissione dei forni verticali di brevetto tedesco e mozzatura delle relative ciminiere.
1959
Per gravi problemi strutturali, quattro ciminiere del 1909 vengono abbassate e tutte saranno cerchiate con profili metallici.
1957
A fianco dei forni Pesenti viene realizzata la nuova torre di carico dotata di montacarichi Falconi, macchinario che sostituirà l’argano da tarino posato nel 1928 sulla rampa di carico centrale del cementificio.
1966
Vengono definitivamente spenti i forni per la cottura.
1971
Viene definitivamente chiusa l’officina interrompendo anche l’attività di macinazione, che era continuata dalla data di spegnimento dei forni.

NOTE

(1) Lo studio di fattibilità presentato dall’arch. Manuel Tironi al Consiglio comunale di Alzano Lombardo, ha tratto origine dalla campagna conoscitiva promossa nel 2010 quando si sono rimossi, per ordine della Soprintendenza, elementi non originari.
(2) La sottoscrizione del “Protocollo d’intesa” (settembre 2011) ha visto la partecipazione ed il coinvolgimento della: Proprietà, Soc. Italcementi, Soc. Expo, Regione Lombardia, Provincia di Bergamo e Comune di Alzano Lombardo e società Tironi.
“Anche il Protocollo, lungi dall’essere un mero atto formale, rappresenta una tappa importante verso l’obiettivo condiviso, ovvero il completo recupero della struttura e la sua rifunzionalizzazione, ponendosi quale impegno fattivo e concreto di tutti i partner, in numerose direzioni: dalla ricerca di finanziamenti, alla ideazione di soluzioni innovative per recuperare la struttura e evitarne un futuro degrado, alla progettazione del “contenuto” dell’Ex Cementificio, che deve essere in grado di garantire una sostenibilità economica anche nel medio periodo” (Silvia Lanzani, Assessore alla Pianificazione territoriale, Grandi infrastrutture, Expo della Provincia di Bergamo, workshop 18-22 giugno 2012, cit.).
(3) “E’ fondamentale che il riuso e il rilancio di una struttura come quella in questione sia visto in un ‘ottica di “sistema”, vale a dire come nodo di una rete diffusa di emergenze sul territorio, dove per emergenze non intendo parlare solo di fisicità, di valenza storico-architettonica, ma anche di funzione e di significato.
Per esempio il Cementificio può diventare uno degli elementi che esprimono la volontà di esperire nuove forme ecologicamente sostenibili per vivere un’area del territorio, insieme al recupero delle aree spondali del fiume Serio, realizzato negli ultimi anni dalla Comunità Montana di Valle Seriana, che continua ad attrarre moltissimi fruitori dei percorsi ciclabili, ovvero con l’introduzione della tranvia che ha cambiato le abitudini di molti cittadini che hanno abbandonato l’automobile per i loro spostamenti sistematici” (Silvia Lanzani, Assessore alla Pianificazione territoriale, Grandi infrastrutture, Expo della Provincia di Bergamo, workshop 18-22 giugno 2012, cit.).
(4) L’ex-cementificio infatti, “potrebbe divenire un nucleo del Parco agricolo tecnologico, una realtà policentrica sorta per iniziativa della Provincia, nata dalla suggestione dei temi Expo e dalla volontà di promuovere e sviluppare interesse e ricerca in ambito agro-alimentare con l’attenzione puntata sulle risorse e sulle eccellenze locali. I prodotti e le informazioni elaborati nell’area di pianura del Parco potrebbero essere veicolati attraverso le funzioni insediate nel Cementificio e contemporaneamente la realtà locale, in tutti i suoi aspetti, potrebbe trovare una vetrina ed una cassa di risonanza attraverso Le attività del Parco” (Silvia Lanzani, Assessore alla Pianificazione territoriale, Grandi infrastrutture, Expo della Provincia di Bergamo, workshop 18-22 giugno 2012, cit.).
(5)“Alla luce di queste precisazioni, è stata posta in primo piano l’opera di sensibilizzazione dell’opinione pubblica ma soprattutto del mondo accademico ed imprenditoriale, oltre che degli investitori privati in funzione di un loro coinvolgimento e di una partecipazione condivisa; l’obiettivo è infatti la ricerca di un impegno attivo e concreto per la riconversione ed il rilancio dell’Ex Cementificio, straordinaria eredità di un comune passato. In quest’ottica la Provincia di Bergamo ha voluto dare vita ad una serie di attività volte alla valorizzazione del Cementificio; l’importante convegno, svoltosi all’inizio del 2010, presso il Politecnico di Milano ed al quale hanno partecipato importanti studiosi della materia; il sostegno alla pubblicazione di un numero della rivista scientifica Anankead esso dedicato e alcune aperture straordinarie dell’edificio, pensate per invitare la cittadinanza a visitarlo, anche attraverso le suggestioni guidate di Philippe Daverio che ha esaltato le qualità architettoniche dell’edificio” (Silvia Lanzani, Assessore alla Pianificazione territoriale, Grandi infrastrutture, Expo della Provincia di Bergamo, workshop 18-22 giugno 2012, cit.).

FONTI

A –   International Cultural Center –  Gruppo Tironi – Fabbrica della Cultura, del Lavoro e del Tempo Libero.al Centerro
B – L’ARCHITETTURA DEGLI INTERNI NEL PROGETTO PER IL COSTRUITO
Il progetto di riuso dell’ex Cementificio Italcementi di Alzano Lombardo
workshop │ 18-22 giugno 2012 (Silvia Lanzani, Assessore alla Pianificazione territoriale, Grandi infrastrutture, Expo della Provincia di Bergamo).
C – L’Eco di Bergamo
D – Architettura industriale
E – Novaluna in Blog

Nota: l’ultima immagine è tratta da “International Cultural Center”.