La festa dell’Apparizione in Borgo Santa Caterina è legata a un evento straordinario, descritto da Padre Donato Calvi nelle sue “Effemeridi”.
Il 18 agosto del 1602 una stella apparsa nel cielo di mezzogiorno illuminava con tre raggi l’affresco della Madonna Addolorata posto sul muro di una casa presso l’antico ponte della Stongarda. Sotto gli occhi di una folla numerosa i raggi prodigiosi riportavano l’affresco – già deteriorato in alcune parti – alla bellezza originaria. Al prodigio seguirono grazie miracolose e frequenti guarigioni.
L’affresco, che era stato dipinto il 27 luglio del 1597 dal pittore locale G. Giacomo Anselmi, è lo stesso che si venera da oltre quattro secoli nell’altare maggiore del Santuario.
Dopo un anno il Vescovo concedeva ai borghigiani di edificare un Santuario, di cui la prima pietra – come ricorda la lapide affissa a fianco dell’ingresso sul lato ovest – fu benedetta dal vescovo Giovan Battista Milani l’11 luglio del 1603.
Entro il gennaio del 1605 la fabbrica veniva portata a termine ed aperta al culto, con il trasporto sull’altare maggiore del muro affrescato.
L’anno successivo (1606), grazie all’offerta della famiglia Galina venne realizzato, su modello del dipinto miracoloso, il gruppo ligneo dell’Addolorata portato ogni anno in processione per le strade del borgo nel giorno che rievoca il miracoloso evento.
La colonna votiva sul piazzale del Santuario in origine si trovava invece nel bel mezzo della contrada, essendo stata posata in sostituzione di una grande croce in legno, rimossa per timore che potesse arrecare danno ai passanti: per tale motivo la colonna venne chiamata “crocetta”.
La colonna, eseguita nel 1614 da Antonio Abbati e benedetta il 24 dicembre dal vescovo Emo, è sormontata dal gruppo scultoreo della Beata Vergine Addolorata, in tutto simile al simulacro che si porta ogni 18 agosto in processione (2).
Nei due dipinti votivi di Marco Gozzi (1759-1839) collocati nella cappella in cui ogni anno si espone il gruppo ligneo dell’Addolorata, la colonna appare nella sua collocazione originaria, ovvero al centro della contrada di Borgo S. Caterina, in asse con l’edificio sacro.
Gli ex-voto documentano due fasi salienti del passaggio di truppe straniere avvenuto senza arrecare danni al borgo e sono al contempo una bella testimonianza della vita e dell’aspetto di Borgo S. Caterina all’inizio ed alla fine del secolo XVIII. Mentre del primo avvenimento l’autore dovette affidarsi alla memoria storica e alla fantasia, del secondo fu probabilmente testimone diretto.
Nel passaggio di truppe francesi ed alemanne in Borgo Santa Caterina (1705) l’Addolorata proteggere dall’alto i suoi devoti. Il borgo è osservato dal ponte della Morla e la colonna, visibile in lontananza, compare al centro della via.
L’altro evento è legato all’ingresso degli austro-russi (1799) senza che alcun danno venga arrecato al borgo: un fatto miracoloso, attribuito all’intervento della Madonna Addolorata venerata nel Santuario, dipinta in alto tra nuvole ed angeli.
Il dipinto è vivissimo nel rappresentare la colonna, il Santuario con il suo campanile, le case con i balconi e le finestre da cui si affacciano figure incuriosite ma non spaventate, mentre in primo piano soldati e cavalleggeri sostano e si intrattengono con alcuni borghigiani.
Fu solo alla fine dell’Ottocento che, probabilmente per la posa dei binari del tram la colonna venne spostata nella sede attuale e cioè nel punto di convergenza ottico del piazzale antistante il Santuario.
Nel frattempo l’edificio si arricchì di opere d’arte: oltre al Gozzi, dello Zucco, del Salmeggia, del Fantoni, ad esempio.
Nell’agosto del 1886 iniziò la ristrutturazione del Santuario su disegno di Antonio Piccinelli, mentre la cupola (1894) e la facciata (1897) vennero eseguite su disegno di Elia Fornoni.
Il campanile assunse invece la forma attuale nel 1906 su disegno del Pandini.
All’interno, ricco di stucchi e affreschi, vi operarono inoltre gli artisti Ponziano Loverini, Giovanni Pezzotta, Giuseppe Riva, Antonio Rota (che eseguì dodici statue raffiguranti santi), Nino Nespoli, Luigi Angelini, Attilio Nani.
E ancor’oggi i festeggiamenti dell’Apparizione continuano ad essere sinonimo di grande devozione da parte di migliaia di fedeli, che vi si riuniscono sin dal primo mattino.
Sotto la luce carezzevole delle Litanie Lauretane, all’intento squisitamente religioso si associa così anche quello umano: si ammirano le opere d’arte che arricchiscono l’edificio, si ascolta musica sacra e si rivedono amici del borgo in una salutare rimpatriata dove si respira quella dolce e familiare “aria dè paìs”.
E attraverso canti, suppliche, acqua santa, processioni, reliquie, incenso, luci, statue, ori, fuochi e banda, i sensi entrano nel gioco virtuoso della devozione, dando corpo alla fede: una fede antica e ancora molto viva.
NOTE (1) Altre opere di Gian Giacomo Anselmi presenti nella bergamasca: un dipinto della Vergine col Bambino tra San Giuseppe e San Carlo (firmato e datato Jacobus de Anselmis –1597), collocato nell’altare a sinistra del Tempio dei Caduti di Sudorno, dove fu posto quando il tempio sostituì la vecchia chiesetta dedicata alla Madonna; nella Chiesa di Sant’Andrea; nella sagrestia di Redona; Pala d’altare della Chiesa Parrocchiale di Pedrengo.
(2) “Ottenuta il 27 settembre 1614 la licenza dai “giudeci delle strade’, Marco Antonio Mutio e Gio Battista Advinatri, su istanza del deputato della chiesa Giacomo Bagis, si procedette alla costruzione”, affidandone l’esecuzione, come attestano i documenti dell’archivio parrocchiale, ad Antonio Abbati “…che risulta già morto quando il 25 luglio 1615 i sindaci e reggenti del santuario si riunirono per saldare con gli eredi il debito contratto” (Andrea Paiocchi, Il Santuario dell’Addolorata in Borgo Santa Caterina, Edizioni Grafital, Bergamo, 2002, pag. 43).
BIBLIOGRAFIA
Per la colonna
Elia Fornoni, St. Di Berg., XVI.
Luigi Pelandi, 1962, IV.
Arnaldo Gualandris, “Monumenti e colonne di Bergamo”, a cura del Circolo Culturale G. Greppi. Bergamo, 1976.
Vecchio inventario dei Beni Culturali e ambientali – Geo-Portale del Comune di Bergamo.
Per il Santuario
Elia Fornoni, St. Di Berg., Ms. XVII, 53-67.
Luigi Angelini, 1960, 12.
Luigi Pelandi, 1962.
Sandro Angelini, 1966.
Ezio Bolis e Efrem Bresciani, Il Santuario dell’Addolorata in Borgo Santa Caterina, Chiesa di santa Caterina, 2002.
“Cenni storici intorno al Santuario di Maria SS. Addolorata di Borgo Santa Caterina in Bergamo”. Pubblicato in occasione della “Solenne incoronazione – Feste Centenarie dell’apparizione della Beata Vergine di Borgo Santa Caterina”. Bergamo, Legrenzi).
Il ricordo della celebre fontana che per un certo periodo accompagnò la quotidianeità del popoloso borgo di San Leonardo, è ancor’oggi ben presente nella memoria collettiva quale simbolo del cuore pulsante della Bergamo di un tempo, nonostante oggi spunti al suo posto una fontana “minimale”, estranea al fascino e dell’atmosfera degli antichi borghi, di cui qui si avverte ancora sommessamente l’eco.
Basta osservare la piazza irregolare, con i suoi caratteristici portici e il groviglio multiforme delle sue case colorate, o passeggiare tra le viuzze che ancora ricordano le attività di un tempo ed inoltrarsi nei vicoli stretti e bui, come è quello che da via Broseta porta in vicolo S. Rocco, tutto voltato a mattoni rossi e, per certi versi, un po’ inquietante.
Dai lati irregolari di questo spazio, che andò articolandosi spontaneamente nel corso dei secoli, si dipartivano radialmente, allora come oggi, le contrade di S. Lazzaro (che si ricongiungeva alla Porta Broseta con la via omonima), di Osio (al tempo della Repubblica Cisalpina chiamata Strada Napoleonica, ora via G. B. Moroni), di Colognola (attuale via S. Bernardino), di Cologno (via Quarenghi dopo il Novecento), di San Defendente (poi via Nova, ora via Zambonate), oltre a quella di di S. Alessandro e la contrada di Prato (oggi via XX Settembre). Nella piazza confluvano così, oltre alle strade che vi affluivano dall’alta città, anche quelle dai paesi della vasta pianura bergamasca.
Il borgo, popolare e borghese, affollato centro di incontri e di traffici, godette per secoli del primato commerciale e artigianale rispetto al resto della città, così da costituire un vero e proprio emporio di merci e somigliare a una città dentro la città.
Qui, più che altrove, “era cospicuo il numero di negozi, botteghe, laboratori, officine, studi. Qui stavano notai, medici fisici, ciroici, barbitonsori, aromatari, preti, magistri di scuola, dipintori, marengoni, calzolai, maestri murari, pellettieri, sarti, confettieri, pristinari, grassinari, osti, locandieri” (1).
Al centro della piazza “Fontana di S. Leonardo” – oggi Largo Rezzara -, accanto alla chiesa da cui il borgo prese il nome, la Fiascona simboleggiava il cuore mercantile della città ed era il fulcro dell’incessante brulichìo del popoloso borgo che la ospitava.
Tutt’attorno – descrive Pelandi – vi prosperavano locande ed osterie: quelle, ormai scomparse, del Bacco, del Borlazò, del Fondech, dell’Ofelì, dell’Asperti, della Zagna, delle Due Ganasse, che era dirimpetto alla stretta degli Asini (l’attuale vicolo delle Macellerie), punto dal quale nell’Ottocento partiva la diligenza per Milano; della Micheletta, quest’ultima luogo di ritrovo del primo direttore de L’Eco di Bergamo, prof. G. Battista Caironi e del professore Nicolò Rezzara.
Di tutte le vecchie osterie del borgo, l’unica sopravvissuta ai giorni nostri è la storica Osteria dei Tre Gobbi, l’ultima vera osteria della Città, che nell’Ottocento era frequentata da artisti, poeti vernacolari, cantanti e musicisti, come il Masi, il Coghetti il Benzoni, il Rubini e il grande Gaetano Donizetti, che amava sostarvi con gli amici più cari durante i suoi soggiorni nella città natale.
In piazza della Legna si tramò contro la Serenissima, innalzando il simbolico Albero della Libertà e “sacrificando i rivoltosi che non volevano abbracciare il nuovo verbo francese” (2).
(2) Luigi Pelandi, Passeggiando per le vie di Bergamo scomparsa – Il Borgo di S. Leonardo. Collana di Studi Bergamaschi – A cura della Banca Popolare di Bergamo. Bergamo, Poligrafiche Bolis, 1962.
Il 3 agosto del 1848, da questa stessa piazza, auspicando l’avvenire di un’Italia unita e repubblicana, “Giuseppe Mazzini, sapendo di comunicare al cuore grande dei bergamaschi, rivolse loro parole infiammate per la lotta contro l’Austria” (3). Durante l’insurrezione antiaustriaca la Fiascona catalizzò gli umori più accesi della città facendo da portavoce al malcontento popolare, un po’ come le famose “pasquinate” di romana memoria: spesso al mattino era facile trovarvi appesi cartelli con satire e sberleffi, o incitazioni di vario genere contro i dominatori asburgici, “come quel Romeo Rosa che nel 1848 pose in cima alla Fiascona il berretto frigio, un copricapo rosso, icona rivoluzionaria, che fece irritare gli austriaci” (4).
(3) Fermo Luigi Pelandi, cit.
(4) L’Eco di Bergamo, Lunedì 04 Novembre 2013, “Demolita o venduta? È un giallo. Ma la Fiascona non zampilla più”. Di Emanuele Roncalli.
Eppure, a dispetto di quella sagoma panciuta quasi evocante le antiche osterie del borgo, le origini della Fiascona sono legate all’Ospedale Grande di San Marco e più precisamente alla ristrutturazione eseguita nel 1536 da Pietro Isabello, progettista del “bell’edificio rinascimentale dotato di cortile, di una fontana (la Fiascona)…” citati dalle fonti (5).
(5) ..”le fonti parlano di un bell’edificio rinascimentale dotato di cortile, di una fontana (la Fiascona)…”. Tosca Rossi, A volo d’uccello – Bergamo nelle vedute di Alvise Cima – Analisi della rappresentazione della città tra XVI e XVIII secolo, Litostampa, Bergamo, 1012, p. 210.
Dal prezioso libro “L’Ospedale nella città – Vicende storiche e architettoniche della Casa Grande di S. Marco”, a cura di Maria Mencaroni Zoppetti (6), apprendiamo che la Fiascona compare in un disegno ottocentesco conservato presso l’Archivio dell’ospedale maggiore (7). Il disegno, eseguito prima delle modifiche apportate al chiostro nel 1858 dall’ing. Carlo Donegani, ci restituisce l’aspetto del cortile dell’Ospedale Grande di San Marco nella risistemazione del 1536 eseguita da Pietro Isabello; sullo sfondo è ormai visibile il torresino della Fiera in muratura, edificata tra il 1734 e il 1740.
Eppure, fatto strano, la Fiascona è ancora al centro del cortile.
(6) Maria Mencaroni Zoppetti (a cura di), L’Ospedale nella città – Vicende storiche e architettoniche della Casa Grande di S. Marco. Collana: Storia della sanità a Bergamo – 1. Fondazione per la Storia Economica e Sociale di Bergamo.
(7) AOMBg, Copia di un disegno con timbro Ernesto Suardo, 1926; cfr. G. INVERNIZZI, Storia e vicende dell’ospedale di S. Marco in Bergamo, “La Rivista di Bergamo”, marzo-aprile 1927, p. 7. Dei disegni delle strutture rinascimentali di Isabello, solo quello del cortile cinquecentesco è conservato presso l’Archivio dell’ospedale maggiore (Maria Mencaroni Zoppetti, cit.).
E’ opinione comune, e ormai da tempo, che la Fiascona abbia fatto la sua comparsa nella piazza “già detta Fontana di S. Leonardo, davanti alla chiesa omonima” (8) nel 1548, come chiaramente tramandatoci da Luigi Pelandi (Bergamo 1877 – 1969) (9). Così nella rubrica “Bergamo scomparsa”, curata dalla studiosa Andreina Franco Loiri Locatelli, dove si legge che “Al decoro della grande piazza del borgo contribuiva nel 1548 l’edificazione di una fontana chiamata popolarmente la ‘Fiascona’ a causa della forma inusitata. Sostituiva l’antica fontana vicinale” (10).
Pelandi – e lo ribadisce più volte – racconta che quando, nel 1575, il cardinale S. Carlo Borromeo pervenne nella piazza di Borgo S. Leonardo, “già da qualche anno (1548), era stata posta la fontana […] (la cosiddetta Fiascona)” […]. Aggiunge poi – ma è solo una curiosità – che “presso la fontana che è segnata sulla carta topografica del XVII secolo” compare una colonna, innalzata a ricordo di “una porta trionfale eretta sull’entrata della piazza” in occasione della Visita Apostolica di S. Carlo Borromeo nel 1575. “Ora tutto è scomparso” (11).
Colonna e fontana sono incise a bulino anche nella”Planimetria prospettica di Bergamo”, eseguita da Stefano Scolari nel 1680, eseguita su disegno di Giovanni Macheri (o Macherio), datato 1660.
(8) “Piazza Fontana”, “nome popolare” dato alla piazza, abolito nel 1910 allorchè quella parte di Borgo S. Leonardo assume il nome di Piazza Pontida (Bergamo e provincia guida 1910 Soc. Editoriale Commerciale). L’indicazione della piazza come “Largo Rezzara” (personaggio eminente del contesto sociale, economico e cattolico tra fine Ottocento e Novecento) risale all’inizio degli anni Cinquanta del Novecento (Guida 1953).
(9) Luigi Pelandi, Passeggiando per le vie di Bergamo scomparsa – Il Borgo di S. Leonardo, cit.
In tutta questa vicenda dunque, l’unico punto fermo sembra riguardare l’originaria presenza della Fiascona nel cortile dell’Ospedale Grande di S. Marco, fatto riportato anche in un più recente articolo apparso sul quotidiano “L’Eco di Bergamo”, che in riferimento al già citato ampliamento cinquecentesco dell’ospedale Grande di San Marco, scrive che è “Proprio qui, in mezzo al grande cortile, che si trovava la Fiascona”.
..salvo poi aggiungere che “Con l’abbattimento del vecchio Ospedale, la fontana dovette traslocare in piazza Fontana (o della Fontana), l’attuale largo Rezzara, in fondo a via XX Settembre”[…] “È stata lì per più di tre secoli – ha scritto Renato Ravanelli –, quasi simbolo ideale di un borgo, come il San Leonardo […] e “Lì resistette sino alla fine dell’Ottocento (1887), quando dovette lasciare spazio ai binari dei primi tram a cavalli” (12).
(12) Dal momento che la Fiascona “È stata lì per più di tre secoli” è lecito pensare che tale riferimento riguardi non la demolizione definitiva del 1937, bensì la ristrutturazione operata dall’Isabello, datata 1536. L’Eco di Bergamo, Lunedì 04 Novembre 2013, “Demolita o venduta? È un giallo. Ma la Fiascona non zampilla più”. Di Emanuele Roncalli.
Eppure, ancora nel 1723, e dunque a distanza di circa due secoli dalla realizzazione del chiostro dell’Isabello, la Fiascona risulta essere ancora nel cortile dell’Ospedale di San Marco: ce lo attesta un cabreo eseguito in quella data da Bernardino Sarzetti (“descritto con precisione nelle sue dimensioni, nel suo andamento, nelle sue specializzazioni, nella sua posizione nella città”), nel quale viene riprodotta la fontana a forma di fiasco che si trovava nel cortile isabelliano e di cui – è il caso di sottolinearlo – “non resta più traccia” in una fotografia ottocentesca eseguita da G. Leidi, che ci restituisce l’aspetto del nuovo chiostro progettato da Donegani (13).
(13) M. Mencaroni Zoppetti, cit.
Dopo quanto osservato e comparando l’immagine delle due fontane – quella al centro del cortile dell’Ospedale Grande di S. Marco e quella in piazza Fontana nel Borgo di S. Leonardo – dobbiamo forse ipotizzare l’esistenza di “due Fiascone”, molto simili ma non identiche, collocate per un dato periodo in due diversi luoghi della città e nominate allo stesso modo?
Comparando invece la Fiascona di Borgo S. Leonardo e quella riprodotta nel cabreo del Sarzetti, si riscontra una vistosa similitudine: nella vasca, nel profilo della fontana vera e propria e persino nella sua parte terminale, verosimilmente una struttura in ferro, terminante a cuspide.
Il chiostro cinquecentesco dell’Isabello subirà trasformazioni solo nel 1858, allorchè l’ing. Carlo Donegani procederà ad una modifica interna del complesso ospedaliero: è solo a quella data che, nel chiostro, “al posto di quella a forma di fiasco è posta una fontana con vasca ottagonale e putti” (14).
(14) M. Mencaroni Zoppetti, cit.
In mancanza di prove tutto è possibile, ma possiamo affermare con certezza che, almeno fino al 1723 – come eloquentemente attestato dal cabreo dell’agrimensore Sarzetti – la Fiascona si trova ancora in mezzo al cortile dell’Ospedale Grande di S. Marco.
Dovremo attendere il 1810 per vederla allegramente zampillare nella chiassosa “piazza di fronte a S. Leonardo”, riprodotta in una mappa topografica della Roggia Serio, conservata nella Biblioteca Civica A. Mai, e ritrovata in un testo pubblicato nel 2001 a cura dell’Ateneo di Scienze, Lettere ed Arti di Bergamo (15), corredata dalla seguente didascalia: “Dalla contrada di Prato si arrivava alla piazza di fronte a S. Leonardo dove era situata la Fiascona, fontana che veniva rifornita dall’acqua della Roggia Serio”.
La Roggia Serio, allora tutta scoperta, esisteva sin dal XIII secolo, quando fu scavato l’alveo con presa d’acqua ad Albino; lambiva la cinta muraria costruita a metà Quattrocento, chiamata “Muraine”, ed entrava nel Borgo, per il quale era la principale fonte di energia e di lavoro. Ancora sino a metà Ottocento azionava mulini, filatoi, fucine, serviva per l’irrigazione degli orti, per i lavatoi pubblici e privati.
(15) Ateneo di Scienze, Lettere ed Arti di Bergamo, “Evoluzione di un luogo urbano – Dal Convento delle Grazie al Credito Bergamasco”. Bergamo – Edizioni dell’Ateneo, 2001.
Nel già citato articolo dell’Eco di Bergamo (16) si legge invece che la Fiascona “Distribuiva l’acqua agli abitanti di Borgo San Leonardo ed era alimentata dalla sorgente di Sant’Erasmo, poi, causa siccità, venne alimentata da una derivazione della roggia Curna” (roggia che interessa il lato meridionale del prato di S. Alessandro, la contrada di Prato e il borgo S. Alessandro).
E’ lecito chiedersi il perchè di tale discordanza, ed apprendiamo ad una prima indagine che “In Borgo Canale esisteva la fontana di S. Erasmo, dotata di ampia cisterna, non solo provvedeva ai bisogni degli abitanti ma alimentava un canale che, attraverso i prati, portava l’acqua alla fontana del ‘Paesetto’, a lato del monastero di s. Stefano, quindi alla fontana di s. Benedetto e infine alla fontana di borgo s. Leonardo, in piazza Fontana. Interrotta e non più riparata la conduttura, la fontana del Paesetto continuò a ricevere acqua attraverso una condotta che scendeva dalla fontana di s. Giacomo. Tracce dell’antico canale lungo la via s. Alessandro (o contrade del Mattume) furono trovate nel 1889 in occasione di scavi e giudicate in parte romane e in parte medievali. Si accertò, tra l’altro, che l’acqua veniva fatta scorrere in una canaletta formata da coppi accostati e sovrapposti” (17).
(16) L’Eco di Bergamo, Lunedì 04 Novembre 2013, “Demolita o venduta? È un giallo. Ma la Fiascona non zampilla più”. Di Emanuele Roncalli.
(17) Pino Capellini, “Acqua e acquedotti nela storia di Bergamo”. Ferruccio Arnoldi Editore, Bergamo (manca anno di edizione), p. 143, 148.
La Fiascona continuò la sua permanenza in piazza Fontana sin verso la fine dell’Ottocento, come del resto attestato da un ricco corredo iconografico, benchè possa esserci qualche dubbio riguardo la data esatta della sua rimozione (18).
(18) Riporto a beneficio d’inventario un dato rinvenuto in un catalogo della Biblioteca Civica, dove, in riferimento al periodico “La Rivista di Bergamo”, si legge: “Piazzetta con la fontana detta la Fiascona posta nell’anno 1548 e tolta nel 1890” (Biblioteca Civica di Bergamo, La Rivista di Bergamo, anno 37, vol. 10, data ott. 1936, Autore: Gritti Pietro, Titolo: Piazza Pontida. Declino di un luogo protagonista. Pagina 9).
In quanto alle motivazioni, è ancora L’Eco ad avanzare ipotesi: “Lì resistette sino alla fine dell’Ottocento (1887), quando dovette lasciare spazio ai binari dei primi tram a cavalli. In sostanza la Fiascona era d’intralcio alle vetture trainate dai cavalli che transitavano lungo la contrada di Prato (via XX Settembre). In realtà fu dapprima chiusa agli inizi del 1882 perché, da analisi effettuate dall’Ufficio di sanità nel 1881, risultò che l’acqua era inquinata e, poi, con decreto del 26 settembre 1883 fu rimossa dal Comune. Molti ritennero invece che il vero motivo fosse da ricercare nel passaggio della linea tranviaria” (19).
Il servizio di trasporto pubblico venne inaugurato nella città di Bergamo nel 1887, gestito su concessione del Comune dalla società dell’ing. Ferretti, istituita nel 1887. il progetto di Ferretti “includeva, oltre la funicolare, una modesta rete di tram a cavalli allacciata alla funicolare”, che percorreva il tratto da Piazza Pontida (Cinque Vie) a Borgo Santa Caterina, transitando per le Vie Tasso e Pignolo. Dopo aver posato, a partire dal luglio del 1887, le guide sul viale della Stazione (dove il 30 settembre dell’88 il Brembo e il Serio – le prime due macchine a vapore – percorrevano il viale Vittorio Emanuele), nell’ottobre dello stesso anno “si posero le guide di ferro in Piazza Pontida per il tram a cavalli dei Borghi”. (20).
Bisognerà attendere il 1904 perchè la linea “a cavalli” tra piazza Pontida e la parrocchia di Borgo S. Caterina, venga elettrificata.
“Sulla soglia del 1900 Bergamo era afflitta dalla febbre di grandezza. Si pensi che in quel tempo (1899) si facevano adunanze su adunanze per l’attuazione della ferrovia della Valle Brembana, per lo studio della tramvia Bergamo-Sarnico, si studiava d’estendere la trazione elettrica a tutti i tram cittadini, che fino allora erano trainati da cavalli. Vi ricordate, egregi miei coetanei, del gobbo che accompagnava il terzo cavallo, per assicurare la salita di via Pignolo?” (21).
(19) L’Eco di Bergamo, Lunedì 04 Novembre 2013, “Demolita o venduta? È un giallo. Ma la Fiascona non zampilla più”. Di Emanuele Roncalli.
(20) Luigi Pelandi, Attraverso le vie di Bergamo scomparsa II – La Strada Ferdinandea. Collana di Studi Bergamaschi, a cura della Banca Popolare di Bergamo. Poligrafiche Bolis, Dicembre 1963.
(21) L. Pelandi, cit.
Non resta che chiedersi che fine abbia fatto “La tozza fontana a forma di fiasco, contornata da un’ampia vasca ottagonale” che “finì per essere d’intralcio. Bella non era ma caratteristica sì, con gli spruzzi sottili che gemicavano dai fianchi pietrosi dell’olla pancuta. La sua scomparsa seguì di poco tempo quella delle colonne del Prato, poste fra l’omonima contrada e il campo della Fiera” (22).
Una volta rimossa, dove finì? Lasciamo il finale alle cronache cittadine.
“Fu sicuramente smontata e portata nei magazzini comunali, ma durante la rimozione venne rotta nella parte centrale. Non fu in ogni caso fatta a pezzi, ma da quel magazzino un ben giorno sparì. Dove è finita dunque? Una risposta la diede il compianto assessore Aldo Ghisleni che nell’aprile del 1998 durante una seduta della seconda Commissione consiliare affermò: «La fontana appartiene a un privato, che l’ha regolarmente acquistata dal Comune. D’intesa col sindaco, sto cercando di riacquistarla». Il tentativo fallì. E il fatto che per molti la fontana sia finita ad abbellire il bel parco di una villa (Longuelo? Colli?) non pare più una leggenda metropolitana. Anche Palafrizzoni potrebbe dunque tornare sulle tracce della fontana. O forse anche il legittimo proprietario potrebbe farsi avanti. La Fiascona è sua. Nessuno gliela porta via. Ma almeno ce la mostri. Perché questo pezzo di storia bergamasca non può rimanere nascosta fra aceri e platani” (23).
Luigi Pelandi, Passeggiando per le vie di Bergamo scomparsa – Il Borgo di S. Leonardo. Collana di Studi Bergamaschi – A cura della Banca Popolare di Bergamo. Bergamo, Poligrafiche Bolis, 1962.
L’Eco di Bergamo, Lunedì 04 Novembre 2013, “Demolita o venduta? È un giallo. Ma la Fiascona non zampilla più”. Di Emanuele Roncalli.
Tosca Rossi, A volo d’uccello – Bergamo nelle vedute di Alvise Cima – Analisi della rappresentazione della città tra XVI e XVIII secolo, Litostampa, Bergamo, 1012, p. 210.
Maria Mencaroni Zoppetti (a cura di), L’Ospedale nella città – Vicende storiche e architettoniche della Casa Grande di S. Marco. Collana: Storia della sanità a Bergamo – 1. Fondazione per la Storia Economica e Sociale di Bergamo.
Bergamo scomparsa: la nascita di Piazza Pontida. Andreina Franco Loiri Locatelli per Bergamosera.
Ateneo di Scienze, Lettere ed Arti di Bergamo, “Evoluzione di un luogo urbano – Dal Convento delle Grazie al Credito Bergamasco”. Bergamo – Edizioni dell’Ateneo, 2001.
Pino Capellini, “Acqua e acquedotti nela storia di Bergamo”. Ferruccio Arnoldi Editore, Bergamo, p. 143,148.
Luigi Pelandi, Attraverso le vie di Bergamo scomparsa II – La Strada Ferdinandea. Collana di Studi Bergamaschi, a cura della Banca Popolare di Bergamo. Poligrafiche Bolis, Dicembre 1963.
Lo stadio Mario Brumana di Bergamo fu ufficialmente inaugurato, dopo meno di un anno d’intenso lavoro, nel dicembre del 1928 e il regime fascista organizzò per l’occasione una grande parata. In quei tempi venne considerato uno dei più belli in assoluto e vennero da ogni dove per ammirare quella tribuna coperta rivoluzionaria, che apparve sulle più autorevoli riviste di architettura e di ingegneria.
L’impianto era talmente ben fatto da essere giudicato, oltre mezzo secolo più tardi – quando lo si sarebbe voluto demolire per edificarne uno decentrato, più grande e più “comodo” -, monumento nazionale.
Ma per rintracciare le origini della squadra bergamasca bisogna risalire agli albori del Novecento, quando a Bergamo il centro motore dello sport si trovava in Città Alta, dove erano attive due società sportive: la “Società Bergamasca di Ginnastica e Scherma” fondata nel 1878, e “La Giovane Orobia”, fondata nel 1901 che svolgeva la propia attività nella palestra del Liceo Sarpi.
Per i giovani sportivi bergamaschi che abitavano in Città Bassa era scomodo e oltremodo impegnativo doversi recare tutti i giorni in Città Alta: bisognava salire a piedi o con la funicolare, allenarsi e tornare a casa in serata, e tutto dopo la scuola.
Fu su queste premesse che cinque giovani intraprendenti bergamaschi (Eugenio Urio, Giulio e Ferruccio Amati, Alessandro Forlini e Giovanni Roberti) ebbero la brillante intuizione di dar vita ad una nuova società sportiva che avesse la sua palestra nel Borgo, ovvero nella Città Bassa.
Il 17 ottobre 1907 venne quindi fondata la “Società Bergamasca di Ginnastica e Sports Atletici Atalanta”, dal nome della giovane atleta della mitologia greca invincibile nella corsa.
Attorno alla neonata società si svilupparono un clima di entusiasmo e una voglia di rinnovamento inimmaginabili. Il primo presidente della storia atalantina fu il nobile Vittorio Adelasio, e il primo segretario Gino Amati.
Nel programma furono inclusi molti sports diversi tra loro, fra i quali anche il “Fùbal”, ossia il calcio, la cui sezione vide la luce nel 1913, anno che segna l’inizio della lunga storia della squadra calcistica dell’Atalanta.
L’Eco di Bergamo così annunciava la nascita della “Società Bergamasca di Ginnastica e Sports Atletici Atalanta”: “Da un gruppo di giovani volenterosi venne in questi giorni costituita in Bergamo una società sotto il nome di ‘Sport Club Atalanta’. Scopo della stessa è quella di addestrare la gioventù in tutti i rami degli sport atletici atti a maggiormente sviluppare il fisico. Essa infatti si prefige di coltivare in modo speciale il podismo, il salto, la lotta, il sollevamento peso, la palla vibrata, il calcio, il lancio del disco e del giavellotto nonchè il nuoto e le marcie in montagna”.
In questo periodo il calcio è relegato a comprimario ma piano piano cresce. Già nel 1907 il pallone fa il suo debutto, iscrivendo la squadra al torneo organizzato da C.S. Trevigliese per l’inaugurazione del proprio campo di calcio.
Il sodalizio creato attorno alla squadra calcistica dell’Atalanta venne ufficialmente riconosciuto dalla FIGC solo nel 1914, all’atto dell’inaugurazione e collaudo del campo – il primo campo di gioco omologato della squadra atalantina – situato in via Maglio del Lotto, a ridosso della ferrovia.
Il campo misurava metri 90×45 ed era provvisto di una tribuna con 500 posti a sedere; la sua realizzazione fu fortemente voluta da Pietro Carminati, un merciaio che in quegli anni dirigeva la sezione calcio della società.
Le cronache ricordano che il giorno della sua inaugurazione, avvenuta nel maggio del 1914, un treno proveniente da Milano, in fase di ingresso in stazione, rallentò ulteriormente per permettere ai viaggiatori di assistere ad alcune fasi della partita.
Fino a quel 1914 i bergamaschi, con colori sociali bianconeri, avevano giocato solo partite amichevoli, prima nella Piazza d’Armi della città ed in un secondo momento nel Campo di Marte, un terreno sconnesso situato tra le vie Suardi e Fratelli Cairoli nel centro cittadino, dove le porte in legno venivano collocate e smontate ogni volta.
Va detto comunque che la prima società di calcio a Bergamo fu il Foot Ball Club Bergamo, fondato nel 1903 da imprenditori Svizzeri (Legler, Luchsinger, Honegger), da tempo giunti in Italia per promuovere il tessile. La squadra giocava nell’Ippodromo di Borgo S. Caterina, proprio dove oggi sorge lo stadio.
Nel 1913 confluì nella Bergamasca dando vita alla sezione calcio guidata da Matteo Legler e in poco tempo divenne la vera squadra rivale dell’Atalanta.
La rivalità tra Bergamasca ed Atalanta crebbe fino ad esplodere nel 1919, quando la FIGC impose alla città di Bergamo una sola squadra nel campionato di Prima Categoria.
Era inevitabile: nel febbraio 1920, dopo una assemblea memorabile, la Società per gli Sports Atletici Atalanta e la Società Bergamasca di Ginnastica e Scherma si fusero assumendo la denominazione di Atalanta e Bergamasca di Ginnastica e Scherma, poi semplificata nell’attuale Atalanta Bergamasca Calcio.
Per i colori ufficiali l’intesa fu rapida, l’Atalanta (bianco-nera) e la “Bergamasca” (bianco-azzurra) decisero di eliminare il bianco, comune ad entrambe, e di adottare il NERO e l’AZZURRO.
Agli inizi del 1919, con la ripresa della attività sportiva dopo la Grande Guerra, la società, che a causa delle difficoltà economiche dovute al conflitto aveva dovuto vendere il campo di via Maglio del Lotto, ripartì di slancio impegnandosi alla ristrutturazione di un vecchio ippodromo in disuso, la “Clementina” – in zona Daste vicino al confine con Seriate -, per affrontare nel migliore dei modi l’ammissione alla massima categoria FIGC dell’epoca (1).
L’Atalanta disputa vari anni nei gironi interregionali e nel 1925 assume Cesare Lovati (ex giocatore del Milan) come primo allenatore professionista. Nel tentativo di arrivare nelle categorie nazionali, in quello stesso anno arrivano anche i primi stranieri: gli ungheresi Lukacs e Hauser. Due anni più tardi viene ingaggiato anche il primo allenatore straniero (Imre Payer) ed il primo massaggiatore (Sala).
Nel 1927-28 l’Atalanta Bergamasca, nata dalla fusione delle due squadre, fu promossa in Divisione Nazionale. L’accesso alla massima serie impose la costruzione di un nuovo stadio, argomento di cui si cominciò a parlare ufficialmente nel gennaio 1928, allorchè si era appositamente costituita una Società Anonima (in seguito “assorbita” dal Comune), fondata dalla federazione fascista, con sede presso la Casa del fascio.
Promotore dell’iniziativa era il segretario del partito locale Pietro Capoferri, nominato di recente anche presidente dell’Atalanta (1).
Il costo complessivo dell’impresa era previsto in L. 1.800.000 (anche se con la decisione di ampliare le gradinate la cifra lievitò), da sostenere con le sottoscrizioni dei cittadini che avrebbero acquistato le azioni “di cento lire cadauna”, lanciate dalla Società controllata dal Partito nazionale fascista, responsabile della costruzione e della gestione.
All’atto costitutivo della Società era già stata raccolta una somma di centomila lire.
Nel frattempo i lavori per la realizzazione del nuovo stadio erano già cominciati sull’area dell’ormai ex Ippodromo di Borgo Santa Caterina (una superficie di circa 3500 metri quadrati), ormai divenuto un “tesoro infruttuoso”, come riporta la cronaca all’inizio di quel 1928: “Osservando dagli spalti meravigliosi delle nostre Mura, dalla vasta chioma verde, verso la monumentale Porta di Sant’Agostino, il panorama della città inferiore e nuova, si riscontra che esso è caratterizzato nelle sue ultime propaggini, in direzione nord-est, da un anello di terra che circoscrive un vasto spiazzo di terreno che tutti conosciamo come il vecchio Ippodromo di Borgo Santa Caterina. Per chi non vi giunge che nell’estate, quando questa amplissima area diventa il paradiso solare di frotte innumerevoli di bambini che frequentano la colonna elioterapica e che si rinsaldano i muscoli e le ossa al calore benefico dell’amico sole, l’ippodromo può ancora offrire un’impressione i vita. Ma quando nei lunghi autunni, negli inverni lividi e bianchi, nelle primavere acerbe questo recinto si offre ai nostri occhi, ci dà come una sensazione d’infinita nostalgia e di rimpianto. L’abbandono, il silenzio, l’incuria delle cose morte si contrappongono al ricordo dei cavalli che ungiorno percorrevano ansimanti questa traccia circolare fra l’ammirazione della folla”.
E quando la Federazione fascista convocò gli azionisti della società del vecchio ippodromo, “tutti aderirono di buon grado per far si che l’impianto si trasformasse in un grandioso ‘stadio polisportivo’, dotato anche di una pista d’atletica ed arricchito da campi da tennis e da una piscina. Il progetto era stato affidato all’ingegner De Beni.
Il NUOVO STADIO
“Le linee architettoniche inquadrano l’opera ardita facendone una delle più belle fra quelle costruite fin ora in Italia” (Ing. Zanchi).
Al Polisportivo si accedeva da due ingressi, ciascuno provvisto di due edicole per la dispensa dei biglietti.
Il complesso occupava, e occupa tuttora, un’area di 35.000 m², e comprendeva: un campo per il gioco del football delle dimensioni di metri 70 per 120, contornato da una pista podistica in cenere dello sviluppo di 430 metri, larga sei metri.
Lungo i lati maggiori sorgevano le due tribune in beton armato, la cui forma era costituita da due lati dritti raccordati da archi di cerchio.
La tribuna ad ovest (lunga 88 m e larga 12, con 13 gradoni), fu coperta con una soletta a nervature in beton armato avente lo sbalzo di dodici metri, una soluzione d’avanguardia che verrà citata ad esempio nei manuali di tecnica delle costruzioni.
Sotto la tribuna furono ricavati i vari ambienti necessari per i servizi del campo: spogliatoi collettivi e individuali, palestra, sala per riunioni, locali per arbitri e la direzione, un appartamento per il custode, tutti i vari servizi sanitari e un piccolo buffet per gli spettatori.
La tribuna ad est, scoperta, avente le dimensioni di 84 metri per 15 lungo il lato di mattina “in fregio a un futuro viale”.
Ed anche la realizzazione del nuovo viale fu sommersa di lodi. I giornali lo definirono “una piccola opera d’arte urbana”.
Sotto la tribuna scoperta furono ricavati locali destinati a negozi e magazzini da cedere in affitto, nonché un bar-ristorante aperto tutto l’anno, al quale si accedeva sia dall’interno che dall’esterno dello stadio.
Quanto alla capienza, i giornali annunciarono una cifra che fece sbarrare gli occhi a molti bergamaschi: dodicimila! Duemila in ciascuna delle due tribune, ottomila nei parterre (poi ampliata a 15.000).
Fu inoltre previsto anche un’auto-parco per il deposito delle macchine durante gli spettacoli.
Nell’ottobre del 1928, lo stadio era già aperto “tutti i mercoledì e i venerdì, dalle 14 alle 17.30, ai giocatori appartenenti a qualsiasi società della provincia” (da un comunicato dell’Atalanta).
IL COLLAUDO E UNA PRIMA INAUGURAZIONE
Per verificare le condizioni del terreno di gioco, il primo novembre si tenne una sorta di “prova generale” in occasione della partita Atalanta-Triestina, alla presenza del pubblico che aveva avuto accesso solo in gradinata: si trattava della prima partita giocata nel nuovo stadio, che vide l’Atalanta trionfare sulla squadra ospite per quattro reti a una.
Il giorno prima i tecnici avevano provveduto al collaudo delle due tribune, alla presenza di numerosi cronisti.
L’indomani, riferirono i giornali: “Tutto è risultato compiuto a regola d’arte e al termine dei vari collaudi, durati alcune ore, le autorità presenti si sono vivamente congratulate con il progettista e i suoi collaboratori, specie per la tribuna coperta che è la più ardita e importante del genere esistente in Italia”.
Per il collaudo della tribuna coperta, la soletta di copertura della tribuna, avente uno sbalzo di m. 12,80, fu sovraccaricata di sabbia in ragione di 150 kg al mq; i flessimetri rilevarono. sotto tutto quel carico, una freccia d’inflessione di 2,5 mm e rimosso il carico non si riscontrò alcuna deformazione permanente. Fu un risultato superiore ad ogni aspettativa in quanto, secondo il calcolo degli esperti, era prevista una deformazione elastica di circa 10 mm. Successivamente furono caricate anche le gradinate per gli spettatori in ragione di 5 quintali per metro quadrato, senza che gli apparecchi di controllo segnassero inflessione alcuna.
Infine, il responsabile del collaudo professor Salvatella del Politecnico di Milano, spese parole d’elogio per le qualità superiori del cemento granito fabbricato dalla Italcementi e impiegato nella grandiosa opera.
Le autorità si congratularono vivamente con i tecnici e le maestranze per aver donato a Bergamo, con il loro impegno, un’opera tanto ardita e importante (dalla cronaca dell’Eco di Bergamo).
Inoltre, sul nuovo terreno di gioco, a mo’ di collaudo“severo”, il 9 dicembre 1928 fu disputata una partita di rugby fra l’Ambrosiana Milano e una squadra di Bucarest. Per Bergamo si trattava di uno sport inedito e i giornali si sbizzarrirono a spiegarne le regole.
L’INAUGURAZIONE UFFICIALE
La chiacchieratissima inaugurazione ufficiale del nuovo stadio di Bergamo avvenne la domenica adamantina del 23 dicembre 1928, quando contemporaneamente furono inaugurati anche i Magazzini Generali al Conventino e la nuova facciata di palazzo Nuovo in piazza Vecchia.
Sotto un freddo e luminoso cielo azzurro, quella mattina Bergamo fu svegliata dalla prima neve sfarinata appena sui tetti e nei prati, e dal suono delle fanfare di suonatori vestiti d’ogni foggia.
Tutta la città era imbandierata dai tricolori svolazzanti alle finestre, ai balconi, sulle torri.
Un grande corteo cominciò a prendere forma sul piazzale delle stazioni in un tripudio di luci, suoni e colori e la sfilata s’incamminò festante e al passo, con vessilli e gagliardetti che sferzavano l’aria, verso il nuovo stadio.
A mezzogiorno lo stadio, dove erano attese le autorità, era già ricolmo di sportivi, richiamati anche per la partita di campionato in programma, Atalanta-Dominante di Genova.
Alle 13.30, a metà del viale Regina Margherita (come allora si chiamava l’attuale viale Giulio Cesare, da poco realizzato) scesero dalle loro auto per avviarsi a piedi verso l’ingresso dello stadio, il segretario generale del partito Filippo Turati, Arnaldo Mussolini e Achille Starace.
“La Milizia, distesa in doppio cordone, scatta sull’attenti e presenta le armi. Poi, come Turati sorpassa l’ingresso, dove prestano servizio i reali carabinieri in alta uniforme, dalla folla balza l’ala- là di saluto al gerarca, che a passo svelto si dirige verso il posto d’onore della tribuna. Fotografi e cineoperatori sono sparsi un po’ ovunque e fanno scattare gli obiettivi. Poco più tardi arrivano anche Arnaldo Mussolini (direttore de “Il Popolo d’Italia”) e Starace”, raccontano le cronache.
La partita – Atalanta-Dominante di Genova – preceduta da una esibizione di ginnasti dell’Atalanta, fu vinta per 2 a 0 dall’Atalanta, fra un’impressionante, spettacolare ed esaltante – si direbbe oggi – standing ovation.
Ma la cerimonia vera e propria dell’inaugurazione si aprì con la benedizione impartita da monsignor Brambilla, appositamente delegato dal vescovo. Poi arrivò una pioggia di discorsi fra i quali, in particolare, quello del federale Pietro Capoferri fu definito dalla cronaca “imponente”. Turati riconobbe “ai camerati bergamaschi di aver bene operato costruendo questo campo sportivo dedicato alla memoria di un nostro caduto. Qui si disputerà la più aperta, la più bella e aspra competizione dello sport”.
Per le vie della città i festeggiamenti durarono sino a tarda ora e si calcolò, considerate le corse straordinarie dei treni in arrivo dalla stazione centrale e dalle stazioni delle Valli (il cui personale ricevette un encomio per l’ottimo lavoro svolto), che erano state trasportate a Bergamo oltre undicimila persone.
I giornali si sperticarono in lodi per il nuovo complesso all’avanguardia di cui finalmente Bergamo si era dotata, compresi i campi da tennis (per i quali fu costruita la caratteristica villetta, sede del primo Tennis club Bergamo) e la piscina-lido.
LA PISCINA PRESSO IL NUOVO STADIO: IL “CASTELLO DEI TUFFI”
Il moderno complesso della piscina regalò ai bergamaschi l’impressione di essere al mare, e così i giornali la battezzarono presto con il nome di “piscina-lido”.
Secondo quanto si legge su “Il Nocecento a Bergamo” (Op. cit.), il podestà Antonio Locatelli (che tra l’altro era assiduo frequentatore della piscina, dove egli “prediligeva nuotare sott’acqua”) aveva affidato l’incarico della sua realizzazione all’ingegner Giancarlo Eynard, professionista da lui molto stimato; da una recentissima conversazione con il Sig. Valdo Eynard, figlio dell’ingegner Giancarlo, risulta che tale piscina non sia stata progettata dal padre, che invece in quegli annni aveva progettato la piscina di Cuneo, di cui Valdo ricorda ancora il plastico tenuto per anni in casa .
La piscina, una vasca di 50 metri, era dotata di un impianto di depurazione e clorizzazione dell’acqua (soluzione elogiata in un numero de “La Rivista di Bergamo” del 1934), “di un bar-ristorante con tavolini all’aperto, impianto di illuminazione per le gare in notturna (“dotato anche di alcuni fari mediante i quali si ottengono effetti di luce molto suggestivi”), cabine e armadietti per il pubblico, docce e servizi igienici, trampolini e una pedana in legno, sopraelevata ai bordi della vasca, per l’esposizione al sole” (Giorgio Mazzoleni).
Un recinto metallico isolava la vasca dalla zona circostante, allo scopo di disciplinare e rendere facilmente controllabile l’accesso dei bagnanti alla vasca. Un solo passaggio vi era permanentemente aperto; e si trattava di un passaggio a guado che doveva essere necessariamente attraversato da tutti i bagnanti prima di immergersi in piscina.
Va da sé che tutta la zona compresa entro il recinto era pavimentata, parte in piastrelle di cemento e parte con pedane sopraelevate assai apprezzate dai bagnanti per distendersi al sole.
Quei semplici accorgimenti permettevano di evitare l’introduzione in vasca di terra, sabbia o altro, concorrendo notevolmente a mantenere limpida l’acqua, rispondendo pienamente alle norme regolamentari e rendendo quindi la piscina idonea ad ospitare manifestazioni agonistiche di qualsiasi importanza.
In un reportage degli anni Trenta, uno stralcio descrive la piscina-lido: “(…) A rendere inoltre più attraente e ospitale l’ambiente, è in funzione un decoroso caffè-ristorante soprattutto gradito alla categoria dei professionisti e degli impiegati che, potendo consumare a modico prezzo il pasto in piscina, riescono a concedersi nelle ore meridiane un po’ di vita da spiaggia. Concludendo, la cittadinanza bergamasca non poteva essere meglio servita in fatto di possibilità balneari. E qualcuno già pensa alla costruzione di una piscina coperta invernale” .
La piscina coperta invernale, a Bergamo, verrà realizzata molti anni dopo.
VERSO I NOSTRI GIORNI
Nel corso del tempo lo stadio ha subito diverse opere di ristrutturazione fino ad assumere l’attuale configurazione: delle vecchie strutture sportive del 1928 ormai non resta più nulla e solo nella facciata possiamo ravvisare i tratti del vecchio stadio.
Sono state aggiunte le due curve e la copertura della tribuna ad est.
Di notevole importanza a livello strutturale furono i lavori eseguiti nell’estate del 1984, contestualmente al ritorno dell’Atalanta in serie A, che portarono all’eliminazione della pista di atletica (si ricordi che, grazie ad essa, dal 1960 al 1983 proprio in questo stadio si concludeva il Trofeo Baracchi di ciclismo), al posto della quale furono aggiunte delle tribune metalliche. Queste permisero di aumentare la capienza, che toccò il record storico il 16 settembre 1984, quando alla partita Atalanta-Inter assistettero oltre 43.000 spettatori, benchè dopo le ultime modifiche la capienza dello stadio sia di 24.726 posti.
Nel 1991 lo stadio fu oggetto di un prodigioso intervento di ristrutturazione, eseguita a tempo di record grazie anche ad un ingente finanziamento statale, ma soprattutto alle maestranze – tre imprese edili d’eccellenza – che ne garantirono la qualità, bergamasche al cento per cento.
Oggi, al di là di ogni discussione riguardo l’inadeguatezza dell’impianto e della sua collocazione, rincuora sapere che quello stadio all’avanguardia che sul finire degli anni Venti sorgeva alle porte di una tranquilla cittadina, continua a svolgere diligentemente il compito per il quale è sorto, continuando a far sognare ad occhi aperti migliaia di bergamaschi.
NOTE
(1) Questa società ottenne il riconoscimento giuridico, usufruendo delle esenzioni fiscali stabilite dalla legge 14 giugno 1928, n. 1310.
Riferimenti
“Il Novecento a Bergamo – Cronache di un secolo”. Di Pilade Frattini e Renato Ravanelli. A cura di Ornella Bramani – Vol. II. UTET. Anno 2013.
“Cent’anni di Sport a Bergamo. Di Aurelio Locati. Editore Bolis, 1987.
La chiesa di S. Alessandro in Colonna, intitolata al patrono di Bergamo, si trova nell’omonima via in Bergamo bassa ed è il cuore del borgo omonimo. Asse di una delle direttrici che si diramano da Città Alta, la si raggiunge da piazza Pontida o attraverso l’animata via XX Settembre.
Benchè la tradizione la voglia già eretta nel VI secolo, sopra le rovine di un tempio pagano di cui non si hanno testimonianze, la presenza della chiesa è documentata solo dal secolo XI. Il primo documento riconosciuto risale infatti al 1133, quando è indicata come “Ecclesia S. Alexandri quae dicitur in columna” (Lupi, Codex Diplomaticus, II, co. 975), in riferimento alla presenza sul luogo di resti romani come colonne monumentali.
La consacrazione del 1474 ricorda la ricostruzione della chiesa a seguito di un crollo. Al 1627 è documentata una seconda consacrazione per sistemazioni dell’edificio secondo le indicazioni borromaiche, mentre nel 1739 la chiesa venne nuovamente rinnovata ed ampliata, anche se per il suo completamento bisogna attendere il 1780 quando venne realizzata la cupola e la facciata principale.
La ristrutturazione dei primi anni del XVIII secolo, attuata su disegno di Marco Alessandri, cancellò alcune parti di notevole valore come la cappella del Santissimo Corpo di Cristo che era stata progettata nel 1511 da Pietro Isabello e di cui rimangono solo i pilastri di pietra poi inglobati nella realizzazione successiva (1).
Il campanile venne iniziato nel 1842, su disegno di Giovanni Bovara, mentre il completamento da parte di Virginio Muzio è del 1904. E diviso in sei livelli e si conclude con una complessa cella campanaria (2). Su di esso svetta la statua della Madonna del Patrocinio. Nel complesso, il campanile contrasta con la severità dell’intero complesso architettonico.
(1) La chiesa di sant’Alessandro in Colonna, La Rivista di Bergamo.
(2) Il campanile ospita un concerto di 12 campane in la2, tra i più imponenti della Lombardia; 10 di esse formano la scala maggiore di la2, mentre le due restanti servono per formare la scala maggiore di si2. Le 8 campane in la2 sono state fuse dalla fonderia Pruneri di Grosio nel 1905, mentre le altre 4, dalla fonderia Ottolina di Seregno nel 1951
Nella basilica si trovano inoltre due organi monumentali costruiti dai Serassi: l’organo maggiore, costruito nel 1781, collocato nell’abside ai lati dell’altare maggiore, e l’organo della cappella della Madonna del Patrocinio, costruito nel 1844.
Visibile non solo per la sua mole, con l’austera facciata neoclassica, la chiesa si caratterizza per la presenza dell’alta colonna, composta da diversi blocchi di epoca romana, che si innalza sul sagrato, la stessa alla quale – come vuole la tradizione – venne decapitato Alessandro, futuro patrono della città, nel III secolo d.C.
La colonna, ben visibile sul piccolo sagrato antistante la chiesa, è citata da molte fonti antiche come “Colonna del Crotacio”(3), cittadino che forse risiedeva o che si fece seppellire nei pressi, ponendo un monumento (la colonna appunto) sormontato da un idolo, da cui il luogo prese il nome di “Vico Crotacio”(4), l’antica denominazione del borgo di S. Leonardo.
Fu solo dopo il Mille che il borgo cominciò a chiamarsi “Vico S. Alessandro” (5).
In realtà, la colonna originaria, che doveva essere ancora visibile nel 1575 perchè citata nelle visite pastorali, ha subìto modifiche nel 1618.
(3) “I primi secoli del’Era Cristiana quanto alla storia nostra politica sono ancora più d’ogni altro antecedente avvolti nella incertezza, e in una invincibile oscurità. In que’ tempi alcuni nostri scrittori assegnarono alla patria un governo di duchi, de’ quali Crotacio il primo, investito dall’imperator probo, e s. Lupo l’ultimo, che fu padre della beatissima Grata curatrice del corpo di S. Alessandro. Ma sulla erroneità di siffatta opinione, e sulla incompetenza di un tal titolo ai governanti in quell’epoca convien leggere il precitato Codice del canonico Lupo capo IV. e § V., e altrove” (Dizionario odeporico: o sia, storico-politico-naturale della provincia bergamasca (Giovanni Maironi da Ponte).
(4) Mario Lumina, La chiesa di S. Alessandro in Colonna, S. Alessandro in Colonna, Greppi, Bergamo, 1977, pp. 6/8.
(5) Mario Lumina, ibidem.
L’interno della basilica, a navata unica e a croce latina che si apre su quattro cappelle per lato, rispecchia pienamente il linguaggio neoclassico, con l’imponente volta a botte unghiata sorretta dall’alto cornicione e dalle slanciate semicolonne con i capitelli corinzi. Il transetto, poco profondo, raggiunge l’ampiezza delle cappelle.
Adiacente al presbiterio vi è la cappella della Beata Vergine del Patrocinio, edificata sul luogo di un antico cimitero.
Le cappelle laterali e le sagrestie sono ricche di opere di pregio come il Martirio di Sant’Alessandro (1623) e Posa della prima pietra del tempio (1621), entrambi di Enea Salmeggia, Santa Grata che raccoglie il capo di Sant’Alessandro di Gian Paolo Cavagna (1621), Il Martirio di San Maurizio di Alessandro Balestra, l’Ultima Cena e la Natività di Leandro Bassano, la Deposizione di G.B. Bassano, l’Assunzione della Vergine di Girolamo Romanino, Santa Grata presenta al padre i fiori sbocciati dal sangue del martire di Francesco Zucco (1621), una Deposizione di Lorenzo Lotto.
Nella terza sagrestia si conserva una Natività di Alessandro Bonvicino detto il Moretto e la Madonna dello Scoiattolo di Giovanni di Giacomo Gavasio e, in alto sopra il cornicione, La Trinità di Enea Salmeggia, copia dell’opera del Lotto, di cui la critica indica una datazione attorno al primo decennio del Seicento.
Sulla parete destra del transetto, accanto alla Cappella del Corpus Christi, si trova San Pietro, San Paolo e San Cristoforo in gloria, un dipinto del primo Seicento di Giovan Paolo Cavagna, unico per la scelta iconografica dell’artista.
Nel 1997 la chiesa è stata proclamata Basilica.
Bibliografia e sitografia
Giosuè Berbenni (a cura di), Organi Storici della Provincia di Bergamo, Bergamo, Provincia di Bergamo, 1998.
Fabio Pasquale (a cura di), Basilica di S. Alessandro in Colonna – Bergamo – Luogo di fede e d’arte, Bergamo, Artigrafiche Mariani & Monti, 1999.
Flora Berizzi, Bergamo, Milano, Electa, 2007.
Tosca Rossi, A volo d’uccello – Bergamo nelle vedute di Alvise Cima – Analisi della rappresentazione della città trà XVI e XVIII secolo, Litostampa, Bergamo, 2012.
Benchè sia ormai inglobato nel tessuto cittadino, Il torrente Morla – “la Morla” per tradizione – è storicamente considerato il “fiume di Bergamo”, dal momento che ben 8 chilometri dei 14 totali sono compresi nel territorio comunale del capoluogo orobico.
Anche se la Morla non può, e non poteva competere, per volume d’acqua e per lunghezza di percorso, con i due fratelli maggiori – il Serio e il Brembo, onorati dal Tasso nel famoso sonetto – supera questi ultimi per importanza storica; per centinaia d’anni essa fu ammessa nella nomenclatura dei fiumi: nei diplomi imperiali di dieci secoli fa è chiamato flumen, e
Mosè del Brolo otto secoli or sono nel suo Pergaminus cantava: “un fiume a cui di Morla han dato il nome”.
Nasce dal Monte Solino, alle pendici del Canto Alto, e dal Col di Ranica, propaggine della Maresana, e all’altezza di viale G. Cesare riceve il contributo del torrente Tremana; del Gardellone riceve soltanto le acque di sfioro, e ciò da quando, nel 1950, per evitare che la Morla esondasse in città in caso di abbondanti piogge, tale torrente fu deviato direttamente al fiume Serio in territorio di Torre Boldone.
Come facilmente intuibile, la portata della Morla è largamente dipendente dagli apporti meteorici.
Dopo aver attraversato, con andamento meandriforme, Sorisole, Ponteranica e Bergamo, la Morla assume un andamento quasi rettilineo, delimitando il perimetro comunale a est e lambendo il Corpo Santo di Campagnola a sud.
Oggi l’alveo attivo del torrente Morla scorre in una direzione completamente diversa rispetto al passato, in seguito ad importanti interventi di rettifica e canalizzazione.
Anticamente, il paleoalveo della Morla, documentato al XIII secolo, raggiunta la città di Bergamo a est, dopo aver compiuto un’ampia curva che la evitava proseguiva verso la zona dell’insediamento dell’ex-Gres di via S. Bernardino (ed esattamente a ovest di tale insediamento industriale), continuando poi in direzione di Grumello del Piano. Da qui si disperdeva in una zona acquitrinosa con altri corsi d’acqua provenienti dalle pendici collinari occidentali.
L’antico percorso della Morla venne deviato nel Duecento per irrigare nuovi campi bonificati, e nel 1253 il Municipio di Bergamo “alienò parte dei suoi terreni a sud di Campagnola e li affidò a ricche famiglie aristocratiche (tra cui i Suardi e i Grumelli) che li gestirono e li coltivarono destinando la produzione di fieno e ortaglie alla città. Le tracce di tale operazione permangono oggi nei designatori, con la presenza della via dei Prati, a Campagnola, che corre ancora oggi lungo la roggia. Successivamente lo stesso schema della bonifica venne applicato per la fondazione del centro di Comun Nuovo, situato qualche km a sud di Colognola in direzione di Caravaggio” (Il paleoalveo del torrente Morla).
Nei tempi antichi la Morla costituiva una fonte di vita per gli abitati che lambiva.
Durante il periodo medioevale la stessa città di Bergamo ricorreva alle sorgenti della collina per i propri bisogni idrici e domestici, ed ancora in tempi più recenti, almeno fino alla prima metà del XX secolo, la Morla fu utilizzata per fini domestici, in primis per lavare i panni, in quanto le sue acque erano dotate di una grande limpidezza.
Le persone più anziane ricorderanno certo con nostalgia i tempi in cui la Morla pareva “acqua sorgiva”, al punto tale che le massaie utilizzavano la sua acqua per lavare la biancheria, che stendevano sulle rive e nei prati ad asciugare e che, secondo l’esperienza di allora, con la luce ed il calore solare acquistava maggiore candore.
Inoltre, il suo alveo, adagiato su uno strato impermeabile argilloso, permetteva l’estrazione agli inizi del secolo di un’eccellente qualità di argilla (“unica nel suo genere”), con la quale venivano fabbricate stoviglie fra le migliori della Bergamasca.
La Morla lungo la sua storia causò grossi guai, paurosi straripamenti, inondazioni e vittime, ricordate in una lapide risalente all’epoca della dominazione veneta, affissa sulla facciata di una ex chiesetta costruita sul suo argine in località “Scuress” (Ponteranica).
La Morla infatti è un torrente dal corso tortuoso con il fondo lastricato di rocce cenericce e sfaldabili chiamate Sass de la Luna: quando è in secca non ci si accorge della sua esistenza, mentre in occasione di abbondanti precipitazioni si sveglia e può diventare pericolosa.
Le calamità naturali legate alle esondazioni della Morla sono ricordate dal poeta bergamasco Mosè del Brolo e dal Mazzi nella sua corografia bergomense. Quest’ultimo scriveva: “Il torrente provenendo dalle alture di Ponteranica, corre vicino alla città dalla sua parte orientale e se non è infelice esagerazione di poeta, si può credere che negli antichi tempi recasse non pochi guasti alle vicine campagne, giacchè di esso canta il nostro Mosè: Prossimo al Monte cittadin trascorre, un fiume a cui di Morla han dato il nome, e crudelmente le campagne inonda”.
Ricordiamo anche gli enormi guasti arrecati alla città di Bergamo, e in particolare a Borgo S. Caterina e Borgo Palazzo, nella primavera del 1936, quando persero la vita due persone.
Il cronista di allora così scriveva su “L’Eco di Bergamo”:
“il 3 maggio 1936 nel tardo pomeriggio dopo una giornata afosa si avevano i prodromi di un temporale proveniente da est e che è stato veramente impressionante.
La zona fortemente colpita è stata Borgo S. Caterina tanto che oltre alle case e cantine allagate le ossa del vecchio cimitero di Valtesse affiorarono sul terreno.
Questo grave episodio è stato determinato dallo straripamento dei torrenti Tremana e Gardellone, confluenti del Morla. Essi sono alimentati dal bacino imbrifero del Canto Alto da un lato e dalla zona collinare dall’altro.
Un fenomeno del genere si è avuto nel 1932 ma meno grave, perché avvenuto in un periodo di siccità mentre questo a seguito di continue piogge…”
Accanto a quella tragica del 1936, la storia della Morla registrò altre drammatiche piene, e tra queste, quella del 1896, del 1932, del 1937, del 1940, del 1946, del 1949 e del 1976.
In quelle occasioni si accesero discussioni, polemiche, dibattiti, volti a porre rimedio a queste calamità, studiando quindi una soluzione definitiva.
Dopo numerosi progetti si decise di canalizzare parte del corso cittadino del fiume, coprendone alcuni tratti. L’opera, che comportò ingenti sforzi non soltanto economici, si concluse nei primi anni sessanta modificando definitivamente la natura del torrente.
La zona maggiormente interessata fu Borgo Santa Caterina, che vide scomparire totalmente il corso d’acqua che ne aveva caratterizzato la storia, posto sotto il manto di nuove strade e piazzali, su cui venne costruito anche il nuovo palazzetto dello sport della città.
Venne quindi eliminato anche il caratteristico ponte di Borgo santa Caterina, da secoli delimitazione territoriale del quartiere stesso.
Un altro tratto in cui il torrente venne nascosto alla vista della città fu immediatamente dopo il ponte di Borgo Palazzo, per riemergere dal buio in prossimità della stazione ferroviaria, sotto la quale scorre l’ultimo tratto sotterraneo.
A seguito di questa grande opera il torrente venne relegato ad un ruolo sempre più marginale, tanto che col passare del tempo venne considerato sempre più una sorta di discarica a cielo aperto.
Soltanto con l’avvento del XXI secolo cominciò a verificarsi una nuova presa di coscienza da parte dei cittadini e delle autorità, che hanno posto la Morla al centro di un’opera di recupero ambientale. A tal riguardo è nato anche un Parco Locale ad Interesse Sovracomunale (PLIS) volto alla tutela ed al rilancio delle aree della pianura bergamasca interessate dal corso della Morla e dalle rogge da essa derivate.
La Morla fu immortalata nei diplomi regi e imperiali, poiché diede il nome alla Corte regia di Borgo Palazzo. Il Lupi, che nel 1780 scriveva : “la corte Morgola… presso al fiume che fino ad oggidì porta lo stesso nome, in quel luogo che ora è detto Borgo Palazzo”, spiega che la curtis era un possedimento, o vasto feudo, appartenente a qualche particolare famiglia, la quale aveva la propria abitazione in forma di castello o di palazzo, con adiacenti alcune case per la servitù o coloni addetti alla coltivazione dei terreni che si estendevano intorno ai fabbricati: il castello di Malpaga e le abitazioni che lo circondano possono rendono l’idea di cosa fossero le corti.
La Curtis regia era invece proprietà di un re o di un imperatore e talvolta abbracciava un villaggio (vicus) o anche un insieme di villaggi (pagus); aveva ampi fabbricati, che dimostravano la potenza e la dignità regia. In città la curtis regia era ubicata nell’area attualmente occupata dalla fontana di San Pancrazio.
Ora, la curtis: “… quae vocatur Morcula in comitatu Pergamo”, appare per la prima volta in un diploma dell’875 di Lodovico re di Germania; in questo documento si menziona l’esistenza di una corte Morgula o Murgula – poiché essa era dislocata lungo il corso del torrente Morla -, situata nei pressi di un Palatium imperiale, nella parte bassa di Bergamo. Un palazzo destinato alla residenza degli imperatori di passaggio nei loro viaggi nelle provincie italiane.