Come abbiamo già visto qui, nell’agosto del 1896, durante il periodo della festa patronale e a pochi mesi dalla scoperta dei fratelli Lumière, anche a Bergamo comparve per la prima volta il cinematografo, allestito sotto una tenda, fra le tante sistemate ai lati della Fiera.
Dalla pellicola si effondevano su di un lenzuolo le immagini tremule e sfuocate delle ”fotografie in movimento”, suscitando grande entusiasmo per “l’ultima meraviglia del secolo”.
Nei primi anni del Novecento, nel cuore della belle époque, il cinematografo cominciò a uscire dagli spazi provvisori della Fiera e ad entrare nei teatri popolari cittadini, seppur associato al varietà, al cabaret e al music-hall: al Givoli di Piazza Baroni, al Politeama Novelli sul viale della stazione per poi approdare nel tempio dei melomani, il “Donizetti”, dove suscitò grave disapprovazione fra i benpensanti. E poi al Nuovo appena inaugurato, dove il vulcanico impresario Pilade Frattini diede al cinema una patente di nobiltà. A proiettare film erano gli impresari-nomadi che giravano le città con confortevoli carrozzoni, pronti a montare e a smontare in teatro i loro impianti. Nel 1908, la progressiva decadenza della Fiera, sempre più malfamata e fatiscente, portò il cinema anche al Sociale e al Rubini, per poi approdare allo scomparso bar Concordia, sul viale della Stazione, fino al primo locale permanente della città appositamente adibito agli spettacoli cinematografici: il “Cinema-salone Radium”, un baraccone tipo saloon da film western, sorto nel 1909 di fronte al boschetto di Santa Marta, avvolto in un’atmosfera da pionieri. Se nel frattempo la qualità delle proiezioni e il livello delle programmazioni erano in costante miglioramento, per i tipici spettacoli popolari come il circo, l’opera, il teatro leggero ed ogni forma di spettacolo di piazza, si avviava un lento ma inesorabile processo di decadenza.
Di lì a poco, al Radium – destinato a vita breve – si affiancarono altre due sale cinematografiche: l’Universale, in via Torquato Tasso, e il Cinema Orobico, in piazza Santo Spirito (inaugurato il 23 luglio 1910) e, dagli anni Venti, oltre ai teatri votati al cinema (lo stesso Donizetti, il Nuovo, il Sociale, il Rubini e l’Augusteo in Borgo Palazzo), sorsero altre sale cinematografiche, molte delle quali accompagnarono per decenni i nostri sogni.
Nel frattempo le produzioni si allontanavano dal documentarismo (un fenomeno tipico degli inizi) e arrivavano i primi kolossal: da Quo Vadis? (1913) a Cabiria (1914). Nasceva così anche il divismo, quello dei grandi protagonisti del cimema “muto” e, dagli anni Trenta, del sonoro.
L’APERTURA DI NUOVE SALE NEGLI GLI ANNI VENTI
Negli anni Venti sorsero in città ben nove sale cinematografiche, la maggior parte delle quali ebbe lunga vita: il Sant’Orsola nell’omonima via (divenuta poi la “via dei cinema”); l’Acquarium in via Verdi (chiamato il “cinema dai mille nomi”, l’ultimo dei quali fu Ritz); il Centrale, aperto nella vecchia Fiera e riconfermato nei locali del nuovo centro (quadriportico del Sentierone); il Diana, in via Borfuro; il Vittoria (ex Cinema Orobico) in piazzetta Santo Spirito; l’Olympia in via Torquato Tasso (futuro Capitol); una sala chiamata “I topi grigi” in via Moroni e il “Roncalina” vicino all’Accademia Carrara (entrambi dalla vita breve); infine, l’Odeon in via Sant’Orsola (futuro Quill).
Il Sant’Orsola (che aveva preso il posto del Cinema Roma e che più tardi si trasformò in Delle Arti) era sorto sulle ceneri di un magazzino per il cappellificio dei fratelli Moratti ed era stato inaugurato nel 1926. Era un locale lungo e stretto, più simile a un corridoio che ad una sala cinematografica. Ed era una sala decisamente popolare, tanto da essere soprannominata ol piogì – nel senso di pidocchio – perché si presumeva vi fosse poca pulizia fra i frequentatori. In realtà c’era sempre tanfo e lo schermo era ingiallito dal fumo delle sigarette.
Negli anni Trenta offriva due film (di Terza o Quarta visione) al prezzo di uno (un’usanza durata a lungo) e faceva “proiezioni speciali” mattutine, affollate di studenti che marinavano la scuola. L’edificio che lo ospitava non esiste più.
L’Acquarium, in via Verdi, il cinema noto anche come quello dei “mille nomi”, divenne in seguito Verdi, poi Mignon, poi Ritz-Cinema d’essai ed infine infimo locale a luci rosse.
L’Acquarium era sorto nel 1921 nella palazzina di via Verdi, sulle ceneri della tipografia Isnenghi. La palazzina è sempre stata la stessa dopo che Edoardo Isnenghi l’aveva fatta trasformare in cinematografo.
Annotava Ermanno Comuzio che “sia Edoardo Isnenghi sia il figlio erano patiti di pesci e della pesca per cui, lungo tutto il corridoio del nuovo cinema che dall’ingresso portava alla platea, avevano fatto sistemare delle vasche popolate di pesci, illuminate di luce verde artificiale, a formare un fantastico acquario. Di qui il nome originale del locale”. Ma se da un lato le vasche dell’Acquarium caratterizzavano il locale ed attiravano il pubblico, l’impianto, con una fauna ittica molto casalinga, consumava acqua e soldi, spesa extra per il povero gestore del cinematografo, Guido De Poli”. Questi, “seguendo i voleri di Edoardo Isnenghi, che era sentimentalmente attaccato al ‘muto’, cercò di tenere duro con i film muti finché poté, utilizzando orchestrine in sala; ma poi, buon ultimo, dovette cedere alla nuova tecnologia del sonoro. Resse comunque poco, perché nel 1935 lasciò la direzione del cinematografo”.
L’Acquarium era comunque, per lo più, un cinematografo squisitamente popolare, sia per la programmazione di ampia attrattiva, sia per la modicità dei prezzi d’ingresso.
Il Centrale, nato sulle ceneri del Caffè Centrale, aperto nella vecchia Fiera, venne inaugurato il 15 agosto 1914. Era una sala in stile floreale, divisa in tre parti da colonnati con cariatidi, la volta decorata da stucchi e pitture, un loggiato sullo sfondo e il palcoscenico affiancato da due piccoli palchetti. La denominazione sopravvisse, all’angolo del Quadriportico del Sentierone, più o meno nella stessa posizione del precedente.
Il nuovo cinematografo, aperto nel centro piacentiniano, era sorto per iniziativa del cavaliere di Gran Croce Lamberto Sala, titolare di una fiorente impresa di trasporti, che chiamò a dirigere il locale un suo dipendente, Giulio Consonno (che più tardi rileverà il Teatro Nuovo ed edificherà il Teatro Duse).
Il Centrale, particolarmente attento al fenomeno del ‘divismo’(da Francesca Bertini a Lyda Borelli e Pina Menichelli), diventò subito un locale molto frequentato, potremmo dire preferito: moderno ed elegante, vi si davano spettacoli di richiamo.
Il pianino che singhiozzava nel buio ben presto non bastò più per un locale di tali ambizioni; e i film cominciarono a essere accompagnati da una orchestra stabile formata da un piano, un violino (suonato dal signor Marigliani), un violoncello (suonato dal signor Tiraboschi, che poi fondò la Bottega della musica) e da un contrabbasso. I musicanti non si accontentavano di improvvisare, ma vedevano scrupolosamente il film prima del pubblico e insieme facevano delle piccole prove. L’effetto era davvero accattivante (1). Il Centrale venne restaurato nei primi anni Cinquanta.
Il Diana, in via Borfuro, uno dei più antichi della città, è stato tra quelli che a Bergamo hanno fatto la storia.
Era una sala non grande, di forma quadrata, in precedenza usata come magazzino-deposito di macchinari e apparecchiature da una casa tedesca. Venne inaugurato il 27 agosto 1922, con il film di Rex Ingram I Quattro cavalieri dell’Apocalisse interpretato da Rodolfo Valentino, un grande successo dell’epoca.
Portato avanti con grande passione e intelligenza dall’ing. Arturo Scanzi, che ne era il proprietario, il Diana conobbe epoche di splendore (fu il primo, tra l’altro, a presentare il primo film sonoro-parlato e il primo film sonorizzato col sistema Movietone). Venne rinnovato negli anni Trenta e negli anni Sessanta e nel Dopoguerra divenne “Grande cinema Diana”.
Il Vittoria, nato dalla trasformazione della bottega di un sellaio, in piazza Santo Spirito era sorto il 23 luglio 1910 (2) col nome di Cinema Orobico e fu definitivamente chiuso nel 1927 (3). La piccola sala era sorta per iniziativa dell’avvocato Sebastiano Carnazzi (vicedirettore della Banca Popolare) e del notaio Renzo Carnazzi, che affidò la gestione del locale al figlio Nino (futuro famoso avvocato).
L’Olympia (futuro Capitol), era nato nel 1921 in via Torquato Tasso, ancora per iniziativa dell’avvocato Sebastiano Carnazzi e del notaio Renzo Carnazzi, affiancati da un socio, un certo Rossi, industriale della cera. Aveva l’esclusiva di importanti case americane (es. Fox e United Artists). Definito dai proprietari “il locale più signorile e famigliare della città”, disponeva di mille posti a sedere, un bel palcoscenico, un gruppo elettrogeno autonomo a petrolio e porte di sicurezza. In certe occasioni accoglieva anche spettacoli di varietà e persino opere liriche, preferibilmente del Settecento. Agiva un’orchestra fissa di sette elementi che, quando non suonava per il teatro, accompagnava la proiezione dei film. Fra gli ospiti di richiamo del teatro ci fu Anna Fougez, la splendente vedette del varietà, che però si esibì solo pochi giorni perché il primo dicembre 1923 il crollo della diga del Gleno bloccò tutti gli spettacoli.
Ceduto nel 1931 al Gruppo Leoni, l’Olympia divenne Cinema Italia, e solo in seguito Studio Capitol.
Un cinema senza nome, chiamato dalla gente “I topi grigi” aveva aperto i battenti nel 1926 in via Giovambattista Moroni. Era così nominato perché per mesi vi si proiettarono i film dell’omonima serie interpretati da Emilio Ghigne detto “Za la Mort”. La sala ebbe vita breve.
Il Cinematografo Roncalina, dal nome del proprietario, il cavalier Lino Roncalli, era stato aperto nei primi anni Venti. Era una piccola sala vicino all’Accademia Carrara e allo skating, la pista di pattinaggio a rotelle del tempo. Anche questa ebbe vita piuttosto breve.
Il Cinema Odeon (più tardi trasformato in Quill) fu inaugurato il 16 novembre 1931 con un film musicale, Amore gitano, interpretato da un famoso baritono americano, Lawrence Tibbet, una gran voce, potente e virtuosa.
Il raffinato e spazioso locale, di cui si scriveva fosse la sala cinematografica più elegante e à la page di Bergamo, era dotato di una cupola apribile per permettere il ricambio dell’aria (non dimentichiamo che nei cinema fu a lungo permesso fumare). Alla fine delle proiezioni sullo schermo si chiudeva un velario, come a teatro.
Vi venivano proiettati solo film di prima visione: tutti quelli americani, compresi i primi film a colori, le comiche di Stanlio e Ollio, Greta Garbo, Shirley Temple, le dive platinate fasciate negli abiti di lamé, gli eroi dell’epopea del West e tutto ciò che, arrivato da Hollywood, contribuì a creare il “sogno americano”.
Negli ultimi anni Venti (quelli degli ultimi colossi del muto), Ben Hur fece fare lunghissime code a centinaia di spettatori impazienti soprattutto di vedere la corsa delle bighe (peraltro presa di sana pianta dalla Messalina opera girata da Guzzoni nel 1923).
SUL FINIRE DEGLI ANNI TRENTA, L’ARRIVO DEL SONORO
Negli anni Trenta il cinema a Bergamo era lo spettacolo più seguito e in centro funzionavano regolarmente sei sale: il Diana in via Borfuro, l’Olympia in via T. Tasso (futuro Capitol), il Sant’Orsola nella via omonima, il Giuseppe Verdi nella via omonima (ex Acquarium e futuro Ritz), il Centrale sul Sentierone, l’Odeon in via Sant’Orsola (futuro Quill). Tra le sale rionali invece, il cine-teatro Augusteo, in via Anghinelli, Borgo Palazzo.
Le sale del centro aprivano tutti i giorni alle 14.30 e c’era la possibilità di accedervi in qualsiasi momento (una cattiva abitudine durata a lungo). I posti a sedere più comodi erano in fondo alla sala, dove la visione era più nitida; a metà stavano i secondi mentre i terzi avevano scomode seggiole collocate proprio davanti allo schermo (4).
Finalmente, dopo gli ultimi film del muto (Greta Garbo in Anna Karenina e Rodolfo Valentino nei panni del Figlio dello sceicco), verso la fine degli anni Venti vi fu anche a Bergamo l’esordio del cinema sonoro, allora chiamato ‘cinematografo parlato e cantato.
Secondo un vecchio articolo rinvenuto dalla scrivente, sicuramente tratto da un quotidiano locale (non datato, a firma f. col.), il primo film sonoro-parlato venne presentato al Diana nel 1929: Il cantante di jazz con Al Jolson, realizzato col sistema di registrazione su dischi Vitaphone (produzione Warner Bros del 1927); e fu ancora sullo schermo del Diana che apparve il primo film sonorizzato col sistema Movietone (registrazione del suono sulla pellicola stessa, ancora in uso per tutti gli anni Sessanta), Le luci di New York.
Il Diana negli anni Trenta divenne un cinema popolare, molto frequentato; vi si proiettava il “doppio programma”, cioè due film di cui uno solitamente era un western (allora chiamati sciopetì), seguiti quasi sempre dalla “comica finale” (con Ridolini, Harold Lloyd, Chaplin).
Il 3 ottobre 1930 davanti al Sant’Orsola c’era la coda per assistere alla proiezione di Vendetta d’Oriente, la prima produzione sonora della grande casa Metro Goldwin Mayer, in pubblicità presentato come “vero primo film sonoro”. La sonorizzazione fu molto apprezzata, grazie anche alla resa perfetta data dagli impianti Eufon (5).
Invece, il primo film sonoro di produzione e regia italiane distribuito nelle sale (La canzone dell’amore) a Bergamo fu proiettato il 7 dicembre successivo al Cinema Italia (futuro Capitol); il film meritò un articolo entusiasta su “La Voce di Bergamo”, nonostante inizialmente fosse osteggiato da una certa critica, che temeva il declino del teatro.
Con l’avvento del sonoro in città (in provincia arrivò molto più tardi), il cinema era ormai inarrestabile e nel giro di un anno tutti gli spettatori ne furono totalmente conquistati: all’inizio sembrava una magia, il pubblico non si capacitava di come quei personaggi potessero parlare o cantare come nella vita vera; c’era addirittura chi pensava che dietro lo schermo ci fossero attori a dare le voci.
Ermanno Comuzio annotava che specialmente nelle valli, il pubblico aveva l’abitudine di leggere in coro le didascalie pronunciandole ad alta voce e producendo effetti esilaranti; quando il pubblico non faceva in tempo a leggerle, le proteste costringevano a volte gli operatori a far tornare indietro la pellicola. In alcuni paesi della Valle Seriana, più di un locale istituì addirittura una signorina che leggesse le didascalie ad alta voce, mentre tutti gli altri dovevano osservare un religioso silenzio.
Tra i film di quegli anni – in cui furoreggiava Shirley Temple, la bambina dai riccioli d’oro – si ricordano in particolare quelli con Greta Garbo (Grand Hotel e Mata Hari), l’avventuroso L’isola del tesoro, King Kong (il primo film “fantascientifico”), Io sono un evaso, film americano molto realista.
Negli anni Trenta fu effettuato anche fu il primo esperimento di film stereoscopico, da guardare con occhiali rossi e verdi. La trovata suscitò scalpore ma poi non ebbe seguito.
Dopo il sonoro arrivò il colore. Scontato il successo de Il sentiero del pino solitario, con una lunga serie di “esterni”.
GLI ANNI DEL DOPOGUERRA
Fu subito dopo la seconda guerra mondiale che a Bergamo si cominciò a fare scorpacciate di film: nel 1947, nelle nove sale cittadine (quasi tutte dipendenti da direzioni di Milano) la media giornaliera di spettatori era su cifre alte, malgrado l’handicap – anche nell’immediato dopoguerra – dell’energia elettrica, che quando mancava costringeva a sospendere lo spettacolo (tranne al Diana, che trovò modo di funzionare con energia propria mediante l’installazione di gruppi elettrogeni che fornivano la necessaria energia alla cabina di proiezione).
Nel giugno del 1945 all’Odeon arrivò, sulla jeep degli Alleati, il primo, attesissimo film americano, Serenata a Vallechiara con la campionessa di pattinaggio Sonja Henie e l’indimenticabile motivo di Chattanooga-Choo-Choo eseguito dall’orchestra di Glenn Miller.
L’Odeon tentò poi di sopravvivere trasformandosi in Quill, ma non riuscì a evitare di finire nella strage dei cinema.
Fu proprio in questi anni che Il Diana modificò il nome in “Grande cinema Diana”, gareggiando con l’Odeon nella presentazione di ghiotte “prime visioni”. Nel gennaio del ‘47 diede fiato alle trombe per presentare Il figlio dello sceicco, l’ultimo film di Rodolfo Valentino, con una grande novità a vent’anni dalla morte dell’idolatrato attore: “Valentino parla! Gli hanno dato una voce calda, carezzevole, quale si addice a chi ama con temperamento virile, proprio della gente del Sud”. Il 27 febbraio successivo proiettò in prima visione Da quando te ne andasti, presentato, con manifesti ovunque, come “il gigante della cinematografia mondiale”, anche grazie ai sette assi hollywoodiani, Claudette Colbert, Jennifer Jones, Joseph Cotten, Shirley Temple, Marty Wooley, Lionel Barrymore e Robert Walzer (6). Altri “filmoni”, sempre al Diana, Figlio figlio mio! con Brian Aherne, Sangue e arena e Jess il bandito con Tyrone Power. Faceva pubblicità addirittura sulla rete nazionale della radio.
Il locale, rinnovato una prima volta nel 1937, venne rimesso completamente a nuovo nel 1963. Ma non riuscì a evitare la chiusura, avvenuta il 23 luglio 1979.
Le cronache ricordano in particolare un primo storico “pienone” di pubblico nel 1947 con Prigionieri del passato, film strappalacrime con Ronald Colman e Greer Garson; l’anno seguente fu la volta di Delitti senza castigo; tale e tanta la folla, che fracassò le vetrine del Cinema Centrale.
Le sale di Bergamo sul finire degli anni Quaranta erano indecorose, trascurate ed esageratamente affollate; l’areazione era insufficiente, le poltrone scomode e sgangherate. Erano contenitori senza stile, con le pareti screpolate. L’illuminazione era antiquata e gli impianti di legno, scricchiolanti ed antigienici. Lontane anni luce, insomma, dall’eleganza dell’Arlecchino di Milano o dalla raffinatezza del Fiamma di Roma.
Si salvavano solo il Nuovo e il Duse, che essendo più teatri che cinematografi, avevano le diverse esigenze dell’opera, dell’operetta, della rivista e della prosa (7).
LE SALE CINEMATOGRAFICHE NEI FAVOLOSI ANNI CINQUANTA
Fino a tutti gli anni Sessanta il cinema è stato a Bergamo lo spettacolo principe, il più diffuso e popolare; spesso agli ingressi si formavano le code, specialmente il sabato e la domenica invernali, e non di rado bisognava assistere a tutta la proiezione di un film restando in piedi.
Il pubblico frequentava numeroso le sale anche nei pomeriggi dei giorni feriali: si trattava soprattutto di studenti (per i quali il Sant’Orsola offriva spettacoli anche al mattino), turnisti in attesa dell’orario di lavoro, disoccupati, buontemponi, signore e signorine e – a metà prezzo – militari e ragazzi.
Sopra la cassa campeggiavano le scritte luminose che annunciavano il primo tempo, l’intervallo, il secondo tempo e l’attualità” (cinegiornale e i provini delle prossime programmazioni).
E quando ormai stava nascendo la tivù (gennaio del 1954), il cinema le studiò tutte per scongiurare il pericolo; ed ecco il cinerama (con lo schermo ingrandito anche più di dieci volte), l’esperimento del 3D, il cinema a tre dimensioni (con speciali occhialini distribuiti alla cassa), diavolerie come il cinema odoroso (Polyester all’Italia nel 1981) e il sensurround (Terremoto, con le poltrone che vibravano), ma soprattutto il cinemascope con il suono stereofonico: una delle più importanti invenzioni del cinema, la prima di una serie che è arrivata ai nostri giorni.
Si può quindi affermare che il 1953 sia stato l’ultimo anno dell’era non televisiva, l’ultim del cinema puro, senza condizionamenti. Il critico Mario Guidorizzi, forse con un pizzico di paradosso, nel saggio introduttivo del suo Hollywood afferma proprio che il cinema finisce nel 1953. Vale la pena ricordare i cinque titoli finalisti per gli Oscar di quell’anno: Da qui all’eternità (vincitore), Giulio Cesare, Il cavaliere della valle solitaria, Vacanze romane e, appunto, La tunica. Se era la fine di un’epoca, era uno splendido canto del cigno.
Nei primi anni Cinquanta fu completamente rinnovato il Centrale, locale che, non a torto, ha sempre avuto pretese di eleganza. L’architetto Nestorio Sacchi scrisse di “quella sala che eravamo abituati a vedere con le sue rose di lampadine al soffitto, ricordo di uno stile decorativo passato da trent’anni. In particolare l’arch. Pinetti ha trasformato l’atrio e il vaso, conferendo loro un aspetto coerente con i moderni criteri estetici e chiamando a dare la loro opera, nella parte decorativa, due artisti dotati come Domenico Rossi ed Erminio Maffioletti”.
Ci fu tra l’altro un periodo, in quegli anni Cinquanta, in cui il Centrale, nelle sere estive, proiettava i “prossimamente” dei film direttamente sul Sentierone su un maxischermo piazzato sulla balconata soprastante il Quadriportico; e il Grand Hotel Moderno allietava i clienti del suo ristorante, accomodati per la cena sul piazzale adiacente, con la proiezione di cartoni animati: era la Bergamo by night – completamente dimenticata alla fine del Novecento -, con i teatri, i cinema, i numerosi bar sul Sentierone (il Moka Efti con l’orchestrina swing) che con le loro insegne luminose e i cartelloni pubblicitari mandavano luce, colore, allegria su tutto il centro cittadino.
Alla fine degli spettacoli al teatro Donizetti, fosse anche mezzanotte, c’erano i servizi dell’Azienda tranviaria che accompagnavano a casa gli spettatori; pochissime le automobili. Nei borghi circolavano ancora di meno e si poteva tranquillamente giocare in mezzo alla strada.
Città, Bergamo negli anni Cinquanta, che si piccava di essere “scenograficamente elegante”.
In quei tempi c’erano a Bergamo tredici cinematografi di Prima e di Seconda visione ed erano per lo più nella zona del centro, tenendo conto che nel ‘53 fu inaugurato l’Astra in via Sant’Orsola e tra il 1952 e il 1955 fu realizzato il complesso di edifici di piazza della Repubblica, destinato ad ospitare, nonostante la grande crisi annunciata alle porte, ben due sale cinematografiche: il San Marco e l’Arlecchino: i mitici anni di queste due sale furono anche gli anni del Cinema Apollo, sorto nel 1971 sulle ceneri del Teatro Duse.
IL CINEMA ASTRA
Nel 1953 fu inaugurato l’Astra, l’ultimo della serie di via Sant’Orsola. In quel periodo, la marcia delle sale cinematografiche di Bergamo sembrava inarrestabile.
La vasta sala dell’Astra era stata ricavata ingegnosamente in uno spazio che non si sarebbe stimato sufficiente ad accoglierla; con la sua ampia balconata, dava una sensazione di grandiosità, facilitata anche dal confronto con l’angustia della strada in cui il cinema era ubicato. E l’ampio ingresso, con il bar contiguo, formava nella via un complesso vivace e interessante (8). Venne sottoposto a rilevanti lavori di ammodernamento nel 1973.
IL SAN MARCO E L’ARLECCHINO
Tra il 1952 e il 1955 fu realizzato il complesso di edifici di piazza della Repubblica, progettato e costruito dagli architetti Nestorio Sacchi ed Enrico Sesti, destinato a ospitare ben due sale cinematografiche, il San Marco e l’Arlecchino, oltre che d appartamenti, uffici e un albergo, oggi denominato Hotel Excelsior San Marco.
Le due sale furono realizzate l’una sopra l’altra: solo platea per l’Arlecchino (capace di ospitare 500 posti), platea e galleria per il San Marco (capace di ospitare 1150 posti), nonché un unico atrio d’ingresso. Più tardi, nel 1971, verrà realizzato il Cinema Apollo, sulle ceneri del Teatro Duse.
Fin da subito, il San Marco e l’Arlecchino furono considerati i cinema più chic di Bergamo, data anche la nota artistica degli affreschi dei soffitti e dell’atrio d’ingresso – opera di Elia Ajolfi – e degli affreschi a stucco lucido realizzati da Achille Funi, Erminio Maffioletti e Silvio Rossi lungo la tromba delle scale di accesso al San Marco, il tutto impreziosito dalla profusione di velluti rossi nella sala.
Mentre l’Arlecchino disponeva anche di un piccolo palcoscenico (in spettacoli di prosa vi recitarono anche Andreina Pagnani, Olga Villi, Paolo Ferrari, Mario Scaccia, Lydia Alfonsi, Walter Chiari, Piero Mazzarella), è del San Marco che le descrizioni si sprecano.
Progettato dall’architetto Enrico Sesti, poteva ospitare fino a 1150 persone nella platea e nell’ampia galleria; Sesti concepì la sala “con larghezza di vedute e con tale signorilità da fare onore a Bergamo”, risolvendo “il complesso tema con una chiarezza pianistica e una linearità strutturale esemplari”.
Il San Marco era dotato dei più moderni impianti e fu costruito secondo i più recenti accorgimenti della tecnica; la sua resa acustica era ottima, grazie all’uso di speciali materiali fonoassorbenti.
La sera dell’inaugurazione del San Marco, il poeta Alfonso Gatto tenne una brillante conferenza per introdurre il film Europa 51 di Roberto Rossellini: “Prima di venire a Bergamo mi hanno detto: “Fa da angelo custode a una Musa così giovane, il cinema, mostrale i giardini del Tasso, accompagnala come un innamorato per le strade di Città Alta, ricordale che qui, in questa città carica di segrete armonie, eppure aperta ai traffici della vita, l’arte ci sta bene di casa, sempre fra amici fedeli e discreti”.
Al San Marco le “maschere” si aggiravano per la sala con livree bordate di galloni d’oro e guanti bianchi, e nelle serate di gala, per gli uomini era di rigore lo smoking mentre per le signore, gli abiti di firma.
Raccontava un’ex cassiera del San Marco che alle prime, cui seguivano sempre i favolosi rinfreschi del Bar Borsa, si assisteva solo su invito e si facevano carte false pur di non mancare.
Negli altri giorni il boom era il sabato e la domenica, quando si staccavano anche quattromila biglietti al giorno. Comunque si lavorava anche nelle altre giornate, dalle 14 fino a mezzanotte ininterrottamente. Andare al cinema al pomeriggio, in quegli anni, era una consuetudine per molti.
Alain Delon e la sua troupe utilizzarono più volte la sala del San Marco per proiettare e giudicare gli spezzoni girati poche ore prima (9).
Il gestore di queste due bellissime sale era il romano (ma residente a Milano) Giuseppe Spiaggia. Figura di spicco dal tratto signorile e brillante, fu per molti anni presidente dell’Agis lombarda, e tra Milano, Bergamo e altre città della Lombardia, a un certo punto giunse ad avere in gestione oltre venticinque sale cinematografiche.
A Bergamo, dopo qualche anno, aggiunse al San Marco e all’Arlecchino il Cinema Teatro Nuovo – che spinse la proprietà a rinnovare nell’intera sua struttura, attraverso l’incarico dato all’architetto Alziro Bergonzo, di cui era amico – e, più o meno nello stesso tempo, acquistò la proprietà del Cinema Teatro Enal di via G.M. Scotti (dove c’era la vecchia Mutua), cui attribuì il nome di Cinema Ariston, divenuto poi, nel ricordo del giovanissimo figlio Alessandro, morto in moto sul circuito di Vallelunga, Cinema Alexander. Giuseppe Spiaggia morì ancora relativamente giovane, agli inizi degli anni Ottanta e ad esso succedette l’altro figlio Lamberto, cui spettò la triste incombenza di chiudere le varie sale del gruppi familiare ormai travolte da una crisi inarrestabile.
LA RISTRUTTURAZIONE DELLE SALE NEGLI ANNI SESSANTA
E’ stato soprattutto negli anni Sessanta che a Bergamo si è provveduto alle trasformazioni e alle ristrutturazioni delle sale cinematografiche. Il successo della televisione – e, per contro, i primi scricchiolii del “terremoto” che avrebbe travolto il cinema -, aveva reso non più procrastinabile il riammodernamento e l’abbellimento delle sale, che vennero “dotate di impianti perfezionati e rifornite di film selezionati con maggior cura”. Il cliente – facevano notare le cronache locali a metà degli anni Sessanta -, andava conquistato “…con spettacoli consistenti e acconciamente presentati”. Altrimenti sarebbe rimasto a casa a vedere la televisione che, bene o male, propinava tutte le sere “uno spettacolino” e per giunta gratis (32 lire contro le 500-600 che occorrevano in media per recarsi al cinema).
Tra la fine dei Sessanta e l’inizio dei Settanta in città si contavano ben quindici cinematografi che tutti i giorni aprivano alle 14 offrendo spettacoli continuati (l’ultimo film veniva proiettato alle 22.30, ma ci fu un periodo con proiezioni anche dopo la mezzanotte).
Il Diana venne rimesso completamente a nuovo nel 1963 e intorno al ’68 il Sant’Orsola fu ristrutturato per essere rinominato Delle Arti.
1971: SULLE CENERI DEL “DUSE” NASCE IL CINEMA APOLLO
A Bergamo come altrove, parecchie sale avevano la “A” come iniziale (Ariston, Astra, Arlecchino…), perché ogni cinema cercava di stare in cima alla lista per accalappiare gli spettatori più impazienti nella lettura sui giornali dei tamburini (gli annunci dei cinema). E anche l’Apollo non fu da meno.
Ultimo cinema ad essere realizzato, nel 1971, l’Apollo era sorto sulle ceneri del glorioso Teatro Duse, ma a pochi passi di distanza, in via Piccinini.
Si trovava nel seminterrato dell’edificio in stile brutalista progettato in luogo del teatro, e quando venne inaugurato, i bergamaschi si stupirono non poco perché per accedervi si doveva scendere una scala; perché, come informava il “Giornale di Bergamo”, “questo nuovo cinema è dotato di un allestimento fra i più funzionali e tecnicamente avanzati”; perché, pur essendo sotterraneo, aveva sia la platea che la galleria. Inoltre tra una fila e l’altra delle poltrone c’era abbondante spazio e la visibilità era perfetta in ogni ordine di posti. Infine il locale era dotato di un modernissimo impianto di ventilazione e di condizionamento”. Secondo la pubblicità, questo era il cinema più moderno d’Italia. Ampio e molto frequentato.
Nel 1973 l’Astra venne sottoposto a rilevanti lavori di ammodernamento su progetto dell’architetto Oscar della Torre. Venne tra l’altro abbassato il soffitto di un metro e quando fu riaperto al pubblico, la pubblicità sui due quotidiani cittadini affermava che si trattava della più moderna sala cinematografica di Bergamo.
Da notare che, tra gli anni Settanta e gli Ottanta, a livello nazionale, Bergamo aveva la percentuale più alta di spettatori in rapporto alla popolazione e i cinema costituivano ancora una voce importante del tempo libero e della vita culturale cittadina. Negli anni Settanta il biglietto d’ingresso costava 500 lire, per aumentare negli anni Ottanta. Tra l’altro, fino al 1975 nelle sale era ancora permesso fumare.
LA CHIUSURA DEI CINEMATOGRAFI
Alla fine degli anni Sessanta s’incominciarono a intravvedere le prime crepe che avrebbero portato a quella lenta ma inesorabile crisi delle sale cinematografiche, culminata nel crollo degli anni Novanta e protrattasi sino agli inizi del nuovo millennio. Le cause? Diverse: l’avvento della televisione e di svaghi alternativi e, a seguire, la vendita di videocassette, la concorrenza delle multisala, dello streaming e dei download, per non parlare della difficoltà di parcheggiare in centro, dove si concentravano tutti i cinema.
Anche se tra gli anni Settanta e gli Ottanta in città si potevano ancora contare una quindicina di sale (al netto di quelle parrocchiali), i cinema cominciarono a cadere uno dopo l’altro come birilli: il Sant’Orsola nel 1968, l’Odeon nel 1973, il Diana e l’Ariston (poi Alexander) nel 1979, il Delle Arti e l’Excelsior nel 1980, il Quill nel 1983. Infine l’Astra, il Centrale e l’Apollo.
Il Capitol di via Torquato Tasso era – ed è – ancora attivo (come non ricordare Blade Runner, Il Tempo delle Mele con Sophie Marceau e Noi i Ragazzi dello Zoo di Berlino, con la musica di David Bowie).
Aveva ormai i giorni contati il cinema di via Verdi che aveva esordito come Acquarium (il Ritz, per intenderci), negli ultimi tempi divenuto un santuario a oltranza del porno, dopo che, negli anni Ottanta, l’altro locale a luci rosse della zona, il Nuovo, aveva cambiato indirizzo. Pare tra l’altro che la demolizione della “storica” palazzina – oggi occupata da una banca – fosse nei piani all’alba del terzo millennio.
Ricordare le sale scomparse “è come recarsi al cimitero della memoria, una Spoon River della celluloide” (11).
Inaugurato nel 1926, il Sant’Orsola, quasi all’ingresso dell’omonima via, fu definitivamente chiuso il 2 giugno 1968 lasciando il posto, ristrutturato, al Delle Arti, demolito nel 1980 con tutto l’edificio che lo ospitava.
Il ‘68 fu pure l’anno della chiusura del Teatro Duse, che da tempo funzionava anche da cinematografo. Come già osservato, venne demolito per dare spazio a un edificio in stile brutalista, all’interno del quale, sorse, nel ‘71, il Cinema Apollo.
Nel 1973 fu l’Odeon di via Sant’Orsola a chiudere. Si trovava di fronte all’Astra, ma nonostante la vicinanza le sale di entrambi erano sempre gremite. Aveva una grande capienza e vantava ottime proiezioni, ma col tempo aveva perso lo smalto fino a ridursi a cinema pornografico. Chiusi i battenti, venne ribattezzato Quill, in omaggio alla moda anglofona. Il Quill chiuse i battenti nel 1983 e il palazzo che lo ospitava fu demolito.
Poi fu la volta del Centrale, che si trovava all’angolo del Quadriportico del Sentierone, accanto al Caffè Nazionale. Chiuse i battenti per sempre nell’estate del 1997 e fu salutato come il cinema più antico (era stato ristrutturato nella sua originaria struttura) che ancora resisteva a Bergamo.
La sua chiusura, preludio alla grande crisi che travagliava il cinema, segnò il tramonto di un’epoca.
Il Diana, in via Borfuro e l’Ariston, in via Gianmaria Scotti (poi divenuto Cinema Alexander), chiusero i battenti nel 1979. Quest’ultimo dava le Seconde e Terze Visioni; al suo posto fu realizzato il parcheggio del condominio attiguo.
Il glorioso Diana, il primo in cui vi era stato l’esordio del sonoro a Bergamo, era negli ultimi tempi notevolmente decaduto, specializzandosi in Seconde e Terze Visioni nonché in repliche (vi si riuscivano comunque a vedere film d’autore che – come allora capitava – mischiavano arte e sesso, come Ultimo tango a Parigi, proiettato prima che la censura lo mandasse al rogo). Chiuse i battenti il 23 luglio 1979 (12).
Nel 1980 chiusero il Delle Arti (ex Cinema Sant’Orsola, nella via omonima) e l’Excelsior, mentre nell’83, sempre in via Sant’Orsola chiuse il Quill (ex Odeon).
Nel 1986 scomparve anche lo storico cine-teatro Rubini, per lasciare il posto a un Centro Congressi. Nato come teatro e cinematografo, negli ultimi decenni diede film di Seconda visione, mantenendo pur sempre la fama di “cattedrale” del cinema. Con il nome di Rubini 2000 (1974) era divenuto frequentatissimo negli anni ‘70 anche per una serie di importanti concerti rock e pop. Ancor oggi il Cinema Rubini è rimasto nell’immaginario collettivo della città
Altra “cattedrale” che non riuscì a sottrarsi alla chiusura era l’Astra, l’ultimo della serie di via Sant’Orsola, ribattezzata “la via dei cinema”. Localone in stile anni Sessanta, si trovava a metà della via, all’altezza dei portici. La ristrutturazione aveva fatto scomparire il gigantesco atrio d’ingresso col pavimento di marmo, chiuso in fondo dalle lunghissime vetrate che accoglievano frotte di spettatori. Fino agli anni Settanta era l’unico cinema con il bar nell’ingresso. In quegli anni, alcuni ragazzi riuscivano ad entrarvi di straforo, utilizzando una porta di emergenza che dava su un cortile di via XX Settembre, che veniva aperta dall’interno dall’unico del gruppo che aveva pagato il biglietto.
All’alba del terzo millennio sopravvivevano, nel centro di Bergamo, solo due sale cinematografiche: il Capitol in via Tasso (ex Cinema Italia fino agli anni Sessanta) e il San Marco (l’Arlecchino era già stato smantellato e il suo spazio destinato a un’altra attività).
In più c’erano tre sale rionali: Alba, Del Borgo, Conca Verde. Ormai gli spettacoli erano ridotti all’osso.
L’Alba a Valtesse, in Via Biava, proponeva film di qualità, pochi campioni d’incassi e invece pellicole ricercate e per intenditori. Cercò di rifarsi il look cambiando anche nome e diventando Blob House ma alla fine non resse l’urto delle multisale e chiuse definitivamente nel giugno 2011.
Ai primi di marzo del 2020 i proprietari del San Marco, da qualche tempo ridotto ad una piccola e anonima e sala, ne hanno annunciato la chiusura definitiva. “Il gestore, Michele Nolli, nipote del Piercarlo che tutti i cinefili bergamaschi ricordano con affetto, aveva pensato, con la collaborazione del Meeting, a una chiusura alla grande. Magari con una proiezione di Arancia meccanica alla presenza di Malcolm McDowell, ospite d’onore del Bfm. Invece il destino (e l’emergenza Covid 19) hanno mandato tutto all’aria” (13).
Il San Marco se n’è andato così in silenzio, senza il gran finale, nei giorni segnati dall’emergenza per il Coronavirus e negli stessi giorni in cui anche lo storico negozio di abbigliamento Petronio, sotto i portici tra le vie Petrarca e Locatelli, avviava una liquidazione totale, in vista della chiusura dopo 66 anni della storica attività che aveva ospitato nei suoi camerini migliaia di clienti, sempre con un occhio alla moda e l’altro al classico e all’eleganza.
Infine l’Apollo, la sala più “giovane” della città, che chiuse definitivamente nel 2005 – l’annus horribilis per i cinema di Bergamo –, diventando un parcheggio dopo anni di degrado. E pensare che a suo tempo, era stato definito “il cinema più moderno d’Italia”.
LE ULTIME (POCHE) “RESISTENZE”
Come segnalato anche dai giornali locali, resistono al passare del tempo il Capitol in via Tasso – che alla fine del Novecento aveva aperto anche un’altra sala, sempre puntando su pellicole di qualità, con una programmazione più incentrata sui film di nicchia – e il Conca Verde, nel quartiere di Longuelo.
Il Conca Verde di Longuelo è sopravvissuto allo tsunami dell’attualità ipertecnologica, con due sale, una gigante usata anche per eventi vari e una più piccola e raccolta. La qualità delle pellicole è ottima e vengono proposte diverse rassegne.
L’Auditorium in Piazza della Libertà, sempre legato alla coraggiosamente attiva associazione cinefila Lab80, può contare sulla sua super sala, perfetta anche come teatro.
Del Borgo in Piazza Sant’Anna, che trasmette anche pellicole ricercati ed organizza rassegne.
L’ERA DELLE MULTISALA
Le multisala cominciarono a spopolare nell’hinterland, in nuove strutture dotate di ampi parcheggi, come a Curno, dove nel 1999 sorse la più grande multisala della Bergamasca, aperta dalla Uci-Paramount Universal Company: un complesso di seimila metri quadrati (costato trenta miliardi e costruito in sei mesi) con nove sale per duemilacinquecento spettatori (di cui la più grande, in grado di ospitarne 433), spazi ricreativi, snack bar, pizzeria e un ristorante-tavola calda sormontato da una gigantesca e scenografica cupola a vetri. Il tutto allo scopo di offrire un intrattenimento “a largo raggio”, che funzionasse da attrattiva per i clienti, avvantaggiati dalla possibilità di prenotare il biglietto per telefono, di assistere alle proiezioni seduti in poltrone ergonomiche distribuite in file ben distanziate; di potersi gustare un film proiettato su schermi giganti (venti metri il più grande), adattati ai vari tipi di pellicola grazie a sistemi computerizzati, oltre che fruire di ben tre sistemi sonori ultrasofisticati.
Alla vigilia dell’inaugurazione, “Bergamo 15” faceva comunque notare che il megacinema avrebbe posto in particolare il grosso problema dovuto all’alto numero di autovetture che si sarebbero – almeno potenzialmente – riversate ogni giorno sulle strade già superaffollate della zona, dal pomeriggio fin dopo la mezzanotte (14).
Con l’arrivo del 2025 anche l’Uci ha deciso di chiudere a causa della sempre più scarsa affluenza di pubblico, unitamente agli elevati costi di gestione. Le ultime proiezioni sono programmate tra la fine del 2024 e il 10 gennaio 2025.
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Altre e più circostanziate notizie sulle prime sale cinematografiche bergamasche possono essere attinte da una serie di articoli pubblicati da Ermanno Comuzio sul “Giornale di Bergamo” fra il 1970 e il 1971: lo studio, notevole per l’amore e la documentazione, meriterebbe di essere organicamente riunito in volume.
Note
(1) Ermanno Comuzio per il “Giornale di Bergamo” del 23 luglio 1962.
(2) Comuzio riporta, come data d’inaugurazione, il 1911 (“Bergamo-oggi” del 22 giugno 1986).
(3) Ermanno Comuzio per “Bergamo-oggi” del 22 giugno 1986.
(4) Franco Colombo per “L’Eco di Bergamo” del 12 agosto 1997.
(5) “L’Eco di Bergamo”, 4 ottobre 1930.
(6) “Il film, secondo la pubblicità, aveva stabilito diversi record mondiali durante la lavorazione per aver impiegato contemporaneamente duecento riflettori; per i centoventisette giorni per girare le varie scene; per le trecento pagine di copione e una ‘pizza’ di centoventisette chili per una proiezione di due ore e mezza; per le cinquemilatrentacinque comparse” (Pilade Frattini e Renato Ravanelli, “Il Novecento a Bergamo – Cronache di un secolo”. A cura di Ornella Bramani – Vol. II. UTET. Anno 2013).
(7) Ermanno Bersani per “La Rivista di Bergamo”, novembre-dicembre 1949.
(8) Nestorio Sacchi per “La Rivista di Bergamo”, in Pilade Frattini e Renato Ravanelli, “Il Novecento a Bergamo. Ibidem.
(9) Dai ricordi di Rosanna Boggi, una delle cassiere del S. Marco, in Pilade Frattini e Renato Ravanelli, “Il Novecento a Bergamo. Ibidem.
(10) Corriere della sera, 7 marzo 2020. “Bergamo, c’era una volta il cinema: viaggio tra le sale scomparse”. Di Davide Ferrario.
(11) Corriere della sera, 7 marzo 2020. “Bergamo, c’era una volta il cinema: viaggio tra le sale scomparse”. Di Davide Ferrario.
(12) “Al momento della chiusura era gestito dall’Eci (Esercizi cinematografici italiani) – ente sorto dalla liquidazione dell’Enic, circuito statale di sale cinematografiche – unitamente al cinema Centrale (in odore di imminente chiusura), il Diana era passato da poco, come tutta la catena dell’Eci, una sessantina di sale in tutta Italia, in proprietà dell’antica casa francese Gaumont, che ha creato la sua filiale italiana, la Gaumont-Italia, direttore Renzo Rossellini. L’Eci era sull’orlo del fallimento (si parla di dieci milioni di deficit). Evidentemente anche la Gaumont – un colosso dell’esercizio nonché della produzione e della distribuzione di film – sta ridimensionando il numero delle sale che conviene tenere. Si dice che la nuova proprietaria dell’Eci intenda conservare soltanto le sale più produttive, cioè quelle delle grandi città, sacrificando le più piccole, cioè quelle della provincia” (articolo tratto da un quotidiano locale, non datato, a firma f. col.).
(13) Corriere della sera, 7 marzo 2020. “Bergamo, c’era una volta il cinema: viaggio tra le sale scomparse”. Di Davide Ferrario.
(14) “Bergamo 15”, 30 novembre 1999.
Riferimenti principali
In primis: Pilade Frattini e Renato Ravanelli, “Il Novecento a Bergamo – Cronache di un secolo”. A cura di Ornella Bramani – Vol. II. UTET. Anno 2013.
Corriere della sera, 7 marzo 2020. “Bergamo, c’era una volta il cinema: viaggio tra le sale scomparse”. Di Davide Ferrario
L’Eco di bg 6 mag 2021. “La nostalgia senza tempo dei cinema a Bergamo negli Anni Ottanta”.
Ultima modifica: 01/12/2024