Sul Sentierone alla vecchia Fiera, tra il “Nazionale” ed altri Caffè

Il Sentierone con i suoi famosi “Caffè”, nel 1914

Verso la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento, nei locali della Fiera che si affacciavano su Sentierone fiorivano quattro splendenti caffè-ristoranti: il Gambrinus, verso la chiesa di San Bartolomeo, punto di ritrovo dei giornalisti e dei tifosi di sport: calcio e soprattutto ciclismo;  il Centrale, all’ingresso della Fiera, frequentato da professionisti ed impiegati e più tardi trasformato in Cinema Centrale; il Bramati, ritrovo preferito di alcuni giornalisti, frequentato da pensionati e da studenti e sede di dibattiti e comizi politici. Ultimo, ma non ultimo, il Nazionale, presso il torresino che guardava verso Porta Nuova, più o meno nella stessa posizione in cui si trova l’attuale: era frequentato dalla gioventù “bene” e grazie al vulcanico Pilade Frattini divenne il centro della vita mondana della città, o meglio, il simbolo della Belle Époque in salsa orobica.

Quattro torri angolari delimitavano i lati dell’ ”insigne fabrica” della Fiera. Erano rozze, basse, tutt’altro che slanciate: perciò venivano chiamate “torresini”. Nei due torresini prospicienti l’Ospedale di San Marco (di cui oggi resta solo la chiesa) avevano le loro sedi il Tribunale della Sanità e i Conservatori della Fiera. Nel torresino che dava verso il portello delle Grazie (in fotografia) erano gli uffici delle Vettovaglie: qui sorgeva il caffè Nazionale. Il torresino vicino alla chiesa di San Bartolomeo, ospitava il Tribunale della Giustizia: accanto sorgeva il caffè Gambrinus e, nel mezzo, il Bramati ed il Centrale (chiuso nel 1914 per dare spazio al Cinema Centrale)

IL CAFFE’ GAMBRINUS

Presso il torresino della Giustizia, e proprio tra le ultime botteghe affacciate sul Sentierone, era il Gambrinus, vicino alla chiesa di San Bartolomeo. Caffè alla moda e punto di ritrovo dei giornalisti, era frequentatissimo dai commercianti ma soprattutto dei tifosi di sport: durante le corse di ciclismo, il Gambrinus era il centro delle informazioni sull’andamento delle competizioni.

Il Gambrinus, presso la Fiera

Fra i giornalisti, alcuni si salutavano fraternamente, altri si guardavano in cagnesco dopo essersi lanciati accuse ed insulti sulle colonne dei rispettivi  giornali. Tra i tifosi di sport invece, il più appassionato era certamente il Gamba, il suo eroe era Enrico Brusoni, allora campione italiano del ciclismo su strada.  

Il Sentierone nel 1914, nei pressi del Gambrinus. Tramanda il Pelandi che il Gambrinus era condotto prima del 1900 da Aristide Mangili, a cui seguì Gamba e più tardi Aroldo Carini, venuto dalla “Cervetta” e poi passato al caffè del Teatro Donizetti, Tra i giornalisti del Gambrinus, Giulio Pavoni, Franco Armando Tasca, Massinari,  Parmenio Bettòli, Carlo Zumbini, Adobati, salumiere con negozio in viale Roma e corrispondente a tempo perso del “Secolo”, quotidiano radicale milanese (1)

Ma questo caffè  era soprattutto rinomato per le battute umoristiche che partivano dal cosiddetto tavolo degli aristocratici, attorno al quale convenivano verso sera l’avvocato Giuseppe Brignoli, il dottor Francesco Negrisoli, il giornalista-scrittore Giovanni Banfi, lo scultore Alfredo Faino, che non era ancora partito per la Francia e che aveva il domicilio in Fiera.

La tavola del Gambrinus era la calamita di quei clienti che cercavano l’allegria come aperitivo all’ora del pranzo. La sorgente del buon umore partiva dalla triade Banfi, Faino Brignoli, quest’ultimo umorista più unico che raro.

Lo scultore Alfredo Faino in posa nel suo studio durante la realizzazione della imponente statua della Vittoria da collocare nella Torre dei Caduti (Archivio fotografico – Fondazione Bergamo nella Storia)

 

Il caravaggino Giovanni Banfi, autore dei noti “Racconti della Bassa”, negli anni intorno al 1907 scriveva per la “Gazzetta della Provincia” (di cui diventerà direttore), che si stampava presso Ia tipografia Isnenghi, la quale aveva l’officina in via Verdi, dove sorse il cinema “Mignon” poi divenuto Ritz (nella foto). Banfi, che dedicava notevole spazio alla critica teatrale, è ricordato da Umberto Zanetti come elegante e inappuntabile, col guanto penzolante, le ghette, il bastoncino da passeggio con il pomolo d’argento e la cravatta all’ultima moda. Con Faino e Vincenzo Monetti “formava un trio spensierato di scanzonati bohémiens”. Banfi è scomparso nel 1959

Nella bella stagione aleggiava lungo il Sentierone il suono delle orchestrine che si esibivano all’aperto per i clienti dei Caffè. Si udivano i valzer viennesi di Strauss e quelli parigini di Waldteufel, la napoletana “Santa Lucia” e il “Sogno” di Schumann, le melodie della “Vedova allegra” di Franz Lehar, le note della celebre barcaiola di Offenbach; in certe sere domenicali si potevano ascoltare un tenore o un soprano intonare raffinate melodie, oppure un bravo violinista creare atmosfere piene di magia.  Il blues, il dixieland e i ritmi sincopati erano ancora di là da venire (2).

I componenti di questi complessi musicali erano giovani professionisti diplomati, che avevano alle spalle anni di studi rigorosi e che tuttavia non disdegnavano di suonare nei café chantant o nelle sale cinematografiche quando si chiudevano i sipari sulle ultime rappresentazioni delle varie stagioni operistiche cittadine (quella di carnevale al Nuovo, quella di mezza quaresima al Sociale e quella di Fiera al Donizetti). Tra questi suonatori, Oreste Tiraboschi (che dal 1913 faceva parte dell’orchestra “Gaetano Donizetti” diretta dal maestro Achille Bedini), che aprì più tardi un negozio di strumenti musicali. Renzo Avogadri (Rasghì), celebre componente del Ducato di Piazza Pontida, era al violino. 

IL CAFFE’-RISTORANTE CENTRALE

Il Centrale seguiva al Gambrinus. Caffè-ristorante di buona nomea, era frequentato da numerosi professionisti e da impiegati di concetto, che qui convenivano coi gruppi familiari per “ciacole” serali e per combinare lunghe partite a scopa, partite di “famiglia” che duravano fino alla chiusura dell’esercizio.

La Fiera nel 1908

Ma un giorno del 1914 il Caffè Centrale, condotto da Bernardo Speranza e da Giuseppe Tiraboschi detto Dindo, cessò la sua attività. Nel locale, opportunamente riattato, il 15 agosto iniziarono le proiezioni del Cinema Centrale, diretto da Pietro Airoldi, lo stesso gestore del Cinema Salone Radium, il primo cinematografo di Bergamo. Dopo aver dato – fra l’altro – alcuni “numeri” di varietà, tutti sboccatucci e licenziosetti, il Centrale, acquisito da Giulio Consonno, ridimensionò i richiami erotici e dirottò la programmazione verso il repertorio poliziesco. Giulio Consonno darà nuovo spazio agli spettacoli di varietà prima rilevando il Teatro Nuovo e poi edificando il Teatro Duse.

Quando la vecchia Fiera verrà demolita e sorgerà il nuovo centro di Bergamo, il Cinema Centrale sopravviverà all’angolo del Quadriportico del Sentierone.

Il Cinema Centrale, nel nuovo centro piacentiniano, prima della ristrutturazione (per gentile concessione di Antonella Ripamonti). Il primitivo Cinema Centrale (quello nella vecchia Fiera) iniziò le proiezioni il 15 agosto 1914. “Fra una pellicola e l’altra si arrotola il lenzuolo dello schermo e si diverte il pubblico con scenette comiche, balletti e altri “numeri” di varietà, tutti sboccatucci e licenziosetti. I rampolli della “Bergamo bene” accorrono a frotte e sperperano i loro centesimi nella nuova sala, che i genitori scandalizzati definiscono “uccellanda diabolica”. A sera, quando gli uccellini irretiti si degnano di rincasare, odono compunti i brontolamenti materni e subiscono contriti le severe lavate di capo dei padri infuriati  (Umberto Zanetti, “Bergamo d’una volta”, cit. in Riferimenti)

IL CAFFE’ BRAMATI

Il Caffè Bramati si apriva dopo il cancello della seconda tresanda. Il proprietario era il signor Camillo, un ometto sempre serio, dignitoso, con un berretto di seta nera con visiera in testa e leggermente claudicante. Di lui il Pelandi ricordava  (anche) i gustosi spuntini: prosciutto cotto alto un dito, innaffiato da un certo vinello frizzante, al prezzo di una lira, mancia compresa.

Caffè Bramati, “bigliardi, birreria”

Il “Bramati” era il ritrovo preferito di alcuni giornalisti di quel tempo e fra essi, Carlo Zumbini, il direttore della “Gazzetta Provinciale”, il battagliero competitore di Parmenio Bettòli, allora direttore-proprietario-fondatore della “Nuova Gazzetta”. La “Provinciale” parteggiava per il partito moderato conservatore, l’altra doveva essere l’organo del partito monarchico liberale. La lotta fra i due giornali, o meglio fra i due giornalisti, fu decisa, aspra, senza quartiere. Altro habitué era Francesco Scarpelli, che dirigeva il “Giornale di Bergamo” ma fu costretto a lasciare la nostra città perché inviso ai fascisti.  

Vicino al “Bramati” aveva sede il “Club di ricreazione” sorto dopo la chiusura del “Casino dei Nobili”, già funzionante al primo piano della casa Goggi in via XX Settembre e come esso svolgente, in tono più modesto, le stesse finalità. Casa Goggi, ritrovo soprattutto delle famiglie degli impiegati statali, faceva parte di uno stabile acquistato nel 1882 da Grazioso Goggi, dove si trovava anche lo storico negozio Goggi (a destra della foto), che era preceduto dalla altrettanto storica Libreria Conti. Grazioso Goggi aveva creato, oltre alla facciata, un libero passaggio pedonale comunicante con via Zambonate, all’interno del quale esponeva le sue merci

IL CAFFE’ NAZIONALE

Di tutti, il Nazionale era il più rinomato. Il caffè ristorante occupava parte del torresino rivolto verso Porta Nuova ed altre botteghe sino al primo cancello della Fiera.

Il torresino rivolto verso Porta Nuova era occupato dal caffè Nazionale insieme ad altre botteghe, sino al primo cancello della Fiera

Il locale era stato rilevato da Pilade Frattini, un impresario dotato di tanta originalità ed inventiva, geniale scopritore di talenti ed organizzatore impareggiabile di molti spettacoli teatrali.

Il Caffè Nazionale, già Trattoria della Speranza. Sui cristalli, facevano bella vista fotografie di ballerine “mezzo ignude”, di soubrettes, di balletti can-can, di musicanti, giocolieri, cantanti alla moda. “Una meraviglia. I bigotti, passando, chiudevano gli occhi, si facevano il segno della croce, pronunciavano segrete preghiere” (Raccolta D. Lucchetti)

 

Frattini Pilade, il vulcanico impresario che acquistò il Caffè Nazionale nell’anno 1900 (gestendo dal 1904 anche il Teatro Nuovo, nonché il Casinò di San Pellegrino), trasformandolo da caffè-ristorante-birreria a una sorta di café chantant, con tanto di teatrino, scuotendo la sonnacchiosa Bergamo

Capitato a Bergamo intorno al 1900,  l’aveva rilevato da Pietro Balicco, che a sua volta l’aveva acquistato nel 1894, trasformando la Trattoria della Speranza in Caffè Nazionale.

Sul Sentierone, il Caffè Nazionale, frequentato dalla gioventù “dorata” di Bergamo. La clientela, per quei tempi, sufficientemente spensierata, godeva dell’ammirazione di chi non poteva varcare le solenni “soglie” (la ripresa è del 1907)

Il Frattini mise al banco della cassa Emilia, la consorte – un’affascinante bionda – e per richiamare gente assunse in servizio, in qualità di camerieri, degli autentici cinesi, vestiti all’orientale: tutta la città parlava divertita di questi camerieri esotici, che incuriosivano per le ciabatte dipinte, i paludamenti sgargianti e i capelli raccolti a codino.

Caffè-ristorante Nazionale. Il cartellone pubblicitario con le opere liriche al Teatro Donizetti fornisce una doppia indicazione: sull’anno in cui venne scattata la fotografia (dopo il 1897, quando il teatro venne inaugurato nel nome di Gaetano Donizetti) e sulla stagione (era d’autunno) – (Archivio Fotografico – Museo delle Storie di Bergamo)

Frattini introdusse i concerti musicali “senza aumento delle consumazioni”, si inventò svariate iniziative che ora definiremmo di marketing e cercò, riuscendoci, di far sì che il Nazionale fosse più di un esercizio pubblico, ma il centro della vita mondana, artistica e intellettuale, portandovi una ventata di aria metropolitana.

Da una rivista del 1900

All’interno del locale, oltre a riservare alcune salette al gioco – sua perenne e fatale passione -, Frattini fece un teatrino di varietà, una specie di “cabaret” nel quale si esibì per una quindicina d’anni il fiore dei cantanti famosi, dei musici, delle soubrette, delle ballerine, dei comici e dei giocolieri dell’epoca. Per il suo teatrino aveva costruito persino i camerini degli artisti ed un apposito fondale.

In questa foto risalente ai primi anni del Novecento, il grande Salone Teatro del Nazionale nell’Antica Fabbrica della Fiera, ai tempi in cui il locale era gestito da Pilade Frattini. Il salone, nel quale si tenevano anche feste e dei banchetti, era posto al piano superiore e venne a un certo punto affittato da Frattini al rinomatissimo Circolo Commerciale Agricolo e Industriale, che raccoglieva i maggiori commercianti ed industriali di città e provincia fra i quali il “Pesentù”, il fautore della direttissima Bergamo-Milano

Scriveva Geo Renato Crippa che a frequentare il locale erano “i ricchi di città e di borgate, la crème della nobiltà, i viveurs e gli elegantoni, quelli che portavano il cappello verde, gli abiti confezionati da Prandoni in Milano, calzavano le scarpe del classico Assuero Rota di Città Alta, frequentavano il Cappello d’Oro ed il Concordia di Viale Roma, magari sostenevano ‘donnette’ di qualche avvenenza, pagandole a ‘mesata’ (era molto chic), non mancavano ogni mattina, sul tardi, di sbarbarsi dal barbiere ‘Biffi’ di Via Torquato Tasso”. Questi signori, potevano in verità vantarsi di una visitina – una volta tanto – “al Cova, al Savini od al Bonola di Milano, ai Casinò di San Remo o di Montecarlo, celando tali scappate alle fedelissime consorti, alle fidanzate, alle madri intransigenti e sospettose.

Al Nazionale arrivavano, in gruppo, per l’aperitivo; non più il ‘bianchino’ delle trattorie, del Garibaldi o del Gambrinus, bensì il Campari, il Carpano, il Cinzano ed il Martini o, più fine ancora, il Costumé Cannetta , un rosé milanese di classe”.

Alle cinque del pomeriggio qualche elegante divetta ingaggiata dal Frattini si degnava di fare un’apparizione lungo il Sentierone per farsi ammirare dagli snob. Le dame dell’aristocrazia e le signore della borghesia sbirciavano passeggiando sussiegose e le loro occhiate tradivano fuggevolmente l’invidia.

“Tediose sofferenze turbavano le signore altolocate alle quali, in diverse oocasioni, l’entrata era vietata. Per il Nazionale, a Bergamo, si farneticava. Se non stavano più nella pelle le nobildonne scontente dei raggiri, delle bugie e del grosso di fandonie ad esse propinate da padri, mariti e figli, addirittura le giovinette accoravansi di essere tralasciate a profitto di ‘divette’ straniere delle quali si narravan ‘mirabilie’ a ripetizione. Bizzarrie scuotevan dame e fanciulle sino ad obbligarle a trascorrere sul Sentierone, all’Isacchi , ore ed ore, in attesa spietata di assistere al passaggio delle ‘compagnie’ contrattate per serate illuminanti. Lo scodinzolamento delle ‘invidiate’ succedeva, quasi sempre, intorno al mezzogiorno o alle cinque del pomeriggio. Le critiche rattristavano i purlottii e le denuncie dei salotti i più affollati. Non mancavamo, mai, recriminazioni, accuse, denuncie e qualche lacrimuccia. Le constatazioni ferivano e come” (Geo Renato Crippa, in Riferimenti)

Nel 1906 al Nazionale arrivò persino il cinematografo, o meglio, il Cinematografo Ungari, che proiettava “vedute modernissime, riflettenti fatti seri di attualità, educativi, istruttivi, nonché aneddoti umoristici”.

Al café chantant di Pilade Frattini giunse anche Gea della Garisenda, bella e agilissima. Il suo “Inno a Tripoli” fu un trionfo. Il pubblico andò in visibilio vedendo la brunetta emiliana entrare in scena con un cappello da bersagliere in testa, nuda sotto una grande bandiera tricolore, che l’avvolgeva tutta, ed ascoltandola effondere la generosa voce di mezzo-soprano nelle note marziali di “Tripoli, bel suol d’amore…”.

Grande Caffè Ristorante Nazionale. Si noti anche la dicitura “Ristorante Frattini”

Pietro Mascagni, a Bergamo per assistere ad una recita della sua “Cavalleria”, che si dava al Donizetti sotto la prestigiosa direzione del napoletano Leopoldo Mugnone, volle godersi lo spettacolo della ”diva” seduto in prima fila nel teatrino del Nazionale.

Il primo “Nazionale” sul Sentierone, nei locali della demolita Fiera. Come indicano le scritte sul muro, il celebre caffè ospitava anche la sede dell’Automobil club e il Garage Frattini (da “C’era una volta….” di Pino Capellini, Ferruccio Arnoldi Editore)

Quando l’estroso e geniale caffettiere, che dal 1908 dispose di un aereo personale, diventò impresario, con Giovanni Ceresa, del Teatro Nuovo, non finì di far strabiliare. Da buon impresario teatrale (suo a Roma il teatro Frattini), gestì il Nuovo in prima persona, facendone uno dei teatri italiani più vivi e à la page, trasformandolo in un vero e proprio centro d’attrazione per ogni genere di spettacoli. Grazie a lui il teatro divenne la sala più polivalente della città, rendendo memorabili i primi anni del Novecento.

Quando a San Pellegrino si aprirono le sale da gioco, Frattini era il patron del Casinò: alla sua esperienza, alla sua vivace spregiudicatezza ricorsero i promotori e gli organizzatori. Fra lo sfoggio degli smoking e lo sciupio dello champagne, un fiume di denaro affluì da Milano al centro termale brembano. ll patron tentò qualche colpo al banco da gioco ed ebbe fortuna.

Poi venne la guerra del ‘15-’18, con le inevitabili restrizioni; bardature, oscuramento, tesseramento, limitazioni di generi di lusso. Il Nazionale languiva. Dopo la disastrosa rotta di Caporetto, arrivarono anche a Bergamo numerosi militari feriti e si allestì per loro una infermeria nella sede del vecchio Ricovero delle Grazie. La gente non pensava più a divertirsi.

All’inizio del 1917 Frattini pensò bene di disfarsi dell’esercizio, cedendo il locale al pasticcere Luigi Isacchi (1-1-1917), noto per avere creato il tipico dolce bergamasco della polènta e osèi. Nel vecchio café chantant, adibito a pasticceria, regnava ora un discreto silenzio; all’ora del tè qualche signora sedeva ai tavolini biancodorati in stile impero per sorseggiare compostamente un bicchierino di rosolio: Bergamo – scriveva Crippa – si trovava ora “spenta e muta, ricadendo nella sua monotonia, nei ritorni alle preferenze ineleganti. Quanti la sera vestivano lo smoking si persero come nebbia di pianura…. Il floscio riportò Bergamo alla sua semplicità ancestrale”.

Un giorno, richiamato dalla passione del gioco, Pilade Frattini andò a Stresa e puntò ostinatamente un numero alla roulette per tutta la notte: all’alba, disperato, dopo aver dilapidato una fortuna, stramazzò al suolo. Un colpo apoplettico lo aveva stroncato: era il 1920.

Il Sentierone nel 1920. Questa parte della Fiera fu l’ultima ad essere abbattuta, mentre dietro già si costruiva (Raccolta D. Lucchetti)

Di tutti i locali incontrati nel corso della nostra passeggiata, il  Nazionale è l’unico dei quattro che ha continuato a vivere – dapprima come caffè-ristorante e poi solo come caffè – anche dopo l’abbattimento della Fiera e la costruzione del Centro piacentiniano: e lo si deve anche alla notorietà del vecchio locale e alle iniziative di Pilade Frattini.

Dopo Frattini, sarà Pietro Bardoneschi ad averlo in gestione, quando aprirà la nuova e attuale sede sotto i portici, che nel 1925 vedrà nascere anche il primo Rotary Club della cittadina.

Il bar del ristorante Nazionale dopo la riedificazione (1923) nel quadro del più vasto progetto urbanistico curato dall’architetto Marcello Piacentini

 

Uno dei saloni da pranzo del ristorante Nazionale dopo la riedificazione (1923) nel quadro del più vasto progetto urbanistico curato dall’architetto Marcello Piacentini. Il servizio di ristorazione continuò sino a quando, intorno agli anni novanta, il Nazionale si ridusse a solo Caffè

 

Uno dei saloni da pranzo del ristorante Nazionale dopo la riedificazione (1923) nel quadro del più vasto progetto urbanistico curato dall’architetto Marcello Piacentini

Nel 1936, sotto quei portici prese posto il caffè Balzer, con la sua sobria e nobile eleganza, impostata da una famiglia originaria del Liechtenstein. Balzer e Nazionale, che non mancavano mai in ogni reportage dal Sentierone, accoglievano gli spettatori che uscivano dal Teatro Donizetti, tenendo aperto anche fino alle due di notte.  

In quegli anni, quando la tradizione del caffè come luogo d’incontro era ancora viva e intellettuali, artisti e “bella gente” passavano le giornate ai tavolini, sul Sentierone c’era un dualismo alla Coppi e Bartali: dall’altra parte della strada, sempre nel ’36 nel palazzo della Popolare era stato aperto un caffè il cui nome ricordava l’euforia da Impero: il Moka Efti, famoso nel Dopoguerra per i concerti serali e diventato poi l’attuale Caffè del Colleoni.

Bergamo, anni trenta; il maestro Sala con la sua orchestra al caffè Nazionale sul Sentierone (proprietà A. Sala, in Riccardo Schwamenthal, Jazz a Bergamo. Ricordi, testimonianze, documenti dagli anni trenta agli anni Settanta- Archivio Storico Bergamasco. Nuova Serie n. 2, maggio-agosto 1995)

 

Bergamo, 1945. L’orchestra di Aldo Sala al caffè Moka Efti sul Sentierone: Aldo Sala pianoforte, Angelo Kadaelli batteria, Orlando Mazzoleni contrabbasso, Rino Gabellinl sassofono tenore, Gian Maria Berlendis violino; [?] Canavesi tromba, Ada Bondi cantante (proprietà A. Sala, in Riccardo Schwamenthal, Jazz a Bergamo. Ricordi, testimonianze, documenti dagli anni trenta agli anni Settanta- Archivio Storico Bergamasco. Nuova Serie n. 2, maggio-agosto 1995)
Il celebre Moka Efti del secondo Dopoguerra, ha visto i più bei nomi del jazz italiano e locale esibirsi per il pubblico bergamasco. Mitico il suo aperitivo “giallo” Martini con oliva verde, servito in coppetta da cocktail “Martini”. Oggi i locali sono occupati dal bar Colleoni 

All’estremo  dei portici, verso Largo Belotti, era invece attivo il Savoia, chiuso in età repubblicana nel 1956 (?).

Caffè Savoia sul Sentierone

In quello stesso ’56, al Nazionale si erano ritrovati gli artisti che avevano firmato il manifesto del Gruppo Bergamo. Ma nel 1945 il Nazionale-Concordia era stato anche una mensa di guerra.

Tra alti e bassi, è arrivata la chiusura a giugno 2006. Il locale ha riaperto esattamente dopo un anno di ristrutturazione con un nuovo nome “212 barcode” (212 è il prefisso dell’area di New York) e un arredo postmoderno. Tra cambi di gestione e licenze contese, finite nelle aule del tribunale, il 1° settembre 2011 il locale a riacquisito il nome Nazionale, ma non la vecchia atmosfera: se oltre un secolo fa nelle sue eccentricità Pilade Frattini aveva preso come camerieri degli autentici cinesi, con vestiti orientali e tanto di codino (come dovevano essere nell’immaginario dell’epoca), i cinesi, senza codino, prendevano ora in gestione il locale, per tenerlo fino al  2015, quando subentrava un’altra società cinese, che ha chiuso i battenti  alla fine del 2020. Si mormora che il Nazionale sia in procinto di rifarsi il look con importanti lavori di ristrutturazione, che puntano a farlo tornare tra i locali simbolo e più frequentati del centro.

Note 

(1) Negli ultimi anni dell’Ottocento a Bergamo si pubblicavano tre quotidiani: “L’Eco di Bergamo”, d’ispirazione cattolica, diretto da Gian Battista Caironi; la “Gazzetta Provinciale”, organo indipendente diretto da Parmenio Bettòli; e l’”Unione”, foglio liberale diretto da Enrico Mercatali. L’”Unione”, fondata nel 1891, ebbe vita breve; cessò le pubblicazioni nel 1900. Vi aveva fatto le ossa Franco Armando Tasca, il quale poi diresse il “Giornale di Bergamo”, emigrando infine a Pavia dove diresse un altro giornale, spegnendosi in tarda età. Scrittore intelligente e fecondo, aveva anche trovato il tempo per scrivere una storia di Bergamo, che fu pubblicata a puntate dal “Gazzettino” di San Pellegrino Terme Luigi Pelandi, “Attraverso le vie di Bergamo scomparsa. II. La strada Ferdinandea”.  Banca Popolare di Bergamo. Co-Editore: Edizioni Bolis. Bergamo, 1963 (Collana di studi bergamaschi).

(2) “…in certe sere domenicali si potevano ascoltare un tenore nelle melodie di Tosti e di Denza e un soprano nella “Leggenda valacca” di Braga e nelle raffinate ariette in stile antico di Stefano Donaudy, nonché un bravo violinista nella “Serenata medioevale” di Silvestri, nella romanza andalusa di Sarzate, e in qualche virtuosa variazione su temi zingareschi (…) I componenti di questi complessi musicali erano giovani professionisti diplomati, che avevano alle spalle anni di studi rigorosi e che tuttavia non disdegnavano di suonare nei café chantant o nelle sale cinematografiche quando si chiudevano i sipari sulle ultime rappresentazioni delle varie stagioni operistiche cittadine (quella di carnevale al Nuovo, quella di mezza quaresima al Sociale e quella di Fiera al Donizetti). Tra questi suonatori, Oreste Tiraboschi, un violoncellista mantovano diplomatosi nel 1909 presso l’Istituto Donizetti; dal 1913 faceva parte dell’orchestra “Gaetano Donizetti” diretta dal maestro Achille Bedini. Il complesso (due pianoforti: Tironi e Briccoli; due violini: Avogadri e Pesci; due violoncelli: Airoldi e Tiraboschi) eseguiva musica da camera nella sede di via Pignolo. Il Tiraboschi aprì più tardi un negozio di strumenti musicali. Altri musicisti, Osvaldo Legramanti, contrabbassiste; Giovanni Marigliani, violinista; Eugenio Tironi… (“Umberto Zanetti, “Bergamo d’una volta”. Ed. Il conventino, 1983).

Riferimenti

Umberto Zanetti, “Bergamo d’una volta”. Ed. Il conventino, 1983.

Luigi Pelandi, “Attraverso le vie di Bergamo scomparsa. II. La strada Ferdinandea”.  Banca Popolare di Bergamo. Co-Editore: Edizioni Bolis. Bergamo, 1963 (Collana di studi bergamaschi).

Geo Renato Crippa, “Bergamo così (1900 – 1903?)”.

Rievocando le librerie storiche della città

Ricordate i grandi librai di Bergamo? O meglio, le librerie storiche di un tempo? Quelle che, a poco a poco, hanno gettato la spugna per far posto a colorati negozi di profumi e di abbigliamento? Erano tutte indipendenti e a gestione familiare (così diverse dagli impersonali book shop dei grandi gruppi editoriali) e sono scomparse portandosi dietro un mondo.

Ph Cesar Viteri

Un mondo dove il proprietario conosceva i gusti dei clienti e volentieri si intratteneva a chiacchierare con loro sulle novità editoriali, assistendolo negli acquisti. Un mondo dove la figura del libraio apparteneva alla migliore tradizione della nostra civiltà culturale e dove la cultura veniva coltivata e diffusa sul territorio.

Se vent’anni fa in città e provincia di librerie ce n’erano circa 500, oggi ne sono rimaste poco più d’un centinaio. Ma il più delle volte devono la loro sopravvivenza all’avere diversificato la propria offerta commerciale, abbinando la vendita dei libri ad altre attività, come le cartolibrerie.

 

1975: l’attrice Giulietta Masina con Franco Colombo Alla Libreria Buona Stampa (Archivio Franco Colombo)

 

Ricordiamo in particolare le sei grandi librerie degli anni Cinquanta, a partire da Lorenzelli in viale Papa Giovanni e Tarantola in via Broseta: entrambe discendenti dai Pontremolesi.

Su viale Papa Giovanni, arteria nevralgica del centro della Città Bassa, si affacciava la storica Libreria Lorenzelli, i cui locali sono oggi occupati da una profumeria. Ha chiuso i battenti nella seconda metà del Novecento, insieme ad un’altra gloriosa libreria di Bergamo: la Conti di via XX Settembre, che era anche stamperia 

A costoro si aggiungevano i Rossi, con il negozio in via Paglia, la libreria Conti in via XX Settembre e la storica Bolis, la libreria in via Torquato Tasso, destinata come le altre alla chiusura. Uniche sopravvissute: la libreria Arnoldi in piazza Matteotti 23 – che nel 2013 ha festeggiato i 100 anni di attività – e la Buona Stampa, legata alla diocesi di Bergamo e ancora aperta in via Paleocapa.

Storica, della Bolis, la libreria in via Torquato Tasso, chiusa da tempo. Alle Poligrafiche Bolis, Casa editrice fatta nascere nel 1833 dai fratelli Francesco e Pietro Bolis, si devono le iniziative più significative e più editorialmente impegnative della cultura bergamasca (spiccano i venti volumi dedicati ai Pittori bergamaschi)

In particolare, la storica libreria Conti (che era anche stamperia) ha chiuso sul finire degli anni Settanta, la libreria Rossi ha chiuso nel dicembre del 2011, mentre i Pontremolesi Lorenzelli e Tarantola hanno chiuso rispettivamente nel 1999 e nel 2004.

Già, Pontremolesi, i più importanti librai ambulanti d’Europa, arrivati a Bergamo dall’alta Lunigiana – terra di grande emigrazione -, da dove sin dal Medioevo sono partite generazioni di librai ambulanti, diretti in ogni dove.

Bergamo può vantare un’importante tradizione, che risale ai Pontremolesi, i più importanti librai ambulanti d’Europa, attivi sin dal Medioevo. Il loro vissuto rappresenta un fenomeno particolare ed unico in Italia. Non avevano confidenza con l’alfabeto, ma “sentivano” quali libri era il caso di comprare e quali no: in virtù di un sesto senso che, dicono, è stato loro donato dal demonio in un’ora di benevolenza (nell’immagine, (Oreste Giovannacci di Parana)

Negli anni dell’Inquisizione, si munivano di gerle e portavano i libri al di qua e al di là della Repubblica di Venezia, salvandoli dall’Indice. Poi, nell’ultima parte dell’Ottocento, con i lavori della ferrovia Parma-La Spezia tornarono in Lunigiana, dove avviarono un fiorente commercio librario. Il fenomeno si ampliò ed assunse dimensioni importanti nel corso dell’Ottocento, sviluppandosi soprattutto nel nord d’Italia ed anche all’estero: in Francia, Spagna e in Centro e Sud America.

Alla fine dell’Ottocento molti girovaghi pontremolesi avevano “racimolato” un patrimonio. I loro figli andavano a vendere in carrozza ed avevano aperto notevoli Case Editrici. I meno fortunati possedevano almeno una bancarella fissa sotto i portici di qualche grande città.

Il Premio Bancarella è nato proprio dalla grande tradizione dei librai pontremolesi. È così che hanno fatto scuola in tutta Italia. E sono giunti anche a Bergamo alla fine degli anni Cinquanta.

LIBRERIA TARANTOLA: NATA DALLA TRADIZIONE DEI LIBRAI PONTREMOLESI

I Tarantola approdarono a Bergamo nel 1927 e la memoria della loro attività è contenuta nelle poche parole rilasciate da un membro della famiglia, Tiziano Tarantola.

”Con mia madre Rina Giovannacci di Montereggio arrivai a Bergamo ed aprì la libreria nel 1927, due anni dopo si trasferirono in centro con due librerie: una gestita da mia madre l’altra da mio padre.

Librerie Tarantola a Bergamo, in via Petrarca e in via Broseta

Io facevo tutt’altro che il libraio, ma iniziando presto a sentire parlare di libri ci misi poco a imparare il mestiere quindi, smesso lo studio, mi misi nella libreria che aprimmo nel pieno centro di Bergamo. Nel dopoguerra divenni definitivamente parte attiva nella libreria, coadiuvato poi da mia moglie Carla e dalle mie figlie Cinzia e Rossana fino alla chiusura definitiva, per cessata attività, nel dicembre 2004.

Libreria Tarantola a Bergamo

La mia libreria è stata punto di ritrovo e di attività per circa 75 anni e ricca di ricordi molto belli. Collaborammo con passione al Premio Bancarella votando e discutendo spesso sul premio stesso, e personalmente collaborai per la nascita (1959) della Fiera del libro a Bergamo, oggi arrivata alla cinquantaseiesima edizione”.

Anni Sessanta: la bancarella di Tarantola alla fiera del libro sotto i portici del Sentierone

LA STORICA LIBRERIA CONTI IN VIA XX SETTEMBRE: LA LIBRERIA “NOBILE” DELLA CITTA’

Durante questa nostra breve passeggiata nella Bergamo che non c’è più, sostiamo nella secolare Libreria Conti, al civico 46 di via XX Settembre, per rivedere la figura asciutta di Alberto Cunico, libraio colto che si era dedicato alla sua professione con l’amore di un artista e l’educazione di un gentiluomo di antico stampo.

Via XX Settembre agli inizi del Novecento. Non c’era vano sulla strada che non ospitasse un negozio; e già era aperto quello di Grazioso Goggi, a quel tempo una rivendita di chincaglierie. Proprio accanto, in primissimo piano a sinistra dell’immagine, la Libreria Conti, fondata nel 1906 ed acquisita nel 1919 da Alberto Cunico, che l’ha condotta sino alla fine degli anni Settanta

Dopo aver appreso l’arte del libraio in Germania, il signor Cunico aveva acquisito l’antica ditta Conti fin dal lontano 1919, comprendente anche la storica Stamperia Conti, che era stata fondata nel 1906.

L’esterno aveva l’aspetto dei vecchi negozi francesi, con il fascino dei vetri d’epoca, del legno verniciato di scuro e le piccole saracinesche rugginose e stridenti per il difficile scorrimento; nella vetrina occhieggiavano, ben esposte accanto alle ultime novità, ghiotte edizioni rare, mentre nel retrobottega c’erano preziose edizioni italiane e straniere esaurite da tempo.

La storica libreria Conti, in via XX Settembre al civico 46, 1930 circa. Tempio molto singolare della cultura bergamasca, era un autentico scrigno d’arte e letteratura

La libreria era affiancata dallo storico negozio di Grazioso Goggi, che nel 1882 aveva acquistato lo stabile creando, oltre alla facciata, il libero passaggio pedonale comunicante con via Zambonate, all’interno del quale esponeva le sue merci.

Via XX Settembre (allora via Prato), con a destra il negozio Goggi, che era preceduto dalla Libreria Conti (non inquadrata)

 

1967: il passaggio che da via Zambonate conduce a via XX Settembre, dove la ditta Goggi  esponeva le sue merci. Luigi Pelandi scrisse che in precedenza, le abitazioni e le cantine dello stabile su via Zambonate erano state acquistate da Battista Fumagalli (il primo che aveva portato a Bergamo la novità dei fiammiferi di legno al fosforo e nonno dei professionisti Borroni, rivenditori di strumenti musicali) dall’ente del Casino dei Nobili, e che nei pressi la roggia Serio Grande era stata già coperta dal 1777. Sul cortiletto. dava la finestra della Libreria Conti (a sinistra), quelle dello studio dentistico Calderoli e dell’oreficeria Quadri, tuttora aperta, con ingresso dal civico 75 di via XX (Archivio Wells)     

Nel negozio sono passate generazioni di intellettuali bergamaschi per acquistare opere introvabili e farsi consigliere da Cunico sulla scelta del commento di un classico o sulla preferenza da assegnare a questa o a quella traduzione.

Ci si avvicinava al banco, dove le mani snelle del signor Cunico iniziavano il tamburellamento propiziatorio all’acquisto dei libri, mentre un’ironica conversazione metteva al corrente il cliente delle novità librarie o delle occasioni.

Via XX Settembre negli anni ’50: sullo sfondo il cosiddetto “Pà de saù”, poi abbattuto

Le lenti di cristallo del libraio luccicavano nell’oscura nicchia del vestito d’altri tempi, che ingigantiva la figura magra e asciutta in inquietante ectoplasma.

All’improvviso sopraggiungeva la signorina Mara Terzi, condirettrice della libreria dal 1927 e autentico repertorio di nomi, date, edizioni e fatti che venivano proposti all’interlocutore in un susseguirsi di rapidissime gag.

“Io ricordo bene la libreria Conti, fornitissima di libri polverosi e scolastici e la sua commessa, piccoletta,con un viso arcigno, mai un sorriso, conosceva qualsiasi titolo e lo recuperava al volo, sbattendolo sul bancone e recitando il prezzo!!!” (Annaluisa Palmirani, per Storylab)

“L’intesa tra il signor Alberto Cunico e la signorina Terzi era avvenuta senz’altro sotto gli auspici di qualche astro saturnino favorevole a una perfetta simbiosi. Difficilmente si sfuggiva, da parte di uno dei due, alla correzione dell’esatta pronuncia di un nome, al titolo esatto di un romanzo, al reperimento di un’edizione rara che appariva, come per magia, dagli oscuri meandri che conducevano ai sacri penetrali del tempio: il retrobottega. Non tutti potevano accedere a quei misteriosi recessi che, invece, per i fortunati erano un paradiso di incontri con opere esaurite e introvabili” (1).

Quasi tutte le migliori biblioteche della città si sono formate attingendo dagli scaffali della Conti, parte viva della cultura bergamasca, ritrovo di generazioni di intellettuali e artisti fra i quali il più celebre è stato il maestro Gianandrea Gavazzeni.

Molti editori ricorrevano al giudizio indefettibile di Alberto Cunico -sicuramente tra i librai più stimati d’Italia -, prima di affidare alle stampe il manoscritto di un’opera. Ancor prima di essere dato alle stampe fu inviato in lettura, per averne un giudizio, Il Gattopardo del principe Tomasi di Lampedusa. Cunico lesse attentamente il dattiloscritto e rispose senza esitazione: “E’ un capolavoro ed avrà grande successo”.

“I giudizi di Cunico erano acuti, netti, taglienti; da lui ogni cliente era posto allo stesso livello senza lusinga o pregiudizio di censo o importanza sociale. Eppure con ogni interlocutore si stabiliva un rapporto umano, completo e affettuoso; ogni cliente faceva parte di una famiglia di cui si conosceva tutto: le fortune, i dolori, le morti. Ogni fatto era inciso indelebilmente nella memoria prodigiosa della signorina Terzi che, all’occasione, ne faceva un rapido e discreto accenno con cui il cliente si sentiva rassicurato, riconosciuto e amato” (2).

Alla morte del signor Cunico sul finire degli anni Settanta, la signorina Mara Terzi tentò coraggiosamente una soluzione che permettesse al negozio di sopravvivere. Inutilmente: la vecchia libreria dovette chiudere definitivamente i battenti.

Scorcio di via XX Settembre nel ’65

Negli ultimi tristi giorni le vetrine rimasero aperte con i libri a prezzo d’occasione. Fu un’invasione e un via vai di gente che approfittava del momento. E ci si accorse subito, quando i battenti furono definitivamente chiusi, cosa volesse dire cercare un libro in altri luoghi a ciò deputati. Era sparito per sempre un punto di ritrovo della cultura cittadina.

CHI ERA GIUSEPPE GREPPI, FILANTROPO E FONDATORE DELL’OMONIMA LIBRERIA IN VIA S. ALESSANDRO

Via S. Alessandro, 1960. La libreria Grappi si trovava sulla sinistra

La libreria Greppi, nella parte bassa di via S. Alessandro, fu fondata dal filantropo Giuseppe Greppi, nato da una famiglia assai povera, il 1° gennaio 1826 al numero 19 di piazza Pontida, allora piazza della Legna, nella Parrocchia di Sant’Alessandro in Colonna di Bergamo.

Rimasto ben presto orfano di entrambi i genitori, a quattordici anni incontrò don Carlo Botta e don Francesco Macchi, due figure fondamentali nella sua preparazione al ruolo di educatore, uomo di Dio e apostolo laico.

Nel 1843, a diciassette anni, entrò nella Compagnia dei maestri dell’Oratorio di Sant’Antonino (primo oratorio della Parrocchia di Sant’Alessandro in Colonna, che nel 1903 diventerà Oratorio dell’Immacolata in via Foppa), dove trovò lo scopo principale della sua vita (aiutare i ragazzi togliendoli dalla strada ed avviandoli alla vita), per il quale rinunciò anche a formarsi una famiglia e agli agi che i guadagni della sua attività di imprenditore gli avrebbero consentito.

Contemporaneamente subentrò al fratello Pietro, morto in giovane età, nella gestione di un modesto negozio di legatoria e di cartoleria in piazza Pontida (3), con il programma di destinare gli utili della sua attività  commerciale a opere di bene e soprattutto al soddisfacimento dei bisogni primari dei ragazzi.

Nel 1892, per avere un negozio più confacente ai tempi, Greppi acquistò dal Pagnoncelli la casa al n. 4 di via Sant’ Alessandro, dove dispose un fiorente laboratorio di legatoria e di fabbrica di cornici (4), aprendo la cartoleria “che per la modicità dei prezzi e per il nobile scopo al quale ha sempre mirato ottenne sin da principio una larghissima vendita” (5). Il negozio venne intitolato alla memoria del fratello “Pietro Greppi”.

La cartoleria era fornita di una gamma molto vasta di prodotti di qualità ed in seguito si trasformò in una libreria (6).

Il negozio « Greppi» come si presentava nel 1964 dopo l’opera di ammodernamento (foto tratta da “GIUSEPPE GREPPI e l’Oratorio dell’ Immacolata nel 50° anniversario della morte”, citato in bibliografia)

 

Il negozio « Greppi» come si presentava nel 1964 dopo l’opera di ammodernamento (foto tratta da “GIUSEPPE GREPPI e l’Oratorio dell’ Immacolata nel 50° anniversario della morte”, citato in bibliografia)

Spiega Luigi Pelandi nella sua Bergamo scomparsa che l’attività era stata preceduta da quella della ditta Pagnoncelli, una tipografia ottocentesca che portava avanti anche una propria attività editoriale e che per tenersi in vita sviluppava anche quella del commercio librario.

Vittore Pagnoncelli, un abile compositore della tipografia Mazzoleni, già operante in una bottega al Mercato delle Scarpe, uscito sin dal 1855 da quella ditta, aperta l’officina nell’abitazione del conte Sottocasa in via S. Alessandro al n. 4 – dove poi subentrerà il Greppi – iniziò da solo con viva passione, occhio tecnico e buon gusto, la stamperia editrice, tanto che in pochi anni venne considerato fra i migliori tipografi della città. Maggiorò le edizioni non solo di carattere religioso, ma pose in cantiere opere dei nostri migliori studiosi del tempo, da Carlo Gioda, al Ruspini, ad Angelo Mazzi, al Pasino Locatelli. Pubblicò per conto del Comune gli Atti del Consiglio, varie annate delle Notizie Patrie ed assunse la Gazzetta di Bergamo che tenne per vari anni.

Verso il 1871 gli affari volsero a male e in poco tempo la gloriosa ditta scomparve. Tutto il materiale passò nelle mani di Fagnani e Galeazzi (7).

Prima di fondare l’omonima società, Paolo Gaffuri e Raffaele Gatti avevano lavorato insieme nella tipografia Pagnoncelli, l’officina situata in via S. Alessandro, dove poi si stabilì la Libreria Greppi. In questa azienda Gaffuri era impiegato come commesso, mentre Gatti, come contabile. Gaffuri aveva lavorato da Pagnoncelli a partire dal 15 settembre 1861, da quando cioè, dodicenne, era entrato come apprendista: nel 1864 era stato promosso a commesso della libreria con l’incarico di redigerne il catalogo. Egli aveva iniziato una vera e propria formazione da autodidatta studiando sui testi a sua disposizione, in particolare il Manuel du libraire et de l’amateur de livres di Jacques Charles Brunet e l’Enciclopedia Pomba, oltre che leggendo i testi della libreria Pagnoncelli. E proprio il periodo formativo di Paolo Gaffuri rivestirà un’importanza fondamentale nella fondazione e poi nella direzione dell’Istituto Italiano d’Arti Grafiche

La vita lavorativa di Giuseppe Greppi durerà più di settant’anni e gli procurerà guadagni cospicui, che verranno destinati a opere di bene e tra queste la fondazione nel 1909 del Patronato operaio “San Vincenzo de’ Paoli”, la cui guida sarà assunta anni dopo da don Bepo Vavassori, che lo renderà una delle più efficienti istituzioni di formazione e assistenza dei giovani studenti.
Poco prima di morire, Giuseppe Greppi dispose che anche in futuro i proventi del suo negozio fossero messi a disposizione del suo “caro” oratorio e delle opere di carità del Beato Luigi Palazzolo, suo fraterno amico, fondatore anche dell’Istituto delle Suore delle Poverelle.

Giuseppe Greppi morì nella sua casa di via Sant’Alessandro il 1° giugno 1913, rimpianto dai suoi giovani e onorato da tutta la città: alle sue esequie parteciparono oltre diecimila persone, con il Vescovo di Bergamo Monsignor Radini Tedeschi e il suo segretario don Angelo Roncalli, il futuro Papa Giovanni XXIII (non dimentichiamo che nel 1904, a Greppi era stata conferita la croce Pro Pontefie et Ecclesai come visibile segno e onorato ricordo della benevolenza pontificia).

Greppi volle per sé un carro funebre di seconda classe, spoglio di corone: uomo che non aveva mai amato la retorica, semplice, concreto, tenace e schietto, parlò fino all’ultimo con l’esempio di una vita ardente e senza macchia.

Alla fine della prima guerra mondiale la salma dell’indimenticabile filantropo venne traslata, dal Civico Cimitero di Bergamo, nella chiesa dell’Oratorio dell’Immacolata. Nel 1926 l’Amministrazione Civica dedicò la via Foppa “alla memoria di Giuseppe Greppi, filantropo”. Ancora nel 1965 il ricavo del negozio venne elargito per l’Oratorio e per la Colonia Alpina di Bratto frequentatissima dai ragazzi del rione (8).

LIBRERIA ARNOLDI SUL SENTIERONE: UNA DELLE DUE SOPRAVVISSUTE

Nel lontano 1913 Mario Arnoldi rilevava un’antica libreria che si trovava in piazzetta Santo Spirito: nasceva così la Libreria Arnoldi, di cui purtroppo non sono rimasti documenti se non una foto degli anni Trenta, che ritrae uno stand della libreria allestito in occasione della Fiera del libro sul Sentierone: una tradizione continuata da Pierpaolo,  attuale  titolare dell’omonima libreria in piazza Matteotti 23.

Lo stand di Mario Arnoldi, nonno dell’attuale titotale, sotto il quadriportico del Sentierone negli anni Trenta

Dopo aver trascorso l’infanzia nel negozio condotto dalla madre (il padre era scomparso prematuramente all’età di 39 anni) Pierpaolo Arnoldi – attuale titolare – aveva iniziato a gestire la libreria insieme al fratello. Ma nel 1985, rimasto l’unico della famiglia, dovette portare avanti l’attività da solo.

Pierpaolo Arnoldi, titolare dell’omonima libreria in piazza Matteotti, una piccola libreria generalista, fondata da nonno Mario nel 1913

L’ormai ultracentenaria libreria, un’istituzione in città, era spesso frequentata da studiosi e professori in cerca di libri particolari, attraversando, come le consorelle, il passaggio critico dagli anni ’80, quando tutto ha iniziato ad essere più veloce e spersonalizzato. La sua sopravvivenza è dovuta all’estremo senso pratico e alla capacità del titolare di stare al passo coi tempi: caparbietà ereditata dal nonno, che mantenne il negozio aperto anche durante le due guerre.

Anche se l’esiguo spazio interno non permette di allestire incontri con gli autori o promuovere altre iniziative, la libreria è riuscita a mantenere con i clienti un rapporto di fiducia e di dialogo, grazie alla disponibilità e alla capacità del titolare e dei suoi dipendenti – Riccardo e Serena -, di cogliere istintivamente le esigenze personali di ognuno: “Bisogna capire di cosa hanno bisogno, e spesso oltre ai libri le persone hanno anche bisogno di parlare. È questa la differenza principale tra una libreria indipendente e una catena, qui non si trovano solo libri ma anche rapporti umani”.

Pierpaolo Arnoldi nella sua libreria. La scala è uno strumento che non viene usato nelle librerie delle grandi catene, dove tutto deve essere subito a portata di mano. Nell’intervista rilasciata all’Eco di Bergamo, il signor Arnoldi ha voluto ricordare la figura di un ex dipendente, Armando – colonna portante del negozio – che vi ha lavorato per cinquant’anni: dal 1945 al 1995

Un giorno un amico di Pierpaolo Arnoldi, passando dalla libreria gli presentò Toni Servillo: “Gli strinsi la mano e dissi: piacere, Pierpaolo. E basta. Quando lo raccontai agli amici mi dissero ‘Ma come, dovevi fare una foto con lui, farlo raccontare ai giornali!’. Ma io sono fatto così, sono un tipo un po’ schivo. Mi viene da pensare che in quest’epoca in cui la ‘comunicazione real-time’ sembra dettare i tempi di ogni cosa, la lentezza e la riservatezza sono qualità umane così rare che bisognerebbe farle proteggere dall’Unesco”. Una modestia e riservatezza davvero ammirevole ai giorni nostri.

LIBRERIA ROSSI

La storica libreria Rossi era stata aperta nel ’61 da Enzo Rossi, in via Paglia 4, quasi all’angolo con via Tiraboschi. Nell’83, a causa della necessità di spazi più ampi, la sede si è trasferita nel nuovo edificio all’angolo con via Paleocapa, chiusa dai figli Paolo e Maurizio nel 2011 a causa delle difficoltà attraversate dal settore.

L’ultima sede della storica libreria Rossi in via Paglia, all’angolo con via Paleocapa

La sua passione, cominciata rovistando tra i volumi della nonna, che faceva la maestra, si era trasformata in mestiere nel 1952, quando, dopo un’esperienza come rappresentante di testi scolastici, aveva aperto la sua prima libreria in via Zambonate.

Enzo Rossi, fondatore della storica libreria, si è spento all’età di 95 anni portando con sé un’ampia pagina della storia delle librerie a Bergamo. All’attività commerciale egli ha sempre affiancato l’impegno associativo: negli Anni 60 è stato presidente provinciale dell’Unione cattolica italiana commercianti (è nota la sua gloriosa militanza negli alpini e nei gruppi partigiani cattolici). Nello stesso periodo è stato tra i fondatori della Fiera del libro, mentre dal 1982, e per 22 anni, è stato presidente del Gruppo Librai e Cartolai dell’Ascom (sostituito poi dal figlio Paolo), ricevendo nel 2005 un riconoscimento per la lunga attività sindacale, nel corso dell’assemblea annuale

La sua insegna, specializzata nella scolastica, ha rappresentato un punto di riferimento per tanti studenti ma anche per gli appassionati lettori, a quali era sempre pronto a consigliare il titolo giusto, interpretando appieno il ruolo del libraio. Oltre al settore scolastico, la libreria curava in modo particolare il settore dei libri su Bergamo e la Bergamasca.

Tra le sue battaglie quella per la regolamentazione degli sconti, che i piccoli librai non potevano permettersi di effettuare. “Il rischio è che sparisca la figura del libraio indipendente” – affermava – “un professionista qualificato in grado di consigliare, di reperire i testi, di conquistare la fiducia dei clienti e di promuovere, di conseguenza, la lettura”.

GLI ANNI DEL BOOM, UNA PER TUTTE: LA LIBRERIA SEGHEZZI

Con il boom degli Anni Sessanta – il periodo d’oro del libro – aprirono una libreria anche Seghezzi in viale Papa Giovanni, poi La Bancarella, la Rinascita (diventata Caffè Letterario) e più avanti anche Gulliver (oggi Palomar, in via Maj) e Bimbolegge&Bimbogioca, sempre degli Arnoldi.

Ma si trattava in realtà di un incremento industrialmente fittizio, perché nonostante a Bergamo, allora come oggi, si legga poco di più rispetto alla media nazionale, si legge molto meno che nel resto d’Europa, dove esiste una maggior educazione alla lettura.

La libreria di Giuseppe Seghezzi, fondata nel 1959 in viale Papa Giovanni al civico 46, venne in seguito gestita dai due figli, Alessandro e Gianfranco, che si trasferirono al civico 48 divenendo un punto di riferimento per i bergamaschi per una sessantina d’anni: dalla metà degli anni Sessanta fino al 2008, quando è stata chiusa. I Seghezzi furono tra l’altro i primi a Bergamo a lanciare il genere fantascienza.

Alessandro  Seghezzi, storico presidente del Sindacato Italiano Librai di Bergamo,  fotografato da Nando Vescusio (agenzia Fotogramma Bergamo)

 

Gianfranco Seghezzi, contitolare dell’omonima libreria di viale Papa Giovanni XXIII, mancato all’età di 64 anni. “Lavoravamo anche 14-15 ore al giorno – racconta il fratello Alessandro – ed è stato anche grazie al lavoro che eravamo così uniti. Nonostante le botte che ha preso nella vita, non si lamentava mai, era forte”

“A noi, studenti squattrinati degli Anni 70, ma con grande fame di libri, permettevano di leggerli nel magazzino e di riporli. Bastava non sgualcirli. Credo abbiamo fatto così con generazioni di ragazzi. Fosse poi stata solo la generosità. Sandro e Gianfranco leggevano buona parte di ciò che vendevano. E sapevano consigliare. Una visita in libreria poteva durare ore, tra interminabili discussioni letterarie.
Negli ultimi anni lamentavano le difficoltà di rimanere sul mercato, loro così piccoli, davanti all’offensiva degli ipermercati. Hanno resistito a lungo. Adesso hanno gettato la spugna. Vinti dal consumismo del libro. Una perdita per me, per altri come me, per le generazioni a seguire. Una perdita per Bergamo e per tutti. E’ la fine dell’anno si fanno i consuntivi. A me nel 2007 è stato sottratto quel negozio demodé, ma caro come una persona cara. Non so cosa faranno Sandro e Gianfranco. Non li vedo maneggiare altro se non libri. E forse non c’è posto, oggi, per una tale abilità” (9).

Il lento declino fu causato non solo dalla mancanza di un ricambio generazionale, ma anche dal caro-affitti in centro. La città ha visto sparire poco alla volta quasi tutte le librerie storiche, così come quelle che le avevano sostituite: il Caffè Letterario di via San Bernardino (che a sua volta aveva sostituito La Rinascita), ha chiuso i battenti nel giugno del 2013 dopo essere stata per 17 anni un punto di riferimento culturale e dopo aver visto il passaggio di grandi personaggi come Alda Merini ed Edoardo Sanguineti.

Macondo: Caffé Letterario, bibliocafè fornito di di una sezione antiquaria nel reparto libreria e una nutrita sezione (500 volumi consultabili e disponibili al prestito) dedicata ai bambini, per i quali si organizzavano numerose iniziative ludiche

 

Caffé Letterario

Sono sopravvissute le librerie di settore (ad esempio quelle per bambini e ragazzi), ma anche quelle che hanno saputo rinnovarsi con la cartoleria o un’offerta più varia, come fu ai tempi il Caffè Letterario e la libreria Terzo mondo di Seriate.

A mettere in difficoltà le librerie indipendenti è stata poi la nascita delle librerie delle case editrici – e di gruppi di case editrici -, comunque non esenti dalla crisi: basti pensare alla messa in mobilità nel giugno del 2013, dei 1.378 dipendenti delle 102 librerie “la Feltrinelli”, compresi i commessi del negozio di via XX Settembre.

Bergamo, libreria “la Feltrinelli”, via XX Settembre

Inoltre è arrivato il mercato della grande distribuzione e vendita online (inizialmente incoraggiato da possibilità di sconti selvaggi, ai tempi era  negata alle librerie indipendenti), oltre alla nuova frontiera degli e-book.

Negli ultimi anni sono sorte le librerie di quartiere, librerie non grandi che si sono aggiunte alle cartolibrerie che ancor resistono nei rioni della città: una controtendenza rispetto alla crisi che aveva portato alla chiusura degli storici punti vendita e delle librerie che li avevano sostituiti. Ne troviamo in Borgo S. Caterina, in via San Bernardino, in via Baioni, via Moroni, in via Pignolo. Un censimento non esiste, ed è possibile che ve ne siano altre, nascoste nelle pieghe della città.

Note

(1) Da una rievocazione di Arnedeo Pieragostini su “La Rivista di Bergamo” (gennaio 1981), in: Il Novecento a Bergamo – Cronache di un secolo. Di Pilade Frattini e Renato Ravanelli. A cura di Ornella Bramani – Vol. II. UTET. Anno 2013.

(2) Ibidem.

(3) Luigi Pelandi, “Attraverso le vie di Bergamo scomparsa. III. Il Borgo S. Leonardo”. Banca Popolare di Bergamo. Co-Editore: Edizioni Bolis. Bergamo, 1965 (Collana di studi bergamaschi). Pelandi specifica che in quel periodo Giuseppe Greppi abitava in via Broseta al n. 6 e che “il negozio si trovava dove ora” (ossia ai tempi in cui egli scrive il suo libro, edito nel 1965) “esiste la macelleria Zanetti”.

(4) Luigi Pelandi, Ibidem.

(5) Luigi Pelandi, Ibidem.

(6) Giuseppe Greppi (filantropo)

(7) Luigi Pelandi, Ibidem.

(8) Luigi Pelandi, Ibidem.

(9) Gigi Riva, La libreria Seghezzi.

Dal Foro Boario alla Malpensata fra Ottocento e Novecento, alla scoperta della città

L’ANTEFATTO STORICO

Con la dominazione austriaca (1815-1859), a Bergamo si avviano i primi consistenti processi di mutamento della città in senso moderno, che segnano un periodo di forte espansione economica e di una gestione della cosa pubblica esemplare dal punto di vista del’efficientismo amministrativo e della organizzazione urbana.

Nella prima metà del secolo, con l’ascesa della nuova borghesia produttiva lo “scivolamento” della città al piano si fa più consistente, portando a compimento le trasformazioni della struttura urbana già avviate nel periodo napoleonico.

La Fiera e la città alta sullo sfondo

Dal 1732 l’antichissimo mercato di Bergamo, posto a metà fra i borghi, può finalmente avvalersi di una Fiera stabile in muratura, disposta su un’area quadrata con 540 botteghe. Verso sud il Sentierone, parallelo alle Muraine, diventa un’arteria per il collegamento dei borghi.

Il centro della Fiera di pietra, oggi Piazza Dante, in cui si trova, ultimo ricordo del complesso, la bella fontana opera di G. B. Caniana del 1734, incorniciata da una serie di alti alberi che nascondono i casotti delle botteghe del vecchio complesso

Con l’erezione dei Propilei in stile neoclassico nel 1837, nella Barriera daziaria delle Grazie viene aperto il varco di Porta Nuova, rappresentando simbolicamente l’ingresso monumentale alla città degli affari.  

Il 20 agosto 1837, in coincidenza con l’apertura della Fiera di S. Alessandro viene inaugurata Porta Nuova (ampliando la Barriera daziaria delle Grazie), il nuovo e simbolico accesso alla città degli affari, delimitato dai propilei neoclassici disegnati da Giuseppe Cusi e realizzati da Antonio Pagnoncelli: al di là delle Muraine l’unico edificio era la Fiera; al di qua era campagna

L’anno successivo (1838), in occasione della visita a Bergamo di Ferdinando I d’Austria inizia la costruzione del primo tratto della Strada Ferdinandea (futuro Viale Vittorio Emanuele),  che, partendo da Porta Nuova laddove s’incontrano le due spine dei borghi che da Città alta si protendono al piano, sale con un lungo rettilineo tagliando gli orti e i grandi broli dei monasteri fino alla Porta di Sant’Agostino.

Grazie alla Ferdinandea, da un lato viene superata quella frattura con Città Alta creata a partire dal 1561 con la costruzione delle mura veneziane e, dall’altro, si viene a creare una vera e propria arteria moderna, che presto diverrà la spina dorsale intorno alla quale verrà ridisegnato l’intero volto della città.

La Strada Ferdinandea, ora viale Vittorio Emanuele, ancora di larghezza modesta, con il viale alberato e il palazzo Stampa. Da Porta Nuova, dopo aver disegnato un’ampia curva poco oltre il monastero Matris Domini, la strada sale per le ortaglie sotto le mura di S. Giacomo per ricongiungersi con la Porta di S. Agostino. Il suo tracciamento ebbe come risultato lo straordinario potenziamento dell’area della Fiera, fronteggiata dalla porta e tangente alla nuova strada, che venne terminata nel 1845 (la ripresa è del 1915)

Nel 1857, quando la ferrovia raggiunge Bergamo viene eretta la Stazione Ferroviaria – in asse con Porta Nuova – e lo scalo merci.

Il piazzale della Stazione Ferroviaria prima della costruzione della fontana (1910 circa)

Demolita la quattrocentesca chiesa di S. Maria delle Grazie – che avrebbe impedito la prosecuzione assiale del viale -, la Strada Ferdinandea viene prolungata verso sud fino alla stazione (chiamandosi in questo tratto viale Napoleone III), completando la spina dorsale della futura “Città Bassa”, attorno alla quale si sviluppa una intensa attività edilizia ed urbanistica che, soprattutto dopo gli anni post-unitari, porterà alla formazione di un nuovo centro.

Nella “corografia datata 1878” è evidente la risistemazione della zona delle “Grazie”. La chiesa, , consacrata una prima volta nel 1427, fu demolita nel 1856 per aprire il rettifilo che da Porta Nuova conduce alla Stazione Ferroviaria (costruita quando la ferrovia raggiunse Bergamo), eretta in asse con l’apertura nelle Muraine, e la sua collocazione condiziona ancor’oggi lo sviluppo urbanistico della città. L’attuale Piazzale degli Alpini è ancora indicato come Piazza d’Armi, nonostante a questa data l’area sia da tempo occupata dal Mercato del Bestiame (da “L’Ospedale nella città”, Op. cit. nei Riferimenti)

Intanto con l’800 si va sempre più consolidando il trasferimento delle sedi del potere amministrativo e statale nei pressi della Fiera, con la costruzione di edifici pubblici di corrente tardo-neoclassica disposti lungo il corso che unisce i due borghi centrali, quello di S. Leonardo e quello di S. Antonio, che ancora si configurano come il margine netto di passaggio tra l’urbano e la campagna.

Nel frattempo la finanza bergamasca si evolve e modernizza attraverso lo sviluppo del sistema bancario e la collocazione di nuove sedi, mentre alla fine del secolo si osserva la costruzione del Manicomio e del Ricovero (1892), del Cimitero monumentale (1896) e del Teatro Donizetti (già Teatro Riccardi). Decisivo per l’espansione della città sarà l’abbattimento delle Muraine nel gennaio del 1901, mentre la discussione sulla Fiera darà luogo alla costruzione del centro piacentiniano.

Nella zona che dal 1857 è chiamata “Campo di Marte”, poi Piazza Cavour e oggi piazza Matteotti, si costruisce il palazzo del Comando militare, che negli anni ’70 diverrà sede degli Uffici comunali. Di fronte, dal 1836 è già edificato Palazzo Frizzoni (attuale sede del Municipio), sorto sull’area dell’antico complesso ospedaliero di S. Antonio di Vienne. Con l’avvio dell’industrializzazione urbana lungo via XX Settembre (antica Contrada di Prato) sorgono le nuove residenze della borghesia mercantile, a pochi passi dagli edifici produttivi stanziati lungo i corsi d’acqua che circondano le  Muraine

 

Con la metà dell’800, lungo la Contrada di S. Bartolomeo, oggi via T. Tasso sorge la Scuola dei Tre Passi; nell’area del Mercato dei Bovini si costruisce il Palazzo della Pretura, che nel 1874 diventerà sede del Comune (trasferito nel 1933 a Palazzo Frizzoni), mentre tra il 1864 e il 1871 vengono edificati il Palazzo della Prefettura e quello della Provincia. Infine, l’emblematico trasferimento del Municipio dalla Piazza Vecchia al Palazzo della Pretura. Nel frattempo anche qui sorgono le nuove residenze della borghesia mercantile: questi i primi significativi interventi del periodo nella città bassa, mentre altri interventi riguardano Città Alta con le opere degli architetti Bianconi, Crivelli e Berlendis, testimonianti il favorevole atteggiamento dell’amministrazione austriaca

 

Porta S. Antonio, aperta nel circuito delle Muraine in corrispondenza dell’attuale via Pignolo Bassa e in direzione della via Borgo Palazzo. Nonostante i due borghi centrali di S. Antonio e di S. Leonardo si configurino ancora come il margine netto di passaggio tra l’urbano e la campagna, la città si è espansa ben oltre, in direzione di borgo Palazzo e borgo Santa Caterina, dove l’insediamento delle manifatture e di altre attività produttive ha innescato un notevole incremento della densità residenziale

L’AREA DELLA STAZIONE

Il monumentale, sovradimensionato rettifilo intitolato a Napoleone III (oggi viale Papa Giovanni XXIII), espressivo di un’epoca caratterizzata dal monumentalismo neoclassico e dalla moda del passeggio, viene delimitato da filari e alberature che ne evidenziano il ruolo e l’importanza.

La panoramica più antica della città, risalente al 1865, riprende il secondo tratto della Strada Ferdinandea visto dalla stazione. Dopo la sua demolizione (1856) per la formazione del secondo tratto della Ferdinandea, la chiesa delle Grazie presenta la cupola ancora in costruzione, mentre lungo il viale sono state disposte le giovani alberature. Proprio nell’anno in cui viene scattata questa fotografia, il Mercato del Bestiame viene trasferito presso la Piazza d’Armi, delimitata ad est, in corrispondenza dell’attuale via Foro Boario, dalla struttura del Bersaglio con il suo lungo corridoio di tiro

Le mappe catastali del 1853 e del 1866 depositate presso l’Archivio di Stato di Bergamo documentano le trasformazioni avvenute nell’area a sud del monastero delle Grazie: una zona ancora  fortemente rurale (se si esclude il monastero, due case coloniche, le fabbriche del Salnitro e per la filatura del Cotone nonché un piccolo deposito per le bestie infette), che, come detto, con la scelta localizzativa della Stazione Ferroviaria e la creazione del grande viale Napoleone III – prosecuzione della Ferdinandea -, manifesta il primo segno di apertura a sud della città.

La Stazione Ferroviaria fu costruita nell’ambito del progetto della ferrovia Ferdinandea (Milano-Venezia) e fu inaugurata il 12 ottobre 1857 assieme al tronco Treviglio-Bergamo-Coccaglio. Entro il 1900 si realizzò il primo collegamento ferroviario tra Bergamo e i centri maggiori della pianura (Milano, Brescia, Lodi, Lovere) e con i territori delle due valli a nord (Seriana e Brembana); il consolidamento i rapporti con i centri commerciali circostanti, cui corrispose un rinnovamento del ruolo territoriale di Bergamo, rese definitivamente obsoleta la Fiera come perno economico della città

Gli spazi ad est del viale, sul sito dell’attuale piazzale degli Alpini, vengono riorganizzati mediante la creazione della Piazza d’Armi (nota come “Campo di Marte” e luogo di esercitazione militare), in funzione della quale, sull’estremità orientale, in corrispondenza dell’attuale via Foro Boario viene costruita la struttura del “Bersaglio” con il suo lungo corridoio di tiro.

 

Per creare la piazza d’Armi, viene deviata e canalizzata la roggia Morlana, di cui abbiamo una bella testimonianza.

Dal Foro Boario verso Città Alta intorno al 1895. E’ visibile la chiesa di S. Maria delle Grazie e a destra l’edificio del Macello comunale. Oltre alla roggia Morlana, qui ritratta, l’area era attraversata dalla roggia Nuova e dalla roggia Ponte Perduto (nome curioso, forse derivante da un ponte scomparso), che si origina dalla Morlana in Borgo Palazzo, dalla quale si dirama proprio in questa zona (Raccolta Lucchetti)

L’esigenza di donare una nuova funzione agli spazi e ai luoghi della città bassa richiede una nuova collocazione degli usi esistenti e pertanto, in seguito al nuovo progetto della sede della Provincia nel 1865 il Mercato del Bestiame viene trasferito nella Piazza d’Armi, proseguendo il suo lungo itinerare, vecchio quanto la storia della città.

Carretti al Foro Boario (Mercato del Bestiame) ai primi del Novecento. Il palazzo dell’Istituto Tecnico non è ancora stato realizzato e si intravede il Macello, nell’omonima via parzialmente tracciata

Nasce da qui la denominazione di Foro Boario (in latino Forum Boarium o Bovarium), toponimo mutuato da un’area sacra e commerciale dell’antica Roma collocata lungo la riva sinistra del fiume Tevere, tra i colli Campidoglio, Palatino e Aventino, che prese il nome dal mercato del bestiame che vi si teneva.

A destra del viale della Stazione il Foro Boario, corrispondente all’attuale Piazzale degli Alpini ed adiacenze, delimitato a sud dal piccolo bar-ristorante, già presente entro il 1876, soglia alla quale la via del Macello (attuale via A. Maj) è già tracciata a realizzata fino alla rogge Nuova e Morlana, delimitando dal 1890 il lato nord del piazzale con il nuovo Macello  comunale

I MERCATI DEL BESTIAME NEL TEMPO

Se in antico i mercati si tenevano nell’antica “Platea S. Vincentii” (attuale area del Duomo), dove a cadenze fisse affluivano i prodotti del territorio (sale, biade, formaggi, ferramenta e panni, bestiame…), con lo straordinario sviluppo commerciale nel periodo della dominazione veneziana il mercato cittadino si frazionò in alcune piazze che nella loro attuale denominazione ancora richiamano l’antico ruolo merceologico: Mercato del Fieno, Mercato del Pesce, Mercato del Lino (ora piazza Mascheroni), Mercato delle Scarpe, dove – afferma Luigi Volpi –  si teneva il mercato degli asini e dei buoi, spostato nel 1430 a Porta Dipinta.

Nel medioevo, per i loro affari tessitori e commercianti facevano riferimento alle barre di ferro riproducenti le misure in uso a Bergamo, murate nella facciata settentrionale di S. Maria Maggiore. Esse testimoniano non solo il ruolo mercantile di questo centro ma anche della necessità di garantire il valore delle misure locali ai mercanti provenienti da altre sedi. Il controllo delle misure dei panni era affidato ai consoli del paratico dei tessitori, sottoposti a giuramento

Nel Duecento in tutta la città solo una beccheria gestita dal Comune era autorizzata alla macellazione e alla vendita e doveva essere già localizzata nell’attuale via Mario Lupo nelle botteghe di proprietà dei Canonici di San Vincenzo. Dopo due secoli le beccherie erano quattro, di cui una in borgo Pignolo, una in San Leonardo e una in Sant’Antonio.

Via Mario Lupo, già via delle Beccherie, dove erano le botteghe della macelleria, di proprietà dei Canonici di San Vincenzo (l’istituzione della Canonica risale al IX secolo)

la “Domus Calegariorum”, in piazza Mercato delle Scarpe, ospitava anche il Paratico dei Beccai (macellai), dove oggi sorge il palazzo della funicolare.

Piazza Mercato delle Scarpe (così chiamata dalla fine del Trecento) e il palazzo della funicolare, fatto costruire da Guidino Suardi sull’area già occupata dalla Domus Calegariorum et Becariurum

Intanto nella città al piano, già prima dell’anno Mille, in coincidenza con le festività del santo patrono si teneva  una grande fiera annuale nel Prato di S. Alessandro, dove con il tempo confluirono tutti i mercati della città, divenendo ben presto un centro economico e finanziario di grande importanza nel circuito delle fiere cittadine italiane ed europee: tanto che alla metà Cinquecento, grazie alla sua grande capacità produttiva Borgo S. Leonardo sembra già somigliare a una piccola città nella città, mentre cresce la tendenza al trasferimento di funzioni sempre più importanti del centro cittadino – la Città alta – verso la città Bassa (trasferimento che aumenterà significativamente con l’erezione delle mura veneziane, erette fra il 1561 e il 1595, ritrovando nuovo vigore nel Sette/Ottocento).

La più antica veduta del Prato di S. Alessandro, risalente al 1450. Dall’alto medioevo, nel vasto slargo a ridosso delle Muraine, in coincidenza con la festività del santo patrono si teneva una fiera provvisoria che ben presto assunse rilevanza internazionale. In questo luogo, a metà tra I borghi di S. Antonio e di S. Leonardo, affluivano le maggiori vie di transito (da un codice agiografico conservato nella Biblioteca di Mantova)

 

A pochi passi dalla Fiera, nel 1454 vengono eretti i portici intorno alla piazza del Borgo S. Leonardo (attuale Piazza Pontida), cuore pulsante della vecchia Bergamo

Nel vasto prato di S. Alessandro, la scarsa durata della manifestazione commerciale (pochi giorni alla fine di agosto), non pretendeva strutture o infrastrutture speciali, se non terreno sgombro ed acqua; ma il sistema di seriole e rogge già esistente e perfezionato nel Quattrocento garantiva il buon funzionamento del periodico affollarsi, oltre che di merci, anche di bestiame, qui presente sin dal 1579 in un mercato settimanale; nel 1593 i Rettori concessero che si tenesse i primi quattro giorni della prima settimana intera di ogni mese.

Anche se non è semplice stabilire come fosse distribuito tale mercato, è noto che in fiera, insieme alle più svariate mercanzie locali affluiva il bestiame allevato nella pianura e nelle valli, da dove scendevano in gran numero animali provenienti da zone specializzate in allevamenti: cavalli da Selvino, pecore da Clusone e Parre (1), muli (dei quali si faceva molto uso nelle miniere per il trasporto del minerale, del carbone, del ferro, ecc.), buoi e vitelli dalla valle Seriana, per i quali si conservava libera una determinata zona.

Da una relazione fatta dagli ispettori della Repubblica Veneta nel 1591 si parla di un mercato dei cavalli lungo la strada che va dal borgo di S. Antonio a S. Leonardo, mentre Gelfi allude per quel periodo ad un mercato del bestiame, specialmente bovino, che si teneva i primi tre giorni della prima settimana del mese (2).

Il bestiame diretto in città sostava nella piana di Valtesse (in antico detto Tegies o Teges per le sue tettoie atte al ricovero delle bestie), dove in parte doveva essere allevato.

La piana di Valtesse dalla Montagnetta (Baluardo di S. Lorenzo)

Nel Settecento, presso il Prato di S. Alessandro si tenevano due mercati del bestiame: uno a maggio e l’altro dal primo all’otto novembre, in occasione del “mercato dei Santi” (il terzo dei mercati annuali cittadini insieme a quelli di S. Antonio e S. Lucia), dove veniva commerciato “bestiame d’ogni specie ed in copiosa quantità”.  Più tardi il governo napoleonico dispose l’allontanamento del mercato del bestiame dalla zona del Sentierone, con la dichiarata volontà di migliorare le porte di accesso alla Fiera, come vetrina della città moderna.

Costantino Rosa, “Il Sentierone e la Fiera”. La Bergamo al piano è dominata dalla grande Fiera di pietra, edificata tra il 1732 ed il 1740 e per molto tempo un importante centro di scambi commerciali di livello nazionale ed internazionale. Sul fondo la città alta, cuore invece dell’attività politica ed amministrativa della vecchia Bergamo (Bergamo, proprietà dr. E. Tombini)

Tralasciando le tante notizie contraddittorie riportate dalle fonti per l’Ottocento, una una carta del 1809 attesta il Mercato dei Cavalli tra il Portello delle Grazie e il Teatro Riccardi (oggi Donizetti), mentre  nella Pianta del 1816 disegnata dal Manzini l’indicazione generica di Mercato del Bestiame compare tra l’attuale Prefettura e l’allora Teatro Riccardi (3), non molto distante dal vecchio Campo di Marte (Piazza d’Armi).

Dislocazione della Fiera di Bergamo in una carta del 1809. Cerchiato in rosso il Mercato dei Cavalli, tra il Portello delle Grazie e il Teatro Riccardi (da M. Gelfi, Op. cit.)

 

Pianta di Bergamo del 1816 disegnata dall’ing. Manzini. Nell’area antistante il quadrilatero della Fiera, il Campo di Marte da un lato e il Mercato del Bestiame dall’altro: quest’ultimo si estendeva tra l’attuale Prefettura e l’allora Teatro Riccardi, oggi Donizetti (M. Gelfi, Op, cit. per la didascalia)

 

Tra Piazza Cavour e via XX Settembre ai primi del Novecento. Solo pochi decenni prima la vasta area antistante la Fiera era occupata solo dal Teatro Riccardi; un’area così grande da ospitare il Mercato del Bestiame e la Piazza d’Armi, dove si esercitavano i soldati della guarnigione

Dopo la metà dell’Ottocento, in previsione della costruzione della sede della Provincia si realizzò un nuovo Mercato del Bestiame presso la nuova Piazza d’Armi, nel grande prato che presto assunse il nome di Foro Boario: un’ampia zona che comprendeva l’area dell’attuale Piazzale degli Alpini e della Stazione delle Autolinee.

Pecore al pascolo al Foro Boario

 

Mandria di bovini al Foro Boario

IL FORO BOARIO, IL MERCATO DEL BESTIAME E IL MACELLO

Come osservato, nel 1857, con l’erezione della Stazione Ferroviaria e l’apertura dell’attuale Viale Papa Giovanni XXIII la città aveva aperto un varco verso sud, continuando quell’opera di rinnovo urbano che era cominciata nel 1837 con l’apertura della Porta Nuova e l’erezione dei Propilei – ingresso monumentale e qualificato alla città degli affari -, seguita immediatamente dall’apertura della Strada Ferdinandea.

Tutta l’area a sud delle Muraine iniziava ad assumere una nuova configurazione, cambiando il volto di un’area che da rurale si apprestava a diventare “urbana”.

Attraverso le mappe del 1876 e del 1892, leggiamo le trasformazioni avvenute nella zona, che riscontriamo anche  nelle tante immagini giunte a noi.

Dal 1865 il nuovo Mercato del Bestiame occupa dunque la Piazza d’Armi presso la Stazione, e suddiviso in Mercato dei Cavalli, dei Bovini e dei Suini (4), attira una vivace folla di compratori e venditori, animando tutta la zona.

Una bellissima fotografia di Cesare Bizioli, risalente al 1885, rende bene l’idea della collocazione del Mercato, posto in corrispondenza dell’attuale piazzale degli Alpini.

Panoramica della Fiera di Bergamo sul “Prato Sant’Alessandro” vista dalle Mura di Città Alta, così come si presentava nel 1885. Davanti alla Fiera il Teatro Riccardi e verso destra i propilei. Oltre l’ultima cortina edificata la chiesa delle Grazie e, al centro dell’immagine, la vasta area non edificata del Foro Boario, preceduta dall’edificio del Macello e da un primo abbozzo dell’attuale via A. Maj (foto di Cesare Bizioli – Raccolta Lucchetti).

Almeno dal 1876 si inizia a tracciare la via del Macello (attuale via A. Maj) fino alla rogge Nuova e Morlana, ed entro il ’92 la via sarà completata, delimitando il lato nord del piazzale con il nuovo fronte del Macello comunale (1890), che possiamo ammirare nelle splendide immagini che seguono.

A fianco del Foro Boario, davanti al nuovo Macello comunale, realizzato nel 1890, la via del Macello (oggi A. Maj) in costruzione, con il Gamba de Lègn carico di pietrame della ditta Fabbrica Lombarda Cementi Riuniti. La via, parzialmente già tracciata almeno dal 1876,  sarà completata nel 1892

 

Via del Macello in costruzione, in un’immagine posteriore al 1890, anno di realizzazione del Macello (Foto Solza)

Intanto, entro il 1876, all’imbocco del piazzale della Stazione sorge il piccolo bar-ristorante intestato a Luzzana Maddalena, poi divenuto Albergo Stazione ed oggi sede di Mc Donald, in Piazzale Guglielmo Marconi.

L’attuale viale della Stazione, all’imbocco del quale sorge il piccolo bar-ristorante intestato a Luzzana Maddalena – oggi sede di Mc Donald – indicato sulla mappa del 1876. In lontananza, la cupola delle Grazie è completata sebbene non si noti il campanile, rialzato successivamente. Si notino le giovani alberature lungo il viale, ancora mancanti in via del Macello (attuale via A. Maj)

 

Il viale nel 1880. Il bar-ristorante ha mantenuto la dimensione originaria, mentre lungo il viale è stato piantumato anche il tratto vicino alla Stazione. Alle spalle del bar-ristorante, il Foro Boario e il primo tratto di via del Macello, anch’esso piantumato. L’edificio del Macello non è ancora realizzato (Foto di Andrea Taramelli)

 

Il viale dopo il 1890: il caffè-ristorante è stato sostituito da un “Caffè Ristorante con Alloggio” in muratura

 

L’Albergo Stazione (1891?)

Alla soglia del 1892 il Foro Boario, dopo la copertura delle rogge e alcuni accorpamenti compare nella sua massima estensione, con le due gradinate che lo delimitano verso il viale per superare il dislivello e il fronte est corrispondente all’attuale via Foro Boario delimitato dal muro dell’ex-Bersaglio.

Pianta di Bergamo del 1893. Si può notare la costruzione delle ferrovie e del Mercato del Bestiame (Foro Boario), così come il nuovo nome della Strada Ferdinandea, suddivisa in  viale Vittorio Emanuele e viale Napoleone III. La Piazza d’Armi è spostata fuori città, tra via Suardi e via S. Fermo

All’interno, compare la tettoia per l’alloggiamento dei cavalli, realizzata nel 1889 ed in seguito ridimensionata.

La tettoia per l’alloggiamento dei cavalli, realizzata nel 1889 e ridimensionata alla soglia dell’1898

Mentre il grande viale e l’area del Foro Boario acquistano via via una loro definizione, a  sud è comparso l’edificio della Ferrovia della Valle Seriana (1882-1884 circa) ed entro il 1906 sarà realizzato quello liberty della Valle Brembana, rappresentando una nuova opportunità economica e un
ulteriore radicamento della centralità di Bergamo nel contesto
montano.

L’edificio della Ferrovia della Valle Seriana, voluta per permettere un più agevole scambio di merci tra le industrie presenti in valle e il resto del territorio nazionale. Quello liberty della Valle Brembana verrà realizzato nel 1904-1906

Nel 1892 la via Paleocapa è ancora da attuare ma già delineata, con in testa il nuovo Palazzo Dolci, eretto in stile eclettico all’incrocio con il viale della Stazione.

Palazzo Dolci, eretto negli anni ‘70 dell’Ottocento, rappresenterà un segno architettonicamente dominante dell’incrocio tra via Paleocapa e il viale della Stazione, dove esprime il linguaggio eclettico del tempo. Il viale è ombreggiato dalle grandi chiome degli ippocastani, ampie e non maltrattate da maldestre potature

 

Veduta da Palazzo Dolci intorno al 1890, tra l’attuale viale Papa Giovanni e via Ermete Novelli. In quest’area, nel 1899 sorgerà il politeama Ermete Novelli e nel 1908 la Casa del Popolo, dove ha sede L’Eco di Bergamo. L’edificio a destra dovrebbe corrispondere al retro dell’odierno Hotel Piemontese, mentre quello a sinistra è un ampliamento del piccolo bar-ristorante intestato a Luzzana Maddalena, in  fronte al piazzale della Stazione, dove ad oggi si sono avvicendati numerosi esercizi di ristorazione. La ripresa mostra il Giardino  e il laghetto del floricoltore Codali (che vi teneva una grande serra), alimentato dalla roggia Ponte Perduto. D’estate fungeva da “piscina”, rigorosamente riservata alla popolazione maschile e affittata a 10 centesimi, mentre d’inverno lo specchio d’acqua ghiacciava diventando pista da pattinaggio e rifornendo ghiaccio per uso domestico. La serra fu poi trasformata in teatro (proprietà Dolci)

 

Il Politeama Ermete Novelli, sorto nel 1899 nella via Ermete Novelli riadattando la grande e singolare serra del preesistente Giardino Codali. In alto si riconosce la mole della Casa del Popolo, costruita agli inizi del Novecento cambiando la fisionomia del viale per la stazione. Fu proprio l’attore Ermete Novelli, con la sua compagnia, a tenere lo spettacolo con il quale si inaugurò la nuova sala. Che tuttavia non durò molto venendo tutta la zona coinvolta nelle trasformazioni del nuovo centro, che interessarono anche i lati del viale della stazione

Oltre il viale della Stazione si sta delineando la passeggiata in continuità del viale stesso con alcuni edifici sparsi .

Foro Boario e Macello

Verso la fine dell’Ottocento, sul lato orientale è quasi completamente aperta la via Foro Boario, impostata sul sito dell’antico Bersaglio, a collegare l’area del Macello con la Stazione Ferroviaria.

Primi del Novecento: il Macello comunale (cerchiato in rosso) affiancato da Casa Benaglio-Nava (in giallo) delimita a nord l’area del Foro Boario. A destra la via Foro Boario (in verde), è rimarcata da una fila di alberi. L’appartenenza ai Benaglio potrebbe riferirsi ai conti Benaglio, famiglia di antichissime origini, da sempre in ruoli chiave nell’amministrazione della città (tra le diverse residenze possedute a Bergamo, la più nota è Villa Benaglia presso S. Matteo a Longuelo). Nel mappale del 1901 l’edificio risulta di proprietà di Nava Giuseppina fu Battista (Roberto Brugali per Storylab), forse l’acquirente successiva Quest’ultima, come indicato in una non ben precisata Guida della città, potrebbe appartenere alla famiglia dei custodi del Macello

 

Il Foro Boario nel 1900, con la cupola della ottocentesca chiesa di S. Anna a far capolino sullo sfondo (Foto di Giovanni Limonta). La via a sinistra, sopraelevata rispetto al piazzale e dove sono assiepati molti spettatori è Via Angelo Maj. Visibile poco più avanti il complesso del Macello Comunale (1890). L’edificio visibile all’interno del Foro dovrebbe corrispondere alla struttura a croce evidenziata nel mappale del 1898. Tutta l’area cambiò volto dal 1921, in seguito alla costruzione dell’Istituto Tecnico Vittorio Emanuele II e alla realizzazione dell’antistante giardino pubblico

 

1897: un gruppo di operai lavora al completamento di via del Macello. Sulla destra è già realizzata la piccola struttura con pianta a croce, visibile nel mappale del 1898

 

Via del Macello nel 1885

 

1910: il viale del Macello sullo sfondo, perpendicolare a via Foro Boario (Raccolta D. Lucchetti)

Agli albori del Novecento, la qualificazione architettonica di tutta l’area ulteriormente viene favorita dalla realizzazione in stile liberty della Stazione della Valle Brembana (1904-1906 arch. R. Squadrelli).

L’edificio della F.V.B a destra e, a sinistra, quello della F.V.S. all’inizio del ‘900

 

La piazza antistante la Stazione Ferroviaria in una foto anteriore al 1912, ancora priva della fontana. Il viale mostra le trottatoie riservate al passaggio dei carri; i tram passavano invece ai lati del viale, doppiando la rotonda occupata da alcune palme, per dirigersi in centro e fino alla stazione della funicolare

 

La nuova fontana della Stazione, inaugurata il 15 giugno 1912 per celebrare il completamento del nuovo acquedotto di Algua, che da quel momento avrebbe alimentato le abitazioni private e le fontane pubbliche al posto della condotta che scendeva dalle sorgenti di Bondo Petello, sopra Albino, che in tempi siccitosi lasciava i rubinetti asciutti. La fontana – un elemento decorativo di notevole efficacia – offrì anche l’occasione per sistemare il piazzale con quattro aiuole contornate dall’elegante barriera in ferro battuto, poi rimosse (la ripresa è dei 1921)

Nel frattempo in viale Roma emergono, in posizione frontale al Foro Boario Casa Paleni (1902-1904), commissionata da Enrichetta Zenoni Paleni a Virginio Muzio e dalla ricca facciata in stile liberty.

Casa Paleni, tra via Novelli e viale Papa Giovanni XXIII. Le trifore curvilinee che decorano tutto il primo piano e gli ornati che vivacizzano la superficie della facciata, furono realizzati in cemento dalla stessa ditta Paleni, che si occupò anche della decorazione della chiesa di Santa Maria delle Grazie

Emerge poi per la compattezza anche se con una composizione più rigida la Casa del Popolo, progettata inizialmente da Virginio Muzio (scavi e posa della prima pietra risalgono al 1904), ma variamente realizzata da Ernesto Pirovano e completata nel 1908, anno della sua inaugurazione.

La Casa del Popolo, l’edificio oggi conosciuto come Palazzo Rezzara, ospita anche la sede de L’Eco di Bergamo. L’edificio fu progettato su incarico del Consiglio direttivo dell’Unione delle Istituzioni Sociali Cattoliche Bergamasche, presieduto da Rezzara

 

La Casa del Popolo, all’angolo tra viale Papa Giovanni XXIII e via Paleocapa. Oltre alle istituzioni cattoliche erano presenti anche un albergo, un ristorante, negozi, appartamenti, la redazione de “L’Eco”, la Banca Piccolo Credito, la cappella, sale di lettura, biliardo e il teatro Rubini che tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio dei Novanta fu sostituito dal Centro Congressi Giovanni XXIII. L’allora Viale della Stazione fu ribattezzato viale Roma – denominazione che mantiene anche oggi nel tratto tra Porta Nuova e via Petrarca -, mentre il tratto tra la stazione e Porta Nuova fu intitolato a Papa Giovanni XXIII

 

Via Paleocapa nel 1910, epoca in cui cominciavano a spuntare diversi villini liberty, solo in parte sopravvissuti. Al numero 9 sorgeva Villa Schubiger (1905-1910), tuttora esistente,  affiancata fino al 1967 da Villa Tadini (al civico 11) e da Casa Zanchi poco più distante, progettata da Ulisse Stacchini, molto attivo in quel di Milano

Dagli inizi del Novecento, anche se in tutto il territorio bergamasco la zootecnica restava una una coltura piuttosto povera e poco evoluta, il Mercato del Bestiame era diventato il principale della Lombardia, grazie alla posizione strategica delle città che catalizzava la produzione proveniente soprattutto dai distretti montani.

Carretti al Foro Boario e il Macello, nel 1903. La ripresa è scattata dall’attuale stazione delle autolinee

Ogni settimana venivano messi in vendita circa 15.000 cavalli, 2.000 fra muli e asini, 25.000 bovini adulti, 2.000 vitelli, 3.000 tra pecore e capre e 3.000 suini (l’afflusso nel corso dell’anno variava a seconda dell’andamento stagionale).

Il mercato, però, serviva soprattutto per l’esportazione, dato che la popolazione operaia era vegetariana “per necessità”, causa le scarse disponibilità economiche (5).

Il Foro Boario agli inizi del Novecento (sicuramente ante 1912 perché manca ancora la fontana della Stazione)

 

Un gregge di pecore al pascolo ripreso nel 1910 da Romeo Bonomelli dal Foro Boario (da Fotografi pionieri a Bergamo, di Domenico Lucchetti)

Tuttavia, verso il 1915, quando il Foro Boario perse la sua agibilità a causa della costruzione di nuovi edifici, il Mercato del Bestiame venne trasferito alla Malpensata, a quei tempi estrema periferia. Nel frattempo, in occasione delle celebrazioni del centenario del Donizetti (1897) si faceva strada l’idea di riqualificare architettonicamente ed urbanisticamente sia il viale Vittorio Emanuele e sia il Foro Boario, porta d’ingresso alla città dalla stazione: i lavori per la costruzione dell’Istituto Tecnico Vittorio Emanuele II e del giardino antistante (attuale piazzale degli Alpini) si avvieranno a partire dal 1921.

Palazzo Nuovo, eretto nel corso del Seicento e attualmente sede della Biblioteca Civica  Angelo Mai, ancora privo della facciata, completata negli anni 1926-27 dallo Scamozzi. L’ex Municipio divenne dal 1873 sede dell’Istituto Tecnico Vittorio Emanuele II (collocato in precedenza presso il Palazzo della Pretura Nuova in via Tasso 4) e venne adattato per ospitare anche la sezione industriale, che inizialmente si trovava in vicolo Aquila nera (trovando poi sede definitiva presso l’ex stabilimento della Società Automobili Lombarda, denominato Esperia). Agli inizi del Novecento, dati i grandi mutamenti che coinvolgevano l’economia e il sistema produttivo della nascente industria, si decise di unificare tutte le sezioni dell’Istituto (alla morte del re intitolato Regio Istituto Tecnico Vittorio Emanuele II) in un’unica sede in Foro Boario, nei pressi della stazione, completandola nel 1936

Intanto il Consiglio Comunale decideva di concentrare diversi mercati presso il Foro e nel 1909 deliberava di adattare 1.700 mq da destinare ad un eterogeneo “Mercato delle verdure”,  da tenersi parallelamente al Mercato del Bestiame.  Si commerciavano prodotti come latticini, granaglie (frumento, granoturco, orzo, segale), riso, lenticchie, fagioli e patate, che costituivano l’alimentazione principale per la maggior parte delle persone (6): con la riqualificazione del Foro Boario, il Mercato delle verdure dovette  confluire – se non tutto, almeno in parte – presso la struttura a pianta ellittica del Mercato ortofrutticolo, costruita su progetto di Ernesto Pirovano (1913-16), con l’affaccio principale su via S. Giorgio. Sotto i suoi porticati liberty avveniva la vendita quotidiana di frutta e verdura, mentre l’edificio principale ospitava gli uffici di controllo e i depositi merci.

Il Mercato Ortofrutticolo di via San Giorgio alla Malpensata, per metà demolito nel 1970, quando vennero abbattuti i  tre corpi di fabbrica porticati che sorgevano in posizione arretrata rispetto a via San Giorgio. A partire dal ’75 l’edificio principale ha ospitato nei locali al primo piano la biblioteca rionale San Tomaso, mentre ora è quasi totalmente dismesso, così come i porticati sopravvissuti alle demolizioni, ormai degradati

IL CICLODROMO/IPPODROMO E BUFFALO BILL

Alla fine dell’Ottocento, fuori la vasta area del Foro Boario, verso l’attuale via Fantoni venne realizzata la struttura del Ciclodromo, teatro di sfide fra corridori ciclisti anche stranieri – dove di certo non mancavano le scommesse – utilizzato anche come Ippodromo.

Nelle intenzioni della società che lo gestiva (la “Società Bergamasca di Sport e Ciclodromo”) avrebbe dovuto essere un grande impianto sportivo, il primo in città per le riunioni velocipedistiche.

La struttura, presente nelle piante dell’epoca, dovette restare in uso per  una ventina d’anni, dal momento che in una cartina del 1920 non è più evidenziata.

Bergamo dall’alto. Foto del 1924 della Società Airone. E’ visibile l’ampia zona libera dell’ex Foro Boario, ora occupata dall’Istituto Tecnico Vittorio Emanuele II e dal giardino antistante. Il Ciclodromo sorgeva poco oltre, in prossimità dell’attuale via Fantoni

In un secondo momento, un altro Ippodromo sarà realizzato nell’area tra l’ex Lazzaretto e i Celestini, da dove dovrà sloggiare nel 1928 per l’erezione dello Stadio Brumana: nella seconda piantina infatti l’Ippodromo accanto al Lazzaretto compare in concomitanza con la struttura del Ciclodromo presso il Foro.

Gli avventori erano accolti all’ingresso da una facciata posticcia, dipinta in stile neogotico su di un rivestimento in legno, con la denominazione della Società in bella mostra.

Carrozze e calessi in attesa di clienti davanti al Ciclodromo, tra la fine dell’Otto e l’inizio del Novecento. Sull’insegna spicca la scritta “Società Bergamasca di Sport e Ciclodromo”. La biglietteria staccava biglietti di prezzo diverso a seconda dei posti occupati lungo la pista: in piedi 50 centesimi; nel palco una lira, mentre per la loggia bisognava sborsare due lire (da Fotografi pionieri a Bergamo di Domenico Lucchetti. Foto di Cristoforo Capitanio)

La pista ebbe un ospite d’eccezione, Buffalo Bill, che all’inizio del secolo si esibì in città per ben due volte (compreso il 1906) a distanza di pochi anni, offrendo uno spettacolo ricco di connotazioni esotiche, non solo con indiani d’America ma anche con cosacchi, arabi, africani… Vi fu anche la singolare sfida con un ciclista bergamasco, Perico, e dopo un’emozionante gara, il grande cow boy a cavallo batté il concorrente in velocipede.

Buffalo Bill a Brescia (per gentile concessione di Livio Beneceretti)

Nel 1906, lo show si svolse in una struttura coperta (un tendone da circo?), sfruttando l’energia di un potente generatore elettrico. I dettagli di questo evento sono descritti minuziosamente da L’ Eco di Bergamo del 3 maggio 1906.

IL MERCATO DEL BESTIAME ALLA MALPENSATA: NASCE IL MERCATO DEL LUNEDI’  

Verso il 1915 dunque, il riassetto di tutta l’area del Foro Boario e la costruzione di nuovi edifici  avevano dato luogo al trasferimento del Mercato del Bestiame nell’allora periferico piazzale della Malpensata, reso agibile in seguito alla recente dismissione del Cimitero di San Giorgio, che si trovava tra la chiesa omonima e il piazzale.

Cappella al cimitero di San Giorgio, alla Malpensata, dismesso nel 1909 quando già da qualche anno era in funzione il Monumentale; la sua struttura resistette in loco fino agli anni ’40

E fu grazie al nuovo Mercato del Bestiame, che si teneva il lunedì, che si consolidò l’usanza di allestire alla Malpensata il grande ed eterogeneo “mercato del lunedì”, dove sino a poco tempo fa si smerciavano i prodotti più svariati.

Ripresa fotografica del 1925 circa: i l nuovo Mercato del Bestiame trasferitosi alla Malpensata verso il 1915 (Raccolta Lucchetti)

Il lunedì, giorno di mercato, i primi a riversarsi in città erano i mandriani provenienti dal contado, che si davano di turno e di cambio ogni qualche lunedì; viaggiavano sistemati per lo più su carri e carretti trainati da cavalli e talvolta da muli, stracolmi di bovini destinati al macello o al mercato che lo concerneva.

“Tentavano l’avventura nella città e i meno timidi addirittura all’ingresso di quelle case un po’ riposte le cui vestali, come se li trovavano davanti, subito li portavano al lavandino del servizio annesso alle stanze fatali per un cautelare ‘rigoverno’. Un’operazione sempre opportuna prima degli abbandoni a mercenarie lascivie”.

Per le povere bestie, il viaggio verso Bergamo “era una tappa interlocutoria verso la soluzione finale che gli animali presentivano e denunciavano in lamentazioni struggenti; lamentazioni che nella bella stagione risvegliavano subito quei cittadini che dormivano con le finestre aperte. C’era poi anche il sottofondo, il grufolio dei porcelli contrappuntato, nel periodo pasquale, dai belati delle caprette che già vedevano il figlioletto sgozzato, arrostito e offerto in bella vista tra verdi grasèi e gialle polente”. A questi suoni si univano le urla dei venditori.

Ripresa fotografica del 1925 circa: i l nuovo Mercato del Bestiame trasferitosi alla Malpensata verso il 1915 (Raccolta Lucchetti)

Dopo le bestie e i mandriani, al mercato arrivavano i mediatori – col fazzoletto al collo tenuto da un anello – i venditori e i rivenditori, così come gli acquirenti di granaglie e di concimi, gli allevatori con i loro esperti di fiducia, i rappresentanti delle ditte produttrici di attrezzi e macchine agricole.

Ripresa fotografica del 1925 circa: i l nuovo Mercato del Bestiame trasferitosi alla Malpensata verso il 1915 (Raccolta Lucchetti)

Tutti armati di taccuini e di matite copiative, si allogavano ai tavolini dei caffè e delle mescite del centro, dove alcune osterie raccoglievano i mediatori delle valli ed altre quelli della pianura. Solitamente il Caffé Dondena (poi demolito) raccoglieva i subalterni, mentre i “padroni” si recavano al Cappello d’Oro, dove poi avrebbero pranzato.

Appena fuori Porta Nuova, sorsero presto numerosi alberghi e ristoranti per accogliere i viaggiatori. Il Cappello d’Oro, a sinistra della fotografia, assicurava anche il noleggio di carrozze

Nel secondo pomeriggio, dopo aver congedato i mercanti ormai ubriachi (qualcuno diretto alla corriera ed altri a piedi, spingendo col bastone fino a casa le bestie acquistate), costoro prendevano la via di quelle case dove già avevano indugiato i giovani mungitori, aggirandosi in quei vicoli intorno a Piazza Pontida, dai nomi un po’ misteriosi (del Bancalegno, dei Dottori, di San Lazzaro, della Stretta degli Asini) dove “pulsava la presenza, domiciliare e lavorativa, di signorine o ex signore, talora anche un po’ sul declino, dai fascinosi nomi d’arte: la Parigina, la Sigaretta, la Fornarina, l’Avorio Nero, la Nuvola. Le favorite degli operatori del lunedì che più potevano spendere e che potevano anche concedersi una cenetta al Ponte di Legno” (7).

Quando il sole cedeva alla sera e si rinfrescava l’aria, Città alta si profilava nel cielo nitida e sola, ed estranea ai mercati del Borgo sembrava una gran dama, che dal suo balcone assisteva sorridente a una festa di paese.

Resistettero quei lunedì non troppo oltre l’ultimo dopoguerra.

Negli anni Cinquanta, specialmente in occasione del “mercato del lunedì” il palazzo della Borsa Merci fu a lungo sede di contrattazioni ed infine si pensò alla realizzazione di un nuovo Mercato del Bestiame e di nuovo Macello pubblico.

Il palazzo della Borsa Merci, realizzata nel 1954 su progetto di Marcello Piacentini per conto della Camera di Commercio di Bergamo. L’edificio si sviluppa tra viale Vittorio Emanuele II e via Francesco Petrarca e costituisce il completamento del disegno urbano per l’odierna piazza Libertà. I locali per le contrattazioni venivano affittati singolarmente. Il piano interrato ospitava i servizi della borsa e alcuni locali adibiti a esposizioni temporanee dominati dalla presenza di un pilastro centrale che Angelini rivestì con ventidue tipi diversi di marmi, provenienti dalle valli bergamasche, che costituiscono un’allegoria della maschera di Arlecchino. Angelini  l’artefice delle soluzione spaziali adottate per gli interni, di cui progettò anche gran parte dell’arredo. L’edificio ospita oggi diverse attività commerciali e amministrative

LA TRADIZIONE DEL LUNA PARK

Come testimoniato dalle tante immagini giunte a noi, per molto tempo l’antesignano del Luna Park trovò la sua collocazione ideale nell’allora Piazza Baroni, sull’area oggi compresa tra il Palazzo di Giustizia e il Palazzo della Libertà, a pochi passi dai pazienti ricoverati presso il vecchio Ospedale di San Marco, a lungo costrette a condividere la promiscuità con gli schiamazzi e gli olezzi provenienti dall’area.

Era la parte riservata al divertimento della Fiera di Sant’Alessandro, che richiamava un gran numero di persone dalla provincia e dalle regioni vicine. Arrivavano giocolieri, saltimbanchi, piccoli circhi, ambulanti; meraviglie e attrazioni di ogni genere: le oche ammaestrate, la donna barbuta, il gorilla, la balena impagliata. Ma venivano presentate anche le meraviglie del secolo, compresa la fotografia, che un fotografo ambulante portò a Bergamo poco dopo l’invenzione di Daguerre.

Accanto a Piazza Baroni, la futura via Verdi (anche via Tasca ancora non esiste) fa da spartiacque alle baracche e ai tendoni che costituiscono la parte più ludica della Fiera, quella degli animali da circo e dei fenomeni da baraccone. Un articolo dell’”Eco” riferisce che il 24 agosto del 1908, in occasione della festa di Sant’Alessandro in fiera, in Piazza Baroni si promuovevano diverse iniziative. Sul fondo si distinguono, sulla sinistra la facciata del tempio evangelico, uno dei primi edifici del nuovo centro cittadino, ai margini della via Ferdinandea ora viale Vittorio Emanuele II; sulla destra il campanile della chiesa di S. Alessandro in Colonna (terminato nel 1905) e a destra l’Ospedale di San Marco (fondato nel 1458 e completato nel ‘500), demolito nel 1937

 

Scene di vita dalla vecchia Fiera del “Prato S. Alessandro”. Dai tendoni sullo sfondo si nota che la zona è quella dedicata ai divertimenti nello spazio esterno ai casotti

Con l’abbattimento della Fiera verso la fine degli anni Venti, il Luna Park trovò una sede più idonea presso il Foro Boario, dove – racconta Luigi Pelandi – si ergeva solitamente un grande anfiteatro a mo’ d’arena e dove soprattutto durante il periodo della Fiera si combinavano delle ascensioni con il globo aerostatico, esercizi di acrobazia, esibizioni ginniche, corse di cavalli, ed altro ancora.

Acrobati motociclisti nel 1915 in Piazza Baroni o presso il Foro Boario? Un dubbio sollevato da Adriano Rosa in Storylab: “Il presunto vincitore è posto su una motocicletta, e alle sue spalle è presente una struttura che pare essere circolare, tipica di quelle dove si svolgono le acrobazie dette “giro della morte”. Inoltre anche sullo sfondo compaiono disegni di motociclette. Infine si notano due scritte “Faust” e “Radames”, che rimandano a due famose opere liriche (Radames, indirettamente, è un personaggio dell’Aida). Se ricordo bene ciò che ho letto da qualche parte, questi spettacoli venivano effettuati in una struttura eretta in Piazza Baroni o in Foro Boario”

 

Un “ottovolante” al Foro Boario, nel 1929

In seguito, per un breve periodo si posizionò nei giardini della Casa del Popolo (sede odierna de L’Eco di Bergamo) e successivamente, per un certo periodo (verosimilmente nel dopoguerra) dovette sostare nel grande campo incolto che si estendeva tra l’attuale piazza della Repubblica e viale Vittorio Emanuele.

Appena dopo la seconda guerra mondiale, la zona tra l’attuale piazza della Repubblica e viale Vittorio Emanuele era ancora un campo incolto. Sullo sfondo, Casa S. Marco (1938), la Casa Littoria (Casa della Libertà, 1936) e il Palazzo delle Poste, inaugurato nel 1932

Agli albori degli anni Cinquanta, la costruzione del palazzo dell’INPS e la riqualificazione del piazzale costrinsero i baracconi della Fiera di Sant’Alessandro a trasferirsi sul piazzale di terra battuta della Malpensata, dove periodicamente, da qualche tempo doveva stazionare il Circo equestre, di cui si conserva una testimonianza.

Anni Cinquanta: il Circo di Darix Togni – domatore di tigri – alla Malpensata. Alle spalle si riconosce l’edificio della “Bonomelli”,  prima dei vari ampliamenti e ristrutturazioni susseguitesi negli anni. L’edificio con le quattro finestre sovrapposte fa ora parte di un’ala che arriva fin quasi alla ex pista di pattinaggio su ghiaccio

Una fotografia datata 1957/58 – Elefanti alla “Zuccheriera” di Porta Nuova – attesta per quegli anni la presenza di un Circo equestre nelle vicinanze del centro; l’abbigliamento estivo dei bambini lascia supporre che la ripresa sia stata eseguita in primavera, in occasione dell’allestimento del Circo alla Malpensata.

Elefanti all’ “abbeverata” di Porta Nuova (la Zuccheriera) nel 1957/58 (Fondo Fausto Asperti – Museo delle storie di Bergamo)

 

Una rara immagine dei baracconi della Fiera di S. Alessandro, intorno alla fine degli anni Cinquanta, con il piazzale della Malpensata ancora spoglio. In quello che allora veniva chiamato “Autosprint”, il circuito a forma di 8 visibile in primo piano, sfilarono in un primo tempo delle automobiline piuttosto veloci che ricordavano la Giulietta spider, venendo poi sostituite da Go Kart. In secondo piano si vede l’Autoscontro mentre a destra si intravedono le famose “Gabbie”

 

Via Don Bosco dal piazzale della Malpensata intorno alla fine degli anni Cinquanta, come si evince anche dal “grattacielo” di via Tiraboschi visibile in alto a destra e risalente a quel periodo. La ripresa fu scattata dalla ruota panoramica della fiera, della quale si intravede uno scorcio di baraccone in primo piano. “Cosi’ si presentava l’incrocio Via Carnovali-Via Don Bosco, con quel distributore (marchio Caltex, se ricordo bene), che resto’ lì per molto tempo, fino alla fine degli anni ’70. Una zona molto cambiata, quasi tutti gli edifici sulla sinistra sono stati demoliti, sostituiti da enormi condomini. Il grande edificio del gasometro, la cui demolizione è stata completata da poco per la costruzione del parcheggio, è appena fuori quadro, Ci sono due campanili visibili: quello piccolo a sinistra è della Chiesa di San Giorgio, quello più alto è quello, inconfondibile, di S. Alessandro. La foto fu scattata ad Agosto, quando sul piazzale della Malpensata si teneva il Luna Park” (Adriano Rosa per Storylab. Fotografia caricata da Pietro Bellavita)

In occasione della sistemazione del piazzale della Malpensata, messo a punto nel ’64, il Luna Park della festa patronale di Sant’Alessandro si trasferì presso il Piazzale della Celadina, dove rimase per una cinquantina d’anni finché di recente non venne spostato in un’area adiacente.

Piazzale della Malpensata, 1964

LA RIQUALIFICAZIONE DEL FORO BOARIO E LA COSTRUZIONE DELL’ISTITUTO TECNICO VITTORIO EMANUELE II

Mentre la nascita, tra  il 1882 e il 1906, degli edifici delle Ferrovie delle Valli  rappresenta un primo segno di qualificazione architettonica dell’area, sull’ampio piazzale si realizzano interventi tesi a razionalizzare e concentrare diverse attività, destinando – come detto – 1700 mq del foro per il Mercato delle verdure.

Con le celebrazioni del centenario del Donizetti (1897) comincia tuttavia a farsi strada un progetto di più ampio respiro, teso a riqualificare il viale Vittorio Emanuele e il Foro Boario, che costituiscono la porta d’ingresso alla città dalla stazione.

L’evoluzione novecentesca del viale della Stazione, poi viale Roma ed oggi Papa Giovanni XXIII

La decisione di collocare sul sito il nuovo palazzo per accogliere l’Istituto Tecnico Vittorio Emanuele II (concepito come embrione di una cittadella degli Studi), realizzando il nuovo giardino pubblico antistante, sarà determinante nella definizione dell’attuale area del piazzale.

 

Dopo la posa della prima pietra il 23 settembre 1913 alla presenza del re Vittorio Emanuele III, l’edificio verrà costruito in due diverse fasi, di cui gli studi riportano date discordanti.

Due ali di folla, con bandiere, applausi e grida “Viva il re!” al passaggio a Porta Nuova del corteo con l’auto – scortata da carabinieri in bicicletta – sulla quale sfila Vittorio Emanuele III in visita alla città il 23 settembre 1913. In questa occasione il re presenzia alla posa della prima pietra dell’lstituto Tecnico in Foro Boario e all’inaugurazione del monumento a Cavour. Inoltre compie una visita l’lstituto Italiano d’Arti Grafiche ed un’altra in Città Alta e alla Cappella Colleoni (da “Fotografi pionieri a Bergamo” di Domenico Lucchetti – Foto di Giuseppe Locatelli)

Il progetto, che prevedeva per il complesso un’impostazione a C e a prospetto lineare con un corpo centrale emergente, fu affidato all’ing. Michele Astori, ma venne indetto un concorso di architettura per la facciata nel 1913, vinto da Marcello Piacentini. Luigi Angelini coordinerà i lavori, su cui poi interverrà con delle modifiche l’ing. Ernesto Suardo.

La prima ala venne terminata nel 1922 e completata nel 1934-1936 con la variante del corpo centrale disegnato dal Piacentini (8), mentre il complesso è completato nel 1936 e nell’ottobre dello stesso anno è inaugurata l’ala nuova (9).

La fabbrica del primo lotto (1818) dell’Istituto Tecnico Vittorio Emanuele II. A lavori ultimati, comprendeva 13 aule, 6 aule speciali, 6 di disegno, 4 laboratori (fisica, elettrotecnica, chimica generale, chimica industriale)

 

Il secondo lotto dell’Istituto Tecnico Vittorio Emanuele II, completato nel 1936. Venne occupato dall’Istituto Industriale, che nel 1919 trovò sede nella ex fabbrica di automobili Esperia, lasciando dunque spazio al neonato liceo scientifico. L’edificio fu infatti fortemente voluto per i grandi mutamenti che coinvolgevano l’economia e il sistema produttivo della nascente industria

 

 

In una foto del 1924, il primo lotto dell’Istituto Tecnico Vittorio Emanuele, concluso nel 1922. In primo piano il nuovo giardino realizzato nei primi anni Venti da P. Pesenti. Costruita la prima ala dell’Istituto Tecnico e realizzato il primo impianto dei giardini pubblici, l’area del Foro Boario ospiterà gli stand della Fiera campionaria (che in precedenza si teneva nel cortile del Palazzo Tre Passi) e gli espositori – industriali, artigiani, commercianti, agricoltori – raddoppieranno

 

Una fotografia priva di data, con l’impianto del giardino non ancora ultimato e piantumato

Nel corso dei lavori del primo lotto il Comune realizza il primo impianto dei giardini pubblici che, seppur diverso rispetto al progetto iniziale (10), è ben evidenziato nelle foto aeree del 1924 con la rete geometrica dei vialetti e il parterre della sezione centrale che enfatizza l’architettura aulica e monumentale del nuovo edificio.  Le due ampie piazzole ai lati erano destinate ad aree di sosta.

Volo aerea del 1924, dettaglio sul Foro Boario e contesto (Civica Biblioteca Angelo Mai Bergamo), Si noti anche l’ampio viale allineato con il muro di cinta meridionale delle scuole, a delimitare il confine del giardino. Nel 1927 sono citati alcuni aceri, due magnolie, due laurus a palle e cinque laurus a piramide

 

Da Raccolta Lucchetti (l’annullo postale è del 1930). Nel 1922 l’edificio in Foro Boario ospita il l Regio  Istituto Tecnico, ridotto alla sola sezione Commercio – Ragioneria

Mentre l’intero Foro si anima Foro con la presenza di alcuni chioschi e di strutture di svago, Bergamo cresce; di lì a poco, tra il 1933 e il ’36 verrà realizzata la nuova Stazione delle Autolinee, che si raccorderà al giardino pubblico – posto a una quota inferiore – mediante un’ampia gradinata di collegamento.

Bergamo dall’alto. Foto del 1924 della Società Airone. L’Istituto Tecnico Vittorio Emanuele II nell’area dell’ex Foro Boario, come si presentava al termine della prima fase della sua costruzione. Si nota la Chiesa delle Grazie con ancora il vecchio campanile, mentre dietro la cupola, nell’attuale via Taramelli è visibile la ciminiera del Cotonificio Reich. Oltre la via A. Maj, verso le vie Bono, Rovelli e David emergono le tante fabbriche dell’epoca: la lombarda Cementi, Molini Bergamo, Cesalpinia, Agnelli, Molini Callioni, ed altre. In lontananza, la ciminiera più alta: quella del Linificio e Cotonificio Oetiker di via A, Maj

 

L’ARRIVO DELLA STAZIONE DELLE AUTOLINEE CANCELLA LA TORRE E LO STADIO “BARLASSINA”

Nel 1957 la stazione è sottoposta ad una complessiva ristrutturazione per la realizzazione della Stazione delle Autolinee, in occasione della quale viene innalzato il grande arco di sostegno in cemento e tiranti e della struttura delle pensiline: il terminal venne ritenuto all’avanguardia.

La Stazione dellle Autolinee vista da sud. Venne realizzata nel 1957, con il grande arco di sostegno  della struttura delle pensiline. Oltre ai negozi e bar, la zona era provvista anche di un albergo diurno con docce pubbliche

 

La nuova Stazione delle Autolinee con a fianco, l’edificio liberty della Ferrovia della Valle Brembana, opera dell’arch. Squadrelli

E’ probabilmente in questa occasione che viene demolita l’alta torre che sorgeva a lato del fronte sud-est dell’Istituto Tecnico, la cui collocazione si precisa in alcune immagini di repertorio.

1924: a destra dell’Istituto Tecnico Vittorio Emanuele II, la torretta di Piazzale Marconi. Come ipotizzato nei commenti di Storylab, poteva trattarsi di una cabina elettrica appartenente alla società privata Orobia

 

La torretta di Piazzale Marconi, presso il Foro Boario

La ritroviamo in altre due riprese eseguite probabilmente per immortalare la piena del torrente Morla del ’37 e del ’49.

A sinistra, la torre in Piazzale Marconi nel 1949, verosimilmente demolita intorno al 1965 per la realizzazione della Stazione delle Autolinee. Il piazzale è allagato probabilmente a causa della piena della Morla di quello stesso anno. Lo stadio “Barlassina”, demolito negli anni Cinquanta, si trovava proprio oltre la muraglia sovrastata dalla scritta (casuale quanto azzeccata) “Masera” (“a macero” nel dialetto locale) (Archivio Wells)

 

Un’altra immagine della , la torre in Piazzale Marconi nel 1937, probabilmente scattata in occasione della piena della Morla registrata dalle cronache. Poco distante, l’edificio della Stazione della Valle Brembana

 

Estratto da Piano regolatore della Città di Bergamo del 1906, il corso del torrente Morla nellarea della Stazione Ferroviaria (Archivio Ra.pu)

Ed è probabilmente a causa della realizzazione della Stazione delle Autolinee che viene abbattuto il piccolo Stadio Barlassina (11) che sorgeva a fianco della F.V.B. e di cui è difficile reperire la data di costruzione.

Inizi anni Cinquanta: la demolizione dello Stadio Barlassina, nell’area dove venne realizzata la Stazione delle Autolinee. Quei vagoni ferroviari dovrebbero appartenere alle Ferrovie delle Valli. Il tamburo a destra dovrebbe essere quello di S. Anna; l’edificio a destra è ancora esistente (anche se ridotto nelle volumetrie) quasi all’incrocio tra le vie Foro Boario e Bono, così come gli edifici retrostanti

Si è osservato che l’origine del nome Barlassina potrebbe derivare dall’arbitro più famoso degli anni Trenta, Rinaldo Barlassina – di origine novarese – scomparso a Bergamo nel 1946 per un incidente stradale. Se ciò fosse vero, il campo di calcio dovette perdurare solo per pochi anni in quanto il piccolo stadio, con il fondo in in terra battuta, venne demolito agli inizi degli anni Cinquanta.

La struttura occupava parte dell’area dell’attuale Stazione delle Autolinee e confinava con la FVB.

Pizzale Marconi nel 1953: il “Barlassina”, che sorgeva a lato della F.V.B., è da poco scomparso per fare spazio alla rinnovata Stazione delle Autolinee (Foto Wells)

D’estate il campo ospitava il celebre torneo detto “Notturno”,  poi sostituito dal “Palio 18 Isolabella” che negli anni ’50/’60 si teneva ogni sera d’estate e con grande affluenza di pubblico sul campo dell’Olimpia nell’Oratorio di Borgo Palazzo, a cui partecipavano – profumatamente pagati e sotto falso nome – anche calciatori professionisti (12).

IL DOPOGUERRA E LA NASCITA DEL “GIARDINO LUSSANA”

Nel Dopoguerra, tra i vari progetti avviati per la ricostituzione del patrimonio arboreo delle aree verdi pubbliche devastate durante la seconda guerra mondiale, si avvia quello del “Giardino Lussana”, nome che assume il giardino antistante l’Istituto Vittorio Emanuele II.

Dopo qualche variante apportata nel luglio del ’46 viene realizzato il nuovo giardino progettato da Luigi Angelini, con il viale in asse con la facciata dell’Istituto e l’aiuola centrale con piazzola. Le immagini raccontano la sua evoluzione.

Come previsto nell’atto di cessione del lotto di terreno, le piantumazioni hanno  lasciato libera la visuale dal viale Roma al corpo centrale della facciata principale dell’Istituto Tecnico

 

Il  giardino in un immagine antecedente al 1962

 

Il Giardino Lussana ancora privo del monumento all’alpino in una foto non datata

Nel frattempo via Paleocapa va assumendo il volto attuale.

Via Paleocapa, con a sinistra l’ex Casa del Popolo, oggi Palazzo Rezzara, con visibili l’ingresso dell’Hotel Moderno e del Cinema Rubini (sostituito tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio dei Novanta dal Centro Congressi Giovanni XXIII). A destra il Palazzo Dolci

DAL MONUMENTO ALL’ALPINO AL DECLINO E ALLA RINASCITA DELL’AREA

Nella Bergamo da tempo privata di un monumento dedicato agli alpini ed in seguito alle pressanti richieste degli alpini bergamaschi, nel 1957 si decide finalmente di issare in città un nuovo monumento. Per la collocazione la scelta cade sul Giardino Lussana, ed in seguito a un concorso nazionale vengono affidate agli arch. Giuseppe Gambirasio, Aurelio Cortesi e Nevio Armeggiani la progettazione, la collocazione e la realizzazione dello slanciato monumento con vasche d’acqua dedicato agli alpini, mentre la scultura bronzea dell’Alpino arrampicante è di Peppino Marzot.

La posa della prima pietra avvenne il 31 gennaio del 1960 e per desiderio degli alpini bergamaschi l’inaugurazione viene fatta coincidere con l’adunata nazionale degli alpini, che si terrà a Bergamo il 18 marzo del 1962.

L’altezza del monumento diventa un preciso riferimento urbano, accentuando maggiormente la centralità dell’impianto del giardino – titolato d’ora in avanti Piazzale degli Alpini -, a scapito della visione del palazzo dell’Istituto Tecnico.

Il monumento all’Alpino nel piazzale degli Alpini. Al fine di valorizzare il monumento, nella fontana non vengono realizzati giochi d’acqua

 

Pianta topo-idrografica della città di Bergamo e sobborghi dell’Istituto Geografico Militare, compilata e disegnata dall’Ing. Roberto Fuzier nel 1896. Sono indicate le rogge principali e i canali secondari derivati. L’area è ricca di corsi d’acqua: in corrispondenza della fontana la roggia Nuova e la Coda Morlana si uniscono dando origine alla roggia Ponte Perduto

Negli anni 80 inizia il declino della Stazione delle Autolinee, con l’aumento degli scippi, delle rapine e soprattutto dello spaccio di droga. La sala d’aspetto diventa un bazar dello spaccio e ostello per sbandati e clochard di ogni sorta.

Clochard in viale Roma, anni ’70

Mentre crescono le retate e i presidi delle forze dell’ordine, e crescono le telecamere, si muove anche la solidarietà con l’istituzione del camper di Don Fausto Resmini e i volontari della Caritas. Nel 2010 iniziano i lavori per riqualificare il piazzale degli Alpini per la costruzione del moderno Bergamo Science Center (arch. Giuseppe Gambirasio e Marco Tomasi), finchè non si approda all’ennesimo restyling dell’area, frutto di storia recente.

 

VECCHI RICORDI DI VIA ANGELO MAJ

Nel 1953 il vecchio Macello comunale di via A. Maj fu spostato alla Celadina e poco dopo la sua demolizione fu costruito l’istituto Secco Suardo.

Via Angelo Maj e, in primo piano, il vecchio macello cittadino. L’immagine è antecedente al 1953, anno in cui il vecchio macello della città fu spostato alla Celadina. Dopo il trasferimento l’edificio fu demolito per fare posto all’istituto Secco Suardo (Archivio Wells)

Nella stessa via, oggi trasfigurata, c’erano altre attività storiche come il Mulino Oleificio Callioni, la Trattoria del Bue Rosso e l’edificio del Monopolio di Stato. Quest’ultimo era stato costruito prima della seconda guerra mondiale e per tantissimi anni aveva mantenuto la stessa impostazione: tabacchi sulla destra, sale sulla sinistra, un ampio cortile ombreggiato da un grande fico al centro.

Poi i Monopoli arrivarono al capolinea, con l’affidamento della manifattura e della distribuzione del tabacco ai privati ponendo fine a una delle ultime testimonianze di quella che può essere considerata una vera e propria epopea.

Uno dei carretti che si aggiravano in città per conto del Monopolio di Stato. Trasportava sale e tabacchi, raggiungendo anche Città Alta, forse percorrendo il viale delle Mura per evitare che il ronzino si affaticasse lungo le ripide strade. Il capo chino, le orecchie basse e il passo lento, per le strade piane del centro, sono un ricordo familiare per molti. Questo  carretto doveva circolare ancora intorno alla metà degli anni Settanta, come si evince anche dalle automobili riprese, e c’è chi lo ricorda ancora almeno oltre la metà degli anni Ottanta, anche se in un primo periodo il cavallo bianco veniva utilizzato alternativamente ad un cavallo marrone. Negli ultimi periodi venne invece utilizzato un cavallo nero

 

1979: l’ultimo cavallo che trainò il carretto del Monopolio; il conducente era il signor Magri. Il carretto è ripreso all’altezza della ricevitoria del Totocalcio, a fianco del Teatro Donizetti. E’ strano che in un periodo come quello il monopolio si servisse ancora di un carretto per recapitare le sue merci. O forse, chissà, può essere stata una scelta del “carrettiere”: forse non lo sapremo mai, ma ci resta pur sempre questo bellissimo ricordo (Ph Giuseppe Preianò)

Dopo la loro privatizzazione, avvenuta tra la fine degli anni Novanta e gli inizi del nuovo secolo, nel giugno del 2005 lo storico deposito di via A. Maj è stato ceduto dallo Stato e destinato a complesso residenziale e negozi, evocando nel  nome (Residenza Monopoli) i gloriosi trascorsi.

In lontananza il profilo del vecchio Macello, prima del 1953

Pur pur non presentando alcun pregio artistico,  l’intervento edilizio, eseguito su progetto dell’architetto Pietro Valicenti, ha mantenuto, ristrutturandolo, il fronte su via Maj perché legato al vincolo imposto dal vecchio piano regolatore. L’unica modifica ha riguardato l’ampliamento dei riquadri sulla facciata che sono stati rimpiazzati da ampie finestre.

 

Note

(1) A Bergamo la lana era prodotta e commerciata già dal Duecento e nel ‘500 Bergamo, Milano e Como, costituivano di gran lunga la principale area laniera italiana e una delle principali d’Europa, cosicché, nella seconda metà del ‘500, grazie al raggio d’azione internazionale dei potenti mercanti bergamaschi legati soprattutto alla manifattura della lana (settore fondamentale in ambito tessile bergamasco), la grande Fiera di Bergamo godeva del suo massimo splendore. La manifattura tessile legata soprattutto al settore laniero legato ai panni di lana della Val Gandino (una delle  componenti essenziali della Fiera) si esaurì rapidamente con la caduta della Repubblica di Venezia, per gli ostacoli posti al commercio internazionale e dal ripetuto variare dei regimi doganali, che nel periodo napoleonico favoriscono i mercati francesi. Il settore laniero era ormai incapace di reggere la concorrenza lombarda, soprattutto milanese (da M. Gelfi, La fiera di Bergamo: il volto di una città attraverso i rapporti commerciali, Ed.Junior, 1993).

(2) M. Gelfi, Op, cit.

(3) M. Gelfi, Op, cit.

(4) Comune di Bergamo – Area Politiche del Territorio – Concorso di Progettazione per tre piazze a Bergamo: Piazza Carrara, Piazzale Risorgimento, Piazzale Alpini. Luigi Pelandi (Op. cit.) afferma che nel 1857 al Foro Boario fu trasportato il Mercato bovino e, nel 1870, anche quello equino. Al mercato equino, Luigi Volpi (Op. cit.) aggiunge anche il mercato fessipede.

(5) LA S.A.B. AUTOSERVIZI – Più di cent’anni ma non li dimostra. Ricerca condotta da: Chiara Caccia, Stefano Negretti, Maria Grazia Pirozzi.

(6) Ibidem.

(7)  Rievocazione di Emilio Zenoni in: Pilade Frattini, Renato Ravanelli, Op. cit.

(8) Comune di Bergamo – Area Politiche del Territorio – Concorso di Progettazione per tre piazze a Bergamo, Op, cit.

(9) A cura di Giovanni Luca Dilda, La sezione ottocentesca dell’archivio del Vittorio Emanuele II.

(10) La realizzazione dell’impianto, progettato dall’arch. Michele Astori, fu rimandata per via del conflitto mondiale e probabilmente non venne eseguita. Esso era impostato su un viale centrale ad enfatizzare la facciata del palazzo e un viale perpendicolare aderente alla facciata per dare continuità e attenzione alla visuale con città alta, ma non è chiaro se in un primo momento fosse stata adottata la soluzione del viale centrale. Il disegno è conservato presso la Civica Biblioteca Mai Bergamo. Nel 1923 la Giunta approvava un progetto di sistemazione a giardino «con piante, vialetti e pietre» di cui rimane un disegno (Comune di Bergamo – Area Politiche del Territorio – Concorso di Progettazione per tre piazze a Bergamo, Op, cit.).

(11) Pilade Frattini e Renato Ravanelli, Op. cit.

(12) Pilade Frattini e Renato Ravanelli, Op. cit.

Riferimenti principali

Comune di Bergamo – Area Politiche del Territorio – Concorso di Progettazione per tre piazze a Bergamo: Piazza Carrara, Piazzale Risorgimento, Piazzale Alpini.

“Il Novecento a Bergamo – Cronache di un secolo”. Di Pilade Frattini e Renato Ravanelli. A cura di Ornella Bramani – Vol. II. UTET. Anno 2013.

Mauro Gelfi, La fiera di Bergamo: il volto di una città attraverso i rapporti commerciali, Ed.Junior, 1993.

Luigi Volpi, Vecchie botteghe bergamasche. La Rivista di Bergamo (anno sconosciuto).

Maria Mencaroni Zoppetti (a cura di), L’Ospedale nella città – Vicende storiche e architettoniche della Casa Grande di S. Marco. Collana: Storia della sanità a Bergamo – 1. Fondazione per la Storia Economica e Sociale di Bergamo.

Luigi Pelandi, Passeggiando per le vie di Bergamo scomparsa – La Strada Ferdinandea – Collana di Studi Bergamaschi – A cura della Banca Popolare di Bergamo. Bergamo, Poligrafiche Bolis, 1963.

Mariola Peretti, L’ex Mercato ortofrutticolo di Bergamo, terra di nessuno.

Luigi Angelini, Il volto di bergamo nei secoli, Bolis, 1952.

A cura di Giovanni Luca Dilda, La sezione ottocentesca dell’archivio del “vittorio emanuele II”.

RINGRAZIAMENTI

A Storylab e in particolare a Giuliano Rizzi, Adriano Rosa , Roberto Brugali, Adriano Colpani, Duccio Crusoe e Sergio Meli per Casa Benaglio-Nava in via del Macello e per alcune preziose  informazioni concernenti il Luna Park,  lo Stadio Barlassina, la torretta presso la Stazione, il Circo Togni alla Malpensata nonchè il Ciclodromo.

Bergamo nel passato, fra rogge, torrenti e canali

Insieme al torrente Morla la città di Bergamo è interamente attraversata da una fitta geografia sotterranea di antichi canali, oggi in gran parte interrati, la cui presenza ha intrecciato per secoli un rapporto strettissimo con la vita, le attività e le abitudini dei Bergamaschi, svolgendo un’importante funzione nell’assetto topografico e nell’evoluzione economica della città prima del loro degrado e della conseguente, parziale copertura.

Con un pizzico d’immaginazione, di quel passato non poi così lontano possiamo sentire ancora l’eco: nei luoghi più appartati dei vecchi rioni è ancora possibile imbattersi nei vecchi canali oppure sentire, attraverso grate e chiusini, l’umidore del fiume imprigionato sotto la città e quasi dimenticato.

I MODULI DI PLORZANO E LA ROGGIA SERIO NEL QUARTIERE DI BORGO S. CATERINA

Tornando ai miei ricordi di bambina, si affacciano alla memoria alcuni scorci del mio quartiere di nascita, dove amavo seguire con lo sguardo lo scorrere pigro e poderoso della roggia Serio Grande – giustamente considerato il “fiume per Bergamo”, che scorre in via Barzizza a lato di Borgo S. Caterina ed è lo stesso che si scorge anche in via S. Lazzaro.

Via Borgo Santa Caterina

Ad un tratto l’acqua verdastra scompariva inghiottita nel nulla, lasciandomi assorta a fantasticare, fra apprensione e curiosità, su quel misterioso mondo sotterraneo, che immaginavo di esplorare, rabbrividendo.

I moduli di Plorzano, partitori della roggia Serio Grande, in via Barzizza nel 1910. Derivato dal fiume principale poco a valle del ponte di Albino, il canale – Fossatum communis Pergami – era stato scavato in età comunale a scopi irrigui e artigianali e poi sfuttato ad usi industriali. Lungo il canale e le sue derivazioni (“seriole”) sorsero officine, magli, mulini, laboratori tessili. L’edificio di fronte fu la sede di un filatoio che, situato all’inizio del borgo, sull’angolo con via Barzizza, sfruttava la forza della roggia Serio (Raccolta D. Lucchetti)

Un tempo, qui era tutto un altro mondo: sull’altro lato della stradicciola sorgeva un’officina poi abbattuta per consentire il transito del tram. Nei pressi venne realizzato il primo impianto per la produzione dell’energia elettrica – pure mosso dall’acqua della roggia -, con cui furono alimentate la funicolare e la rete tranviaria. Vi sorgevano anche un filatoio e la trattoria “Il Giardinetto”, con i tavoli all’aperto sotto i grandi tigli e le stalle da un lato.

Le massaie lavavano i panni presso il rudimentale lavatoio formato da un unico blocco di pietra, levigata dal continuo lavorìo.

Un’altra versione della fotografia precedente. Dalla roggia Serio Grande deriva la roggia Nuova – che si diparte a destra dell’immagine -, ricevendo da quella principale una quantità d’acqua sufficiente grazie allo sbarramento dei moduli di Plorzano. La roggia Nuova scorre alle spalle del borgo – entra nel Parco Suardi – e attraversa tuttora il centro cittadino, passando anche davanti alla chiesa di S. Bartolomeo

Non posso fare a meno, ora, di sorridere pensando che quel mondo creato dalla mia fantasia era lo stesso che popolava l’universo mentale di ogni bambino: le stesse domande, i medesimi turbamenti e fantasticherie.

LA ROGGIA SERIO GRANDE E LA ZOGNA, UN TOPONIMO DIMENTICATO

Un altro pezzo della Bergamo scomparsa si trovava nell’attuale via Suardi, dove attualmente sorge l’ex Caserma Scotti, che dal 1884 ha inglobato  parzialmente la “Zogna” – una bella villa suburbana d’inizi cinquecento – per edificare l’Infermeria Militare.

L’ingresso della Caserma Scotti, in via Suardi (anni ’70)

La villa, che a monte si  affacciava sulle sponde della roggia Serio, era posta ai margini dell’allora “Campo di Marte”, nome popolare con cui si designava  quella che sulle mappe era indicata sulle come “Piazza d’Armi”.

A destra, il gruppo edificato della “Zogna”, tra le attuali vie Cairoli, Ghislandi, Giovanni da Campione e Suardi, quest’ultima ben tracciata a sinistra dell’immagine, benchè non ancora terminata. Verso destra la “Piazza d’Armi” (la foto risale al 1924)

Come indicato nelle mappe sottostanti, il vicino quartiere di via Fratelli Cairoli, risalente al 1912, ha mutuato la titolazione di “Zognina” proprio dalla cinquecentesca villa “Zogna”: un toponimo di cui abbiamo perso la memoria.

La “Zogna”, villa suburbana fra la Roggia Serio e l’ex Piazza d’Armi, nel 1884 fu  parzialmente inglobata nella Caserma Scotti. L’edificio presentava richiami architettonici a Pietro Isabello e affreschi interni di Andrea Previtali (1510-12), in seguito strappati e conservati nel Palazzo del conte Guido Suardi (litografia – Bergamo – racc. Gaffuri)

 

 

Se ci spostiamo all’altezza di via degli Albani, pare di immaginare la bella dimora affacciata sull’antico canale, sulle acque che scorrono limpide e gaie in una chiara giornata di sole.

Da Villa “Zogna” a Caserma Scotti. L’edificio, affacciato da un lato sull’attuale via Suardi e dall’altro sulla roggia Serio Grande, è ripreso dalle chiuse di via degli Albani

“IL MORLA” O “LA MORLA”?

Il ponte sul rio Morla in Borgo Palazzo (1885 circa). Il torrente fu immortalato nei diplomi regii ed imperiali poiché diede il nome ad una Corte regia: “la corte Morgola… presso al fiume che fino ad oggidì porta lo stesso nome, in quel luogo che ora è detto Borgo Palazzo” (Lupi, 1780) – ( Raccolta D. Lucchetti)

Appunto: “Il Morla” o “la Morla”? Un quesito a proposito del quale l’indole bergamasca non nutre alcun dubbio, e che indusse Gino Cortesi a vergare con piglio poetico :

“Mi auguro che non mi capiti più di sentir dire, o di leggere, il Morla. Per i bergamaschi l’antica Murgula, più che un torrente (maschile), è una leggiadra ninfa che scende nottetempo dal Canto Alto, attraversa sinuosa e ancheggiante la città e va ad adagiarsi mollemente nei verdissimi prati della Bassa.
Non facciamole barba e baffi, per carità!” (1).

Veduta di Città Alta da via Torretta. Autore ignoto (Propr. Museo Storico di Bergamo)

Ricordiamo che anche il compianto studioso bergamasco Lelio Pagani la chiamava al femminile, rivelando con ciò un legame davvero forte e viscerale con la sua amata città.

IL GALGARIO, UN INCROCIO DI CORSI D’ACQUA

Due corsi d’acqua a cielo aperto, oggi interrati, cingono l’ex monastero del Galgario: la Morla, che da via Muraine va ad intersecare le attuali vie Suardi e Galgario, e la roggia Serio Grande, che corre parallela a via Suardi facendo di quest’angolo un punto nodale della città, legato alla presenza dei due principali corsi d’acqua cittadini.

L’ex monastero del Galgario e la torre del Galgario nella ell’aerofotografia del 1924. La via Suardi in questo tratto non è ancora tracciata, mentre via Pitentino (attuale via Frizzoni) è lambita dalla Roggia Serio Grande, che prosegue verso il centro della città. A destra dell’ex monastero corre la Morla

E fu proprio nella verdeggiante ansa, oggi completamente trasfigurata, che gli Umiliati fondarono il convento (occupato dalla seconda metà del XVII secolo dai frati Paolotti), compreso tra i due corsi d’acqua particolarmente ricchi di calcare (calcherium=Galgario): elemento prezioso per un Ordine dedito alla lavorazione e alla follatura della lana (2).

Giuseppe Rudelli (1790-1850). La chiesa e la torre del Galgario. Al Galgario, nella primitiva chiesa del SS. Salvatore trovarono sede  dall’inizio del XIII secolo gli Umiliati, che vi restarono sino al 1570, anno della soppressione dell’Ordine  

Adibirono alcuni stabili a mulino e a calchera (forno per la fabbricazione della calce) mentre la forza motrice della Morla azionava i macchinari per la produzione della polvere da sparo. Polvere che ancora nel Seicento veniva fabbricata presso la “polverista” (“edificio da polvere”) del Galgario, a costi inferiori e in quantità maggiori rispetto alle vetuste macine della Rocca.

Giuseppe Berlendis, La Morla dal Galgario (Bergamo, Biblioteca Civica)

Se in precedenza era soprattutto Venezia – alla quale Bergamo inviava il salnitro – a rifornire la nostra città di polvere da sparo,  nell’ex-convento la produzione avrebbe dovuto bastare per il fabbisogno non solo della fortezza ma anche per le fortezze vicine.

La torre del Galgario fungeva così da deposito, in tutto simile alle polveriere dell’alta città, comunque ancora in uso almeno sino alla metà del Settecento.

La piazza del Galgario, con la torre e l’ingresso al monastero nell’Ottocento, in un disegno di Giuseppe Rudelli (1790-1850). Il Galgario fu sede della prima fabbrica della polvere a Bergamo. In tempi più recenti è stato sede della Questura, sino a che negli anni Ottanta  non è stata edificata quella nuova (Propr. Sandro Angelini)

Ma essendo la collocazione nel Galgario troppo pericolosa per le vicine abitazioni (presso l’ex-convento si erano verificati alcuni incendi), la fabbrica per la polvere venne trasferita in una nuova e più sicura costruzione nei pressi della cappella del Sant’Jesus, dietro il monastero di Santa Maria delle Grazie, tra le vie Taramelli e Casalino, dove passavano due canali.

La cappella del Santo Jesus, tra le vie Taramelli e Casalino, demolita nel 1889. Accanto sorgeva la nuova fabbrica della polvere da sparo

Una nuova fabbrica venne poi costruita nell’edificio dell’ex convento di Santa Maria di Sotto, l’attuale “Conventino”, lambito dalla roggia oggi coperta.

Via Gavazzeni ieri e oggi. Nell’immagine più antica, la roggia è ancora scoperta 

I Paolotti vi giunsero nel 1668 dopo aver sostenuto a proprie spese anche i pregevoli interventi decorativi riemersi durante gli ultimi lavori di restauro in una porzione del convento, oggi destinato ad ospitare il dormitorio per i poveri.  Fra questi, spiccano le opere di Frà Galgario (al secolo Vittore Ghislandi, il più importante ritrattista lombardo della prima metà del XVIII secolo) e del figlio di Domenico, il più importante quadraturista locale del XVII secolo di cui ricordiamo, fra gli altri, gli interventi a Palazzo Terzi e Palazzo Moroni.

A Vittore in particolare, spetta il merito di aver devoluto al convento i proventi di molte sue opere, che servirono per edificare anche il ponte sul torrente Morla.

Pietro Ronzoni (1781 – 1862). Il ponte sopra la Morla al Galgario nella prima metà dell’Ottocento (proveniente dall’eredità di Daniele Farina da Bonate Sotto, nipote del Ronzoni)

Poi anche qui tutto è cambiato. La roggia Serio è stata per gran parte interrata.

Raffronto fra….Oggi & Ieri, 1916: la Roggia Serio nell’attuale via Frizzoni (allora via Pitentino), alla curva presso la torre del Galgario, lungo la Strada di Circonvallazione. La roggia scorreva esterna e parallela alla trecentesca cerchia delle Muraine che circondava i borghi, ponendosi a spartiacque fra la città e la campagna e scoraggiando anche eventuali incursioni  nemiche. Le Muraine vennero atterrate nel 1901

 

Via Tiraboschi ancora lambita dalla roggia Serio Grande (sulla destra)

 

Via Tiraboschi Ieri & Oggi

Oggi nei pressi di via Suardi la roggia Serio sottopassa il torrente Morla con un sifone.

Ponte di via Suardi: la griglia a protezione del sifone e sulla sinistra il canale di scarico al torrente Morla utilizzato per “alleggerire” il centro cittadino dalle piene

Intorno agli anni Ottanta si decise di coprire il torrente Morla per costruire la nuova sede della Questura, all’angolo tra via Noli e via Suardi: dell’area resta però qualche foto-ricordo.

Il ponte di via Suardi osservato da via Noli, prima della copertura del torrente Morla e della costruzione della nuova Questura

 

In lontananza, il ponte del Galgario osservato da sotto il ponte di via Suardi

 

Il ponte di via Suardi dall’alto con a destra la via Noli, nell’area attualmente occupata dalla sede della Questura

 

Tra via Noli e via Suardi Ieri & Oggi

I TANTI REGNI DELLE LAVANDAIE

Quando rogge e canali scorrevano per lunghi tratti a cielo aperto, le nostre nonne e bisnonne vi si recavano a lavare i panni in ogni stagione. Vi arrivavano la mattina presto, sospingendo le carriole cigolanti e cariche di biancheria o curve sotto un bastone assicurato al collo dal quale pendevano, in equilibrio, due grandi secchi.

Il dipinto di Costantino Rosa – “La Morla al mulino del Galgario” – ritrae in una visione idealizzata e romantica una donna con accanto una cesta ricolma di panni (Bergamo – Proprietà arch. M. Frizzoni)

L’abbondanza di corsi d’acqua permetteva a molte famiglie di ricavare sostentamento grazie all’attività di lavandai, che si svolgeva sulle rive della Morla (e l’abbiamo visto qui), della Tremana e sui canali delle rogge Serio, Nuova, Morlana, Guidana: sui tanti piccoli e grandi corsi d’acqua che disegnano la complessa geografia del sottosuolo della città.

La “Ca dei sòi”, nella valletta di Valverde, attorniata da lunghe fila di LENZUOLA stese ad asciagare, segno evidente della presenza nella cascina dell’attività di lavandai (Raccolta D. Lucchetti)

 

Uno scorcio dell’attuale centro cittadino ripreso intorno al 1895 con la chiesa di S. Maria delle Grazie la roggia Morlana (risalente almeno al secolo XII), derivata dal Serio all’altezza di Nembro e ancora visibile in via Madonna della Neve. Al partitore del Casalino essa si divide nelle rogge Colleonesca e Coda Morlana, dirette ad irrigare i territori di Stezzano, Levate e Pognano: venne infatti ampliata da Bartolomeo Colleoni per poterne poi derivare altre rogge

 

La roggia a Campagnola, nel 1910

 

Colognola nel 1952: la roggia Guidana, realizzata prima del 1453

 

La roggia alla Malpensata

 

La filanda sulla roggia, in via Daste e Spalenga

LA “PICCOLA VENEZIA” SUL CANALE

Dall’Ottocento il Comune volle dotare diversi rioni di lavatoi, alcuni dei quali sorsero anche lungo il complicato reticolo dei canali della roggia Serio. Uno di questi si trovava lungo la via San Rocco: un angolo pittoresco del borgo di San Leonardo – scomparso nella prima metà del Novecento sotto una gettata di cemento -, che restò a lungo uno dei soggetti preferiti dai pittori.

Il canale Serio nella zona di via S. Lazzaro (Racc. Gaffuri)

 

Il canale Serio in via S. Lazzaro (Racc. Gaffuri)

 

Il canale Serio tra via Broseta e via San Lazzaro (Racc. Gaffuri)

E ci fu chi lo chiamò “piccola Venezia”.

La Seriola nuova in via San Rocco, prima della copertura.  Ospitava il regno delle lavandaie, che vi giungevano attraversando le passerelle affacciate sulla roggia: quella a fianco della chiesa di San Rocco è utilizzata ancor oggi (Raccolta D. Lucchetti)

Vi sorgeva la “trattoria La Morala”, la cui insegna campeggia nella foto e cui si accedeva dal ponticello da via San Rocco o da via Broseta, da cui proveniva la maggior parte delle massaie. Poco distante c’era  la trattoria dei Tre Gobbi, preferita da Gaetano Donizetti.

In via Manzù nei pressi dell’attuale Triangolo rimane un tratto che scorre in superficie, testimonianza dell’antico rapporto del centro urbano con il millenario fossato. Era attraversato da un ponte con alzata che portava alla chiesa di San Rocco. Lo stesso ponte con portichetto è ricordato in un’immagine ottocentesca ed esiste tuttora anche se dalla parte di vicolo San Rocco non ha più le sembianze di un ponte poiché il canale è stato interrato. Uno stretto passaggio sotto il portichetto lo collega ancor oggi all’entrata della chiesa in via Broseta

La tettoia lungo il canale consentiva di lavare i panni stando al riparo dalla pioggia. Era l’unica comodità concessa alle massaie, che nella seriola trovavano acqua in abbondanza rispetto ai pochi secchi forniti dai pozzi nei cortili.

Il lavatoio di via S. Lazzaro (vecchie cartoline della Raccolta D. Lucchetti)

 

La signora Fiorella, in una foto-ricordo davanti al lavatoio di via San Lazzaro (per gentile concessione di un amico)

Di questo minuscolo regno delle lavandaie si avverte ancora l’eco: delle voci, dei canti e delle risate, del fragore dei panni strusciati e battuti sulla pietra, dove le donne davano libero sfogo alle gioie ed ai dolori, che non trattenuti scorrevano via, insieme alla corrente.

Via S. Lazzaro Ieri & Oggi

QUANDO SI PESCAVA NELLA MORLA

Come molti di noi hanno appreso dai racconti dei rispettivi padri e nonni, nelle rogge cittadine, ricche di pesci e gamberi, pescare era la norma.

Città Alta dal rio Morla dalla zona di via Suardi. E’ riconoscibile, a sinistra, il campanile della chiesa di S. Alessandro della Croce, in via Pignolo alta (Raccolta D. Lucchetti)

Tutti sanno che quand’essi erano ragazzi la Morla era assai pescosa; un abitante di Valtesse ricorda la pesca col martello: si tramortiva il pesce sferrando un colpo secco su di una pietra che affiorava dall’acqua affinché questi venisse a galla per poi  essere agevolmente catturato.

Giuseppe Rudelli – Veduta di Città Alta dal torrente Morla presso il Galgario (Bergamo – proprietà ing. L. Angelini)

Un altro metodo consisteva nel pescare con un tubo in vimini a forma d’imbuto, rivolto controcorrente per far sì che il pesce vi restasse intrappolato.

Ma una scoperta fantastica è la seguente: il nome di via Pescaria deriva dal fatto che questa era una zona di acquitrini dove ancora ai primi del Novecento si veniva a pescare pesciolini e gamberetti.

I BAGNI E I TUFFI NELLA MORLA

E ovviamente, nelle limpide acque della Morla – “il Tevere bergamasco” secondo la definizione di Carlo Traini – si facevano anche i bagni.

Nella zona di Valtesse il torrente offriva ai nostri nonni diversi punti favorevoli a belle nuotate, bagni ed anche tuffi: si andava al gor di Tajocchi, in fondo alla strada della Morla, al gor di Vanai, poco dopo i Mortini e a quello di Cornago, un po’ più a valle.

E poi, al gor del cimitero o del piantù, ritenuto il più grande e il più interessante anche per la presenza di un grosso gelso che fungeva da piattaforma di lancio per i tanti ragazzi che, tuffandosi, battevano talvolta la zucca sul fondo poiché… l’acqua non era poi così profonda.

1925: due bimbi della famiglia Corti, della parte alta di via Valverde fanno il bagno nella Morla all’altezza dell’attuale via Serena

Si andava anche al gor di Capù, nella zona di via Baioni sotto le mura di S. Agostino, frequentato anche dai ragazzi di Città Alta e nelle belle estati degli anni Cinquanta si amava nuotare alla Mezza della Morla, dove poco prima dello Stadio una piega del torrente formava una graziosa insenatura con tanto di spiaggetta.

Ieri & Oggi: Palazzina Scanzi in piazzale Oberdan

QUESTIONI DI DECENZA

Luigi Deleidi detto Il Nebbia – Il Ponte di Borgo Palazzo. Penna e acquarello su carta (dall’album Vimercati Sozzi, Bergamo – Biblioteca Civica)

Come in tutti gli specchi d’acqua della città, anche sulle rive della Morla vigeva per questioni di decenza una tacita regola che richiedeva di adottare costumi da bagno non troppo ridotti; regola che peraltro sovente non veniva rispettata, come del resto evidenziato in una lettera recapitata all’Eco di Bergamo:

“Richiamo ancora una volta l’attenzione delle Autorità di pubblica sicurezza su alcuni bagnanti che, senza alcun riguardo, senza alcuna decenza, si tuffano in acqua nella Morla, in Borgo Palazzo, proprio nel momento in cui dallo stabilimento Oeticker escono le operaie. Si tratta di cosa indecentissima e non si capisce perché l’Autorità, più volte sollecitata, continui a fare orecchie da mercante”.

Una irriconoscibile via Borgo Palazzo. Piazza S. Anna ancora non esiste e la via A. Maj non è stata tracciata

LA TRAGEDIA ALLA CHIUSA DI VIA COGHETTI 

Va annotato purtroppo anche un tragico fatto accaduto nel 1946 alla chiusa di via Coghetti, quando la roggia fu fatale per un povero ragazzino che, per non essere da meno con gli amici, si cimentò – solo e al riparo dagli sguardi beffardi dei coetanei – in una pericolosissima prova di coraggio che in quel periodo  veniva messa quotidianamente in atto dai monelli del posto.

Via Coghetti con il campo di grano, prima della costruzione del quartiere San Paolo

Una prova che gli costò la vita perché rimase intrappolato nel meccanismo della chiusa e venne semi-tranciato dalle lamiere.

All’angolo tra via Palma il Vecchio e via Coghetti

INSEGUENDO LA TREMANA

Come la Morla, anche le acque della Tremana erano linde e trasparenti e prima della sua copertura i bambini si divertivano a percorrerla a piedi scalzi sino alle pendici della Maresana, laddove il torrentello veniva inghiottito dalla roccia.

La Tremana nasce sotto la chiesetta della Maresana e scende formando una valletta incantevole fino a Monterosso, dove – ahinoi – viene ingoiata in una galleria di cemento.

Il colle della Maresana dalla Montagnetta, sopra Valverde. Il torrente Morla nasce alle pendici del Canto Alto e all’altezza di viale Giulio Cesare riceve il contributo del torrente Tremana, il cui bacino interessa proprio il versante della Maresana (Racc. Gaffuri)

Il corso d’acqua costeggiava tutta la via, che negli anni ’40/’50 era solo un sentiero in terra battuta. Si gonfiava solo in certi periodi dell’anno e l’acqua era così limpida da consentire il bagno e la pesca.

Via Tremana negli anni ’40, ancora percorsa dal torrente, con il Lazzaretto, lo Stadio comunale e le piscine annesse; a metà via è visibile il “Ponte di pietra” che  attraversava il torrente Tremana

Il suo alveo fu coperto con la costruzione dei condomini del quartiere di Monterosso e il ponte venne demolito

LA ROGGIA SERIO: “IL MARE DI BERGAMO” AL GALGARIO

Ci fu poi un tempo in cui presso la torre del Galgario sorgeva una sorta di piscina, costituita dal corso del Serio Grande: l’antesignana della pubblica piscina cittadina realizzata dapprima presso lo Stadio comunale e molto più tardi presso l’attuale “Italcementi” nella Conca d’Oro.

Nell’Aerofotografia del 1924,  si individuano i primi bagni pubblici di Bergamo, nel groviglio di strade ed edifici (scala 1:2000 – Società Anonima Airone)

La piscina – un vero e proprio stabilimento balneare – si trovava all’altezza dell’ex monastero del Galgario, dove più tardi sorse il comando ormai in disuso di Polizia Stradale, ed è proprio qui che faceva bella mostra l’insegna “Bagni pubblici”.

L’attuale via Frizzoni ai primi del Novecento, con la roggia ancora scoperta e, sullo sfondo l’edificio dei “Bagni pubblici”

Erano stati aperti il 2 giugno del 1886 in seguito a un’ordinanza del sindaco per consentire alla cittadinanza, al costo di qualche centesimo, il bagno e il nuoto pubblico. Lo stabilimento balneare era aperto ogni giorno, da giugno a settembre, dalle ore 5 alle 14 e dalle 16 alle 21.

Quando i nostri avi scavarono il canale Serio, mai e poi mai avrebbero potuto immaginare che i loro lontani successori vi avrebbero realizzato una piscina colmata dalle acque correnti della roggia!..

L’alveo della roggia Serio presso la torre del Galgario (Racc. Gaffuri) E’ sicuramente antecedente al 1910 in quanto venne pubblicata in quella data sul libro“Bergamo” di Pietro Pesenti, per la collana Italia Artistica. Dietro la torre, l’ingresso ai “Bagni pubblici”

 

La Caserma Colleoni presso il Galgario con relativa torre e la roggia Serio ancora scoperta, che correva parallela alle demolite Muraine

Luigi Pelandi assicura che ancora negli anni Sessanta era visibile il portone che dava accesso al “misero stabilimento dei bagni pubblici popolari”.

L’attuale via Frizzoni da Borgo Palazzo verso la torre del Galgario: è visibile in fondo a destra l’edificio che fu sede dei “Bagni pubblici”

Nella piscina dello stabilimento – che tutti chiamavano “I bói” ad indicare i bollini che certificavano il pagamento dell’ingresso -, la metà più a monte era riservata ai nuotatori più esperti e la parte a sud ai principianti.  C’erano anche dei camerini – alcuni dei quali in uso dei facoltosi – che con l’annesso servizio di biancheria costavano solo due soldi.

Il medesimo tratto negli anni successivi, con la roggia ormai interrata

La sorveglianza naturalmente assicurava che venissero osservate le predette  regole di decenza affinché i costumi non fossero troppo ridotti.

IL BAGNO DI CAPODANNO NELLA ROGGIA SERIO 

Ne “Il Novecento a Bergamo”, Emilio Zenoni assicura che nello “stabilimento balneare” per un periodo vi era stato una specie di fuori programma, il bagno – o per meglio dire la Gara – di Capodanno. Nell’occasione, “I bòi” venivano riaperti in via del tutto eccezionale e i nuotatori esentati dal prezzo del bollino.

La prima competizione si era tenuta il 14 gennaio del 1906; la gloriosa stagione “Cimento invernale” si chiuse con la gara del 14 gennaio 1920.

La temeraria impresa – un centinaio di metri in totale – partiva dalla torre del Galgario per raggiungere la Porta di Sant’Antonio, all’imbocco di via Pignolo  bassa.

Porta S. Antonio con a lato la roggia Serio Grande

 

1916: la roggia Serio Grande all’altezza della torre del Galgario nell’allora via  Pitentino (oggi Frizzoni), da cui partivano le dispute del “Cimento invernale”

Memorabile la gara del primo gennaio del 1915 quando alle 14.30 quattro nuotatori della Società Bergamasca di Ginnastica e Scherma fecero una bella  nuotata nelle acque della roggia Serio, lungo l’ormai consueto percorso. L’acqua era gelida e la temperatura dell’aria misurava meno quattro gradi!

Il “teatro” del “Cimento invernale”: il tratto di via Frizzoni da Borgo Palazzo alla torre del Galgario

L’Eco di Bergamo annotava: “Ieri largo concorso pubblico assiepato lungo gli argini del canale. Malvezzi, ha coperto l’andata ed il ritorno risalendo la corrente, raccoglie insistiti applausi. Gli organizzatori offrono una medaglietta ricordo e un provvidenziale vin brulé. I Rarinantes benestanti, a loro spese, bevono un grappino al bar della piazzetta di Santo Spirito”.

LE DRAMMATICHE PIENE DELLA MORLA

Il ponte di Borgo S. Caterina nel 1910. Luogo di rogge e fiumane che si incontrano ed accelerano, precipitando dagli scivoli dell’alveo sotto il manto stradale

Nonostante la sua modesta portata, nel corso del tempo la Morla ha causato non pochi guai, ricordati persino da Mosè del Brolo: paurosi straripamenti, inondazioni e vittime, ricordate in una una lapide apposta sulla facciata di un’ex chiesetta costruita sul suo argine in località “Scuress”, a Ponteranica.

Presso il Ponte di Santa Caterina, un muro massiccio serviva per proteggere le abitazioni dalle piene del torrente, causa frequente di notevoli danni.

Il Ponte di Borgo S. Caterina tra la fine degli anni Venti e l’inizio degli anni Trenta, quando il cancello daziario e gli edifici annessi sono già scomparsi insieme al ponte di vecchie pietre sulla Morla, ora scavalcata da un ponte un cemento sul quale sta transitando il tram (sotto il ponte, sono tuttavia ancora ben visibili gli archi del ponte originario)

La Morla infatti è un torrente dal corso tortuoso con il fondo lastricato di rocce cenericce e sfaldabili chiamate Sass de la Luna: quando è in secca non ci si accorge della sua esistenza ma in occasione di piogge abbondanti si sveglia e può diventare pericolosa, gonfiandosi anche grazie all’apporto della Tremana, che intercetta in viale Giulio Cesare, e del Gardellone, di cui dal 1950 riceve soltanto le acque di sfioro.

Tra le non poche calamità naturali causate in passato dal torrente in particolare nei borghi di Santa Caterina e Palazzo, memorabile è quella del 3 maggio 1936 quando, in una bella giornata di sole seguita a molti giorni di maltempo, senza alcun preavviso un vero e proprio diluvio si abbatté sulla città: i torrenti Tremana e Gardellone furono presto in piena e riversarono tonnellate d’acqua nella Morla, il cui straripamento era già stato causa di danni nel 1932.

Il ponte sulla Morla in Borgo Palazzo (Racc. Gaffuri)

La parte bassa a oriente della città era in stato d’allarme. Nonostante verso le 20 si cominciassero ad udire le sirene dei pompieri (che ricevettero la bellezza di 106 chiamate in meno di un’ora!), non v’era l’impressione che in diversi punti della città stesse avvenendo qualcosa di grave. Invece in Borgo Santa Caterina e in Borgo Palazzo le acque erano ormai straripate e scorrevano nelle strade come nel letto di un fiume.

Si videro delle ossa galleggiare, dovevano essere quelle dell’antico cimitero di Valtesse. La violenza dell’acqua fu tale da sfondare numerose saracinesche di negozi ed anche quelle della Banca Mutua Popolare, che venne piantonata dai carabinieri. I pompieri compirono diversi atti “eroici” di salvataggio, mettendo in salvo soprattutto donne anziane che stavano per essere travolte dalla corrente.

La piena della Morla a Valverde. Fotografia di Carlo Scarpanti

Lungo l’elenco dei danni: particolarmente ingenti quelli arrecati alla ditta Seguini, la cui vasta e fornitissima cantina era stata devastata, data la rottura di numerose botti, di ben dodicimila fiaschi di vino e di bottiglie di liquori, che si mischiarono all’acqua che scorreva per strada.

A Valverde e a Valtesse la furia delle acque abbatté diversi muri e sradicò non pochi alberi, mentre sue violentissime scariche elettriche causarono la rottura dei vetri di numerose abitazioni. Annegarono molti animali da cortile.
Il rumore della corrente era pauroso e impressionante.

La piena della Morla a Valverde. Fotografia di Carlo Scarpanti

All’ospizio della Bonomelli, dove l’acqua aveva superato i due metri, fra i ricoverati si contarono 11 feriti e due vittime per annegamento.
In tutta la città fu interrotta l’energia elettrica ma fortunatamente il telefono continuava a funzionare. Intervennero anche i soldati e il podestà, anch’egli gettandosi in acqua per salvare qualcuno.

Anche alla Malpensata la furia della corrente abbattè dei muri, bloccando la gente al cavalcavia, mentre in Borgo Palazzo il tram per Seriate era semi-sommerso e a Torre Boldone  le acque divelsero i binari del tram di Albino.

Anche la furia del Gardellone fece una vittima, il ventenne Giuseppina Bonomi.
L’allarme cessò soltanto alle 2 di notte e quando le acque si ritirarono, lasciarono al suolo una coltre di fango spessa 20 centimetri.

La piena aveva lasciato i suoi segni funesti su tantissime case (3).

E POI TUTTO (O QUASI) VENNE COPERTO

Accanto a quella tragica del 1936, la storia della Morla registrò altre drammatiche piene (di cui memorabili furono quelle del 1896, 1932, ’37, ’40, ’46, ’49 e ’76), che accesero discussioni e rafforzarono il convincimento di coprire le rogge cittadine.

La piena della Morla presso il piazzale della stazione, 1937

Al carattere insidioso del regime torrentizio della Morla, che alternava lunghe secche a potenti e rovinose piene, si era aggiunto il progressivo degrado del torrente causato dall’aumento delle acque di scarico civili: con l’incremento edilizio gli antichi pozzi neri erano stati abbandonati e gli scarichi delle fognature finivano nel torrente, dove peraltro la popolazione trovava più comodo e sbrigativo gettare rifiuti.

Nella foto sopra, la Morla nel 1960 tra via Cesare Battisti e via Pitentino, ripresa dal Palazzetto dello Sport; si intravede l’edificio detto “Nave”, in primo piano nella seconda fotografia: Il torrente venne coperto nel 1962 e la via venne dedicata all’Ingegnere Idraulico Alberto Pitentino, gran maestro di chiuse e canali, vissuto nell’ultimo scorcio del XII secolo

 

Ieri & Oggi: il ponte di Borgo Santa Caterina, dove un tempo la Morla scorreva a cielo aperto (piazzale Oberdan)

 

L’arcata del vecchio Ponte di Borgo S. Caterina ripresa nel gennaio del 2013 in occasione del rifacimento della copertura stradale

Tutto ciò contribuì in breve tempo a fare della Morla una discarica a cielo aperto: era spaventosa a vedersi e fu per molto il regno dei topi, delle zanzare, di insetti di ogni sorta, che trovavano nel “pittoresco” un ambiente quantomai favorevole, portando alla decisione di coprire il torrente nel 1962.

Giustamente o ingiustamente, la stessa sorte toccò gran parte delle rogge cittadine, che vennero in gran parte obliterate dal cemento per ragioni igieniche, di vivibilità  e per allargare strade o realizzare parcheggi.

La zona di Borgo Santa Caterina vide scomparire totalmente il corso d’acqua che ne aveva caratterizzato la storia, posto sotto il manto di nuove strade e piazzali, su cui venne costruito anche il nuovo palazzetto dello sport della città

Le poche sopravvissute in città sono oggi ridotte a rivi maleodoranti. La pittoresca Bergamo dei canali e delle rogge è quasi del tutto scomparsa.

 

Note

(1) Gino Cortesi, “L’Eco di bergamo del 14/07/’97.

(2) Tosca Rossi, “A volo d’uccello – Bergamo nelle vedute di Alvise Cima – Analisi della rappresentazione della città trà XVI e XVIII secolo”, Litostampa, Bergamo, 2012.

(3) “Il Novecento a Bergamo – Cronache di un secolo”. Di Pilade Frattini e Renato Ravanelli. A cura di Ornella Bramani – Vol. II. UTET. Anno 2013.

Riferimenti essenziali
– “Valverde e dintorni” – Centro ricreativo Valtesse per la Terza Età – A cura di Gino Pecchi.
– “Il Novecento a Bergamo – Cronache di un secolo”, Pilade Frattini e Renato Ravanelli – UTET.
– Per il “Cimento invernale: L’Eco di Bergamo – 28 dicembre 2013.

Il Cappello d’Oro e i suoi fasti

Albergo del Cappello d’Oro, all’incrocio tra l’attuale viale Papa Giovanni XXIII e via Tiraboschi. Informa Luigi Pelandi che l’edificio, di proprietà dei Caversazzi, fu primo ad essere costruito sul nuovo stradone alla Ferrata (il Municipio aveva concesso gratuitamente lo spazio per la sua costruzione). Ne fu ideatore, impresario e direttore dei lavori lo stesso Luigi Caversazzi, padre del dottor Ciro e morto quasi novantenne nel 1907. Non appena costruito l’edificio Caversazzi, sorse l’attiguo palazzo Viscardini, dove aveva gli stalli la ditta di trasporti Cornaro (forse già inattiva ai tempi di Pelandi), ospitando anche la Farmacia Volpi, l’Orologeria Bolognini, l’Albergo Cervetta e la Tipo-litografia Mariani

La memoria del Cappello d’Oro, locanda con ristorazione appena fuori Porta Nuova – aperta nello stabile dei Caversazzi -, risale alla seconda metà dell’Ottocento, ai tempi in cui era frequentato dai commercianti della Fiera allestita oltre i Propilei, ingresso monumentale  alla città.

Viale Roma, oggi Papa Giovanni, ancora priva dei binari del tram, posati nel 1897

Nei pressi, appena fuori dalla porta daziaria sostavano dei carretti guidati da uomini con un gran cappello giallo, la cui presenza diede spunto al nome dell’albergo, che trasformò quel giallo nel più appetibile “oro”.

Viale Roma, oggi Papa Giovanni, ospita ancor oggi un totalmente rinnovato Cappello d’Oro. Il locale fu aperto nello stabile dell’impresario Luigi Caversazzi, padre del più noto Ciro, umanista e poeta, amante delle memorie patrie, entusiasta del bello (Luigi Pelandi ne ricorda il “vivido ingegno” e le “esuberanti escandescenze”). Ciro fondò la rivista “Bergomum”, dettò una monografia fondamentale sul “Piccio”, dedicò vari studi a Donizetti. Nel 1893 pubblicò a Milano un volume di versi intitolato “Pathos”, un pregevole esempio della sua raffinatezza stilistica

Stiamo parlando del primitivo Cappello d’Oro, un esercizio sempre frequentatissimo da commercianti, rappresentanti, viaggiatori. Quello che diversi anni dopo venne rilevato da quel genio speciale della ristorazione che fu il cavaliere Domenico Ruggieri, che lo trasformò sino a renderlo una stella di prima grandezza, degna di brillare anche in ambito internazionale.

Ritratto di Domenico Ruggieri, realizzato dal pittore Pino Buelli nel 1977 (per gentile concessione del signor Ivano Coletti, proprietario del dipinto)

 

Ai tempi in cui l Cappello d’Oro era di proprietà di Mario Ruggieri, l’attiguo Ristorante del Moro era gestito dal fratello di Mario, Francesco Ruggieri, di cui si ricorda la moglie, Marcella, e i figli Mario, Anna e Mingo. Erano i tempi del ristorante Manarini, cui fece seguito il famoso ristorante di Vittorio Cerea. I Ruggieri erano originari di Bisceglie, pugliesi come i Guadalupi, i D’Ambrosio, i Logoluso, i Varola, i Cavaliere, gli Arcieri e i Losapio, vinaioli trasferitisi a Bergamo, incentivati dalle agevolazioni offerte dal Comune in quanto il vino pugliese, ricco di vitamina C, era in grado di contrastare lo scorbuto nei mangiatori di polenta, quali erano appunto i bergamaschi (Archivio Wells)

Quello stesso che nel 1979 venne acquisito dai coniugi Anna ed Ernesto Zambonelli, che ne avviarono l’attività l’anno seguente. Storia alberghiera, oggi alla terza generazione, guidata dalla madre Anna, i figli Corrado e Giovanni e il nipote Daniele.

Dagli appunti di Luigi Pelandi emerge che l’albergo era gestito intorno al 1890 da Vittorio Artifoni. Vecchie locandine rintracciate dalla scrivente ci danno conto anche del nominativo di un certo Eugenio Artifoni, la cui attività venne poi rilevata dagli eredi, che dovettero condurre anche l’Hotel Cavour.

Ci fu poi Enrico Avallone, che probabilmente iniziò a gestire l’Albergo non prima del 1897, come si evince dalla mancanza dei binari del tram, posati proprio in quell’anno, seguito da Vittore Albertini, che secondo Pelandi gestì l’albergo verso il ‘900 e teneva servizio di carrozze e cavalli per ricevere alla Stazione i viaggiatori. Con quest’ultimo i locali vennero “completamente rimodernati”.

E’ sempre Luigi Pelandi ad informarci che a Vittore Albertini dovette succedere un Carlo Chighizzola, verso il 1923-1924 e poco dopo Domenico Ruggeri.

Il Cappello d’Oro in un’immagine risalente al 1925, con l’inserimento posticcio dell’insegna e della bandiera sul tetto dell’Hotel, assenti nell’originale

 

Pubblicità del 1900 dal “Diario Guida della Città e provincia di Bergamo”

Verso la fine dell’Ottocento il Cappello d’Oro godeva già di una particolare notorietà; la sua cucina, rinomatissima, era considerata la più importante della città, ben al di sopra del Concordia – che s’impose in un periodo successivo – e dell’Italia, che ai tempi si trovava in Via XX Settembre, mentre il Moderno era ancora in costruzione.

Grande Albergo Reale Italia, via XX Settembre

Forse, per le nobiltà di Città Alta, qualche nomea interessava il “Solino”, antichissimo luogo conosciuto da tutti e di cui Hermann Hesse ci ha lasciato un’indimenticabile testimonianza durante il suo soggiorno, avvenuto nel 1913.

Antico Albergo del “Sole”, Piazza Vecchia all’imbocco della Corsarola (via Colleoni)

Ma nella città al piano era il Cappello d’Oro a primeggiare, grazie alla capacità dei proprietari di offrire alla clientela le più fini agiatezze, frutto delle più recenti innovazioni.

Porta Nuova con i cancelli daziari in un’immagine anteriore al 1897

Fra queste, l’omnibus a due cavalli, un servizio di carrozze stanziato presso la stazione ferroviaria (ricordato da Umberto Zanetti ai tempi della gestione di Vittore Albertini), pronto ad accogliere in gran pompa i “signori clienti” nonostante nel viale il tram a cavalli fosse già attivo dal 1888: i binari del tram vennero posati solo nel 1897 per lo scorrimento dei vaporini “Brembo” e “Serio”, ben presto sostituiti dal tram a cavalli a causa del loro discontinuo e farragginoso funzionamento.

La Fiera vista da Porta Nuova. I binari del tram sono già stati posati

 

Il tram a cavalli, ripreso nei pressi della Fiera, faceva servizio tra i borghi (ripresa del 1897 )

L’ingresso avveniva da una porta a tre luci sistemata lungo il viale o da un grande portone aperto sull’attuale via Tiraboschi, da cui entravano le carrozze, gli equipaggi signorili, i barrocci e le timonelle provenienti anche da fuori città, oltre alle “corriere” che dal Cappello d’Oro partivano per le valli, solitamente “diligenze” a tre cavalli.

Il Cappello d’Oro in una cartolina pubblicitaria dell’epoca

Ben tre scuderie provvedevano alla sosta e alla cura dei cavalli, che i padroni più abbienti facevano strigliare fino a brillare. Nel cortile l’andirivieni non conosceva sosta: chi voleva entrare e chi voleva uscire, chi esigeva spazio per l’abbeverata, chi sollecitava per un’incombenza: un bailamme assordante cui non si sottraeva nessuno, nemmeno i clienti altolocati e più azzimati.

Albergo del Cappello d’Oro, oggi Best Western Hotel Cappello D’Oro sotto la guida della famiglia Zambonelli

La rilevanza dell’Albergo derivava naturalmente anche dalla sua posizione strategica all’incrocio tra le due principali arterie del borgo in pieno sviluppo, ai primi del Novecento in odore di modernità.

Cartolina che un ospite del Cappello d’Oro inviava a un amico nel febbraio del 1902

 

La città stava crescendo a ritmo vertiginoso e stava radicalmente modificando la vecchia struttura urbana per acquisire un volto moderno.

La costruzione della funicolare per Città Alta, risalente al 1897, aveva accelerato il trasferimento al piano di molti cittadini

 

Porta Nuova e l’insegna del Cappello d’Oro a sinistra. Considerata la presenza dei lampioni a gas e la mancanza dei binari del tram, si evince che la fotografia è anteriore al 1887

 

Questa ripresa fu eseguita a non molti anni di distanza dal medesimo punto di vista ma con sensibili differenze: vi sono i binari del tram ed è giunta l’energia elettrica a sostituire i lampioni a gas. Ne deriva che l’immagine è posteriore al 1890 e comunque non va oltre il 1901 poiché esistono ancora i cancelli daziari

Con l’abbattimento delle Muraine sorgevano nuove case, venivano tracciate nuove strade e migliorava la viabilità e, in tutto questo, il decollo dell’industria e dei commerci elettrizzava i bergamaschi.

Inizi XX secolo: Bergamo è in odore di modernità

 

In viale Roma, accanto alla Fiera

Nella città che si apprestava a crescere il Cappello d’Oro stazionava al crocevia dei tre cuori pulsanti del centro cittadino di allora, ovvero tra il Sentierone e la Fiera – la grande area del commercio e della finanza cittadina -, il Foro Boario, cioè Mercato del Bestiame, e la fermata delle vaporiere provenienti da Lodi e Milano – il famoso “tram belga” – attraverso lo smistamento di Treviglio.

Al centro dello slargo una torretta vetrata di circa otto metri e con un grande orologio in cima fungeva da capolinea, e all’arrivo del tram belga, un fumigante convoglio, venivano scaricate le folle del trevigliese e del milanese che si smistavano fra negozi, uffici pubblici, scuole ed ospedali.

Il Foro Boario, nei pressi della stazione ferroviaria, nel 1900 (foto Giovanni Limonta)

L’arrivo delle vaporiere affumicava l’aria rendendola irrespirabile per oltre una mezz’ora: il tempo richiesto per scaricare e caricare le merci e rifornire le vetture del combustibile necessario.

Il tram belga sta per sostare davanti al capolinea di Porta Nuova in attesa di ripartire alla volta di Treviglio. Lungo la strada le rotaie del tram a cavalli in servizio tra la stazione ferroviaria e piazza Baroni

Avvelenati dai miasmi del carbone i passeggeri ed i passanti non potevano far altro che tossire, mentre gli astanti in attesa di ripartire si chetavano solo al fischio potente e allo sferragliare della vaporiera. Finalmente, partiti i convogli, per qualche ora si poteva respirare.

Al frastuono che avvolgeva tutto intorno il Cappello d’Oro si contrapponeva la calma quasi irreale che si respirava al suo interno.

LA CLIENTELA

La clientela era formata prevalentemente da habitué – commercianti, rappresentanti e viaggiatori – che non badavano ad altro che a spassarsela in pace. Forniti di marenghi trascorrevano il tempo tra qualche impegno di lavoro, visite agli amici, agli uffici notarili, alle banche e al ritrovarsi al Circolo per la partita, magari assaporando l’idea di qualche scappatella.

Lustrascarpe davanti al Cappello d’Oro, 1899 (Raccolta Lucchetti)

Tutt’altra musica la domenica all’ora di cena, quando i “privilegiati” arrivavano con la famiglia, figlioli compresi, tutti azzimati ed eleganti. L’aria si faceva allora densa di attenzioni e reciproche cortesie.

Le signore svolazzavano tra chiffon e cappelli mentre gli uomini sfoggiavano le impeccabili giacche lunghe con i calzoni a righe e le scarpe di vernice, i solini e il fazzoletto ricamato nel taschino, con la catena d’oro in bella mostra sul bianco gilet inamidato.

1910 circa: le dame sul Sentierone e, accanto, il Teatro Donizetti

Il lunedì era invece giorno di traffici, delle più disparate riunioni fra negozianti, viaggiatori di commercio e mediatori d’ogni sorta, che stazionavano all’Albergo sino a notte: tipi alla buona comunque, chiassosi, bevitori e gran mangiatori.

Nei primi decenni del Novecento il Cappello d’Oro fu la sede preferita per le contrattazioni tra imprenditori ed acquirenti del bestiame, delle granaglie e dei concimi commerciati al mercato della Malpensata, Dopo le contrattazioni i “padroni” s’intrattenevano al Cappello d’Oro per il pranzo (fotografa del 1925 circa: i l nuovo Mercato del Bestiame trasferitosi alla Malpensata verso il 1915. Raccolta Lucchetti)

DOPPIO MENU PER CLIENTI….DIVERSI

Nella battagliera giornata del lunedì non si contavano perciò le tazzone di “busecca”, di foiolo, il carrello con il manzo, l’arrosto a pezzi monumentali, lo stracchino di gorgonzola tagliato alla brava, le fettone di salame casalingo, il grana dalla goccia verde.

Davanti al Cappello d’Oro nel 1913

Tutto ‘sto “ben di dio” spariva alla vista nei giorni successivi per non urtare i palati fini – non avvezzi al cibo triviale – per i quali, al Cappello d’Oro, si approntavano piatti saporiti ed invitanti, ma delicati: si dice che il famoso carrello dei bolliti fosse d’argento.

GOLOSONI ILLUSTRI

Piatti di cui, al tempo della Stagione lirica al Teatro Donizetti, due gran mangiatori come Pietro Mascagni e il maestro Leopoldo Mugnone, croce dei cantanti e degli orchestrali, non si stancavano di lodare la bontà: la cucina del Cappello d’Oro diventava magnifica.

Pietro Mascagni al Teatro Donizetti, il 3 ottobre 1940, quando lo stesso maestro diresse la Cavalleria Rusticana per il 50° anniversario dell’opera. Qui è rappresentato con tutti gli interpreti, fra cui Jolanda Magnoni, Maria Marcucci, Ida Mannarini, Alessandro Ziliani, Antenore Reali. Accanto a Mascagni è l’allora ministro e gerarca fascista Giuseppe Bottai, che proprio in quegli anni lì dirigeva il Premio Bergamo. La fotografia fu scattata dal celebre Umberto Da Re

 

La loro presenza al Cappello d’Oro si affiancava a quella degli artisti che imperversavano in città nell’agosto e nel settembre o a quella di coloro che vi facevano tappa nel viaggio verso San Pellegrino, l’aristocratica sede termale onorata da Sua Maestà la regina Margherita, da ministri, banchieri, industriali, stranieri di fama.

La Principessa Bonaparte a San Pellegrino

In tali occasioni, al Cappello d’Oro aumentavano i cuochi e i camerieri, e fu proprio lì che comparvero le rarità dei vini francesi, degli champagne, dei cru e dei cognac pregiati.

FESTE E FESTINI

Questi festini si ripetevano nello stesso salone anche in caso di elezioni, dove in seguito ai successi il ricchissimo senatore radicale Adolfo Engel non tralasciò di porgere ai suoi maggiori elettori ostriche, tartufi, pâtés di Strasburgo e larghe fette dei panettoni fatti arrivare appositamente dal Cova di Milano. In queste occasioni, si imbandivano tavolate regali con tovaglie di lino, posate d’argento e porcellane.

La storica pasticceria “Cova” rientra tra le botteghe storiche e “di rilevanza sociale” di Milano: aperta a lato del Teatro alla Scala nel 1817 da Antonio Cova, un ex soldato di Napoleone, nel 1950 si trasferì in via Monte Napoleone. Oggi, la partecipazione di maggioranza della storica pasticceria è stata aggiudicata alla holding di Louis Vuitton

All’Albergo si tenevano anche eleganti banchetti di nozze così come banchetti organizzati per varie celebrità o per nomine a Cavaliere o Commendatore.

Anni Quaranta: fra il Cappello d’Oro e la Zuccheriera

 

Fra i Quaranta e i Cinquanta: fra il Cappello d’Oro e la Zuccheriera

 

Anni Quaranta nello slargo tra via Tiraboschi e viale Papa Giovanni XXIII

Quando Bergamo ospitò Gabriele D’Annunzio, non fu difficile rendergli gloria se non raccogliersi, intorno a lui, al Cappello d’Oro nel corso di una memorabile serata pari soltanto a quella che si organizzò per la divina Rosina Storchio, in onore della quale si era approntata una cena principesca.

Rosina Storchio (1876-1945), soprano italiano, creò ruoli in diverse opere di Puccini, Leoncavallo, Mascagni e Giordano tra cui Mimi in La Boheme (1897) e Cio-Cio San in Madama Butterfly (1904)

Momenti di gloria rimasti a lungo nella memoria cittadina insieme al ricordo di centinaia di curiosi, accalcati nell’attesa, stupiti dell’incredibile via vai degli omaggi floreali che gli estimatori del celebre soprano avevano fatto pervenire.

Fuori, ravvolto nella prefettizia consunta, il Sìndech de Pòrta Nöa, seduto sui gradini dei Propilei, aspirava dalla sua pipa di gesso il fumo di un fetido trinciato e contemplava assorto la prima luna.

A che cosa pensava?

Alle fervorose arringhe degli avvocati, ch’egli ascoltava estatico e come inebetito, quando seguiva fra il pubblico i processi dell’Assise in Piazza Vecchia?

 

Riferimenti principali

Il Cappello d’Oro, da “Bergamo così (1900 – 1903?)” di Geo Renato Crippa.

Luigi Pelandi, “Attraverso le vie di Bergamo scomparsa. II. La strada Ferdinandea”. Banca Popolare di Bergamo. Co-Editore: Edizioni Bolis. Bergamo, 1963. Collana di studi bergamaschi.

 

Ultima modifica 02/12/2023