Clanezzo, crocevia di frontiera

Reportage fotografico di Maurizio Scalvini

Antico borgo medievale all’inizio della Valle Brembana, a 16 km da Bergamo, in uno spazio che sta tutto in una mano Clanezzo conserva una nutrita serie di testimonianze storiche, che nulla ha da invidiare ai borghi blasonati della Bergamasca. In questo minuscolo angolo, adagiato su un terrazzo fluviale all’ombra del monte Ubione, affacciato su una forra che si specchia in acque smeraldine, si concentrano oltre mille anni di storia, che val la pena raccontare.

Se il castello e l’antichissimo ponte di Attone ci catapultano repentinamente nell’alto Medioevo, qualche secolo dopo, quello stesso castello ci riporta all’aspra contesa tra guelfi e ghibellini, quando, accoccolato sul dirupo alla confluenza dell’Imagna, scrutava il nemico avanzare sul millenario ponte ad arco che scavalca il torrente. Ma qui c’era anche un traghetto a fune tesa che faceva la spola tra le due sponde del Brembo – simile a quello di Imbersago e a quello un tempo in uso a S. Pellegrino -, che giustifica la presenza dei caratteristici edifici del Porto e, sull’altra sponda, del “Casino”: un grosso caseggiato in pietra ancora ben visibile a Villa d’Almè, sullo stradone  che immette in Val Brembana. Il periodo della dominazione veneziana è invece ben rappresentato dalla Dogana e dal maglio.

Una manciata di edifici e di strutture accomunati da un unico denominatore: la particolare posizione del sito alla confluenza delle valli Brembilla, Imagna e Brembana – là dove l’Imagna si getta nel Brembo -, che ha fatto di Clanezzo terra di confine: a destra della vallata con gli Almenni (a loro volta terra di confine: Lemine, dal latino “ad limina”, “la soglia per”), con il torrente Imagna a segnare nettamente i confini; a sinistra, con il torrente Brembilla; di fronte, sulla riva opposta del Brembo, con la Valle Brembana, e, alle spalle, con il pendio della montagna.

Lasciata dunque la strada della Valle Imagna e oltrepassato il ponte novecentesco, ci si ritrova nell’incantevole fiordo che si annuncia con il placido gorgoglio delle sue acque: la mulattiera acciottolata che fronteggia il castello si abbassa con ampi tornanti tra la vegetazione, lasciando alle spalle i rumori della strada per inoltrarsi nel cuore del nucleo storico del borgo, all’interno di un microcosmo che ancora conserva la sua unicità.

La nostra storia potrebbe cominciare dal millenario ponte in pietra affacciato sull’Imagna, che incontriamo lungo la via gradinata protesa verso il Porto. Ma sarebbe riduttivo, perché grazie alla particolare posizione geografica del sito, naturalmente difeso, Clanezzo fu frequentato sin dalla preistoria, come testimoniano i ritrovamenti che ne fanno un “giacimento” preistorico ed antropologico di enorme interesse per gli studiosi della materia.

Le frequentazioni si infittirono con l’arrivo dei Romani grazie alla vicinanza con Almenno (l’antica Lemine), divenuto il principale centro politico-amministrativo della zona grazie alla presenza di una importante via militare che collegava Bergamo con Como e grazie alla presenza di un ponte monumentale sul Brembo (il cosiddetto “Ponte della Regina”), eretto per il passaggio di truppe, uomini e merci.

Intorno al ponte, divenuto presto un importante crocevia di traffici, convergevano numerose strade, lungo le quali sorsero villaggi, ville, luoghi di culto. Strade che avevano al loro centro Almenno, dove sorgeva una CORTE posseduta personalmente dall’imperatore romano e che fungeva da luogo di controllo civile, militare ed economico di larga parte del territorio circostante.

Il Ponte della Regina (ponte d’età Romana di cui rimangono i resti di due piloni) superava il fiume Brembo ad Almenno S. Salvatore, all’altezza della chiesa della Madonna del Castello, raggiungendo la sponda di Almè. Dove oggi sorge la chiesa  vi era, fin dall’epoca Romana, il sacro palazzo, di cui rimangono numerosi resti di pavimenti e tegoloni (Fotografia Maurizio Scalvini)

Fin dall’epoca romana dunque, l’importante centro di Almenno esercitò il potere politico sulle zone circostanti, compreso Clanezzo (1), che con la vicina Ubiale fu pertinenza di Almenno fino al XIII secolo, subendone l’influsso almeno sino a che non si instaurò a Bergamo la dominazione Veneziana.

L’importanza di Almenno si mantenne anche in seguito alla decadenza dell’impero romano e alle invasioni barbariche, quando i Longobardi vi insediarono una Corte Regia (2).

In seguito Almenno passò nelle mani di nuovi signori, divenendo dapprima Corte Franca (3), per poi entrare a far parte, dall’892 al 975, della contea di Lecco: ed è a questo punto che viene a stabilirsi un legame più stretto tra Lemine e Clanezzo, dal momento che il conte Attone di Guiberto (957- 20 giugno 975), ultimo dei Conti di Lecco a possedere la Corte di Almenno, fa edificare verso la fine del X secolo il cosiddetto Ponte di Attone, il bellissimo ponte in pietra sull’Imagna, che unisce Almenno con Clanezzo e che per secoli costituirà l’unica via di accesso alla Valle Brembana.

Il Ponte di Attone domina altissimo con le sue rozze pietre squadrate le verdi acque imprigionate fra le rocce e la ricca vegetazione. Costruito con un’unica arcata a “schiena d’asino”, con le sue spalle ben ancorate alle rocce degli argini, attraversa il torrente Imagna nel punto dove esso si immette nel Brembo. La tradizione lo vuole edificato nel X secolo, anche se il primo documento che ne attesta l’esistenza risale al 3 febbraio 1235 (Fotografia Maurizio Scalvini)

Il Ponte di Attone è documentato solo dal 1235, ma un collegamento tra Almenno e il territorio sulla riva destra del Brembo doveva esistere già da secoli, in quanto il vasto comprensorio territoriale della Corte Regia di Almenno, prima Longobarda e poi Franca, si estendeva fino a Brembilla, Zogno e Sedrina, per raggiungere i quali era necessario superare  l’Imagna a Clanezzo – cosa che doveva avvenire mediante passerelle fatte di tronchi d’albero o di cordame -, quindi percorrere la cavalcatoria che portava ad Ubiale, dove il torrente Brembilla poteva essere superato facilmente a guado.

Anche la gola di Sedrina, dove un ponte è documentato solo nel 1178, poteva essere superata tramite una rudimentale passerella: era, questo, il passaggio obbligato per andare da Almenno a Brembilla o a Zogno, dove alcuni terreni erano ancora di proprietà della Corte Signorile di Almè agli inizi del 1100. Non a caso infatti, il ponte in pietra di Attone e quello di Zogno presso Sedrina sono i primi ponti della Valle Brembana a essere citati nella Storia (4).

Nella parte centrale del Ponte di Attone si notano ancora i pilastri a foggia di merli che un tempo sorreggevano i cancelli che sbarravano il passaggio (Fotografia Maurizio Scalvini)

La valletta di Clanezzo per le sue caratteristiche era una fortezza: a oriente la difendeva il Brembo, a mezzogiorno il solco dell’Imagna, a settentrione una catena di monti, oltre al fatto che la sua particolare posizione, alla confluenza delle valli Brembilla, Imagna e Brembana, ne faceva un caposaldo altamente strategico per le comunicazioni tra l’Agro di Almenno e le Valli e per il controllo militare di tutta l’area.

IL CASTELLO DI CLANEZZO E LA ROCCA SULL’UBIONE

Vuole la tradizione che nel contempo Attone, che non si sentiva sicuro nella roccaforte di Almenno, provvedesse a realizzare un sistema difensivo facendo erigere, sui bordi del pianoro di Clanezzo, un Castello protetto da un profondo dirupo.

Sorto su un pittoresco poggio circondato da scogli, da vigneti e da fitte boscaglie, in mezzo al rumore incessante dei torrenti, il Castello di Clanezzo, già fortezza difensiva sul finire dell’alto medioevo, era difeso anche dall’aspra natura del territorio, affacciandosi su una forra profonda una cinquantina di metri e larga altrettanto (Fotografia Maurizio Scalvini)

Forse per timore o preveggenza, Attone ordinò anche che gli costruissero una rocca sul monte Ubione – che controllava l’accesso alla Valle Imagna -, allo scopo di prevenire e di contrastare qualunque assalto dalla pianura o dalle montagne: il ponte fatto costruire da Attone, conte di Lecco e di Almenno, avrebbe quindi consentito una via di comunicazione privilegiata con la fortezza di Clanezzo.

Sulla vetta del Monte Ubione, spartiacque tra le valli Imagna e Brembana e osservatorio ottimale sulla pianura e sulle valli, Attone di Guiberto, ultimo dei Conti di Lecco a possedere la Corte di Almenno, verso la fine del X secolo fece edificare una rocca provvista di torricella, dove vegliava una sentinella (Fotografia Maurizio Scalvini)

 

Veduta dal monte Ubione verso la Valle Imagna (Fotografia Maurizio Scalvini)

 

Veduta dal monte Ubione verso Sedrina, Ubiale e Zogno, in Valle Brembana (Fotografia Maurizio Scalvini)

 

Veduta dal monte Ubione verso le pianure (Fotografia Maurizio Scalvini)

Dagli storici padre Donato Calvi e l’abate Gian Battista Angelini apprendiamo che quando morì, nel 975, essendogli mancato il figlio Guidone, Attone donò la Corte di Almenno al vescovo di Bergamo Reginfredo e il possesso ai vescovi venne più volte riconfermato in atti successivi (anni 1014 e 1046). Da atti firmati nella corte stessa, si ricava che anche i Vescovi vi risiedevano e forse è per questo che nel suo territorio si trovano le tre chiese di S. Tomé, della Madonna del Castello (chiesa plebana) e di S. Giorgio, risalenti al dominio vescovile.

Il vasto feudo della Corte di Almenno rimase in possesso dell’Episcopato di Bergamo fino al 3 marzo 1220, quando i dritti feudali passarono al nascente Comune: la rocca sull’Ubione aveva assunto una tale importanza per il controllo del territorio, che il vescovo di Bergamo, dopo una lunga controversia con il comune di Almenno, cedette alcuni diritti al comune ma riservò per sé il monte Ubione con la sua rocca (4).

Attone, conte di Lecco, signore di Almenno e di tutto il circondario disponeva di ricchissimi possedimenti in diverse località, ma sembra avesse particolare predilezione per la Corte di Lemine, dove volle chiudere i suoi giorni. Venne sepolto, come da sua volontà, nella chiesa di S. Salvatore (oggi posta all’interno del Santuario della Madonna del Castello), dove, nella terza campata, vicino ai gradini della cappella di S. Giovanni Battista, alla profondità di 20 cm circa, si è trovato un pezzo di lastra di marmo che potrebbe essere parte del suo sepolcro, che doveva essere monumentale. Dell’esistenza del suo sepolcro e di quello della moglie Ferlinda vi è prova negli scritti di Bartolomeo Ossa (Fotografia Maurizio Scalvini)

LE SANGUINOSE LOTTE TRA GUELFI E GHIBELLINI

Dalla metà del 1300 fino ai primi decenni del 1400 il territorio bergamasco fu teatro di acerrime lotte fratricide delle opposte fazioni di guelfi (che parteggiavano per Venezia) e ghibellini (sostenitori dei Visconti di Milano) (5), che si scontrarono aspramente nelle nostre valli (6).

Più che di una scelta ideologica verso il Papa o l’Imperatore, si trattava di faide familiari o alleanze trasversali che erano utilizzate per contendersi il potere e i favori dei Visconti milanesi, padroni della bergamasca: Bernabò in particolare, aveva dato carta bianca e l’impunità ai ghibellini, dando loro la libertà di uccidere qualunque guelfo e di bruciargli la casa (7). La sua signoria nei confronti nei nemici fu la più funesta, oppressiva e persecutrice: fu sua l’invenzione di fare uso dei cani non per difesa o guardia ma per assalire gli uomini.

Le lotte tra i vari paesi e le famiglie avvenivano spesso con razzie e distruzioni delle contrade, ad opera di manipoli di uomini che si spostavano sulle vie di comunicazione. Le strade erano sempre tracciate in alto, come del resto in alto erano le contrade principali, al riparo da possibili attacchi e più facilmente difendibili. I fondovalle erano poco frequentati, impervi e poco difendibili, oltre che luoghi ideali per assalti ed imboscate.

Erano così andate sorgendo, in punti strategici, avamposti a difesa delle valli, presidiati da piccole squadre di soldati ed anche la vetta del Canto Alto aveva il suo maniero.

Veduta del Canto Alto, ripreso dagli ex bacini della Centrale elettrica sul monte Ubione. Nel 1978, durante i lavori per la posa della nuova croce, gli alpini rinvennero i resti di un’antica torre presidiaria edificata ai tempi delle lotte tra guelfi e ghibellini: dalla vetta del Canto Alto l’ampia veduta permette infatti di spaziare dalla pianura ai colli, dall’imbocco della Valle Seriana fino alla media Valle Brembana, ed ogni spostamento di armati poteva essere avvistato e prontamente segnalato con fuochi e fumate alle scolte alleate sul monte Ubione e di Cà Eminente. Celestino Colleoni attesta che nel 1383 un ghibellino, Zanone de Cropello, fece erigere sulla vetta del Canto Alto un maniero, detto di Pizzidente, sui resti di una bastia in legno, arsa durante l’assalto sferrato nel 1362 dal guelfo Merino dell’Olmo, che teneva la sua fortezza a Malpasso presso Endenna. Merino fu catturato nel 1378 dai capi ghibellini, che lo imprigionarono nella Rocca di Bergamo e ve lo lasciarono a morire. Il Pizzidente fu poi assalito e raso al suolo dai guelfi di Sorisole e di Ponteranica nel 1404. Le lotte di fazione dovettero infuriare anche a Petosino, dove i ghibellini Se Pilis avevano un castello, e a Ponteranica, attorno alle mura della Moretta, un munitissimo fortilizio guelfo, teatro degli scontri nel 1437 con Nicolò Piccinino, che, al soldo dei milanesi, tentò di strappare Bergamo a Venezia (Fotografia Maurizio Scalvini)

 

Zoom sulla vetta del Canto Alto, visto dagli ex bacini della Centrale elettrica sul monte Ubione (Fotografia Maurizio Scalvini)

A quei tempi Clanezzo faceva parte (insieme agli attuali comuni di Brembilla, Gerosa, Blello, Ubiale, Berbenno, Strozza e Capizzone) della Val Brembilla, (8), la roccaforte ghibellina, che non rassegnandosi all’avvento del nuovo regime Veneziano, era una vera e propria spina nel fianco per la  Serenissima. Formavano una vasta enclave ghibellina intorno a Clanezzo anche la Val Taleggio, Sedrina, Stabello e la sezione meridionale della Valle Imagna, mentre di parte guelfa erano la Val S. Martino, con Gerosa ed Almenno superiore.

Tra i terribili brembillesi, spiccavano per importanza due potenti famiglie di antico lignaggio: quella dei Dalamasoni di Clanezzo (menzionata dal 1189) e quella dei Carminati di Ubiale (menzionata dal 1246), entrambe di fede ghibellina (9).

Alla famiglia Dalmasoni, che in quegli anni vide tra i suoi esponenti i terribili Beltramo e Unguerrando, apparteneva il Castello di Clanezzo, mentre l’ormai divenuto maniero del monte Ubione era di proprietà della famiglia Carminati, che, molto potente e amica ai Visconti, dal castello terrorizzava i guelfi dei paesi vicini. Isolato e minaccioso sul culmine del monte, a cavaliere delle due valli, appariva a chi lo contemplava da lontano come un inviolabile nido di umani avvoltoi, dal quale gli armigeri piombavano inaspettati e in cui riparavano con la preda.

Nelle “Effemeridi” del Calvi, al 31 gennaio del 1360 si ricorda che Bernabò vi manteneva un castellano, diciassette soldati e due cani, mentre le cronache del 1395 narrano l’uccisione di un balestriere ad opera dei guelfi d’Imagna.

In lontananza, la vetta del monte Ubione, dove sorgeva il Castello dei Carminati, così descritto nel 1841: era un massiccio quadrato irregolare con il vertice merlato. Sul lato orientale si sollevava una torre di una solidità straordinaria, come dimostravano le muraglie grosse sei piedi. Sulla facciata nord-est si apriva l’ingresso chiuso a saracinesca e con un ponte levatoio, “ed era così sicuro che solo le donne sarebbero state sufficienti a difenderlo et tener fuori un grande et numeroso esercito”, scrive Bortolo Belotti ne “La cacciata dei Brembillesi” (Fotografia Maurizio Scalvini)

A completare la difesa della Valle, rendendola pressoché inespugnabile, vi erano altri edifici dei Carminati – “la più honorata et più temuta famiglia di tutta la valle di Brembilla” -, come il Castello di Casa Eminente a Laxolo (così chiamato perché sorgeva su un alto poggio e identificabile con una costruzione in contrada Torre), ed altri caposaldi strategici per il controllo della zona tra la bassa Val Brembana e la Valle Imagna (come il Castello di Mortesina a Capizzone).

Forti di un maggior numero di uomini e fortificazioni, difesi dalla natura del luogo e legittimati dalla prepotenza dei Visconti, a lungo i temuti signori della Val Brembilla avevano sostenuto scontri con alcuni centri della Val Brembana inferiore e con con la Valle Imagna, dominando saldamente e commettendo impunemente sulle contrade nemiche le più crudeli rappresaglie, che si traducevano atti di inaudita ferocia elencati dalle cronache del tempo come “homicidi, percosse, ferite, incendii, rubarie, iniurie, villanie, adulterii, stupri, violentie, invasioni delle cose e delle terre, saccheggiamenti”.

Un episodio narra le terribili gesta del ghibellino Enguerrando Dalmasano (una  recente storpiatura dei Dalmasoni), signore di Clanezzo e più potente avversario dei guelfi d’Imagna, il quale, ottenuta dai Carminati la fortezza sul monte Ubione, da quel luogo scendeva rovinoso con i suoi armigeri recando incendio e rovina nelle terre nemiche. Stanco di rappresaglie, l’agguerrito condottiero guelfo Pinamonte de Pellegrini da Capizzone, organizzò la rivolta. Era un giorno d’aprile del 1372. Enguerrando stava preparando scorrerie e saccheggi a Mazzoleni. Le spie di Pinamonte lo informarono di un movimento inusuale di militi armati sul monte Ubione. Sull’imbrunire si accesero i falò sulla vetta di Valnera, cui rispose un’altro sulle rupi di Bedulita e poi un altro sui macigni della Cornabusa. Erano segni convenzionali: tutta l’Imagna ne comprese il significato. Favoriti dalle tenebre i valdimagnini si radunarono e si nascosero in località Pasano vicino a Cepino, rimanendo in attesa del ritorno dei ghibellini dal sacco di Mazzoleni. Quando, verso mattina, i predatori fecero ritorno all’Ubione con il loro carico di vacche, pecore, derrate e masserizie, Pinamonte li attaccò veloce come una folgore: impreparati e sorpresi, i ghibellini subirono una rovinosa disfatta. Enguerrando Dalmasano a malapena poté sfuggire alla strage e rifugiarsi, umiliato e vinto, nella sua fortezza. Altri episodi si susseguirono, finché il ghibellino Enguerrando venne ucciso da Pinamonte. Beltramo, figlio di Enguerrando, riconquistò il maniero di Clanezzo imprigionandovi il Pinamonte, che lasciò a morire nelle prigioni del Castello.

Le antiche prigioni del Castello di Clanezzo in una vecchia fotografia pubblicata da Bortolo Belotti

La leggenda racconta che, fino alla fine del Concilio di Trento, il fantasma di Pinamonte tornò, ogni anno alla mezzanotte del 20 marzo, nel castello dell’odiato nemico. Poi i guelfi ritornarono in massa a scacciare i ghibellini ma questi, serrate le fila, rioccuparono Clanezzo attestandosi saldamente alla rocca di Ubione e a Cà Eminente.

Castello di Clanezzo prima degli ultimi restauri

 

Il Castello di Clanezzo oggi (parte retrostante) – (Fotografia Maurizio Scalvini)

Attorno al Castello di Clanezzo fiorirono ferali leggende, che narravano di orribili e cruenti prodigi di cui famoso è quello dei serpenti. Si racconta che, durante un prolungato assedio, gli assalitori catturarono centinaia di serpenti, che, chiusi in sacchi di pelle e in fasci di erbe, introdussero nel castello attraverso le feritoie, complice una notte senza luna. Ma i serpenti strisciarono fuori dal castello, mettendo in fuga ed uccidendo molti degli assalitori. Nella valle si diffuse la voce che i ghibellini avessero tanto veleno in corpo, che le vipere stesse avevano preferito fuggire, nel timore di rimanere esse stesse uccise avvelenate (10).

LA CACCIATA DEI BREMBILLESI

La morte di Gian Galeazzo Visconti, avvenuta il 3 settembre del 1402, segnò una svolta importante nella storia delle nostre valli: il successore Giovanni Maria, debole e politicamente incerto, affidandosi a condottieri infidi permise che i vasti domini dello stato di Milano venissero sgretolati nel breve volgere di pochi anni e finissero in gran parte nelle mani di Venezia, che poteva garantire maggiore tranquillità e sicurezza interna (11).

Con l’avanzata dei Veneziani i Brembillesi furono tra i più tenaci oppositori al nuovo dominatore; le azioni scellerate culminarono in quello che le cronache ricordano come lo scontro più feroce avvenuto fra le due fazioni: quindici anni dopo l’occupazione del territorio bergamasco, Venezia non aveva ancora domato i bellicosi brembillesi. Un mattino, armati di tutto punto e sventolando i loro gonfaloni, gli uomini di Brembilla scesero a Bergamo e in atto di sfida sfilarono attorno alle mura della città lanciando insulti a Venezia ed inneggiando ai milanesi. Una spacconata o una intimidazione? Certo fu la goccia che fece traboccare il vaso. Prontamente riferita al governo della città lagunare, la bravata fu stigmatizzata dal Senato, che dettò precise istruzioni affinché la beffarda resistenza fosse stroncata una volta per tutte. Non osando affrontare i brembillesi nella loro valle, munita di imprendibili fortezze, Venezia ricorse ad uno stratagemma: invitò a Bergamo i capi di tutti i più importanti paesi della provincia per dirimere eventuali questioni confinarie. In realtà il convegno permise di arrestare facilmente i capi brembillesi, caduti nel tranello.

Con deliberazione del 19 gennaio 1443 fu quindi decretata la messa al bando (esilio) di tutti gli abitanti della Val Brembilla e stabilito che entro tre giorni tutte le persone sgombrassero con le loro cose andando ad abitare dove credessero, purché non vi entrassero più per i successivi cento anni. Chi fosse restato o fosse rientrato sarebbe stato immediatamente ucciso. Nessuno vi restò all’infuori di qualche pastore, che continuò a condurre i suoi armenti nei boschi deserti.

Il Senato deliberò per la completa distruzione della valle. Le guarnigioni veneziane invasero il territorio e rasero al suolo, o danneggiarono, case e fortezze, danneggiando gravemente il Castello di Clanezzo ed abbattendo dalle fondamenta il Castello sulla cima del Monte Ubione: dell’originaria struttura a forma di quadrilatero con l’alta torre non ne rimasero che rovine, che vennero scoperte quattro secoli dopo.

In Val Brembilla, sulla sommità del Monte Ubione, a ricordo di quei tempi di lotte fratricide vi sono ancora i resti dell’antico Castello dei Carminati, distrutto alle fondamenta dai Veneziani nel 1443, nel corso della campagna militare contro i ribelli Brembillesi e che terminò con la loro cacciata. Sulla sommità svetta anche una croce collocata nel 1972 e accanto vi è un rifugio per gli escursionisti (Fotografia Maurizio Scalvini)

La decisione diede vita a una diaspora – nota alle cronache come “Cacciata dei Brembillesi” – che vide gli abitanti originari spargersi a Treviglio, a Covo, Antegnate, Lodi o nella Gera d’Adda, ma soprattutto nel milanese, dove il Duca Filippo Maria Visconti fu prodigo di privilegi e concessioni e dove si diffusero in gran numero i cognomi Brembilla, poi Brambilla (12). Molto probabilmente la cacciata dei Brembillesi diede il colpo di grazia alle ultime speranze dei ghibellini.

Anche l’antica Corte Regia di Almenno fu completamente cancellata, soprattutto dalla distruzione sistematica della Lemine Inferiore, decretata in quell’anno dal podestà di Bergamo Andrea Gritti, come rappresaglia veneta contro il caposaldo ghibellino.

I PROPRIETARI DELLA TENUTA DI CLANEZZO

Stroncata energicamente la resistenza ghibellina, la terra di Clanezzo venne ascritta al fisco di Venezia, che nel 1485 la cedette all’Istituto di Pietà Bartolomeo Colleoni. Il Castello fu col tempo trasformato in una sontuosa villa, dove si avvicendarono nei secoli alcune famiglie benestanti contornandosi di musica, letterati e intellettuali (13). Trovandosi in gravi condizioni economiche dopo le guerre del Cinquecento, l’Istituto di Pietà deliberò nel 1539 di venderla a Bernardino Buscoloni, originario di Almenno: uno degli eredi di Bernardino, il figlio Gian Giacomo, fu il primo proprietario del maglio di Clanezzo, che entrò in funzione nel 1548 ad opera di Magistrum Alexandrum Venturini di Villa d’Ogna.

Dopo i Buscoloni la proprietà passò ai Furietti ed in seguito ai Conti Martinengo da Barco, che pur risiedendo a Brescia fecero il possibile per venire incontro ai bisogni dei pochi abitanti del luogo. Furono costoro a far edificare nel 1786 la nuova chiesa di Clanezzo, che pare sia sorta circa quattro secoli prima come cappella gentilizia, ad uso dei nobili proprietari del castello e che fosse già intitolata a S. Gottardo, cui erano assai devoti gli imperatori germanici, a fianco dei quali si erano schierati i ghibellini.

Nel luogo della chiesa di S. Gottardo, a Clanezzo, doveva esistere una piccola cappella privata, tenuta dai nobili proprietari del castello, risalente al 1350/1400, come emerso durante i lavori di ristrutturazione (1985) della casa parrocchiale di Clanezzo, quando è venuta alla luce la sacrestia dell’antica chiesa con il soffitto a volta tutto affrescato, raffigurante un Gesù pantocratore e ai lati quattro angeli con i simboli degli evangelisti. Intitolata in un atto del 1539 ai Santi Antonio e Gottardo, verrà mantenuta solo la dedicazione a S. Gottardo. La chiesa divenne parrocchia nel 1707 e il conte Francesco Leopardo Martinengo da Barco ne ebbe l’Jus Patronato. Tale istituzione rimase in vigore fino al 1977, quando passò ai sigg. Beltrami ed in seguito ai Roncalli, che nel 1885 comperarono il castello e la sua tenuta. Più volte modificata, la chiesa conserva, oltre a pregevoli dipinti, arredi e sculture, nonché un organo realizzato dai fratelli Serassi nel 1829. Nel 1881 vi si rinvennero due sepolture romane. Altre tombe romane vennero più tardi alla luce a lato della mulattiera che collega Clanezzo ad Ubiale e più recentemente un gruppo speleologico ha individuato un insediamento umano con resti sovrapposti che dall’età della pietra giungono all’epoca romana (Fotografia Maurizio Scalvini)

Nel 1804 la tenuta di Clanezzo (che si estendeva da Clanezzo fino alla Mortesina e da Ubiale fino al “Casino” a Villa d’Almè), venne venduta ai fratelli Egidio e Luigi Beltrami, la cui famiglia rivestì un ruolo importante nella vita politica della comunità, ricoprendo cariche locali (14). Recuperarono il “podere” e ridiedero prestigio al castello e per magnificarne la storia adornarono il giardino di silenziosi recessi, di vere o supposte antiche rovine e di commosse iscrizioni.

Attuale interno del Castello di Clanezzo (proprietà Castello di Clanezzo)

 

Attuale interno del Castello di Clanezzo (proprietà Castello di Clanezzo)

Autore di molte modifiche fu Paolo Beltrami (1792-1853), con il quale la residenza perse via via l’aspetto di castello per trasformarsi in un palazzotto, ulteriormente abbellito dal figlio Vincenzo, primo sindaco del comune di Clanezzo nel 1863. Nel cimitero di Clanezzo è presente la cappella fatta costruire da Paolo Beltrami per custodire i resti suoi e della sua famiglia.

Il Castello di Clanezzo non conserva più nulla dell’antica fortificazione turrita dalla quale il crudele Enguerrando Dalmasano seminava il terrore. Niente più fa pensare agli scontri feroci di un tempo, ma appare oggi come un accogliente edificio adibito a ristorante, caratterizzato da un portico con il loggiato ad archi e tre massicce torri. Le differenti tematiche delle decorazioni e degli stili compositi fanno intendere che gli abbellimenti siano stati realizzati in epoche diverse (Fotografia Maurizio Scalvini)

Dal libri dei Visitatori del castello (15) apprendiamo che i Beltrami furono onorati nel 1837 dalla presenza di Massimo d’Azeglio (che fra l’altro ritrasse la Valle Brembana in alcuni suoi dipinti), del maestro Giuseppe Verdi, all’apice della fama, dell’Arciduca Ranieri Giuseppe d’Asburgo, viceré del Regno Lombardo–Veneto, il quale, essendovi capitato proprio nel 1848, nei giorni cruciali delle insurrezioni antiaustriache, dovette far precipitosamente fagotto per non cadere in mano ai rivoltosi.

Nel 1885 la proprietà passò ai conti Roncalli, che specialmente nel Settecento e nell’Ottocento ebbero un ruolo importante nelle vicende storiche bergamasche. Essi vivevano nei loro palazzi in Città Alta e venivano a Clanezzo saltuariamente, per trascorrere qualche giorno di vacanza e per amministrare il comune e i propri beni. Il fattore riscuoteva per i padroni gli affitti del pedaggio della passerella, del mulino, del maglio e delle terre, ossia, il più delle volte, ortaggi, castagne, legna, farina (16). Durante il suo mandato di sindaco, Giulio Roncalli si diede da fare per migliorare le condizioni del paese, impegnandosi nella realizzazione di strade, acquedotti e scuole. La nipote Maria è da ricordare principalmente per la costruzione, nel 1925, del ponte che collega Clanezzo con Almenno. I Roncalli mantennero il possesso della tenuta fino alla prima metà del Novecento.

COSA RESTA DEL VECCHIO CASTELLO DI CLANEZZO

Non sappiamo se il Castello conservi nei sotterranei i resti del vecchio maniero, ma parecchio resta ancora del tempo che fu in alcune strutture collaterali: i chioschetti cilindrici collocati lungo i sentieri che salgono dal basso, che dovevano essere torrette di guardia (una delle quali pare conservi armi bianche medievali), diventate covi di serpi utilizzate contro i nemici; certi passaggi scavati nel pendio sottostante l’abitato, probabilmente collegamenti con i sotterranei del castello più antico. Ora gli ingressi sono murati per impedire frequentazioni sgradite, ma un giorno si dovrà pure studiare a fondo anche questa situazione.

Sulla mulattiera acciottolata che conduce al Porto, si stacca a sinistra una stradina che conduce a un edificio incastrato nella roccia: sono le prigioni del Castello.

Il sentiero che conduce alle prigioni del Castello di Clanezzo, poste a destra dell’immagine (Fotografia Maurizio Scalvini)

 

Le prigioni del Castello di Clanezzo, a sbalzo lungo la riva sinistra dell’Imagna (Fotografia Maurizio Scalvini)

 

Il vano interno delle prigioni del Castello di Clanezzo (Fotografia Maurizio Scalvini) 

ATTIVITA’ LOCALI DURANTE IL DOMINIO VENETO E IL MAGLIO

Ritornata la pace nelle valli in seguito ai drastici provvedimenti del 1443, consapevole dell’importanza strategica di questo territorio, il governo Veneziano ne favorì lo sviluppo economico. Venezia si guardò bene dal distruggere il bellissimo ponte altomedioevale di Attone, che costituì per molti secoli l’unica via di accesso da e per la Valle Imagna e per l’accesso alla pianura.

Nella terra di Brembilla – ora chiamata Brembilla Vecchia -, nonostante le difficoltà conseguenti a tanti anni di guerre e carestie causate dalla peste degli anni 1503, 1527, 1630 (ricordata nella “Valle dei Morti”, a metà strada tra Clanezzo e Ubiale), nel Cinquecento e nel Seicento gli abitanti ottennero buoni risultati soprattutto nella coltivazione delle granaglie, ed è forse questo il motivo per cui sui fiumi del territorio vi erano addirittura dieci mulini.

La leggenda vuole che i morti della peste della zona fossero portati nella valle che sta a metà strada tra Clanezzo e Ubiale, che prese il nome di “Valle dei Morti”, stranamente indicata sulle mappe come “Valle dei Mori”

 

L’attività silvo-pastorale degli Ubialesi e la sua diffusione capillare nel territorio è testimoniata in dipinto del 1542 di Lorenzo Lotto raffigurante la Madonna in gloria coi santi Battista, Francesco, Gerolamo e Giacomo, conservato presso la chiesa parrocchiale di Sedrina. Al centro della grande pala, sotto le figure dei Santi, si scorge l’abitato di Sedrina con il suo ponte sul Brembo, mentre di fronte, in territorio di Ubiale, alcuni pastori con il gregge. Sappiamo che in un’epoca imprecisata, sul fiume vi era anche un follo da panni per lavorare l’abbondante quantità di lana prodotta. I panni di lana, dopo essere stati trattati con acqua, sapone e argilla per essere liberati da ogni impurità, venivano battuti con grossi martelli in modo che il tessuto diventasse più spesso, morbido e resistente

Nella zona si sviluppò con successo anche l’attività estrattiva, documentata alla metà del Settecento dall’abate Angelini, che testimonia l’esistenza ad Ubiale di un filone di una pregiata pietra, che, molto simile al calcedonio, serviva da “accendino” nelle case ma era molto usata nel campo delle armi perché perfetta per l’archibugio. Egli testimonia inoltre la produzione di calce prodotta in fornaci molto rudimentali (ed ancor oggi prodotta in loco in modo industriale), mentre sulle pendici del monte Ubione si produceva una notevole quantità di carbone, attività che, insieme al taglio della legna, interessava la maggior parte della popolazione del comune all’inizio dell’800: Maironi da Ponte assicura che dai boschi di castagno si ricavavano frutti, legna da ardere e da opera, commercializzata lungo tutta la valle e il cui guadagno veniva dal taglio e dal trasporto. Il profitto era ad appannaggio dei soli proprietari dei boschi: a Clanezzo i Beltrami prima e i conti Roncalli poi, ad Ubiale e a Rota, gli Ascolti e pochi altri. Quando cominciò a scarseggiare il lavoro, molti carbonai Ubialesi decisero di emigrare in Canton Ticino, dove i bravi carbonai erano molto richiesti.

Una voce importante riguardò la lavorazione del ferro presso il maglio, l’antichissima fucina sull’Imagna funzionante dal 1548 e che dal Settecento, considerati i continui venti di guerra che spazzavano la Repubblica, fu una fiorente fabbrica di armi per conto di Venezia: il ferro vi veniva lavorato con grande abilità e perizia, tant’è che qui venivano forgiati numerosi proiettili e cannoni, che venivano trasportati a Venezia per essere utilizzati per la difesa di terra e per armare le navi della flotta. Il minerale di ferro proveniva dalle miniere situate nell’Alta Valle Brembana, mentre in Valle Seriana sorgeva nello stesso periodo la fabbrica di armi di Gromo, che produceva spade e altre armi da punta e da taglio.

Il maglio di Clanezzo, un massiccio edificio in pietra a vista posto sul fondo delI’Imagna, oggi quasi completamente distrutto e pericolante: le pietre del Brembo e la calce dell’Ubione furono i materiali utilizzati per la costruzione del maglio e degli edifici della zona. All’inizio del Settecento i proprietari della tenuta di Clanezzo, conti Martinengo da Barco, avevano dato in affitto la tenuta, compresa la fucina, a Carlo Camozzi, che vi produsse palle da bombarde, colubrine e cannoni destinati a Venezia. Costeggiando parte del muro di cinta del Castello di Clanezzo si scende nella valletta del torrente Imagna fino a raggiungere il punto di captazione dell’acqua del canale di alimentazione della grande fucina del ferro (Maglio) posta sulla sponda sinistra. Percorrendo il letto del canale, in parte scavato tra le falde della roccia, si raggiunge l’edificio del maglio, collocato ai margini di un giardino romantico. Il maglio e i suoi dintorni sono caratterizzati dalla presenza di manufatti che evidenziano il continuo utilizzo della fucina fino ai tempi recenti (Fotografia Maurizio Scalvini)

MA PERCHE’ UNA DOGANA A CLANEZZO?

Anche nella bergamasca il Senato Veneto aveva disposto un sistema di riscossione collocando caselli presso tutti i ponti: sui fiumi Brembo, Serio, Oglio, Cherio e loro derivazioni, dove ogni persona che veniva nel distretto bergamasco doveva pagare in base alla provenienza, se a piedi o a cavallo,  eccetto coloro che avevano il lasciapassare del Papa, dei Cardinali, delI’Imperatore, dei Duchi, dei Baroni e di altri Principi e di quanti erano “privilegiati dal Serenissimo Dominio”, così come di chi portava “Biava sopra il mercato”. C’era quindi il “dacio della semination del Guado” (pianta erbacea), il “dacio della Gratarola” (compravendita di animali), il “dacio del Pizzamantello” (legumi), il “dacio de’ banditi” (banditi dal territorio) e via dicendo.

La Dogana in una foto d’epoca (proprietà Fausto Carrara)

IL PORTO FLUVIALE DI CLANEZZO

La posizione geografica di Clanezzo nel corso dei secoli ha notevolmente influenzato le attività e la vita sociale del paese. Isolato rispetto ai territori circostanti, l’abitato ha avuto bisogno di sviluppare comode e veloci vie di comunicazione ed in particolare i collegamenti con la sponda sinistra del Brembo, dove scorreva l’arteria commerciale della Valle Brembana.

Clanezzo era infatti da tempi remoti collegato con Almenno per l’accesso alla pianura e alla città, e con Ubiale per lo sbocco in valle, attraverso una scomoda mulattiera che allungava i tempi di percorrenza e rendeva disagevole il passaggio dei carri e il trasporto delle merci: basti pensare che da Ubiale la legna veniva portata a spalla nel deposito di Sedrina o verso Clanezzo.

Panoramica su Clanezzo ripreso da Villa d’Almè (Fotografia Maurizio Scalvini)

Ancora non esisteva il ponte novecentesco sull’Imagna, come non esisteva il collegamento viario diretto tra Clanezzo, Bondo e Ubiale, completato soltanto pochi decenni fa sulla sponda orografica destra del fiume.

Clanezzo ancora priva del ponte sull’Imagna fatto costruire dai conti Roncalli nel 1925

Anche con la costruzione della Strada Priula (1592-1594), realizzata dai Veneziani per unire il capoluogo all’alta Val Brembana e ai Grigioni svizzeri, la strada birocciabile per molti anni non arrivò che alle Chiavi della Botta, così chiamate per le grosse chiavi di ferro infisse nella roccia a sostenere lo spaventoso passo che superava le gole d’ingresso della Val Brembana e che venne allargato insieme alla strada solo nel 1827 dagli Austriaci. Nel frattempo dunque Clanezzesi ed Ubialesi per recarsi a Brembilla, a Sedrina e in alta Valle Brembana, continuavano ad utilizzare la vecchia mulattiera tra Clanezzo ed Ubiale, immettendosi nella Strada Priula nei pressi dei Ponti di Sedrina, dove un ponte esisteva già dal  1178.

La strada di Valle Brembana nei pressi delle “Chiavi della Botta” in una foto degli inizi del Novecento (Raccolta Ketto Cattaneo). Lasciata Porta San Lorenzo in Città alta, la Strada Priula puntava direttamente verso la Val Brembana superando con opere ardite la gola di ingresso della Valle, che aveva scoraggiato sino ad allora l’itinerario diretto da Bergamo: un tratto lungo soltanto 200 metri, tanto indispensabile quanto pericoloso, poiché soltanto un piccolissimo muretto, alto pochi centimetri, proteggeva commercianti, viandanti, animali e carichi al seguito, dal precipizio. “Guai, se fosse sdrucciolato con un piede il cavallo!”, scriveva Maironi da Ponte. La costruzione dell’opera comportò ingenti perdite tra gli operai, a causa dei cedimenti di piccole parti di parete e fatali distrazioni che si trasformavano in tragedia. La forra di Sedrina era invece superata con un ponte. La strada proseguiva poi lungo l’asta del Brembo. Paesi come Zogno (che divenne importante centro di mercato) e San Pellegrino (che prima era un modesto villaggio) ne furono enormemente avvantaggiati. Almeno fino alla loro realizzazione, la Via Mercatorum costituì il collegamento più agevole fra la valle e Bergamo da dove, una volta raggiunta Selvino, iniziava la cavalcatoria che per Serina e Dossena arrivava al borgo fortificato di Cornello dei Tasso, dove le locande offrivano ristoro e il portico protezione dalle intemperie

 

I Ponti di Sedrina, punto strategico per la difesa della città da nord. Il ponte più antico, testimoniato nella pala del 1542 di Lorenzo Lotto (Madonna in gloria coi santi Battista, Francesco, Gerolamo e Giacomo) presso la parrocchiale di Sedrina. risale almeno al 1400, ma in luogo di questo ponte doveva esisterne uno molto più antico. Esso metteva in comunicazione Zogno con Almè e Bergamo passando per le località: Somasedrina (poco a monte di Sedrina), Mediglio (poco a monte della Botta), nei pressi della Casa Giungo (a metà circa della valle del Giungo), per il passo di Bruntino Alto e Villa d’Almè

La ristrettezza della strada, oggi corrispondente alla statale della Val Brembana, consentiva dunque il transito ai birocci solo fino alle Chiavi della Botta, dove nei pressi si trovava infatti il “Casino” (detto anche “stal” o ”stalù”), un grosso edificio cinquecentesco in pietra grezza – ancora esistente a Villa d’Almè -, di proprietà dei padroni di Clanezzo: vi sorgeva il vecchio magazzino di sosta dei carriaggi commerciali e delle merci provenienti da Clanezzo o dirette a Clanezzo, con stalle per il ricovero e il cambio dei cavalli, vani per il ricovero per i carri e l’abitazione dei carrettieri.

A Villa d’Almé, sulla sponda orografica sinistra del Brembo e di fronte a Clanezzo, l’edificio del “Casino” esiste ancora, benché rimaneggiato: oggi occupato da Arredi Carminati, si trova in prossimità del grande parcheggio sulla strada statale che immette in Valle Brembana, in via Casino basso (Fotografia Maurizio Scalvini)

 

Dal parcheggio ubicato in prossimità del “Casino” si diparte un ampio sentiero gradinato e acciottolato, che scende comodamente al “ponte che balla” e di lì al Porto (Fotografia Maurizio Scalvini)

 

Il “ponte che balla” al termine del percorso gradinato (Fotografia Maurizio Scalvini)

 

Durante la discesa, a sinistra, una deviazione conduce alla pista ciclabile della Valle Brembana e si può anche osservare la stazione della vecchia Ferrovia con la prima galleria (Fotografia Maurizio Scalvini)

Era dunque inevitabile che gli abitanti di Clanezzo cercassero un modo rapido e sicuro per raggiungere questa strada. L’idea di costruire un ponte era sicuramente temeraria, considerando i costi e la notevole distanza delle due sponde; il traghetto collegato alle due sponde da una fune tesa parve la soluzione più facile e meno dispendiosa, anche perché in quel punto il fiume si restringeva e le correnti impedivano l’uso del guado.

Il traghetto a fune documentato in un’antica stampa

Documentato nel 1614 (17), il traghetto poteva essere anche più antico, non foss’altro perché era necessario a sopperire alla mancanza di un collegamento viario diretto sulla sponda destra del fiume (18), punto nevralgico per il commercio di Valle Brembana e Imagna.

Veduta del traghetto, del Porto e della Villa di Clanezzo. Il traghetto faceva la spola tra le due sponde del Brembo trasportando persone, generi alimentari, legna, carbone ecc. La barca era agganciata ad un cavo che attraversava il fiume secondo il sistema del traghetto leonardesco di Villa d’Adda (disegno di Paolo Beltrami, 1836. Bergamo, Biblioteca Civica A. Mai)

Il traghetto a fune era decisamente una “singolarità” per la Valle Brembana e più tardi, ai tempi della “belle époque”, ne sarebbe sorto un secondo a San Pellegrino, importante stazione termale brembana. Oggi dei porti su fiume rimane in attività solo quello di Imbersago le cui origini, così come quelle di altri porti similari documentati lungo l’Adda, ricordano l’opera di Leonardo da Vinci.

Ai tempi della “belle époque”, nella stazione termale di San Pellegrino  la traversata sul Brembo era per i turisti una consuetudine. il traghetto funzionava da “navetta” trasportando i villeggianti dall’attuale via B. Tasso all’allora ristorante Belvedere

Certamente oggi l’idea di un traghetto che attraversi il Brembo è inimmaginabile, perché il letto del Brembo era più profondo e la sua portata assai maggiore in ogni periodo dell’anno e, forse, a partire da Clanezzo, in certe condizioni parzialmente navigabile; senza contare che le opere di sbarramento realizzate per il fabbisogno di energia elettrica del Linificio di Villa d’Almè lo hanno quasi prosciugato: inutilmente, più volte il consiglio cittadino propose dei progetti per rendere il Brembo navigabile o canalizzarne le acque per collegarlo al Po.

Dettaglio della mappa della Valle Brembana disegnata da Pietro Ragnolo nel 1596 con la descrizione del tracciato della Strada Priula, contenuta nella relazione del Capitano Giovanni Da Lezze in quell’anno. In prossimità del nome “Clanez”, la scritta “Dove c’è il sito per cavar la bocca del navilio” indica il progetto di Giovanni Rota della Pianca per la realizzazione di un canale navigabile. Il progetto prevedeva di sbarrare il Brembo a Clanezzo e di derivare un canale dal lago che si sarebbe formato. Le soluzioni proposte per giungere a Venezia erano due: nella prima il canale navigabile avrebbe raggiunto Bergamo e poi l’Adige nel Veronese; nella seconda, una volta raggiunta Bergamo in Borgo S. Caterina, avrebbe seguito il perimetro della città per dirigersi poi verso l’Adda. Anche Bartolomeo Colleoni e Leonardo Da Vinci avevano pensato di costruire canali navigabili per trasportare le merci e di irrigazione con le acque del Brembo, ma tutti i progetti erano tramontati. Di Leonardo Da Vinci è rimasto uno schizzo, tracciato intorno al 1508-1510, nel quale sono riportate molte delle località che si trovano lungo il corso del fiume. Lo studio, conservato presso la Raccolta Reale di Windsor in Inghilterra

Il servizio di traghetto era gestito da un portolano, che controllava e riscuoteva il pedaggio dagli edifici del Porto, un variegato agglomerato di edifici costruiti nel Seicento ma di possibile origine medioevale.

Il traghetto a fune tesa nella Mappa napoleonica del 1810!

 

Il Porto di Clanezzo, uno scalo fluviale in miniatura. L’edificio del portolano esiste ancora e ha mantenuto la propria insegna, ricordando il traghetto che faceva la spola tra le due sponde del fiume, trasportando merci e persone. Anche negli edifici del Porto, un ampio androne doveva essere adibito al temporaneo riparo e a magazzino delle merci. Su una facciata degli edifici del Porto compare in altorilievo lo stemma della famiglia Roncalli (Fotografia Maurizio Scalvini)

 

Porto di Clanezzo. Sotto il gruppo di case scorre una vena sotterranea di cristallina acqua sorgiva, presente grazie ai diffusi fenomeni carsici che han dato luogo a diverse cavità e sistemi di condotte (Fotografia Maurizio Scalvini)

Nel corso dell’Ottocento gli edifici del Porto ospitavano pure l’ufficio postale comunale e un’osteria con alloggio, fatta chiudere dagli Austriaci nel 1829 per timore di disordini: in un documento del 7 febbraio 1829 è scritto infatti che il deputato politico comunale deve sospendere dall’esercizio di venditor di vino il Portolano di Clanezzo, Giacomo Capelli, perché è recidivo e causa di diversi disordini. La chiusura dell’osteria deve essere definitiva perché il luogo è vicina al Brembo e a tanti altri pericoli che possono essere dannosi per gli avventori e per gli ubriachi, e anche perché rende facile la fuga e quindi le ….”politiche trasgressioni”.

Porto di Clanezzo. Disegno del 1924 dell’ingegnere/architetto Luigi Angelini (proprietà del Bar “La Gabèla”, presso il Porto di Clanezzo)

Fino agli inizi del Novecento il gruppo di edifici fu custodito da un guardiano e gli ultimi abitanti hanno abbandonato il Porto in tempi recenti.

Il Porto di Clanezzo alla fine del Novecento, quando ancora i suoi edifici erano abitati

 

La vecchia insegna del Porto prima delle recenti operazioni di recupero

 

Gli affreschi sulla facciata di un edificio del Porto, oggi recuperati grazie all’iniziativa di Lorenzo Filippini, ingegnere di Petosino, e Davide Baggi, perito elettronico di Ponteranica (Fotografia Maurizio Scalvini)

E se l’accesso a Clanezzo dal lato del Brembo – sia che si giungesse col traghetto che, in seguito, con la passerella – prevedeva il pagamento di un pedaggio, lo stesso avveniva per chi transitava sull’antichissimo Ponte di Attone, dove, nella seicentesca Dogana fatta costruire dai Veneziani, viveva un portinaio con le stesse funzioni del collega del Porto (19): oltre ad essere il posto di controllo dei transiti tra le due sponde terminali della Valle Imagna, la Dogana era anche sede della “gabella”, che imponeva dazi ai commerci che utilizzavano tale via di comunicazione.

La robusta torre a pianta quadrata era probabilmente il nucleo originario della costruzione, solo in seguito affiancata da un edificio a logge lignee nel quale alloggiava il doganiere, colui che aveva appunto il compito di riscuotere il pedaggio.

Dal Ponte di Attone, lungo l’antico tracciato altomedioevale si scorge un edificio di epoca seicentesca che svolgeva la funzione di Dogana, una robusta torre affiancata in seguito da un edificio a logge lignee nel quale alloggiava il doganiere, colui che aveva  il compito di riscuotere il pedaggio (Fotografia Maurizio Scalvini)

Dopo che una piena distrusse il traghetto, forse a causa delle mutate condizioni del Brembo o forse per una maggiore funzionalità e convenienza, l’utilizzo del traghetto venne abbandonato a favore di un’opera di arditissima ingegneria: il ponte sospeso sul Brembo (oggi noto come “Ponte che balla”), fatto costruire nel 1878 da Vincenzo Beltrami, allora proprietario del castello di Clanezzo e delle terre circostanti (20). La passerella in legno, lunga circa 70 e larga 1,30 metri, è sorretta da esili cavi in acciaio tenuti in tensione da due contrafforti in pietra; un avvertibile ondeggiamento accompagna chi vi transita a piedi o in bicicletta.

Suggestiva immagine della passerella, unica sopravvissuta delle tre che, fino ad alcuni decenni fa, si trovavano nei pressi di Clanezzo (Fotografia Maurizio Scalvini)

I sistemi di tenditori delle funi sono visibili all’interno del contrafforte sulla sponda di Clanezzo, mentre all’interno di un edificio del Porto sono rimasti i vecchi meccanismi, ormai in disuso, a ricordo di un passato secolare.

I vecchi meccanismi della passerella, ormai in disuso, all’interno di un edificio del Porto (immagine di proprietà del Bar “La Gabèla”, presso il Porto di Clanezzo)

E’ l’unica passerella sopravvissuta delle tre che fino ad alcuni anni fa si trovavano nei pressi di Ubiale Clanezzo e fu uno dei primissimi esemplari realizzati nell’Ottocento in Italia con la tecnica delle funi portanti ancorate sulle rive.

Il ponte sospeso e il Porto. Con il suo dondolio, la passerella continua a trasmettere l’emozione di un inusitato passaggio sul fiume, mentre l’ambiente del Porto è rimasto pressoché immutato nel corso dei secoli (Fotografia Maurizio Scalvini)

Sono, questi, gli anni in cui si comincia a parlare dei Conti Roncalli, divenuti nel 1885 proprietari del Castello (ora Villa Beltrami) e di molti possedimenti in Clanezzo, dove si distingueranno nella vita politica ed amministrativa del paese e per la realizzazione di importanti opere come strade, acquedotti, scuole nonché il ponte di collegamento con Almenno, che verrà realizzato nel 1925.

Clanezzo – Contrada Porto in una vecchia cartolina dei primi Novecento. Lo stemma della famiglia Roncalli, che dal 1885 fu proprietaria della zona, compare sulla facciata di un edificio (Pompeo Sibilia Edizioni, Bergamo)

 

Nei primi anni del 1900, in piena belle époque, le carrozze che nei mesi estivi portavano le famiglie dei nobiluomini e dei borghesi benestanti verso le “Acque” di San Pellegrino erano solite interrompere il viaggio con una sosta di riposo all’altezza delle chiavi della Botta, sulla riva sinistra del Brembo, di fronte a Clanezzo. Le signore si facevano ombra con graziosi ombrellini, i signori accendevano il sigaro e scendevano verso il fiume, dove un ponte a passerella che dondolava dolcemente sopra le acque blu, permetteva loro di approdare sulla riva opposta e percorrere poi la dolce salita che, lasciando alle spalle gli edifici del Porto e della vecchia Dogana, li portava nel giardino ombreggiato del Castello o Villa Beltrami, come allora veniva chiamato. Un angolo di quieta bellezza, di grande frescura, situato dove il torrente Imagna si getta gorgogliante nel più importante fiume Brembo. Con l’arrivo della Ferrovia, i visitatori giunsero a Clanezzo, anziché in carrozza, con un trenino che sembrava un giocattolo, con tanto di gallerie, passaggi a livello e stazioni che sembravano fatte con il “traforo”. E se fino alla fine degli anni Trenta questo “piccolo mondo antico” non subì grandi variazioni, la seconda guerra mondiale cambiò l’Europa e, in piccolo, anche le abitudini di questo angolo di terra (Alberto Maria Molgorami Beltrami) – (Per la fotografia, Turisti in visita alla villa di Clanezzo all’inizio del Novecento – Raccolta Ketto Cattaneo)

 

1899: una fototipia di “Clanesso”. Il castello dei conti Roncalli domina isolato. Non c’è ancora il ponte carrabile (1925) che portava anche alle cave di quarzo (ora chiuse) – (Domenico Lucchetti, Album di antiche cartoline bergamasche. Grafica Gutemberg, 1979)

 

Nel frattempo, l’allargamento della Priula nel 1827 e la possibilità di transitare con piccoli carri e con birocci oltre le Chiavi della Botta, favoriva i trasporti da e per la Valle e incrementava diverse attività economiche (produzioni di carta, panni, ferro, legna e formaggi), così come lo sviluppo dell’attività termale di S. Pellegrino, dove i primi alberghi sorsero nel 1856. Grazie a tale incremento, alla fiera di S. Alessandro, nel 1828 vennero vendute stoffe per dodici milioni di lire austriache, nel ’34 per ventiquattro milioni, nel ’37 per trentotto milioni. Anche la produzione della seta ebbe una forte impennata e la coltivazione del gelso fu per lunghi anni una delle risorse dei meno abbienti. Ad Ubiale venne praticata da molte famiglie. I bachi, una volta raggiunta la dimensione giusta, venivano portati alla filanda di Campino, in territorio di Almenno S. Bartolomeo, presso il Brembo. Ancora alla metà dell’800 l’agricoltura occupava molti degli abitanti di Ubiale-Clanezzo come mezzadri e l’80% delle terre era ancora in mano ai nobili e all’alta borghesia

In seguito all’Unità d’Italia, la ricchezza mineraria e la presenza di risorse idriche per la produzione di energia ha favorito la nascita di insediamenti industriali e la realizzazione di opere ed impianti che hanno cambiato l’aspetto del territorio.

Nel territorio di Ubiale, ricco di rocce calcareo-marnose e quarzose, si aprirono alcune cave per l’estrazione di marna e quarzo. Il quarzo venne estratto fino agli anni Sessanta  in località Coste e a Ca’ Bonorè e le ferite nella montagna sono oggi ricoperte da una fitta vegetazione (lungo la strada che porta ai ponti di Sedrina si vede ancora la tramoggia).  Ebbero invece vita lunga le ditte Ghisalberti (poi Unicalle, a 200 metri dal Ponte sul torrente Brembilla) e la Società Cementi Valle Brembana (oggi Italcementi), che ancora oggi producono calce con il materiale estratto dalle cave di Ubiale, che in passato hanno divorato completamente le storiche contrade della Forcella, sopra i ponti di Sedrina, e quella, molto più grande e popolosa, di Ciniplano. Restano comunque i ruderi delle vecchie teleferiche e le tramogge utilizzate per portare materiali ai forni.

Tra il 1897 e il 1900, proprio a Clanezzo fu realizzata una Centrale idroelettrica: la prima in Valle Brembana che potesse definirsi correttamente in questo modo ed una delle prime in Italia a sfruttare il sistema di generazione e pompaggio. Fu costruita nei pressi dell’ultima stretta del Brembo, prima che il fiume sfoci in pianura, abbastanza vicino al capoluogo, quindi in posizione strategica.

La centrale Schuckert a Clanezzo poco prima del 1915. Fu una delle prime, in Italia, a sfruttare il sistema di generazione e pompaggio, cioè quello che permetteva di avere una scorta d’acqua (10.000 mc) sempre a portata di turbina. Sul contrafforte del monte Ubione si nota la condotta forzata per accumulare e riutilizzare più volte la stessa acqua. Venne realizzata, in qualità di proprietaria, dalla Società Schuckert & Co. di Norimberga (un’associazione di imprenditori tedeschi di cui faceva parte anche il birraio Von Wunster), cui subentrò più tardi la Società Bergamasca, mentre a produrre l’energia elettrica era la Società Orobia. Progettista del canale e della diga di servizio della centrale era l’ing. Luigi Goltara. Il canale di servizio alla centrale di Clanezzo era sulla sponda destra del Brembo. Ma ci vollero molti anni prima che il paese potesse beneficiare dell’energia elettrica

 

Operai al lavoro per la costruzione dei bacini (Raccolta Ketto Cattaneo)

 

Bacino di raccolta lungo le pendici del monte Ubione, per la Centrale idroelettrica di Clanezzo (Raccolta Ketto Cattaneo)

 

Bacino di raccolta lungo le pendici del monte Ubione, per la Centrale idroelettrica di Clanezzo (Raccolta Ketto Cattaneo)

 

Resti di una delle due cisterne lungo le pendici del monte Ubione, completate nel 1903. Si tratta di due grandi vasche semi-interrate, costruite per uso idroelettrico per la Centrale a pompaggio posta sul sottostante fiume Brembo, da tempo in disuso. Durante la notte l’energia elettrica prodotta in eccesso della Centrale veniva usata per pompare acqua dal fondovalle fino a queste vasche a metà montagna, acqua che poi di giorno tornava a valle per alimentare le condotte delle turbine e produrre così nuova energia (foto U. Gamba, op. cit.)

L’obiettivo era quello di produrre energia su vasta scala per venderla poi alle utenze private che stavano aumentando sempre di più.

Clanezzo. La passerella un tempo esistente presso la Centrale idroelettrica “Brembo”, costruita per raggiungere dalla centrale la strada di Valle Brembana senza dover utilizzare la passerella dei conti Roncalli, soggetta al pagamento di un pedaggio. Il gruppo di case era di proprietà dell’ente che erogava l’energia elettrica. Vi si arrivava attraverso una stradina tutta tornanti che scendeva da Campana, oggi inclusa in una proprietà privata. E’ stata smantellata dall’Enel, ma sono rimasti i sostegni in cemento dei tiranti a bordo fiume (Raccolta Ketto Cattaneo)

La concorrenza per accaparrarsi i diritti di sfruttamento delle risorse idriche nella zona di Clanezzo in quegli anni era fortissima. Contemporaneamente alla Centrale idroelettrica di Clanezzo, nel 1897 venne costruita un’altra Centrale, questa volta sul greto del torrente Imagna, che intercettava le acque dall’Imagna in territorio di Berbenno, alla località Ponte Giurino. Da qui venivano trasportate con un canale semi sotterraneo in territorio di Clanezzo, là dove l’Imagna sbocca nel Brembo: un salto di ben 80 metri e una portata di 580 litri d’acqua al secondo, assicurava una potenza complessiva di 500 cavalli (HP).

La Centrale elettrica di Clanezzo sul greto del torrente Imagna (1897), posta sul percorso che conduce al maglio di Clanezzo

Per portare l’acqua fino a Clanezzo, in territorio di Strozza fu costruito un arditissimo viadotto-canale a sei arcate che attraversava il torrente Imagna a una notevole altezza cambiando in modo spettacolare e definitivo il panorama di quella valle.

Per portare l’acqua fino a Clanezzo venne costruito un canale di derivazione che a Strozza attraversava il torrente sull’ardito e grandioso ponte-canale che ha preso il nome dall’ing. Giuseppe Chitò, che l’ha progettato e costruito nel 1897.  il canale a pelo libero, ora dismesso, raggiungeva i prati sovrastanti l’abitato di Clanezzo, fiancheggiando in quota il torrente per poi scendere di colpo tramite una condotta forzata alla centrale posta sul greto dell’Imagna. Ora la centrale è stata smantellata e sul sedime del canale, in parte ritombato e sistemato, passa il percorso ciclo-pedonale del Chitò (Fotografia Maurizio Scalvini)

 

Percorso ciclo-pedonale del Chitò: una pista molto peculiare, che corre a mezza costa nei boschi tenendo alla sua destra il monte Ubione e a sinistra il torrente Imagna, sviluppandosi interamente in sicurezza. La ciclovia percorre il sedime del dismesso canale che alimentava la Centrale idroelettrica minore di Clanezzo , fiancheggiando in quota il torrente Imagna, che qui si inforra per circa due chilometri prima di confluire nel Brembo a Clanezzo. Questo fa sì che la pista sia quasi interamente piana e che abbia molte grate che lasciano intravedere il corso d’acqua originale. Il percorso offre  ombra e frescura, anche grazie alle pozze, alle sorgenti e ai numerosi rivoli d’acqua che lo punteggiano, nonché particolari scorci paesistici di notevole bellezza. Sul sentiero sono presenti affioramenti di dolomia e sorgenti incrostanti con fenomeni di deposito concrezionale di particolare interesse naturalistico, rari per la bergamasca. In prossimità di Strozza (terzo chilometro) si giunge al suggestivo ed arditissimo ponte-canale del Chitò, grandiosa costruzione in pietra, a sei arcate, che attraversa il torrente Imagna a una notevole altezza, consentendo di passare sulla sua riva destra. Oltre il ponte la ciclabile prosegue ancora per un chilometro parallela alla strada provinciale SP14 per poi terminare in località Medega nei pressi di Capizzone (Fotografia Maurizio Scalvini)

Le nuove attività industriali avevano aumentato considerevolmente il volume delle merci e la mobilità della popolazione diveniva un problema sempre più pressante. Nonostante l’arrivo della Ferrovia delle Valli, Clanezzo era ancora completamente isolata: non c’era strada verso monte e per raggiungere la stazione c’era solo la mulattiera che saliva dalla passerella sospesa sul Brembo (che, come vedremo, diverrà proprietà comunale nel 1913).

Inizi ‘900: l’arrivo della Ferrovia a Clanezzo, con i binari e la galleria in basso e a destra dell’immagine. La Ferrovia della Val Brembana favorì lo sviluppo sociale ed economico della Valle

Ancora una volta, il suo isolamento impediva lo sviluppo economico del borgo e dei suoi abitanti. Era quindi necessario realizzare strade più comode e veloci.

Nel 1910 fu realizzata la nuova strada carrozzabile tra Ubiale e i Ponti di Sedrina, scavata negli strapiombi della riva destra del Brembo. A questo punto il vecchio percorso Clanezzo-Ubiale-Ponte del Capèl che si svolgeva lungo una scomoda mulattiera venne abbandonato (Raccolta Ketto Cattaneo)

 

L’ex stazione ferroviaria di Clanezzo è ubicata nel punto in cui dalla ciclabile si accede al Porto e alla passerella di Clanezzo, sul Brembo. la stazione, aperta nel 1906 al completamento della prima tratta della ferrovia della Valle Brembana (che giungeva fino a S. Giovanni Bianco), era posta a servizio del comune di Ubiale Clanezzo e Botta, frazione di Sedrina. La Ferrovia della Valle Brembana fu attiva fino al 1966

Intanto, il conte Giulio Roncalli, allora sindaco del paese, propose al Comune l’acquisto della passerella sospesa sul Brembo, necessaria per l’accesso alla stazione e alla strada provinciale attraverso la mulattiera. L’acquisizione con atto di vendita redatto il 21 luglio 1913 nel palazzo dei conti Roncalli in piazza Mascheroni a Bergamo, permise finalmente ai cittadini di non dover più pagare un pedaggio di 5 centesimi per attraversarla.

Clanezzo cominciava ad uscire dal secolare isolamento grazie alla nuova strada carrozzabile realizzata dopo la costruzione, nel 1925, del ponte sull’Imagna, fatto costruire dalla contessa Maria Roncalli, anche se nei primi anni il transito fu consentito solo ai Roncalli.  La strada, che si fermava al Castello (dove era la sede del Comune), venne poi prolungata fino al cimitero, per facilitare l’accesso ad una cava di quarzo sopra Clanezzo.

L’elegante ponte ad arco sull’Imagna, risalente al 1925, permise di collegare in quota i due pianori che si fronteggiano sul torrente. Il manufatto – il primo ponte in cemento armato costruito in Italia – è di proprietà privata ma lasciato in uso pubblico (Fotografia Maurizio Scalvini)

Qualche anno più tardi si costruì il tratto Clanezzo-Bondo e nel 1980 circa si diede inizio al collegamento con Ubiale, che s’immette sulla strada statale, collegando comodamente i due principali centri del comune.

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Da secoli ormai le due piccole fortezze del posto sono sguarnite d’armigeri; il millenario ponte ad arco è sgombro di nemici e privo degli antelli d’accesso; la torretta della Dogana è senza più vedette e il porticciolo sul Brembo è ormai in disuso. Anche il maglio non romba più per armature, alabarde e per falci da fieno e l’umile gleba non impingue più i granai e non offre le primizie dei campi al feudatario. La fortezza sull’Ubione è ormai ridotta a pochi resti, mentre il Castello ha dismesso da tempo il cipiglio guerresco: gli invitanti effluvi della cucina del ristorante fanno dimenticare le traversie del passato.

Ma nonostante i cambiamenti, il microcosmo di Clanezzo riesce ancora ad affascinare: per la posizione straordinaria accoccolata su un dirupo alla confluenza di due corsi d’acqua, per la bellezza del sito impervio ed accogliente insieme, per la suggestione dei rimandi storici ancora avvertibili, che continuano a farne un’affascinante meta, oggi valorizzata da un importante operazione di recupero, che ci fa amare ancor di più quel fazzoletto verde lambito dall’azzurro cangiante delle sue acque.

COME ARRIVARE

Clanezzo è raggiungibile sia dalla strada statale della Valle Brembana prendendo lo svincolo che all’altezza di Sedrina si immette per Ubiale, o accedendovi dall’edificio del Casino, a Villa d’Almè (parcheggio), da dove si diparte una comoda stradetta. Vi si arriva anche dalla strada provinciale di Almenno San Salvatore, dove, oltrepassato il ponte costruito dai Conti Roncalli nel 1925, l’abitato si annuncia con l’antico Castello, oggi adibito a ristorante.

Note

(1) Dal periodo romano Clanezzo ed Ubiale facevano parte del distretto territoriale di Lemine (Pagus Lemmenis) insieme alla Valle Imagna, la Valle Brembilla e parte della bassa Valle Brembana. infatti il “Rotulus Episcopatus” come parti del “territorio di lemene” nell’anno 1258 cita le località di “clanezo de lemene”, “monte obiono”, “bondum”, “lunga cavallina”, “finalle et callus de calcibio”, la via “que vadit ad letezolum”, “obiolo” e “ubiallo”. Pertinenza di Almenno fino al XIII secolo, fu, fino al 1443, parte integrante di quella zona generalmente chiamata Brembilla o Valle Brembilla, che era molto più estesa dell’attuale. Con tale nome si intendeva il fazzoletto di terra bergamasca a sud del colle di Berbenno, chiuso tra il fiume Brembo, il torrente Imagna e il torrente Brembilla, comprendente quindi i comuni di Ubiale Clanezzo, Brembilla ed assorbendo entro i propri confini anche le porzioni territoriali di Strozza e Capizzone poste alla sinistra del torrente Imagna. In seguito prese il nome di Brembilla Vecchia, nome che conservò sino alla fine del 1700, quando diventò Clanezzo con Ubiale. Qualche anno più tardi sparì l’indicazione “Ubiale” e il Comune diventò “Clanezzo”. Dal 1927 si chiama Ubiale Clanezzo (Umberto Gamba, “Ubiale Clanezzo. Storia di una comunità”. Ferrari Editrice, Anno 2000).

(2) Sotto il dominio longobardo furono soppressi i pagi e l’amministrazione del territorio venne accentrata nella città, la quale, con il passare degli anni, assumeva sempre più l’aspetto di una corte (Umberto Gamba, op. Cit.).

(3) Con la conquista franca del 774 e l’incoronazione di Carlo Magno, questi ristrutturò l’amministrazione e il governo del territorio, creando i conti e altre figure istituzionali. Ideò un regime feudale fondato sul vassallaggio, che trovò terreno fertile in Italia e, una volta radicatosi, vi rimase per lunghissimi anni. Passata nelle mani di nuovi signori, la Corte Franca di Almenno doveva essere solo una residenza di campagna o, considerando la natura dei luoghi, una tenuta di caccia. Doveva però essere bella e appetibile, dato che per lunghi anni fu tenuta in grande considerazione sia dai re longobardi che dai re carolingi. Nell’anno 875 Ludovico il Germanico la concedeva, insieme alla corte Morgola, ad Ermengarda (figlia di re Ludovico II, Imperatore del Sacro Romano Impero e sovrano d’Italia), che la tenne in possesso fino a quando gliela sottrasse l’imperatore Carlo il Grosso, salito al trono nell’881. In seguito, Autari concesse la corte a Guido da Spoleto, il quale, divenuto imperatore nell’892, la donò, su istanza della moglie Agertruda, al marchese Corrado, conte di Lecco, suo fedele margravio e anche parente. Corrado e la moglie Ermengunda presero possesso della corte e la tennero fino all’895, anno in cui Radaldo succedeva a Corrado e veniva a sua volta investito della corte. Divennero poi conti di Lecco Guiberto e infine Attone (957 – 20 giugno 975), sposo della longobarda Ferlinda (Umberto Gamba, op. Cit.).

(4) Storie nuove della Valle Brembana, di Giuseppe Pesenti. Saggi Storici Quaderni Brembani. Edizioni Centro Storico Culturale Valle Brembana, Corponove, Bergamo. Di questo antico percorso oggi è rimasto solo un tratto di circa 600 metri, ancora in discrete condizioni, che dal centro di Ubiale conduce in orizzontale verso la valle di Brembilla, sovrastando di circa 40 metri gli strapiombi del Brembo e la carrozzabile del 1910, e giungendo improvvisamente sul ciglio della cava di calcare che ha divorato già da parecchi decenni la collina pianeggiante a forma di panettone da cui poi tale percorso, con alcuni tornanti, scendeva al ponticello sopra il torrente Brembilla (Giuseppe Pesenti, Op. cit. in questa nota).

(5) Il 3 Marzo 1220 con una transazione il Vescovo investiva del feudo il comune, riservandosi il palazzo nel castello e le sue pertinenze, ma lasciando al comune l’elezione del portinaio. Il vescovo inoltre riservava a sé le decime e, tra le altre cose, il monte Ubione e la sua rocca”. Finalmente, il 3 settembre 1266 “il Comune di Almenno donava alla città duemilasettecento lire imperiali garantite da Bartolomeo del Zoppo e diventava borgo cottadino” (Umberto Gamba, op. Cit.).

(6) La divisione tra guelfi e ghibellini aveva avuto origine in Germania già nel 1140, durante la guerra che vide opposti il duca di Svevia e quello di Sassonia. Questa differenziazione si espanse anche in Italia e durò fino a tutto il Quattrocento. Essere ghibellini significava parteggiare per l’imperatore di Germania, che oltre a detenere il potere temporale, voleva anche la guida spirituale delle comunità a lui sottoposte; essere guelfi invece voleva dire essere dalla parte del Papa e sostenerne così sia il dominio spirituale, sia le mire di potere terreno, molto forti all’epoca anche da parte del clero. Questa divisione ideologica si ripercuoteva in quasi tutta Europa e si affiancava alle lotte già in corso tra i vari stati. In Italia la presenza del Papa rendeva ancor più accentuate queste contese; qui i vari stati e le famiglie più importanti si dividevano alleandosi col Papa o con l’Imperatore a seconda delle convenienze (I guelfi e i ghibellini in val Brembilla. In: Quaderni brembani. “Il Castello di Cornalba e le lotte sulle montagne brembillesi”, a cura del “Gruppo Sentieri amici della storia” di Brembilla testo di Cristian Pellegrini). Il dominio visconteo a Bergamo iniziò nel 1315 con Matteo Visconti, al quale fu offerta la città dai ghibellini bergamaschi.

(7) I fatti dell’epoca si possono ricostruire grazie al “Chronicon Bergomense guelpho-ghibellinum” di Castello Castelli e alla “Storia di Bergamo e dei Bergamaschi” di Bortolo Belotti.

(8) I rapporti di fiducia e di reciproca collaborazione tra i Brembillesi e Bernabò sono testimoniati anche da un atto redatto da Regina, moglie di Bernabò, e dal figlio Rodolfo i quali, dovendo porre rimedio alla forte emigrazione delle valli, ridussero a un quarto le taglie e le condanne per debiti e assolsero del tutto gli abitanti della Brembilla e i pochi ghibellini di Val Imagna (Umberto Gamba, op. Cit.).

(9) La giurisdizione di Brembilla comprendeva un’area molto vasta che includeva gli attuali comuni di Brembilla, Gerosa, Blello, ed anche Ubiale Clanezzo, Berbenno, Strozza e Capizzone. Lo stemma della Brembilla presentava nella parte superiore l’aquila nera su sfondo oro, a significare la comune fede ghibellina; 6 bande oblique di uguali dimensioni, oro e azzurre, a indicare le 6 principali frazioni della valle. Separava i due campi una banda rossa sormontata da una croce, a significare che tali frazioni erano di proprietà del vescovo. L’emblema della Brembilla si può ancora ammirare sulla parete di una casa di Almenno S. Salvatore lungo la strada che porta in Valle Imagna, all’ingresso del Castello di Clanezzo, dipinto sulla volta, con un castello al posto della croce, ed infine nel gonfalone del comune di Brembilla (Umberto Gamba, op. Cit.).

(10) Grazie ad alcuni documenti del XII e XIII secolo possiamo conoscere i nomi dei primi abitanti del luogo e delle prime contrade. Nei libri dei “Censuali dell’Episcopato di Bergamo si leggono i nomi delle famiglie Dalamsoni di Clanezzo (1189), dei Bonoreni (1195), famiglia originaria di Ca Bonorè, contrada che prende il nome da questa famiglia, una delle più belle del paese e che fino agli anni ’70 conservò intatto il fascino e l’architettura delle origini. Costruita in posizione strategica con le sembianze di una piccola fortificazione, Ca Bonorè è sicuramente una delle località più vecchie e importanti del paese; basti pensare che è menzionata, con Clanezzo, nelle mappe più antiche, nelle quali spesso è l’unico riferimento al paese. Secondo P. Tosino la famiglia Bonoreni si stabilì a Bergamo ed ottenne diritto di cittadinanza e titolo di nobiltà. C’erano poi i Carminati e Bertinalli (1246) di Ubiale: menzionate in quanto, verosimilmente, doveva trattarsi delle famiglie più abbienti. Capostipite dei Dalmasoni di Clanezzo è un certo Dalmatius de Clenezo, di cui si ha notizia nel 1189, Quando Clanezzo faceva parte della corte vescovile di Almenno. La nobile famiglia dei Dalmasoni di Clanezzo tenne il paese fino a circa il 1400. Probabilmente erano abbastanza ricchi ed operosi, perché nel 1300 vengono nominati circa 40 volte nei “Codici e libri dell’Estimo della città e del contado bergamasco”. Capostipite della nobile famiglia Carminati , originaria di Brembilla, fu un Bartolomeo Carminati esule della Val Brembilla nel 1443 per ordine della Serenissima. Da questa stirpe uscirono uomini potenti e famosi tra i quali, secondo alcuni storici, anche un papa; Giovanni XVIII Fasano, anche se su ciò vi sono molti dubbi. I Carminati per alcuni secoli ebbero un posto di primo piano nelle vicende di questo territorio. A Cadelfoglia di Brembilla compare sulla facciata di una casa lo stemma della famiglia Carminati, cognome che affonda le radici in Valle Brembilla e deriva sia dal territorio (contrada Carminata, posta sulle prime alture di Mortesina, in Valle Imagna ex Brembilla Vecchia), e sia dalla parola carro (mestiere del carrettiere). Eugenio, Simome, Savino, e Mogna de’ Carminati, furono tutti capi del partito Ghibellino e fautori della nobile famiglia dei Conti Suardo (Padre Donato Calvi, “Effemeridi”, pag, 226)  (Umberto Gamba, op. Cit.).

(11) “Il castello di Clanezzo”. Opuscolo illustrato Litostampa Bergamo, pag. 8.

(12) Cristian Pellegrini, “Il Castello di Cornalba e le lotte sulle montagne brembillesi”, in: “Quaderni Brembani n.2”. Ed. Corponove BG – dicembre 2003.

(13) “Fedeli a Venezia erano rimasti invece gli abitanti di Gerosa e di Sedrina. I primi chiesero e ottennero di essere separati dalla Val Brembilla come comunità autonoma aggregata direttamente alla città di Bergamo. I secondi, nominati dalla Serenissima ‘fideles nostri’ ebbero diversi privilegi. Gli abitanti di Almenno Inferiore, che erano stati solidali con i brembillesi, furono puniti con la confisca dei beni, acquistati poi da quelli di Almenno Superiore per undicimila scudi d’oro”. “Sappiamo che il conflitto fra Milano e Venezia durò altri dieci anni coinvolgendo anche diversi potentati italiani, ma la nostra città ne fu solo indirettamente toccata, più che altro perché gravata dai contributi che la Repubblica richiedeva per le spese di guerra”. Dalla Repubblica di Venezia la Valle Imagna ebbe un trattamento di favore, come riferisce il Calvi. “I Valdimagnini per la loro obbedienza al Vescovo, integrità della fede e fedeltà alla Repubblica, difendendola contro il Duca di Milano, furono dal Principe (il Doge) con vani privilegi, grazie e favori arricchiti et honorati (anno 1428)” (Andreina Franco Loiri Locatelli per Bergamosera, non più on line).

(14) Nel 1485 Venezia aveva ceduto Clanezzo all’Istituto di Pietà Bartolomeo Colleoni, che trovandosi in gravi condizioni economiche dopo le guerre del Cinquecento aveva deliberato (1539) di venderla a Bernardino Buscoloni, originario di Almenno. La proprietà includeva anche alcune contrade vicine. Dai Buscoloni la proprietà passò ai Tironi (1560) e nel 1614 toccò ad Elena Furietti, moglie di Lelio Martinengo. La figlia Cecilia si sposò in seconde nozze con il conte bresciano Francesco Leopardo Martinengo da Barco, la cui famiglia ne mantenenne il possesso fino agli inizi del 1800. Questa famiglia di studiosi e mecenati della cultura, legata alla Serenissima occupando cariche militari di rilievo, si estinse con Francesco Leopardo, senatore del Regno, morto il 6 agosto 1884 legando alla città di Brescia il palazzo, la pinacoteca e la biblioteca. A Francesco, morto nel 1689, successe il figlio Leopardo e, dopo il 1716, Gianfrancesco Leopardo. Fu uno dei figli di quest’ultimo, Giovanni (1722-1817), a far edificare a Clanezzo, nel 1786, una chiesa più grande della precedente, che potesse contenere il crescente numero di fedeli. La chiesa divenne parrocchia nel 1707 e il conte Francesco Leopardo Martinengo da Barco ne ebbe l’Jus Patronato. Tale istituzione rimase in vigore fino al 1977, quando passò ai sigg. Beltrami ed in seguito ai Roncalli, quando nel 1885 comperarono il castello e la sua tenuta. Don Verri, parroco di Clanezzo dal ‘48 al 1978, affermava che il patronato probabilmente venne istituito con la dote della sorella di Leopardo, la Beata Margherita dei Conti da Barco, che, nata nel 1687, fu beatificata nel 1900: ebbe rapporti indiretti con Clanezzo, ma potrebbe aver contribuito alla nascita della parrocchia (Umberto Gamba, op. Cit.).

(15) Con la conquista degli Austriaci e la creazione del Regno Lombardo – Veneto (7 agosto 1815) molti militari bergamaschi si dimisero per non entrare a far parte del costituendo esercito austriaco. Tra loro anche il capitano del genio Luigi Felice Beltrami che, divenendo membro della deputazione comunale, inizierà ad occuparsi dell’amministrazione del comune di “Clanezzo con Ubiale”. Anche Egidio, come il fratello, proprietario del Castello e delle terre, fu tra i primi deputati del Comune. Vincenzo Beltrami (1820-1880) fu invece il primo sindaco del comune di Clanezzo, nel 1863 (Umberto Gamba, op. Cit.).

(16) Un importantissimo documento dello splendore e della storia del luogo è il libro dei visitatori un tempo esistente nel Castello di Clanezzo, nel quale i visitatori a volte, scrivevano un pensiero, un commento o alcuni versi a ricordo del loro passaggio. Deve essere stata, questa, un’idea di Paolo Beltrami e quando questi morì, il figlio Vincenzo ne continuò la tradizione. Alcune pagine del libro, scritte alcuni anni prima del 1848 mostrano già i fremiti del sentimento patriottico che di lì a poco sfocerà nell’aperta ribellione all’Austria. Leggendole siamo indotti a pensare che Paolo Beltrami, nutrisse sentimenti di simpatia nei confronti dei patrioti e che il suo palazzo (il Castello di Clanezzo) fosse per loro un possibile rifugio. La tesi è convalidata anche da alcune sue amicizie, come quella con Giovan Battista Bazzoni, scrittore di ispirazione romantica e quindi presumibilmente patriota, più volte ospitato nel suo palazzo. Il libro rispecchiava anche gli avvenimenti italiani e lombardi. Era diviso in tre volumi e cominciava in data 2 maggio 1837; purtroppo è sparito, ma una parte significativa è presente nel saggio di Bortolo Belotti, “Fantasia storia e poesia sul castello di Clanezzo” (Umberto Gamba, op. Cit.).

(17) Nel 1885 il conte Antonio Roncalli, deputato politico al parlamento nazionale per la Valle Brembana, acquistava da Giulia Lana de Terzi, vedova del Beltrami, la tenuta di Clanezzo. In seguito la proprietà passava al figlio Giulio e da questi alla nipote, contessa Maria in Guffanti. Il rag, Giovanni Calcaterra, nativo di Malpaga, fu a lungo valido agente dei Roncalli e per alcuni anni ricoprì anche la carica di sindaco. Nel Castello soggiornarono inoltre lo storico Angelo Mazzi, del grande Torquato Taramelli, che, forse in cerca di resti preistorici, visita Clanezzo il 30 aprile 1893. Inoltre, Giacomo Beccaria, nipote del celebre Cesare, Pietro Ruggeri da Stabello (1838), e moltissimi altri (Umberto Gamba, op. Cit.).

(18) “Noi non sappiamo quando venne costruito il traghetto; sappiamo solo che nel 1614 esisteva già, perchè è di quell’anno la divisione dei beni tra le sorelle Furietti e nel documento relativo, tra le varie voci si legge ‘la metà del porto ad uso ed beneficio di quello ed indiviso'”. Il traghetto era di proprietà di Egidio Beltrami; era gestito da un barcaiolo che trasportava (quando il Brembo non faceva le bizze)  persone, merci ed altro, dall’altra parte del fiume. Il Beltrami pagava al costode (un certo Dellauro?) una somma di 100 £ annue per il trasporto dei suoi coloni, dei generi dei propri fondi, come legna, carbone, frutti e pagava un canone annuo alla finanza. “In tempi non molto lontani era possibile visionare un quaderno dove venivano registrati i viaggi fatti dal traghetto, i compensi ricevuti e le tariffe per il trasporto; anche questo però oggi non è più rintracciabile” (Umberto Gamba, op. Cit.).

(19) La sua antichità è comprovata anche dal fatto che, nel 1512, a seguito del crollo del ponte della Regina ad Almenno (avvenuto nel 1493), il Comune di Bergamo aveva concesso la gestione del nuovo porto per le valli Imagna e S. Martino (P. Mazzariol, 1997).

(20) Ricaviamo questo dato da un atto del 1686, che cita un tal Carlo Colnago “…portinaro al ponte di Clanezzo della Brembilla Vecchia…” (Umberto Gamba, op. Cit.).

(21) L’opera venne realizzata nonostante il 7 maggio 1862 la Ditta Beltrami avesse avuto dall’Amministrazione Demaniale la concessione, rinnovata nel 1875, di attraversare il fiume con battello dietro il pagamento di un canone annuo, ma non l’aveva ottenuta per la costruzione del ponte. La pratica si risolse dopo la morte di Vincenzo Beltrami. Il fiume si poteva attraversare, ma visto che il ponte era stato realizzato arbitrariamente, senza cioè la necessaria approvazione delle autorità competenti, fu il conte Antonio Roncalli, nuovo proprietario subentrato agli eredi Beltrami, a farsi carico di una sanatoria. Una copia del disegni del ponte, allegato alla domanda si sanatoria, è conservata presso il Genio Civile di Bergamo (Umberto Gamba, op. Cit.).

Riferimenti principali

Umberto Gamba, “Ubiale Clanezzo. Storia di una comunità”. Ferrari Editrice, Anno 2000.

Il “porto” di Clanezzo – di Sergio Tiraboschi. Quaderni brembani n. 4. Anno 2006. Corponove BG – dicembre 2005.

“Valorizzazione dei percorsi storici che collegano Clanezzo ad Almenno S. Salvatore e Villa d’Almè attraversando il fiume Brembo ed il torrente Imagna”. Iniziativa promossa dai Comuni di Ubiale Clanezzo, Almenno S. Salvatore, Villa d’Almè, di concerto con la Provincia di Bergamo ed il contributo della Regione Lombardia, con il patrocinio di Castello di Clanezzo.

Il “porto” di Clanezzo 59 di Sergio Tiraboschi, in : QUADERNI BREMBANI Bollettino del Centro Storico Culturale Valle Brembana. Corponove, Bergamo, dicembre 2005.

Bibliografia

Gio. Battista Bazzoni, “I Guelfi dell’Imagna o il Castello di Clanezzo”. Racconto storico illustrato con cenni storici su l’antica Valle Brembilla, il Castello di Clanezzo e la Rocca di Monte Ubione Manini, Milano, 1841.

Castello Castelli, “I guelfi e i ghibellini in Bergamo. Cronaca di Castello Castelli delle cose occorse in Bergamo negli anni 1378-1407”. Prefazione e note del cav. Gio. Finazzi C. Colombo libraio editore, Bergamo, 1870

Ringraziamenti

Ringrazio il fotografo Maurizio Scalvini per le belle fotografie e per i preziosi consigli.

Ultima modifica: 25/04/2024.

Il trasporto pubblico a Bergamo dal Dopoguerra, fra scorci di città

LA SITUAZIONE URBANISTICA DI BERGAMO NEL DOPOGUERRA 

Nella Bergamo del secondo Dopoguerra la “griglia urbana” della città attuale è già impostata, con le tre importanti arterie – consolidate dal centro piacentiniano -, che tagliano la città da est a ovest,  susseguendosi dalla base del colle fino alla  stazione, trasversali rispetto al grande viale ottocentesco di via Roma-viale Vittorio Emanuele: da via Garibaldi a via Verdi, da via Camozzi a via Tiraboschi, lungo il perimetro meridionale delle Muraine e della roggia Serio, e da via Maj a via Paleocapa, tracciate maggiormente a ridosso della linea ferroviaria.

Il cuore del centro, con il centro piacentiniano in costruzione (completato entro il 1927)

 

Dalla Torre dei Caduti alla stazione ferroviaria

Intorno a queste strade principali  sono già impostate le vie minori, come le vie Paglia e Locatelli, sulle quali verrà definitivamente fissato il disegno della Bergamo contemporanea.

Via Paglia (ex Via XXVIII Ottobre, ex Via dei Mille). Il palazzo sulla destra è ormai scomparso

Un’intensa attività edilizia comincia ad interessare tutte quelle zone fino ad allora rimaste inedificate, comprese fra i borghi di Sant’Antonio e di San Leonardo, dove cambia completamente il volto di intere strade.

Anche in periferia bastano pochi mesi di assenza per ritrovare alcuni quartieri  radicalmente mutati: e mentre si costruiscono strade, case, scuole e campi sportivi, si realizzano fognature e si coprono rogge, l’azienda dei trasporti si appresta a trasformare la rete tranviaria (al termine della seconda guerra mondiale articolata su nove linee, per uno sviluppo totale di oltre 40 km), rimpiazzando i vecchi tram con filobus a partire dalle linee principali che attraversavano il centro, e impostando a tale scopo un programma di trasformazione degli impianti in una rete filoviaria.

L’arrivo dei filobus a Bergamo

Negli anni Cinquanta tutti i tram sono ormai sostituiti da filobus e autobus. I filobus sono impiegati dentro la città: più agili rispetto al veicolo su rotaie, sono moto meno rumorosi e assai più comodi.

Filobus e rotaie del tram. Nel 1951 gli operai dell’Azienda Tranviaria erano già al lavoro in viale Roma per la rimozione dei binari, ormai inoperosi, per i quali si temeva fosse calato il sonno dell’oblio dato che, dopo l’ultima sistemazione di viale Vittorio Emanuele, viale Roma era rimasto qual era, con l’inutile binario doppio e la doppia fascia di logoro acciottolato (dall’Eco di Bergamo del 5/10/1951)

Anche il costo dell’impianto è di molto inferiore e, certamente, non si sarebbe mai fatto ricorso al tram per la nuova linea che era stata introdotta tra la stazione ferroviaria e Colle Aperto.

Autobus al capolinea di Colle Aperto con in primo piano lo scomparso distributore Api

 

Il percorso della linea 3 parte dalla stazione ferroviaria, raggiunge Porta Nuova e la stazione della funicolare, da dove sale per Città Alta fino a Colle Aperto

 

Anni Cinquanta: filobus sulla linea 1 (stazione ferroviaria-stazione bassa della funicolare)

 

Il filobus della linea 2 percorre alla Rotonda dei Mille, davanti al Teatro Duse, lungo il tratto Borgo Santa Caterina-Ospedale Maggiore nel quartiere di Santa Lucia, che dal ’53 è già collegato a viale Vittorio Emanuele dalla Galleria Conca d’Oro, opera, quest’ultima, iniziata nel 1944 sotto il Fortino come rifugio antiaereo, collegato alla galleria del Comando Germanico e a via Garibaldi 

I filobus – verdi, con il muso curvo e i fari rotondi – sono dunque perfetti per la città, che presto vi si adatta senza rimpiangere i vecchi tram.

In una Bergamo in cui ancora resisteva l’eco dello sferragliare dei tram, i filobus stupivano in particolare la loro silenziosità: “..sembrava un rottame desolato e infatti venne presto sostituito dagli autobus arancioni. Però non consumava benzina, non inquinava ed era silenzioso. Costava poco e lo prendevano in tanti. Oggi lo chiamerebbero ‘trasporto urbano veloce’ e lo gabellerebbero per l’ultima novità della tecno-ecologia. I nostri nonni, senza tante balle, c’erano già arrivati!” (Marco Cimmino, “Giopì”, 15/01/2010)

 

Entro la metà degli anni Cinquanta i traballanti tram sono ormai sostituiti da un moderno e celere servizio di filobus – impiegati solo dentro la città -, e autobus, utilizzati sia in città che in periferia, così come nei paesi della provincia.

 

Il bigliettaio sul bus negli anni Cinquanta

Gli autobus vengono introdotti nel 1952 sulla linea 3, diretta a Campagnola, sulla 9 diretta a Boccaleone, e nel ’54 sulla linea 7 per Stezzano, anch’essa trasformata in autoservizio.

Incrocio di autobus e filobus in pieno centro

Nonostante venga redatto un Piano Regolatore per dettare precise norme di controllo, la crescita urbana di Bergamo comincia ad essere condizionata dalla forte spinta della speculazione edilizia e del potere economico, che si impossessano di tutte le aree del centro per tutti gli anni Cinquanta e fino agli inizi degli anni Sessanta (1).

Bergamo by night, 1950

Impossibilitata ad espandersi verso la pianura, a causa del tracciato della ferrovia (dove il previsto sovrappasso non verrà realizzato (2)), la Città Bassa inizia a mutare profondamente e ad espandersi massicciamente sia intorno al colle e sia radialmente fin verso le periferie.

Filobus in piazza Sant’Anna

 

La linea filoviaria 4 (via Previtali-Cimitero), istituita nel 1953, lungo il percorso Cimitero-via Borgo Palazzo-Porta Nuova-via Previtali

 

La linea filoviaria 5 (Porta Nuova-Seriate), istituita nel 1953 dopo la “filoviarizzazione” toccò alla linea 10 (Porta Nuova-Gorle-Scanzo-Negrone)

ULTIMI SCAMPOLI DI VERDE IN CITTA’

Nella indimenticabile Bergamo di quel periodo, ancora nel ’52 lo spazio fra la cortina esterna delle mura  e piazza della Libertà è però ancora formato da prati e fabbricati disordinati e posticci; in quest’area, centralissima e fondamentale per lo sviluppo del centro, vi sono ancora grandi spiazzi erbosi: in piazza della Libertà, in via Locatelli, dietro via Masone, in viale Vittorio Emanuele, dove di lì a poco sorgeranno i palazzoni che congestioneranno il centro (3).

Città Alta dall’attuale piazza della Repubblica nel 1939. Nel basso edificio sullo sfondo aveva sede l’autofficina gestita dalla famiglia del grande campione motociclista Carletto Ubbiali (foto Umberto Da Re)

 

Autofficina in piazza della Repubblica

 

Appena dopo la seconda guerra mondiale, la zona tra l’attuale piazza della Repubblica e Viale Vittorio Emanuele era ancora un campo incolto. Sullo sfondo, Casa S. Marco (1938), l’allora Casa Littoria (1936) e il Palazzo delle Poste, inaugurato nel 1932

 

Via Locatelli, 1950. Per l’area compresa tra via Locatelli e viale Vittorio Emanuele (sull’area dell’ex-Ospedale di San Marco), venne bandito un concorso nel 1947, che avrebbe permesso il decongestionamento del centro, con l’inserimento di altri edifici di pubblico interesse. Quest’ area venne invece svenduta ad imprese locali e ne fu autorizzata la ricostruzione residenziale intensiva

 

 

Bus in via Masone

Ancora nei primissimi anni Cinquanta, la zona di Valtesse, San Colombano e la Conca Fiorita – che si estende dalla caserma Seriate a Valtesse, oggi così satura di abitazioni -, sono una verde propaggine della Maresana.

Anche il Campo di Marte è uno spiazzo per gli armenti di passaggio, e si appresta a diventare un quartiere residenziale con i moderni palazzi di via Suardi (aperta nel 1948 dopo la realizzazione di via Bronzetti nel 1940, a completare il sistema stradale concentrico definito nel 1900) e il complesso degli edifici popolari di via Codussi.

Via Suardi era in origine non più lunga di una cinquantina di metri: dall’incrocio con Borgo Santa Caterina fino alle case popolari. Qui, superati alcuni paracarri la strada diventava poco più che un viottolo gibboso, oltre il quale c’era il “favoloso” Campo di Marte, l’enorme distesa erbosa tra le vie Suardi e Codussi (che presentava sulla sinistra una enorme distesa di prato con grande pista per i cavalli a forma di otto) della quale sono sopravvissute solo le briciole; e c’era la roggia Serio che scorreva all’aperto e che poi si è portata con sé, dopo la copertura, tutta la sua infinita gamma di odori.  Il primo villino fu fatto costruire dal dottor Pietro Pedroli. Negli anni Cinquanta si scatenò un’intensa lottizzazione e vi sorse un quartiere residenziale, con moderni palazzi ed edifici popolari. Era ancora il tempo delle “guerre” fra bande di rioni, il prodotto di una logica rivalità fra due classi sociali: la medio-borghesia, con tutte le famiglie delle prime ville di via Suardi e di via Cairoli, e la classe umile, con le famiglie di tutte le case popolari. Arma preferita di combattimento, le castagne d’India (le gènge), quelle che cadevano dagli enormi ippocastani allora esistenti in via Cairoli.  L’area del distributore “OZO” è oggi occupata dalla Questura, in angolo con Via Noli
 

 

IL 1954: L’ANNO DELLA SVOLTA

Ma è il 1954 l’anno della svolta, lo spartiacque in cui il centro,  soprattutto per iniziativa di privati, sta assumendo il suo volto definitivo con la nascita di importanti edifici alcuni dei quali “rivoluzionari” per Bergamo, perché ne modificano sia le caratteristiche estetiche – lanciando peraltro un segnale di gusto – che l’andamento altimetrico, che fino ad allora aveva mantenuto una modesta linea di rispetto riguardo la visuale della città alta.

Gli architetti che stanno cambiando il volto di Bergamo, tracciandone l’impronta, sono Luciano Galmozzi, che inizia a lavorare nell’immediato dopoguerra, insieme a una decina di altri architetti tra i quali Pizzigoni, Sacchi, Sandro Angelini, Spini ed Enrico Sesti, tutti consapevoli di segnare, in modo forte, il futuro dell’abitare a Bergamo.

Il cantiere del grattacielo Rinaldi in via Gabriele Camozzi (1954 – Archivio Wells)

Fra le nuove costruzioni innovative, compare il “grattacielo” che ospita il negozio Rinaldi in via Camozzi, nato dalle idee dei pittori Erminio Maffioletti e Domenico Rossi e realizzato su progetto di Enrico Sesti (4).

Il grattacielo Rinaldi in via Camozzi. L’edificio, che ospita al pianterreno e all’ammezzato il negozio della Rinaldi, raggiunge un’altezza di tenta mentri, considerevole per la Bergamo di allora. Una felice risoluzione architettonica che viene a costituire nella via elemento estetico preponderante anche per la preziosità dei materiali di rivestimento degli esterni (ripresa del 1967 – Archivio Wells)

 

Via Gabriele Camozzi nel 1954, con sullo sfondo il “grattacielo Rinaldi”

 

Vista su Largo Porta Nuova nel 1954, con sullo sfondo la cima del grattacielo Rinaldi

Dopo il grattacielo di via Camozzi, sorge la casa alta dieci piani in via Tiraboschi, su progetto degli architetti Luciano Galmozzi e Massimo Boschetti. L’edificio forma una sorta di quinta prospettica che chiude in parte  l’allineamento che da via Camozzi giunge al largo di via Spaventa.

Il “grattacielo di via Tiraboschi nel 1954, anno della sua costruzione (progetto di Luciano Galmozzi e Massimo Boschetti)

 

Il grattacielo di via Tiraboschi dopo la sistemazione dello spazio antistante. Il progetto ha tenuto conto di tutti quegli angoli di visuale che sono possibili nei riguardi dell’edificio. Così, dal canocchiale che si apre sotto i portici del Sentierone e che inquadra il ‘grattacielo’ alla destra tra le piante del Municipio, c’è sempre la possibilità di definire in un chiuso ritmo l’architettura di questo elemento” (Tito Spini, La Rivista di Bergamo, dicembre 1954, ne Il Novecento a Bergamo)

Di nuova concezione anche alcuni negozi, come il mobilificio Pozzi in viale Roma, su disegno dell’architetto Panigada e l’oreficeria Fumagalli in via XX Settembre, progettata all’architetto Enrico Sesti.

 

Filobus in Largo Medaglie d’Oro, accanto al chiosco del Bepo, di cui in seguito, la caldarrostaia Pierina Manera porterà avanti l’attività

 

Al 1954 risale anche il palazzo della Borsa Merci, in piazza della Libertà (a lato della ex Casa Littoria, sull’area dove a lungo erano soliti accamparsi i circhi equestri), definita ammirevole dall’architetto Nestorio Sacchi: “una grande, splendida testimonianza di quanto sa esprimere di geniale l’operosa gente bergamasca”.

Il palazzo della Borsa Merci, realizzato nel 1954 su progetto di Marcello Piacentini per conto della Camera di Commercio di Bergamo. L’edificio si sviluppa tra viale Vittorio Emanuele II e via Francesco Petrarca e costituisce il completamento del disegno urbano per l’odierna piazza Libertà, sull’area dell’ex-Ospedale di San Marco, demolito nel 1937. Le facciate sono rivestite di marmi bergamaschi di Zandobbio e di San Benedetto, che sposano con i loro colori l’edificio all’ambiente circostante. Tutto curato nei minimi dettagli, con gli interni e gli arredi firmati dell’architetto Sandro Angelini, un pannello in bronzo raffigurante le attività agricole, realizzato dallo scultore Elia Ajolfi e i pregevoli elementi decorativi del bar

NASCONO NUOVI QUARTIERI POPOLARI 

Bergamo, all’uscita della fabbrica (Museo delle Storie di Bergamo)

Lontani dal centro, negli anni Cinquanta e Sessanta nascono nuovi quartieri popolari.

Il centro di Bergamo a volo d’uccello, 1958

Quartieri “autosufficienti” e dunque più facilmente controllabili in rapporto alle nuove conflittualità sociali emerse in quegli anni: i quartieri di Valtesse a nord-est, al di là dei colli della Città Alta, di Monterosso a est (quartiere C.E.P.), di Longuelo a ovest e di Celadina a sud-est, dove la periferia, illusa, si offre per i quartieri moderni.

Il nascente quartiere di Longuelo

Ed è proprio a Longuelo e a Valtesse che, al di là delle previsioni del piano, si indirizzano notevolissime aliquote dell’espansione cittadina, rendendo necessaria l’elaborazione di successive varianti.

Il nuovo quartiere di Valtesse, anni Cinquanta

 

Il nuovo quartiere di Valtesse, anni Cinquanta

 

Anni Sessanta, l’embrione del quartiere Monterosso, una porzione di città di cui si stanno ricamando le trame, gettando il seme di quanto sorgerà l’indomani. La felice posizione del nuovo quartiere fa sognare le numerose famiglie che, abitando in zone ormai degradate, vedono in Monterosso l’agognata  possibilità di una nuova vita, come accade per molti abitanti di Città Alta

 

Il nascente quartiere di Monterosso, 1962 (Archivio Wells)

 

Piazza Sant’Anna, 1954

 

Oltre Borgo Palazzo, al di là del Portone del Diavolo, porta d’accesso del viale che porta alla villa Tasso, fra campi coltivati a mais sta sorgendo il quartiere popolare di Celadina

 

Il quartiere di Celadina

 

Filobus a Seriate

Nuovi quartieri nascono anche in viale Venezia, Loreto, Zanica, Colognola.

La linea per Loreto

A sud di Colognola sorge l’unica delle zone industriali previste dal piano (5), e per la quale nel 1956 si istituisce la linea 6, decretando la massima estensione della rete filoviaria che arriva a comprendere sei linee su circa 19 km di rete bifilare.

La linea filoviaria 6 (Porta Nuova-Colognola), istituita nel 1956, quando vi stava sorgendo un nuovo quartiere residenziale, mentre verso sud il PRG Muzio-Morini prevedeva la realizzazione di una zona industriale; il Piano escludeva infatti da tutte le zone residenziali le industrie insalubri – e comunque quelle di notevole entità -, i macelli, gli ospedali, i sanatori, le stalle e le scuderie e tutte quelle attività considerate in contrasto con il carattere residenziale delle varie zone

IL NUOVO VOLTO DI BERGAMO

Nella Bergamo che cambia volto, fra la legislatura del 1946 e quella del 1956, l’amministrazione comunale mena fra l’altro il vanto di aver edificato e attrezzato nuove palestre; allestiti campi da gioco per tennis, schettinaggio e pallavolo; realizzato il Campo Utili di via Baioni.

A oriente della città, il Campo militare Utili, prospiciente lo stabilimento Sace, realizzato sull’area dell’ex Cimitero di Valtesse. L’immagine abbraccia, oltre a Valverde, tutta l’area, ancora verde, di San Colombano e della Conca Fiorita, fino alle pendici della Maresana. Il quartiere di Monterosso non è ancora edificato (ripresa del 1958)

Oltre all’aver riformato il servizio delle nettezza urbana “che ora è certamente fra i più moderni e i più rispondenti alle esigenze dell’igiene fra quanti esistono nel nostro Paese”, ha predisposti concretamente i piani per la realizzazione di un nuovo macello pubblico e di un nuovo mercato del bestiame, già esistenti nell’area dell’attuale Piazzale degli Alpini, antico Foro Boario.

Veduta sulla Fiera vista dalle Mura, nel 1885. Oltre l’ultima cortina edificata, la chiesa delle Grazie e, al centro dell’immagine, la vasta area non edificata del Foro Boario (ex Campo di Marte ed ora Mercato del Bestiame), preceduta dall’edificio del Macello e da un primo abbozzo dell’attuale via A. Maj. L’attuale disegno di quest’area ricalca un intervento del 1906 ad opera dell’architetto Giuseppe Gambirasio, Aurelio Cortesi e allo scultore Beppe Marzot, vincitori del concorso per il Monumento all’Alpino. L’istituto tecnico Vittorio Emanule II e stato progettato da Marcello Piacentini nel 1913 in allineamento con la sotterranea Roggia Nuova (foto di Cesare Bizioli – Raccolta Lucchetti)

Il Comune ha inoltre acquistato trentamila metri quadrati di area a Boccaleone, offerti allo Stato per la costruzione di una nuova caserma, prendendo in viva considerazione la necessità di un carcere giudiziario moderno in luogo del vecchio e inadatto carcere di Sant’Agata; ha ampliato e rinnovato in gran parte la pubblica illuminazione, realizzato nuove strade, costruiti ponti, coperto rogge, costruito nuove scuole e case per i meno abbienti; eseguito il primo tronco della grande arteria di circonvallazione.

Scorcio sull’arteria di circonvallazione delle Valli, di cui negli anni Cinquanta fu eseguito il primo tronco. Si tratta dell’altra faccia di Bergamo, uno dei riquadri purtroppo meno cambiati negli ultimi cinquant’anni e che rende l’idea della periferia desolata, spoglia e grigia

 

L’inizio dei lavori di raddoppio della Circonvallazione delle Valli, allora aperta campagna ed oggi occupata dal campo sportivo Coni, dalla sede del Comando dei Carabinieri, da stazioni di servizio, abitazioni private, fabbricati commerciali

Ha ripreso i lavori per il risanamento di Città Alta, abbattendo case malsane in via San Lorenzo, ricostruendole con la cura di non alterare il volto di Bergamo antica.

Traffico a Porta Sant’Agostino

 

IL MOTORE TRIONFA

Nello stesso periodo, e cioè dopo la metà degli anni Cinquanta, il parco veicoli dell’azienda municipalizzata di Bergamo è ormai interamente costituito da mezzi su gomma: 44 autobus e 24 filobus e due funicolari.

Autobus e filobus in centro, anni Sessanta

Le linee, urbane ed extraurbane, arrivano a 18, per una lunghezza di oltre 80 chilometri.

Il bus per Pontesecco

I collegamenti accorciano le distanze, anche culturali, tra i luoghi della città, dove prendono vita intere aree, e tra la città e le zone di provincia, dove il trasporto a motore sta prevalendo dietro gestione di società private in continua espansione.

1953: le autocorriere in Piazzale Marconi, prima della realizzazione della Stazione delle autolinee. Sullo sfondo, la stazione della FVB. Nel ricordo (Carnet de route) dello scrittore belga Albert Guislain, il sabato i viaggiatori si stipiavano sulle corriere dell’Autostradale proveniente da Milano: impiegati ed operai che raggiungevano le loro case per passarvi la domenica, e campagnoli venuti in città a compiere i loro acquisti e qualche mamma che aveva condotto i figlioletti a veder la metropoli. “Un profumo di brillantina alla violetta ondeggia nell’aria surriscaldata”. All’arrivo erano accolti da “larghi viali alberati con grande arte di metropoli. Conta anche, Bergamo, qualche albergo lussuoso e quello non lontano dalla stazione ferroviaria è veramente confortevole. Esso posa da cravanserraglio per americani in viaggio. Al mio arrivo un pranzo di nozze stava per terminare e gli invitati ingombravano saloni e corridoi”

Così, mentre nel 1957 viene soppressa l’ultima linea tranviaria (quella che collegava Bergamo a Ponte San Pietro), l’Amministrazione comunale costruisce la Stazione delle autolinee, affidandone la gestione all’Azienda municipalizzata.

La Stazione dellle Autolinee, realizzata nel 1957, con il grande arco di sostegno della struttura delle pensiline. Oltre ai negozi e bar, la zona era provvista anche di un albergo diurno con docce pubbliche

 

IL BOOM DELL’AUTOMOBILE  

Con gli anni ’60 e il miracolo economico, grazie alla diffusione di massa della ricchezza arriva il boom della motorizzazione, e mentre la produzione automobilistica diviene l’industria trainante del paese, il numero dei mezzi privati in circolazione in tutta la provincia di Bergamo passa dai 13.914 veicoli nel 1950 ai 100.668 nel 1962.

Nel ’55 arrivano le prime Fiat 600 e poco dopo le 500, simboli indiscussi dell’ottimismo messo in circolo dal miracolo economico, e con l’automobile, anche in città il traffico viene regolato con una nuova segnaletica.

Nel frattempo sia la viabilità che il traffico vengono regolati con una segnaletica moderna e il Comune invita a transitare sulle zebre consentendo ai pedoni di attraversare in sicurezza. Anche la rete tranviaria si rinnova, sostituendo ai traballanti tram “un moderno e celere servizio di filobus e di autobus” (ripresa del 1960/’’61)

 

La concessionaria FIAT in via Verdi

L’Azienda municipalizzata concentra ora l’attenzione sugli autobus perché non dovendo dipendere da rotaie o da reti di alimentazione possono godere di una maggiore libertà di movimento e di una manutenzione più semplice.

Autobus in via San Bernardino, sotto il ponte della ferrovia

Nello stesso tempo l’antesignana dell’ATB deve affrontare l’accanita concorrenza delle automobili, sempre più diffuse grazie al “boom economico”.

Via Quarenghi negli anni Sessanta

LE FUNICOLARI SI RINNOVANO (TRAMONTANO LE “PANORAMICHE”)

Tra il ’63 e il ’64, dopo decenni di onorato servizio le vecchie “panoramiche” della funicolare per Bergamo alta escono totalmente di scena e l’impianto, già rinnovato nel ’22, viene totalmente rifatto.

Il cambio delle vecchie vetture “panoramiche” nel 1963. L’originario impianto a vapore costruito dall’ingegner Alessandro Ferretti nel 1887, era stato sostituito nel 1892 con la trazione elettrica ed ammodernato più volte negli anni 1920, 1964 e 1985

Viene inoltre ammodernata la stazione su viale Vittorio Emanuele II.

La stazione inferiore, con il bar a lato, realizzata in occasione dell’ampliamento del viale Vittorio Emanuele nel 1953 e rinnovata una decina d’anni dopo

Nel 1988, scaduta la concessione governativa, le due vetture vengono sostituite da altre molto più funzionali e capienti. Ma soprattutto s’interviene sull’intero sistema di trazione e sugli impianti di sicurezza: sarà l’ultimo importante restauro, a distanza di un secolo dalla prima corsa, cui seguiranno a cadenze regolari revisioni generali dell’impianto. Lo stesso avverrà nel 1991 per la funicolare di S. Vigilio.

“AVANTI C’E’ POSTO!” STA PER DIVENTARE UN RICORDO 

Nel 1967 inizia il declino dei filobus, con la sostituzione graduale delle linee con autobus.

Tuttavia nel ‘75 vengono acquistati ancora alcuni filobus, che vengono rimessi in servizio per qualche anno ancora (6), finché nel ‘78 verrà soppressa l’ultima linea filoviaria.

Autobus fermi a Porta Nuova

Non in grado di reggere la competizione con l’automobile, il trasporto pubblico locale entra in crisi, sia per la rapida diminuzione della domanda che per l’aumento dei costi per le aziende, dovuto principalmente all’innalzamento delle retribuzioni e degli organici. Nonostante ciò, l’Azienda municipalizzata è costretta a mantenere i propri servizi e ad ammodernare i mezzi.

La “biglietteria”

La scelta fatta a livello nazionale rimane tuttavia quella di continuare a favorire la diffusione del mezzo privato, ripianando le perdite di tutte le aziende pubbliche di trasporto che continuano ad offrire il loro servizio, ma lavorando in perdita.

Nel deposito in via Coghetti

Così, mentre gli autobus iniziano a restare imbottigliati nel traffico, a Bergamo il numero dei passeggeri scende dai 29 milioni nel 1958 ai 23 di dieci anni dopo.

Nel deposito in via Coghetti

Questa politica si ripercuoterà inevitabilmente sull’ampliamento del debito pubblico nazionale e sull’aumento della congestione del traffico stradale, rendendo il mezzo pubblico sempre meno attraente agli occhi degli utenti, dato che la qualità del servizio offerta non può prescindere dalla situazione territoriale nella quale l’azienda si trova ad operare.

Incrocio di autobus a Porta Nuova negli anni dell’ “autunno caldo” (1968-69)

 

1969: filobus in via Borgo Santa Caterina

 

Via Statuto, 1961

 

Alla torre del Galgario, fine anni Sessanta

Per far fronte alla crisi l’Azienda dei trasporti avvia dei piani per ridurre i costi di gestione: viene così deciso di eliminare i bigliettai. I biglietti devono ora essere acquistati prima di salire a bordo e sui veicoli non si sentirà più echeggiare il familiare invito “Avanti c’è posto!”.

Oltretutto, per fronteggiare la difficile situazione di bilancio il Comune inizia anche a concedere all’Azienda municipalizzata la gestione dei parcheggi cittadini.

IL TRAMONTO DELLA FERROVIA DELLE VALLI… E NON SOLO

La crisi del trasporto pubblico su rotaia si riflette anche sui collegamenti provinciali. Sparisce il vecchio tram di Monza, popolarmente noto come “Gamba de lègn”. Ma la decisione più grave riguarda la chiusura delle Ferrovie delle Valli decretata nel 1967, il cui servizio viene totalmente rimpiazzato dai bus delle autolinee (parzialmente attivo già da una decina d’anni): la grave crisi della viabilità lungo le Valli risale, per buona parte, a quello stop ai “trenini”.

Fine anni Cinquanta e inizio anni Sessanta: sullo sfondo una delle locomotive della Ferrovia della Val Brembana, in primo piano un’elegante corriera diretta a Foppolo

AGLI ALBORI DEGLI ANNI SETTANTA TRA CITTA’ E PERIFERIA

Alla fine degli anni Sessanta anche i nuovi quartieri confinati in periferia vengono raggiunti dalla continua espansione a fasce concentriche attorno ai colli della Città Alta, e la forma urbana diventa, come afferma Vanni Zanella,  “sempre più complessa e inafferrabile” rivelando “i sintomi di un incoerente addensamento metropolitano”.

A nord di Bergamo Alta, oltre le mura veneziane

 

L’incrocio più centrale della città

Se fino a quel momento la città è cresciuta aggiungendo sempre nuovi spazi urbanizzati da destinare alla residenza, all’industria e in quota minore anche alle attività commerciali, qualcosa comincia a cambiare e la città, pur continuando a costruire, inizia a rinnovarsi: accanto al centro cittadino novecentesco – con la sua concentrazione di uffici pubblici, banche e studi professionali – si sviluppa una rete capillare di esercizi commerciali di grande pregio. Allo stesso tempo, le vie storiche di penetrazione alla città, concentrano su di esse la quasi totalità dell’offerta commerciale per le aree periferiche, che ne sono sprovviste.

Via XX Settembre

 

Dopo vivacissime polemiche e interventi dell’autorità giudiziaria, ecco, tra via S. Orsola e passaggio Mario Zeduri alcuni addetti dell’ATB intenti a rimuovere (o a sigillare?) i parchimetri, fra i primi installati in città

 

Nell’agosto del 1987, dopo la chiusura al traffico di via XX Settembre, verrà vietata la sosta alle auto e alle moto. E la via diventerà sempre più la zona dello “struscio” e dello shopping

Come accade in altre realtà urbane della Lombardia, anche Bergamo comincia a mutare il proprio ruolo e le proprie funzioni alla scala territoriale: le industrie, costantemente alla ricerca di nuovi spazi, preferiscono uscire dalla città e insediarsi ai suoi margini o presso i comuni limitrofi, laddove l’acquisto dei terreni risulta più economico e la disponibilità di spazio garantisce la possibilità di future espansioni e la realizzazione di servizi a favore dell’utenza e dei lavoratori.

Un pullman ATB degli anni ’70 (Archivio ATB di Bergamo)

Pertanto cresce il numero degli edifici e delle fabbriche abbandonate, spesso di grandi dimensioni e a pochi passi dal centro, che restano in attesa di una nuova ridefinizione progettuale affinché possano assumere un nuovo ruolo all’interno della città.

L’incrocio di via Broseta con via Palma il Vecchio e via Nullo con lo stabilimento Gioachino Zopfi e il caratteristico edificio tondeggiante sede di una fabbrica di giocattoli chiusa negli anni Cinquanta. Oggi su questi stessi luoghi sorge il tanto discusso Triangolo

 

Anche il successivo Piano Regolatore, redatto da Astengo e Dodi per gli anni Settanta, conferma la centralità di Bergamo come polo terziario e direzionale e Dalmine (nella foto) come centro industriale, mentre Torre de Roveri, con 45 mila abitanti e Villa d’Almé con i suoi 15 mila, vengono indicate come città-nuove destinate alla residenza. Il tracciato della Dalmine-Villa d’Almè è già contenuto nel Piano Muzio-Morini (archivio storico Fondazione Dalmine)

In periferia, a volte in mezzo a campagne ancora coltivate, sorgono i primi grandi centri commerciali, posti lungo le più importanti vie di comunicazione:  la Città Mercato di via Carducci, seguita da “Città Convenienza” e dal cosiddetto ”Pantheon” alla Celadina: il loro raggiungimento comporta un utilizzo sempre più diffuso dell’automobile, ribaltando tutte le consuetudini di vita praticate dagli abitanti della città del passato, mentre la città non smette di crescere e di espandersi, compressa entro i limiti fisici del piccolo territorio comunale.

L’intera corona della città è interessata dalla presenza di questi grandi contenitori per il commercio, ai quali molto spesso si affiancano altre strutture con funzioni diverse, come ad esempio le multisala cinematografiche, oppure gli spazi dedicati a singole attività commerciali specializzate

 

Il Teatro Sociale prima dei lavori di ristrutturazione. Accanto agli edifici industriali dismessi esistono altri “contenitori” che attendono utilizzi consoni alla loro importanza storica gran parte dei quali ubicati nell’antico cuore di Bergamo: la Città Alta, che ha vissuto nel corso del secolo il progressivo trasferimento di funzioni oggi destinate alla Città Bassa

 

Tra il 1975 e il 1980 si realizza , sul grande asse di circonvallazione interno, a ovest del centro urbano, il grande quartiere residenziale, progettato dagli architetti Gambirasio e Zenoni su un’area della periferia intermedia ancora inedificata

 

I Colli, protetti dalla legge del cinquantesimo, sono ribaditi, oggi più che mai, quale sede di residenze di pregio, immerse in un paesaggio ameno

ADDIO VECCHIO MONDO

Nonostante i filobus siano ormai quasi del tutto soppressi a favore degli autobus, Bergamo non vi rinuncia del tutto e nel 1975 ne acquista alcuni, che vengono rimessi in servizio per qualche anno ancora, Ma nel 1978 viene chiusa anche l’ultima linea filoviaria rimasta attiva la 2.

L’anno successivo l’azienda dei trasporti, pur rimanendo municipalizzata, cambia il nome in ATB: Azienda Trasporti Bergamo.

La sede dell’ATB in via Coghetti

Ma l’automobile ha innescato grandi cambiamenti anche per la funicolare di San Vigilio, che rimasta immutata sin dal 1912, anno della sua entrata in servizio, vede ridursi radicalmente il numero dei passeggeri mandando in crisi il già stentato servizio fino ad allora utilizzato solo da qualche anziano abitante dei Colli e dai turisti.

La funicolare per San Vigilio

Bloccato il 26 marzo 1976, l’impianto viene totalmente abbandonato, tanto che il grazioso edificio della stazione superiore, dopo ripetuti atti di vandalismo, nel 1983 viene distrutto da un incendio e il servizio è sostituito da autobus lasciando irrealizzata la ventilata opzione della cremagliera. Bisogna attendere il 1987 per l’avvio dei lavori di ristrutturazione che conclusi nel febbraio del 1991 hanno mutato radicalmente il volto dell’impianto.

I lavori di ripristino dell’impianto della funicolare per San Vigilio nel 1987

LA NUOVA SEDE DELL’ATB

Nel 1998, un anno dopo i festeggiamenti per i novant’anni dell’Azienda, ATB abbandona la sede di Via Coghetti per trasferirsi nel nuovo complesso di via Monte Gleno progettato dall’architetto Attilio Pizzigoni e dall’ingegner Carlo Alberto Von Wunster ed ospitando gli uffici, la direzione, l’officina, il lavaggio, la mensa per i dipendenti, i magazzini e un grande deposito per gli autobus. Vent’anni dopo, 1° luglio 1999, per garantire un’offerta di qualità sempre maggiore e dare uno stimolo al settore del trasporto pubblico, la municipalizzata ATB si trasformerà in una Società per Azioni.

Ancora sul finire del Novecento, nonostante la forte crescita la Città Bassa si è mantenuta capace di mantenere una buona cultura del costruire e una diffusa consapevolezza della civiltà dell’abitare, tanto da meritarsi una favorevole citazione da “Le Monde” nell’85  e da essere citata l’anno seguente dal ministro della cultura francese quale esempio di corretta manutenzione urbana

Il resto è storia recente (7).

Note

(1) Lo studio del primo piano regolatore generale viene avviato dopo la seconda guerra mondiale, basandosi sulla legge urbanistica 17 agosto 1942. n. 1150. Il piano è studiato con la consulenza del prof. Muzio ed è redatto dall’arch. Morini con la collaborazione dell’arch. Nestorio Sacchi. Tale piano viene adottato dal Consiglio comunale di Bergamo con deliberazione del 10 febbraio 1951 e approvato dal Capo dello stato il 23 gennaio 1956. La revisione al PRG è quella degli anni 1961-1964. Secondo il PRG Muzio-Morini, le future espansioni avrebbero dovuto essere decise e pianifcate solo in base ai criteri dell’azzonamento (distinzione ordinata e ripartizione dei luoghi di lavoro, di ricreazione, di residenza creando così una forma estetica strutturata ed organizzata evitando così un accrescimento indifferenziato della città), basando le zone residenziali sulla previsione trentennale di 180.000 abitanti nel 1981 (contro i 108 mila esistenti all’epoca dell’estensione del piano) di cui 10 mila avrebbero potuto essere assorbiti dalla città esistente, mentre i successivi 65 mila dovevano essere collocati, da un lato in nuovi quartieri di espansione e, in parte, nella saturazione di quelli esistenti completandoli in modo ordinato.

(2) Il Primo concorso della ferrovia è bandito nel 1945 (si veda: Enrico Peressutti, Concorso per la sistemazione del Piazzale della Stazione di Bergamo, in Metron, n. 23-24, 1948). Nel PRG Muzio-Morini, il previsto sovrappasso su via Roma, in corrispondenza della stazione, avrebbe dovuto costituirsi come perno lungo il quale stabilire la nuova sistemazione residenziale a sud della città, fra la ferrovia e l’aeroporto di Orio al Serio. Era prevista al contempo la realizzazione di un sottopassaggio sull’asse via Giorgio Paglia, avente la funzione di collegare la città con lo scalo merci. La prosecuzione del viale Roma verso sud oltre la ferrovia non venne realizzata, così come il previsto sviluppo dell’abitato verso Orio al Serio. Il previsto collettore a sud della ferrovia, che avrebbe dovuto congiungere le provenienze da Lecco, Milano, Treviglio con quelle dalle Valli Brembana e Seriana e da Brescia, venne realizzato solo in parte, dall’ingresso autostradale sino a settentrione del cimitero urbano.

(3)  A tale proposito si veda: Il concorso sull’area dell’ex-Ospedale di San Marco a Bergamo, in Urbanistica, n. 1, 1948.

(4) Nestorio Sacchi, Un segnale di gusto. La Rivista di Bergamo, dicembre 1953.

(5) Di tutte le zone industriali previste (a Petosino, Valtesse, a sud-est di Redona, a ovest di Seriate, a sud di Colognola, a ovest della provinciale per Milano verso Lallio), prende corpo solo la zona industriale a sud di Colognola.

(6) Va ricordato che sulla rete filoviaria, prima della soppressione, fu provato anche un Volvo B59 Mauri Ansaldo, matr. 1001, della rete di Rimini. Non fu l’unico filobus, furono provati anche un Fiat 668 AERFER dell’ATAN di Napoli, un Fiat 2401 e un Alfa Romeo 910AF Pistoiesi.

(7) Tra i fatti rilevanti che hanno caratterizzato l’attività del Gruppo ATB nel nuovo millennio, un ruolo centrale assume l’estensione del servizio di trasporto pubblico locale, dal 1 gennaio 2005, nei 28 Comuni della cosiddetta “area urbana” di Bergamo. Recentemente, attraverso la Società TEB (Tramvie Elettriche Bergamasche) ATB partecipa alla realizzazione della rete tranviaria. Il 9 ottobre 2006 ATB è protagonista di un’altra importante innovazione: il Consiglio Comunale di Bergamo affida all’Azienda anche le funzioni di Agenzia della Mobilità. ATB si presenta oggi come una realtà articolata che, partendo dal settore centrale del trasporto pubblico locale, ha assunto il profilo di un soggetto in grado di operare, integrandoli, nei diversi campi della mobilità.

Riferimenti principali

Graziola G Zaninelli S. “Il trasporto pubblico a Bergamo. ATB 1907-1997” Giuffrè Editore Milano Opuscolo edito da ATB per il centenario.

“Il Novecento a Bergamo – Cronache di un secolo”. Di Pilade Frattini e Renato Ravanelli. A cura di Ornella Bramani – Vol. II. UTET. Anno 2013.

“Hinterland” numero 25, marzo 1983.

Bergamo dalla funicolare ai tram, fra pagine di storia

Tra la fine del Settecento e la seconda metà dell’Ottocento, grazie all’enorme sviluppo commerciale della Fiera e all’ascesa della nuova borghesia produttiva, il centro politico, sociale ed economico si sposta sempre più dalla città sul colle alla città bassa, dove nei borghi centrali di San Leonardo e Sant’Antonio così come in Borgo Palazzo e Borgo Santa Caterina, strade d’accesso alla città, l’insediamento delle manifatture e di altre attività produttive ha innescato un notevole incremento della densità residenziale.

Borgo Santa Caterina alla fine dell’Ottocento

E’ soprattutto nel corso della dominazione austriaca (1815-1859) che, divenuta centro degli affari, la città bassa si appresta ad acquisire un volto moderno con l’apertura di Porta Nuova e l’erezione dei Propilei (1837), simbolico ingresso monumentale alla città degli affari.

Il viale monumentale tracciato nel corso della dominazione austriaca simile ai boulevard che nell’Ottocento cambiarono il volto di tante città europee. La sede stradale era ampia, sovradimensionata rispetto al modestissimo traffico, e c’erano due vasti spazi laterali riservati ai pedoni, che furono subito piantumati per offrire una confortevole ombra a passanti, carri e carrozze

L’anno seguente, in occasione della visita a Bergamo di Ferdinando I d’Austria inizia la costruzione del primo tratto della Strada Ferdinandea (oggi viale Vittorio Emanuele II), la grande arteria che da Porta Nuova sale ad allacciarsi alla Porta di S. Agostino, venendo portata a termine nel 1857 con l’apertura verso sud del viale diretto alla Stazione Ferroviaria, eretta col primo tronco (1853-1857) del tratto Bergamo-Coccaglio in allacciamento alla Milano – Brescia.

La nuova stazione della strada ferrata a Bergamo, inaugurata il 10 agosto 1857, con la prima corsa sul tronco Bergamo-Coccaglio, tappa iniziale di un rapido e progressivo sviluppo delle rete ferroviaria bergamasca

Attorno al nuovo, monumentale viale si sviluppa un’intensa attività edilizia, che soprattutto dopo gli anni post-unitari porta alla formazione di un nuovo centro.

Via Torquato Tasso con in primo piano il palazzo della Prefettura (ripresa del 1908). Con la seconda metà dell’800 si va sempre più consolidando il trasferimento degli edifici pubblici nei pressi della Fiera, costruiti in stile tardo-neoclassico lungo il corso del Sentierone: tra il 1864 e il 1871 vengono edificati il Palazzo della Prefettura e quello della Provincia, mentre nel 1874 il Municipio lascia la sede di Piazza Vecchia per il nuovo centro, che dopo l’Unità d’Italia comincia ad essere popolato da banche. Nel frattempo, anche la stessa nobiltà tende a spostare le proprie abitazioni verso la città bassa, dove, come in via Torquato Tasso, si innalzano nuovi gruppi di edifici

E anche grazie alla realizzazione della stazione ferroviaria, tutta l’area a sud delle Muraine ossia intorno all’attuale viale Papa Giovanni, comincia a cambiare volto in senso “urbano”.

Con l’avvio dell’industrializzazione urbana lungo via XX Settembre sorgono le nuove residenze della borghesia mercantile, a pochi passi dagli edifici produttivi stanziati lungo i corsi d’acqua che circondano le Muraine

Ma se la Ferdinandea rappresenta un primo passo per connettere le “due città”, il progressivo abbandono di tutte le funzioni pubbliche nella città sul colle e il declino che ne consegue, accendono la discussione da un lato sul risanamento di Città Alta, dove, nelle case sempre più fatiscenti si concentra il ceto più povero, e, dall’altro, sulla questione riguardo a un mezzo di trasporto collettivo di collegamento.

L’antica Corte Albana in Bergamo Alta, prima e dopo l’intervento di risanamento

Le prime proposte vengono formulate mentre è ancora in corso la dominazione austriaca, come quella dell’ingegner Angelo Ponzetti, che nel 1856 propone una linea di tram a cavalli che partendo dall’antica Fiera raggiunga il palazzo del Municipio (attuale Biblioteca Angelo Mai) compiendo l’ultimo tratto dentro un tunnel lungo oltre 60 metri. Ma la soluzione viene scartata.

 LE “CITTADINE” E LA DITTA CORNARO

Nel frattempo il servizio di trasporto nella città al piano si svolge tramite le carrozze a noleggio comunemente chiamate “Cittadine”, carrozzoni e calesse che dipendono in massima parte dalla ditta Cornaro, con gli stalli a palazzo Viscardini sul futuro viale della “ferrata”, attiguo alla casa già Caversazzi: quello stesso che intorno al 1890 sarò occupato dall’Albergo del Cappello d’Oro, sempre frequentatissimo da commercianti, rappresentanti e viaggiatori e da cui, prima del 1890 partivano le “diligenze”, solitamente a tre cavalli, dirette verso le valli.

La diligenza Bergamo-San Pellegrino (1905)

Ma circolano anche i lenti pesanti carri delle ditte Brambilla e dei Fratelli Sala e le caratteristiche “giardinette” a cavalli dei vari alberghi di Bergamo, che all’ora dell’arrivo dei treni si portavano alla stazione per prelevare gli eventuali clienti.

Veduta dalla stazione ferroviaria dopo il 1890. L’area della stazione è delimitata dai cancelli e manca ancora il campanile della chiesa delle Grazie

La ditta Cornaro, oltre ad una fiorente “rimessa” di cavalli, aveva l’appalto delle casse da morto per i servizi del Comune. La pubblicità recitava: “CORNARO FIORENTO – Grande scuderia – Noleggiatore di cavalli – Servizio tram – Vetture per città e provincia – Cittadine di piazza – Impresa Pompe funebri per Città e campagna”.

Caterina Blasoni (nata nel 1852), moglie del nobile Fiorento Cornaro. Nel 1891, dopo la morte del marito, diresse personalmente l’impresa di vetture e tram cittadini

Gli antichi carrozzoni funebri erano tutti pennacchi e veli neri svolazzanti, con certe forme barocche; il capo conducente con tanto di fez, dirigeva il lungo stuolo di accompagnatori. Poi il servizio Trasporti funebri è passato in viale Pirovano, alle dipendenze dirette del Comune.

TUTTI IN CARROZZA CON I PIONIERI DEL TRASPORTO: DALLA LOCOMOTIVA THOMPSON ALLA FUNICOLARE DI FERRETTI

Mentre la città bassa il trasporto si serve del tram a cavalli, per raggiungere Bergamo alta viene sperimentata nel 1872 una locomotiva di origine inglese, la “Thompson”, che sbuffando a fatica su strada, dopo alcune corse ed una serie di guasti finisce dal rottamaio.

La vaporiera Thompson, sperimentata nel 1872, giungeva sino in Colle Aperto

Nonostante un primo fallimento, il desiderio di collegare Bergamo alta con la città al piano riceve una nuova spinta, e dopo tre proposte – subito naufragate – va a buon fine il progetto di funicolare presentato nel 1885 dall’ingegnere emiliano Alessandro Ferretti, che ottenuto il via per la sua costruzione sigla col Comune una convenzione grazie alla quale ottiene anche di poter avviare un servizio di trasporto nella città bassa, dove introduce il tram a cavalli.

La barriera di Porta Nuova in una ripresa anteriore al 1888, con il viale ancora privo dei binari del tram e i lampioni a gas.  La cancellata, appartenente alla barriera daziaria che circondava la città, lascia aperti i varchi laterali. Nei locali dentro i propilei trovavano posto le guardie che avevano il compito di controllare e di riscuotere il dazio. Al di là della barriera presero posto diversi ambulanti, che con le loro bancarelle divennero una presenza stabile

Dal progetto alla realizzazione il passo è breve: il 20 settembre 1887 e dopo meno di un anno di lavori, l’impianto della funicolare, mossa da una macchina a vapore entra in funzione tra la stazione di viale Vittorio Emanuele II e piazza Mercato delle Scarpe, nel cuore della città alta, attraversando le mura veneziane.

A fianco della stazione inferiore della funicolare, l’AMFTE, la società che gestiva il trasporto tranviario, costruì la propria sede, con il deposito per i tram e annessa officina, utilizzati fino al 1925. Con l’aumentare dei mezzi, questi furono ricoverati in nuove aree messe a disposizione del Comune: oltre all’edificio della centrale elettrica presso l’ex barriera Sant’Antonio, all’imbocco di via Pignolo, anche un’area presso l’ex Porta Broseta, dove trovò posto anche la direzione. E ciò fino alla costruzione del nuovo deposito in via Coghetti. L’edificio in fotografia fu demolito negli anni Cinquanta e al suo posto sorsero un bar e il monumento ad Antonio Locatelli. La vecchia stazione, oggi sarebbe considerata un piccolo gioiello liberty. Allora invece attirava non poche critiche: a malapena illuminata dai lampioni a gas, veniva chiamata “l’antro”

 

Un calesse alla stazione della funicolare, in attesa di passeggeri

La neonata rete di tram a cavalli è invece composta da due sole vetture per il collegamento tra la stazione della funicolare e la stazione ferroviaria lungo il viale Vittorio Emanuele, cui di lì a poco va ad aggiungersi la linea che corre tra  Piazza Pontida e Borgo Santa Caterina, dove le guide di ferro vengono posate nell’ottobre del 1888: entrambe le realizzazioni vanno così a formare, su concessione del Comune, la prima rete di trasporti in città, inizialmente gestita dalla società costituita a tale scopo dallo stesso imprenditore: la Ferrovia Ferretti (1).

Il tram a cavalli su viale Vittorio Emanuele presso la Fiera, Si noti la persona che sta salendo sul retro della carrozza

 

Il tram a cavalli su viale Vittorio Emanuele presso la Fiera, nel 1889

 

La barriera di Porta Nuova. La ripresa è posteriore al 1890 perché sono visibili i binari del tram a cavalli ed è giunta l’energia elettrica a sostituire i lampioni a gas. Non va oltre il 1901 poiché esistono ancora i cancelli daziari. A sinistra in primo piano l’insegna del Cappello d’Oro, che assicurava anche il noleggio di carrozze per accogliere i viaggiatori provenienti dalla stazione ferroviaria. Dopo la sua realizzazione, attorno a Porta Nuova sorsero presto numerosi alberghi e ristoranti, tra i quali anche l’Hotel Commercio a destra dei propilei. Si vedono anche le rotaie del tram di Lodi e, nelle mura, si nota la galleria costruita per il passaggio della funicolare di Città Alta (1887)

 

Il tram a cavalli sul Sentierone nel 1897, lungo la linea Piazza Pontida-Borgo Santa Caterina

 

Il tram a cavalli lungo la via XX Settembre davanti alla chiesa di San Leonardo, sulla linea diretta in Piazza Pontida (disegno di G. Gaudenzi, eseguito verso il 1895-1900)

 

Fu il tram, con le sue esigenze di spazio, a spodestare la panciuta “Fiascona”, l’antica fontana collocata dalla metà del ‘500 tra piazza Pontida e la via Sant’Alessandro (ora Largo Rezzara). Tolta di mezzo per favorire un mezzo di trasporto moderno, non venne mai dimenticata. Già negli anni Cinquanta se ne auspicava il recupero e negli anni Ottanta si costituì una associazione per individuare il luogo in cui fosse finita. Secondo alcune voci si trova nel giardino di una villa. Tornerà mai al suo posto?

Di lì a poco, per vincere la pendenza di via Pignolo, sulla linea per Borgo Santa Caterina si dovrà aggiungere un terzo cavallo, oggetto di satire e sberleffi da parte delle cronache cittadine.

SI SPERIMENTA IL TRAM A VAPORE CON LE DUE VETTURINE “BREMBO” E “SERIO”

Ma l’ingegnere riserva nuove sorprese, e per sostituire il vecchio tram a cavalli  progetta e costruisce due moderni tram a vapore, che chiama Brembo e Serio, facendoli marciare trionfalmente tra il capolinea della funicolare e la stazione ferroviaria, mentre i ragazzi la rincorrono facilmente emettendo grida di gioia.

Una delle prime vetture tranviarie in uso a Bergamo, progettate su modello di alcune automotrici a vapore di costruzione americana visionate all’esposizione di Anversa, analoghe alle automotrici Rowan impiegate dalla società australiana Victorian Railways. Collaudate nel pomeriggio del 30 settembre 1887 le vetture, della capacità di 24 passeggeri ciascuna, entrano in esercizio il 13 novembre

Nonostante di questa invenzione si interessi anche la stampa nazionale, i bergamaschi  non ne sono molto entusiasti: le carrozze sono lente, si guastano spesso e fanno registrare ritardi, tanto più che possono essere impiegate una alla volta non essendo disponibili punti di incrocio lungo la linea. Inoltre la partenza richiede un lungo preparativo per riscaldare le caldaie, ammorbando Piazza Cavour di fumo fuligginoso e puzzolente.

Ben presto i due vaporini vengono messi da parte e  dopo un ultimo tentativo nel 1889 sono accantonati per tornare al tram a cavalli, mentre sulle linee provinciali le tranvie a vapore funzionano alla grande.

LE TRANVIE PROVINCIALI (A VAPORE) E LE FERROVIE DELLE VALLI (A TRAZIONE ELETTRICA)

Nel 1880 entra in servizio la tranvia a vapore Bergamo-Trezzo-Monza (il mitico “Gamba de lègn”, così chiamato per la sua andatura sobbalzante), che si affianca alle già esistenti linee Bergamo-Treviglio-Lodi e Bergamo-Soncino, attiva tra il 1884 e il 1931.

La stazione del glorioso “Gamba de lègn” (tram per Monza) presso la stazione della Ferrovia della Val Seriana, con cui erano collegate (con binari a scartamento normale)  le tranvie in partenza da via Paleocapa, soprattutto per il trasporto delle merci. Il percorso complessivo era lungo quasi trentotto chilometri e la vettura toccava la velocità massima di venti chilometri l’ora, Fu l’ultima tranvia provinciale a vapore ad essere chiusa, nel 1952 per il tratto Bergamo-Trezzo e nel 1958 per il tratto Trezzo-Monza

 

I binari del Gamba de lègn all’altezza di via San Giorgio, ai piedi del sedime ferroviario

Le sbuffanti, piccole locomotive a vapore rimorchiavano attraverso la campagna altrettanto piccole carrozze e vagoni-merci. Ogni tanto avvenivano degli incidenti: la locomotiva deragliava e finiva nel fosso, ma mai con grossi danni. Oppure, quando non c’era legna a sufficienza e mancava la pressione, il tram si arrestava in aperta campagna. Capitava allora di dover dare una mano al manovratore-fuochista nel raccogliere un po’ di rami e di stramaglie per alimentare la caldaia. Un lungo fischio a conferma che la pressione era tornata normale, e la marcia riprendeva.

La stessa Porta Nuova era solcata in ampio giro dalle rotaie della vecchia tranvia a vapore diretta a Lodi.

Il tram Bergamo-Treviglio-Lodi (linea inaugurata il 31/08/1879) a Porta Nuova. La linea prevedeva anche una diramazione per Caravaggio

Anche a Seriate l’arrivo del tram era un avvenimento, tale da giustificare la fotografia con il personale in posa.

Il Tram del lacc”, tram del latte, alla fermata di Seriate nel 1911, sulla linea Bergamo-Soncino, ultimata nel 1888. Nei pressi, l’Osteria di Papà Gambirasio. La linea toccava anche Cavernago, Ghisalba, Martinengo, Romano, Covo, Antegnate, Fontanella, per poi entrare nella provincia di Cremona. Lungo il percorso i recipienti per portare il latte in città, prelevato man mano nelle cascine della “Bassa”,  venivano caricati su un apposito vagoncino subito dopo la locomotiva e per arrivare a destinazione il tram impiegava un tempo lunghissimo

La rete dei tram a vapore sul territorio provinciale si estenderà ulteriormente nel 1907, quando la linea Bergamo-Trescore Balneario (nata il 31 luglio 1902), che da Trescore arrivava anche a Sarnico, sarà prolungata fino a Lovere.

Il tram a vapore per Lovere (inaugurato l’1/05/1907), percorreva per un buon tratto iniziale il sedime della Trescore-Sarnico. Volendo, si poteva prendere il tram per la Val Cavallina, che partiva dalla zona della stazione ferroviaria, e al porto di Lovere si poteva salire su un convoglio della Tranvia Camuna che passando per Rogno sarebbe giunto fino a Pian Camuno

Fondamentale per l’economia delle due vallate è invece la costruzione delle ferrovie delle Valli Seriana (1884) e Brembana (1906), quest’ultima in stretto collegamento con lo sviluppo turistico di San Pellegrino, sull’onda del successo delle Terme e del Casinò.

La stazione della Ferrovia Valle Seriana, inaugurata nel 1884 con il tratto Bergamo-Vertova. Giunse a Ponte Selva nel 1885 e sino a Clusone nel 1911

 

La stazione liberty della Ferrovia della Valle Brembana negli anni Venti del Novecento. Fu inaugurata nel 1906 sino a San Giovanni Bianco e nel 1926 sino a Piazza Brembana

1890: FERRETTI CEDE L’AZIENDA E NASCE LA SAFT

Ma, evidentemente, al ruolo del gestore Ferretti preferisce quello del progettista-imprenditore, se il 29 aprile del 1890, alla “modica” cifra di 449.000 lire cede l’intera azienda cittadina (funicolare e servizio di tram a cavalli) alla costituenda Società Anonima Funicolare e Tramvia (SAFT) (5).

L’anno successivo, su richiesta della Società Anonima Funicolari Ferretti si sbizzarrisce nel progetto di un’altra funicolare, quella per il Colle di San Vigilio, che però non verrà realizzata su suo disegno.

L’ELETTRIFICAZIONE DELLA FUNICOLARE

Manifesto dei primi tram elettrici a doppio pantografo

Ma è il momento dell’elettricità, e nel 1892, nonostante le vie siano ancora illuminate dai lampioni a gas la funicolare per Città Alta diviene il primo mezzo pubblico a funzionare grazie ad essa.

Nei pressi dei moduli di Plorzano, partitori della roggia Serio Grande, in via Barzizza (laterale di Borgo Santa Caterina), venne realizzato il primo impianto per la produzione dell’energia elettrica, mosso dall’acqua della roggia Serio, con cui furono alimentate la funicolare (1892) ed in seguito la rete tranviaria. Sull’altro lato della stradicciola sorgeva un’officina poi abbattuta per consentire il transito del tram

L’ELETTRIFICAZIONE DEI TRAM CITTADINI

La nuova Società può ora estendere la trazione elettrica a tutti i tram cittadini e l’8 ottobre del 1898 viene inaugurata l’elettrificazione della linea tranviaria, che inizia a cigolare sulla linea 1, fra la stazione ferroviaria e la funicolare,  facendo udire tratto tratto, più per prudenza che per necessità, la campanella d’allarme.

La stazione della funicolare per Città Alta agli inizi del Novecento e il collegamento tranviario con la stazione ferroviaria. A destra si nota la scaletta ancora esistente

 

Il primo tram della linea tra la stazione e la funicolare, viaggiava solo lungo un lato del viale e la presenza dei binari era indicata con paracarri. I passeggeri che uscivano dalla stazione trovavano ad attenderli un buon numero di carrozze disposte a portarli ovunque. Solitamente, nei ripidi viottoli dei colli, il conducente era costretto a scendere per aiutare il cavallo nei tratti più difficili. Altre carrozze erano in attesa di clienti sul Sentierone (dove più tardi sostarono i tassì) e in piazza Mercato del Fieno, appena fuori la stazione della funicolare

 

La linea 1, dalla stazione inferiore della funicolare alla stazione ferroviaria agli inizi del Novecento

 

La linea 1, dalla stazione inferiore della funicolare alla stazione ferroviaria agli inizi del Novecento

 

L’edificio della stazione ferroviaria con la tettoia originaria in ferro e lamiera zincata, costruito in età austriaca in aperta campagna, una distesa di campi attraversati da alcune rogge. La stazione cambiò il volto di questa zona, nelle cui vicinanze cominciarono a sorgere aziende che sfruttavano la presenza dei canali e dello scalo merci della ferrovia, grazie alla quale era possibile eseguire ogni genere di trasporto in tempi infinitamente più brevi, e con maggiore sicurezza, dei carri trainati dai cavalli. La sosta delle carrozze tranviarie avviene davanti alla pensilina, mentre le “Cittadine” e le altre carrozze (alle cui spalle è visibile un edificio dello scalo merci) sono in attesa dei viaggiatori. La fontana non è ancora presente (ripresa del 1910 circa)

Nel 1904 verrà elettrificata anche la linea Piazza Pontida-Borgo Santa Caterina, che attraversava le vie XX Settembre e Torquato Tasso fino piazzetta Santo Spirito, da dove risaliva in via San Giovanni attraverso via Pignolo, già divenuta motivo di satira per l’aggiunta del terzo cavallo impiegato per la breve ma faticosa salita.

Piazza Pontida (antica Piazza della Legna) con il tram, dietro il quale spicca la scritta dei Magazzini italiani, grande emporio di capi d’abbigliamento “all’ultima moda”. Piazza Pontida fu per anni il principale “terminal” tranviario della città e la piccola linea del tram a cavalli che vi transitava fece capo alla piazza anche quando venne introdotto il tram elettrico. Giunto alle Cinque Vie, il tram riprendeva la marcia in senso opposto

 

Il tram elettrico in via XX Settembre all’inizio Novecento. Non c’era vano sulla strada che non ospitasse un negozio

 

Via Torquato Tasso con un tram elettrico. Sulla destra, la cortina dei palazzi pubblici costruiti verso la fine dell’Ottocento (fotografia d’inizio Novecento)

 

Piazzetta Santo Spirito, punto di partenza e di arrivo del tram in via Tasso, con due storiche presenze: il negozio della ditta Cittadini e la caratteristica edicola dei giornali tuttora esistente (Raccolta Lucchetti, foto di Antonio Cittadini)

 

I tram davanti alla Caserma Montelungo

 

L’elettrificazione della linea Piazza Pontida-Borgo Santa Caterina in una fotografia d’inizio Novecento

 

Le due vetture sono ferme al capolinea di Borgo Santa Caterina. Non si è ancora demolito l’edificio a destra, in origine un’officina, che ostruiva buona parte della sede stradale. Il borgo terminava proprio qui. Più tardi la linea fu prolungata fino alla stazione della ferrovia della Valle Brembana (ora piazzale Loverini), dove per decenni fu installato il capolinea del tram Santa Caterina-Ospedale. Le eleganti signore (forse dame della Croce Rossa o membri di qualche comitato assistenziale), probabilmente appartenenti alle migliori famiglie della città, si prendono cura dei bambini delle classi più povere, che afflitti da scarso sviluppo e rachitismo, si recano alla “Colonia bagni di sole” dove prendono il sole, giocano e a mezzogiorno hanno un buon pasto assicurato. I bagni di sole venivano organizzati alla periferia della città, dove i bambini erano accompagnati col tram. Al Polaresco, negli anni Trenta, si organizzò una struttura vera e propria per questo genere di assistenza

Nel frattempo si progettava un’estensione della linea con un prolungamento da piazzetta Santo Spirito a Borgo Palazzo.

Il tram in via Borgo Palazzo nel 1919

Più tardi la linea di Borgo S. Caterina verrà prolungata fino alla fermata della ferrovia di Valle Brembana, la cui sede ospitava in parte le corse dei caratteristici  “tram rossi” in servizio sulla linea extraurbana Bergamo-Albino, inaugurata il 17 dicembre 1912.

La posa dei binari in via Corridoni, attigui al sedime della FVB e alla stazione della ferrovia della Valle Brembana (attuale piazzale Loverini)

Le caratteristiche dell’impianto rimangono pressoché invariate ma in compenso migliorano le prestazioni. Le vetture, della portata di 24 persone, vengono tenute in servizio anche per buona parte delle ore notturne e i passeggeri aumentano di anno in anno: se nel 1892 sono 373.146, dieci anni dopo, nel 1902, il loro numero è quasi raddoppiato.

GIU’ LE MURAINE: LA MUNICIPALIZZAZIONE DELL’AZIENDA DEI TRASPORTI

Nonostante le migliorie introdotte dalla SAFT, il Comune di Bergamo ritiene insufficiente lo sviluppo del servizio rispetto alle mutate esigenze della città, che con la caduta delle Muraine (gennaio 1901) è pronta ad espandersi e ad aprirsi definitivamente ai mutamenti urbanistici e sociali del Novecento e che con l’abbattimento dell’ormai obsoleto complesso della Fiera si appresta a realizzare il nuovo centro, per il quale nel 1908 si bandisce un concorso nazionale vinto dall’ingegnere Marcello Piacentini, andando in esecuzione solo dopo la fine della guerra.

Dopo cinque anni di trattative tra il Comune e la SAFT per il riscatto del servizio dei trasporti ed il referendum istituito nel 1907, i cittadini si dichiararono largamente favorevoli alla municipalizzazione dell’Azienda di trasporto pubblico (2) e finalmente nel mese di novembre si costituisce l’AMFTE (Azienda Municipalizzata Funicolari e Tramvie Elettriche), che diviene proprietaria degli impianti e dell’esercizio.

7 luglio 1907: l’esito del referendum istituito per la municipalizzazione dell’azienda dei trasporti

NUOVE ARTERIE STRADALI IN CITTA’

Mentre la Città alta è divenuta un quartiere popolare sospeso tra la magia dell’arte ed il degrado, lo sviluppo della città rende necessario realizzare nuove arterie viabilistiche, trasversali rispetto alle direttrici storiche che scendevano  dal colle come le dita di una mano aperta, lungo la quale si sviluppavano i borghi.

Tram a Porta Nuova e, dietro i propilei, il Boschetto di Santa Marta ad inizio Novecento. I cancelli del dazio sono scomparsi e la città è in via di modernizzazione, anche se la radicale trasformazione del centro dovrà attendere l’abbattimento della Fiera e la sua sostituzione con gli edifici progettati da Piacentini

Si realizzano così tre collegamenti ad andamento est-ovest che completeranno la struttura urbana della città nuova: le vie Garibaldi e Verdi, disposte alla base del colle ad aggirarlo, le vie Tiraboschi e Camozzi che ricalcheranno l’andamento del perimetro meridionale delle Muraine e della roggia Serio, e infine le vie Paleocapa e Mai (quest’ultima realizzata entro il 1892), tracciate maggiormente a ridosso della linea ferroviaria.

Lungo la linea 2, in via Verdi

 

La posa dei binari del tram in via Broseta

La nuova trama viaria, che rompe in diversi punti la cortina edificata dei borghi, va ad avvolgere  la città, indirizzando lo sviluppo urbano secondo canoni completamente diversi.

 

L’ESPANSIONE DELLA RETE (PENSANDO AI QUARTIERI POPOLARI)

In linea con i progetti che stavano prendendo corpo sulla trasformazione del centro di Bergamo, l’Azienda municipalizzata inizia ad espandere la rete (sulla base di alcune linee preesistenti), raggiungendo anche i quartieri sorti nelle località limitrofe alla città (soprattutto lungo l’asse di via Broseta, via Borgo Palazzo e Borgo Santa Caterina), arrivando a contare nove linee tranviarie urbane e suburbane (per un estensione totale di oltre 40 km) e registrando una sensibile crescita dei passeggeri, che nel 1910 superano ormai il milione di unità.

Una delle prime iniziative dell’Azienda municipalizzata è il prolungamento, nel 1908, della linea di Borgo Palazzo fino al Cimitero, da subito molto frequentata

Tra il 1907 e il 1912 venne quasi raddoppiata la lunghezza della rete, mentre il numero delle carrozze circolanti passa da undici a ventidue. Non solo, vengono istituite linee per i borghi non ancora raggiunti dal servizio, tenendo conto in particolare delle esigenze della classe operaia, per la quale stanno sorgendo i primi quartieri popolari.

Nel 1910, per la periferia sud-ovest della città la linea di Borgo Palazzo (Cimitero) viene prolungata fino a via Previtali.

Il tram in via Previtali (linea 4), all’incrocio con via Moroni nei pressi dell’antica Porta Osio,  da dove un tempo partivano le diligenze dirette a Milano. La linea fu soppressa nell’agosto 1953 e sostituita da un filobus. Il piccolo edificio a destra è una gelateria

Vengono pure posati nuovi binari tra il centro (Piazza Cavour) e la Malpensata, dove sono sorte le case popolari di via Carnovali.

Le case popolari alla Malpensata, sorte nel 1906 (ripresa del 1909)

 

Capolinea del tram numero 3 al quartiere della Malpensata in via Furietti, 1925

 

Le case popolari di via Carnovali

 

Pianta delle case popolari (ICP) nel quartiere di Loreto, sorto negli anni 1922-39

Prima dello scoppio della guerra l’Azienda aveva provveduto a portare la linea di via Broseta fino a Loreto e fu anche raggiunta la zona di Santa Lucia dove, su iniziativa di privati stava sorgendo un nuovo quartiere residenziale e dove negli anni Trenta sorgerà il nuovo ospedale intitolato alla Principessa di Piemonte (futuri, e ormai ex, Ospedali Riuniti).

Il tram in via Statuto nel 1917. Nel quartiere così come nel centro cittadino le palazzine dei primi anni del Novecento ruppero gli schemi morti dell’eclettismo; la città stessa dettava agli architetti un suo modo di schiva eleganza

Nel frattempo viene inaugurato il secondo impianto di risalita della città, per garantire il collegamento tra Città Alta e il Colle San Vigilio: il primo caso in Italia e forse anche in Europa. Uno dei primi e più illustri passeggeri sarà, nel 1913, Hermann Hesse, futuro premio Nobel per la letteratura.

Il 27 agosto 1912 viene inaugurata la funicolare di San Vigilio. A causa delle gravi difficoltà economiche della Società Anonima Funicolari, è l’AMFTE a gestire il servizio, cui viene ceduto non appena finita la guerra. Il servizio verrà sospeso nel 1976 perché privo dei requisiti minimi di sicurezza e riaperto dal 1991, dopo il totale rinnovo dell’impianto

Intanto il motore a scoppio muove i primi passi e cominciano a circolare le prime automobili, per ora appannaggio esclusivo delle classi più abbienti.

La famiglia Von Wuster con la propria auto nel 1911

 

GLI ANNI DEL PRIMO CONFLITTO MONDIALE, CON SEI MILIONI DI PASSEGGERI

Nel corso della Prima Guerra mondiale, soprattutto tra gli anni 1916 e 1918, Bergamo ha un ruolo molto importante di retrovia ed anche se il conflitto blocca ogni progetto di espansione del servizio, il numero dei passeggeri sfiora i sei milioni. In questo difficile momento storico, sulle vetture compare il primo personale femminile.

Tram elettrico a Porta Nuova, 1915

Viene solo prolungata la linea di Borgo Palazzo al complesso della nuova Casa di Riposo della Clementina, trasformata in ospedale militare.

La zona della Clementina. In alto a destra si riconosce il Cimitero monumentale

 

Il giardino all’interno della Clementina, un rettangolo di verde fra quattro fila di diversi caseggiati dominati da una ciminiera. E’ soltanto un lontano ricordo: oggi c’è solo la chiesa

 

Il quartiere Clementina verrà terminato nel 1948, con 190 appartamenti per un totale di 844 vani (ripresa degli anni ’60)

I duri anni della prima guerra mondiale e il conseguente prolungato blocco delle tariffe indeboliscono le casse dell’azienda dei trasporti (AMFTE), che si trova ad affrontare una difficile situazione economica. Completato nel 1926 il programma di ampliamento extraurbano, non verranno più effettuate opere di particolare rilievo. Resterà sulla carta, ad esempio, il progetto di istituire una linea lungo il Viale Giulio Cesare (allora Regina Margherita) per servire lo Stadio Comunale inaugurato nel 1928. La stessa fine farà la proposta al Comune di un piano per introdurre autobus a motore per nuovi collegamenti, come quello per Valtesse.

Anni Venti: è costruita la Banca d’Italia ma i lavori per il centro piacentiniano non sono ancora completati

 

Tram alle 5 Vie negli anni Venti

DOPO IL PRIMO CONFLITTO MONDIALE:  IL RINNOVO DELLA FUNICOLARE PER CITTA’ ALTA E GLI ANTESIGNANI DEI FILOBUS

Terminata la Grande Guerra, nel 1919 la linea di Borgo Palazzo viene portata fino a Seriate (già servita dalla tranvia a vapore per Romano e Soncino), dove è sorto un grande stabilimento tessile con turni che iniziano di primo mattino, permettendo agli operai di raggiungere più comodamente il posto di lavoro.

Capolinea del tram a Seriate (linea 5)

Tra l’agosto del 1921 e l’ottobre del 1922 l’AMFTE può finalmente rinnovare radicalmente la funicolare di Città Alta, il cui servizio si è rivelato un successo: tra il 1900 e il 1920 il numero dei passeggeri trasportati è salito da mezzo milione a un milione e mezzo.

L’inaugurazione, nel 1921, della rinnovata funicolare  per Città Alta, per la quale viene creato un doppio binario, rifatti i meccanismi dei motori e degli apparecchi di sicurezza, rifatta la stazione di Viale Vittorio Emanuele II e la facciata di quella di Piazza Mercato delle Scarpe, dove scompare il ponticello che fino ad allora aveva concesso di utilizzare l’antichissima via degli Anditi, un passaggio di ronda appartenente alle mura medioevali

Per la temporanea chiusura dell’impianto è istituito un servizio sostitutivo di vetture filoviarie, tra le prime utilizzate in Italia, che dalla stazione ferroviaria  arrivano fino a Colle Aperto, dove si mpiegano due filobus Zaretti, uno dei quali sarà successivamente ceduto alla filovia Châtillon-Saint-Vincent. Si tratta del primo mezzo di trasporto moderno che percorre il viale delle mura: come tali trabiccoli riescano a superare la salita per Città Alta, non è dato sapere, ma i bergamaschi non rinunciano all’avventura.

Le carrozze-filobus utilizzate tra il 1921 e il ’22 in occasione del rinnovamento dell’impianto della funicolare. Ogni carrozza poteva trasportare fino a venti passeggeri

 

Il collegamento alla rete elettrica delle vetture filoviarie per Città Alta. Sul finire degli anni Venti, seguendo il clima politico dell’epoca, il consiglio comunale affronterà per la prima volta il tema della possibile sostituzione dei tram con autobus, intraprendendo alcune sperimentazioni, fra cui alcuni veicoli carrozzati dalla FERVET. Il progetto però verrà accantonato per i risultati sfavorevoli e le difficoltà finanziarie

I TRAM ESCONO DAI CONFINI DELLA CITTA’ E NASCE IL DEPOSITO DI VIA COGHETTI

Entro il 1926, per facilitare gli spostamenti dei numerosi lavoratori alle dipendenze delle tante aziende sorte nel territorio, l’Azienda municipalizzata intraprende un piano di espansione della rete oltre i confini comunali.

Nel 1925 si aggiungono così i collegamenti con Colognola, poi allungati fino a Stezzano (dove faceva capolinea nella piazza centrale) nonché il collegamento con Ponte San Pietro.

1926: inaugurazione e prima corsa del tram elettrico a Stezzano, con l’arrivo in piazza Vittorio Emanuele II; sullo sfondo, la villa dei conti Moroni; a sinistra la cancellata della villa Grumelli Pedrocca. La piazza è ancora acciottolata

La linea per Ponte San Pietro, partendo da via Gallicciolli passava per Piazza Pontida e proseguiva sino a Loreto; dopo una breve salita sino al colle che ospitava la colonia elioterapica raggiungeva Longuelo e quindi Curno; sottopassata la ferrovia Bergamo-Lecco i tram giungevano al capolinea di Ponte San Pietro, all’inizio del paese.

Il tram in Piazza Pontida e il Caffé degli Amici

 

I binari del tram in via Broseta

 

Tram della linea 8 (Porta Nuova-Ponte S. Pietro) a Longuelo (ripresa del 1931)

 

Bambini sul tram utilizzato per i trasferimenti alla Colonia elioterapica del Comitato Provinciale di Bergamo della Croce Rossa Italiana presso il Polaresco a Bergamo (Autore della ripresa: C. Balestra, 1937 ca.)

Nel 1925 viene inaugurato il deposito di via Coghetti, capace di ospitare fino a centro vetture. All’interno della rimessa sono posate delle rotaie che permettono ai tram elettrici d’essere rimessati fino alle pensiline. Nella struttura trovano posto anche gli uffici e le officine per la manutenzione dei veicoli e successivamente i capannoni ospiteranno i filobus e gli autobus.

Il nuovo deposito dei mezzi dell’azienda municipalizzata, in via Coghetti, dal 1925 accolse tutto l’apparato dell’Azienda Municipalizzata Funicolari e Tramvie Elettriche (divenuta ATB dal 1979). In quegli anni erano ancora attivi i tram elettrici

DALLA ROTAIA AL FILOBUS E POI ALL’AUTOBUS: VIA I TRAM DAL CENTRO

Agli inizi degli anni Trenta, con la realizzazione del nuovo centro cittadino per ragioni di decoro e soprattutto per decongestionare le anguste vie XX Settembre e Tasso, si rende necessario spostare tutte le linee tranviarie che passano per il Sentierone.

Scorcio sul centro piacentiniano, costruito sull’area della vecchia Fiera di Bergamo, con la Torre dei Caduti e sede della Banca Bergamasca. Realizzato solo dopo la fine della guerra, conferisce al luogo i caratteri di un vero e proprio nuovo centro cittadino e diviene punto di riferimento per l’ubicazione delle nuove funzioni direzionali prepotentemente assunte dalla città bassa

 

Battitura Cubetti In Porfido In Via Tiraboschi,1932

 

Anni Trenta. L’interno di una carrozza tranviaria con le curiose maniglie che cambiavano pubblicità ogni volta che ci si aggrappava

La rotaie vengono rimosse e riposizionate lungo un tracciato più esterno: la nota strada di circonvallazione, che corre lungo le vie Camozzi e Tiraboschi,  appena al di là delle antiche Muraine.

Tram lungo la strada di circonvallazione a Porta Nuova

 

I tram lungo la strada di circonvallazione, all’altezza di Porta Nuova (ripresa del 1947)

Dal centro sono già stati tolti i binari del tram a vapore Bergamo-Soncino, mentre il capolinea dello storico tram Bergamo-Albino finisce con l’essere fissato nei pressi della torre del Galgario: per uscire dalla città i convogli bianchi e rossi, prima di proseguire per la Valle Seriana utilizzano le rotaie dei tram cittadini lungo le vie Cesare Battisti e Borgo Santa Caterina.

Il capolinea della Bergamo-Albino in viale delle Muraine, tra la torre del Galgario e l’attuale Palazzetto dello Sport. La linea, a trazione elettrica, più veloce e confortevole rispetto a quella a vapore, attraversava il centro dei paesi sulla sede stradale, sfruttando inizialmente il tratto già servito dalla ferrovia della Valle Seriana. Attiva dal 1912 al 1953, in aggiunta alla Ferrovia della Val Seriana (aperta nel 1884) per servire i paesi del fondovalle, oggi sostituiti dalla TEB

 

Fermata di Bergamo alle Muraine, della linea Stei per Albino

Nel 1930 è stato inaugurato il nuovo Ospedale Maggiore di Bergamo, raggiunto dalla linea 2 lungo le vie Garibaldi e Statuto, che con la Rotonda e le strade adiacenti, un tempo orti e aree agricole intercluse tra i borghi, sono le arterie progettate negli anni Venti dall’addetto agli uffici tecnici comunali ing. Giuseppe Chitò, qualificatesi architettonicamente con le costruzioni in stile  liberty e successivi innesti in stile razionalista.

Sul tragitto della linea 2 ne  il tram alla rotonda Garibaldi presso il Teatro Duse, costruito a fine ’27 (ripresa del 1935)

 

Nel 1938-39, accanto al Teatro Duse è sorta la casa della Rotonda, progettata dall’architetto Enrico Sesti

 

La posa dei binari in via Statuto

 

Il tram della linea 2  percorre via Statuto nel 1930, diretto al nuovo Ospedale Principessa di Piemonte

Mentre in via Monte Ortigara, negli anni 1933-’35 è sorta la casa-cubo progettata da Pino Pizzigoni, che la elegge a residenza.

La casa-cubo progettata dall’architetto Pino Pizzigoni, in via Monte Ortigara

Entro il 1937, altre linee in esercizio sono la 3 (da Porta Nuova a Campagnola), la 9 (Porta Nuova-Esperia), la 10 (Piazza Sant’Anna-Gorle-Scanzorosciate-Negrone, lungo il percorso della tranvia Bergamo-Trescore-Sarnico.

Quando, dopo gli inizi degli anni Trenta, fu soppresso il vecchio tram a vapore Bergamo-Trescore-Lovere, l’Azienda Municipalizzata di Bergamo acquistò una parte della linea, che attrezzò con un servizio di tram elettrico fino a Negrone. Era una piacevole scampagnata: si saliva sul tram al capolinea di piazza S. Anna e ci si metteva al finestrino. Durante il percorso il tram passava alle spalle del cimitero, prendeva per via Bianzana e arrivava a Gorle. Di là dal ponte era quasi solo campagna e al capolinea di Negrone cominciavano le colline di Scanzo, con il celebre moscato

 

Anni Quaranta: il tram presso l’attuale piazza della Libertà, tra il tribunale e la Casa Littoria (oggi della Libertà), edificata nel ’39

Terminata la seconda guerra mondiale e ritornata la normalità, il sistema tranviario di Bergamo è completamente da rifare in quanto vetture, rotaie e attrezzature, rimaste per anni senza manutenzione, sono per lo più fatiscenti.

Nel corso degli anni Trenta nel panorama cittadino si sono inseriti elementi del tutto nuovi: tra la pietra grigia e i sobri intonaci spicca la bianca mole della Casa del Fascio (ora della Libertà), costruito nel 1938 dove prima sorgeva il vecchio Ospedale di San Marco. Il centro piacentiniano è realizzato; a destra emerge la torre del Palazzo delle Poste in via Locatelli (1931), con a fianco il campanile di San Marco. Un tempo caselli, i propilei ospitano ora negozi e, a sinistra, un’agenzia di viaggi, la prima in città. Il traffico è ancora modesto; due carri trainati dal cavallo marciano a fianco del Sentierone diretti verso via Tasso, ma i primi tassì sostano a fianco degli ippocastani

 

Lavori in via Garibaldi 1949

 

Dal 1953 il quartiere di Santa Lucia potè godere di un collegamento veicolare con la città grazie alla galleria della Conca d’Oro, ex rifugio antiaereo scavato nel 1944 sotto il colle del Fortino, collegato alla galleria del Comando Germanico e a via Garibaldi

L’AMFTE, decide perciò di sostituire gradualmente i tram con filobus sulle linee principali che attraversano il centro cittadino.

Un primitivo modello di filobus in Colle Aperto. Il nuovo mezzo permise anche di servire la Città Alta, che in precedenza non poté essere utilizzata dai tram urbani a causa delle pendenze elevate

Al tempo stesso iniziano a circolare anche gli autobus.

Gli ultimi tram: via Quarenghi, 1954

 

Tram in Piazza Pontida, 1955

La soppressione definitiva della rete tranviaria ha luogo nel 1957 con l’ultima corsa sulla linea 8 per Ponte San Pietro.

Verso Ponte San Pietro: il tram in via Broseta (a sinistra) nel 1954

 

1957: l’ultima corsa del tram sulla linea 8, in Piazza Pontida

 

Operai al lavoro in via Broseta per lo smantellamento dei binari del tram n. 8 diretto a Ponte San Pietro. La linea era stata inaugurata nel 1925

Per ora Bergamo sta ancora tutta nel palmo di una mano e mantiene la sua eleganza un po’ ritrosa trovando coronamento nella bellezza di Città Alta. A poco a poco quell’equilibrio si romperà ed anche i trasporti dovranno adeguarsi. Ma lo vedremo alla prossima puntata.

Note

(2) Nel gennaio del 1887 la Ferrovia Ferretti ottenne, oltre alla concessione della funicolare, anche quella dell’intero servizio di trasporto pubblico cittadino, per una durata di 80 anni. La funicolare di Bergamo Alta fu terminata nel medesimo anno, entrando in servizio il 20 settembre 1887. Per la firma del contratto tra la Ferrovia Ferretti e il Comune, Luigi Pelandi (Op. Cit.) riporta la data del 1° gennaio 1887, “col deposito di L. 20.000, quale cauzione. A Ferretti spetta, oltre alla gestione dell’intero sistema di trasporto, anche la costruzione dell’impianto della funicolare. Era allora sindaco il conte Gianforte Suardi.

(2) L’esito del referendum istituito nel 1907 registra un importante consenso popolare, espresso dai 2791 sì contro 111 no su un totale di 2.950 votanti (il 46% degli aventi diritto al voto in quanto nelle liste elettorali erano iscritti solo i capifamiglia, mentre le donne erano escluse.

Bibliografia
Graziola G Zaninelli S. “Il trasporto pubblico a Bergamo. ATB 1907-1997” Giuffrè Editore Milano Opuscolo edito da ATB per il centenario.

Giovanni Cornolò e Francesco Ogliari, La funicolare Bergamo Bassa – Città Alta (1887 – in esercizio), in Si viaggia… anche all’insù. Le funicolari d’Italia. Volume primo (1880-1900), Milano, Arcipelago edizioni, 2004, pp. 144-181, ISBN 88-7695-261-6.
Pino Capellini, La funicolare di Bergamo Alta, Bergamo, Arnoldi, 1988.

Luigi Pelandi, Attraverso le vie di Bergamo scomparsa II – La Strada Ferdinandea. Collana di Studi Bergamaschi, a cura della Banca Popolare di Bergamo.

Dal Foro Boario alla Malpensata fra Ottocento e Novecento, alla scoperta della città

L’ANTEFATTO STORICO

Con la dominazione austriaca (1815-1859), a Bergamo si avviano i primi consistenti processi di mutamento della città in senso moderno, che segnano un periodo di forte espansione economica e di una gestione della cosa pubblica esemplare dal punto di vista del’efficientismo amministrativo e della organizzazione urbana.

Nella prima metà del secolo, con l’ascesa della nuova borghesia produttiva lo “scivolamento” della città al piano si fa più consistente, portando a compimento le trasformazioni della struttura urbana già avviate nel periodo napoleonico.

La Fiera e la città alta sullo sfondo

Dal 1732 l’antichissimo mercato di Bergamo, posto a metà fra i borghi, può finalmente avvalersi di una Fiera stabile in muratura, disposta su un’area quadrata con 540 botteghe. Verso sud il Sentierone, parallelo alle Muraine, diventa un’arteria per il collegamento dei borghi.

Il centro della Fiera di pietra, oggi Piazza Dante, in cui si trova, ultimo ricordo del complesso, la bella fontana opera di G. B. Caniana del 1734, incorniciata da una serie di alti alberi che nascondono i casotti delle botteghe del vecchio complesso

Con l’erezione dei Propilei in stile neoclassico nel 1837, nella Barriera daziaria delle Grazie viene aperto il varco di Porta Nuova, rappresentando simbolicamente l’ingresso monumentale alla città degli affari.  

Il 20 agosto 1837, in coincidenza con l’apertura della Fiera di S. Alessandro viene inaugurata Porta Nuova (ampliando la Barriera daziaria delle Grazie), il nuovo e simbolico accesso alla città degli affari, delimitato dai propilei neoclassici disegnati da Giuseppe Cusi e realizzati da Antonio Pagnoncelli: al di là delle Muraine l’unico edificio era la Fiera; al di qua era campagna

L’anno successivo (1838), in occasione della visita a Bergamo di Ferdinando I d’Austria inizia la costruzione del primo tratto della Strada Ferdinandea (futuro Viale Vittorio Emanuele),  che, partendo da Porta Nuova laddove s’incontrano le due spine dei borghi che da Città alta si protendono al piano, sale con un lungo rettilineo tagliando gli orti e i grandi broli dei monasteri fino alla Porta di Sant’Agostino.

Grazie alla Ferdinandea, da un lato viene superata quella frattura con Città Alta creata a partire dal 1561 con la costruzione delle mura veneziane e, dall’altro, si viene a creare una vera e propria arteria moderna, che presto diverrà la spina dorsale intorno alla quale verrà ridisegnato l’intero volto della città.

La Strada Ferdinandea, ora viale Vittorio Emanuele, ancora di larghezza modesta, con il viale alberato e il palazzo Stampa. Da Porta Nuova, dopo aver disegnato un’ampia curva poco oltre il monastero Matris Domini, la strada sale per le ortaglie sotto le mura di S. Giacomo per ricongiungersi con la Porta di S. Agostino. Il suo tracciamento ebbe come risultato lo straordinario potenziamento dell’area della Fiera, fronteggiata dalla porta e tangente alla nuova strada, che venne terminata nel 1845 (la ripresa è del 1915)

Nel 1857, quando la ferrovia raggiunge Bergamo viene eretta la Stazione Ferroviaria – in asse con Porta Nuova – e lo scalo merci.

Il piazzale della Stazione Ferroviaria prima della costruzione della fontana (1910 circa)

Demolita la quattrocentesca chiesa di S. Maria delle Grazie – che avrebbe impedito la prosecuzione assiale del viale -, la Strada Ferdinandea viene prolungata verso sud fino alla stazione (chiamandosi in questo tratto viale Napoleone III), completando la spina dorsale della futura “Città Bassa”, attorno alla quale si sviluppa una intensa attività edilizia ed urbanistica che, soprattutto dopo gli anni post-unitari, porterà alla formazione di un nuovo centro.

Nella “corografia datata 1878” è evidente la risistemazione della zona delle “Grazie”. La chiesa, , consacrata una prima volta nel 1427, fu demolita nel 1856 per aprire il rettifilo che da Porta Nuova conduce alla Stazione Ferroviaria (costruita quando la ferrovia raggiunse Bergamo), eretta in asse con l’apertura nelle Muraine, e la sua collocazione condiziona ancor’oggi lo sviluppo urbanistico della città. L’attuale Piazzale degli Alpini è ancora indicato come Piazza d’Armi, nonostante a questa data l’area sia da tempo occupata dal Mercato del Bestiame (da “L’Ospedale nella città”, Op. cit. nei Riferimenti)

Intanto con l’800 si va sempre più consolidando il trasferimento delle sedi del potere amministrativo e statale nei pressi della Fiera, con la costruzione di edifici pubblici di corrente tardo-neoclassica disposti lungo il corso che unisce i due borghi centrali, quello di S. Leonardo e quello di S. Antonio, che ancora si configurano come il margine netto di passaggio tra l’urbano e la campagna.

Nel frattempo la finanza bergamasca si evolve e modernizza attraverso lo sviluppo del sistema bancario e la collocazione di nuove sedi, mentre alla fine del secolo si osserva la costruzione del Manicomio e del Ricovero (1892), del Cimitero monumentale (1896) e del Teatro Donizetti (già Teatro Riccardi). Decisivo per l’espansione della città sarà l’abbattimento delle Muraine nel gennaio del 1901, mentre la discussione sulla Fiera darà luogo alla costruzione del centro piacentiniano.

Nella zona che dal 1857 è chiamata “Campo di Marte”, poi Piazza Cavour e oggi piazza Matteotti, si costruisce il palazzo del Comando militare, che negli anni ’70 diverrà sede degli Uffici comunali. Di fronte, dal 1836 è già edificato Palazzo Frizzoni (attuale sede del Municipio), sorto sull’area dell’antico complesso ospedaliero di S. Antonio di Vienne. Con l’avvio dell’industrializzazione urbana lungo via XX Settembre (antica Contrada di Prato) sorgono le nuove residenze della borghesia mercantile, a pochi passi dagli edifici produttivi stanziati lungo i corsi d’acqua che circondano le  Muraine

 

Con la metà dell’800, lungo la Contrada di S. Bartolomeo, oggi via T. Tasso sorge la Scuola dei Tre Passi; nell’area del Mercato dei Bovini si costruisce il Palazzo della Pretura, che nel 1874 diventerà sede del Comune (trasferito nel 1933 a Palazzo Frizzoni), mentre tra il 1864 e il 1871 vengono edificati il Palazzo della Prefettura e quello della Provincia. Infine, l’emblematico trasferimento del Municipio dalla Piazza Vecchia al Palazzo della Pretura. Nel frattempo anche qui sorgono le nuove residenze della borghesia mercantile: questi i primi significativi interventi del periodo nella città bassa, mentre altri interventi riguardano Città Alta con le opere degli architetti Bianconi, Crivelli e Berlendis, testimonianti il favorevole atteggiamento dell’amministrazione austriaca

 

Porta S. Antonio, aperta nel circuito delle Muraine in corrispondenza dell’attuale via Pignolo Bassa e in direzione della via Borgo Palazzo. Nonostante i due borghi centrali di S. Antonio e di S. Leonardo si configurino ancora come il margine netto di passaggio tra l’urbano e la campagna, la città si è espansa ben oltre, in direzione di borgo Palazzo e borgo Santa Caterina, dove l’insediamento delle manifatture e di altre attività produttive ha innescato un notevole incremento della densità residenziale

L’AREA DELLA STAZIONE

Il monumentale, sovradimensionato rettifilo intitolato a Napoleone III (oggi viale Papa Giovanni XXIII), espressivo di un’epoca caratterizzata dal monumentalismo neoclassico e dalla moda del passeggio, viene delimitato da filari e alberature che ne evidenziano il ruolo e l’importanza.

La panoramica più antica della città, risalente al 1865, riprende il secondo tratto della Strada Ferdinandea visto dalla stazione. Dopo la sua demolizione (1856) per la formazione del secondo tratto della Ferdinandea, la chiesa delle Grazie presenta la cupola ancora in costruzione, mentre lungo il viale sono state disposte le giovani alberature. Proprio nell’anno in cui viene scattata questa fotografia, il Mercato del Bestiame viene trasferito presso la Piazza d’Armi, delimitata ad est, in corrispondenza dell’attuale via Foro Boario, dalla struttura del Bersaglio con il suo lungo corridoio di tiro

Le mappe catastali del 1853 e del 1866 depositate presso l’Archivio di Stato di Bergamo documentano le trasformazioni avvenute nell’area a sud del monastero delle Grazie: una zona ancora  fortemente rurale (se si esclude il monastero, due case coloniche, le fabbriche del Salnitro e per la filatura del Cotone nonché un piccolo deposito per le bestie infette), che, come detto, con la scelta localizzativa della Stazione Ferroviaria e la creazione del grande viale Napoleone III – prosecuzione della Ferdinandea -, manifesta il primo segno di apertura a sud della città.

La Stazione Ferroviaria fu costruita nell’ambito del progetto della ferrovia Ferdinandea (Milano-Venezia) e fu inaugurata il 12 ottobre 1857 assieme al tronco Treviglio-Bergamo-Coccaglio. Entro il 1900 si realizzò il primo collegamento ferroviario tra Bergamo e i centri maggiori della pianura (Milano, Brescia, Lodi, Lovere) e con i territori delle due valli a nord (Seriana e Brembana); il consolidamento i rapporti con i centri commerciali circostanti, cui corrispose un rinnovamento del ruolo territoriale di Bergamo, rese definitivamente obsoleta la Fiera come perno economico della città

Gli spazi ad est del viale, sul sito dell’attuale piazzale degli Alpini, vengono riorganizzati mediante la creazione della Piazza d’Armi (nota come “Campo di Marte” e luogo di esercitazione militare), in funzione della quale, sull’estremità orientale, in corrispondenza dell’attuale via Foro Boario viene costruita la struttura del “Bersaglio” con il suo lungo corridoio di tiro.

 

Per creare la piazza d’Armi, viene deviata e canalizzata la roggia Morlana, di cui abbiamo una bella testimonianza.

Dal Foro Boario verso Città Alta intorno al 1895. E’ visibile la chiesa di S. Maria delle Grazie e a destra l’edificio del Macello comunale. Oltre alla roggia Morlana, qui ritratta, l’area era attraversata dalla roggia Nuova e dalla roggia Ponte Perduto (nome curioso, forse derivante da un ponte scomparso), che si origina dalla Morlana in Borgo Palazzo, dalla quale si dirama proprio in questa zona (Raccolta Lucchetti)

L’esigenza di donare una nuova funzione agli spazi e ai luoghi della città bassa richiede una nuova collocazione degli usi esistenti e pertanto, in seguito al nuovo progetto della sede della Provincia nel 1865 il Mercato del Bestiame viene trasferito nella Piazza d’Armi, proseguendo il suo lungo itinerare, vecchio quanto la storia della città.

Carretti al Foro Boario (Mercato del Bestiame) ai primi del Novecento. Il palazzo dell’Istituto Tecnico non è ancora stato realizzato e si intravede il Macello, nell’omonima via parzialmente tracciata

Nasce da qui la denominazione di Foro Boario (in latino Forum Boarium o Bovarium), toponimo mutuato da un’area sacra e commerciale dell’antica Roma collocata lungo la riva sinistra del fiume Tevere, tra i colli Campidoglio, Palatino e Aventino, che prese il nome dal mercato del bestiame che vi si teneva.

A destra del viale della Stazione il Foro Boario, corrispondente all’attuale Piazzale degli Alpini ed adiacenze, delimitato a sud dal piccolo bar-ristorante, già presente entro il 1876, soglia alla quale la via del Macello (attuale via A. Maj) è già tracciata a realizzata fino alla rogge Nuova e Morlana, delimitando dal 1890 il lato nord del piazzale con il nuovo Macello  comunale

I MERCATI DEL BESTIAME NEL TEMPO

Se in antico i mercati si tenevano nell’antica “Platea S. Vincentii” (attuale area del Duomo), dove a cadenze fisse affluivano i prodotti del territorio (sale, biade, formaggi, ferramenta e panni, bestiame…), con lo straordinario sviluppo commerciale nel periodo della dominazione veneziana il mercato cittadino si frazionò in alcune piazze che nella loro attuale denominazione ancora richiamano l’antico ruolo merceologico: Mercato del Fieno, Mercato del Pesce, Mercato del Lino (ora piazza Mascheroni), Mercato delle Scarpe, dove – afferma Luigi Volpi –  si teneva il mercato degli asini e dei buoi, spostato nel 1430 a Porta Dipinta.

Nel medioevo, per i loro affari tessitori e commercianti facevano riferimento alle barre di ferro riproducenti le misure in uso a Bergamo, murate nella facciata settentrionale di S. Maria Maggiore. Esse testimoniano non solo il ruolo mercantile di questo centro ma anche della necessità di garantire il valore delle misure locali ai mercanti provenienti da altre sedi. Il controllo delle misure dei panni era affidato ai consoli del paratico dei tessitori, sottoposti a giuramento

Nel Duecento in tutta la città solo una beccheria gestita dal Comune era autorizzata alla macellazione e alla vendita e doveva essere già localizzata nell’attuale via Mario Lupo nelle botteghe di proprietà dei Canonici di San Vincenzo. Dopo due secoli le beccherie erano quattro, di cui una in borgo Pignolo, una in San Leonardo e una in Sant’Antonio.

Via Mario Lupo, già via delle Beccherie, dove erano le botteghe della macelleria, di proprietà dei Canonici di San Vincenzo (l’istituzione della Canonica risale al IX secolo)

la “Domus Calegariorum”, in piazza Mercato delle Scarpe, ospitava anche il Paratico dei Beccai (macellai), dove oggi sorge il palazzo della funicolare.

Piazza Mercato delle Scarpe (così chiamata dalla fine del Trecento) e il palazzo della funicolare, fatto costruire da Guidino Suardi sull’area già occupata dalla Domus Calegariorum et Becariurum

Intanto nella città al piano, già prima dell’anno Mille, in coincidenza con le festività del santo patrono si teneva  una grande fiera annuale nel Prato di S. Alessandro, dove con il tempo confluirono tutti i mercati della città, divenendo ben presto un centro economico e finanziario di grande importanza nel circuito delle fiere cittadine italiane ed europee: tanto che alla metà Cinquecento, grazie alla sua grande capacità produttiva Borgo S. Leonardo sembra già somigliare a una piccola città nella città, mentre cresce la tendenza al trasferimento di funzioni sempre più importanti del centro cittadino – la Città alta – verso la città Bassa (trasferimento che aumenterà significativamente con l’erezione delle mura veneziane, erette fra il 1561 e il 1595, ritrovando nuovo vigore nel Sette/Ottocento).

La più antica veduta del Prato di S. Alessandro, risalente al 1450. Dall’alto medioevo, nel vasto slargo a ridosso delle Muraine, in coincidenza con la festività del santo patrono si teneva una fiera provvisoria che ben presto assunse rilevanza internazionale. In questo luogo, a metà tra I borghi di S. Antonio e di S. Leonardo, affluivano le maggiori vie di transito (da un codice agiografico conservato nella Biblioteca di Mantova)

 

A pochi passi dalla Fiera, nel 1454 vengono eretti i portici intorno alla piazza del Borgo S. Leonardo (attuale Piazza Pontida), cuore pulsante della vecchia Bergamo

Nel vasto prato di S. Alessandro, la scarsa durata della manifestazione commerciale (pochi giorni alla fine di agosto), non pretendeva strutture o infrastrutture speciali, se non terreno sgombro ed acqua; ma il sistema di seriole e rogge già esistente e perfezionato nel Quattrocento garantiva il buon funzionamento del periodico affollarsi, oltre che di merci, anche di bestiame, qui presente sin dal 1579 in un mercato settimanale; nel 1593 i Rettori concessero che si tenesse i primi quattro giorni della prima settimana intera di ogni mese.

Anche se non è semplice stabilire come fosse distribuito tale mercato, è noto che in fiera, insieme alle più svariate mercanzie locali affluiva il bestiame allevato nella pianura e nelle valli, da dove scendevano in gran numero animali provenienti da zone specializzate in allevamenti: cavalli da Selvino, pecore da Clusone e Parre (1), muli (dei quali si faceva molto uso nelle miniere per il trasporto del minerale, del carbone, del ferro, ecc.), buoi e vitelli dalla valle Seriana, per i quali si conservava libera una determinata zona.

Da una relazione fatta dagli ispettori della Repubblica Veneta nel 1591 si parla di un mercato dei cavalli lungo la strada che va dal borgo di S. Antonio a S. Leonardo, mentre Gelfi allude per quel periodo ad un mercato del bestiame, specialmente bovino, che si teneva i primi tre giorni della prima settimana del mese (2).

Il bestiame diretto in città sostava nella piana di Valtesse (in antico detto Tegies o Teges per le sue tettoie atte al ricovero delle bestie), dove in parte doveva essere allevato.

La piana di Valtesse dalla Montagnetta (Baluardo di S. Lorenzo)

Nel Settecento, presso il Prato di S. Alessandro si tenevano due mercati del bestiame: uno a maggio e l’altro dal primo all’otto novembre, in occasione del “mercato dei Santi” (il terzo dei mercati annuali cittadini insieme a quelli di S. Antonio e S. Lucia), dove veniva commerciato “bestiame d’ogni specie ed in copiosa quantità”.  Più tardi il governo napoleonico dispose l’allontanamento del mercato del bestiame dalla zona del Sentierone, con la dichiarata volontà di migliorare le porte di accesso alla Fiera, come vetrina della città moderna.

Costantino Rosa, “Il Sentierone e la Fiera”. La Bergamo al piano è dominata dalla grande Fiera di pietra, edificata tra il 1732 ed il 1740 e per molto tempo un importante centro di scambi commerciali di livello nazionale ed internazionale. Sul fondo la città alta, cuore invece dell’attività politica ed amministrativa della vecchia Bergamo (Bergamo, proprietà dr. E. Tombini)

Tralasciando le tante notizie contraddittorie riportate dalle fonti per l’Ottocento, una una carta del 1809 attesta il Mercato dei Cavalli tra il Portello delle Grazie e il Teatro Riccardi (oggi Donizetti), mentre  nella Pianta del 1816 disegnata dal Manzini l’indicazione generica di Mercato del Bestiame compare tra l’attuale Prefettura e l’allora Teatro Riccardi (3), non molto distante dal vecchio Campo di Marte (Piazza d’Armi).

Dislocazione della Fiera di Bergamo in una carta del 1809. Cerchiato in rosso il Mercato dei Cavalli, tra il Portello delle Grazie e il Teatro Riccardi (da M. Gelfi, Op. cit.)

 

Pianta di Bergamo del 1816 disegnata dall’ing. Manzini. Nell’area antistante il quadrilatero della Fiera, il Campo di Marte da un lato e il Mercato del Bestiame dall’altro: quest’ultimo si estendeva tra l’attuale Prefettura e l’allora Teatro Riccardi, oggi Donizetti (M. Gelfi, Op, cit. per la didascalia)

 

Tra Piazza Cavour e via XX Settembre ai primi del Novecento. Solo pochi decenni prima la vasta area antistante la Fiera era occupata solo dal Teatro Riccardi; un’area così grande da ospitare il Mercato del Bestiame e la Piazza d’Armi, dove si esercitavano i soldati della guarnigione

Dopo la metà dell’Ottocento, in previsione della costruzione della sede della Provincia si realizzò un nuovo Mercato del Bestiame presso la nuova Piazza d’Armi, nel grande prato che presto assunse il nome di Foro Boario: un’ampia zona che comprendeva l’area dell’attuale Piazzale degli Alpini e della Stazione delle Autolinee.

Pecore al pascolo al Foro Boario

 

Mandria di bovini al Foro Boario

IL FORO BOARIO, IL MERCATO DEL BESTIAME E IL MACELLO

Come osservato, nel 1857, con l’erezione della Stazione Ferroviaria e l’apertura dell’attuale Viale Papa Giovanni XXIII la città aveva aperto un varco verso sud, continuando quell’opera di rinnovo urbano che era cominciata nel 1837 con l’apertura della Porta Nuova e l’erezione dei Propilei – ingresso monumentale e qualificato alla città degli affari -, seguita immediatamente dall’apertura della Strada Ferdinandea.

Tutta l’area a sud delle Muraine iniziava ad assumere una nuova configurazione, cambiando il volto di un’area che da rurale si apprestava a diventare “urbana”.

Attraverso le mappe del 1876 e del 1892, leggiamo le trasformazioni avvenute nella zona, che riscontriamo anche  nelle tante immagini giunte a noi.

Dal 1865 il nuovo Mercato del Bestiame occupa dunque la Piazza d’Armi presso la Stazione, e suddiviso in Mercato dei Cavalli, dei Bovini e dei Suini (4), attira una vivace folla di compratori e venditori, animando tutta la zona.

Una bellissima fotografia di Cesare Bizioli, risalente al 1885, rende bene l’idea della collocazione del Mercato, posto in corrispondenza dell’attuale piazzale degli Alpini.

Panoramica della Fiera di Bergamo sul “Prato Sant’Alessandro” vista dalle Mura di Città Alta, così come si presentava nel 1885. Davanti alla Fiera il Teatro Riccardi e verso destra i propilei. Oltre l’ultima cortina edificata la chiesa delle Grazie e, al centro dell’immagine, la vasta area non edificata del Foro Boario, preceduta dall’edificio del Macello e da un primo abbozzo dell’attuale via A. Maj (foto di Cesare Bizioli – Raccolta Lucchetti).

Almeno dal 1876 si inizia a tracciare la via del Macello (attuale via A. Maj) fino alla rogge Nuova e Morlana, ed entro il ’92 la via sarà completata, delimitando il lato nord del piazzale con il nuovo fronte del Macello comunale (1890), che possiamo ammirare nelle splendide immagini che seguono.

A fianco del Foro Boario, davanti al nuovo Macello comunale, realizzato nel 1890, la via del Macello (oggi A. Maj) in costruzione, con il Gamba de Lègn carico di pietrame della ditta Fabbrica Lombarda Cementi Riuniti. La via, parzialmente già tracciata almeno dal 1876,  sarà completata nel 1892

 

Via del Macello in costruzione, in un’immagine posteriore al 1890, anno di realizzazione del Macello (Foto Solza)

Intanto, entro il 1876, all’imbocco del piazzale della Stazione sorge il piccolo bar-ristorante intestato a Luzzana Maddalena, poi divenuto Albergo Stazione ed oggi sede di Mc Donald, in Piazzale Guglielmo Marconi.

L’attuale viale della Stazione, all’imbocco del quale sorge il piccolo bar-ristorante intestato a Luzzana Maddalena – oggi sede di Mc Donald – indicato sulla mappa del 1876. In lontananza, la cupola delle Grazie è completata sebbene non si noti il campanile, rialzato successivamente. Si notino le giovani alberature lungo il viale, ancora mancanti in via del Macello (attuale via A. Maj)

 

Il viale nel 1880. Il bar-ristorante ha mantenuto la dimensione originaria, mentre lungo il viale è stato piantumato anche il tratto vicino alla Stazione. Alle spalle del bar-ristorante, il Foro Boario e il primo tratto di via del Macello, anch’esso piantumato. L’edificio del Macello non è ancora realizzato (Foto di Andrea Taramelli)

 

Il viale dopo il 1890: il caffè-ristorante è stato sostituito da un “Caffè Ristorante con Alloggio” in muratura

 

L’Albergo Stazione (1891?)

Alla soglia del 1892 il Foro Boario, dopo la copertura delle rogge e alcuni accorpamenti compare nella sua massima estensione, con le due gradinate che lo delimitano verso il viale per superare il dislivello e il fronte est corrispondente all’attuale via Foro Boario delimitato dal muro dell’ex-Bersaglio.

Pianta di Bergamo del 1893. Si può notare la costruzione delle ferrovie e del Mercato del Bestiame (Foro Boario), così come il nuovo nome della Strada Ferdinandea, suddivisa in  viale Vittorio Emanuele e viale Napoleone III. La Piazza d’Armi è spostata fuori città, tra via Suardi e via S. Fermo

All’interno, compare la tettoia per l’alloggiamento dei cavalli, realizzata nel 1889 ed in seguito ridimensionata.

La tettoia per l’alloggiamento dei cavalli, realizzata nel 1889 e ridimensionata alla soglia dell’1898

Mentre il grande viale e l’area del Foro Boario acquistano via via una loro definizione, a  sud è comparso l’edificio della Ferrovia della Valle Seriana (1882-1884 circa) ed entro il 1906 sarà realizzato quello liberty della Valle Brembana, rappresentando una nuova opportunità economica e un
ulteriore radicamento della centralità di Bergamo nel contesto
montano.

L’edificio della Ferrovia della Valle Seriana, voluta per permettere un più agevole scambio di merci tra le industrie presenti in valle e il resto del territorio nazionale. Quello liberty della Valle Brembana verrà realizzato nel 1904-1906

Nel 1892 la via Paleocapa è ancora da attuare ma già delineata, con in testa il nuovo Palazzo Dolci, eretto in stile eclettico all’incrocio con il viale della Stazione.

Palazzo Dolci, eretto negli anni ‘70 dell’Ottocento, rappresenterà un segno architettonicamente dominante dell’incrocio tra via Paleocapa e il viale della Stazione, dove esprime il linguaggio eclettico del tempo. Il viale è ombreggiato dalle grandi chiome degli ippocastani, ampie e non maltrattate da maldestre potature

 

Veduta da Palazzo Dolci intorno al 1890, tra l’attuale viale Papa Giovanni e via Ermete Novelli. In quest’area, nel 1899 sorgerà il politeama Ermete Novelli e nel 1908 la Casa del Popolo, dove ha sede L’Eco di Bergamo. L’edificio a destra dovrebbe corrispondere al retro dell’odierno Hotel Piemontese, mentre quello a sinistra è un ampliamento del piccolo bar-ristorante intestato a Luzzana Maddalena, in  fronte al piazzale della Stazione, dove ad oggi si sono avvicendati numerosi esercizi di ristorazione. La ripresa mostra il Giardino  e il laghetto del floricoltore Codali (che vi teneva una grande serra), alimentato dalla roggia Ponte Perduto. D’estate fungeva da “piscina”, rigorosamente riservata alla popolazione maschile e affittata a 10 centesimi, mentre d’inverno lo specchio d’acqua ghiacciava diventando pista da pattinaggio e rifornendo ghiaccio per uso domestico. La serra fu poi trasformata in teatro (proprietà Dolci)

 

Il Politeama Ermete Novelli, sorto nel 1899 nella via Ermete Novelli riadattando la grande e singolare serra del preesistente Giardino Codali. In alto si riconosce la mole della Casa del Popolo, costruita agli inizi del Novecento cambiando la fisionomia del viale per la stazione. Fu proprio l’attore Ermete Novelli, con la sua compagnia, a tenere lo spettacolo con il quale si inaugurò la nuova sala. Che tuttavia non durò molto venendo tutta la zona coinvolta nelle trasformazioni del nuovo centro, che interessarono anche i lati del viale della stazione

Oltre il viale della Stazione si sta delineando la passeggiata in continuità del viale stesso con alcuni edifici sparsi .

Foro Boario e Macello

Verso la fine dell’Ottocento, sul lato orientale è quasi completamente aperta la via Foro Boario, impostata sul sito dell’antico Bersaglio, a collegare l’area del Macello con la Stazione Ferroviaria.

Primi del Novecento: il Macello comunale (cerchiato in rosso) affiancato da Casa Benaglio-Nava (in giallo) delimita a nord l’area del Foro Boario. A destra la via Foro Boario (in verde), è rimarcata da una fila di alberi. L’appartenenza ai Benaglio potrebbe riferirsi ai conti Benaglio, famiglia di antichissime origini, da sempre in ruoli chiave nell’amministrazione della città (tra le diverse residenze possedute a Bergamo, la più nota è Villa Benaglia presso S. Matteo a Longuelo). Nel mappale del 1901 l’edificio risulta di proprietà di Nava Giuseppina fu Battista (Roberto Brugali per Storylab), forse l’acquirente successiva Quest’ultima, come indicato in una non ben precisata Guida della città, potrebbe appartenere alla famiglia dei custodi del Macello

 

Il Foro Boario nel 1900, con la cupola della ottocentesca chiesa di S. Anna a far capolino sullo sfondo (Foto di Giovanni Limonta). La via a sinistra, sopraelevata rispetto al piazzale e dove sono assiepati molti spettatori è Via Angelo Maj. Visibile poco più avanti il complesso del Macello Comunale (1890). L’edificio visibile all’interno del Foro dovrebbe corrispondere alla struttura a croce evidenziata nel mappale del 1898. Tutta l’area cambiò volto dal 1921, in seguito alla costruzione dell’Istituto Tecnico Vittorio Emanuele II e alla realizzazione dell’antistante giardino pubblico

 

1897: un gruppo di operai lavora al completamento di via del Macello. Sulla destra è già realizzata la piccola struttura con pianta a croce, visibile nel mappale del 1898

 

Via del Macello nel 1885

 

1910: il viale del Macello sullo sfondo, perpendicolare a via Foro Boario (Raccolta D. Lucchetti)

Agli albori del Novecento, la qualificazione architettonica di tutta l’area ulteriormente viene favorita dalla realizzazione in stile liberty della Stazione della Valle Brembana (1904-1906 arch. R. Squadrelli).

L’edificio della F.V.B a destra e, a sinistra, quello della F.V.S. all’inizio del ‘900

 

La piazza antistante la Stazione Ferroviaria in una foto anteriore al 1912, ancora priva della fontana. Il viale mostra le trottatoie riservate al passaggio dei carri; i tram passavano invece ai lati del viale, doppiando la rotonda occupata da alcune palme, per dirigersi in centro e fino alla stazione della funicolare

 

La nuova fontana della Stazione, inaugurata il 15 giugno 1912 per celebrare il completamento del nuovo acquedotto di Algua, che da quel momento avrebbe alimentato le abitazioni private e le fontane pubbliche al posto della condotta che scendeva dalle sorgenti di Bondo Petello, sopra Albino, che in tempi siccitosi lasciava i rubinetti asciutti. La fontana – un elemento decorativo di notevole efficacia – offrì anche l’occasione per sistemare il piazzale con quattro aiuole contornate dall’elegante barriera in ferro battuto, poi rimosse (la ripresa è dei 1921)

Nel frattempo in viale Roma emergono, in posizione frontale al Foro Boario Casa Paleni (1902-1904), commissionata da Enrichetta Zenoni Paleni a Virginio Muzio e dalla ricca facciata in stile liberty.

Casa Paleni, tra via Novelli e viale Papa Giovanni XXIII. Le trifore curvilinee che decorano tutto il primo piano e gli ornati che vivacizzano la superficie della facciata, furono realizzati in cemento dalla stessa ditta Paleni, che si occupò anche della decorazione della chiesa di Santa Maria delle Grazie

Emerge poi per la compattezza anche se con una composizione più rigida la Casa del Popolo, progettata inizialmente da Virginio Muzio (scavi e posa della prima pietra risalgono al 1904), ma variamente realizzata da Ernesto Pirovano e completata nel 1908, anno della sua inaugurazione.

La Casa del Popolo, l’edificio oggi conosciuto come Palazzo Rezzara, ospita anche la sede de L’Eco di Bergamo. L’edificio fu progettato su incarico del Consiglio direttivo dell’Unione delle Istituzioni Sociali Cattoliche Bergamasche, presieduto da Rezzara

 

La Casa del Popolo, all’angolo tra viale Papa Giovanni XXIII e via Paleocapa. Oltre alle istituzioni cattoliche erano presenti anche un albergo, un ristorante, negozi, appartamenti, la redazione de “L’Eco”, la Banca Piccolo Credito, la cappella, sale di lettura, biliardo e il teatro Rubini che tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio dei Novanta fu sostituito dal Centro Congressi Giovanni XXIII. L’allora Viale della Stazione fu ribattezzato viale Roma – denominazione che mantiene anche oggi nel tratto tra Porta Nuova e via Petrarca -, mentre il tratto tra la stazione e Porta Nuova fu intitolato a Papa Giovanni XXIII

 

Via Paleocapa nel 1910, epoca in cui cominciavano a spuntare diversi villini liberty, solo in parte sopravvissuti. Al numero 9 sorgeva Villa Schubiger (1905-1910), tuttora esistente,  affiancata fino al 1967 da Villa Tadini (al civico 11) e da Casa Zanchi poco più distante, progettata da Ulisse Stacchini, molto attivo in quel di Milano

Dagli inizi del Novecento, anche se in tutto il territorio bergamasco la zootecnica restava una una coltura piuttosto povera e poco evoluta, il Mercato del Bestiame era diventato il principale della Lombardia, grazie alla posizione strategica delle città che catalizzava la produzione proveniente soprattutto dai distretti montani.

Carretti al Foro Boario e il Macello, nel 1903. La ripresa è scattata dall’attuale stazione delle autolinee

Ogni settimana venivano messi in vendita circa 15.000 cavalli, 2.000 fra muli e asini, 25.000 bovini adulti, 2.000 vitelli, 3.000 tra pecore e capre e 3.000 suini (l’afflusso nel corso dell’anno variava a seconda dell’andamento stagionale).

Il mercato, però, serviva soprattutto per l’esportazione, dato che la popolazione operaia era vegetariana “per necessità”, causa le scarse disponibilità economiche (5).

Il Foro Boario agli inizi del Novecento (sicuramente ante 1912 perché manca ancora la fontana della Stazione)

 

Un gregge di pecore al pascolo ripreso nel 1910 da Romeo Bonomelli dal Foro Boario (da Fotografi pionieri a Bergamo, di Domenico Lucchetti)

Tuttavia, verso il 1915, quando il Foro Boario perse la sua agibilità a causa della costruzione di nuovi edifici, il Mercato del Bestiame venne trasferito alla Malpensata, a quei tempi estrema periferia. Nel frattempo, in occasione delle celebrazioni del centenario del Donizetti (1897) si faceva strada l’idea di riqualificare architettonicamente ed urbanisticamente sia il viale Vittorio Emanuele e sia il Foro Boario, porta d’ingresso alla città dalla stazione: i lavori per la costruzione dell’Istituto Tecnico Vittorio Emanuele II e del giardino antistante (attuale piazzale degli Alpini) si avvieranno a partire dal 1921.

Palazzo Nuovo, eretto nel corso del Seicento e attualmente sede della Biblioteca Civica  Angelo Mai, ancora privo della facciata, completata negli anni 1926-27 dallo Scamozzi. L’ex Municipio divenne dal 1873 sede dell’Istituto Tecnico Vittorio Emanuele II (collocato in precedenza presso il Palazzo della Pretura Nuova in via Tasso 4) e venne adattato per ospitare anche la sezione industriale, che inizialmente si trovava in vicolo Aquila nera (trovando poi sede definitiva presso l’ex stabilimento della Società Automobili Lombarda, denominato Esperia). Agli inizi del Novecento, dati i grandi mutamenti che coinvolgevano l’economia e il sistema produttivo della nascente industria, si decise di unificare tutte le sezioni dell’Istituto (alla morte del re intitolato Regio Istituto Tecnico Vittorio Emanuele II) in un’unica sede in Foro Boario, nei pressi della stazione, completandola nel 1936

Intanto il Consiglio Comunale decideva di concentrare diversi mercati presso il Foro e nel 1909 deliberava di adattare 1.700 mq da destinare ad un eterogeneo “Mercato delle verdure”,  da tenersi parallelamente al Mercato del Bestiame.  Si commerciavano prodotti come latticini, granaglie (frumento, granoturco, orzo, segale), riso, lenticchie, fagioli e patate, che costituivano l’alimentazione principale per la maggior parte delle persone (6): con la riqualificazione del Foro Boario, il Mercato delle verdure dovette  confluire – se non tutto, almeno in parte – presso la struttura a pianta ellittica del Mercato ortofrutticolo, costruita su progetto di Ernesto Pirovano (1913-16), con l’affaccio principale su via S. Giorgio. Sotto i suoi porticati liberty avveniva la vendita quotidiana di frutta e verdura, mentre l’edificio principale ospitava gli uffici di controllo e i depositi merci.

Il Mercato Ortofrutticolo di via San Giorgio alla Malpensata, per metà demolito nel 1970, quando vennero abbattuti i  tre corpi di fabbrica porticati che sorgevano in posizione arretrata rispetto a via San Giorgio. A partire dal ’75 l’edificio principale ha ospitato nei locali al primo piano la biblioteca rionale San Tomaso, mentre ora è quasi totalmente dismesso, così come i porticati sopravvissuti alle demolizioni, ormai degradati

IL CICLODROMO/IPPODROMO E BUFFALO BILL

Alla fine dell’Ottocento, fuori la vasta area del Foro Boario, verso l’attuale via Fantoni venne realizzata la struttura del Ciclodromo, teatro di sfide fra corridori ciclisti anche stranieri – dove di certo non mancavano le scommesse – utilizzato anche come Ippodromo.

Nelle intenzioni della società che lo gestiva (la “Società Bergamasca di Sport e Ciclodromo”) avrebbe dovuto essere un grande impianto sportivo, il primo in città per le riunioni velocipedistiche.

La struttura, presente nelle piante dell’epoca, dovette restare in uso per  una ventina d’anni, dal momento che in una cartina del 1920 non è più evidenziata.

Bergamo dall’alto. Foto del 1924 della Società Airone. E’ visibile l’ampia zona libera dell’ex Foro Boario, ora occupata dall’Istituto Tecnico Vittorio Emanuele II e dal giardino antistante. Il Ciclodromo sorgeva poco oltre, in prossimità dell’attuale via Fantoni

In un secondo momento, un altro Ippodromo sarà realizzato nell’area tra l’ex Lazzaretto e i Celestini, da dove dovrà sloggiare nel 1928 per l’erezione dello Stadio Brumana: nella seconda piantina infatti l’Ippodromo accanto al Lazzaretto compare in concomitanza con la struttura del Ciclodromo presso il Foro.

Gli avventori erano accolti all’ingresso da una facciata posticcia, dipinta in stile neogotico su di un rivestimento in legno, con la denominazione della Società in bella mostra.

Carrozze e calessi in attesa di clienti davanti al Ciclodromo, tra la fine dell’Otto e l’inizio del Novecento. Sull’insegna spicca la scritta “Società Bergamasca di Sport e Ciclodromo”. La biglietteria staccava biglietti di prezzo diverso a seconda dei posti occupati lungo la pista: in piedi 50 centesimi; nel palco una lira, mentre per la loggia bisognava sborsare due lire (da Fotografi pionieri a Bergamo di Domenico Lucchetti. Foto di Cristoforo Capitanio)

La pista ebbe un ospite d’eccezione, Buffalo Bill, che all’inizio del secolo si esibì in città per ben due volte (compreso il 1906) a distanza di pochi anni, offrendo uno spettacolo ricco di connotazioni esotiche, non solo con indiani d’America ma anche con cosacchi, arabi, africani… Vi fu anche la singolare sfida con un ciclista bergamasco, Perico, e dopo un’emozionante gara, il grande cow boy a cavallo batté il concorrente in velocipede.

Buffalo Bill a Brescia (per gentile concessione di Livio Beneceretti)

Nel 1906, lo show si svolse in una struttura coperta (un tendone da circo?), sfruttando l’energia di un potente generatore elettrico. I dettagli di questo evento sono descritti minuziosamente da L’ Eco di Bergamo del 3 maggio 1906.

IL MERCATO DEL BESTIAME ALLA MALPENSATA: NASCE IL MERCATO DEL LUNEDI’  

Verso il 1915 dunque, il riassetto di tutta l’area del Foro Boario e la costruzione di nuovi edifici  avevano dato luogo al trasferimento del Mercato del Bestiame nell’allora periferico piazzale della Malpensata, reso agibile in seguito alla recente dismissione del Cimitero di San Giorgio, che si trovava tra la chiesa omonima e il piazzale.

Cappella al cimitero di San Giorgio, alla Malpensata, dismesso nel 1909 quando già da qualche anno era in funzione il Monumentale; la sua struttura resistette in loco fino agli anni ’40

E fu grazie al nuovo Mercato del Bestiame, che si teneva il lunedì, che si consolidò l’usanza di allestire alla Malpensata il grande ed eterogeneo “mercato del lunedì”, dove sino a poco tempo fa si smerciavano i prodotti più svariati.

Ripresa fotografica del 1925 circa: i l nuovo Mercato del Bestiame trasferitosi alla Malpensata verso il 1915 (Raccolta Lucchetti)

Il lunedì, giorno di mercato, i primi a riversarsi in città erano i mandriani provenienti dal contado, che si davano di turno e di cambio ogni qualche lunedì; viaggiavano sistemati per lo più su carri e carretti trainati da cavalli e talvolta da muli, stracolmi di bovini destinati al macello o al mercato che lo concerneva.

“Tentavano l’avventura nella città e i meno timidi addirittura all’ingresso di quelle case un po’ riposte le cui vestali, come se li trovavano davanti, subito li portavano al lavandino del servizio annesso alle stanze fatali per un cautelare ‘rigoverno’. Un’operazione sempre opportuna prima degli abbandoni a mercenarie lascivie”.

Per le povere bestie, il viaggio verso Bergamo “era una tappa interlocutoria verso la soluzione finale che gli animali presentivano e denunciavano in lamentazioni struggenti; lamentazioni che nella bella stagione risvegliavano subito quei cittadini che dormivano con le finestre aperte. C’era poi anche il sottofondo, il grufolio dei porcelli contrappuntato, nel periodo pasquale, dai belati delle caprette che già vedevano il figlioletto sgozzato, arrostito e offerto in bella vista tra verdi grasèi e gialle polente”. A questi suoni si univano le urla dei venditori.

Ripresa fotografica del 1925 circa: i l nuovo Mercato del Bestiame trasferitosi alla Malpensata verso il 1915 (Raccolta Lucchetti)

Dopo le bestie e i mandriani, al mercato arrivavano i mediatori – col fazzoletto al collo tenuto da un anello – i venditori e i rivenditori, così come gli acquirenti di granaglie e di concimi, gli allevatori con i loro esperti di fiducia, i rappresentanti delle ditte produttrici di attrezzi e macchine agricole.

Ripresa fotografica del 1925 circa: i l nuovo Mercato del Bestiame trasferitosi alla Malpensata verso il 1915 (Raccolta Lucchetti)

Tutti armati di taccuini e di matite copiative, si allogavano ai tavolini dei caffè e delle mescite del centro, dove alcune osterie raccoglievano i mediatori delle valli ed altre quelli della pianura. Solitamente il Caffé Dondena (poi demolito) raccoglieva i subalterni, mentre i “padroni” si recavano al Cappello d’Oro, dove poi avrebbero pranzato.

Appena fuori Porta Nuova, sorsero presto numerosi alberghi e ristoranti per accogliere i viaggiatori. Il Cappello d’Oro, a sinistra della fotografia, assicurava anche il noleggio di carrozze

Nel secondo pomeriggio, dopo aver congedato i mercanti ormai ubriachi (qualcuno diretto alla corriera ed altri a piedi, spingendo col bastone fino a casa le bestie acquistate), costoro prendevano la via di quelle case dove già avevano indugiato i giovani mungitori, aggirandosi in quei vicoli intorno a Piazza Pontida, dai nomi un po’ misteriosi (del Bancalegno, dei Dottori, di San Lazzaro, della Stretta degli Asini) dove “pulsava la presenza, domiciliare e lavorativa, di signorine o ex signore, talora anche un po’ sul declino, dai fascinosi nomi d’arte: la Parigina, la Sigaretta, la Fornarina, l’Avorio Nero, la Nuvola. Le favorite degli operatori del lunedì che più potevano spendere e che potevano anche concedersi una cenetta al Ponte di Legno” (7).

Quando il sole cedeva alla sera e si rinfrescava l’aria, Città alta si profilava nel cielo nitida e sola, ed estranea ai mercati del Borgo sembrava una gran dama, che dal suo balcone assisteva sorridente a una festa di paese.

Resistettero quei lunedì non troppo oltre l’ultimo dopoguerra.

Negli anni Cinquanta, specialmente in occasione del “mercato del lunedì” il palazzo della Borsa Merci fu a lungo sede di contrattazioni ed infine si pensò alla realizzazione di un nuovo Mercato del Bestiame e di nuovo Macello pubblico.

Il palazzo della Borsa Merci, realizzata nel 1954 su progetto di Marcello Piacentini per conto della Camera di Commercio di Bergamo. L’edificio si sviluppa tra viale Vittorio Emanuele II e via Francesco Petrarca e costituisce il completamento del disegno urbano per l’odierna piazza Libertà. I locali per le contrattazioni venivano affittati singolarmente. Il piano interrato ospitava i servizi della borsa e alcuni locali adibiti a esposizioni temporanee dominati dalla presenza di un pilastro centrale che Angelini rivestì con ventidue tipi diversi di marmi, provenienti dalle valli bergamasche, che costituiscono un’allegoria della maschera di Arlecchino. Angelini  l’artefice delle soluzione spaziali adottate per gli interni, di cui progettò anche gran parte dell’arredo. L’edificio ospita oggi diverse attività commerciali e amministrative

LA TRADIZIONE DEL LUNA PARK

Come testimoniato dalle tante immagini giunte a noi, per molto tempo l’antesignano del Luna Park trovò la sua collocazione ideale nell’allora Piazza Baroni, sull’area oggi compresa tra il Palazzo di Giustizia e il Palazzo della Libertà, a pochi passi dai pazienti ricoverati presso il vecchio Ospedale di San Marco, a lungo costrette a condividere la promiscuità con gli schiamazzi e gli olezzi provenienti dall’area.

Era la parte riservata al divertimento della Fiera di Sant’Alessandro, che richiamava un gran numero di persone dalla provincia e dalle regioni vicine. Arrivavano giocolieri, saltimbanchi, piccoli circhi, ambulanti; meraviglie e attrazioni di ogni genere: le oche ammaestrate, la donna barbuta, il gorilla, la balena impagliata. Ma venivano presentate anche le meraviglie del secolo, compresa la fotografia, che un fotografo ambulante portò a Bergamo poco dopo l’invenzione di Daguerre.

Accanto a Piazza Baroni, la futura via Verdi (anche via Tasca ancora non esiste) fa da spartiacque alle baracche e ai tendoni che costituiscono la parte più ludica della Fiera, quella degli animali da circo e dei fenomeni da baraccone. Un articolo dell’”Eco” riferisce che il 24 agosto del 1908, in occasione della festa di Sant’Alessandro in fiera, in Piazza Baroni si promuovevano diverse iniziative. Sul fondo si distinguono, sulla sinistra la facciata del tempio evangelico, uno dei primi edifici del nuovo centro cittadino, ai margini della via Ferdinandea ora viale Vittorio Emanuele II; sulla destra il campanile della chiesa di S. Alessandro in Colonna (terminato nel 1905) e a destra l’Ospedale di San Marco (fondato nel 1458 e completato nel ‘500), demolito nel 1937

 

Scene di vita dalla vecchia Fiera del “Prato S. Alessandro”. Dai tendoni sullo sfondo si nota che la zona è quella dedicata ai divertimenti nello spazio esterno ai casotti

Con l’abbattimento della Fiera verso la fine degli anni Venti, il Luna Park trovò una sede più idonea presso il Foro Boario, dove – racconta Luigi Pelandi – si ergeva solitamente un grande anfiteatro a mo’ d’arena e dove soprattutto durante il periodo della Fiera si combinavano delle ascensioni con il globo aerostatico, esercizi di acrobazia, esibizioni ginniche, corse di cavalli, ed altro ancora.

Acrobati motociclisti nel 1915 in Piazza Baroni o presso il Foro Boario? Un dubbio sollevato da Adriano Rosa in Storylab: “Il presunto vincitore è posto su una motocicletta, e alle sue spalle è presente una struttura che pare essere circolare, tipica di quelle dove si svolgono le acrobazie dette “giro della morte”. Inoltre anche sullo sfondo compaiono disegni di motociclette. Infine si notano due scritte “Faust” e “Radames”, che rimandano a due famose opere liriche (Radames, indirettamente, è un personaggio dell’Aida). Se ricordo bene ciò che ho letto da qualche parte, questi spettacoli venivano effettuati in una struttura eretta in Piazza Baroni o in Foro Boario”

 

Un “ottovolante” al Foro Boario, nel 1929

In seguito, per un breve periodo si posizionò nei giardini della Casa del Popolo (sede odierna de L’Eco di Bergamo) e successivamente, per un certo periodo (verosimilmente nel dopoguerra) dovette sostare nel grande campo incolto che si estendeva tra l’attuale piazza della Repubblica e viale Vittorio Emanuele.

Appena dopo la seconda guerra mondiale, la zona tra l’attuale piazza della Repubblica e viale Vittorio Emanuele era ancora un campo incolto. Sullo sfondo, Casa S. Marco (1938), la Casa Littoria (Casa della Libertà, 1936) e il Palazzo delle Poste, inaugurato nel 1932

Agli albori degli anni Cinquanta, la costruzione del palazzo dell’INPS e la riqualificazione del piazzale costrinsero i baracconi della Fiera di Sant’Alessandro a trasferirsi sul piazzale di terra battuta della Malpensata, dove periodicamente, da qualche tempo doveva stazionare il Circo equestre, di cui si conserva una testimonianza.

Anni Cinquanta: il Circo di Darix Togni – domatore di tigri – alla Malpensata. Alle spalle si riconosce l’edificio della “Bonomelli”,  prima dei vari ampliamenti e ristrutturazioni susseguitesi negli anni. L’edificio con le quattro finestre sovrapposte fa ora parte di un’ala che arriva fin quasi alla ex pista di pattinaggio su ghiaccio

Una fotografia datata 1957/58 – Elefanti alla “Zuccheriera” di Porta Nuova – attesta per quegli anni la presenza di un Circo equestre nelle vicinanze del centro; l’abbigliamento estivo dei bambini lascia supporre che la ripresa sia stata eseguita in primavera, in occasione dell’allestimento del Circo alla Malpensata.

Elefanti all’ “abbeverata” di Porta Nuova (la Zuccheriera) nel 1957/58 (Fondo Fausto Asperti – Museo delle storie di Bergamo)

 

Una rara immagine dei baracconi della Fiera di S. Alessandro, intorno alla fine degli anni Cinquanta, con il piazzale della Malpensata ancora spoglio. In quello che allora veniva chiamato “Autosprint”, il circuito a forma di 8 visibile in primo piano, sfilarono in un primo tempo delle automobiline piuttosto veloci che ricordavano la Giulietta spider, venendo poi sostituite da Go Kart. In secondo piano si vede l’Autoscontro mentre a destra si intravedono le famose “Gabbie”

 

Via Don Bosco dal piazzale della Malpensata intorno alla fine degli anni Cinquanta, come si evince anche dal “grattacielo” di via Tiraboschi visibile in alto a destra e risalente a quel periodo. La ripresa fu scattata dalla ruota panoramica della fiera, della quale si intravede uno scorcio di baraccone in primo piano. “Cosi’ si presentava l’incrocio Via Carnovali-Via Don Bosco, con quel distributore (marchio Caltex, se ricordo bene), che resto’ lì per molto tempo, fino alla fine degli anni ’70. Una zona molto cambiata, quasi tutti gli edifici sulla sinistra sono stati demoliti, sostituiti da enormi condomini. Il grande edificio del gasometro, la cui demolizione è stata completata da poco per la costruzione del parcheggio, è appena fuori quadro, Ci sono due campanili visibili: quello piccolo a sinistra è della Chiesa di San Giorgio, quello più alto è quello, inconfondibile, di S. Alessandro. La foto fu scattata ad Agosto, quando sul piazzale della Malpensata si teneva il Luna Park” (Adriano Rosa per Storylab. Fotografia caricata da Pietro Bellavita)

In occasione della sistemazione del piazzale della Malpensata, messo a punto nel ’64, il Luna Park della festa patronale di Sant’Alessandro si trasferì presso il Piazzale della Celadina, dove rimase per una cinquantina d’anni finché di recente non venne spostato in un’area adiacente.

Piazzale della Malpensata, 1964

LA RIQUALIFICAZIONE DEL FORO BOARIO E LA COSTRUZIONE DELL’ISTITUTO TECNICO VITTORIO EMANUELE II

Mentre la nascita, tra  il 1882 e il 1906, degli edifici delle Ferrovie delle Valli  rappresenta un primo segno di qualificazione architettonica dell’area, sull’ampio piazzale si realizzano interventi tesi a razionalizzare e concentrare diverse attività, destinando – come detto – 1700 mq del foro per il Mercato delle verdure.

Con le celebrazioni del centenario del Donizetti (1897) comincia tuttavia a farsi strada un progetto di più ampio respiro, teso a riqualificare il viale Vittorio Emanuele e il Foro Boario, che costituiscono la porta d’ingresso alla città dalla stazione.

L’evoluzione novecentesca del viale della Stazione, poi viale Roma ed oggi Papa Giovanni XXIII

La decisione di collocare sul sito il nuovo palazzo per accogliere l’Istituto Tecnico Vittorio Emanuele II (concepito come embrione di una cittadella degli Studi), realizzando il nuovo giardino pubblico antistante, sarà determinante nella definizione dell’attuale area del piazzale.

 

Dopo la posa della prima pietra il 23 settembre 1913 alla presenza del re Vittorio Emanuele III, l’edificio verrà costruito in due diverse fasi, di cui gli studi riportano date discordanti.

Due ali di folla, con bandiere, applausi e grida “Viva il re!” al passaggio a Porta Nuova del corteo con l’auto – scortata da carabinieri in bicicletta – sulla quale sfila Vittorio Emanuele III in visita alla città il 23 settembre 1913. In questa occasione il re presenzia alla posa della prima pietra dell’lstituto Tecnico in Foro Boario e all’inaugurazione del monumento a Cavour. Inoltre compie una visita l’lstituto Italiano d’Arti Grafiche ed un’altra in Città Alta e alla Cappella Colleoni (da “Fotografi pionieri a Bergamo” di Domenico Lucchetti – Foto di Giuseppe Locatelli)

Il progetto, che prevedeva per il complesso un’impostazione a C e a prospetto lineare con un corpo centrale emergente, fu affidato all’ing. Michele Astori, ma venne indetto un concorso di architettura per la facciata nel 1913, vinto da Marcello Piacentini. Luigi Angelini coordinerà i lavori, su cui poi interverrà con delle modifiche l’ing. Ernesto Suardo.

La prima ala venne terminata nel 1922 e completata nel 1934-1936 con la variante del corpo centrale disegnato dal Piacentini (8), mentre il complesso è completato nel 1936 e nell’ottobre dello stesso anno è inaugurata l’ala nuova (9).

La fabbrica del primo lotto (1818) dell’Istituto Tecnico Vittorio Emanuele II. A lavori ultimati, comprendeva 13 aule, 6 aule speciali, 6 di disegno, 4 laboratori (fisica, elettrotecnica, chimica generale, chimica industriale)

 

Il secondo lotto dell’Istituto Tecnico Vittorio Emanuele II, completato nel 1936. Venne occupato dall’Istituto Industriale, che nel 1919 trovò sede nella ex fabbrica di automobili Esperia, lasciando dunque spazio al neonato liceo scientifico. L’edificio fu infatti fortemente voluto per i grandi mutamenti che coinvolgevano l’economia e il sistema produttivo della nascente industria

 

 

In una foto del 1924, il primo lotto dell’Istituto Tecnico Vittorio Emanuele, concluso nel 1922. In primo piano il nuovo giardino realizzato nei primi anni Venti da P. Pesenti. Costruita la prima ala dell’Istituto Tecnico e realizzato il primo impianto dei giardini pubblici, l’area del Foro Boario ospiterà gli stand della Fiera campionaria (che in precedenza si teneva nel cortile del Palazzo Tre Passi) e gli espositori – industriali, artigiani, commercianti, agricoltori – raddoppieranno

 

Una fotografia priva di data, con l’impianto del giardino non ancora ultimato e piantumato

Nel corso dei lavori del primo lotto il Comune realizza il primo impianto dei giardini pubblici che, seppur diverso rispetto al progetto iniziale (10), è ben evidenziato nelle foto aeree del 1924 con la rete geometrica dei vialetti e il parterre della sezione centrale che enfatizza l’architettura aulica e monumentale del nuovo edificio.  Le due ampie piazzole ai lati erano destinate ad aree di sosta.

Volo aerea del 1924, dettaglio sul Foro Boario e contesto (Civica Biblioteca Angelo Mai Bergamo), Si noti anche l’ampio viale allineato con il muro di cinta meridionale delle scuole, a delimitare il confine del giardino. Nel 1927 sono citati alcuni aceri, due magnolie, due laurus a palle e cinque laurus a piramide

 

Da Raccolta Lucchetti (l’annullo postale è del 1930). Nel 1922 l’edificio in Foro Boario ospita il l Regio  Istituto Tecnico, ridotto alla sola sezione Commercio – Ragioneria

Mentre l’intero Foro si anima Foro con la presenza di alcuni chioschi e di strutture di svago, Bergamo cresce; di lì a poco, tra il 1933 e il ’36 verrà realizzata la nuova Stazione delle Autolinee, che si raccorderà al giardino pubblico – posto a una quota inferiore – mediante un’ampia gradinata di collegamento.

Bergamo dall’alto. Foto del 1924 della Società Airone. L’Istituto Tecnico Vittorio Emanuele II nell’area dell’ex Foro Boario, come si presentava al termine della prima fase della sua costruzione. Si nota la Chiesa delle Grazie con ancora il vecchio campanile, mentre dietro la cupola, nell’attuale via Taramelli è visibile la ciminiera del Cotonificio Reich. Oltre la via A. Maj, verso le vie Bono, Rovelli e David emergono le tante fabbriche dell’epoca: la lombarda Cementi, Molini Bergamo, Cesalpinia, Agnelli, Molini Callioni, ed altre. In lontananza, la ciminiera più alta: quella del Linificio e Cotonificio Oetiker di via A, Maj

 

L’ARRIVO DELLA STAZIONE DELLE AUTOLINEE CANCELLA LA TORRE E LO STADIO “BARLASSINA”

Nel 1957 la stazione è sottoposta ad una complessiva ristrutturazione per la realizzazione della Stazione delle Autolinee, in occasione della quale viene innalzato il grande arco di sostegno in cemento e tiranti e della struttura delle pensiline: il terminal venne ritenuto all’avanguardia.

La Stazione dellle Autolinee vista da sud. Venne realizzata nel 1957, con il grande arco di sostegno  della struttura delle pensiline. Oltre ai negozi e bar, la zona era provvista anche di un albergo diurno con docce pubbliche

 

La nuova Stazione delle Autolinee con a fianco, l’edificio liberty della Ferrovia della Valle Brembana, opera dell’arch. Squadrelli

E’ probabilmente in questa occasione che viene demolita l’alta torre che sorgeva a lato del fronte sud-est dell’Istituto Tecnico, la cui collocazione si precisa in alcune immagini di repertorio.

1924: a destra dell’Istituto Tecnico Vittorio Emanuele II, la torretta di Piazzale Marconi. Come ipotizzato nei commenti di Storylab, poteva trattarsi di una cabina elettrica appartenente alla società privata Orobia

 

La torretta di Piazzale Marconi, presso il Foro Boario

La ritroviamo in altre due riprese eseguite probabilmente per immortalare la piena del torrente Morla del ’37 e del ’49.

A sinistra, la torre in Piazzale Marconi nel 1949, verosimilmente demolita intorno al 1965 per la realizzazione della Stazione delle Autolinee. Il piazzale è allagato probabilmente a causa della piena della Morla di quello stesso anno. Lo stadio “Barlassina”, demolito negli anni Cinquanta, si trovava proprio oltre la muraglia sovrastata dalla scritta (casuale quanto azzeccata) “Masera” (“a macero” nel dialetto locale) (Archivio Wells)

 

Un’altra immagine della , la torre in Piazzale Marconi nel 1937, probabilmente scattata in occasione della piena della Morla registrata dalle cronache. Poco distante, l’edificio della Stazione della Valle Brembana

 

Estratto da Piano regolatore della Città di Bergamo del 1906, il corso del torrente Morla nellarea della Stazione Ferroviaria (Archivio Ra.pu)

Ed è probabilmente a causa della realizzazione della Stazione delle Autolinee che viene abbattuto il piccolo Stadio Barlassina (11) che sorgeva a fianco della F.V.B. e di cui è difficile reperire la data di costruzione.

Inizi anni Cinquanta: la demolizione dello Stadio Barlassina, nell’area dove venne realizzata la Stazione delle Autolinee. Quei vagoni ferroviari dovrebbero appartenere alle Ferrovie delle Valli. Il tamburo a destra dovrebbe essere quello di S. Anna; l’edificio a destra è ancora esistente (anche se ridotto nelle volumetrie) quasi all’incrocio tra le vie Foro Boario e Bono, così come gli edifici retrostanti

Si è osservato che l’origine del nome Barlassina potrebbe derivare dall’arbitro più famoso degli anni Trenta, Rinaldo Barlassina – di origine novarese – scomparso a Bergamo nel 1946 per un incidente stradale. Se ciò fosse vero, il campo di calcio dovette perdurare solo per pochi anni in quanto il piccolo stadio, con il fondo in in terra battuta, venne demolito agli inizi degli anni Cinquanta.

La struttura occupava parte dell’area dell’attuale Stazione delle Autolinee e confinava con la FVB.

Pizzale Marconi nel 1953: il “Barlassina”, che sorgeva a lato della F.V.B., è da poco scomparso per fare spazio alla rinnovata Stazione delle Autolinee (Foto Wells)

D’estate il campo ospitava il celebre torneo detto “Notturno”,  poi sostituito dal “Palio 18 Isolabella” che negli anni ’50/’60 si teneva ogni sera d’estate e con grande affluenza di pubblico sul campo dell’Olimpia nell’Oratorio di Borgo Palazzo, a cui partecipavano – profumatamente pagati e sotto falso nome – anche calciatori professionisti (12).

IL DOPOGUERRA E LA NASCITA DEL “GIARDINO LUSSANA”

Nel Dopoguerra, tra i vari progetti avviati per la ricostituzione del patrimonio arboreo delle aree verdi pubbliche devastate durante la seconda guerra mondiale, si avvia quello del “Giardino Lussana”, nome che assume il giardino antistante l’Istituto Vittorio Emanuele II.

Dopo qualche variante apportata nel luglio del ’46 viene realizzato il nuovo giardino progettato da Luigi Angelini, con il viale in asse con la facciata dell’Istituto e l’aiuola centrale con piazzola. Le immagini raccontano la sua evoluzione.

Come previsto nell’atto di cessione del lotto di terreno, le piantumazioni hanno  lasciato libera la visuale dal viale Roma al corpo centrale della facciata principale dell’Istituto Tecnico

 

Il  giardino in un immagine antecedente al 1962

 

Il Giardino Lussana ancora privo del monumento all’alpino in una foto non datata

Nel frattempo via Paleocapa va assumendo il volto attuale.

Via Paleocapa, con a sinistra l’ex Casa del Popolo, oggi Palazzo Rezzara, con visibili l’ingresso dell’Hotel Moderno e del Cinema Rubini (sostituito tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio dei Novanta dal Centro Congressi Giovanni XXIII). A destra il Palazzo Dolci

DAL MONUMENTO ALL’ALPINO AL DECLINO E ALLA RINASCITA DELL’AREA

Nella Bergamo da tempo privata di un monumento dedicato agli alpini ed in seguito alle pressanti richieste degli alpini bergamaschi, nel 1957 si decide finalmente di issare in città un nuovo monumento. Per la collocazione la scelta cade sul Giardino Lussana, ed in seguito a un concorso nazionale vengono affidate agli arch. Giuseppe Gambirasio, Aurelio Cortesi e Nevio Armeggiani la progettazione, la collocazione e la realizzazione dello slanciato monumento con vasche d’acqua dedicato agli alpini, mentre la scultura bronzea dell’Alpino arrampicante è di Peppino Marzot.

La posa della prima pietra avvenne il 31 gennaio del 1960 e per desiderio degli alpini bergamaschi l’inaugurazione viene fatta coincidere con l’adunata nazionale degli alpini, che si terrà a Bergamo il 18 marzo del 1962.

L’altezza del monumento diventa un preciso riferimento urbano, accentuando maggiormente la centralità dell’impianto del giardino – titolato d’ora in avanti Piazzale degli Alpini -, a scapito della visione del palazzo dell’Istituto Tecnico.

Il monumento all’Alpino nel piazzale degli Alpini. Al fine di valorizzare il monumento, nella fontana non vengono realizzati giochi d’acqua

 

Pianta topo-idrografica della città di Bergamo e sobborghi dell’Istituto Geografico Militare, compilata e disegnata dall’Ing. Roberto Fuzier nel 1896. Sono indicate le rogge principali e i canali secondari derivati. L’area è ricca di corsi d’acqua: in corrispondenza della fontana la roggia Nuova e la Coda Morlana si uniscono dando origine alla roggia Ponte Perduto

Negli anni 80 inizia il declino della Stazione delle Autolinee, con l’aumento degli scippi, delle rapine e soprattutto dello spaccio di droga. La sala d’aspetto diventa un bazar dello spaccio e ostello per sbandati e clochard di ogni sorta.

Clochard in viale Roma, anni ’70

Mentre crescono le retate e i presidi delle forze dell’ordine, e crescono le telecamere, si muove anche la solidarietà con l’istituzione del camper di Don Fausto Resmini e i volontari della Caritas. Nel 2010 iniziano i lavori per riqualificare il piazzale degli Alpini per la costruzione del moderno Bergamo Science Center (arch. Giuseppe Gambirasio e Marco Tomasi), finchè non si approda all’ennesimo restyling dell’area, frutto di storia recente.

 

VECCHI RICORDI DI VIA ANGELO MAJ

Nel 1953 il vecchio Macello comunale di via A. Maj fu spostato alla Celadina e poco dopo la sua demolizione fu costruito l’istituto Secco Suardo.

Via Angelo Maj e, in primo piano, il vecchio macello cittadino. L’immagine è antecedente al 1953, anno in cui il vecchio macello della città fu spostato alla Celadina. Dopo il trasferimento l’edificio fu demolito per fare posto all’istituto Secco Suardo (Archivio Wells)

Nella stessa via, oggi trasfigurata, c’erano altre attività storiche come il Mulino Oleificio Callioni, la Trattoria del Bue Rosso e l’edificio del Monopolio di Stato. Quest’ultimo era stato costruito prima della seconda guerra mondiale e per tantissimi anni aveva mantenuto la stessa impostazione: tabacchi sulla destra, sale sulla sinistra, un ampio cortile ombreggiato da un grande fico al centro.

Poi i Monopoli arrivarono al capolinea, con l’affidamento della manifattura e della distribuzione del tabacco ai privati ponendo fine a una delle ultime testimonianze di quella che può essere considerata una vera e propria epopea.

Uno dei carretti che si aggiravano in città per conto del Monopolio di Stato. Trasportava sale e tabacchi, raggiungendo anche Città Alta, forse percorrendo il viale delle Mura per evitare che il ronzino si affaticasse lungo le ripide strade. Il capo chino, le orecchie basse e il passo lento, per le strade piane del centro, sono un ricordo familiare per molti. Questo  carretto doveva circolare ancora intorno alla metà degli anni Settanta, come si evince anche dalle automobili riprese, e c’è chi lo ricorda ancora almeno oltre la metà degli anni Ottanta, anche se in un primo periodo il cavallo bianco veniva utilizzato alternativamente ad un cavallo marrone. Negli ultimi periodi venne invece utilizzato un cavallo nero

 

1979: l’ultimo cavallo che trainò il carretto del Monopolio; il conducente era il signor Magri. Il carretto è ripreso all’altezza della ricevitoria del Totocalcio, a fianco del Teatro Donizetti. E’ strano che in un periodo come quello il monopolio si servisse ancora di un carretto per recapitare le sue merci. O forse, chissà, può essere stata una scelta del “carrettiere”: forse non lo sapremo mai, ma ci resta pur sempre questo bellissimo ricordo (Ph Giuseppe Preianò)

Dopo la loro privatizzazione, avvenuta tra la fine degli anni Novanta e gli inizi del nuovo secolo, nel giugno del 2005 lo storico deposito di via A. Maj è stato ceduto dallo Stato e destinato a complesso residenziale e negozi, evocando nel  nome (Residenza Monopoli) i gloriosi trascorsi.

In lontananza il profilo del vecchio Macello, prima del 1953

Pur pur non presentando alcun pregio artistico,  l’intervento edilizio, eseguito su progetto dell’architetto Pietro Valicenti, ha mantenuto, ristrutturandolo, il fronte su via Maj perché legato al vincolo imposto dal vecchio piano regolatore. L’unica modifica ha riguardato l’ampliamento dei riquadri sulla facciata che sono stati rimpiazzati da ampie finestre.

 

Note

(1) A Bergamo la lana era prodotta e commerciata già dal Duecento e nel ‘500 Bergamo, Milano e Como, costituivano di gran lunga la principale area laniera italiana e una delle principali d’Europa, cosicché, nella seconda metà del ‘500, grazie al raggio d’azione internazionale dei potenti mercanti bergamaschi legati soprattutto alla manifattura della lana (settore fondamentale in ambito tessile bergamasco), la grande Fiera di Bergamo godeva del suo massimo splendore. La manifattura tessile legata soprattutto al settore laniero legato ai panni di lana della Val Gandino (una delle  componenti essenziali della Fiera) si esaurì rapidamente con la caduta della Repubblica di Venezia, per gli ostacoli posti al commercio internazionale e dal ripetuto variare dei regimi doganali, che nel periodo napoleonico favoriscono i mercati francesi. Il settore laniero era ormai incapace di reggere la concorrenza lombarda, soprattutto milanese (da M. Gelfi, La fiera di Bergamo: il volto di una città attraverso i rapporti commerciali, Ed.Junior, 1993).

(2) M. Gelfi, Op, cit.

(3) M. Gelfi, Op, cit.

(4) Comune di Bergamo – Area Politiche del Territorio – Concorso di Progettazione per tre piazze a Bergamo: Piazza Carrara, Piazzale Risorgimento, Piazzale Alpini. Luigi Pelandi (Op. cit.) afferma che nel 1857 al Foro Boario fu trasportato il Mercato bovino e, nel 1870, anche quello equino. Al mercato equino, Luigi Volpi (Op. cit.) aggiunge anche il mercato fessipede.

(5) LA S.A.B. AUTOSERVIZI – Più di cent’anni ma non li dimostra. Ricerca condotta da: Chiara Caccia, Stefano Negretti, Maria Grazia Pirozzi.

(6) Ibidem.

(7)  Rievocazione di Emilio Zenoni in: Pilade Frattini, Renato Ravanelli, Op. cit.

(8) Comune di Bergamo – Area Politiche del Territorio – Concorso di Progettazione per tre piazze a Bergamo, Op, cit.

(9) A cura di Giovanni Luca Dilda, La sezione ottocentesca dell’archivio del Vittorio Emanuele II.

(10) La realizzazione dell’impianto, progettato dall’arch. Michele Astori, fu rimandata per via del conflitto mondiale e probabilmente non venne eseguita. Esso era impostato su un viale centrale ad enfatizzare la facciata del palazzo e un viale perpendicolare aderente alla facciata per dare continuità e attenzione alla visuale con città alta, ma non è chiaro se in un primo momento fosse stata adottata la soluzione del viale centrale. Il disegno è conservato presso la Civica Biblioteca Mai Bergamo. Nel 1923 la Giunta approvava un progetto di sistemazione a giardino «con piante, vialetti e pietre» di cui rimane un disegno (Comune di Bergamo – Area Politiche del Territorio – Concorso di Progettazione per tre piazze a Bergamo, Op, cit.).

(11) Pilade Frattini e Renato Ravanelli, Op. cit.

(12) Pilade Frattini e Renato Ravanelli, Op. cit.

Riferimenti principali

Comune di Bergamo – Area Politiche del Territorio – Concorso di Progettazione per tre piazze a Bergamo: Piazza Carrara, Piazzale Risorgimento, Piazzale Alpini.

“Il Novecento a Bergamo – Cronache di un secolo”. Di Pilade Frattini e Renato Ravanelli. A cura di Ornella Bramani – Vol. II. UTET. Anno 2013.

Mauro Gelfi, La fiera di Bergamo: il volto di una città attraverso i rapporti commerciali, Ed.Junior, 1993.

Luigi Volpi, Vecchie botteghe bergamasche. La Rivista di Bergamo (anno sconosciuto).

Maria Mencaroni Zoppetti (a cura di), L’Ospedale nella città – Vicende storiche e architettoniche della Casa Grande di S. Marco. Collana: Storia della sanità a Bergamo – 1. Fondazione per la Storia Economica e Sociale di Bergamo.

Luigi Pelandi, Passeggiando per le vie di Bergamo scomparsa – La Strada Ferdinandea – Collana di Studi Bergamaschi – A cura della Banca Popolare di Bergamo. Bergamo, Poligrafiche Bolis, 1963.

Mariola Peretti, L’ex Mercato ortofrutticolo di Bergamo, terra di nessuno.

Luigi Angelini, Il volto di bergamo nei secoli, Bolis, 1952.

A cura di Giovanni Luca Dilda, La sezione ottocentesca dell’archivio del “vittorio emanuele II”.

RINGRAZIAMENTI

A Storylab e in particolare a Giuliano Rizzi, Adriano Rosa , Roberto Brugali, Adriano Colpani, Duccio Crusoe e Sergio Meli per Casa Benaglio-Nava in via del Macello e per alcune preziose  informazioni concernenti il Luna Park,  lo Stadio Barlassina, la torretta presso la Stazione, il Circo Togni alla Malpensata nonchè il Ciclodromo.