Rievocando le librerie storiche della città

Ricordate i grandi librai di Bergamo? O meglio, le librerie storiche di un tempo? Quelle che, a poco a poco, hanno gettato la spugna per far posto a colorati negozi di profumi e di abbigliamento? Erano tutte indipendenti e a gestione familiare (così diverse dagli impersonali book shop dei grandi gruppi editoriali) e sono scomparse portandosi dietro un mondo.

Ph Cesar Viteri

Un mondo dove il proprietario conosceva i gusti dei clienti e volentieri si intratteneva a chiacchierare con loro sulle novità editoriali, assistendolo negli acquisti. Un mondo dove la figura del libraio apparteneva alla migliore tradizione della nostra civiltà culturale e dove la cultura veniva coltivata e diffusa sul territorio.

Se vent’anni fa in città e provincia di librerie ce n’erano circa 500, oggi ne sono rimaste poco più d’un centinaio. Ma il più delle volte devono la loro sopravvivenza all’avere diversificato la propria offerta commerciale, abbinando la vendita dei libri ad altre attività, come le cartolibrerie.

 

1975: l’attrice Giulietta Masina con Franco Colombo Alla Libreria Buona Stampa (Archivio Franco Colombo)

 

Ricordiamo in particolare le sei grandi librerie degli anni Cinquanta, a partire da Lorenzelli in viale Papa Giovanni e Tarantola in via Broseta: entrambe discendenti dai Pontremolesi.

Su viale Papa Giovanni, arteria nevralgica del centro della Città Bassa, si affacciava la storica Libreria Lorenzelli, i cui locali sono oggi occupati da una profumeria. Ha chiuso i battenti nella seconda metà del Novecento, insieme ad un’altra gloriosa libreria di Bergamo: la Conti di via XX Settembre, che era anche stamperia 

A costoro si aggiungevano i Rossi, con il negozio in via Paglia, la libreria Conti in via XX Settembre e la storica Bolis, la libreria in via Torquato Tasso, destinata come le altre alla chiusura. Uniche sopravvissute: la libreria Arnoldi in piazza Matteotti 23 – che nel 2013 ha festeggiato i 100 anni di attività – e la Buona Stampa, legata alla diocesi di Bergamo e ancora aperta in via Paleocapa.

Storica, della Bolis, la libreria in via Torquato Tasso, chiusa da tempo. Alle Poligrafiche Bolis, Casa editrice fatta nascere nel 1833 dai fratelli Francesco e Pietro Bolis, si devono le iniziative più significative e più editorialmente impegnative della cultura bergamasca (spiccano i venti volumi dedicati ai Pittori bergamaschi)

In particolare, la storica libreria Conti (che era anche stamperia) ha chiuso sul finire degli anni Settanta, la libreria Rossi ha chiuso nel dicembre del 2011, mentre i Pontremolesi Lorenzelli e Tarantola hanno chiuso rispettivamente nel 1999 e nel 2004.

Già, Pontremolesi, i più importanti librai ambulanti d’Europa, arrivati a Bergamo dall’alta Lunigiana – terra di grande emigrazione -, da dove sin dal Medioevo sono partite generazioni di librai ambulanti, diretti in ogni dove.

Bergamo può vantare un’importante tradizione, che risale ai Pontremolesi, i più importanti librai ambulanti d’Europa, attivi sin dal Medioevo. Il loro vissuto rappresenta un fenomeno particolare ed unico in Italia. Non avevano confidenza con l’alfabeto, ma “sentivano” quali libri era il caso di comprare e quali no: in virtù di un sesto senso che, dicono, è stato loro donato dal demonio in un’ora di benevolenza (nell’immagine, (Oreste Giovannacci di Parana)

Negli anni dell’Inquisizione, si munivano di gerle e portavano i libri al di qua e al di là della Repubblica di Venezia, salvandoli dall’Indice. Poi, nell’ultima parte dell’Ottocento, con i lavori della ferrovia Parma-La Spezia tornarono in Lunigiana, dove avviarono un fiorente commercio librario. Il fenomeno si ampliò ed assunse dimensioni importanti nel corso dell’Ottocento, sviluppandosi soprattutto nel nord d’Italia ed anche all’estero: in Francia, Spagna e in Centro e Sud America.

Alla fine dell’Ottocento molti girovaghi pontremolesi avevano “racimolato” un patrimonio. I loro figli andavano a vendere in carrozza ed avevano aperto notevoli Case Editrici. I meno fortunati possedevano almeno una bancarella fissa sotto i portici di qualche grande città.

Il Premio Bancarella è nato proprio dalla grande tradizione dei librai pontremolesi. È così che hanno fatto scuola in tutta Italia. E sono giunti anche a Bergamo alla fine degli anni Cinquanta.

LIBRERIA TARANTOLA: NATA DALLA TRADIZIONE DEI LIBRAI PONTREMOLESI

I Tarantola approdarono a Bergamo nel 1927 e la memoria della loro attività è contenuta nelle poche parole rilasciate da un membro della famiglia, Tiziano Tarantola.

”Con mia madre Rina Giovannacci di Montereggio arrivai a Bergamo ed aprì la libreria nel 1927, due anni dopo si trasferirono in centro con due librerie: una gestita da mia madre l’altra da mio padre.

Librerie Tarantola a Bergamo, in via Petrarca e in via Broseta

Io facevo tutt’altro che il libraio, ma iniziando presto a sentire parlare di libri ci misi poco a imparare il mestiere quindi, smesso lo studio, mi misi nella libreria che aprimmo nel pieno centro di Bergamo. Nel dopoguerra divenni definitivamente parte attiva nella libreria, coadiuvato poi da mia moglie Carla e dalle mie figlie Cinzia e Rossana fino alla chiusura definitiva, per cessata attività, nel dicembre 2004.

Libreria Tarantola a Bergamo

La mia libreria è stata punto di ritrovo e di attività per circa 75 anni e ricca di ricordi molto belli. Collaborammo con passione al Premio Bancarella votando e discutendo spesso sul premio stesso, e personalmente collaborai per la nascita (1959) della Fiera del libro a Bergamo, oggi arrivata alla cinquantaseiesima edizione”.

Anni Sessanta: la bancarella di Tarantola alla fiera del libro sotto i portici del Sentierone

LA STORICA LIBRERIA CONTI IN VIA XX SETTEMBRE: LA LIBRERIA “NOBILE” DELLA CITTA’

Durante questa nostra breve passeggiata nella Bergamo che non c’è più, sostiamo nella secolare Libreria Conti, al civico 46 di via XX Settembre, per rivedere la figura asciutta di Alberto Cunico, libraio colto che si era dedicato alla sua professione con l’amore di un artista e l’educazione di un gentiluomo di antico stampo.

Via XX Settembre agli inizi del Novecento. Non c’era vano sulla strada che non ospitasse un negozio; e già era aperto quello di Grazioso Goggi, a quel tempo una rivendita di chincaglierie. Proprio accanto, in primissimo piano a sinistra dell’immagine, la Libreria Conti, fondata nel 1906 ed acquisita nel 1919 da Alberto Cunico, che l’ha condotta sino alla fine degli anni Settanta

Dopo aver appreso l’arte del libraio in Germania, il signor Cunico aveva acquisito l’antica ditta Conti fin dal lontano 1919, comprendente anche la storica Stamperia Conti, che era stata fondata nel 1906.

L’esterno aveva l’aspetto dei vecchi negozi francesi, con il fascino dei vetri d’epoca, del legno verniciato di scuro e le piccole saracinesche rugginose e stridenti per il difficile scorrimento; nella vetrina occhieggiavano, ben esposte accanto alle ultime novità, ghiotte edizioni rare, mentre nel retrobottega c’erano preziose edizioni italiane e straniere esaurite da tempo.

La storica libreria Conti, in via XX Settembre al civico 46, 1930 circa. Tempio molto singolare della cultura bergamasca, era un autentico scrigno d’arte e letteratura

La libreria era affiancata dallo storico negozio di Grazioso Goggi, che nel 1882 aveva acquistato lo stabile creando, oltre alla facciata, il libero passaggio pedonale comunicante con via Zambonate, all’interno del quale esponeva le sue merci.

Via XX Settembre (allora via Prato), con a destra il negozio Goggi, che era preceduto dalla Libreria Conti (non inquadrata)

 

1967: il passaggio che da via Zambonate conduce a via XX Settembre, dove la ditta Goggi  esponeva le sue merci. Luigi Pelandi scrisse che in precedenza, le abitazioni e le cantine dello stabile su via Zambonate erano state acquistate da Battista Fumagalli (il primo che aveva portato a Bergamo la novità dei fiammiferi di legno al fosforo e nonno dei professionisti Borroni, rivenditori di strumenti musicali) dall’ente del Casino dei Nobili, e che nei pressi la roggia Serio Grande era stata già coperta dal 1777. Sul cortiletto. dava la finestra della Libreria Conti (a sinistra), quelle dello studio dentistico Calderoli e dell’oreficeria Quadri, tuttora aperta, con ingresso dal civico 75 di via XX (Archivio Wells)     

Nel negozio sono passate generazioni di intellettuali bergamaschi per acquistare opere introvabili e farsi consigliere da Cunico sulla scelta del commento di un classico o sulla preferenza da assegnare a questa o a quella traduzione.

Ci si avvicinava al banco, dove le mani snelle del signor Cunico iniziavano il tamburellamento propiziatorio all’acquisto dei libri, mentre un’ironica conversazione metteva al corrente il cliente delle novità librarie o delle occasioni.

Via XX Settembre negli anni ’50: sullo sfondo il cosiddetto “Pà de saù”, poi abbattuto

Le lenti di cristallo del libraio luccicavano nell’oscura nicchia del vestito d’altri tempi, che ingigantiva la figura magra e asciutta in inquietante ectoplasma.

All’improvviso sopraggiungeva la signorina Mara Terzi, condirettrice della libreria dal 1927 e autentico repertorio di nomi, date, edizioni e fatti che venivano proposti all’interlocutore in un susseguirsi di rapidissime gag.

“Io ricordo bene la libreria Conti, fornitissima di libri polverosi e scolastici e la sua commessa, piccoletta,con un viso arcigno, mai un sorriso, conosceva qualsiasi titolo e lo recuperava al volo, sbattendolo sul bancone e recitando il prezzo!!!” (Annaluisa Palmirani, per Storylab)

“L’intesa tra il signor Alberto Cunico e la signorina Terzi era avvenuta senz’altro sotto gli auspici di qualche astro saturnino favorevole a una perfetta simbiosi. Difficilmente si sfuggiva, da parte di uno dei due, alla correzione dell’esatta pronuncia di un nome, al titolo esatto di un romanzo, al reperimento di un’edizione rara che appariva, come per magia, dagli oscuri meandri che conducevano ai sacri penetrali del tempio: il retrobottega. Non tutti potevano accedere a quei misteriosi recessi che, invece, per i fortunati erano un paradiso di incontri con opere esaurite e introvabili” (1).

Quasi tutte le migliori biblioteche della città si sono formate attingendo dagli scaffali della Conti, parte viva della cultura bergamasca, ritrovo di generazioni di intellettuali e artisti fra i quali il più celebre è stato il maestro Gianandrea Gavazzeni.

Molti editori ricorrevano al giudizio indefettibile di Alberto Cunico -sicuramente tra i librai più stimati d’Italia -, prima di affidare alle stampe il manoscritto di un’opera. Ancor prima di essere dato alle stampe fu inviato in lettura, per averne un giudizio, Il Gattopardo del principe Tomasi di Lampedusa. Cunico lesse attentamente il dattiloscritto e rispose senza esitazione: “E’ un capolavoro ed avrà grande successo”.

“I giudizi di Cunico erano acuti, netti, taglienti; da lui ogni cliente era posto allo stesso livello senza lusinga o pregiudizio di censo o importanza sociale. Eppure con ogni interlocutore si stabiliva un rapporto umano, completo e affettuoso; ogni cliente faceva parte di una famiglia di cui si conosceva tutto: le fortune, i dolori, le morti. Ogni fatto era inciso indelebilmente nella memoria prodigiosa della signorina Terzi che, all’occasione, ne faceva un rapido e discreto accenno con cui il cliente si sentiva rassicurato, riconosciuto e amato” (2).

Alla morte del signor Cunico sul finire degli anni Settanta, la signorina Mara Terzi tentò coraggiosamente una soluzione che permettesse al negozio di sopravvivere. Inutilmente: la vecchia libreria dovette chiudere definitivamente i battenti.

Scorcio di via XX Settembre nel ’65

Negli ultimi tristi giorni le vetrine rimasero aperte con i libri a prezzo d’occasione. Fu un’invasione e un via vai di gente che approfittava del momento. E ci si accorse subito, quando i battenti furono definitivamente chiusi, cosa volesse dire cercare un libro in altri luoghi a ciò deputati. Era sparito per sempre un punto di ritrovo della cultura cittadina.

CHI ERA GIUSEPPE GREPPI, FILANTROPO E FONDATORE DELL’OMONIMA LIBRERIA IN VIA S. ALESSANDRO

Via S. Alessandro, 1960. La libreria Grappi si trovava sulla sinistra

La libreria Greppi, nella parte bassa di via S. Alessandro, fu fondata dal filantropo Giuseppe Greppi, nato da una famiglia assai povera, il 1° gennaio 1826 al numero 19 di piazza Pontida, allora piazza della Legna, nella Parrocchia di Sant’Alessandro in Colonna di Bergamo.

Rimasto ben presto orfano di entrambi i genitori, a quattordici anni incontrò don Carlo Botta e don Francesco Macchi, due figure fondamentali nella sua preparazione al ruolo di educatore, uomo di Dio e apostolo laico.

Nel 1843, a diciassette anni, entrò nella Compagnia dei maestri dell’Oratorio di Sant’Antonino (primo oratorio della Parrocchia di Sant’Alessandro in Colonna, che nel 1903 diventerà Oratorio dell’Immacolata in via Foppa), dove trovò lo scopo principale della sua vita (aiutare i ragazzi togliendoli dalla strada ed avviandoli alla vita), per il quale rinunciò anche a formarsi una famiglia e agli agi che i guadagni della sua attività di imprenditore gli avrebbero consentito.

Contemporaneamente subentrò al fratello Pietro, morto in giovane età, nella gestione di un modesto negozio di legatoria e di cartoleria in piazza Pontida (3), con il programma di destinare gli utili della sua attività  commerciale a opere di bene e soprattutto al soddisfacimento dei bisogni primari dei ragazzi.

Nel 1892, per avere un negozio più confacente ai tempi, Greppi acquistò dal Pagnoncelli la casa al n. 4 di via Sant’ Alessandro, dove dispose un fiorente laboratorio di legatoria e di fabbrica di cornici (4), aprendo la cartoleria “che per la modicità dei prezzi e per il nobile scopo al quale ha sempre mirato ottenne sin da principio una larghissima vendita” (5). Il negozio venne intitolato alla memoria del fratello “Pietro Greppi”.

La cartoleria era fornita di una gamma molto vasta di prodotti di qualità ed in seguito si trasformò in una libreria (6).

Il negozio « Greppi» come si presentava nel 1964 dopo l’opera di ammodernamento (foto tratta da “GIUSEPPE GREPPI e l’Oratorio dell’ Immacolata nel 50° anniversario della morte”, citato in bibliografia)

 

Il negozio « Greppi» come si presentava nel 1964 dopo l’opera di ammodernamento (foto tratta da “GIUSEPPE GREPPI e l’Oratorio dell’ Immacolata nel 50° anniversario della morte”, citato in bibliografia)

Spiega Luigi Pelandi nella sua Bergamo scomparsa che l’attività era stata preceduta da quella della ditta Pagnoncelli, una tipografia ottocentesca che portava avanti anche una propria attività editoriale e che per tenersi in vita sviluppava anche quella del commercio librario.

Vittore Pagnoncelli, un abile compositore della tipografia Mazzoleni, già operante in una bottega al Mercato delle Scarpe, uscito sin dal 1855 da quella ditta, aperta l’officina nell’abitazione del conte Sottocasa in via S. Alessandro al n. 4 – dove poi subentrerà il Greppi – iniziò da solo con viva passione, occhio tecnico e buon gusto, la stamperia editrice, tanto che in pochi anni venne considerato fra i migliori tipografi della città. Maggiorò le edizioni non solo di carattere religioso, ma pose in cantiere opere dei nostri migliori studiosi del tempo, da Carlo Gioda, al Ruspini, ad Angelo Mazzi, al Pasino Locatelli. Pubblicò per conto del Comune gli Atti del Consiglio, varie annate delle Notizie Patrie ed assunse la Gazzetta di Bergamo che tenne per vari anni.

Verso il 1871 gli affari volsero a male e in poco tempo la gloriosa ditta scomparve. Tutto il materiale passò nelle mani di Fagnani e Galeazzi (7).

Prima di fondare l’omonima società, Paolo Gaffuri e Raffaele Gatti avevano lavorato insieme nella tipografia Pagnoncelli, l’officina situata in via S. Alessandro, dove poi si stabilì la Libreria Greppi. In questa azienda Gaffuri era impiegato come commesso, mentre Gatti, come contabile. Gaffuri aveva lavorato da Pagnoncelli a partire dal 15 settembre 1861, da quando cioè, dodicenne, era entrato come apprendista: nel 1864 era stato promosso a commesso della libreria con l’incarico di redigerne il catalogo. Egli aveva iniziato una vera e propria formazione da autodidatta studiando sui testi a sua disposizione, in particolare il Manuel du libraire et de l’amateur de livres di Jacques Charles Brunet e l’Enciclopedia Pomba, oltre che leggendo i testi della libreria Pagnoncelli. E proprio il periodo formativo di Paolo Gaffuri rivestirà un’importanza fondamentale nella fondazione e poi nella direzione dell’Istituto Italiano d’Arti Grafiche

La vita lavorativa di Giuseppe Greppi durerà più di settant’anni e gli procurerà guadagni cospicui, che verranno destinati a opere di bene e tra queste la fondazione nel 1909 del Patronato operaio “San Vincenzo de’ Paoli”, la cui guida sarà assunta anni dopo da don Bepo Vavassori, che lo renderà una delle più efficienti istituzioni di formazione e assistenza dei giovani studenti.
Poco prima di morire, Giuseppe Greppi dispose che anche in futuro i proventi del suo negozio fossero messi a disposizione del suo “caro” oratorio e delle opere di carità del Beato Luigi Palazzolo, suo fraterno amico, fondatore anche dell’Istituto delle Suore delle Poverelle.

Giuseppe Greppi morì nella sua casa di via Sant’Alessandro il 1° giugno 1913, rimpianto dai suoi giovani e onorato da tutta la città: alle sue esequie parteciparono oltre diecimila persone, con il Vescovo di Bergamo Monsignor Radini Tedeschi e il suo segretario don Angelo Roncalli, il futuro Papa Giovanni XXIII (non dimentichiamo che nel 1904, a Greppi era stata conferita la croce Pro Pontefie et Ecclesai come visibile segno e onorato ricordo della benevolenza pontificia).

Greppi volle per sé un carro funebre di seconda classe, spoglio di corone: uomo che non aveva mai amato la retorica, semplice, concreto, tenace e schietto, parlò fino all’ultimo con l’esempio di una vita ardente e senza macchia.

Alla fine della prima guerra mondiale la salma dell’indimenticabile filantropo venne traslata, dal Civico Cimitero di Bergamo, nella chiesa dell’Oratorio dell’Immacolata. Nel 1926 l’Amministrazione Civica dedicò la via Foppa “alla memoria di Giuseppe Greppi, filantropo”. Ancora nel 1965 il ricavo del negozio venne elargito per l’Oratorio e per la Colonia Alpina di Bratto frequentatissima dai ragazzi del rione (8).

LIBRERIA ARNOLDI SUL SENTIERONE: UNA DELLE DUE SOPRAVVISSUTE

Nel lontano 1913 Mario Arnoldi rilevava un’antica libreria che si trovava in piazzetta Santo Spirito: nasceva così la Libreria Arnoldi, di cui purtroppo non sono rimasti documenti se non una foto degli anni Trenta, che ritrae uno stand della libreria allestito in occasione della Fiera del libro sul Sentierone: una tradizione continuata da Pierpaolo,  attuale  titolare dell’omonima libreria in piazza Matteotti 23.

Lo stand di Mario Arnoldi, nonno dell’attuale titotale, sotto il quadriportico del Sentierone negli anni Trenta

Dopo aver trascorso l’infanzia nel negozio condotto dalla madre (il padre era scomparso prematuramente all’età di 39 anni) Pierpaolo Arnoldi – attuale titolare – aveva iniziato a gestire la libreria insieme al fratello. Ma nel 1985, rimasto l’unico della famiglia, dovette portare avanti l’attività da solo.

Pierpaolo Arnoldi, titolare dell’omonima libreria in piazza Matteotti, una piccola libreria generalista, fondata da nonno Mario nel 1913

L’ormai ultracentenaria libreria, un’istituzione in città, era spesso frequentata da studiosi e professori in cerca di libri particolari, attraversando, come le consorelle, il passaggio critico dagli anni ’80, quando tutto ha iniziato ad essere più veloce e spersonalizzato. La sua sopravvivenza è dovuta all’estremo senso pratico e alla capacità del titolare di stare al passo coi tempi: caparbietà ereditata dal nonno, che mantenne il negozio aperto anche durante le due guerre.

Anche se l’esiguo spazio interno non permette di allestire incontri con gli autori o promuovere altre iniziative, la libreria è riuscita a mantenere con i clienti un rapporto di fiducia e di dialogo, grazie alla disponibilità e alla capacità del titolare e dei suoi dipendenti – Riccardo e Serena -, di cogliere istintivamente le esigenze personali di ognuno: “Bisogna capire di cosa hanno bisogno, e spesso oltre ai libri le persone hanno anche bisogno di parlare. È questa la differenza principale tra una libreria indipendente e una catena, qui non si trovano solo libri ma anche rapporti umani”.

Pierpaolo Arnoldi nella sua libreria. La scala è uno strumento che non viene usato nelle librerie delle grandi catene, dove tutto deve essere subito a portata di mano. Nell’intervista rilasciata all’Eco di Bergamo, il signor Arnoldi ha voluto ricordare la figura di un ex dipendente, Armando – colonna portante del negozio – che vi ha lavorato per cinquant’anni: dal 1945 al 1995

Un giorno un amico di Pierpaolo Arnoldi, passando dalla libreria gli presentò Toni Servillo: “Gli strinsi la mano e dissi: piacere, Pierpaolo. E basta. Quando lo raccontai agli amici mi dissero ‘Ma come, dovevi fare una foto con lui, farlo raccontare ai giornali!’. Ma io sono fatto così, sono un tipo un po’ schivo. Mi viene da pensare che in quest’epoca in cui la ‘comunicazione real-time’ sembra dettare i tempi di ogni cosa, la lentezza e la riservatezza sono qualità umane così rare che bisognerebbe farle proteggere dall’Unesco”. Una modestia e riservatezza davvero ammirevole ai giorni nostri.

LIBRERIA ROSSI

La storica libreria Rossi era stata aperta nel ’61 da Enzo Rossi, in via Paglia 4, quasi all’angolo con via Tiraboschi. Nell’83, a causa della necessità di spazi più ampi, la sede si è trasferita nel nuovo edificio all’angolo con via Paleocapa, chiusa dai figli Paolo e Maurizio nel 2011 a causa delle difficoltà attraversate dal settore.

L’ultima sede della storica libreria Rossi in via Paglia, all’angolo con via Paleocapa

La sua passione, cominciata rovistando tra i volumi della nonna, che faceva la maestra, si era trasformata in mestiere nel 1952, quando, dopo un’esperienza come rappresentante di testi scolastici, aveva aperto la sua prima libreria in via Zambonate.

Enzo Rossi, fondatore della storica libreria, si è spento all’età di 95 anni portando con sé un’ampia pagina della storia delle librerie a Bergamo. All’attività commerciale egli ha sempre affiancato l’impegno associativo: negli Anni 60 è stato presidente provinciale dell’Unione cattolica italiana commercianti (è nota la sua gloriosa militanza negli alpini e nei gruppi partigiani cattolici). Nello stesso periodo è stato tra i fondatori della Fiera del libro, mentre dal 1982, e per 22 anni, è stato presidente del Gruppo Librai e Cartolai dell’Ascom (sostituito poi dal figlio Paolo), ricevendo nel 2005 un riconoscimento per la lunga attività sindacale, nel corso dell’assemblea annuale

La sua insegna, specializzata nella scolastica, ha rappresentato un punto di riferimento per tanti studenti ma anche per gli appassionati lettori, a quali era sempre pronto a consigliare il titolo giusto, interpretando appieno il ruolo del libraio. Oltre al settore scolastico, la libreria curava in modo particolare il settore dei libri su Bergamo e la Bergamasca.

Tra le sue battaglie quella per la regolamentazione degli sconti, che i piccoli librai non potevano permettersi di effettuare. “Il rischio è che sparisca la figura del libraio indipendente” – affermava – “un professionista qualificato in grado di consigliare, di reperire i testi, di conquistare la fiducia dei clienti e di promuovere, di conseguenza, la lettura”.

GLI ANNI DEL BOOM, UNA PER TUTTE: LA LIBRERIA SEGHEZZI

Con il boom degli Anni Sessanta – il periodo d’oro del libro – aprirono una libreria anche Seghezzi in viale Papa Giovanni, poi La Bancarella, la Rinascita (diventata Caffè Letterario) e più avanti anche Gulliver (oggi Palomar, in via Maj) e Bimbolegge&Bimbogioca, sempre degli Arnoldi.

Ma si trattava in realtà di un incremento industrialmente fittizio, perché nonostante a Bergamo, allora come oggi, si legga poco di più rispetto alla media nazionale, si legge molto meno che nel resto d’Europa, dove esiste una maggior educazione alla lettura.

La libreria di Giuseppe Seghezzi, fondata nel 1959 in viale Papa Giovanni al civico 46, venne in seguito gestita dai due figli, Alessandro e Gianfranco, che si trasferirono al civico 48 divenendo un punto di riferimento per i bergamaschi per una sessantina d’anni: dalla metà degli anni Sessanta fino al 2008, quando è stata chiusa. I Seghezzi furono tra l’altro i primi a Bergamo a lanciare il genere fantascienza.

Alessandro  Seghezzi, storico presidente del Sindacato Italiano Librai di Bergamo,  fotografato da Nando Vescusio (agenzia Fotogramma Bergamo)

 

Gianfranco Seghezzi, contitolare dell’omonima libreria di viale Papa Giovanni XXIII, mancato all’età di 64 anni. “Lavoravamo anche 14-15 ore al giorno – racconta il fratello Alessandro – ed è stato anche grazie al lavoro che eravamo così uniti. Nonostante le botte che ha preso nella vita, non si lamentava mai, era forte”

“A noi, studenti squattrinati degli Anni 70, ma con grande fame di libri, permettevano di leggerli nel magazzino e di riporli. Bastava non sgualcirli. Credo abbiamo fatto così con generazioni di ragazzi. Fosse poi stata solo la generosità. Sandro e Gianfranco leggevano buona parte di ciò che vendevano. E sapevano consigliare. Una visita in libreria poteva durare ore, tra interminabili discussioni letterarie.
Negli ultimi anni lamentavano le difficoltà di rimanere sul mercato, loro così piccoli, davanti all’offensiva degli ipermercati. Hanno resistito a lungo. Adesso hanno gettato la spugna. Vinti dal consumismo del libro. Una perdita per me, per altri come me, per le generazioni a seguire. Una perdita per Bergamo e per tutti. E’ la fine dell’anno si fanno i consuntivi. A me nel 2007 è stato sottratto quel negozio demodé, ma caro come una persona cara. Non so cosa faranno Sandro e Gianfranco. Non li vedo maneggiare altro se non libri. E forse non c’è posto, oggi, per una tale abilità” (9).

Il lento declino fu causato non solo dalla mancanza di un ricambio generazionale, ma anche dal caro-affitti in centro. La città ha visto sparire poco alla volta quasi tutte le librerie storiche, così come quelle che le avevano sostituite: il Caffè Letterario di via San Bernardino (che a sua volta aveva sostituito La Rinascita), ha chiuso i battenti nel giugno del 2013 dopo essere stata per 17 anni un punto di riferimento culturale e dopo aver visto il passaggio di grandi personaggi come Alda Merini ed Edoardo Sanguineti.

Macondo: Caffé Letterario, bibliocafè fornito di di una sezione antiquaria nel reparto libreria e una nutrita sezione (500 volumi consultabili e disponibili al prestito) dedicata ai bambini, per i quali si organizzavano numerose iniziative ludiche

 

Caffé Letterario

Sono sopravvissute le librerie di settore (ad esempio quelle per bambini e ragazzi), ma anche quelle che hanno saputo rinnovarsi con la cartoleria o un’offerta più varia, come fu ai tempi il Caffè Letterario e la libreria Terzo mondo di Seriate.

A mettere in difficoltà le librerie indipendenti è stata poi la nascita delle librerie delle case editrici – e di gruppi di case editrici -, comunque non esenti dalla crisi: basti pensare alla messa in mobilità nel giugno del 2013, dei 1.378 dipendenti delle 102 librerie “la Feltrinelli”, compresi i commessi del negozio di via XX Settembre.

Bergamo, libreria “la Feltrinelli”, via XX Settembre

Inoltre è arrivato il mercato della grande distribuzione e vendita online (inizialmente incoraggiato da possibilità di sconti selvaggi, ai tempi era  negata alle librerie indipendenti), oltre alla nuova frontiera degli e-book.

Negli ultimi anni sono sorte le librerie di quartiere, librerie non grandi che si sono aggiunte alle cartolibrerie che ancor resistono nei rioni della città: una controtendenza rispetto alla crisi che aveva portato alla chiusura degli storici punti vendita e delle librerie che li avevano sostituiti. Ne troviamo in Borgo S. Caterina, in via San Bernardino, in via Baioni, via Moroni, in via Pignolo. Un censimento non esiste, ed è possibile che ve ne siano altre, nascoste nelle pieghe della città.

Note

(1) Da una rievocazione di Arnedeo Pieragostini su “La Rivista di Bergamo” (gennaio 1981), in: Il Novecento a Bergamo – Cronache di un secolo. Di Pilade Frattini e Renato Ravanelli. A cura di Ornella Bramani – Vol. II. UTET. Anno 2013.

(2) Ibidem.

(3) Luigi Pelandi, “Attraverso le vie di Bergamo scomparsa. III. Il Borgo S. Leonardo”. Banca Popolare di Bergamo. Co-Editore: Edizioni Bolis. Bergamo, 1965 (Collana di studi bergamaschi). Pelandi specifica che in quel periodo Giuseppe Greppi abitava in via Broseta al n. 6 e che “il negozio si trovava dove ora” (ossia ai tempi in cui egli scrive il suo libro, edito nel 1965) “esiste la macelleria Zanetti”.

(4) Luigi Pelandi, Ibidem.

(5) Luigi Pelandi, Ibidem.

(6) Giuseppe Greppi (filantropo)

(7) Luigi Pelandi, Ibidem.

(8) Luigi Pelandi, Ibidem.

(9) Gigi Riva, La libreria Seghezzi.

“A volo d’uccello – Bergamo nelle vedute di Alvise Cima – Analisi della rappresentazione della città tra XVI e XVIII secolo”: un indispensabile strumento d’indagine per la conoscenza della città di Bergamo

Tosca Rossi, “A volo d’uccello Bergamo nelle vedute di Alvise Cima Analisi della rappresentazione della città tra XVI e XVIII secolo”. Litostampa istituto grafico, Bergamo, 2012, pp. 244 (con 4 vedute a colori allegate cm 58×82 cad.)

Dopo “Bergamo urbs picta – Facciate dipinte a Bergamo dal XV al XVIII secolo” (2009), Tosca Rossi, Guida turistica di Bergamo e provincia Storica dell’arte, ha proposto e perfezionato il suo studio dedicato ad Alvise Cima (1643-1710), pittore e cartografo bergamasco, a cui molto spesso la bibliografia locale ha erroneamente attribuito la paternità di tutte le vedute “a volo d’uccello” ad oggi note di Bergamo.

L’esito di uno studio decennale che l’autrice ha dedicato alla nostra città e che prosegue a tutt’oggi, è confluito in una preziosa pubblicazione, edita nel 2012, dal titolo “A volo d’uccello – Bergamo nelle vedute di Alvise Cima – Analisi della rappresentazione della città tra XVI e XVIII secolo” (1).

 

I PITTORI CIMA DI BERGAMO 

La ricerca certosina, compiuta negli archivi storici di Bergamo, Milano e Roma, ha permesso di ripercorrere le tappe della bottega paterna di Alvise, collocando la famiglia in un ceto discretamente benestante della Bergamo della seconda metà del Seicento: dai riscontri e dai dati rinvenuti risulta sostenibile l’ipotesi, peraltro già proposta in passato, che più che un pittore Alvise fosse un cartografo o un decoratore, forse di stendardi e apparati processionali o di arme e blasoni, viste anche le sue costanti frequentazioni religiose, ampiamente testimoniate dai lasciti testamentari.
A questa sezione è dedicata la prima parte del libro.

Di Alvise Cima si conosceva solo una sola data (1693) e una presunta parentela con Sebastiano Cima (Milano 1599 – Bergamo 1677) motivata solo dallo stesso cognome, nonché qualche citazione sparsa negli archivi, insieme alla sicurezza che fosse l’artefice della riproduzione in scala dei fregi degli arazzi medicei della Basilica di Santa Maria Maggiore, poi inviati ad Anversa in Belgio perché fossero riprodotti nuovi manufatti fiamminghi, giunti in Basilica di Santa Maria Maggiore nel 1698 col nome di “Trilogia d’Anversa”.

L’Albero genealogico della famiglia dei pittori Cima di Bergamo (XVI – XVIII secolo)

L’autrice ha ricostruito, insieme all’albero genealogico dei pittori Cima di Bergamo, anche l’intera vicenda personale e professionale di tutti i componenti il nucleo familiare di Alvise.
E’ stato quindi analizzato tutto il parco opere ad oggi noto della bottega, restituendo al padre di Alvise, il pittore Sebastiano (il primo “bergamasco” della famiglia, giunto in città da Milano “per colmare l’assenza di artisti che aveva drammaticamente causato la peste manzoniana del Seicento”) la paternità di due dipinti (considerati fino a ieri di “anonimo secentesco”), collocati a Comun Nuovo e ad Orezzo”.
Opere di Sebastiano Cima si trovano in varie chiese della Bergamasca: a Curnasco di Treviolo, nel monastero di Astino, Mozzo, Adrara S. Martino,  Azzano S. Paolo, oltre alla pala della Parrocchiale di Seriate rubata nel 1991.

La ricerca ha quindi dato nuova luce a questo ramo cadetto di artisti, di modesta levatura per il genere religioso, ma di assoluto interesse dal punto di vista storico-documentaristico.

Grazie ai Cima di Bergamo, seppur indirettamente, si è potuto aggiungere un altro tassello alla storia della città, perché di un edificio, di cui si era persa memoria, si sono ritrovati atti, cronache e l’inventario di tutti i beni e dei paramenti che corredavano le sue funzioni e che lo ponevano al centro della morbosa quotidianità pubblica nei secoli XVII-XVIII: si tratta della Chiesa della Carità, detta anche del Crocifisso o della Buona Morte, sede della Confraternita omonima legata alla casa madre fiorentina e alla filiale romana, i cui membri appartenevano alle maggiori famiglie nobili dell’epoca e la cui attività era dedicata alla cura, consolazione e sepoltura dei condannati a morte delle carceri cittadine.

Dalla biografia di Alvise a Bergamo, ricostruita dagli anni Quaranta del Seicento al primo decennio del Settecento, è emerso che il pittore, proprio come il padre, realizzò numerose tele per le principali famiglie nobili di Bergamo: gli Alessandri, i Roncalli, i Benaglio, i Solza.

In questa prima parte della pubblicazione sono quindi state inserite tutte le opere accertate di Alvise, che contengono inoltre alcuni identici elementi decorativi.

 

LE VEDUTE “A VOLO D’UCCELLO” NELLA CARTOGRAFIA

Nella seconda parte del libro viene riassunta la storia della cartografia, dalle origini fino al momento in cui diviene strumento di potere ed elemento decorativo nel corso dei secoli XV-XVI, al fine di motivare la necessità della realizzazione delle vedute prospettiche o cosiddette “a volo d’uccello”.

Le vedute “a volo d’uccello” sono eseguite in un’epoca in cui la “rilevazione dall’alto”, ad opera del rilevatore e del cartografo, scaturiva esclusivamente dal rilievo paziente e metodico dell’edificato (in parte ora scomparso per demolizioni e ricostruzioni successive) ottenuta percorrendo la città a piedi:

“La veduta definita “a volo d’uccello” si impone nel corso del XVI secolo come il metodo per eccellenza di misurazione della città, in quanto contiene tutte quelle qualità che permettono un’attendibile lettura topografica del corpo urbano e un facile approccio a tale lettura” .
(D. Stroffolino).

E ancora:

“La si potrebbe assimilare ad un ritratto, “il ritratto della città”, status symbol del Cinquecento italiano e del Seicento fiammingo: la città viene studiata, analizzata, ripresa in tutte le sue angolazioni, fino a tracciare su una superficie una possibile mappa da percorrere e ripercorrere, calcare e studiare dall’alto, come una moderna planimetria su cui disporre alzati, mura, avamposti, truppe, piante per future edificazioni o progetti di verde pubblico e spazi aperti”.
(T. Rossi).

La Bergamo medievale nella veduta di Alvise Cima si manifesta attraverso la maglia minuta  e dettagliata del tessuto cittadino: si individuano gli ingressi di ogni singola casa, le finestre nelle facciate, gli orti, le alberature, i filari dei vigneti, le strade, i viottoli, le seriole

Dunque lo studio, attraverso l’analisi delle opere d’arte e dei supporti allegati al testo, si pone non solo come un invito alla rilettura del territorio cittadino, esteso fino al ventaglio dei borghi storici, ma anche come uno stimolo a ripercorrere, rivisitare vie o edifici noti e conosciuti “per misurare ancora oggi con la vista”, scandagliando comodamente ogni aspetto della città e compiendo al tempo stesso un vero e proprio affascinante viaggio nel tempo.

 

LA QUESTIONE DELL’ATTRIBUZIONE DELL’OPERA E LE VEDUTE COME STRUMENTO D’INDAGINE

Ad Alvise Cima (2) la bibliografia locale imputa una delle vedute a volo d’uccello più antiche e meglio conservate della nostra città, oggi esposta nell’ufficio del Direttore della Biblioteca A. Mai di Bergamo (olio su tela, cm. 164×104), comunemente noto come Bergamo, veduta prospettica di fine Cinquecento o Bergamo, veduta a volo d’uccello.

La bella composizione dai colori appropriati per indicare in grigio chiaro gli edifici, in rosso i tetti, in ocra strade e piazze, in grigio azzurrino i corsi d’acqua, così come le diverse tonalità di verde per prati, orti, alberi e boschi e l’uso sapiente del chiaroscuro (per dare rilievo ai volumi con uniforme illuminazione meridiana proveniente da sinistra): sono tutti elementi che conferiscono alla tela il fascino della veduta realistica e viva.

Nella veduta prospettica, che ha per oggetto l’evoluzione urbana di Bergamo tra il XVI ed il XVIII secolo, la città è rappresentata nel suo divenire, come un organismo dinamico, con la città alta erta sul colle (il cuore dell’urbe) e le diramazioni dei borghi, che dalla collina si estendono dolcemente a ventaglio lungo i declivi, marcando i tracciati delle vecchie strade provenienti dalle diverse direzioni (Milano, Brescia, ecc.)

L’annosa questione dell’attribuzione del dipinto conservato presso la Biblioteca A. Mai è estremamente complessa: eminenti studiosi e storici locali, così come semplici appassionati o divulgatori della storia e del patrimonio cittadino si sono posti a tal proposito molti interrogativi, e sebbene non vi sia certezza riguardo la sua paternità, per la cura e la minuzia dei particolari il dipinto in questione è considerato ad oggi la più nitida veduta di Bergamo nel suo impianto medioevale ed è ritenuto il prototipo di tale genere in città, data la produzione seriale di cui fu poi oggetto l’opera per mano dello stesso Alvise Cima (3).

La veduta è quindi considerata un documento iconografico di straordinario interesse per la storia dello sviluppo urbanistico di Bergamo, e si ritiene sia stata realizzata nell’ultimo quarto del Cinquecento, all’epoca in cui si veniva costruendo la cinta muraria veneziana, avviata nel 1561 e terminata nel 1595, ovvero prima che la città subisse la profonda ferita inferta dall’imponente costruzione delle nuove mura il cui tracciato, che chiude come in una morsa tutta la parte alta della veduta, è sovrimpresso in nero: un’amputazione che interruppe bruscamente l’armonico susseguirsi della trama della città medievale, generando un’ampia fascia aperta nel tessuto edilizio.

Nulla è emerso invece riguardo la commessa delle due tele, datate 1693 e firmate Alvise Cima, raffiguranti la veduta di Bergamo, oggi al Museo Storico dell’Età Veneta di Bergamo (probabile copia) e in collezione privata (4).

E’ quindi nella terza parte del libro (considerata l’anima dello studio), la più corposa, che Tosca Rossi ha compiuto un attento e significativo lavoro di disamina della veduta, raffrontata con le altre due piante-vedute, cronologicamente posteriori di cui una, autografa di Alvise Cima realizzata nel 1693, viene ipotizzata la realizzazione nella prima metà del Seicento: inserita quindi in un intervallo temporale abbastanza circoscritto, grazie al raffronto della data di edificazione di ogni singolo edificio raffigurato e/o riportata nelle tabelle a corredo.

Da questo certosino lavoro di analisi è scaturita un’inedita guida della città, intesa quale mero strumento di lettura, che consente al lettore di immergersi in un avvincente viaggio nel tempo nella forma urbis di Bergamo tra il XVI ed il XVIII secolo.

Questo terzo capitolo è ordinato per rubriche/sezioni, a cui fanno capo diversi testi suddivisi per argomento (morfologia e rilievo, idrografia, orti e giardini, strade e piazze, edifici pubblici, palazzi privati).

Nel caso invece di borghi, edifici fortificati o edifici di carattere sacro e assistenziale, è dedicata a ognuno una scheda, composta da immagini, testo e riferimenti bibliografici, coevi ai dipinti.

Particolare della veduta di Alvise Cima.  La terza parte del testo (la più ampia) è corredata da 4 mappe della Bergamo “ante-mura”, per la prima volta analizzando ogni singolo supporto, isolando i singoli edifici (più di 100, 400 se si conteggiano i singoli caseggiati) ed esaminando la loro collocazione, il loro orientamento, le loro fattezze architettoniche, le pertinenze e la loro sinergia, apparentemente muta, ma viva perché connessa con la trama dell’abitato e la storia della città. L’autrice ha catalogato 478 edifici, affiancando a quelli principali ben 84 schede, che concludono il volume

 

LA VEDUTA “A VOLO D’UCCELLO”: UN VIAGGIO “DENTRO” LA CITTA’

Nella parte superiore della veduta osserviamo il nucleo urbano più antico, ubicato sul colle, circondato dalle mura medioevali, chiuso fra la Rocca costruita da Giovanni di Boemia (1331) e la Cittadella viscontea (1335), dove si concentravano le fondamentali attività politiche e religiose della Città. Oltre questo nucleo Bergamo si è sviluppata lungo le antiche strade di accesso alle porte medievali, formando dei borghi che, finché non hanno ecceduto l’ambito collinare (Borgo Canale e Borgo S. Lorenzo), sono stati successivamente racchiusi in ampliamenti medievali delle mura, mentre i borghi discendenti il fianco meridionale del colle (Borgo S. Alessandro e Borgo Pignolo), nonché quelli fortemente sviluppatisi nella piana (Borgo S. Leonardo e Borgo S. Antonio) in continuazione dei primi, verranno chiusi con una nuova cinta, le cosiddette muraine, negli anni 1430 -1438, che costituiranno sino a tutto l’Ottocento la cinta daziaria. Si notano le sei porte fortificate presenti nel circuito delle mura che circondavano la città sul colle e i borghi. Il muro era alto sei metri, con merlature di tipo guelfo, scandito lungo tutto il suo perimetro da frequenti torri quadrate e alcune rotonde. Si nota di come l’impianto della rete viaria sia rimasto quasi immutato (5)

Le vedute a volo d’uccello di Bergamo, oggetto d’analisi di questo libro, propongono una città che si automagnifica, iscritta entro una cortina di mura, imperniata sulla grande emergenza architettonica della Basilica: in pratica un museo a cielo aperto dell’architettura della città, che si sfrangia nei colli e che copre un arco di tempo che va dal Medioevo alla seconda metà del Seicento.

Vegliata dallo sguardo amorevole dei santi cari alla devozione cittadina – Vincenzo e Alessandro -, iscritta entro un’antica cortina di mura, Bergamo viene restituita all’osservatore con il fascino, la genuinità e l’integrità della città antica: groviglio di un organismo vivo e pulsante che restituisce la vivacità, l’humus del nucleo urbano medioevale.

I santi cari alla Città di Bergamo, nella “veduta a volo d’uccello” di Alvise Cima: Vincenzo e Alessandro, posti nella veduta in alto a destra

Considerando di utilizzare la pianta/dipinto conservato nella Biblioteca civica Angelo Mai di Bergamo, il lettore si immerge entro un percorso che, partendo da piazza Duomo, porta a lambire i singoli edifici per ognuno dei quali viene fornita una scheda informativa.

Il viaggio si snoda in un coacervo di case e campanili e nel fitto dedalo di viottoli e slarghi, spalti, torri merlate e porte fortificate; di orti e giardini, che generosi e vivaci si dispiegano dal colle al piano, articolandosi nei borghi, quasi fossero mobili dita di una mano; un insieme armonico adagiato su una corona di colli, dove sembra quasi di avvertire il lieve gorgoglìo delle rogge e l’effluvio delle essenze arboree che punteggiano orti e colline.

Per realizzare la nuova cinta muraria furono oltre 500 le costruzioni abbattute tra case, cascine, chiese e cappelle, negozi, laboratori (21 tra chiese e monasteri); furono rimosse centinaia di migliaia di pertiche di terreno, alterando nel loro aspetto naturale alcune zone di Bergamo Alta e spezzando definitivamente l’unitarietà dell’antico tessuto urbano. In Borgo Canale, oltre ad 80 case vennero demolite anche l’antica Basilica di S. Alessandro e l’attigua chiesa di S. Pietro , così come il Convento di S. Stefano dei Domenicani, la chiesa di S. Giacomo e la chiesa di S. Lorenzo, SS. Barnaba e Lorenzino nelle vicinanze della porta di S. Giacomo; il monastero di S. Domenico e la fognatura d’epoca romana. 57 le case abbattute in Pelabrocco e 59 in Borgo di San Lorenzo. Nel 1574 le case di Bergamo erano 445 corrispondenti a circa la metà di quelle esistenti prima della costruzione delle mura il cui perimetro venne completato nel 1595. Insieme a tutto ciò furono distrutti cascinali, viottoli, scalette, orti, vigneti frutteti e giardini

Compiendo questo viaggio a ritroso nel tempo ci si inoltra fra le pieghe dell’antica città murata e turrita, “nei sagrati delle chiese, nei conventi e nei monasteri (…) prestando attenzione alle sedi di confraternite, oratori ed istituzioni caritatevoli dell’epoca, quali gli orfanotrofi e i luoghi pii, oppure soffermandosi sull’uscio di botteghe o sulla soglia delle case, fino quasi ad immaginare i vani interni dei singoli alzati”.

Ripercorrendo la Bergamo di ieri, possiamo così confrontare passato e presente, e le trasformazioni avvenute riguardo a edifici, chiese, conventi, corsi d’acqua, orti, broli ed altro ancora; e allo stesso tempo, grazie alle numerose mappe in dotazione, possiamo ripercorrere la storia e conoscere con esattezza, di ciascun edificio, l’epoca di riferimento e le sue principali caratteristiche.

Particolare del borgo S. Leonardo nella veduta di Alvise Cima. L’attività economica che caratterizza Bergamo tra Quattrocento e Cinquecento è di tipo mercantile e finanziario. L’attività mercantile, se in qualche misura influenza la formazione del tessuto urbano (soprattutto dei borghi) per la presenza di manifatture di panni, trova nelle piazze, sede dei mercati, i luoghi deputati durante il corso dell’anno al commercio di derrate, manufatti e monete (il mercato dei cambi resterà sino alla fine del XVIII secolo la più caratteristica delle attività finanziarie di Bergamo) e nel prato di S. Alessandro (fra i Borghi di S. Antonio e S. Leonardo) il luogo dell’annuale fiera: estrema sintesi dell’attività mercantile e finanziaria bergamasca” (Walter Barbero, Bergamo, Milano, Electa, 1985, pp. 7-8)

 

Note

(1) Tosca Rossi, A volo d’uccello Bergamo nelle vedute di Alvise Cima Analisi della rappresentazione della città tra XVI e XVIII secolo, Litostampa istituto grafico, Bergamo, 2012, cm 21×28, pp. 244.
Il testo è diviso in tre sezioni: la prima è dedicata alla famiglia dei pittori Cima di Bergamo di orIgine milanese (biografia, parco opere, luoghi, connessioni con la Bergamo del XVII secolo, ecc.). La seconda alla storia della cartografia e la terza, suddivisa in schede, alla disanima delle tre vedute “della città a volo d’uccello” del ‘600, con il riconoscimento degli oltre 100 siti indicati sulle stesse e l’immagine del loro aspetto odierno. Al volume sono allegate 4 vedute “a volo d’uccello” della città in fr a colori (f.to cm 58×82 cad.) nel suo assetto medioevale, prima che venisse sconvolto dall’edificazione della cinta bastionata veneziana.
Si tratta del secondo studio pubblicato da Tosca Rossi dedicato alla nostra città.
Il primo risale al 2009, “Bergamo urbs picta – Facciate dipinte a Bergamo dal XV al XVIII secolo” dove per la prima volta tutti i lacerti affrescati presenti sugli edifici di Bergamo Alta, Bassa e colli, sono stati repertati, analizzati, descritti e corredati di ricerca storica.
(2) “Il più famoso “dei Cima di Bergamo” nasce in vicinia di S. Salvatore il 14 settembre 1643. E’ l’ultimogenito di Sebastiano e di Ursula Barili e trascorrerà la sua infanzia nella vicinia di S. Salvatore.
Perde la madre a 14 anni e con i fratelli vivrà nel palazzo degli Alessandri fino al 1682 (foto), forse 1683, come indicano i registri degli Stati d’Anime della Parrocchia. Dagli atti notarili si deduce che si trasferirà con la sola sorella Bianca nei locali avuti in eredità dalla dote materna, ubicati in S. Michele all’Arco (foto), gli stessi in cui il padre pittore Sebastiano esercitava la sua attività, per poi fissare la residenza definitiva in contrada Salvecchio nel 1689 (foto): da quel momento verrà accudito dalla sorella Bianca, che gli resterà accanto per tutta la vita, insieme con la serva Giovanna Chitona a cui era molto affezionato.
Il suo nome compare nell’Archivio MIA per i pagamenti degli incarichi svolti per la Basilica dal 1688 al 1696, ma soprattutto in numerosi atti notarili aventi per oggetto la compravendita di immobili (case e botteghe in Bergamo), la gestione di legati e di livelli, oltre a quelli in cui è citato per i rapporti intercorsi con la Nobile Compagni della Carità di Bergamo e le adunanze dei sindaci della contrada Botta di S. Sebastiano sui colli cittadini.
Non sono invece state rintracciate bollette o cedole di pagamento relative alla sua attività artigianale, che gli deve aver permesso la conduzione di una vita agiata e rispettabile: infatti, nulla è emerso riguardo la commessa delle due tele, datate 1693 e firmate Alvise Cima, raffiguranti la veduta di Bergamo, oggi al Museo Storico dell’Età Veneta di Bergamo (probabile copia) e incollezione privata.
Sua è anche la riproduzione del “frisio degli arazzi” toscani da inviare ad Anversa per la realizzazione di quelli fiamminghi, giunti in Basilica di Santa Maria Maggiore nel 1698.
Muore nella sua casa in via Salvecchio (attuale civico 7) a 66 anni il 15 marzo 1710, dopo aver redatto testamento a favore della sorella, dei Padri Teatini di Bergamo e della Nobile Compagnia della Carità di Bergamo. Viene sepolto nella chiesa della Carità di Bergamo, demolita nella prima metà del XIX secolo” (Tosca Rossi).
(3) L’obiettivo di ricondurre ai Cima di Bergamo, e ad Alvise in modo particolare, la paternità del dipinto posto nella Biblioteca Civica Angelo Mai di Bergamo (Ufficio del Direttore), non è stato purtroppo conseguito, dati anche gli estremi cronologici in cui si colloca la veduta (1595-1661) e quelli biografici del pittore in questione (1643-1710): la risposta agli interrogativi, che a tal riguardo da decenni si sono posti eminenti studiosi e storici locali, così come semplici appassionati o divulgatori della storia e del patrimonio cittadino (chi la commissionò, chi la realizzò, quando, se, come Alvise Cima intervenne), è sicuramente custodita nella documentazione e nella corrispondenza intrattenuta tra Venezia e Bergamo durante i secoli di dominio della Serenissima (1428-1797), gelosamente conservata nei rispettivi archivi storici e tuttora non rinvenuta.
(4) Va detto anche che tramite il rinvenimento dei testamenti e dallo spulcio di oltre 600 atti notarili si è inteso esistessero altre vedute del territorio cittadino e bergamasco, opera di Alvise, in parte disperse a causa delle soppressioni napoleoniche.
(5) Da S. Agostino la cinta delle muraine scendeva alle spalle di Borgo S. Tomaso in direzione di Borgo S. Caterina, che però ne rimaneva tagliato fuori, diviso dalle acque del Morla. Il tracciato seguiva il corso del torrente fino alla torre di Galgario (l’unica della cinta ad essersi salvata) e di qui alla roggia Serio, che fungeva da fossato, toccando successivamente la porta S. Antonio, all’estremità di via Pignolo, i portelli del Raso, delle Grazie (in corrispondenza dell’attuale Porta Nuova) e di Zambonate; qui giunte le muraine volgevano verso sud, circondando la parte inferiore di Borgo S. Leonardo, servite dalle porte di Cologno, di Colognola, di Osio, di Broseta, per risalire lungo via Lapacano e congiungersi sul colle alla cinta delle mura medievali […].

Fonti
– Tosca Rossi, A volo d’uccello Bergamo nelle vedute di Alvise Cima Analisi della rappresentazione della città tra XVI e XVIII secolo, Litostampa istituto grafico, Bergamo, 2012, cm 21×28, pp. 244.
– Giulio Orazio Bravi, Testo di presentazione del Calendario 2010, pubblicato dal Centro studi e ricerche Archivio Bergamasco, dalla Associazione Amici della Biblioteca e dalla Biblioteca Civica “Angelo Mai”: Veduta della città di Bergamo “prima che fusse fortificata”. Secolo XVI.
– Rotary Club di Treviglio – Bollettino n. 13 della Riunione Conviviale del 23 ottobre 2013.