Il Cappello d’Oro e i suoi fasti

Albergo del Cappello d’Oro, all’incrocio tra l’attuale viale Papa Giovanni XXIII e via Tiraboschi. Informa Luigi Pelandi che l’edificio, di proprietà dei Caversazzi, fu primo ad essere costruito sul nuovo stradone alla Ferrata (il Municipio aveva concesso gratuitamente lo spazio per la sua costruzione). Ne fu ideatore, impresario e direttore dei lavori lo stesso Luigi Caversazzi, padre del dottor Ciro e morto quasi novantenne nel 1907. Non appena costruito l’edificio Caversazzi, sorse l’attiguo palazzo Viscardini, dove aveva gli stalli la ditta di trasporti Cornaro (forse già inattiva ai tempi di Pelandi), ospitando anche la Farmacia Volpi, l’Orologeria Bolognini, l’Albergo Cervetta e la Tipo-litografia Mariani

La memoria del Cappello d’Oro, locanda con ristorazione appena fuori Porta Nuova – aperta nello stabile dei Caversazzi -, risale alla seconda metà dell’Ottocento, ai tempi in cui era frequentato dai commercianti della Fiera allestita oltre i Propilei, ingresso monumentale  alla città.

Viale Roma, oggi Papa Giovanni, ancora priva dei binari del tram, posati nel 1897

Nei pressi, appena fuori dalla porta daziaria sostavano dei carretti guidati da uomini con un gran cappello giallo, la cui presenza diede spunto al nome dell’albergo, che trasformò quel giallo nel più appetibile “oro”.

Viale Roma, oggi Papa Giovanni, ospita ancor oggi un totalmente rinnovato Cappello d’Oro. Il locale fu aperto nello stabile dell’impresario Luigi Caversazzi, padre del più noto Ciro, umanista e poeta, amante delle memorie patrie, entusiasta del bello (Luigi Pelandi ne ricorda il “vivido ingegno” e le “esuberanti escandescenze”). Ciro fondò la rivista “Bergomum”, dettò una monografia fondamentale sul “Piccio”, dedicò vari studi a Donizetti. Nel 1893 pubblicò a Milano un volume di versi intitolato “Pathos”, un pregevole esempio della sua raffinatezza stilistica

Stiamo parlando del primitivo Cappello d’Oro, un esercizio sempre frequentatissimo da commercianti, rappresentanti, viaggiatori. Quello che diversi anni dopo venne rilevato da quel genio speciale della ristorazione che fu il cavaliere Domenico Ruggieri, che lo trasformò sino a renderlo una stella di prima grandezza, degna di brillare anche in ambito internazionale.

Ritratto di Domenico Ruggieri, realizzato dal pittore Pino Buelli nel 1977 (per gentile concessione del signor Ivano Coletti, proprietario del dipinto)

 

Ai tempi in cui l Cappello d’Oro era di proprietà di Mario Ruggieri, l’attiguo Ristorante del Moro era gestito dal fratello di Mario, Francesco Ruggieri, di cui si ricorda la moglie, Marcella, e i figli Mario, Anna e Mingo. Erano i tempi del ristorante Manarini, cui fece seguito il famoso ristorante di Vittorio Cerea. I Ruggieri erano originari di Bisceglie, pugliesi come i Guadalupi, i D’Ambrosio, i Logoluso, i Varola, i Cavaliere, gli Arcieri e i Losapio, vinaioli trasferitisi a Bergamo, incentivati dalle agevolazioni offerte dal Comune in quanto il vino pugliese, ricco di vitamina C, era in grado di contrastare lo scorbuto nei mangiatori di polenta, quali erano appunto i bergamaschi (Archivio Wells)

Quello stesso che nel 1979 venne acquisito dai coniugi Anna ed Ernesto Zambonelli, che ne avviarono l’attività l’anno seguente. Storia alberghiera, oggi alla terza generazione, guidata dalla madre Anna, i figli Corrado e Giovanni e il nipote Daniele.

Dagli appunti di Luigi Pelandi emerge che l’albergo era gestito intorno al 1890 da Vittorio Artifoni. Vecchie locandine rintracciate dalla scrivente ci danno conto anche del nominativo di un certo Eugenio Artifoni, la cui attività venne poi rilevata dagli eredi, che dovettero condurre anche l’Hotel Cavour.

Ci fu poi Enrico Avallone, che probabilmente iniziò a gestire l’Albergo non prima del 1897, come si evince dalla mancanza dei binari del tram, posati proprio in quell’anno, seguito da Vittore Albertini, che secondo Pelandi gestì l’albergo verso il ‘900 e teneva servizio di carrozze e cavalli per ricevere alla Stazione i viaggiatori. Con quest’ultimo i locali vennero “completamente rimodernati”.

E’ sempre Luigi Pelandi ad informarci che a Vittore Albertini dovette succedere un Carlo Chighizzola, verso il 1923-1924 e poco dopo Domenico Ruggeri.

Il Cappello d’Oro in un’immagine risalente al 1925, con l’inserimento posticcio dell’insegna e della bandiera sul tetto dell’Hotel, assenti nell’originale

 

Pubblicità del 1900 dal “Diario Guida della Città e provincia di Bergamo”

Verso la fine dell’Ottocento il Cappello d’Oro godeva già di una particolare notorietà; la sua cucina, rinomatissima, era considerata la più importante della città, ben al di sopra del Concordia – che s’impose in un periodo successivo – e dell’Italia, che ai tempi si trovava in Via XX Settembre, mentre il Moderno era ancora in costruzione.

Grande Albergo Reale Italia, via XX Settembre

Forse, per le nobiltà di Città Alta, qualche nomea interessava il “Solino”, antichissimo luogo conosciuto da tutti e di cui Hermann Hesse ci ha lasciato un’indimenticabile testimonianza durante il suo soggiorno, avvenuto nel 1913.

Antico Albergo del “Sole”, Piazza Vecchia all’imbocco della Corsarola (via Colleoni)

Ma nella città al piano era il Cappello d’Oro a primeggiare, grazie alla capacità dei proprietari di offrire alla clientela le più fini agiatezze, frutto delle più recenti innovazioni.

Porta Nuova con i cancelli daziari in un’immagine anteriore al 1897

Fra queste, l’omnibus a due cavalli, un servizio di carrozze stanziato presso la stazione ferroviaria (ricordato da Umberto Zanetti ai tempi della gestione di Vittore Albertini), pronto ad accogliere in gran pompa i “signori clienti” nonostante nel viale il tram a cavalli fosse già attivo dal 1888: i binari del tram vennero posati solo nel 1897 per lo scorrimento dei vaporini “Brembo” e “Serio”, ben presto sostituiti dal tram a cavalli a causa del loro discontinuo e farragginoso funzionamento.

La Fiera vista da Porta Nuova. I binari del tram sono già stati posati

 

Il tram a cavalli, ripreso nei pressi della Fiera, faceva servizio tra i borghi (ripresa del 1897 )

L’ingresso avveniva da una porta a tre luci sistemata lungo il viale o da un grande portone aperto sull’attuale via Tiraboschi, da cui entravano le carrozze, gli equipaggi signorili, i barrocci e le timonelle provenienti anche da fuori città, oltre alle “corriere” che dal Cappello d’Oro partivano per le valli, solitamente “diligenze” a tre cavalli.

Il Cappello d’Oro in una cartolina pubblicitaria dell’epoca

Ben tre scuderie provvedevano alla sosta e alla cura dei cavalli, che i padroni più abbienti facevano strigliare fino a brillare. Nel cortile l’andirivieni non conosceva sosta: chi voleva entrare e chi voleva uscire, chi esigeva spazio per l’abbeverata, chi sollecitava per un’incombenza: un bailamme assordante cui non si sottraeva nessuno, nemmeno i clienti altolocati e più azzimati.

Albergo del Cappello d’Oro, oggi Best Western Hotel Cappello D’Oro sotto la guida della famiglia Zambonelli

La rilevanza dell’Albergo derivava naturalmente anche dalla sua posizione strategica all’incrocio tra le due principali arterie del borgo in pieno sviluppo, ai primi del Novecento in odore di modernità.

Cartolina che un ospite del Cappello d’Oro inviava a un amico nel febbraio del 1902

 

La città stava crescendo a ritmo vertiginoso e stava radicalmente modificando la vecchia struttura urbana per acquisire un volto moderno.

La costruzione della funicolare per Città Alta, risalente al 1897, aveva accelerato il trasferimento al piano di molti cittadini

 

Porta Nuova e l’insegna del Cappello d’Oro a sinistra. Considerata la presenza dei lampioni a gas e la mancanza dei binari del tram, si evince che la fotografia è anteriore al 1887

 

Questa ripresa fu eseguita a non molti anni di distanza dal medesimo punto di vista ma con sensibili differenze: vi sono i binari del tram ed è giunta l’energia elettrica a sostituire i lampioni a gas. Ne deriva che l’immagine è posteriore al 1890 e comunque non va oltre il 1901 poiché esistono ancora i cancelli daziari

Con l’abbattimento delle Muraine sorgevano nuove case, venivano tracciate nuove strade e migliorava la viabilità e, in tutto questo, il decollo dell’industria e dei commerci elettrizzava i bergamaschi.

Inizi XX secolo: Bergamo è in odore di modernità

 

In viale Roma, accanto alla Fiera

Nella città che si apprestava a crescere il Cappello d’Oro stazionava al crocevia dei tre cuori pulsanti del centro cittadino di allora, ovvero tra il Sentierone e la Fiera – la grande area del commercio e della finanza cittadina -, il Foro Boario, cioè Mercato del Bestiame, e la fermata delle vaporiere provenienti da Lodi e Milano – il famoso “tram belga” – attraverso lo smistamento di Treviglio.

Al centro dello slargo una torretta vetrata di circa otto metri e con un grande orologio in cima fungeva da capolinea, e all’arrivo del tram belga, un fumigante convoglio, venivano scaricate le folle del trevigliese e del milanese che si smistavano fra negozi, uffici pubblici, scuole ed ospedali.

Il Foro Boario, nei pressi della stazione ferroviaria, nel 1900 (foto Giovanni Limonta)

L’arrivo delle vaporiere affumicava l’aria rendendola irrespirabile per oltre una mezz’ora: il tempo richiesto per scaricare e caricare le merci e rifornire le vetture del combustibile necessario.

Il tram belga sta per sostare davanti al capolinea di Porta Nuova in attesa di ripartire alla volta di Treviglio. Lungo la strada le rotaie del tram a cavalli in servizio tra la stazione ferroviaria e piazza Baroni

Avvelenati dai miasmi del carbone i passeggeri ed i passanti non potevano far altro che tossire, mentre gli astanti in attesa di ripartire si chetavano solo al fischio potente e allo sferragliare della vaporiera. Finalmente, partiti i convogli, per qualche ora si poteva respirare.

Al frastuono che avvolgeva tutto intorno il Cappello d’Oro si contrapponeva la calma quasi irreale che si respirava al suo interno.

LA CLIENTELA

La clientela era formata prevalentemente da habitué – commercianti, rappresentanti e viaggiatori – che non badavano ad altro che a spassarsela in pace. Forniti di marenghi trascorrevano il tempo tra qualche impegno di lavoro, visite agli amici, agli uffici notarili, alle banche e al ritrovarsi al Circolo per la partita, magari assaporando l’idea di qualche scappatella.

Lustrascarpe davanti al Cappello d’Oro, 1899 (Raccolta Lucchetti)

Tutt’altra musica la domenica all’ora di cena, quando i “privilegiati” arrivavano con la famiglia, figlioli compresi, tutti azzimati ed eleganti. L’aria si faceva allora densa di attenzioni e reciproche cortesie.

Le signore svolazzavano tra chiffon e cappelli mentre gli uomini sfoggiavano le impeccabili giacche lunghe con i calzoni a righe e le scarpe di vernice, i solini e il fazzoletto ricamato nel taschino, con la catena d’oro in bella mostra sul bianco gilet inamidato.

1910 circa: le dame sul Sentierone e, accanto, il Teatro Donizetti

Il lunedì era invece giorno di traffici, delle più disparate riunioni fra negozianti, viaggiatori di commercio e mediatori d’ogni sorta, che stazionavano all’Albergo sino a notte: tipi alla buona comunque, chiassosi, bevitori e gran mangiatori.

Nei primi decenni del Novecento il Cappello d’Oro fu la sede preferita per le contrattazioni tra imprenditori ed acquirenti del bestiame, delle granaglie e dei concimi commerciati al mercato della Malpensata, Dopo le contrattazioni i “padroni” s’intrattenevano al Cappello d’Oro per il pranzo (fotografa del 1925 circa: i l nuovo Mercato del Bestiame trasferitosi alla Malpensata verso il 1915. Raccolta Lucchetti)

DOPPIO MENU PER CLIENTI….DIVERSI

Nella battagliera giornata del lunedì non si contavano perciò le tazzone di “busecca”, di foiolo, il carrello con il manzo, l’arrosto a pezzi monumentali, lo stracchino di gorgonzola tagliato alla brava, le fettone di salame casalingo, il grana dalla goccia verde.

Davanti al Cappello d’Oro nel 1913

Tutto ‘sto “ben di dio” spariva alla vista nei giorni successivi per non urtare i palati fini – non avvezzi al cibo triviale – per i quali, al Cappello d’Oro, si approntavano piatti saporiti ed invitanti, ma delicati: si dice che il famoso carrello dei bolliti fosse d’argento.

GOLOSONI ILLUSTRI

Piatti di cui, al tempo della Stagione lirica al Teatro Donizetti, due gran mangiatori come Pietro Mascagni e il maestro Leopoldo Mugnone, croce dei cantanti e degli orchestrali, non si stancavano di lodare la bontà: la cucina del Cappello d’Oro diventava magnifica.

Pietro Mascagni al Teatro Donizetti, il 3 ottobre 1940, quando lo stesso maestro diresse la Cavalleria Rusticana per il 50° anniversario dell’opera. Qui è rappresentato con tutti gli interpreti, fra cui Jolanda Magnoni, Maria Marcucci, Ida Mannarini, Alessandro Ziliani, Antenore Reali. Accanto a Mascagni è l’allora ministro e gerarca fascista Giuseppe Bottai, che proprio in quegli anni lì dirigeva il Premio Bergamo. La fotografia fu scattata dal celebre Umberto Da Re

 

La loro presenza al Cappello d’Oro si affiancava a quella degli artisti che imperversavano in città nell’agosto e nel settembre o a quella di coloro che vi facevano tappa nel viaggio verso San Pellegrino, l’aristocratica sede termale onorata da Sua Maestà la regina Margherita, da ministri, banchieri, industriali, stranieri di fama.

La Principessa Bonaparte a San Pellegrino

In tali occasioni, al Cappello d’Oro aumentavano i cuochi e i camerieri, e fu proprio lì che comparvero le rarità dei vini francesi, degli champagne, dei cru e dei cognac pregiati.

FESTE E FESTINI

Questi festini si ripetevano nello stesso salone anche in caso di elezioni, dove in seguito ai successi il ricchissimo senatore radicale Adolfo Engel non tralasciò di porgere ai suoi maggiori elettori ostriche, tartufi, pâtés di Strasburgo e larghe fette dei panettoni fatti arrivare appositamente dal Cova di Milano. In queste occasioni, si imbandivano tavolate regali con tovaglie di lino, posate d’argento e porcellane.

La storica pasticceria “Cova” rientra tra le botteghe storiche e “di rilevanza sociale” di Milano: aperta a lato del Teatro alla Scala nel 1817 da Antonio Cova, un ex soldato di Napoleone, nel 1950 si trasferì in via Monte Napoleone. Oggi, la partecipazione di maggioranza della storica pasticceria è stata aggiudicata alla holding di Louis Vuitton

All’Albergo si tenevano anche eleganti banchetti di nozze così come banchetti organizzati per varie celebrità o per nomine a Cavaliere o Commendatore.

Anni Quaranta: fra il Cappello d’Oro e la Zuccheriera

 

Fra i Quaranta e i Cinquanta: fra il Cappello d’Oro e la Zuccheriera

 

Anni Quaranta nello slargo tra via Tiraboschi e viale Papa Giovanni XXIII

Quando Bergamo ospitò Gabriele D’Annunzio, non fu difficile rendergli gloria se non raccogliersi, intorno a lui, al Cappello d’Oro nel corso di una memorabile serata pari soltanto a quella che si organizzò per la divina Rosina Storchio, in onore della quale si era approntata una cena principesca.

Rosina Storchio (1876-1945), soprano italiano, creò ruoli in diverse opere di Puccini, Leoncavallo, Mascagni e Giordano tra cui Mimi in La Boheme (1897) e Cio-Cio San in Madama Butterfly (1904)

Momenti di gloria rimasti a lungo nella memoria cittadina insieme al ricordo di centinaia di curiosi, accalcati nell’attesa, stupiti dell’incredibile via vai degli omaggi floreali che gli estimatori del celebre soprano avevano fatto pervenire.

Fuori, ravvolto nella prefettizia consunta, il Sìndech de Pòrta Nöa, seduto sui gradini dei Propilei, aspirava dalla sua pipa di gesso il fumo di un fetido trinciato e contemplava assorto la prima luna.

A che cosa pensava?

Alle fervorose arringhe degli avvocati, ch’egli ascoltava estatico e come inebetito, quando seguiva fra il pubblico i processi dell’Assise in Piazza Vecchia?

 

Riferimenti principali

Il Cappello d’Oro, da “Bergamo così (1900 – 1903?)” di Geo Renato Crippa.

Luigi Pelandi, “Attraverso le vie di Bergamo scomparsa. II. La strada Ferdinandea”. Banca Popolare di Bergamo. Co-Editore: Edizioni Bolis. Bergamo, 1963. Collana di studi bergamaschi.

 

Ultima modifica 02/12/2023

Lo storico Caffè Balzer sul Sentierone, specchio di un’epoca

Il nome “Balzer” suona come una piccola melodia che riecheggia nell’aria evocando profumi e sensazioni palpitanti di vita, e vien voglia di pronunciarlo lasciandosi trasportare dalla scia di storie non poi così lontane.

Quando nel 1936 i Balzer, mercenari originari del Leichtenstein, aprirono i battenti del famoso “Caffè”, potevano già vantare un passato di tutto rispetto avendo già aperto dal lontano 1850 la loro prima pasticceria a Palazzolo sull’Oglio, cui ne era seguita una seconda a Treviglio.

Quando i Balzer nel 1936 aprirono il Caffè sul Sentierone, il Nazionale vi esisteva già dall’Ottocento in un edificio della vecchia Fiera, dove aveva simboleggiato a lungo, grazie all’intraprendenza dell’impresario teatrale milanese Pilade Frattini (che ebbe in gestione anche il Teatro Nuovo e il Casinò di S. Pellegrino), la “Belle Époque” in salsa nostrana. Era anche il ritrovo della vita artistica ed intellettuale di Bergamo

I Balzer erano approdati nel cuore di Bergamo bassa rilevando quei locali sotto i portici del Sentierone posti a pochi passi della pasticceria di Ubaldo Isacchi, già stanziata in loco dal 1917, nei locali occupati in precedenza dal Caffè Nazionale, aperto nell’antica Fiera.

L’ingresso dell’autostrada Milano-Bergamo nel 1928, poco dopo l’inaugurazione, con a destra il cartello pubblicitario della Pasticceria Isacchi e, a sinistra, quello del Moderno, albergo “di prim’ordine” (proprietà Museo delle Storie di Bergamo)

Giunta in città, la storica denominazione si riconfermò da subito come uno fra i marchi più prestigiosi, dando avvio ad un’epoca splendente che vide il suo apogeo negli anni Cinquanta e Sessanta, quando Modugno cantava “Nel blu dipinto di blu”.

Lungo il Sentierone nel 1939

 

La storica pasticceria, dal 1936 tra gli eleganti portici affacciati sul Sentierone, di fronte al Teatro Donizetti, domina il viale pedonale aperto nel 1762 come passeggiata per eccellenza dei bergamaschi

Se fino a metà Novecento il Balzer aveva conteso al Nazionale il primato di “Caffè d’eccellenza” del Sentierone, la gestione unificata dei due locali sotto il nome di Sandro Balzer aveva incrementato l’assidua frequentazione dei caffè più eleganti del “corso”, permettendo ai bergamaschi di rivivere l’eco della romana via Veneto.

 

Il Nazionale intorno alla metà degli anni Cinquanta, dopo che Sandro Balzer ne assunse la gestione. Si notino le tipiche tende Balzer lungo tutte le arcate dei portici, sormontati dall’insegna del “Nazionale” (immagine del Fondo Cittadini esposta alla mostra “La città visibile”, organizzata nel 2008 all’allora Museo storico di Bergamo)

 

Capannelli sul Sentierone nel  novembre 1963 (Foto Giovanni Gelmini)

 

Capannelli sul Sentierone nel novembre 1963 (Foto Giovanni Gelmini)

Fu proprio allora che, con Sandro Balzer, venne “rispolverata” la produzione della celebre “Polenta e Osèi”– rivisitazione dolce del tradizionale secondo piatto locale – che da tempo forma un binomio indissolubile con la città, tanto da essere uno dei pochi souvenir esportati in tutto il mondo.

La “Polenta e Osèi”, il dolce tipico di Bergamo, fu creata nel 1907 da Alessio Amadeo nella sua pasticceria di viale Roma, la “Milanese”. Egli la riprodusse in vari formati, ottenendo da subito un grande successo. Venne poi riproposta da altre pasticcerie della città (proprietà Balzer)

 

Gioppino e la “Polenta e Osèi” di Balzer (Archivio Balzer)

 

Brevetto di Balzer della “Polenta e Osèi” (Archivio Balzer)

 

Brevetto di Balzer della “Polenta e Osèi” (Archivio Balzer)

Negli anni precedenti, dai laboratori del Balzer si sfornavano panettoni annoverati tra i più celebrati marchi meneghini, grazie alla capacità di coniugare la fedeltà verso le antiche ricette ai gusti moderni e all’innovazione.

Anni Sessanta: l’ultima sfornata dei panettoni di Natale, prodotti con ingredienti di prim’ordine e capaci di concorrere con le rinomate fornerie meneghine (Archivio Balzer)

 

Il laboratorio Balzer. Giancarlo Balzer ricorda la produzione della pasticceria quando era piccolo e faceva capolino in laboratorio: “Prima i bignè erano uno diverso dall’altro e grandi, le torte molto lavorate e confezionate con meticolosità da mia nonna nel laboratorio” (Archivio Balzer)

 

Il vigile in pedana in piazza Vittorio Veneto (anni Sessanta)

Durante il periodo natalizio gli automobilisti li acquistavano per depositarli all’angolo del Sentierone, di fronte alla Vedovella, come gentile omaggio per i Vigili Urbani.

1967: il punto di raccolta dove a Natale gli automobilisti depositavano il panettone in omaggio ai vigili urbani

 

1967: il punto di raccolta dove a Natale gli automobilisti depositavano il panettone in omaggio ai vigili urbani

 

1967: il punto di raccolta dove a Natale gli automobilisti depositavano il panettone in omaggio ai vigili urbani

 

Piazza Vittorio Veneto e la torre dei Caduti negli anni Cinquanta (Archivio fotografico Sestini – Fondo Cittadini)

 

Bergamo Alta da piazza Matteotti, illuminata in occasione delle festività natalizie

E così fu anche per la “Torta Donizetti”, prodotta da Angelo Balzer nel 1948 in occasione del centenario della morte del noto compositore bergamasco; dolce di cui ancor oggi si conservano i brevetti originali: una torta margherita a forma di ciambella con pezzetti di ananas canditi.

Di nuovo le tende di Balzer nei locali precedentemente occupati dal Nazionale; tuttavia  l’insegna “Nazionale” è scomparsa (da una cartolina d’epoca)

Il suo successo non fu però immediato ed anzi, dopo la chiusura di alcune pasticcerie – in particolare Viola, Amadeo e Calzavara – la torta del Donizetti aveva addirittura rischiato l’”estinzione”: esplose nel 1997, quando la Camera di Commercio invitò il Gruppo pasticcieri dell’Associazione artigiani a rilanciare la torta e a definirne la ricetta, ora arricchita rispetto alla prima versione, con l’aggiunta di albicocche candite per garantire quel tocco in più di freschezza in una torta già di per sé ricca di burro, uova, zucchero e con un intenso aroma di vaniglia.

La nuova ricetta della Torta Donizetti, del 1997, è stata omologata ed inserita in “Bergamo Città dei Mille sapori”, il marchio della Camera di Commercio che garantisce la genuinità dei prodotti bergamaschi (proprietà Balzer)

Una felice intuizione, all’epoca assolutamente innovativa, fu quella di dotarsi di quei simpatici veicoli bicolori che ogni mattina distribuivano in tutta la provincia i prodotti appena sfornati e che ancor oggi rappresentano l’immagine di Balzer riconosciuta in tutto il mondo.

I furgoni di Balzer negli anni Sessanta (Archivio Balzer)

 

Anni `50 del XX secolo. Bergamo  (proprietà Museo delle Storie di Bergamo)

 

LA DOLCE VITA

L’interno di Balzer in un’immagine d’epoca (Archivio Balzer)

Negli anni “ruggenti” – quelli del Tullio, del Sandro, del Nino e del Pasta -, Balzer era il locale di punta della Bergamo chic e salottiera, quando nell’attiguo Teatro Donizetti impazzavano spettacoli di prim’ordine e l’aperitivo così come il dopo-teatro, erano un rito irrinunciabile.

In quegli anni il Donizetti sciorinava il fior fiore delle esibizioni: Lucia di Lammermoor, Don Pasquale, un concerto dell’orchestra d’Archi dell’Angelicum di Milano, i balletti del Festival internazionale di Nervi: Corrida, Cigno nero, Don Chisciotte, Giselle..

 

Un ricordo del Sig. Salvatore, al lavoro presso il Caffè Pasticceria Balzer (per gent.ma concessione della figlia, Renata Pellegrini)

Vi gravitavano i grandi nomi dello spettacolo e della cultura, nazionale ed internazionale: dalla divina Maria Callas al maestro Gianandrea Gavazzeni, da Mastroianni a Gassman, dal sovrintendente Bindo Missiroli alle ballerine classiche come Ivette Chauvrié (étoile e poi direttore dell’Opéra di Parigi), Lina Dayde e Rosella Hithower fino ai cantanti come Renata Scotto, Paolo Washington, Antonio Zerbini, e moltissimi altri.

Nelle soste prolungate ai tavolini all’aperto si dava appuntamento la crème della Bergamo bene composta da habitué: avvocati come Pezzotta, Riva, Graff, Tadini; politici, notai e banchieri, dottori, calciatori, industriali, giornalisti, intellettuali e nobiltà locale.

Uno stand della libreria fondata da Arnoldi sul Sentierone negli anni Trenta. La libreria si trovava in piazza Santo Spirito (proprietà Libreria Arnoldi)

Bisogna ricorrere all’onnipresente “Novecento a Bergamo” per ricordare alcuni fra i nomi degli habitué del Balzer.

L’insegna del Cinema “Centrale” sotto i portici

Fra gli intellettuali spiccava fra tutti il poeta Alberico Sala, insieme ad Emilio Zenoni col già citato Bindo Missiroli e il suo Teatro delle Novità

Gli edifici del nuovo centro progettato da Marcello Piacentini. Fra gli habitué del Balzer v’era anche anche il noto odontoiatra Mike Avetta, il cui cognome campeggiava a caratteri cubitali proprio sopra i portici del Sentierone

Negli anni Sessanta, fra gli habitué locali v’erano Moltrasio, Gilardoni, Nino Zucchelli, Vavassori tutore di Daniele Pesenti, l’altera signora Mina Pesenti, Martino Marzoli, descritto a rincorrere la splendida soubrette Elena Giusti, Aldo Rigamonti..

E ancora Frattini e Siebaneck, “Xella con la sua rombante moto, Marcello Personeni con il suo fascino di gran conquistatore, il giovane giornalista emergente Ravanelli, Renato Cortesi, l’Annalisa Cima di San Giovanni Bianco, sorella cerebrale di quel mattocchio di Francesco. Tutti seduti al Balzer a ciacolare spensieratamente”.

Notturno, 1953

Fra i “principi” del Foro: Pezzotta, Riva, Graff e Guido Tadini con la bellissima Maria: la coppia più in vista della Bergamo più snob.

Porta Nuova, 1947

Fra la Bergamo nobile: il conte Marino Colleoni, la baronessa Ninì Scotti con la madre Maria, Gian Maria Suardo, Carlo Bonomi e il caratteristico Stanislao Medolago.

Inoltre, il conte Alberto Mapelli, “sfegatato di auto e di belle donne”, Giancarlo Turani, Dedi Testa, i fratelli Radici, Giampiero Pesenti, Pierino Terzi, “il più grande barzellettiere di quel tempo, scapolo impenitente crollato sul filo di lana..”.

Trofeo Balzer Ciclismo. Anni ’50/’60

Ma vi bazzicavano anche personaggi bizzarri, “amanti e nuovi artisti, sfaccendati e biscazzieri, sensali e finanzieri. Bella gente e anche no, però sempre con un certo stile”.

A spasso per i portici del Sentierone, intorno agli anni Trenta

Un locale popolare e aristocratico, culturale e mondano, serio e pettegolo, tradizionale e moderno, dove passarono la cronaca e la storia.

Notturna, 1950

Gli argomenti spaziavano dalla politica allo sport, dalla cronaca locale agli scandali nazionali, dall’arte alla cultura e, naturalmente, le belle donne.

Il sentierone in veste domenicale (Foto Giovanni Gelmini)

 

Piazza Dante era all’epoca un tripudio di bolidi: c’era l’argentea Mercedes di Ferretti, l’Aurelia e la moto Rumi degli affascinanti fratelli Reggiani.

Motociclisti in piazza Matteotti,  anni ’50. Nell’immagine è ritratto uno dei due figli della famiglia Reggiani, entrambi scomparsi giovanissimi (Foto Gentili)

C’era Sergio Nessi con la Topolino Mille Miglia, Cesare Gambirasi con la Mg e Antonio Cembran con una sorta di ‘portaerei’ americana.

 

E non poteva mancare, nel ricordo di Antonio Cembran, un certo Rififì con tanto di Rolls Royce nera e autista in gambali (1).

Per il suo essere intimamente legato alla vita e agli umori cittadini, il Balzer era perciò era divenuto una costante dei principali reportage giornalistici locali, alla stregua della “dolce vita” di romana memoria.

DAGLI ANNI DELLA CRISI ALLA RINASCITA

La famiglia Balzer condusse la gestione del locale fino al 1986. A distanza di dieci anni e cioè dal luglio del 1996, il salotto buono e caffè storico d’Italia venne chiuso per una crisi causata da costi elevati.

Fine anni `50 – inizio anni `60. Bergamo, Sentierone (proprietà Museo delle Storie di Bergamo)

Si ebbe la sensazione che la sua chiusura coincidesse con la fine di una certa Bergamo. Che si trattasse di un cambio epocale e che il mondo che l’aveva caratterizzato fino a quel momento stesse scomparendo, insieme a quella spensieratezza che si era respirata molto a lungo.

Tanto che quando l’anno successivo il locale riaprì i battenti, in molti si chiesero se ciò potesse bastare per ritrovare quell’atmosfera vagamente mitteleuropea che ne aveva fatto un luogo magico e irripetibile.

Un luogo che aveva racchiuso in un angolo di città, tra migliaia di tazzine di caffè ed aperitivi, il pensiero, l’estro, la gioia di vivere, la voglia di esserci e raccontarsi.

Bene o male, si era chiusa un’epoca.

Dopo il lungo periodo contrassegnato dalla gestione della famiglia Balzer, si sono susseguiti a ritmo sempre più serrato ben sei passaggi di mano: un continuo avvicendamento culminato nel 2014 nell’estromissione dalla guida dei Locali storici d’Italia, dove il locale era regolarmente inserito fin dagli anni Novanta del secolo scorso insieme al Caffè del Tasso di Piazza Vecchia e al Caffè Falconi di via Camozzi (2).

Una crisi imputabile in parte anche al fenomeno dello “svuotamento” del centro, che sempre più occupato da banche ed uffici aveva portato la comunità cittadina a cercare altrove i suoi luoghi di incontro.

Mamme e bambini in Piazza Dante negli anni Cinquanta

Oggi, lasciatasi alle spalle le passate traversie, la storica insegna è oggetto di un progetto di rilancio che sembra andare di pari passo con la voglia di recuperare a nuova vita e a nuova energia il centro cittadino.

La rinascita del locale-simbolo della città è stata affidata all’estro e all’esperienza dello chef Vittorio Fusari, intenzionato a ricostruire il prestigio di un marchio che è strettamente legato al mondo del dolce.

Le medaglie di cioccolato dedicate a Donizetti (proprietà Balzer)

La pasticceria è perciò tornata ad essere protagonista assoluta nel rinnovato Balzer, tornando ad essere tutta prodotta nei grandi laboratori del seminterrato del locale, compresi i lievitati – i dolci storici del Balzer -, che tanta celebrità han dato ad un marchio capace di espandersi ben oltre i confini della provincia.

I celeberrimi panettoni “Balzer” (proprietà Balzer)

Un grande lavoro è quotidianamente orientato a recuperare i piatti e i dolci storici del Balzer, quelli che parlano alla memoria dei bergamaschi, alleggeriti però nelle calorie.

A livello più generale Fusari ha rivalutato il concetto di “osteria”, tornando a concepire il locale come un luogo di aggregazione, non solo attraverso una una proposta molto diversificata ed articolata, tesa a soddisfare le esigenze più svariate, ma anche creando più posti a sedere e rendendo accoglienti diversi angoli che erano stati dimenticati nel tempo, sempre nel rispetto dei dettagli storici.

L’interno (proprietà Balzer)

 

Proprietà Immobiliare della Fiera

Per quanto concerne la cucina (sempre aperta), la creatività si coniuga alla freschezza e alla qualità delle delle materie, con una spiccata predilezione per le biodiversità locali, per i prodotti provenienti da agricoltura biologica, per l’utilizzo più tradizionale delle tecniche di cottura, raffreddamento, fermentazione e trasformazione.

Proprietà Immobiliare della Fiera

“Una cucina che sceglie il rispetto del lento scorrere delle stagioni e che si ancori alla memoria della propria cultura e delle proprie origini”.

E se lo dice Vittorio Fusari, possiamo credergli.

Note

(1) “Il Novecento a Bergamo – Cronache di un secolo”. Di Pilade Frattini e Renato Ravanelli. A cura di Ornella Bramani – Vol. II. UTET. Anno 2013.

(2) Nel 2014 l’attività venne rilevata dal gruppo arabo di Dubai Dnata, uno dei maggiori fornitori al mondo di servizi nel settore aeroportuale, che già dal 2008 deteneva il 50% delle quote insieme alla Servair Air Chef, società francese specializzata nella gestione di bar e nella ristorazione aeroportuale. Il 30 gennaio del 2015 il testimone passò nelle mani dell’esperto imprenditore toscano Giovanni Barghi. Nel febbraio del 2018 la gestione venne ceduta all’imprenditore Patrizio Locatelli, con l’intento di riportare a Bergamo l’eccellenza e la qualità Balzer. Dal marzo 2018 la società capitanata da Patrizio Locatelli ha affidato allo chef Vittorio Fusari il progetto di rilancio della storica insegna del Sentierone.

L’anima di Città Alta a rischio estinzione: sempre meno botteghe e abitanti storici

Lo storico negozio-laboratorio dell’orafo Blumer a due passi da Piazza Vecchia chiuderà presto i battenti: «Lascio una strada sporca e invasa dalle auto. E un centro storico che assomiglia sempre più a Gardaland». La notizia, apparsa ieri sul quotidiano locale L’Eco di Bergamo, riapre l’annoso dibattito legato al fenomeno della Turistificazione dei centri storici, che nell’Italia di oggi ha raggiunto dimensioni preoccupanti coinvolgendo centinaia di città e centri minori, favorito dalla diffusione di piattaforme turistiche digitali. Se Venezia e Firenze rappresentano casi estremi della mercificazione dei luoghi, emblemi di una monocoltura turistica ormai irreversibile che vede i centri storici  cristallizzarsi in musei e in location riservate ad eventi, anche quello di Bergamo non si sottrae a questa tendenza, sedotto dall’idea mettere a reddito la sua bellezza. Da quando Bergamo si è scoperta “città d’arte”, alle dinamiche innescate dal mercato immobiliare dagli anni ‘70 si è aggiunto un ipertrofico sviluppo turistico che ha accelerato i processi di espulsione degli abitanti storici (in particolare delle fasce economicamente più fragili), mutando profondamente il tessuto sociale di Città Alta. Si sono così moltiplicate le infrastrutture per visitatori, dalle strutture ricettive (soprattutto airbnb), ai negozi (gadget, fast food, yogurterie.. e l’elenco potrebbe continuare all’infinito), a discapito degli esercizi di prima necessità e del permanere di  artigiani, divenuti ormai introvabili. Ripropongo perciò un resoconto, risalente al luglio del 2014 ma indicativo di un trend che purtroppo non ha subito mutamenti, aggiornando i dati essenziali alla situazione attuale.

Via Colleoni, la via di Bergamo Alta che presenta il maggior numero di attività commerciali, cambiate radicalmente dalla metà degli anni ’70, con il vorticoso susseguirsi  del cambio tipologico dei negozi

Percorrendo la Corsarola – il lunghissimo “serpentone” che da piazza Mercato delle Scarpe si allunga verso la Cittadella – non si può non avvertire un senso di disagio per la crescita spropositata di esercizi commerciali che ben poco hanno in comune con l’identità di un centro storico, un tempo ricco di botteghe e negozi sufficienti a soddisfare il fabbisogno degli abitanti.

Negozi che, nella loro semplicità e in sintonia con il luogo, si accompagnavano  al brulichìo che si svolgeva entro le mura e che nel volgere di poco hanno chiuso i battenti, per lasciare spazio a un cambiamento poco consono ai ritmi e al tessuto sociale della città sul colle.

Uno dei due negozi di frutta e verdura – entrambi affacciati su via Colleoni – che riforniscono il centro storico di Bergamo Alta, dove negli ultimi decenni si è registrata una forte variazione delle attività commerciali

 

La Pasticceria- bar Cavour in via Gombito, aperta nel 1850, può fregiarsi del prestigioso titolo di “Locale storico”

Un problema annoso, quello della penuria di botteghe storiche e di negozi di vicinato, strettamente legato allo  spopolamento verificatosi a partire dagli anni ’60 e alle vertiginose dinamiche del mercato immobiliare, che in pochi decenni hanno ribaltato l’assetto socio-economico di Bergamo Alta con un notevole incremento già a partire dal trentennio 1971/2001.

Le dinamiche legate al profondo mutamento del tessuto sociale di Città Alta di Bergamo, affondano le radici nel decennio che va dagli anni ’50 agli anni ’60, quando all’esodo dei residenti verso la periferia e al conseguente deprezzamento immobiliare dei fabbricati lasciati in disuso, è seguita, dagli anni ’70, la corsa al recupero a vantaggio della speculazione edilizia. Dinamiche cui s’è aggiunto il fenomeno prorompente del turismo, che assommato a una complessa serie di problematiche ha cambiato l’anima di Città Alta, alterandone indiscutibilmente la vivibilità (nell’immagine, il secondo dei due negozi di frutta e verdura di via Colleoni)

Un centro, quello di Bergamo Alta, dove a una compagine sociale un tempo  prevalentemente popolare, ha corrisposto via via la crescita senza precedenti di una classe d’élite composta per lo più da medio-alta borghesia.

Il Caffè del Tasso in Piazza Vecchia, insieme alla pasticceria Cavour, uno dei più antichi locali storici che la storia della città orobica ricordi

Dai dati demografici annuali del Comune di Bergamo degli ultimi 60 anni circa, si può capire quanto profondo sia stato il mutamento, sia per quanto riguarda il calo della popolazione (in larga parte relativo ai ceti più deboli) e sia riguardo la sua composizione sociale.

L’esodo dei residenti dal centro storico verso la periferia si è verificato già a partire dal decennio ’50-’60. Se negli anni ’50 il centro storico era abitato da 8.000 persone, provenienti per lo più dai ceti popolari (una media superiore rispetto a quella del resto della città), nel 1961 la popolazione si è ridotta sino a raggiungere i circa 6.500 abitanti, subendo un ulteriore calo nel 1971 (con  4.109 abitanti) per arrivare a 2438 abitanti dentro le mura nel 2014: 1571 persone in meno rispetto al 1971, pari al 38% della popolazione.
Un’emorragia che si è ulteriormente aggravata, considerato che nel 2016 il numero degli abitanti ha toccato il minimo storico con 2400 unità.

La vetrina del Panificio Tresoldi in via Colleoni 

Per quanto riguarda la composizione sociale degli abitanti dentro le mura, se nel 1971 era molto simile a quella dell’intera città di Bergamo, nel 2001 già si registrava un incremento del 16% di appartenenti al ceto benestante (imprenditori, liberi professionisti, lavoratori in proprio). Un trend che si è progressivamente aggravato a causa della crescita verticale dell’industria del  turismo, che ha fatto sì che negli ultimi quarant’anni le case vuote siano aumentate di sei volte, le abitazioni di proprietà siano raddoppiate e quelle in affitto dimezzate, precludendo l’accessibilità alle giovani coppie con figli e favorendo “una omogeneità sociale fatta di famiglie piccole e benestanti. La città storica diventa la città dei ricchi. E, in prospettiva vicina, la città dei turisti” (1).

La passeggiata lungo la Corsarola (via Colleoni), spina centrale di Bergamo Alta, lungo la quale si affacciano numerosi gli esercizi commerciali

L’inclusione delle Mura veneziane della città nel patrimonio Unesco ha ulteriormente aggravato il problema delle abitazioni, facendo raddoppiare le vendite “di pregio” e incrementando la presenza di strutture alberghiere, con un aumento del 79%  degli airbnb ed un calo del 9,2% per gli alberghi veri e propri dal 2010 ad oggi: i turisti che ogni anno visitano il centro storico sono stimati in circa 200.000 l’anno, cento per singolo abitante (2).

Panificio-pizzeria da taglio Pesenti in via Colleoni

 

Un’altra significativa immagine di uno dei due negozi di frutta e verdura di Bergamo Alta, affacciati su via Colleoni, la via dello “struscio”

La sensibile estromissione delle botteghe storiche e dei negozi di vicinato – non più in grado di sopravvivere a causa dell’attività molto ridotta -, se da un lato si lega strettamente alla inarrestabile emorragia della popolazione, è d’altro canto ulteriormente favorita dalla crescita, già in atto dalla metà degli anni ’70, di tipologie commerciali sempre più rivolte a chi giunge da fuori.

La Vineria Cozzi in via Colleoni, un tempo ritrovo degli abitanti del centro storico, oggi  è un raffinato ristorante

I negozi di utilità sociale, che dovrebbero soddisfare le necessità quotidiane dei residenti, sono a rischio estinzione proprio a causa della omologazione commerciale dell’effimero composta da negozi di abbigliamento, souvenir e simili, ai quali si sono aggiunte le crescenti offerte di ristorazione e alloggio.

Fruttivendolo in via Colleoni

Alla scomparsa di numerose botteghe artigianali (nel 1976 vi erano ben 5 calzolai), corrisponde nel centro storico un calo considerevole dei negozi di alimentari (dei 14 esistenti ne sono sopravvissuti 3 alla data del 2014), nonché di tutti i negozi di vicinato.

Una situazione aggravata dal fatto che questi ultimi, laddove persistono, non sono più intesi nel senso classico del termine ma si sono trasformati in qualcosa che spesso non è alla portata di tutte le tasche.

Ex panificio Tresoldi, ora adibito a bistrot

 

Nel centro storico, agli esercizi storici come il Ristorante-pizzeria “Da Mimmo” in via Colleoni, si sono aggiunte nel tempo numerosissime attività con una crescita dell’80% di bar e ristoranti, del 55% di negozi di abbigliamento e del 65% di souvenir per Città Alta e Borgo Canale dal ’76 al 2013

Dal 1976 all’ottobre 2013, insieme al calo della popolazione si è registrato il seguente decremento:
-20% panettieri
-35% antiquari
-30% orefici
-50% parrucchieri
-65% fruttivendoli
-75% calzature
-80% alimentari generici e latterie
-100% calzolai

Dal confronto, mentre si registra un forte aumento per i negozi di abbigliamento, di articoli da regalo e in particolare per bar e ristoranti, si è registrato un calo per fruttivendoli, parrucchieri, antiquari, orefici e panettieri, proporzionale alla variazione della popolazione (+/-35%).

Ex Pasticceria Donizetti, ora Enoteca

Il destino peggiore ha riguardato soprattutto i negozi di alimentari e drogheria, calati dell’80%: di fatto, ad oggi dentro le mura trovare un idraulico, un meccanico, un elettricista o un restauratore è diventata un’impresa.

Il Panificio Tresoldi in via Colleoni: bottega storica

Per quanto riguarda la ricettività turistica, dal 1974, con 74 posti letto degli alberghi e locande, si passa nel 2014 ai 320 posti in alberghi e “case per ferie “ (Seminario e suore di via Donizetti) ed i 90 posti tra B&B e “case vacanza“, con un incremento di 336 posti letto pari circa il 500%.

Ed oggi? “La città storica diventa un dormitorio per turisti di lusso: in Città Alta ogni notte dormono 12,4 turisti per abitante, mentre i posti letto sono ormai 30 ogni 100 abitanti”, come affermato da Tommaso Montanari in un articolo recentemente apparso sul Fatto Quotidiano (3).

Il tipico dolce bergamasco che tanto piace ai turisti: la “polenta e osèi”

Le botteghe storiche e i negozi di vicinato sono essenziali per l’aggregazione del delicato tessuto sociale, in particolare per la vita quotidiana delle classi più deboli, anziani in primis, categoria in costante crescita per la quale al disagio di dover raggiungere punti vendita lontani si associa spesso anche quello di non possedere un proprio mezzo di trasporto: cosa per la quale più volte l’Associazione per Città Alta e i Colli di Bergamo, che da tempo si occupa delle problematiche del centro storico, ha sollecitato l’Amministrazione chiedendo l’apertura di un mini Market a prezzi calmierati.

Il Panificio Nessi di via Gombito, altra bottega storica: “dal 1946”

Fece molto scalpore lo sfratto che interessò la storica Latteria Locatelli in Corsarola – unica nel centro storico con questa denominazione – che alla data del 2014 era gestita da 55 anni dalla famiglia Carenini, di cui da tempo si occupava la figlia Emanuela.

Come accaduto per altri negozi di pubblica utilità nel centro storico, anche la storica Latteria Locatelli di via Colleoni in Bergamo Alta ricevette uno sfratto in quanto l’edificio in cui si trovava era stato posto in vendita. La Latteria dovette abbandonare i locali entro la data del 31 dicembre 2014

Il 14 febbraio 2014, dopo il rischio di chiusura per la Latteria Locatelli, l’Associazione di Città Alta e Colli aveva chiesto l’intervento degli organi competenti  per salvaguardare le botteghe storiche e i negozi di vicinato di Bergamo Alta (oltre 50 realtà associative nel 2014), alla luce di quanto dettava  il Piano Particolareggiato di Recupero di Città Alta e Borgo Canale (vigente dal 2005), in merito alla salvaguardia dei negozi storici e di vicinato del centro storico.

La vecchia sede della storica Latteria Locatelli, in via Colleoni

La vicenda, ampiamente descritta ed analizzata nel semestrale dell’Associazione (Bergamore – anno 22 – n° 34 – Marzo 2014), sebbene da tempo risolta, è a tutt’oggi emblematica di una tendenza che non ha subito la minima battuta d’arresto.

L’affaccio su via Salvecchio della Latteria Locatelli, prima del trasferimento

Altro dato che va ad incidere sul triste fenomeno dello spopolamento dipende dal fatto che molti, pur risiedendo dentro le mura di fatto non vi abitano.

I locali lasciati liberi dalla Salumeria Mangili in via Gombito attesero a lungo un nuovo locatario

Una città per ricchi, dominata da un commercio orientato a soddisfare un turismo “mordi e fuggi” e privata di servizi essenziali, è sminuita e minacciata nell’integrità del suo tessuto sociale ed economico.

Dolcetti tipici, in un panificio di Via Colleoni

La comunità del centro storico rivendica la sua vitalità, Città Alta non deve diventare il museo di se stessa, un corpo estraneo rispetto alla città, ma deve vivere e palpitare nella normalità che le spetta, sempre tenendo conto delle complesse dinamiche legate alla delicatezza del suo tessuto storico.

La Vineria Cozzi in via Colleoni, locale storico

Sarebbe bello pensare che l’idea di riportare in Città Alta le famiglie normali composte da giovani coppie, bambini e anziani – tutte le famiglie e non selezionate per censo – non restasse solo un sogno. Sarebbe bello poter recuperare quella perduta dimensione di bellezza, di cui tutti i bergamaschi sentono il bisogno.

La Libreria di via Colleoni

 

Note

(1) Tomaso Montanari, Il Fatto Quotidiano, “Bergamo vale più di un parcheggio – La ‘bellezza inutile’ delle città e i sindaci come il renziano Gori”. 05 Nov 2018.

(2) Ibidem.

(3) Ibidem.

Riferimenti
I dati sono estrapolati daI semestrale Bergamore e dalle informative dell’Associazione per Città Alta e i Colli di Bergamo. Molti dati demografici sono stati elaborati da Nino Gandini, membro storico dell’Associazione di Città Alta e i Colli (AMOREBERGAMO – associazionecittaalta.org). Gli aggiornamenti sono riferiti all’articolo apparso su Il Fatto Quotidiano indicato nelle note.

Nota personale

La porzione del presente articolo, scritta e pubblicata dalla scrivente il  16 luglio 2014 è a tutt’oggi presente nel blog Creative Family (insieme alle fotografie originali), non più online ma tuttora esistente.

L’Osteria dei Tre Gobbi, il rifugio amato da Gaetano Donizetti

L’Antica Trattoria Ai Tre Gobbi, un tempo “Osteria dei Tre Gobbi”, in via Broseta, nel cuore di Borgo S. Leonardo: una delle prime osterie della città, condotta da oltre 20 anni da Marco Ceruti e da sua moglie Nives Bergamelli. La fama legata allo storico locale si è rinsaldata nel 1932 in occasione del centenario della prima rappresentazione dell’Elisir d’Amore di Donizetti, momento che ha visto il moltiplicarsi delle pubblicazioni, che hanno  contribuito a recuperarne la memoria storica

Nel 1932, nell’ambito delle celebrazioni  per il Centenario della prima rappresentazione dell’Elisir d’amore – l’opera che sempre avvince il pubblico in un’atmosfera d’incanto – Sereno Locatelli Milesi scrisse per la rivista Emporium una memorabile serie ispirata all’Osteria dei Tre Gobbi, che ripropongo da un lato, perchè  rivela l’aspetto umano del concittadino Donizetti e, dall’altro, perchè mette in luce uno spaccato di vita e di quotidianità del borgo più vivace e popoloso di Bergamo.

Fu in questo locale che Donizetti  amava sostare con i più cari amici durante i suoi soggiorni nella città natale, che egli “amò di un amore fatto di passione” e che custodisce le sue spoglie e le sue memorie più care.

Monumento funebre a G. Donizetti in Santa Maria Maggiore (Bergamo, Taramelli, riproduzione datata 1890 circa)

L’osteria era condotta da Michele Bettinelli, oste squisito e cultore del bel canto, che la tenne dagli inizi dell’Ottocento sino almeno al 1860, per poi cederla ad altri, prostrato per la morte dell’amico Gaetano.

Sotto la sua conduzione, fu per decenni il punto di ritrovo dell’affiatata cerchia di amici del Donizetti: il suo maestro Johann Simon Mayr; il tenore Tiberini, che ospitò caritatevolmente il Bettinelli nei suoi ultimi anni di vita; il pittore Deleidi detto “Il Nebbia”, che in un ritratto conservato nella villa dei Tiberini immortalò il gruppo di cui fa parte lo stesso Bettinelli; l’amico Dolci, tenore di fama, così come altri intellettuali nonchè artisti di passaggio a Bergamo.

Piazza Pontida, cuore pulsante della vecchia Bergamo, anticamente detta Piazza della Legna (Raccolta Gaffuri)

La storia comincia in via Broseta, la vecchia strada che da Piazza della Legna, ora Piazza Pontida, conduceva fuori porta.

Piazza Pontida (Raccolta Gaffuri)

Presso la chiesetta di San Rocco, in una casa modestissima si apriva il grande portone da dove passavano i rotabili e – accanto ad esso – una porticina, dalla quale si entrava a malapena.

La chiesa di S. Rocco in via Broseta, accanto all’Osteria dei Tre Gobbi (Raccolta Gaffuri)

Più sotto, l’insegna in ferro, con la dicitura: “Antica Osteria dei Tre Gobbi”: e le figure di tre gobbetti, paffuti e sorridenti, mantenutasi sino ad oggi.

“Si scendeva qualche gradino: e si entrava in una specie di antro polifemico, rischiarato da ampie finestre, aperte su orti pieni di sole e di verde:

L’Osteria dei Tre Gobbi ai tempi di Donizetti

nella prima stanza, era un ampio camino, dalla cappa maestosa: le fiamme, crepitanti perennemente, si innalzavano, lambendo pentole capaci e padelle ampie: sulle pareti fumose, risplendevano i rami delle casseruole, dei tegamini, dei timballi, delle teglie: le madie e le credenze erano molte, e tutte colme di ogni ben di Dio: sulle assi, infisse nel muro, in alto, una doppia fila di bottiglie polverose sembrava un esercito in….attesa di essere preso d’assalto: i larghi tavoli erano fiancheggiati da panche di legno e da sedie impagliate.

L’Osteria dei Tre Gobbi in attività in un disegno di Luigi Bettinelli)

Nella seconda camera, altre madie, altre credenze, altri tavoli, altri sedili: e, in un angolo, una spinetta.

Un aspetto della Trattoria dei Tre Gobbi in un disegno di Luigi Bettinelli

Nel cortile contiguo, carri e barrocci, con le stanghe alzate, simili a lunghe braccia di giganti ischeletriti ed imploranti: e carretti, e vecchie diligenze: ed un rumore di ferraglia, uno schioccare di fruste, un richiamarsi di postiglioni, un vociare di viaggiatori, uno sciamare di ragazzi: perchè entravano, in questo grande cortile, le diligenze, e da esso uscivano, pei lunghi viaggi.

Gaetano Donizetti, quando veniva da Milano, sostava con gli amici in questa osteria: e gli amici quivi lo attendevano, per essere i primi a dare il benvenuto al concittadino illustre che tornava alla città natale.

Gaetano Donizetti (Bergamo, 29 novembre 1797 – 8 aprile 1848)

L’oste era tal Bettinelli, lontano parente di un pittore dello stesso nome che ha lasciato schizzi pregevoli della famosa osteria:

Un noto dipinto di Luigi Bettinelli, lontano parente dell’oste Michele Bettinelli (“La Piazza del Duomo”.  Bergamo – propr. Eredi Bonomi)

era un ometto piccolo e rubicondo, Michele Bettinelli, dal viso aperto, spirante bonomia: ed era amico di Donizetti sin dalla più giovane età: e con Donizetti – quando erano entrambi fanciulli – avevano trionfato sulle tavole di un teatrino di dilettanti.

Michele Bettinelli (1792 – 1868), amico e fervente ammiratore di Gaetano Donizetti nonchè proprietario dell’Osteria dei Tre Gobbi

Veramente, il buon Bettinelli aveva soltanto assistito al trionfo dell’amico, perchè lui, poveretto, era balbuziente: ed un giorno, all’atto di pronunciare una battuta abbastanza complicata, aveva sentito di colpo che la lingua rifiutava di fare il dover suo, e che i denti gli si erano serrati: e si era fermato di colpo, cercando invano di pronunciare la frase: ma si era impappinto; ed aveva gridato a “Gaetanino”, con un enorme sforzo di volontà: “Vai avanti tu: io non posso!”: ed era fuggito tra le quinte, salutato dalle risate irrefrenabili del pubblico.
Amico degli artisti, il Bettinelli nutriva per il “suo Gaetano” un affetto ed una ammirazione che si potevano chiamare idolatria: giustamente ha scritto Giuliano Donati Petteni che “era una di quelle anime semplici che si accostano al genio come attirate dalla luce, riguardando ogni cosa dell’artista prediletto come propria e dedicandogli per tutta la vita una devozione umile ed assoluta”.

Gaetano Donizetti, quando era a Bergamo, frequentava sovente l’osteria del Bettinelli: insieme ad altri amici, il maestro Dolci – che Donizetti chiamava scherzosamente “Dolciumi”, Simone Mayr, il pittore Deleidi detto il Nebbia.

Luigi Deleidi detto il Nebbia, “Donizetti con gli amici”, 1830 circa. Da sinistra, l’oste Bettinelli, Gaetano Donizetti, Dolci, Simone Mayr. In piedi, il pittore Luigi Deleidi

E con piacere giocava alle bocce: narra Antonio Ghislanzoni che, essendo capitato, con alcuni amici, in un giorno del 1870, nell’Osteria dei Tre Gobbi, mentre si avviava verso il gioco delle bocce venne precipitosamente fermato dall’oste: il quale gli disse, in tono solenne che non ammetteva replica: “Se intendono giocare, passino da quest’altra parte. Questo è un viale riservato, e queste bocce non vanno toccate dai profani!”.

Il monumento al poeta Antonio Ghislanzoni, inaugurato a Caprino Bergamasco il 14 ottobre 1894. Ghislanzoni fu giornalista, scrittore, baritono, autore di oltre ottanta libretti d’opera tra cui l’Aida di Verdi, personaggio illustre della Scapigliatura milanese,

E di fronte allo stupore dei clienti sbalorditi, soggiunse: “Perchè questo viale e queste bocce sono un monumento storico…Perchè devono sapere che questa osteria di “Borgo”, così modesta e diroccata, ha avuto di quegli onori….che nessun albergo della città può vantarsi di aver mai ottenuto…Basti dire che il povero Gaetano non veniva mai a Bergamo che subito non venisse qui, a far la sua partita alle bocce!….”.
Il “povero Gaetano” era Gaetano Donizetti.

1890 circa: il gioco delle bocce a Bergamo (Raccolta D. Lucchetti)

Gaetano Donizetti non era un buongustaio della tavola come Gioacchino Rossini: ma era un entusiasta del classico piatto bergamasco “polenta e uccelli”, che il buon Bettinelli sapeva preparare con un’arte e con una maestria che il Maestro definiva “sublimi”: e della lode l’ostiere andava altrettanto superbo quanto dell’amicizia di Colui che gliela tributava.

Il rito della polenta in un dipinto di Pietro Longhi

Narra il Cicconetti che “Donizetti, seduto una sera nella sua casa, in lieta riunione d’amici, ne rallegrava i ragionamenti sia con arguti motti, sia con piacevoli racconti, quando, interrotto nel meglio il discorso, si allontanò dalla camera, e soltanto dopo una mezz’ora vi fece ritorno.
“E perchè ci hai così lasciati? – gli domandò la suocera.
“Ho composto – rispose – il finale del primo atto”.
Egli stava allora componendo il Torquato Tasso, l’opera dedicata a Bergamo, Sorrento e Roma.

Ritratto di Gaetano Donizetti eseguito ad olio su tela di Francesco Coghetti, 1837 (Collezione privata)

Dovunque si trovasse, il filo che reggeva la trama dei suoi pensieri si svolgeva incessante: la sua esistenza interiore creava le sublimi finzioni dell’Arte: il vasto mondo della poesia e dell’irreale, non visto dai circostanti, appariva alla sua anima, con le creature alle quali egli doveva donare la immortalità: e ad un tratto interrompeva le normali occupazioni, per fermarne e fissarne l’attimo di vita: e si appartava, ad un tratto, come spinto da un bisogno irresistibile: e si racchiudeva in sé medesimo: e l’onda della melodia, che gli sgorgava dal cuore, fissava con rapidi segni schematici su uno qualunque dei pezzi di carta che sempre portava con sé.

Chi scrive possiede una di queste pagine, su cui sono state scritte, con rapida e nervosa grafia, delle note: quasi indecifrabili, che nulla dicono a chi tenta di leggerle, ma che dovevano essere, per chi le ha scritte, come un richiamo nitido e chiaro a chissà quali armonie…
Forse, anche durante la partita alle bocce giocata con gli amici nel cortile vasto della modesta osteria, il Maestro si sarà qualche volta, ad un tratto, appartato, per fissare, sovra un pezzo di carta, un ritmo, un’idea, una ispirazione….

Schizzo autografo del Diluvio Universale (Bergamo, Fondazione Donizetti)

Angelina Ortolani, giovinetta, era stata accompagnata a Bergamo, da Almenno S. Bartolomeo, “per farsi sentire la voce di Donizetti”.
Chi l’aveva accompagnata era tale Santi, lontano parente del maestro e che abitava ad Almenno S. Salvatore, e precisamente alla Madonna del Castello: non avendolo trovato in casa, erano stati indirizzati all’ ”Osteria dei Tre Gobbi” dove Gaetano Donizetti accolse la ragazza con “buone parole, e prendendola per il ganascino”: la invitò a cantare, senza timore: perchè, tanto, avrebbe dovuto poi superare ben altri timori dinnanzi al pubblico!

“Era una giornata di settembre:” diceva la celebre cantante: “ed io avevo una grande paura, ed un grande appetito: vinsi subito la paura, per l’affabilità del Maestro: ma non potei vincere l’appetito neppure la sera, perchè quel giorno non mi sentii di mangiare…”.

Il grande soprano Angelina Ortolani, nata ad Almenno nel 1834, debuttò nel 1853 al Teatro Sociale di Bergamo, nella Parisina di Donizetti. Era dotata di una voce definita “angelica”. Nel 1857 avviò una carriera internazionale, esibendosi a Madrid e Londra; nel 1859 era a Barcellona. A partire dal ’59 si esibì quasi sempre con il marito, il tenore Mario Tiberini, sposato l’anno precedente; furono al Teatro alla Scala di Milano, al Regio di Torino, al San Carlo di Napoli, al Covent Garden di Londra, alla Wiener Staatsoper. Nell’atrio del teatro Donizetti di Bergamo è collocato un busto di Angelina Ortolani, opera dello scultore Gianni Remuzzi, in occasione del centenario della nascita del soprano

Il Maestro si accompagnava sovente al Bettinelli, in lunghe passeggiate sulle Mura, in Castagneta e sui Torni; perchè, come l’amico, era buon camminatore, tanto da definirsi “il musicista ambulante”: infatti, egli passava dall’una all’altra capitale come un trionfatore…

Un giorno, passeggiava col Bettinelli in Piazza Vecchia, ove da qualche anno la fontana del Contarini canta – come allora – la sua canzone argentina.

Piazza Vecchia (Raccolta Lucchetti)

Ad un tratto, da un caffè si diffuse la voce di un violino che suonava la chiara melodia dello spirto gentil, accompagnata dalle note gravi di un violoncello.
“Senti!” disse il Bettinelli “E’ l’Orbo, quel tale che suona soltanto musica tua…”.
“Poveretto! Vieni: gli facciamo una sorpresa!”.
Entrarono: Donizetti fece ai presenti un segno di silenzio: e, tolto il violoncello all’accompagnatore, cominciò a sonare.
Il cieco, accortosi del cambio, esclamò: “Alto là! Meno ghirigori, con quell’archetto, perchè io non voglio fare da secondo!”.
Al che, Donizetti: “Hai ragione: mantieni il tuo diritto, e fatti rispettare!”.
Il cieco, riconosciuta la voce, tentò di baciare la mano del Maestro: e dalla mano del Maestro cadde, nella tasca del poveretto, una moneta d’oro.

Caffè e bottiglieria del Tasso in Piazza Vecchia (Raccolta Lucchetti)

Ricorda il Ghislanzoni – e assicura l’averlo udito dallo stesso Bettinelli – che quando la Lucrezia Borgia naufragò a Milano, l’oste fedelissimo aspettò il Maestro alla porta del teatro, ed abbracciandolo stretto gli gridò a piena voce: “Tu sei il più grande musicista dell’epoca, e la tua Lucrezia vivrà immortale!”.
Da quella sera, però, Il Bettinelli giurò odio immortale contro i milanesi: e guai se uno di essi capitava nella sua osteria! Il vino peggiore, gli intingoli più scipiti erano per l’incauto “baggiano”, colpevole di appartenere a quella “genia” che aveva osato fischiare il capolavoro del “suo Gaetano”.

Ma allorquando, auspice il limpido canto della Frezzolini, la Lucrezia risorse alla Scala, e trionfò, il buon Bettinelli perdonò ai “baggiani” ridiventati “milanesi”: e non ci fu da allora Meneghino che non trovasse nell’”Osteria dei Tre Gobbi” l’ospitalità più cordiale, i cibi più appetitosi, il vino più prelibato.

Donizetti tornò a Bergamo il 6 ottobre del 1847: ma non potè godere della gioia che è concessa all’emigrato quando rivede i cari luoghi che lo hanno veduto nascere, i famigliari, gli amici.
Era troppo tardi ormai: egli non era più che il fantasma di se stesso!
In una di quelle tappe obbligatorie che riunivano i passeggeri di opposte destinazioni, Alfredo Piatti lo aveva intravisto, in una carrozza da viaggio, avvolto in un mantello, col capo reclinato sul petto, come un vinto: e non aveva osato abbracciare l’amico del padre suo, l’artista sommo che amava come il padre suo egli fosse…

Palazzo del Barone Scotti, in via Donizetti, nel quale spirò l’8 aprile 1848 il compositore bergamasco

Scrive Giuliano Donati Petteni nella biografia di Donizetti: “Non diversamente intravidero il musicista i bergamaschi che lo accolsero nel pomeriggio del 6 ottobre, quando la carrozza giunse alle porte della città. Il convoglio passò in mezzo a due ali di popolo silenzioso e riverente.
“E’ Donizetti” si sussurrava.
E tutti pensavano alla sua gloria, alle sue opere, al giorno in cui l’avevano accompagnato a casa in trionfo, alla miseria del suo stato presente.
“I cavalli, facendo tintinnare le sonagliere e battendo sul selcialto gli zoccoli ferrati, salivano sbuffando, avvolti in una nube di sudore, la ripida strada dell’alta città, il cui profilo, come quello d’una immensa fortezza, si stagliava sul fondo grigio delle montagne.
“Nel crepuscolo, le torri, i campanili, le mura scomparivano a poco a poco in un ombra violacea.
Un suono di campane largo ed armonioso si diffondeva da Santa Maria Maggiore. Le finestre, lungo la linea delle mura, si punteggiavano di lumi. Come sentirono il rumore dei cavalli, i servi del Palazzo Basoni accesero sotto l’atrio le lanterne. La carrozza sostò, e la signora Rosina, con la figlia Giovanna, il conte Lochis, e gli amici Dolci e Bonesi, si fecero avanti per ricevere il grande infelice.

Via Donizetti (Raccolta Gaffuri)

“Ma quando questi apparve, incapace di reggersi, muto e attonito, senza dare alcun segno di riconoscere le persone e le cose circostanti, le donne proruppero in un pianto dirotto”.
Certo, fra coloro che erano andati ad incontrare l’infelice Maestro era anche il buon Bettinelli che, come Alfredo Piatti, non aveva osato avvicinarsi al “suo idolo”…Si sarà tenuto nascosto, il poveretto, fra la folla: ed una “furtiva lagrima” sarà scesa a solcargli il viso rubicondo, diventato pallido ad un tratto….

Gaetano Donizetti morì il giorno 8 aprile dell’anno successivo. L’agonia era durata sei lunghi mesi!

Gaetano Donizetti, già gravemente malato, ed il nipote Andrea, in uno splendido dagherrotipo eseguito a Parigi nell’appartamento (affittato da Andrea per lo zio) in Avenue Chateaubriand n. 6, nell’agosto del 1847. L’autore del immagine fu probabilmente lo stesso Louis Jaques Mandé Daguerre (1779 – 1851). Furono eseguite tre pose (i dagherrotipi non si potevano duplicare): una fu inviata alla benefica Rosa Rota Basoni; una al fraterno amico Antonio Dolci; dell’ultima non si conosce la destinazione: esiste comunque una vecchia riproduzione eseguita verso la fine dell’800, quando divenne possibile la riproduzione su carta dei dagherrotipi. I due originali e la riproduzione sono ora conservati nel Museo Donizettiano (Foto e didascalia Domenico Lucchetti)

E durante questi mesi lunghissimi, il povero Bettinelli era salito ogni giorno in città alta, a visitare l’infermo, nel palazzo che lo ospitava, il grande palazzo che domina, dall’alto, l’ampia distesa della pianura lombarda: e forse lui solo, il povero ostiere della modesta osteria, seppe far tornare sulle labbra del Genio che si spegneva la luce di un cosciente sorriso, ripetendo la frase che gli aveva detto, fanciullo, nel teatrino di città alta: “Vai avanti tu: io non posso!”.

Donizetti sollevò gli occhi, corrugò la fronte, fissò a lungo, intensamente, l’amico della adolescenza: ed improvvisamente la luce di un sorriso apparve sul viso disfatto….

Gli ultimi momenti di vita di Gaetano Donizetti, qui ritratto da Ponziano Loverini (Bergamo, Casa Caprotti)

La fine del Donizetti segnò la fine dell’”Osteria dei Tre Gobbi”: o quasi: e segnò la fine della serenità e della gioia per il povero Bettinelli.
L’osteria perdette la sua chiara rinomanza: perchè il povero ostiere più non si curò di rinnovare, nella cantina, il “buon vino”, chiaro e frizzante, che era tanto piaciuto “al suo Gaetano”.
L’osteria venne ceduta ad altri.

L’osteria com’era ancora nel 1900 quando era esercita dal signor Francesco Algisi

E la casa del tenore Tiberini – che avea sposato Angelina Ortolani – accolse, generosa, il povero vecchio: e lo ospitò sino alla morte.
E scomparve anche la vecchia insegna dei Tre Gobbi…

L’interno dell’Osteria dei Tre Gobbi verso la fine del Novecento

Essa è però rinata, ora.

Il Ducato di Piazza Pontida – che è la “Famiglia Gioppinoria”, e che vanta fra le proprie benemerenze quella di aver conservato a Bergamo i manoscritti della Parisina e dell’Elisir – con una celebrazione quasi famigliare, che ha voluto essere l’espressione del culto dei concittadini per Gaetano Donizetti, ha ridonato alla gloriosa osteria l’antico nome: ed ha inaugurato la lapide, che – auspice il Comune di Bergamo – ha fatto murare nella prima stanza dell’antica taverna.
La lapide suona così:

IN QUESTA ANTICA “OSTERIA DEI TRE GOBBI”
COI PIU’ CELEBRATI ARTISTI DEL SUO TEMPO
GAETANO DONIZETTI
VENIVA A RITEMPRARE LO SPIRITO AFFATICATO
NELLA FRATERNA AMICIZIA DI MICHELE BETTINELLI
UMILE TAVERNIERE – ANIMA DI ARTISTA

In occasione del Centenario dell’Elisir, nel 1932, il Ducato di Piazza Pontida ha apposto nel locale una targa commemorativa alla presenza dei più bei nomi dell’epoca, tra cui il tenore Beniamino Gigli e la soprano Mercedes Capsir, alla quale spettò l’onore di scoprire la lapide ancora oggi visibile. Con grande corso di popolo si riattivò l’Osteria, già molto mutata rispetto alla tipologia ottocentesca illustrata nelle immagini dell’epoca. Il pianoforte e il busto di Donizetti fanno bella mostra nel locale

Il ricordo è stato inaugurato con una  celebrazione modesta, che ha però interpretato lo spirito del Sommo, il quale – pur avendo raggiunto le più alte vette della gloria – si compiacque coltivare amicizie anche umili e conservare modeste abitudini”.

 

Sereno Locatelli Milesi, Cronache bergamasche. L’osteria dei tre gobbi e Gaetano Donizetti, Emporium n. 453 – anno 1932.

Nota

Le fotografie attuali de dell’Antica Trattoria Ai Tre Gobbi e i due disegni che riproducono i tre gobbi, appartengono a Osteria dei Tre Gobbi