Il Teatro Donizetti

Quello che è oggi il Teatro Donizetti fu completato nel 1791 su progetto di Giovanni Francesco Lucchini ed inaugurato il 24 agosto come Teatro Riccardi nella zona usata per le fiere e il divertimento, nel cuore commerciale della città di Bergamo. Ma è nel 1897, in occasione del centenario della nascita del compositore, che il Teatro Riccardi assume il nome di Teatro Gaetano Donizetti

Alle soglie del Novecento, all’approssimarsi del centenario della nascita di Gaetano Donizetti, si fa urgente il desiderio di celebrare degnamente il grande musicista bergamasco, intitolando il teatro più importante della città al suo nome.

Il compositore bergamasco Gaetano Donizetti, Carte de visite, 1848. Il bergamasco in assoluto più celebre, si è distinto per l’ispirazione ricca, che gli ha permesso di scrivere alcune tra le pagine più belle del repertorio lirico di ogni tempo. La sua musica si colloca nel clima del grande romanticismo europeo

In vista dei festeggiamenti, diventa necessario dotare il vecchio teatro di una facciata degna della sua importanza e a tal fine, l’11 maggio 1895, i nuovi proprietari si costituiscono in società promulgando un bando di concorso per la costruzione della facciata, datato 29 maggio 1895. Nel contempo viene bandito un concorso per un monumento a Donizetti.

In quello stesso 1897 nella Città Bassa si progetta il Teatro Nuovo, che presto andrà a sostituire il demolito Teatro Givoli, l’ultimo dei teatri che sorgevano nella vicina Piazza Baroni (Raccolta Lucchetti)

Dopo una serie di vicende, l’incarico per la nuova facciata viene affidato all’architetto romano Pietro Via, che nell’estate del ‘96 presenta il suo progetto definitivo. I lavori dovrebbero essere compiuti per la stagione d’opera del 1897, anno del centenario, che sarà al centro di diverse manifestazioni di rilievo nazionale,  vedendo sul podio il grande Arturo Toscanini (che già era stato a Bergamo a dirigere l’orchestra nel 1895 e che poi ritornerà più volte) che, nella grande ed elegante sala definita “un miracolo di acustica”, avrebbe dovuto dirigere La favorita, Lucia di Lammermoor e L’elisir d’amore.

La grande Esposizione Donizettiana tenutasi nel Palazzo delle Scuole in Contrada Tre Passi, inaugurata il 22 agosto 1897, fa nascere l’idea di avere in città una mostra permanente per celebrare Donizetti, gettando il seme per la nascita del Museo Donizettiano

L’interno del teatro sarà interamente completato nel 1903 con l’ariosa composizione di figure allegoriche della parte centrale del soffitto e le gustose decorazioni pittoriche dei parapetti e dei palchi, ad opera di Francesco Domenghini.

Il pittore e scenografo Francesco Domenghini al lavoro sul palcoscenico del teatro (da Ermanno Comuzio, il Teatro Donizetti. Due secoli di storia. p. 252, Bergamo 1990, Lucchetti Editore)

Ma per l’inaugurazione della stagione di Fiera la facciata non è completata e perciò, per la prima recita del 21 agosto se ne scopre solo la parte inferiore, che mette in mostra i tre portoni del nuovo ingresso, opera dei fratelli Questi di Borgo S. Caterina.

Terminata la stagione di Fiera, il teatro è sottoposto a lavori e quando riapre, nel 1897, si chiama Teatro Gaetano Donizetti, concludendo ufficialmente l’era di Bortolo Riccardi, costruttore ed impresario dell’originario teatro.

Al momento della riapertura per i festeggiamenti donizettiani, la nuova facciata del Via non è ancora pronta, ma il teatro viene comunque riaperto e il monumento a Donizetti, edificato nella piazza tra il teatro e il vecchio Municipio, inaugurato.

La solenne cerimonia della commemorazione del centenario della nascita, culmina nell’inaugurazione del monumento a Gaetano Donizetti (26 settembre 1897), realizzato dallo scultore calabrese Francesco Jerace ed eretto nella piazza che fiancheggia il lato est dell’edificio

 

Inaugurazione Monumento A Donizetti 1897. In origine il monumento fu commissionato dal comune di Catania in omaggio a Vincenzo Bellini. Per controversie sul prezzo pattuito, l’opera non fu consegnata al committente originario e l’artista si accordò con il comune di Bergamo, modificando le fattezze di Bellini con quelle di Donizetti

 

ln mezzo al giardino dl Piazza Cavour, il romantico monumento a Donizetti si trova in mezzo a un laghetto; una scala sale ad un divano a esedra, dove è assiso il Maestro, che ascolta la sua ispiratrice Melopea; dietro, un piccolo bosco recintato, secondo un’idea dell’arte come mistero e inaccessibilità.  Nel monumento di Jerace emergono vari elementi che fanno dell’opera uno dei capolavori dell’arte scultoria italiana: l’equilibrio di forme e contenuti, l’armonia e quasi il silenzio che scaturiscono da quelle figure, l’assoluta assenza di “maschia retorica” e di enfasi, la compostezza e l’eleganza, la soluzione compositiva originale, sicuramente di impianto classico, ma già con un’apertura al floreale. Frangipane, sottolineando il fatto che quello di Jerace era da considerare uno dei pochi monumenti che decorano e non deturpano le piazze d’Italia, leggeva nel monumento di Bergamo una piena modernità “senza sforzi di stilizzazione” e “una fondamentale squisita ispirazione classica” che imprimevano nel monumento il valore di documento e di esempio (Erminia Corace (a cura di), Giovanni Russo – Carlo Stefano Salerno – Isabella Valente (testi di), Francesco Jerace: scultore (1853-1937), EdE, Roma, 2002, pag. 27)

La facciata del teatro verrà scoperta, finalmente compiuta, alla vigilia dell’inaugurazione della stagione lirica di Fiera del 1898. Definita di stile sansovinesco, è ornata nella parte inferiore dal ceppo rustico di Brembate e nella parte superiore da un tipo di cemento fornito dalla locale ditta Ghilardi che imita il granito rosso di Verona.

Disegni per il confronto tra la vecchia fabbrica del teatro e quella proposta, allegati al progetto dell’Arch. Pietro Via. La facciata, compiuta nel 1898, assume l’aspetto – salvo particolari – che conosciamo oggi, con basamento in ceppo ed il rimanente in pietra artificiale (Bergamo, Biblioteca Civica)

 

L’esterno del Teatro Gaetano Donizetti da poco ultimato (1898). Ai cinque finestroni centrali del prospetto furono incisi titoli di opere di Donizetti: Lucia (di Lammermoor), Favorita, Don Sebastiano, Don Pasquale, Linda (di Chamounix). Fiancheggiate da pilastri ionici e coronate da lunette, le finestre sono incorniciate da colonne corinzie lavorate. La facciata è inoltre decorata da rilievi di maschere e strumenti musicali (Proprietà Museo delle Storie di Bergamo, Archivio fotografico Sestini, Raccolta Domenico Lucchetti)

I lavori all’interno del teatro vengono completati nel 1903 e riguardano il consolidamento del soffitto e alcune misure per la sicurezza del luogo, nonché il rinnovo totale dell’apparato decorativo. Di quest’ultimo compito è incaricato il pittore Francesco Domenghini (artista di origine e formazione bergamasca specializzatosi nella decorazione di teatri), che non si limita ad affrescar pareti ma interviene sull’assetto generale.

Poiché il soffitto del teatro poggia direttamente sulle pareti, senza cornice, il pittore forma un cornicione che figura come sostegno del soffitto e al quale si appoggia un grande semiarco che gira tutt’attorno alla volta, creando una forma ellittica che si salda con le file delle gallerie. Grandi conchiglie bronzee inquadrano putti che cantano e suonano o recano festosamente palme e ghirlande, in alternanza a figure dipinte a chiaroscuro, sedute sul cornicione e rappresentanti i geni della musica. AI centro di tutto, il grande affresco della volta, una allegoria che rappresenta il trionfo dell’arte musicale, con una fanciulla più in luce delle altre figure che, assisa su una nuvola in un cielo azzurro “cosparso da leggere ondate di nubi purpuree”, suona la cetra. La giovane donna è incoronata di lauro da un angelo (1). Al centro dell’arcoscenico viene posto un orologio sorretto da fanciulle. 

L’apparato decorativo del Teatro Donizetti risale al 1901 quando l’operazione di abbellimento viene affidata a Francesco Domenighini. Il Domenighini concepisce un progetto unitario per la sala, per i palchetti e per il soffittone; la sua impostazione, nonostante le modifiche apportate durante il corso del ventesimo secolo, è facilmente rintracciabile nella sala odierna. L’artista procede a decorare i parapetti dei palchi, il proscenio e l’arco di boccascena con motivi floreali, putti, festoni e superfici a finto marmo. Per il soffittone della sala opta per una fascia perimetrale che funge da cornice allo sfondato a trompe l’oeil che raffigura l’arte musicale, con una fanciulla che suona la cetra

 

Il boccascena del Teatro Donizetti dipinto dal concittadino Domenghini (Raccolta cartoline D. Lucchetti)

 

Capace di accogliere circa duemila persone, all’inizio del Novecento il Donizetti era uno dei teatri più grandi costruiti nel Nord Italia. La sala mantiene il disegno originario del 1786, con la consueta pianta a ferro di cavallo. E’ centralmente illuminata da un grande lampadario di cristallo con 78 lampade, oltre alle fonti luminose dei 106 palchi, distribuiti su tre ordini sormontati da due gallerie e finemente decorati. I palchi sono tutti uguali, non c’è quello reale: Bortolo Riccardi, costruttore e proprietario del teatro, non lo realizzò per sfruttare al massimo tutto lo spazio e vendere più palchi possibili. Anche in seguito, nessuno mai lo costruì. I proprietari di palco sono stati presenti da sempre, fin dal 1790, quando il costruttore Riccardi, per fare cassa, ne vendette la proprietà. A comprare furono naturalmente i nobili e i benestanti di Bergamo: dagli Scotti, ai Suardo, ai Camozzi, ai Venier

 

Lo stemma di Bergamo sovrasta il palco, mentre imponenti colonne corinzie dorate fiancheggiano i palchi di proscenio

Un altro intervento di pregio è effettuato sugli stucchi dorati, che impreziosiscono le pareti del foyer e che presentano, inseriti in bianche cornici, volti di fanciulle ornati da delicati rami.

Il Foyer Teatro Donizetti nel 1957 (Archivio Wells)

IL CIRCOLO DELL’UNIONE E LA BERGAMO BY NIGHT

Al piano superiore dell’avancorpo del teatro, nel 1898 furono realizzate alcune sale, che divennero un luogo di ricreazione e ritrovo.

Teatro Donizetti, 1905

Sotto gli affreschi dei pittori Achille Filippini Fantoni e Fermo Taragni, che sul soffitto centrale avevano raffigurato Apollo sul carro e le Muse, dietro alle tende tirate dei grandi finestroni affacciati sul Sentierone, si ritrovavano i più importanti nomi bergamaschi: qui, nel Salone Riccardi ebbe sede per quasi un secolo il Circolo dell’Unione.  

Fino agli anni ’80 il Circolo, che possedeva anche quattro palchi, ha ospitato feste indimenticabili e personalità del mondo artistico, da Mascagni a Toscanini a Giordano.

È stata soprattutto una vita notturna quella del Circolo dell’Unione che si affacciava sul Sentierone: la lunga passeggiata formatasi nel tempo nell’area dove un tempo si teneva la Fiera. Era una Bergamo attiva e gioiosa, presa dalla frenesia della ricostruzione. Andare a spasso lungo il Sentierone, tra negozi e locali, era un rito irrinunciabile. C’era anche qualche fotografo impegnato ad immortalare graziose fanciulle, baldanzosi gagà, coppie innamorate che avrebbero poi acquistato gli scatti.

Ai tavolini dei bar si vedevano i grandi intellettuali o i professionisti più affermati. Nella prima parte del secolo a farla da padrone era stato il Caffè Nazionale, il cui proprietario, il geniale Pilade Frattini, aveva organizzato non solo la ristorazione, ma anche spettacoli di divertimento, compresi di attraenti ballerine.

Il Caffè-ristorante Nazionale ai primi del Novecento, nei locali della vecchia Fiera

C’era sempre musica, anche quella jazz che piaceva ai soldati americani rimasti a Bergamo dopo la fine della guerra. Storie leggendarie parlano di concerti infiniti e jam session lunghe tutta la notte. Con il passare del tempo, aumentarono i locali affacciati sul Sentierone e principe dei caffè divenne il Balzer.

Quando il Balzer occupava ancora gli spazi del Nazionale, qui raffigurato intorno alla metà degli anni Cinquanta, dopo che Sandro Balzer ne aveva assunto la gestione. Si notino le tipiche tende Balzer lungo tutte le arcate dei portici, sormontati dall’insegna del “Nazionale” (immagine del Fondo Cittadini esposta alla mostra “La città visibile”, organizzata nel 2008 all’allora Museo storico di Bergamo)

Il locale e i suoi camerieri offrivano un servizio di classe degno della nobiltà bergamasca e dell’alta borghesia, ma anche di attori e dive protagonisti al Teatro Donizetti.

Ai tavolini del Caffè Pasticceria Balzer (un ricordo del Sig. Salvatore, al lavoro presso il  locale, per gent.ma concessione della figlia, Renata Pellegrini)

Ora il salone Riccardi ospita eventi, incontri, conferenze, mostre e concerti. Uno spazio prestigioso ed elegante particolarmente amato dal pubblico per lo splendore dei suoi stucchi, degli affreschi e delle decorazioni in stile liberty.

Il Salone Riccardi ai tempi del Circolo dell’Unione

I LAVORI COMPIUTI NEL TEMPO 

Alla fine degli anni Trenta del Novecento, il Teatro divenne proprietà del Comune di Bergamo e con il decennio successivo cominciò ad essere oggetto di diversi interventi di manutenzione e ammodernamento, puntualmente annotati da Ermanno Comuzio (2).

Nel 1946 si erano compiuti lavori di rinforzo alla parte interna del sottotetto e di sistemazione della fiancata verso il monumento a Donizetti, e nel 1948 – chiudendo i portici aperti su tale fiancata – si erano ricavati nuovi locali per la direzione e gli uffici del teatro. Nel 1951 si rinnova tutta la struttura interna: si rifanno le scale che portano ai palchi, si allargano i corridoi d’accesso alla platea, si eliminano i retropalchi dando così respiro ai corridoi, si rifà la pavimentazione del ridotto, si sostituiscono le portiere dei palchi; nel 1953 si sostituiscono con pilastri in muratura le putrelle in legno che sostenevano il palcoscenico, si rammoderna l’apparecchiatura elettrica costruendo una nuova cabina al posto di quella vecchia, si installano acqua corrente e nuove fonti di illuminazione nei camerini, si ricavano tre sale di prova per gli artisti, le masse corali e il corpo di ballo. I lavori più importanti – consistenti in un ampliamento e in un rinnovamento di carattere radicale – interessano il teatro dal 1958 al 1964, anno della riapertura (3).

Tra i nuovi ambienti realizzati vi è il Ridotto (oggi intitolato al direttore d’orchestra e intellettuale bergamasco Gianandrea Gavazzeni), che viene ampliato a seguito di un significativo progetto (architetti Luciano Galmozzi, Pino Pizzigoni e ingegner Eugenio Mandelli) che ha modificato i contorni del fabbricato, ed arricchito da un affresco che rappresenta un “Teatro del Mondo”, una scena fissa in cui si muove la storia degli uomini e delle arti. L’inaugurazione ufficiale avviene nell’autunno 1964 con una Lucia diretta da Gianandrea Gavazzeni. Con la riapertura del teatro ristrutturato inizia un nuovo, fecondo periodo della vita del “Donizetti”.

Il Ridotto, con il suo corpo imponente che si apre su Piazza Matteotti, è uno spazio ampio pensato per accogliere il pubblico durante gli intervalli e per ospitare mostre ed eventi collaterali (1964, Foto Wells)

 

Il Teatro Donizetti in restauro, nel 1981 (Archivio fotografico Sestini. Archivio Fausto Asperti)

Nel 1983 il teatro si abbellisce di una coppia di statue di bronzo rappresentanti due ballerine, opera dello scultore Piero Brolis. Le statue, alte due metri e quaranta centimetri, sono collocate nell’atrio, ai lati della porta d’ingresso alla sala; più tardi verranno spostate al centro del foyer grande. Nel 1984 si apre al pubblico, nelle sale superiori del teatro, la Biblioteca dello Spettacolo intitolata a Bindo Missiroli, che al “Donizetti” ha donato la sua cospicua raccolta di spartiti musicali ed altri libri (4).

Le statue di bronzo di Piero Brolis, donate al teatro nel 1983

Fra il 2007 e il 2008 sono stati infine effettuati lavori di varia innovazione nelle sale del secondo piano e interventi di restauro e illuminazione notturna della facciata, che hanno donato al teatro un nuovo aspetto suggestivo. Nel 2014 il Teatro passa in gestione alla neonata Fondazione Teatro Donizetti.

A febbraio del 2018 partono i nuovi lavori di restauro del Teatro Donizetti, un ampio progetto di ristrutturazione e rinnovamento che intende fare del teatro cittadino una casa della cultura, un luogo vivo e aperto, uno spazio unico di incontro e di socializzazione, un luogo veramente pubblico, prestigioso e insieme familiare.

Il progetto prevede il restauro e la conservazione di tutte le parti monumentali dell’edificio. Particolare cura è dedicata alla sala teatrale e al foyer d’ingresso. Gli arredi e le tappezzerie sono completamente rinnovati. Vengono realizzate nuove scale antincendio ed un ascensore che raggiunge tutti gli ingressi palchi e galleria; il Teatro è dotato anche di aria condizionata.

Le parti laterali dell’edificio (lato monumento a Donizetti e lato Porta Nuova) sono completamente ristrutturate e ospitano i nuovi uffici, i camerini e cameroni per il coro. I prospetti laterali sono disegnati ricercando una coerenza formale tra i volumi. Tutto è adeguato alle norme vigenti in materia di sicurezza.

Il “Donizetti” a restauri ultimati

Nel novembre 2019, il Cantiere del Teatro si è fermato per ospitare la prima messa in scena mondiale dell’opera L’ange de Nisida, lavoro di Gaetano Donizetti che si credeva irrimediabilmente perduto e che invece è rinato grazie ad una minuziosa ricerca musicologica. Opera comunque non ultimata dallo stesso compositore bergamasco e da lui stresso smembrata, ha trovato nell’allestimento all’interno del Cantiere ideato dal direttore artistico del festival Donizetti Opera il luogo ideale e un’occasione irripetibile, con l’azione nella platea ancora sgombera dalle poltrone e il pubblico nei palchi e in un’apposita tribuna in palcoscenico. Elogiato dal pubblico, ha ottenuto il Premio Abbiati dall’Associazione nazionale critici musicali.

Oggi il Teatro Donizetti è completamente adatto ad ospitare spettacoli moderni e un grande pubblico.

GLI SPETTACOLI

Tra la fine dell’Ottocento e l’affacciarsi del Novecento, accanto agli spettacoli tradizionali, tra i quali si afferma la corrente musicale verista (la Bohème, Andrea Chénier, Cavalleria e Pagliacci, Manon, Tosca, Fedora ecc.), il Teatro Donizetti ospita anche un nuovo tipo di spettacolo, il cinematografo.

Il baraccone del “Cinematografo Moderno” che, agli inizi del Novecento, ospitava le prime proiezioni “stupefacenti” in Piazza Baroni, presso l’antica Fiera di Bergamo (da Domenico Lucchetti, Fotografi pionieri a Bergamo. Foto di Aristide Dragoni)

Si tratta di alcuni film primitivi girati dagli operatori dei fratelli Lumière, portati al teatro dall’impresario Terzi nel 1899: avvenimento del tutto raro in un’epoca in cui gli spettacoli cinematografici erano mostrati nei baracconi delle fiere o nei caffé-concerto.

Il 5 novembre 1899 il ‘Cinematografo Lumière’ presenta al Teatro Donizetti di Bergamo (per la prima volta, in questa città, il cinema entra in un teatro di tradizione) un programma composto da svariate ‘vedute’, tra cui: Arrivo d’un treno ferroviario – Ricordo della Regata 11 maggio 1899 in Venezia ­- Strada del Reggente a Londra (assunta con la nebbia) – Uscita da una fabbrica – Demolizione di un muro – I piccioni in Piazza San Marco a Venezia ­- Bagno di negri a Kamerun ­ Bologna alle ore 13 – Battaglia alle palle di neve – Danza russa (con accompagnamento d ’orchestra). I quadri riuscirono nitidi ed interessanti; parecchi furono bissati; tutti o quasi clamorosamente applauditi (Immagini note di storia del cinema. Nuova serie N. 20. Associazione Italiana per le Ricerche di Storia del Cinema. Il capitolo: Musica dentro e attorno le proiezioni degli inizi. Di Ermanno Comuzio – Primavera 1992)

Probabilmente anzi si tratta di un primato poiché non si ha notizia che il cinema sia stato ospite, prima d’allora, di teatri. Il cinema tornerà poi diverse volte al “Donizetti”, come quando nel 1906 si proiettano pellicole sotto la complicata etichetta di Electro-Chrono-Projecteur; o nel 1907, quando sul telone del teatro si mostrano scene girate a Bergamo, per le strade; o nel 1913 quando si presenta il kolossal storico Quo Vadis? accompagnato dalla musica di un’orchestra sinfonica (il cinema era muto, a quei tempi); o nel 1914, anno in cui arriva il film italiano più famoso del periodo, Cabiria. Nel 1919 venne proiettato Christus. I tre film ottennero un successo clamoroso, sicuramente anche per l’ottimo adattamento musicale del maestro Tironi, che con Cabiria seppe adeguare le musiche a quanto accadeva sullo schermo, precorrendo così le moderne soluzioni del sempre più stretto rapporto sonoro-immagine.

Teatro Donizetti, 1910

Va ricordato che anche Rodolfo Paris, poeta e primo duca del Ducato di Piazza Pontida, accompagnò al piano alcune proiezioni e pare che fosse bravissimo nell’alternare i vari pezzi da eseguire in sincronia con le immagini. Dovette però inalberare sopra il pianoforte un enorme ombrellone rosso, di quelli ancora in uso sotto i pergolati delle osterie fuori porta, per schivare i lanci di bucce di arance e gusci di arachidi, lanciati dai ragazzi delle logge.

Rodolfo Paris detto “Alègher”: personaggio stravagante e creativo, addobbatore con negozio in via Sant’Antonino (addobbava chiese e contrade per cerimonie religiose, piazze e vie per feste civili e patriottiche), pianista (suonava al Teatro Donizetti durante le proiezioni del cinema muto) e autore di poesie in dialetto bergamasco con lo pseudonimo “Alegher” dovuto al suo spirito ilare e bizzarro. Frequentava un circolo di artisti e professionisti, che aveva la sua sede in Piazza Pontida (Archivio storico-fotografico Domenico Lucchetti)

Fatto sta che il 23 luglio 1910 L’Eco di Bergamo prese decisa posizione contro l’inaugurazione di un nuovo locale che la sera stessa sarebbe stato inaugurato in piazza Santo Spirito con il nome di “Cinematografo Orobico (5).

LO SPETTACOLO  INIZIAVA FUORI DAL TEATRO

Mimma Forlani ha offerto un bellissimo ritratto del pubblico bergamasco durante le prime rappresentazioni al Donizetti, agli inizi del Novecento: “La passione dei bergamaschi per la musica e per ogni genere di spettacolo era dilagante e per la buona riuscita delle manifestazioni liriche bergamasche gli organizzatori – tutti rappresentanti delle libere professioni – nulla lasciavano di intentato, come si può dedurre leggendo i manifesti del tempo. Ogni sera era stampato un manifesto nuovo in cui erano presentati i nomi di musicisti, librettisti, direttori d’orchestra e di coro, interpreti, registi, scenografi, ditte che avevano realizzato le scene, i costumi, le scarpe, le parrucche, i nomi degli elettricisti, attrezzisti e sarte. Si precisava il prezzo del biglietto, il numero dei posti disponibili, si raccomandava ai gentili signori l’abito scuro per la première. All’apertura del teatro, sul Sentierone si assiepavano le sartine, le parrucchiere, le guantaie, le stiratrici che guardavano come le signore portavano la mise; e le signore, senza soprabito, sfoggiavano il loro abito da sera. Lo spettacolo iniziava fuori dal teatro. Poi, una volta preso posto, c’era il rito (allora sì che era un rito) delle visite agli amici nei vari palchi, salotti di rappresentanza. Il chiacchiericcio si arrestava all’inizio dello spettacolo, poi continuava fino al momento delle arie. Allora si faceva silenzio. Quindi lo scroscio di applausi o di fischi del “pubblico rozzo, conciliante e sincero”.

Fu in quegli anni che il Donizetti, oltre a ospitare Toscanini (invitato a Bergamo “con tutti gli onori” da Pilade Frattini), vide salire sul podio anche Pietro Mascagni (che era già stato a Bergamo nel 1895 per dirigere la sua “Cavalleria”) per dirigere, nel 1905, una sua opera, l’Amica, in prima nazionale assoluta. Dopo lo spettacolo, il compositore fu portato in trionfo sul Sentierone. Luigi Pelandi annotava che “Il maestro diresse senza spartito, senza leggìo, in una contorsione qualche volta spasmodica, i capelli imbizziti nell’aria come tanti serpentelli. La sua portentosa bacchetta sempre in movimento vorticoso dava un’impressione coloristica di estrosità di sentimenti che soggiogava”.

Mascagni, il più grande musicista vivente, ritornò a Bergamo, settantaduenne, nel 1940, per dirigere la Cavalleria rusticana, superando ogni primato di entusiasmo, con un teatro stipato all’inverosimile. Si commosse fino alle lacrime quando gli vennero consegnati numerosi doni. Ringraziò e offrì il suo cuore ai bergamaschi (6).

Pietro Mascagni al Teatro Donizetti di Bergamo, il 3 ottobre 1940, quando diresse Cavalleria Rusticana per il 50° anniversario dell’opera. Qui è rappresentato con tutti gli interpreti, fra cui Jolanda Magnoni, Maria Marcucci, Ida Mannarini, Alessandro Ziliani, Antenore Reali. Accanto a Mascagni è l’allora ministro e gerarca fascista Giuseppe Bottai, che proprio in quegli anni lì teneva il famoso Premio Bergamo. L’immagine rappresenta un pezzo di storia della lirica ma anche della foto d’autore: fu scattata dal celebre Umberto Da Re, che la firmò sul fronte (in basso a destra). Sul retro, oltre alla descrizione della scena in calligrafia dell’epoca, v’è anche il timbro “Fotografia UMBERTO DA RE – Bergamo” (con gli indirizzi dello studio fotografico)

LA SVOLTA DEL NOVECENTO CON BINDO MISSIROLI 

Nel Novecento, compreso il periodo della prima guerra mondiale, continua la riproposizione delle opere liriche – spesso eseguite con i migliori direttori d’orchestra e i migliori cantanti – e del teatro di prosa.

Uno degli avvenimenti lirici di maggior spicco del primo Novecento è la prima (1917) di Liacle, opera del talentuoso musicista bergamasco Edoardo Berlendis, purtroppo mancato prematuramente. Tra i direttori d’orchestra del periodo, Leopoldo Mugnone, Franco Ghione, Ettore Panizza, Antonio Guarnieri, Tullio Serafin, poi Franco Capuana, Giuseppe Del Campo ed altri; fra i cantanti, il tenore, praticamene debuttante, Beniamino Gigli, i soprani Toti Dal Monte, Mercedes Capsir Rosetta Pampanini, Claudia Muzio, il baritono Riccardo Stracciari, il basso Nazareno De Angelis.

Tra gli artisti bergamaschi, attivi in vari importanti ruoli, il direttore d’orchestra Beniamino Moltrasio, il maestro dei cori Giuseppe Conca, il bravissimo comprimario Giuseppe Nessi, nonché il tenore diventato famoso in tutto il mondo: Alessandro Dolci.

Il tenore Alessandro Dolci (Bergamo 1890 – 1954), fu il più grande cantante lirico del primo novecento bergamasco, la sua voce venne definita: potente e morbida, dal timbro d’acciaio eppure carezzevole come il tocco del velluto e la dizione nitida ed autorevolissima. Mascagni gli fece interpretare per 18 volte la sua “Parisina” (di cui esiste una registrazione fonografica). Cantò nei più importanti teatri del mondo (Raccolta D. Lucchetti)

 

La copertina del disco “Parisina” inciso da Alessandro Dolci (ritratto in costume), affermato tenore bergamasco

Per quanto riguarda la prosa si possono fare i nomi, fra gli altri, di Flavio Andò, Emma e Irma Gramatica, Edoardo Ferravilla, Angelo Musco, Gualtiero Tumiati, Maria Melato, Tina Di Lorenzo, Ruggero Ruggeri, Ermete Novelli.

Negli Anni Venti il clima politico italiano segna una involuzione con l’ascesa al potere di Mussolini e del fascismo, mentre a Bergamo il vecchio centro cittadino, dove sorgevano le secolari baracche della Fabbrica della Fiera, viene demolito e ad esso si sostituisce – ad opera dell’architetto Piacentini – il complesso di nuove costruzioni che costituiscono tuttora il centro della città (tutta la parte prospiciente la facciata del teatro: il Sentierone, i Portici, Piazza Vittorio Veneto, la Torre dei Caduti).

Teatro Donizetti, 1920

Nel 1931, su mandato del Comune di Bergamo assume la direzione del teatro Bindo Missiroli, già critico musicale nativo della provincia milanese e presto trasferitosi a Bergamo. Missiroli organizza le stagioni operistiche insieme all’impresario Ciro Ragazzini fino al 1936, anno in cui diviene l’unico responsabile. Il ‘36 è anche l’anno in cui si scioglie la società privata dei palchettisti, ossia dei vecchi proprietari: misura che prelude al passaggio di proprietà del teatro al Comune (che avverrà nel 1938), quando il teatro cesserà di essere gestito da interessi privati, mettendo così al primo posto gli interessi della comunità.

MISSIROLI – GAVAZZENI E IL TEATRO DELLE NOVITA’ MUSICALI

In questa nuova atmosfera il Donizetti assume una struttura tecnica continuativa e può pianificare al meglio la sua attività. Missiroli può lanciare così una notevole iniziativa, il Teatro delle Novità, rassegna sperimentale di opere inedite per far conoscere le nuove energie musicali italiane, che ha grande risonanza in Italia e all’estero, e serve ad affermare il palcoscenico del Donizetti come laboratorio delle arti dello spettacolo. Fanno da preludio a questa gloriosa avventura (che dura dal 1937 al 1973) la stagione operistica 1935, in cui accanto ad opere di repertorio viene rappresentata Paolo e Virginia, novità assoluta composta da Gianandrea Gavazzeni, che di lì a poco inizierà una fulgida carriera di direttore d’orchestra e collaborerà con l’amico Missiroli al rinnovamento del Donizetti.

Alcuni spettacoli riscuotono grande successo come Ferrovia sopraelevata (1955) la prima opera composta da Luciano Chailly su testo di Dino Buzzati; La panchina (1956) con testo di Italo Calvino e musiche di Sergio Liberovici.

Nonostante il drammatico periodo della seconda guerra mondiale, si tengono stagioni operistiche, seppur ridotte, con la presenza dell’orchestra e dei cantanti del Teatro alla Scala, sfollato per ragioni belliche (sarà semidistrutta dalle bombe).

La mitica Scala approdò in blocco al Donizetti e la stagione lirica del 1944 costituì un fuoriprogramma eccezionale ed irripetibile: “un programma ricchissimo, mai prima d’ora immaginato in sogno”. Otto le opere in cartellone, ventiquattro le rappresentazioni (Iris, Il Barbiere di Siviglia, Werther, Mefistofele, Andrea Chénier, Il matrimonio segreto, Don Pasquale, Falstaff), rappresentative del ciclo evolutivo del melodramma italiano. E come ciliegina sulla torta due balletti: La gara e Visioni (7).

Il dopoguerra segna un risveglio nella vita intellettuale, sociale ed economica della città, con un risorgente interesse per ogni forma di spettacolo.

Un’immagine del film girato a Bergamo Alta, subito dopo la seconda guerra mondiale, sulla vita di Gaetano Donizetti con Amedeo Nazzari e Mariella Lotti

Nel 1948 il Donizetti svolge una importante stagione commemorativa per il centenario della morte del compositore bergamasco che dà il nome al teatro (accanto alle due opere “minori” Betly e Il campanello fondamentale appare il Poliuto, il cui spartito originale non era mai stato eseguito in Italia). Se si considera che nel 1948 vedono la luce alcune pubblicazioni donizettiane, si può dire che in tale anno, in vasta misura per merito di Bindo Missiroli, mette le radici la Donizetti Renaissance, ossia quel fenomeno che porterà al recupero delle opere poco rappresentate o scomparse dalle scene del musicista bergamasco, nonché delle sue composizioni concertistiche, sacre e da camera. Inizia nel contempo, ad opera di Missiroli la formazione di un patrimonio donizettiano oggi raccolto nella biblioteca del teatro.

Ancora a Missiroli si deve la presenza dei più celebrati musicisti e interpreti di chiara fama, come il soprano Maria Callas nella prima della Lucia di Lammermoor del 1954 (l’artista era già stata al Donizetti nel 1951).

Il Maestro Bindo Missiroli con Maria Callas nella famosa stagione lirica del Donizetti. La Callas cantò nella “Lucia”

Rinasce il Teatro di Prosa assente dal Donizetti dagli anni ’30, va in scena Le notti dell’Ira di Armand Salacrou. È il primo spettacolo di una lunga serie che vedrà impegnato Il Piccolo Teatro di Milano diretto da Giorgio Strehler.

Nel 1952 due concerti consacrano ufficialmente il jazz come genere degno d’essere ascoltato al Teatro Donizetti tanto quanto la musica classica o lirica. Il primo è programmato il 6 febbraio con l’Orchestra di Dizzy Gillespie. Il pubblico più snob non capisce la nuova proposta e abbandona la sala, ma chi decide di restare si scatena in applausi e fischi all’americana del tutto inediti per quel luogo. Il secondo concerto è fissato il 17 novembre con il gruppo di Sidney Bechet sax soprano e Claude Luter con la sua Orchestra ed è di nuovo un successo. Ma per Bergamo Jazz Festival bisognerà attendere il ’69.

Locandina del 1952 (JAZZ A BERGAMO RICORDI TESTIMONIANZE DOCUMENTI DAGLI ANNI TRENTA AGLI ANNI SETTANTA di Riccardo Schwamenthal)

Nel 1956 al Donizetti viene aperta una scuola di danza, voluta da Bindo Missiroli e chiusa dopo trent’anni di attività.

Dopo una chiusura durata qualche anno, il rinnovato teatro viene riaperto ufficialmente al pubblico, il 10 ottobre 1964 con la rappresentazione dell’opera donizettiana Lucia di Lammermoor, diretta da Gianandrea Gavazzeni, protagonista Renata Scotto.

Nel corso dei lavori eseguiti nei primi anni Sessanta, gli spettacoli furono ospitati dal Duse, destinato alla demolizione con non pochi rimpianti. Il Donizetti riaprì i battenti il 10 ottobre 1964 con una Lucia di Lammermoore diretta da Gianandrea Gavazzeni e interpretata da Renata Scotto. Per tutti fu indiscutibile la qualità dell’esecuzione musicale, per la protagonista nel terzo atto le chiamate da parte del pubblico furono la bellezza di quindici e per le ovazioni fu necessario un quarto d’ora. Gianandrea Gavazzeni “Istruiva l’orchestra e i cantanti partendo dal testo letterario, sosteneva che la musica doveva essere solo un’amplificazione della parola. Del resto la sua matrice letteraria e la sua capacità narrativa erano la chiave del suo inimitabile fascino. Faceva teatro anche quando lavorava, anche quando parlava. Aveva ottantasei anni, era curvo e malfermo, ma quando saliva sul podio si drizzava, ringiovaniva”. Era “capace, in certe sere, in certe trattorie fuori porta, di sedersi al piano dopo la chiusura e di cantare Donizetti. Il suo Donizetti” (Edgarda Ferri, Corriere della Sera, 27 gennaio 2010 – (1964, foto Wells)

IL TEATRO DELLE NOVITA’ DI PROSA DI FERRERI

Con la riapertura del teatro ristrutturato nei primi anni Sessanta (progetto degli architetti Luciano Galmozzi e Pino Pizzigoni e dell’ing. Eugenio Mandelli) inizia un nuovo, fecondo periodo nella vita del Donizetti. Nel 1966 il Comune provvede ad assumere in proprio la gestione del teatro, affidandone la direzione artistica al M.o Adolfo Camozzo (che la terrà fino alla morte, prematuramente avvenuta nel 1977, quando verrà sostituito dal M.o Riccardo Allorto). Assessore addetto alla gestione del teatro è il prof. Mario Traini, mentre una apposita Commissione ha funzioni consultive.

Il barbiere di Siviglia, 1960

Un elemento vitale dell’attività che ha come punto di riferimento cittadino il Donizetti è la prosa assente dagli anni Trenta, questo settore ricomincia a rifiorire nel dopoguerra con la presenza del “Piccolo Teatro” di Milano, guidato da Strehler e Grassi, seguito da primarie compagnie italiane e da prestigiosi ospiti stranieri. Da notare che nel 1953, accanto al Teatro delle Novità musicali, si affianca per un certo periodo il Teatro delle Novità di Prosa, diretto da Enzo Ferrieri.

Fu al Donizetti che, nel 1974, si tenne una manifestazione per l’abrogazione della legge, appena approvata, sul divorzio

GLI ANNI SESSANTA/NOVANTA : LO SLANCIO IMPRESSO ALLA PROSA E AL JAZZ

Negli anni ‘60/’90 il ventaglio degli spettacoli e delle manifestazioni è molto vasto: prosa, opere e concerti dominano le stagioni, ma con presenze “nuove” come il Festival Pianistico Internazionale, commedie musicali, le operette, le rassegne di “Bergamo Jazz”, quelle delle “Canzoni d’Autore” ed altro ancora.

L’Amministrazione Comunale promuove una politica teatrale moderna, fondamentale è la consulenza di Benvenuto Cuminetti, docente di Storia del Teatro e dello Spettacolo presso l’Università di Bergamo e consulente artistico per la programmazione teatrale delle stagioni di prosa e delle attività collaterali.

Tra Sentierone e Teatro negli anni Sessanta (Archivio fotografico Sestini – Archivio Domenico Lucchetti)

Nel 1969 nasce la Rassegna Internazionale del Jazz, organizzata dall’Azienda Autonoma del Turismo e di cui l’attuale Bergamo Jazz Festival è l’erede naturale. Sul palcoscenico del Teatro Donizetti si esibiscono già da quell’anno musicisti di fama internazionale quali Cannonball Adderley e Maynard Ferguson. Seguiranno, fino al 1975, Gerry Mulligan, Herbie Hancock, Art Ensemble of Chicago, con un concerto che fece molto discutere pubblico e critica, Charles Mingus, Max Roach, Art Blakey e molti altri. Inizialmente accolta con scetticismo, la Rassegna scoppia letteralmente fra le mani degli organizzatori e il meraviglioso teatro Donizetti non basta più a contenere il pubblico, sempre più folto.  Nel 1970 il festival è inaugurato da Dizzy Gillespie, che riscuote un grande successo e nel ’71, tra gli altri, è presente Chick Corea.

Dal 1976 al 1978 la Rassegna si trasferirà al Palazzetto dello Sport (registrando un record di pubblico nel ’76 con ben seimila spettatori all’ultima serata nonostante la pessima acustica) per poi interrompersi per alcuni e riprendere temporaneamente il suo cammino nel 1982 e 1983. Nel 1991 il varo di Bergamo Jazz da parte del Comune di Bergamo riporterà, dall’anno dopo, il grande jazz al Teatro Donizetti: Michel Petrucciani, Ornette Coleman, Chick Corea, Gato Barbieri, Brad Mehldau, John Scofield, McCoy Tyner, Bill Frisell, Dee Dee Bridgewater, gli italiani Enrico Rava e Paolo Fresu sono solo alcuni dei nomi che hanno riportato il festival jazz di Bergamo alle ribalta delle cronache musicali italiane ed internazionali.

IL DONIZETTI COME TEATRO DI TRADIZIONE

Il 1966 è l’anno in cui il Comune provvede ad assumere in proprio la gestione del teatro. Nel 1968 il Donizetti viene incluso, con provvedimento governativo, nel novero dei “Teatri di tradizione”, in riconoscimento della sua identità culturale. Il teatro svolge un’attività di produzione che non è soltanto genericamente lirica o concertistica ma viene convogliata in una direzione specifica, quella di salvaguardare, riscoprire, riproporre la produzione donizettiana, inserita però nella cultura dell’epoca. Nel 1973, con l’opera Il Sogno di Roman Vlad, si conclude l’esperienza del Teatro delle Novità.

Sui gradini del Teatro Donizetti, in attesa del Don Carlo di Giuseppe Verdi (1982) – (Archivio fotografico Sestini – Archivio Fausto Asperti)

Per la ricognizione del Donizetti meno noto fiorisce nel 1982 il Festival “Donizetti e il suo tempo”, che si propone di studiare e riscoprire il compositore bergamasco in rapporto con il contesto musicale, culturale e sociale degli anni in cui è vissuto. Viene inoltre istituito il biennale Premio Donizetti, quale riconoscimento a interpreti che nel corso della loro carriera hanno contribuito autorevolmente a far apprezzare l’arte del compositore.

Nel 1983, in occasione del secondo festival donizettiano il maestro Gianandrea Gavazzeni, assente dal prestigioso teatro dal 1964, ritorna sul podio con l’orchestra sinfonica della Rai, entusiasmando gli appassionati musicofili bergamaschi con Miserere di Gaetano Donizetti (“un’autentica discesa nelle tenebre”) e dello Stabat Mater di Gioacchino Rossini (8).

Nell’ambito del Festival Donizettiano, nel 1992 viene inaugurato il nuovo Ridotto, mentre nel 2015 inizierà la Donizetti Revolution, sulla scia delle manifestazioni dedicate alla figura di Gaetano Donizetti, che continua a lasciare un forte segno nella sfera culturale ed artistica di Bergamo.

NOTE

(1) Ermanno Comuzio, Il Teatro Donizetti: Due secoli di storia, Lucchetti editore, Bergamo, 1990.

(2) Ermanno Comuzio, Il Teatro Donizetti: Due secoli di storia, Ibidem.

(3) Ermanno Comuzio, Il Teatro Donizetti: Due secoli di storia, Ibidem.

(4) Ermanno Comuzio, Il Teatro Donizetti: Due secoli di storia, Ibidem.

(5) Pilade Frattini, Renato Ravanelli, “Il Novecento a Bergamo – Cronache di un secolo”. A cura di Ornella Bramani. Vol. II, UTET, Anno 2013.

(6) Pilade Frattini, Renato Ravanelli, “Il Novecento a Bergamo – Cronache di un secolo”. Ibidem.

(7) Pilade Frattini, Renato Ravanelli, “Il Novecento a Bergamo – Cronache di un secolo”. Ibidem.

(8) Pilade Frattini, Renato Ravanelli, “Il Novecento a Bergamo – Cronache di un secolo”. Ibidem.

Riferimenti

Ermanno Comuzio, ll Teatro Donizetti: Due secoli di storia, Lucchetti editore, Bergamo, 1990.

teatrodonizetti.it

Erminia Corace (a cura di), Giovanni Russo – Carlo Stefano Salerno – Isabella Valente (testi di), Francesco Jerace: scultore (1853-1937), EdE, Roma, 2002, pag. 27.

Teatro e monumento a Donizetti. Relazione allegata al decreto di vincolo.

Pilade Frattini, Renato Ravanelli, “Il Novecento a Bergamo – Cronache di un secolo”. A cura di Ornella Bramani. Vol. II, UTET,  Anno 2013.

Il Museo Donizettiano

L’artista che connota musicalmente la città di Bergamo è Gaetano Donizetti, protagonista del teatro musicale europeo del primo Ottocento. Il musicista, nato nel 1797 in Borgo Canale, appena al di fuori della cinta muraria veneziana, occupa una parte di rilievo nell’orizzonte internazionale del teatro in musica e nella vita culturale italiana e di Bergamo in particolare.
Interprete acuto e sensibile nel tradurre i sentimenti del suo tempo nel melodramma, Donizetti è tutt’ora un autore amato dai critici e dal pubblico e un modello di riferimento: la Donizetti Renaissance dimostra quanto i valori culturali da lui espressi siano attuali e quanto la sua figura sia importante anche nella storia musicale più recente.

Nel corso del tempo la città di Bergamo ha voluto esprimere il particolare legame di affetto e ammirazione che la unisce al compositore intitolandogli il suo principale teatro: il Teatro Donizetti, (già Riccardi), nonché il Civico istituto musicale  e il Museo donizettiano.

Oltre a questi, vi sono in città altri luoghi che raccolgono la memoria dell’arte e della vita di Donizetti: il Teatro Sociale in via Colleoni; la Casa Natale del compositore in via Borgo Canale; la Biblioteca Angelo Mai dov’è custodito l’autografo di Lucia di Lammermoor; la casa in via Arena al civico 18 (ai tempi contrada S. Grata), dove il Donizetti scoprì le sue doti musicali grazie al maestro Simone Mayr, che in questa casa impartiva le sue “Lezioni caritatevoli” di musica; l’Accademia Carrara dove è visibile il quadro di Giacomo Calegari che rappresenta la morte Donizetti avvenuta a Casa Guffanti Scotti in via Donizetti 1 (in precedenza via San Cassiano, successivamente dedicata al compositore): un luogo però non visitabile in quanto residenza privata. Inoltre, il monumento funebre di Gaetano Donizetti nella Basilica di Santa Maria Maggiore e, non ultimo, il monumento a Gaetano Donizetti in Piazza Cavour, a due passi dal teatro intitolato al compositore.

Infine, la Domus Magna, al numero 9 di via Arena, complesso edilizio storico che ospita al primo piano il Museo donizettiano e al secondo la “Biblioteca Musicale Gaetano Donizetti”, una sezione staccata della Biblioteca Civica Angelo Mai, dove si custodiscono e sono fruibili al pubblico i principali fondi musicali della città.

Il Museo donizettiano si trova al primo piano della Domus Magna (Palazzo della Misericordia, Bergamo, in via Arena, 9 ), originale sede dell’Opera Pia Misericordia Maggiore e custodita dalla Fondazione MIA

IL PALAZZO
Il Museo donizettiano occupa due sale del palazzo quattro-secentesco di proprietà dell’Opera Pia Misericordia Maggiore e sua antica sede.
Nel 1447 la Misericordia acquistò dal comune una casa fortificata (1173) già appartenuta alla famiglia Colleoni e a partire dal 1449 ne fece la sua nuova sede.

Facciata laterale del cortile interno che dà accesso al museo

Intorno al 1480 la Misericordia diede inizio ai lavori di ristrutturazione di questo antico complesso, ma subito nacquero gravi questioni col confinante Antonio Bonghi, un ricco e importante giurista del tempo. Nel 1484 Antonio Bonghi veniva brutalmente ucciso per opera di Davide Brembati e dal conte Trentino Paride da Lodrone, rispettivamente figlio e genero del conte Bartolomeo Brembati, che proprio allora presiedeva il consiglio della Misericordia. Venezia sospettò subito che il mandante del delitto fosse lo stesso conte Bartolomeo, al quale fu intimato di portarsi immediatamente nella città lagunare a disposizione della giustizia. Per non gettare discredito sulla Misericordia nacque la leggenda che i mandanti dell’assassinio fossero degli ebrei trentini, accusati dell’infanticidio del beato Simonino.

I lavori di rinnovo della casa ripresero nel 1485, dopo un compromesso con gli eredi di Antonio Bonghi: ancor oggi un lato del cortile rinascimentale ha il piano terreno e il primo piano di proprietà della Misericordia e il piano superiore di proprietà dei confinanti.
Entro il 1493 risultarono ultimate la sala del consiglio e le salette dell’amministrazione.

Le belle logge sovrapposte su quattro livelli del cortile rinascimentale (cortile minore), dai bellissimi capitelli, risalgono all’epoca quattrocentesca e furono terminate entro il primo decennio del ‘500, ma il corpo di fabbrica occidentale, già dei Bonghi e poi dei Secco Suardo, risulta completato in stile solo nel 1570.

Il grande fabbricato barocco lungo la via Arena risale agli anni intorno al 1660 (il portale è datato 1664) e fu completato in stile solo nel pieno ‘700.
Sempre al ‘600 fu realizzato lo scalone decorato che porta al piano superiore, mentre il mediocre atrio d’ingresso risale al 1750 ed è attribuito all’architetto Ferdinando Caccia.

Nella seconda metà del ‘700 furono eseguiti importanti lavori per rinnovare e adattare gli ambienti che ospitavano il Collegio Mariano, la pubblica scuola di Bergamo. Il piccolo loggiato che chiude sulla destra il cortile d’ingresso, progettato nel 1766 da Giovanni Urbani, fa parte di queste ultime trasformazioni.

I locali di rappresentanza del primo piano, che ospitano il Museo Donizettiano, comprendono lo splendido salone principale (che era nel corso dell’Ottocento sede delle riunioni ufficiali dei consiglieri dell’ente), rinnovato in epoca neoclassica e decorato in parte dal pittore Vincenzo Bonomini nel 1802.

 

 

Il Museo donizettiano è l’unico al mondo dedicato al celebre compositore, con un percorso che accompagna alla scoperta della vita pubblica e privata di Gaetano Donizetti, del suo itinerario artistico e del contesto in cui ha operato attraverso ritratti, lettere, bozzetti di scenografie, arredi, partiture autografe, abbozzi di brani musicali, oggetti personali (ad esempio, strumenti di lavoro come valigette da viaggio, penne, raschietti), pianoforti, libretti d’opera, documenti personali, onorificenze. La sua figura ne risulta indagata a tutto tondo, non solo come compositore ma anche come uomo, anche attraverso materiali mai esposti in precedenza.

Il nuovo e più ricco allestimento, dopo i restauri del 2015 propone una rinnovata attenzione nei confronti di Gaetano Donizetti, la cui figura è indagata a tutto tondo. Curatore del nuovo percorso espositivo il professor Paolo Fabbri, che è anche autore del volume “Donizetti. Ritratto in piedi”, nuovo catalogo del museo (1)

Lungo il nuovo percorso si incrociano linguaggi diversi: non solo testi ma anche suoni, immagini di ieri e di oggi ed una serie di postazioni multimediali touchscreen, che consentono al visitatore di approfondirne la storia.

E’ possibile ripercorrere la vita di Gaetano Donizetti e i suoi rapporti con Bergamo, ascoltare brani di opere e composizioni insieme alle parole da lui scritte a familiari e amici, contestualizzare il compositore sulla scena musicale e teatrale della sua epoca. Il visitatore ha così l’opportunità di personalizzare la visita in base ai propri interessi.

Un racconto affascinante dal quale emerge con evidenza il “nuovo” Gaetano Donizetti, non solo come compositore ma “uomo di teatro” in senso più ampio: un protagonista della cultura europea, un drammaturgo musicale che utilizza suoni e il canto come veicoli di comunicazione e che non rinuncia mai a sperimentare, e anche uno scrittore eccezionale, vero e proprio “Arcimboldo” della lingua, che nelle sue lettere intreccia con disinvoltura gli idiomi dei diversi Paesi in cui ha vissuto.

L’itinerario di visita in sei tappe

Il personaggio di Gaetano Donizetti è indagato attraverso un affascinante percorso tematico/cronologico di 5 tappe: 1. Le celebrazioni del 1897; 2. Gli studi a Bergamo e a Bologna; 3. Il compositore agli esordi; 4. L’operista in carriera; 5. L’uomo: in privato, al lavoro.

1 – Ad accogliere il visitatore è una sezione introduttiva dedicata alle celebrazioni del primo centenario della nascita di Gaetano Donizetti, alla nascita del Museo Donizettiano e al palazzo della Misericordia Maggiore che lo ospita. Si incontra quindi il giovane Donizetti anche nel ritratto che è riconosciuto come la più antica immagine del compositore.

2 – Incontriamo ancora un giovane Donizetti con il racconto degli anni degli studi a Bergamo e Bologna (1806-15, 1815-17). Nel 1806 Donizetti (nato il 29 novembre 1797) viene ammesso nella scuola — pubblica e gratuita — di musica appena aperta a Bergamo. Finanziata dalla Misericordia Maggiore, l’iniziativa caritatevole è un progetto di Giovanni Simone Mayr (1763-1845), noto compositore bavarese da anni in Italia, e dal 1802 stabilmente a Bergamo come maestro della cappella di S. Maria Maggiore.

Donizetti frequenta le classi di teoria, canto e pianoforte: la sua voce presenta però sempre problemi. Ottimo pianista, inizia anche a cimentarsi nella composizione. Le sue doti musicali inducono Mayr a mandarlo a Bologna per studiare composizione con Stanislao Mattei, docente in quel Liceo Filarmonico e autorità indiscussa nello stile accademico (contrappunto e fuga). Mayr in persona si prodiga per reperire la somma necessaria, raccolta tra alcuni mecenati bergamaschi e integrata dalla Misericordia Maggiore.

3 – Si prosegue con il compositore agli esordi (1818-1822) a Bergamo e i primi contratti teatrali a Venezia e Roma. A fine 1817 Donizetti rientra a Bergamo, dove riprende a frequentare il suo maestro Mayr e i vecchi compagni di scuola. Grazie a loro, viene introdotto negli ambienti musicali attivi in città. Inizia così a muovere i primi passi da compositore: scrive pezzi per le cerimonie religiose, per i ritrovi degli appassionati, per qualche cantante delle compagnie ingaggiate per le stagioni d’opera organizzate a carnevale e in tempo di fiera. Questi contatti personali, e soprattutto l’appoggio di Mayr, procurano a Donizetti il suo primo contratto teatrale con un impresario attivo a Venezia e a Mantova nell’inverno 1818 e carnevale 1819. A questo debutto seguono altri ingaggi, di nuovo a Venezia (carnevale 1819-20) e più tardi a Roma (carnevale 1822): il successo romano costituirà il primo punto fermo della carriera di Donizetti.

4 – Il viaggio continua seguendo passo passo l’operista in carriera (1822-1845) a Napoli, Roma e Palermo fino a Parigi e Vienna, a tratteggiare una dimensione ormai tutta europea. Napoli, Roma e Palermo furono le città che videro Donizetti affermarsi definitivamente, negli anni 1823-27: e a Napoli si stabilì definitivamente, dal 1827 al 1838, lavorando per i teatri più prestigiosi (al S. Carlo debuttarono alcuni dei suoi titoli più significativi), e insegnando al Conservatorio (dal 1834). Occasionalmente, Donizetti scrisse pure per i teatri di Genova, Milano, Roma, Firenze, Venezia, Parigi. Nacquero anche lì alcuni dei suoi capolavori. Nell’autunno 1838 un accumulo di avversità, sventure e disagi psicologici convinse Donizetti a lasciare Napoli per Parigi, dove lavorò per tutte le maggiori sale teatrali di quella capitale. Nel 1842-45 anche Vienna lo vide pressoché regolarmente: anzi, vi fu nominato maestro e compositore di corte (estate 1842). La carriera di Donizetti era ormai tutta europea. A Parigi, nell’estate e autunno 1845, si manifestano in Donizetti i sintomi di una grave patologia degenerativa cerebro-spinale. La situazione peggiora al punto che si decide di ricoverarlo in una clinica a Ivry, dove rimane sino al giugno 1847, assistito per lunghi periodi dal nipote Andrea, figlio del fratello Giuseppe. Il suo declino fisico e psichico è irrimediabile. Nell’autunno 1847 rientra in Italia e raggiunge Bergamo, dove trascorre gli ultimi mesi di vita ospite amorevolmente assistito della baronessa Rosa Rota Basoni (che nel 1902 donerà alla Congregazione di Carità di Bergamo quanto di donizettiano ancora possiede la sua famiglia, compiendo il primo e decisivo passo verso la formazione del Museo Donizettiano).

5 – Ma come fosse l’uomo: in privato, al lavoro ce lo dicono anzitutto le sue lettere, e le descrizioni che di lui diedero amici e conoscenti. Ma sono eloquenti anche certi oggetti appartenutigli, e specialmente le immagini dei famigliari che volle attorno a sé: quelle dei genitori, dell’amatissimo fratello Giuseppe, della moglie Virginia Vasselli, sposata a Roma nel giugno 1828 e morta solo 9 anni più tardi dopo il terzo parto finito infelicemente.

Luigi Deleidi detto il Nebbia, “Donizetti con gli amici”, 1830 circa. Da sinistra, l’oste Bettinelli, Gaetano Donizetti, Dolci, Simone Mayr. In piedi, il pittore Luigi Deleidi

Oggetti e documenti ci mostrano poi Donizetti intento al comporre: i suoi materiali per scrivere (penne ma anche raschietti per correggere quanto scritto), soprattutto le partiture autografe che ci mostrano fasi, e pentimenti, del processo compositivo.

 

Particolarmente toccanti gli arredi della “Camera di Donizetti” (la poltrona, il letto e la coperta, il pianoforte che lo stesso compositore aveva acquistato per i Basoni a Vienna nel 1844), trasferita da Palazzo Scotti, la residenza bergamasca della famiglia Rota Basoni che aveva amorevolmente assistito il compositore negli ultimi mesi di vita.

 

LA STORIA DEL MUSEO

Le celebrazione del 1897 all’origine del Museo Donizettiano

Le origini del Museo Donizettiano risalgono al 1897 quando, in occasione del centenario della nascita di Gaetano Donizetti, la grande Esposizione Donizettiana nel Palazzo delle Scuole in Contrada Tre Passi (inaugurata il 22 agosto), fece nascere l’idea di avere in città una mostra permanente per celebrare Donizetti.

Il primo centenario della nascita del compositore diede occasione a festeggiamenti che culminarono nell’inaugurazione del monumento a lui dedicato opera dell’affermato scultore di scuola napoletana Francesco Jerace che ancora oggi si può ammirare nella Città Bassa, in piazza Cavour di fianco al teatro Donizetti. Il suo scoprimento avvenne il 23 settembre 1897 e fu preceduto dagli eventi che erano stati pensati a suo contorno: l’intitolazione a Donizetti del vecchio Teatro Riccardi, che si stava dotando di una facciata finalmente degna (ultimata però solo nel 1898) e la grande Esposizione Donizettiana inaugurata il 22 agosto 1897 nel Palazzo delle Scuole in Contrada Tre Passi

 

Nella grande mostra in Contrada Tre Passi fu esposto tutto il materiale donizettiano che era stato possibile reperire, sparso, oltre che in tutta Italia (Roma, Napoli, Milano, Venezia, Bologna), anche a Vienna e a Parigi. In testa a tutti, la collezione degli eredi di Donizetti, cioè i nipoti di suo fratello Giuseppe, residenti a Costantinopoli.

Nella Sezione Italiana spiccavano le partiture d’opera autografe messe a disposizione dall’editore Ricordi e dal Conservatorio di Napoli, le molte lettere degli eredi Vasselli di Roma (la famiglia della moglie di Donizetti) e Dolci di Bergamo (discendenti di Antonio, compagno di scuola e amico fraterno di Gaetano), le musiche autografe del periodo bolognese.

Insieme a tutto ciò che era appartenuto a Donizetti e che a lui si riferiva, vennero qui esposti anche cimeli, libri, lettere, musiche autografe, ritratti, dagherrotipi di vari altri artisti con cui il musicista bergamasco era stato in contatto durante la sua carriera, tra i quali figurano Gioachino Rossini, Giuseppe Verdi, Alexandre Sumas padre, Eugène Scribe, Gaspare Spontini, Adolphe Adam, e moti altri ancora.

Una mostra in grande stile, dunque, degna delle grandiose celebrazioni per il centenario. Ma, una volta esaurite tali manifestazioni, tutti questi preziosi cimeli furono a malincuore restituiti ai legittimi proprietari e, di conseguenza, sparsi nuovamente in mezza Europa.

Crebbe allora tra i bergamaschi il desiderio di creare in onore del loro grande concittadino una mostra permanente, in altre parole un museo, i cui organizzatori si occupassero di raccogliere, conservare ed eventualmente esporre al pubblico tutte le memorie donizettiane possibili. Occorsero comunque ancora cinque anni prima che ciò diventasse realtà.

Verso la fondazione del Museo Donizettiano

Fu la baronessa Giovanna Ginevra Rota-Basoni Scotti, ad assistere amorevolmente Gaetano Donizetti nei suoi ultimi mesi di vita, all’interno del palazzo dell’allora via San Cassiano, poi intitolata al compositore. E fu sempre la baronessa a compiere il primo e decisivo passo verso la formazione del Museo Donizettiano, donando (15 dicembre 1902) alla Congregazione di Carità di Bergamo quanto di donizettiano ancora possedeva la sua famiglia, legata da antica amicizia al compositore. A questi se ne aggiunsero molti altri provenienti dalla Biblioteca civica Angelo Mai: tali donazioni costituiranno il cuore e il nucleo propulsivo del Museo Donizettiano. Nel corso dei decenni il Museo si arricchì grazie a nuove donazioni e all’entusiasta operosità di Guido Zavadini (1868-1958), che di fatto lo dirigerà dal 1909 alla morte. Suo è anche il primo Catalogo generale del Museo, pubblicato nel 1936. Ad oggi tutto il materiale è stato digitalizzato e raccolto in un apposito sito

 

Nel 1902 era Consigliere Delegato dell’Opera Pia Misericordia Maggiore di Bergamo (creata nel 1265 per il soccorso dei bisognosi dal padre domenicano Pinamonte Brembati) il barone Cristoforo Scotti, nel cui palazzo s’era spento l’8 aprile 1848 Gaetano Donizetti. La camera dell’illustre ospite era stata mantenuta da allora intatta e veniva mostrata, di tanto in tanto, a visitatori d’eccezione. La sua parente Giovanna Ginevra Rota-Basoni Scotti, in gioventù amica del Maestro, era ancora in possesso di una cospicua quantità di cimeli donizettiani, da lei gelosamente conservati, salvandoli quindi da una possibile dispersione.

Conscio della responsabilità che gli toccava, il barone si adoperò affinché tali cimeli fossero ceduti alla Misericordia Maggiore, con l’obbligo da parte dell’Ente «di custodire in perpetuo la preziosa raccolta in modo conveniente e decoroso, tutta unita, ad eccezione dei libri, in quello dei locali della Pia Scuola di Musica che presenti le maggiori garanzie […] e che verrà chiamato Museo Donizettiano. Si obbliga ancora la Congregazione accettante a non asportare mai dal locale, né lasciare asportare tutti od alcuno dei cimeli in nessun tempo e per nessun titolo anche di Esposizione od altro» (dall’atto di donazione datato 15 dicembre 1902).

La Misericordia Maggiore (MIA), in seduta di Consiglio del 17 dicembre 1902, deliberò di accettare la donazione alle proposte condizioni (2) ed espresse un plauso riconoscente a nome di tutta la cittadinanza alla generosa nobildonna che, purtroppo, morirà il 31 luglio 1905, prima di veder realizzato l’intero progetto.

Erano in tutto 28 «Oggetti e memorie»: i mobili della camera di Donizetti (la poltrona, il letto e la coperta, il pianoforte che lo stesso compositore aveva acquistato per i Basoni a Vienna nel 1844), suoi oggetti personali, il ritratto fattogli da Giuseppe Rillosi nel 1848, cimelî, foto, lettere, alcuni pezzi di musica quasi tutti autografi, medaglie, libri.

Nello stesso 1905 il Comune di Bergamo autorizzò la concessione in deposito presso la MIA dei cimeli donizettiani di sua proprietà, conservati in massima parte presso la Civica Biblioteca Angelo Mai, allo scopo di concorrere alla fondazione di un museo dedicato a Gaetano Donizetti.

Infine, con deliberazione del 17 gennaio 1906, facendo riferimento anche alla munifica concessione del Comune, la MIA prese i provvedimenti per la costituzione del Museo donizettiano, collocandolo in una grande sala del palazzo che ospita l’Istituto Musicale, di proprietà dell’Ente stesso. All’interno del Museo una lapide ricorda la fondazione e il nobile gesto della baronessa.

La prima Commissione Conservatrice, composta dal Presidente dott. Ciro Caversazzi e dai membri barone dott. Cristoforo Scotti, monsignor Giuseppe Locatelli e dott. Luigi Giani, aprì il Museo al pubblico il 15 settembre 1906.

Tre anni più tardi giunse a Bergamo il prof. Guido Zavadini, vincitore di un concorso indetto dalla MIA per un posto di Ispettore-Segretario-Bibliotecario presso l’Istituto Musicale (3). Guido Zavadini, nato a Parma nel 1868 e valente musicista (fu un egregio esecutore di oboe e corno inglese), fu subito nominato anche Conservatore del Museo Donizettiano: incarico a cui si dedicò con passione sempre crescente, favorendo in prima persona l’incremento e lo sviluppo dell’istituzione. Infatti, per tutta la durata del suo incarico, durato quasi 50 anni, egli diede appassionatamente la caccia ad ogni manoscritto, ad ogni cimelio, ad ogni oggetto che fosse pertinente a Donizetti, accrescendo la raccolta in modo tale da rendersi necessaria la pubblicazione, 1936, del primo catalogo del Museo.

Ma la pubblicazione che diede il suggello al suo lavoro di studioso donizettiano fu il ponderoso volume Donizetti-Vita-Musiche-Epistolario, edito nel 1948 dall’Istituto Italiano d’Arti Grafiche di Bergamo. Tale opera, frutto di un trentennio di appassionato lavoro, ancora oggi costituisce per musicologi e studiosi donizettiani una formidabile fonte diretta di notizie sul massimo compositore bergamasco.

NOTE

(1) La Fondazione Bergamo della Storia si è occupata dell’archiviazione e della ricerca storica, mentre il Comune di Bergamo, tramite la Biblioteca Angelo Mai, si è assunto la responsabilità della conservazione della produzione musicale di Gaetano Donizetti, per cui è stata creata una sezione dedicata.

(2) Le pratiche di autorizzazione da parte del prefetto di Bergamo sono datate 12 gennaio 1903, mentre il 15 maggio 1903 si perfezionava l’atto davanti a un notaio.

(3) Nominato Conservatore a vita del Museo, Zavadini si spense novantenne nel 1958. Suo successore fu il prof. Giuseppe Cesati, al quale nel 1963 subentrò il M° Valeriano Sacchiero con la mansione di Conservatore Incaricato. Nel 1970 venne pubblicato, per iniziativa del Centro di Studi Donizettiani e curato da Sacchiero, il nuovo catalogo del Museo, enormemente ampliato rispetto al catalogo del 1936 e con un nuovo sistema di segnatura dei documenti. Il dott. Roberto Galati, nominato nel 1980 Conservatore Onorario oltre che del Museo Donizettiano anche del Museo del Risorgimento, si adoperò soprattutto per incrementare la raccolta iconografica del Museo. Il ruolo di conservatore è oggi conferito a Fabrizio Capitanio. Nel 2003 il Museo Donizettiano è entrato a far parte della Fondazione Bergamo nella storia, che gestisce complessivamente il polo museale afferente al Museo storico della Città-Museo Donizettiano.

Riferimenti principali

Conservatorio Gaetano Donizetti

Museo delle Storie di Bergamo

La Casa Natale di Gaetano Donizetti

La casa natale di Gaetano Donizetti è la casa museo in cui il 29 novembre 1797 nacque il compositore bergamasco; ha sede in via Borgo Canale 14 nella parte alta della città. Il fabbricato è considerato luogo di valore storico e culturale e nel 1926 è stato dichiarato monumento nazionale

L’edificio in cui nacque Gaetano Donizetti (Bergamo 1797 – 1848), è situato al n° 14 dell’antica via Borgo Canale, caratteristico assembramento medievale di alte case che si snodano su doppia schiera per buona parte del suo percorso.

Il Borgo, la cui struttura tradisce apertamente l’impronta medievale, era parte integrante del sistema urbano principale costituendo la continuazione diretta di via Arena, che attualmente parte dal retro di S. Maria Maggiore e s’interrompe all’altezza del Nuovo Seminario. Ma con la costruzione delle mura veneziane (1561) quest’importante asse viario subì una frattura, che lo trasformò in assembramento suburbano esterno alle mura, conferendogli quindi il connotato di “borgo”: si avviava così un processo di degrado e impoverimento, che non conobbe controtendenza fino a Novecento inoltrato.

Borgo Canale e colle San Vigilio

Negli anni in cui nasceva Gaetano Donizetti il Borgo naturalmente aveva un aspetto esteriore e un insediamento sociale assai differenti da quelli odierni: le case, fatiscenti e umide, ospitavano famiglie che traevano magro sostentamento prestando umili servizi nei palazzi aristocratici e alto-borghesi posti all’interno del sistema murario. Manovali, stallieri, maniscalchi, lavoranti d’opificio e sarti – con i loro numerosi nuclei familiari – occupavano malsani tuguri.

Il fabbricato in cui nacque Donizetti faceva parte di un agglomerato di case decadenti e fatiscenti che ospitavano alcune famiglie povere e numerose, che vivevano di umili lavori a servizio della famiglie aristocratiche della città (foto risalente al 1910)

E proprio da una famiglia di tessitori, o sarti, il 29 novembre 1797 nacque Domenico Gaetano Maria Donizetti, quinto dei sei figli messi al mondo da Andrea Donizetti (1765-1835) e Domenica Oliva Nava (1765?-1836).

Ritratto di Gaetano fanciullo. Il grande compositore Gaetano Donizetti (Bergamo 1797 – 1848), tra i più celebri e più rappresentati operisti dell’Ottocento e precursore del dramma musicale alla Giuseppe Verdi. Ebbe all’attivo 70 opere in soli 30 anni di attività, vissuti tra successi e dispiaceri, gioie e lutti familiari che ne costellarono vita e carriera

Gli avi di Donizetti erano arrivati a Bergamo probabilmente dalla vicina Pontida nella prima metà del XVIII secolo.
La famiglia di Andrea occupò i locali in via Borgo Canale al numero 14 per vent’anni, dal 1786 al 1806.
Nel 1806 le condizioni di vita della famiglia cominciarono a migliorare, e così i Donizetti si trasferirono al numero 35 di Piazza Nova (l’attuale Piazza Mascheroni, 8). Dal 1808 Andrea diventò custode del Monte di Pietà, chiudendo definitivamente un increscioso periodo di assoluta indigenza.

Piazza Mascheroni in un’immagine d’epoca

Individuata grazie alle ricerche compiute da Ciro Caversazzi pubblicate nel 1924, la casa dove nacque Gaetano Donizetti è un edificio di 5 piani risalente all’epoca medievale. Il declivio del colle su cui sorge Borgo Canale fa sì che dalla via che l’attraversa si vedano solo 4 piani, mentre dalla strada a valle (l’attuale via degli Orti) i piani fuori terra sono 5.

Il visitatore accede dall’ingresso di via Borgo Canale in una saletta che ospita il banco d’accoglienza. Le tre stanze affacciate sulla via, oggi sede di una esposizione donizettiana permanente, non erano di pertinenza dei Donizetti: la loro abitazione si trova al piano seminterrato, posto al livello della sottostante via Degli Orti

 

Uno degli ambienti del museo, nella casa natale di G. Donizetti. Al piano terra, le due salette che guardano a valle hanno alle pareti pannelli che illustrano in sintesi la vita di Donizetti e quella del suo maestro Mayr: dalle finestre, la vista sui colli di Bergamo è già di per sé uno spettacolo. Ai piani superiori il visitatore trova da un lato un piccolo ambiente che custodisce pochi ma preziosi cimeli, e dall’altro un’ampia sala dedicata al teatro — il campo d’azione principale di Donizetti — inteso sia come edificio, sia come creazione di spettacoli. Al piano successivo si trovano un piccolo auditorium preceduto da un atrio che è anche una galleria di ritratti di Donizetti

I Donizetti abitavano appunto nel seminterrato, la parte più antica dell’edificio, di epoca tre-quattrocentesca, posto al livello della sottostante via Degli Orti.

La discesa per via degli Orti

 

Via degli Orti

Guardando la struttura si evince che nella loro prima destinazione i locali dovevano essere un antico, ampio, portico aperto e voltato. Si possono infatti scorgere le due doppie campate sostenute da pilastri, chiuse da più recenti muri in cotto che scandiscono la suddivisione attuale.

Da via degli Orti è visibile la casa natale di Gaetano Donizetti: si tratta del  seminterrato dell’edificio, nato come portico aperto ma successivamente chiuso e suddiviso in locali d’abitazione e in ambienti di servizio per l’intero edificio: un corridoio di disimpegno, con legnaia, pozzo e ghiacciaia da un lato, e dall’altro – verso valle – un appartamento di due stanze in cui si svolgeva la vita quotidiana della famiglia Donizetti

Nel suo epistolario, Donizetti scrive queste poche parole, scolpite in una lapide di marmo collocata nel pavimento dell’abitazione, rendendo perfettamente l’impressione che ancor oggi si ricava scendendo la ripida e angusta scala che conduce ai locali un tempo occupati dalla famiglia di Andrea: «Nacqui sotterra in Borgo Canale. Scendevasi per una scala di cantina ov’ombra di luce non mai penetrò. E siccome gufo presi il mio volo» (Lettera a Giovanni Simone Mayr da Monaco, del 15 luglio 1843).

Superato l’ingresso da via Borgo Canale e discesa la scala, ci si trova in un piccolo corridoio che separa gli ambienti in due zone: a destra si accede ai suggestivi locali che ospitano il pozzo e la ghiacciaia; a sinistra si passa invece alle due stanze in cui si svolgeva la vita quotidiana della famiglia: la cucina, con il semplice camino, e la camera da letto dove vide la luce Gaetano Donizetti. Non vi sono mobili: chi vi abitò era troppo povero per avere arredi di qualche pregio, e i cambiamenti di inquilini non hanno favorito la conservazione di ciò che c’era.

 

 

Le uniche fonti di luce dell’appartamento, una porta e una finestra, si affacciano sul piccolo e rustico giardinetto affacciato su via Degli Orti.

La botola visibile nella stanza immette ad una cantina-ripostiglio, in passato comunicante direttamente col pozzo. È inoltre ben evidente, sul pavimento, lo scolatoio che dalla ghiacciaia conduceva l’acqua al pozzo. Il ghiaccio e la neve, preziose riserve d’acqua pulita, venivano fatti scivolare in questi locali attraverso un’apertura a livello terreno sul Borgo Canale.

 

Acquistato dal Comune di Bergamo nel 1925 grazie ad una sottoscrizione pubblica promossa l’anno prima, nel 1926, per Regio Decreto N. 338 del 28 gennaio l’edificio venne dichiarato Monumento Nazionale in quanto «di interesse storico». Disabitato dal 1929 alla metà degli anni ’30, lo stabile tornò ad essere casa d’abitazione fino alla metà degli anni ’60.

In occasione del primo centenario della morte di Donizetti (1948), e poi nel 1973, si provvide a restaurare il seminterrato e ad aprirlo al pubblico. Nel 2007 dal Comune di Bergamo furono avviati i lavori di restauro e ristrutturazione dell’intero edificio, che hanno portato alla sua totale apertura nel 2009. Il suo riallestimento è stato affidato alla Fondazione Donizetti.

Con la convenzione realizzata tra Comune e Fondazione Donizetti si rende disponibile, stabilmente e continuativamente, questo prezioso bene, simbolo dell’attaccamento di Bergamo al suo più illustre figlio.

Gaetano Donizetti (la vita, le opere) e la sua ultima dimora: palazzo Basoni Scotti

Gaetano Donizetti, Carte de visite, 1848. Il bergamasco in assoluto più celebre, si è distinto per l’ispirazione ricca, che gli ha permesso di scrivere alcune tra le pagine più belle del repertorio lirico di ogni tempo. La sua musica si colloca nel clima del grande romanticismo europeo

La prima e più certa notizia che si ha sulla famiglia di Gaetano Donizetti appare nello Status Animarum della parrocchia di S. Grata inter vites di Borgo Canale, dov’egli viene battezzato il 3 dicembre.

Borgo Canale, luogo natale di Gaetano Donizetti, appena fuori le mura veneziane (Racc. Gaffuri)

Da questo documento risulta che Ambrogio Donizetti, nonno di Gaetano, negli anni compresi tra il 1779 e il 1785 abita in ædibus Milesi, in prossimità della parrocchia. Non è chiaro né l’anno né il luogo della sua nascita, ma Ciro Caversazzi, che compone la tavola genealogica della famiglia Donizetti – esposta al Museo Donizettiano – afferma che sarebbe nato nel 1732.

La casa natale di Gaetano Donizetti, oggi adibita a Museo, in via Borgo Canale; dal lato opposto l’edificio è rivolto su via degli Orti, in affaccio alla pianura (immagine datata 1910)

È certo invece che Ambrogio Donizetti convola a nozze due volte, dapprima con Rosalinda Cereda e, dopo la morte di questa, con Maria Gregis. Dalla prima ha quattro figli, tra i quali è compreso Andrea, futuro padre di Gaetano; dalla seconda, nove. Andrea, quarto figlio di Ambrogio nato il 20 dicembre 1765, si unisce in matrimonio il 1° febbraio 1786, a 21 anni non ancora compiuti, con Domenica Nava, sua coetanea e concittadina. Dalla loro unione nascono sei figli: Giuseppe (1) (1788-1856), anch’egli musicista, Maria Rosalinda (1790-1811), Francesco (1792-1848), Maria Antonia (1795-1823), Domenico Gaetano Maria (1797-1848) e Maria Rachele (21 marzo- 5 aprile 1800).
Gaetano è dunque il quinto figlio di Andrea e Domenica.

(1) Corista in S. Maria Maggiore e nei teatri cittadini, nel 1815 entrò nell’esercito del Regno di Sardegna come capomusica. Assunto come «Istruttore generale delle Musiche Imperiali Ottomane», rimase a Costantinopoli fino alla morte (1856) essendo stato nominato pascià, colonnello onorario della Guardia Imperiale Ottomana, e generale di brigata dal successore di Mahmud II, il sultano Abdul Medjid.

Borgo Canale da via degli Orti

All’epoca della nascita di Gaetano, da non molti mesi Bergamo non apparteneva più alla Repubblica veneta di S. Marco. Dopo un dominio durato ininterrottamente per quasi tre secoli, con la prima campagna napoleonica d’Italia la città era entrata a far parte della Repubblica Cisalpina. Gaetano nacque dunque cittadino di questo recentissimo stato, poi divenuto Repubblica Italiana (1802-1805), e infine Regno d’Italia (1805-1814), sempre con a capo Napoleone.

Via degli Orti nel Borgo di Canale

 

Via degli Orti. La camera dove nacque il Maestro è al piano terra, sotto l’arco di sinistra

Verso la fine del ‘700 risiedono in Borgo Canale numerose famiglie di tessitori; anche Andrea – il padre di Gaetano – è operaio nel settore.

Nel 1808 Andrea, assunto in qualità di custode e portinaio del Monte di Pietà di Bergamo, sito in Piazza Nova (l’odierna piazza Mascheroni), si trasferisce con la famiglia in un nuovo alloggio nelle vicinanze del luogo di lavoro, lasciando quindi la vecchia casa di Borgo Canale.

La torre d’accesso alla Cittadella viscontea, in Piazza Nova, oggi Mascheroni, già Mercato del Lino (Racc. Gaffuri)

Anche la moglie Domenica collabora nel sostentamento della numerosa famiglia: nel 1816 figura nei protocolli della Congregazione di Carità come cucitrice, lavoro svolto insieme alle due figlie sopravvissute.

Piazza Nova, oggi Mascheroni, già Mercato del Lino. Nel 1808 le condizioni di vita della famiglia cominciano a migliorare: i Donizetti si trasferiscono al numero 35 di piazza Nova, oggi Piazza Mascheroni. Il civico dovrebbe corrispondere all’odierno 8, attualmente occupato dall’hotel Relais San Lorenzo, unico a cinque stelle di Bergamo

Per i tre maschi papà Andrea nutre qualche ambizione; per Gaetano aspira addirittura agli studi di giurisprudenza, se dobbiamo prestar fede a una lettera spedita dal compositore all’impresario Alessandro Lanari il 6 agosto 1833: “… sappi che io […] doveva far l’avvocato e per quella via m’incamminarono li miei genitori….”.
In un primo tempo, infatti, Andrea si oppone alla decisione del figlio di intraprendere la carriera teatrale, ma successivamente se ne convince, regalando al figlio, in segno di riconciliazione, il raschietto d’osso oggi esposto in una vetrina del museo.
I due genitori muoiono a poche settimane di distanza l’uno dall’altro: il padre il 9 dicembre 1835, per affezione tubercolare, mentre la madre il 10 febbraio 1836, per insulto apoplettico.

Gaetano fanciullo

Donizetti, impossibilitato a seguire personalmente le esequie, incarica l’amico Antonio Dolci di tutte le cure e spese necessarie che valgano a dimostrare la gratitudine di un figlio.

 

FORMAZIONE E APPRENDISTATO (1806-1821)

Giovanni Simone Mayr Compositore bavarese (1763-1845), è maestro di cappella della basilica di Santa Maria Maggiore di Bergamo (1802) e fondatore delle Lezioni caritatevoli di musica (1806) e dell’Unione Filarmonica (1823). Maestro di Donizetti dal 1806 al 1815, è tra i primi in Italia a studiare a fondo le opere di Haydn, Mozart e Beethoven e a promuoverne appassionatamente le esecuzioni. Notevole importanza riveste la sua produzione di musica sacra (Messe, Vespri, Oratori…)

Dobbiamo in massima parte a  Johann Simon Mayr (Mendorf, Baviera, 1763 – Bergamo, 1845), compositore e didatta di fama europea, se il genio di Donizetti si è potuto esprimere al meglio.
Le Lezioni Caritatevoli di Musica, da lui fondate nel 1806 (2), sono una scuola professionale con scopi benefici, germinate dallo spirito riformatore ed egualitario dell’illuminismo e della massoneria (eretta dunque nel quadro delle attività assistenziali promosse dal governo dopo la caduta degli antichi regimi e la nazionalizzazione dei beni ecclesiastici) di ispirazione romantico-risorgimentale (Mayr, dalla documentazione di polizia, ne risulta iscritto).
Le Lezioni Caritatevoli di Musica sono di fatto il primo conservatorio di musica dell’allora Regno d’Italia (3).
Con questi principi Mayr intende, oltre che dare un’istruzione e quindi un futuro ai figli delle classi meno abbienti, fornire di validi cantori professionisti la cappella musicale della Basilica di S. Maria Maggiore, da lui stesso diretta.

(2) A questo impiego stabile, Mayr affiancò quello parallelo di operista, che lo portò a Venezia, Milano (1800-1814) e in altre città del Regno d’Italia, nonché a Trieste (1801), Vienna (1802-1803), Roma (1808), e soprattutto a Napoli (1813-1815 e 1817). Nel 1807 ebbe da Napoleone la proposta di diventare «maestro e direttore del teatro e de’ concerti» della corte imperiale. Fino all’avvento di Rossini, Mayr senza dubbio fu il più stimato operista attivo in Italia.
(3) L’eccellenza dei risultati raggiunti dalla scuola di Bergamo poté essere constatata nel 1811 anche ad altissimo livello politico: dopo aver assistito in forma ufficiale ai suoi saggi finali, i ministri dell’Interno e della Pubblica Istruzione del Regno d’Italia ne trassero la convinzione che i metodi didattici mayriani dovessero venire adottati in tutto lo stato.

Basilica di S. Maria Maggiore (Racc. Gaffuri). Donizetti frequenta per nove anni (1806-1815) le Lezioni Caritatevoli di Musica, volute da Giovanni Simone Mayr per fornire di validi cantori professionisti la cappella musicale di S. Maria Maggiore. La scuola è finanziata dalla Misericordia Maggiore, La basilica di S. Maria Maggiore custodisce spoglie di Donizetti e del suo maestro, Mayr

Il regolamento della scuola prescriveva infatti, quale ineluttabile condizione, il possedere una “bella voce” adatta al coro di voci bianche per le funzioni religiose che avevano luogo in basilica. Donizetti fanciullo, quando nell’aprile 1806, accompagnato dal padre, chiede di esservi ammesso, non possiede una gran bella voce, se la commissione esaminatrice così lo giudica: “Ha buon orecchio, la voce non è particolare e sarebbe admissibile per la prova de’ tre mesi” (4).
Nel primo rapporto sull’andamento scolastico, datato 13 settembre 1806, Mayr, pur riconoscendo diligenza, buona disposizione e progressi nella lettura musicale, conferma che la voce è difettosa di gola. Passati i tre mesi di prova, il maestro bavarese, che già intuisce il talento del ragazzo, fa ogni sforzo per trattenerlo in scuola, anche se in contrasto col regolamento da lui stesso dettato: permette così al promettente allievo di rimanere alle Lezioni Caritatevoli per ben nove anni, sino all’ottobre 1815. Questo è infatti l’anno che segna il primo distacco del giovane Donizetti dalla città natale.

(4) Gaetano Donizetti si preparava ad affrontare la professione musicale in qualità di cantante, esibendosi nelle cerimonie religiose che si svolgevano in S. Maria Maggiore, nei saggi pubblici di fine anno scolastico (iniziati nell’agosto 1808 con La creazione di Haydn, e poi proseguiti anche con piccole opere vere e proprie), in qualche concerto straordinario.

Carlo Alfredo Piatti (1822-1901) nasce in una casa di via Borgo Canale, a Bergamo. Violoncellista di fama europea (a Monaco di Baviera duetta con Liszt) nonché innovatore nella tecnica dello strumento, esercita grande influenza anche come insegnante di Donizetti

Ben presto però Mayr si rese conto che questa carriera non faceva per lui. Piuttosto, il ragazzo dimostrava attitudini per la composizione (5):
“Dotato di propensione, talento e genio per la composizione…”: sono queste le parole utilizzate da Mayr in una supplica alla Congregazione di Carità per descrivere il talento del suo allievo, nell’intento di ottenere per lui una borsa di studio che gli permetterà il completamento degli studi a Bologna (dove rimase dall’ottobre 1815 al dicembre 1817 a studiare contrappunto e fuga) sotto la guida del celebre Padre Mattei, la più solida e perfetta, che vanta al giorno d’oggi l’Italia.
Padre Stanislao Mattei (1750-1825), frate minore, prima allievo e poi successore del più famoso Padre Giovan Battista Martini alla direzione del Liceo Filarmonico di Bologna, fu il più grande teorico e didatta nell’Italia del suo tempo. Oltre a Donizetti fra i suoi allievi d’eccezione figurano Giovanni Battista Velluti, Giovanni Pacini, Francesco Morlacchi, Giovanni Tadolini e, grande fra i grandi, Gioachino Rossini.
Sui metodi didattici di Mattei si ha qualche notizia proprio da quest’ultimo, suo allievo tra il 1806 e il 1810: Padre Mattei con la penna in mano aveva pochi uguali in abilità, ma d’altra parte era terribilmente taciturno; gli si doveva strappare dalla bocca per forza ogni spiegazione verbale. Quando chiedevo delle spiegazioni, mi rispondeva sempre: è uso di scrivere così.

(5) L’attitudine per la composizione è testimoniata da alcune sue acerbe prove: qualche pagina destinata al consumo domestico (una delle quali addirittura pubblicata a Milano da Ricordi, e certo grazie all’interessamento di Mayr), pezzi sacri da chiesa. Informato delle scelte del fratello minore, all’inizio dell’estate 1815 dall’isola d’Elba (dove si trovava al seguito di Napoleone in esilio) Giuseppe Donizetti così scriveva al padre, approvando la decisione: «Direte a Gaetano che mi fa piacere che diventi matto per la musica».

Gaetano Donizetti

A Bologna Donizetti si specializzò negli studi superiori di composizione (per i quali ottenne premi scolastici) e sempre più familiarizzò con la composizione teatrale, facendosi apprezzare dall’ambiente musicale bolognese, nel quale ebbe modo di introdursi grazie alle lettere di presentazione del suo maestro Mayr.

Sfumata a fine 1817 la prospettiva di un primo impiego lavorativo ad Ancona, Donizetti lascia Bologna nel novembre dello stesso anno, facendo ritorno a Bergamo dove rimane sino alla fine del 1821: ad attenderlo è un’attività di compositore d’occasione, alla continua ricerca di scritture teatrali; collabora intanto con Mayr in veste di compositore di musica sacra e scrive, nel contempo, una gran quantità di musica strumentale da camera (quartetti, musica per pianoforte solo e a quattro mani, ecc.), eseguita nei migliori salotti cittadini dove è introdotto dal suo maestro.

Allo stesso tempo offre un saggio – per la prima volta – nel campo teatrale a livello professionistico.

Il bagaglio tecnico che Donizetti acquisisce grazie a tanti anni di alacre studio con Mayr e con Padre Mattei è sufficiente per permettergli di cimentarsi nel genere musicale più ambito e redditizio per un musicista della sua epoca: il melodramma. Tale propensione era comunque già emersa durante gli anni di studio a Bologna: risale infatti al settembre 1816 la composizione della sua prima opera, Il Pigmalione, atto unico per tenore e soprano su libretto di ignoto, rimasta non rappresentata sino al 1960.

Gaetano Donizetti – Autoritratto

Nel carnevale 1818 al teatro bergamasco della Società la compagnia dell’impresario Paolo Zancla (nella quale spiccavano la primadonna Giuseppina Ronzi De Begnis e suo marito, il basso Giuseppe De Begnis) rappresentava Agnese di Paer e La Cenerentola di Rossini. Certo per interessamento di Mayr, a Donizetti fu data la possibilità di scrivere alcuni pezzi per le cosiddette ‘beneficiate’: cioè le serate all’interno della stagione, stabilite per contratto, nelle quali i cantanti principali presentavano il meglio del loro repertorio col diritto di trattenere per sé l’utile del botteghino.
I brani del giovane compositore dovettero accontentare sia i De Begnis, sia il pubblico, se Donizetti fu sollecitato a seguire la compagnia a Verona, con la speranza di poter scrivere qualcosa di più impegnativo. Anche se ciò non avvenne, Gaetano si procurò un significativo ingaggio per la successiva stagione autunnale, in cui avvenne il suo debutto.
Zancla gestiva infatti a quell’epoca anche un teatro minore di Venezia, il S. Luca, per il quale Donizetti fu posto sotto contratto per la composizione di un’«opera semiseria spettacolosa». La stesura del libretto (Enrico di Borgogna) venne affidata ad un altro bergamasco e allievo di Mayr, Bartolomeo Merelli (1794-1879), più tardi famoso impresario, già in contatto con Donizetti almeno fin dall’autunno precedente.
Dopo il debutto (6) (14 novembre 1818) ed alcune repliche dell’opera, Merelli e Donizetti presentarono al pubblico anche la farsa Una follia, andata in scena con più successo.
L’esordio teatrale di Donizetti avvenne dunque sotto gli espliciti auspici di Mayr.

(6) Pur trattandosi del lavoro di un giovane esordiente, l’esito della serata è soddisfacente: un articolo apparso sopra un giornale dell’epoca giudica l’opera regolare, ragionata, ed opportunamente vivace e briosa (Nuovo Osservatore Veneziano, 17 novembre 1818).

Gaetano Donizetti, carte de visite, 1848

Nelle stagioni successive, la carriera di Donizetti proseguì in teatri di secondo piano, e nei generi d’opera ugualmente meno importanti, cioè il semiserio e il buffo: con Le nozze in villa probabilmente a Mantova nel carnevale 1819 (o forse a Treviso, teatro Dolfin, nella primavera 1820), e al teatro S. Samuele di Venezia nel carnevale 1820 – dal 26 dicembre 1819 – con Pietro il Grande, kzar delle Russie. Su libretto del marchese Gherardo Bevilacqua Aldobrandini, scenografo e occasionalmente poeta teatrale, l’opera era tratta da una commedia francese di Alexandre Duval ben nota in Italia col titolo di Il falegname di Livonia. La stampa veneziana registrò con simpatia la conferma di quel giovane compositore, che in quell’opera dimostrava la sua piena e a tratti perfino originale assimilazione dei grandi modelli rossiniani.

Appena avviata, la carriera di Donizetti minacciava però d’interrompersi bruscamente a causa del servizio militare. Il governatore austriaco di Milano aveva fatto richiamare le classi 1795-1800, e dunque Gaetano ricadeva in pieno nel provvedimento. Nel dicembre 1820 sia lui, sia l’amico Dolci riuscirono ad evitare l’arruolamento grazie ad una possibilità prevista dalla legge: sborsando una congrua somma, si poteva essere stabilmente rimpiazzati da un sostituto.
A entrambi, che non lo avevano di certo, il denaro necessario fu fornito da Marianna Pezzoli Grattaroli, la quale mecenatescamente ritenne che non si dovessero sprecare quelle due giovani promesse musicali.

 

L’ASCESA: ROMA, MILANO, NAPOLI (1822-1838)

Intanto da parte di Mayr continuava l’attiva promozione dell’allievo: per Donizetti il 1821 è l’ultimo anno di permanenza nella città natale; risalgono infatti a giugno le prime trattative per la definizione del contratto con l’impresario Giovanni Paterni, riguardo un’opera seria da rappresentarsi al Teatro Argentina di Roma. Si rivelerà questo un contratto fortunato: Zoraide di Granata, andata in scena il 28 gennaio 1822, piace sempre più al pubblico romano, tanto da portare addirittura in trionfo l’incredulo compositore la sera della terza rappresentazione.

Questo primo soggiorno a Roma serve a Donizetti, oltre che a farsi conoscere professionalmente al di fuori del Lombardo-Veneto, anche a stringere rapporti con persone che avranno un’influenza sulla sua vita futura: il letterato Jacopo Ferretti, suo futuro librettista, la famiglia Carnevali e la famiglia Vasselli.
Il primogenito di quest’ultima, Antonio (confidenzialmente, Toto), sarà da allora suo intimo amico, e la sorella più giovane, Virginia (tredicenne nel 1821), nel 1828 diventerà addirittura sua moglie.

Virginia Vasselli. (1808-1837) Figlia di Luigi, noto e facoltoso avvocato romano conosciuto da Donizetti in casa del librettista Jacopo Ferretti, convola a nozze il 1/06/1828. Non è un matrimonio lungo né felice: dura circa dieci anni ed è segnato dalla morte dei due figlioletti e della stessa Virginia avvenuta nel 1837 a causa di complicazioni dovute al terzo parto

Il successo di questo esordio romano, la cui notizia si sparge velocemente per tutta la penisola, frutta a Donizetti nuovi contratti. Da Napoli il celebre impresario Domenico Barbaja gli propone la scrittura di due nuovi lavori, tra cui La zingara, tenuta a battesimo entusiasticamente il 12 maggio 1822 al teatro Nuovo.

Seguiranno le commissioni di una farsa per il teatro reale del Fondo (dedicato al repertorio comico e semiserio), La lettera anonima (29 giugno 1822), di un’opera semiseria per La Scala di Milano (Chiara e Serafina: 26 ottobre 1822), ed infine di una grande opera seria per il maggior teatro reale napoletano, il San Carlo (Alfredo il Grande: 2 luglio 1823).

Tuttavia, le incomprensioni e le difficoltà incontrate nella professione teatrale gli fanno scrivere in una lettera del 1825 a Simone Mayr: “Guardan la gente di teatro come infami e perciò nessuno di noi si cura […] Già il mestiere del povero scrittore d’opere l’ho capito infelicissimo sin dal principio, ed il bisogno solo mi ci tiene avvinto”.
In effetti, a prescindere dal valore musicale, la riuscita di un’opera in quegli anni è legata ad un’infinità di frangenti, quasi sempre non controllabili dal compositore: il cast di cantanti, il valore del libretto, la professionalità dell’orchestra, l’effetto delle scene, il periodo scelto per la rappresentazione. Donizetti nel 1827 mette in berlina il particolarissimo mondo teatrale scrivendo l’opera buffa Le convenienze e inconvenienze teatrali.

A questo punto, la sua carriera di operista è ormai definitivamente avviata: un primo, brillante traguardo di qualità lo conseguirà con l’opera comica L’aio nell’imbarazzo (Roma, teatro Valle, 4 febbraio 1824), notevole anche come riuscita ricerca di nuove strade rispetto ai dominanti modelli rossiniani, che s’impongono per circa un ventennio (7).

(7) Gli anni che vanno dal 1822 al 1830 coincidono con un periodo di estenuante lavoro per Donizetti: dopo aver pagato con le prime opere un tributo al “rossinismo” dilagante, emerge nel compositore bergamasco lo sforzo della ricerca di un linguaggio sempre più personale. Pur nella loro discontinuità, opere come Emilia di Liverpool (1824), Gabriella di Vergy (1826), L’Esule di Roma (1827), Il Paria (1828), Il diluvio universale (1829-’30), Imelda de’ Lambertazzi (1830) contengono elementi notevoli che aprono spiragli evolutivi nella drammaturgia musicale donizettiana.

Caricatura di Gaetano Donizetti apparsa sul gazzettino “Panthèon Charivarique” (1840) – Museo delle Storie di Bergamo, Museo Donizettiano

Direttore del teatro Carolino di Palermo con un contratto annuale a partire dal marzo 1825, Donizetti si trasferì nella città siciliana curando l’allestimento di opere proprie e altrui, e tenendovi a battesimo il titolo serio Alahor in Granata (7 gennaio 1826).
Tornato a Napoli, nel 1827 si legò contrattualmente all’impresario dei Teatri Reali partenopei Domenico Barbaia, assumendo la direzione del teatro Nuovo.
Iniziò allora la lunga stagione napoletana di Donizetti, destinata a protrarsi fino all’ottobre 1838. Vi si situano avvenimenti famigliari centrali come il citato matrimonio con Virginia Vasselli (1828), e lutti non meno fondamentali quali la scomparsa via via di tre figli neonati, e infine (30 luglio 1837) della stessa moglie, durante un’epidemia di colera.

L’Osteria dei Tre Gobbi, il locale che Donizetti  amava sostare con i più cari amici durante i suoi soggiorni nella città natale, una città che egli “amò di un amore fatto di passione”. A Milano ritornò con Anna Bolena nel 1830. nel 1831 era a Bergamo e nel ’32 si affermò con l’Elisir d’amore: in seguito ottenne una serie di numerosi successi

Professionalmente, questi sono gli anni in cui verrà chiamato alla cattedra di composizione nel Real Collegio di Musica, e durante i quali coltiverà una vivace e curiosa apertura nei confronti di nuove direzioni drammatiche: il mélo romanzesco (Otto mesi in due ore, teatro Nuovo, 13 maggio 1827), il teatro nel teatro (Le convenienze ed inconvenienze teatrali, Nuovo, 21 novembre 1827), la sperimentazione morfologica su larga scala (L’esule di Roma, Il paria, Fausta: teatro S. Carlo, rispettivamente 1 gennaio 1828, 12 gennaio 1829, 12 gennaio 1832), l’opéra-comique (Gianni da Calais, teatro del Fondo, 2 agosto 1828; Gianni di Parigi, 1831), la sensibilità romantica (Elisabetta al castello di Kenilworth, S. Carlo, 6 luglio 1829), il sublime biblico (Il diluvio universale, S. Carlo, 28 febbraio 1830).

Schizzo autografo del Diluvio Universale, Bergamo – Fondazione Donizetti

Intanto, due grandi successi milanesi (entrambi su libretti di Felice Romani) posero Donizetti nel novero dei più importanti compositori europei d’opera italiana. Il primo di essi è Anna Bolena, andato in scena al teatro Carcano di Milano il 26 dicembre 1830 e considerata la vera svolta nella produzione donizettiana; l’altro, L’elisir d’amore (grande capolavoro del genere buffo), presentato a Milano, alla Canobbiana il 12 maggio 1832.

Lo straordinario successo di Anna Bolena, primo melodramma veramente “romantico”, fu di importanza capitale per l’avvenire di Donizetti, facendolo entrare di colpo nel novero dei più importanti operisti della sua epoca.

Ponziano Loverini, Ritratto postumo di Gaetano Donizetti (1877), olio su tela – Museo delle Storie di Bergamo, Museo Donizettiano

La vicenda dell’infelice moglie di Enrico VIII permise a Romani e Donizetti d’innestare i profili psicologici dei protagonisti su di uno sfondo storico in grado di dare verità e concreto spessore alle vicende rappresentate: nella Milano in cui era da poco uscito il romanzo a base storica I promessi sposi (1827), Anna Bolena dovette parere un suo analogo melodrammatico quanto a tinta, scontri tra i personaggi, conflitti interiori (ma solo in parte quanto all’ipoteca religiosa).

Giuditta Pasta. Acclamata prima interprete di Anna Bolena (1797-1865) si guadagna il titolo di maggiore cantante drammatica del tempo con le interpretazioni di Romeo e Giulietta di Zingarelli e Medea in Corinto di Mayr. Dotata inizialmente di una voce di mezzosoprano contraltino, sottoponendosi a un duro studio diventa soprano drammatico specializzandosi nei ruoli di Sonnambula, Norma, Beatrice di Tenda di Bellini

Il delizioso idillio campestre dell’Elisir d’amore metteva a frutto le frequentazioni dell’opéra-comique transalpino, incrociandolo con la tradizione comica goldoniana. Donizetti se ne avvantaggiò reinventando formulazioni melodiche e strutture, ma al momento buono dando saggio anche di un’infallibile intensità patetica che, collocata in nodi cruciali della vicenda, sa diventare anche grande leva drammatica.

Partitura dell’Elisir d’amore

Se questi capolavori incoronarono Donizetti drammaturgo musicale, inaugurarono anche una stagione ricchissima di titoli che costituiscono altrettante pietre miliari del teatro romantico italiano. Già le fonti letterarie di alcuni di essi sono eloquenti: Byron per Parisina (Firenze, La Pergola, 17 marzo 1833) e Marino Faliero (Parigi, Théâtre Italien, 12 marzo 1835); Victor Hugo per Lucrezia Borgia (Milano, La Scala, 26 dicembre 1833); Schiller per Maria Stuarda (1834); Walter Scott per Lucia di Lammermoor (Napoli, S. Carlo, 26 settembre 1835). Ad essi possiamo aggiungere Gemma di Vergy (Milano, La Scala, 26 dicembre 1834), Belisario (Venezia, La Fenice, 4 febbraio 1836), Roberto Devereux (Napoli, S. Carlo, 29 ottobre 1837), Maria de Rudenz (Venezia, La Fenice, 30 gennaio 1838), Poliuto (1838).

Poliuto

Si tratta perlopiù di drammi storici a tinte forti, foschi e grondanti sangue, con ambientazioni frequentemente notturne, cupe, spesso gotiche. I loro protagonisti sono preda di passioni violente, dilaniati da esplosioni di furore, spesso visionari. Le figure femminili offrono una galleria superba della voce e del personaggio di soprano: il tenore romantico vi trova i suoi prototipi in Ugo (Parisina) ed Edgardo (Lucia di Lammermoor). Baritoni e bassi si pongono spesso come antagonisti di contese senza vincitori, tragicamente disastrose per tutti. In questo panorama di rovine senza speranza fa eccezione Poliuto, dalla conclusione non meno funesta ma che, nella prospettiva religiosa della fede santificata dal martirio, attinge il suo riscatto se non altro ultraterreno.

La grande soprano Angelina Ortolani, nata ad Almenno (BG) nel 1834, debuttò nel 1853 al Teatro Sociale di Bergamo, nella Parisina di Donizetti. Era dotata di una voce definita “angelica”. Nel 1857 avviò una carriera internazionale, esibendosi a Madrid e Londra; nel 1859 era a Barcellona. A partire dal ’59 si esibì quasi sempre con il marito, il tenore Mario Tiberini, sposato l’anno precedente; furono al Teatro alla Scala di Milano, al Regio di Torino, al San Carlo di Napoli, al Covent Garden di Londra, alla Wiener Staatsoper. Nell’atrio del Teatro Donizetti di Bergamo è collocato un busto di Angelina Ortolani, opera dello scultore Gianni Remuzzi, posto in occasione del centenario della nascita del soprano

Oltre a trovare i colori adatti, le delineazioni psicologiche giuste, il ritmo teatrale e i colpi di scena più efficaci, Donizetti piegò i propri mezzi tecnici e il suo stile per assecondare ed esaltare la natura drammatica di quei testi, sperimentando soluzioni nuove ed ardite. In qualche caso saggiò anche orientamenti di gusto fondati sulla mescolanza romantica degli stili e dei livelli espressivi: come mostrano Il furioso all’isola di San Domingo e Torquato Tasso (Roma, teatro Valle, 2 gennaio e 9 settembre 1833), e soprattutto Lucrezia Borgia. Altrove diede ulteriori prove di avvicinamento allo stile francese non solo in repertori minori e in campo comico (Il campanello e Betly: Napoli, teatro Nuovo, 6 giugno e 24 agosto 1836), ma anche nel gran genere serio (L’assedio di Calais: Napoli, S. Carlo 19 novembre 1836).

 

L’APOGEO: PARIGI E VIENNA (1838-1844)

Donizetti fu chiamato insieme con Bellini nella capitale francese, su indicazione di Rossini, che vi condirigeva il teatro che presentava opera italiana (il Théâtre Italien).
Mentre Bellini vi tenne a battesimo I Puritani, Donizetti compose Marino Faliero, dramma storico di forte spessore politico (molto ammirato tra gli altri da Giuseppe Mazzini, che vi vide un esempio di nuovo teatro musicale impegnato sul versante civile).

Rientrato a Napoli, Donizetti vi realizzò alcune delle vette massime della sua produzione seria: Lucia di Lammermoor, che ottiene un memorabile trionfo al Teatro San Carlo la sera del 26 settembre 1835), Roberto Devereux (1837), Poliuto (1838).

Giunto nuovamente a Parigi – 21 ottobre 1838 – Donizetti inizia un periodo di attività intensissima: le prove di Roberto Devereux (27 dicembre) e di Elisir d’amore (17 gennaio 1839) al Thêatre des Italiens, la rielaborazione di Lucia di Lammermoor, data al Thêatre de la Renaissance il 6 agosto 1839, la trasformazione dello sfortunato Poliuto in Le martyrs all’Opéra (10 aprile 1840), la composizione di Lange de Nisida  (trasformata poi in La favorite), l’elaborazione di Le duc d’Albe, la creazione ex-novo dell’opéra-comique La fille du régiment (11 febbraio 1840), La favorite (Opéra, 2 dicembre 1840), Rita.

Ma questo fu anche un periodo di avversità, sventure e disagi psicologici. La scomparsa della moglie Virginia (30 luglio 1837) è causa di un periodo di profonda crisi; il divieto, da parte della censura, di rappresentare Poliuto, in quanto soggetto religioso e con un martire cristiano come protagonista. A questo incidente con la bigotta amministrazione borbonica si aggiunse l’insoddisfazione professionale per la mancata nomina a direttore del Real Collegio di Musica (Conservatorio di Napoli) dopo la morte del vecchio e venerato maestro Zingarelli, a cui succede Saverio Mercandante. Tutto ciò convinse Donizetti, nell’autunno 1838, a lasciare Napoli per Parigi, accettando le proposte che da tempo gli venivano dalla capitale francese.

A Bergamo, la sua città natale, Donizetti era stato trionfalmente accolto al Teatro Riccardi nell’agosto 1840 con l’Esule

Il ventaglio di proposte era ampio – dall’opera comica e seria italiane, all’opéracomique e al grand-opéra -, distribuito nelle maggiori sale teatrali parigine.
La concorrenza del nuovo arrivato era temibile: non si limitava infatti a presentarsi come campione del genere italiano nella sala teatrale tradizionalmente deputata a questo repertorio (il Théâtre Italien), ma entrava a competere coi musicisti locali sul loro stesso terreno, dando prova di pronta e felicissima assimilazione dello stile francese sia sul versante leggero, sia su quello del grande dramma storico.

Ciò non mancò di disturbare i settori più ‘nazionalisti’ della capitale, cui diede voce ad esempio il compositore (e giornalista) Hector Berlioz, che mise causticamente in rilievo tale frenetica attività con un articolo pubblicato nel Journal des débats nel 16 febbraio 1840: “Pensate un po’: due grandi partiture per l’Opéra, Les Martyrs e Le duc d’Albe; altre due per la Renaissance, Lucie de Lammermoor e L’ange de Nisida, due per l’Opéra-Comique, La fille de régiment e un’altra di cui non si conosce il titolo; e poi un’altra ancora per il Théâtre-Italien: queste sono le opere che nel giro di un anno saranno scritte o rielaborate dallo stesso autore! Il signor Donizetti ha l’aria di volerci trattare da paese conquistato, la sua è una vera e propria guerra d’invasione. Non potremo più parlare dei teatri lirici di Parigi, ma dei teatri di Donizetti”.

Il compositore bergamasco Gaetano Donizetti

Donizetti replica a questa accusa prima con una dignitosa lettera apparsa su Le moniteur universel, poi si sfoga scrivendo il 20 aprile 1840 all’amico Innocenzo Giampieri di Firenze con un tono sottilmente ironico: “Leggesti il Debats? Berlioz? Pover uomo… ha fatto un’opera, fu fischiata, fa delle sinfonie e si fischia, fa degli articoli… si ride… e tutti ridono, e tutti fischiano, io solo lo compiango…ha ragione… deve vendicarsi…”.
Per Donizetti, come per ogni altro compositore dell’epoca, l’invito a comporre per il Thêatre de L’Opéra di Parigi rappresenta il culmine della carriera. Tuttavia, una volta esauriti i contratti in corso, Donizetti spera di ritirarsi ancora all’acme della carriera, prima di iniziare l’inevitabile declino.
Il protrarsi del suo soggiorno a Parigi – dovuto a vari motivi, tra i quali l’elaborazione di Les Martyrs che si trascina per un anno e mezzo – e la conseguente accettazione di nuovo lavoro, finisce per scatenare un’ondata di panico fra i suoi concorrenti francesi, abituati a ritmi di lavoro ben più tranquilli.

Di Donizetti Mazzini affermava che era “ingegno altamente progressivo e rivelatore di tendenze rigeneratrici”, a cominciare dalla scelta del genere musicale. Antonio Gramsci afferma che la ragione per cui il romanzo storico romantico non ebbe da noi lo stesso ruolo che ebbe negli altri paesi europei era da ricercare nella presenza del melodramma, con la sua capacità di coinvolgimento emotivo del pubblico di qualsiasi estrazione sociale, fenomeno sociologico e insieme psicologico rilevante della nostra cultura ottocentesca. Il melodramma ispirerà più tardi i giovani patrioti risorgimentali

Due impegni coi teatri di Milano (Scala) e Vienna (Porta Carinzia) fecero allontanare temporaneamente Donizetti da Parigi.
Nel primo, il 26 dicembre 1841 debuttava Maria Padilla, scabrosa tragedia che dovette essere edulcorata per ragioni di opportunità.
A Vienna, altra capitale della musica e della cultura europea, Donizetti ottiene la soddisfazione di avere finalmente una sua opera in prima assoluta; l’occasione gli viene fornita da Bartolomeo Merelli, un tempo suo primo librettista, ora potente impresario alla Scala di Milano e al Kärntnerthortheater di Vienna. L’opera in questione, dedicata all’imperatrice Maria Anna Carolina, è Linda di Chamounix (opera semiseria essa pure di argomento ai limiti del decoro, caricata di forte polemica morale e sociale, e dai toni talora manzoniani): rappresentata il 12 maggio 1842 con enorme successo, frutterà al compositore, anche la nomina a Kammerkapellmeister und Hofkompositeur (maestro di cappella e di camera, e compositore di corte) presso la corte imperiale di Vienna.

Causa questo nuovo incarico, il maestro prese a dividersi tra Vienna, coi suoi impegni a corte e nei teatri cittadini, e Parigi.

Dopo aver riscosso un altro grandioso successo presentando il 3 gennaio 1843 al Théâtre Italien di Parigi l’opera buffa Don Pasquale (perfetta commedia da camera in cui Donizetti raggiungeva il culmine della sua abilità di finissimo drammaturgo comico-sentimentale, sapiente e vivacissimo inventore di soluzioni musicali, evocatore di atmosfere e tocchi psicologici), il 5 giugno a Vienna commuove il pubblico del Kärntnerthortheater (teatro viennese di Porta Carinzia) con Maria di Rohan (moderna tragedia in costume e dal taglio scenico inusuale, con personaggi che incarnano in pieno tipi vocali e teatrali che saranno alla base del melodramma verdiano), serata a cui è presente l’intera famiglia imperiale giunta appositamente dalla residenza estiva di Schönbrunn.

Significativa l’osservazione del critico della Allgemeine Wiener Zeitung: “…crediamo che Donizetti abbia voluto dare ad un’opera che egli ha scritto per tedeschi quell’aura di serietà e dignità che sono così vicine al carattere tedesco”.

Anche se un poco altezzosa, l’osservazione del critico è fondamentalmente giusta: grazie alla grande capacità di adattamento e assorbimento di diversi stili che lo contraddistingue, nella maturità Donizetti sa assimilare e fare proprio il gusto del pubblico straniero al quale di volta in volta si rivolge, fornendo quasi sempre “prodotti” che assecondano le aspettative.

Ma il vero testamento artistico di Donizetti si può considerare il monumentale grand-opéra in cinque atti Dom Sébastien, eseguito a Parigi (Opéra) il 13 novembre 1843. Opera di vasta concezione (monumentale affresco storico dalle tinte strumentali raffinate, con profili melodici ricercati e spesso sorprendente nel taglio scenico-compositivo) non ottiene però il consenso che Donizetti aveva sperato: un grandioso successo lo ha invece nell’allestimento di Vienna del 6 febbraio 1845, in una nuova versione tradotta in tedesco.

 

LA MALATTIA E LA MORTE (1844-1848)

Anche se di forte fibra, sin dalla fine degli anni Venti Donizetti a più riprese ha le prime avvisaglie della terribile malattia – un’infezione luetica (sifilide) – che anzitempo l’avrebbe portato alla tomba; ma è durante l’inverno 1843-’44 che la salute del compositore ha un improvviso tracollo.
Tutto il 1844 e parte del 1845 saranno caratterizzati da una decadenza fisica sempre più rapida, che avrà il culmine con la crisi dell’agosto 1845: il compositore è preso a Parigi da un improvviso svenimento, da cui ha grosse difficoltà nel riprendersi.

Gaetano Donizetti, già gravemente malato, ed il nipote Andrea, in uno splendido dagherrotipo eseguito a Parigi nell’appartamento (affittato da Andrea per lo zio) in Avenue Chateaubriand n. 6, nell’agosto del 1847. L’autore dell’immagine fu probabilmente lo stesso Louis Jaques Mandé Daguerre (1779 – 1851). Furono eseguite tre pose (i dagherrotipi non si potevano duplicare): una fu inviata alla benefica Rosa Rota Basoni; una al fraterno amico Antonio Dolci; dell’ultima non si conosce la destinazione: esiste comunque una vecchia riproduzione eseguita verso la fine dell’800, quando divenne possibile la riproduzione su carta dei dagherrotipi. I due originali e la riproduzione sono ora conservati nel Museo Donizettiano (Foto e didascalia Domenico Lucchetti)

Purtroppo le scelte mediche successive, autorizzate dal nipote Andrea (frattanto mandato dal fratello Giuseppe da Costantinopoli a Parigi), non faranno che rendere irreparabile la situazione.
Un consulto di tre medici si tiene il giorno 11 agosto. Fra i tre è presente il dottor Philippe Ricord, noto per i suoi studi sulla sifilide.
Il 28 gennaio 1846 i dottori Juste-Louis Calmeil, il già citato Ricord e Jean Mitivié tengono un consulto finale che ha come risultato l’esortazione di un pronto ricovero del paziente in una clinica per alienati mentali, dal momento che Mr. Donizetti n’est plus capable de calculer sainement la portée de ses déterminations et de ses actes, come risulta dal referto.
È così che Donizetti viene ricoverato per oltre sedici mesi, contro la sua volontà, nella clinica per alienati mentali del dottor Mitivié a Ivry, poco distante da Parigi, dove le sue condizioni mentali, anziché migliorare, peggiorano sempre più velocemente.
Solo dopo molte pressioni di amici ed estimatori si ottenne di sottrarlo a condizioni di vita così penose e di ricoverarlo in un appartamento meno squallido, sempre a Parigi.
Dopo un lungo e travagliato iter burocratico curato da Andrea, nipote del musicista giunto appositamente da Costantinopoli, Donizetti può infine essere rimpatriato.

Via Donizetti, in Bergamo alta, con il palazzo Basoni Scotti sullo sfondo (Raccolta Gaffuri)

Accompagnato in treno fino a Colonia via Bruxelles, e in battello da lì a Basilea risalendo il Reno, compie il tratto alpino in carrozza, proseguendo poi per Bergamo, dove giunge la sera del 6 ottobre 1847, accolto nella casa della baronessa Rosa Rota-Basoni, sua amica e ammiratrice da oltre dieci anni e da lei già più volte ospitato.

Negli ambienti del piano nobile di questo edificio (primo piano), allora abitato dai Rota-Basoni, si consumò l’ultimo atto della vita terrena di Gaetano Donizetti. Benché l’origine di alcune strutture sia medioevale, l’assetto attuale del palazzo risale alla seconda metà del Settecento. I locali un tempo adibiti al ricovero delle carrozze si trovavano ai lati del locale d’accesso. I plafondi del piano nobile sono decorati in stucco dai modellatori ticinesi Eugenio e Muzio Camuzio, mentre fra gli esecutori delle decorazioni pittoriche vi fu anche Vincenzo Bonomini. Al secondo piano si trovano plafoni completamente affrescati con dipinti di scene per lo più di carattere mitologico che sono da attribuire all’estro ed all’abilità di Carlo Carloni. Le stanze sono purtroppo precluse alla vista dei più, essendo il palazzo tutt’oggi proprietà degli eredi dei Baroni Scotti

Viste le condizioni generali del malato, appare subito evidente che tutto quello che si può ormai fare è mantenere attive le funzioni biologiche; non si rinuncia, comunque, a cercare di stimolare la memoria del musicista.

Gli ultimi momenti di vita di Gaetano Donizetti, nel ritratto da Ponziano Loverini (Bergamo, Casa Caprotti)

Giovannina Basoni, figlia della baronessa, passa ore e ore al pianoforte, lo stesso che Donizetti aveva personalmente scelto e fatto spedire per lei da Vienna nel 1844 – ed oggi esposto presso il museo donizettiano -, attenta ad ogni più piccola reazione del maestro all’ascolto della sua musica. Su quel pianoforte è appoggiato il dipinto eseguito da Giuseppe Rillosi quando il male, ormai nella sua fase più acuta, aveva prodotto conseguenze devastanti, e che oggi campeggia nel salone principale del palazzo, a ricordo degli ultimi giorni vissuti a Bergamo dal Maestro.

Giovanni Battista Rubini. Il celebre tenore (1794-1854) esordisce a Pavia nel 1814 in Lacrime di una vedova di Generali. Interprete acclamato di Rossini e soprattutto di Bellini e Donizetti, calca tutti i maggiori palcoscenici d’Europa (tournée con Franz Liszt nel 1841), dando vita per primo, attraverso una voce chiara e soave, alla malinconia e agli slanci passionali del nuovo melodramma romantico

Si reca da lui anche il tenore Giovanni Battista Rubini – da tempo ritiratosi nella sua villa a Romano di Lombardia per cantare in duo con Giovannina -, ma apparentemente Donizetti non manifesta alcuna reazione. Rare volte riesce a pronunciare qualche parola spezzata, impossibile da comprendere.
Pochi giorni prima della morte del compositore, la baronessa chiamava in casa il pittore Giuseppe Rillosi affinché eseguisse un ritratto all’illustre ammalato.

Anche se Palazzo Scotti si trova nella parte più alta di via Donizetti, le sue fondamenta, formate da ampi locali con volte a vela, arrivano quasi all’altezza di Porta San Giacomo, sorgendo, come molti edifici di Città Alta, sui robusti avanzi di antiche abitazioni che si intersecano lungo le curve di livello del versante meridionale, allora libero dai bastioni veneziani: dalla pianura si dipartivano strade o sentieri diretti verso le abitazioni. Fra i numerosi personaggi illustri ospitati nell’edificio, di cui l’album con le firme autentiche ne testimonia la presenza, spicca quella di Papa Giovanni XXIII che, sia come Nunzio Apostolico a Parigi, che successivamente come cardinale Patriarca di Venezia, ha più volte soggiornato nel palazzo

Ai primi di aprile le condizioni del musicista hanno un pauroso tracollo. È Giovannina Basoni a raccontarne la fine in una lettera all’amica Margherita Tizzoni delle Sedie: “… Durante la sera del 5 la febbre ridivenne più forte. Nella mattinata del 6 si incominciò a praticargli l’alimentazione indiretta fortificata da rossi d’uovo. Il 7 e l’8 il signor Donizetti andò sempre più declinando in uno stato d’agonia. Il giorno 8 aprile 1848, alle 5 del pomeriggio, l’illustre ammalato rese l’estremo respiro, assistito dal sacerdote, attorniato da mia madre, da me, dal suo intimo amico Dolci e dal suo affezionatissimo domestico”.

Gli ultimi momenti di vita di Gaetano Donizetti, nel ritratto da Ponziano Loverini (Bergamo, Casa Caprotti)

I solenni funerali hanno luogo l’11 aprile 1848: la salma di Donizetti viene tumulata nella cripta della cappella della nobile famiglia Pezzoli presso il cimitero di Valtesse, sobborgo di Bergamo.

Il Cimitero di Valtesse, soppresso negli Anni ’20. L’ 11 aprile del 1848 la salma di Gaetano Donizetti veniva deposta nella Cappella della nobile famiglia Pezzoli, dove rimase fino al 26 aprile 1875 (Foto Domenico Lucchetti)

Qui vi rimane fino al 1875, quando, in occasione della prima commemorazione ufficiale del Maestro, le sue spoglie vengono traslate nella Basilica di S. Maria Maggiore, insieme a quelle di Simone Mayr.

La solenne cerimonia della traslazione di Donizetti e del maestro Mayr nella basilica di S. Maria Maggiore – 1875

 

La solenne cerimonia della traslazione di Donizetti e del maestro Mayr nella basilica di S. Maria Maggiore – 1875

In basilica gli viene dedicato un monumento, opera di Vincenzo Vela, mentre la città dedicherà al suo nome un teatro (in origine Teatro Riccardi) e l’Istituto musicale.

Il Monumento Funebre al compositore bergamasco Gaetano Donizetti, nella Basilica di Santa Maria Maggiore a Bergamo  (Bergamo, Taramelli, riproduzione datata 1890 circa)

A memoria del compositore, oltre al nome della via (un tempo via Gromo), nei pressi dell’ingresso di palazzo Scotti furono collocati un medaglione con la sua effige e una targa commemorativa.

Medaglione e targa commemorativa presso l’ingresso di palazzo Scotti, in via Donizetti

Il pianoforte, diversi elementi di arredo e i documenti, oggi si trovano all’interno del Museo Donizettiano.

Mostra donizettiana a Bergamo, 1897

Nel palazzo resta solo il ritratto di un maestro già sofferente a causa dello stadio avanzato della malattia, dipinto da Giuseppe Rillosi.

Il “mito” Donizetti è cominciato e ben presto la sua città natale gli tributerà il suo principale teatro.

Teatro Donizetti, 1905

 

LE OPERE PRINCIPALI 

Anna Bolena
Opera seria in due atti su libretto di Felice Romani, composta nel 1830. Esposti il libretto originale della prima rappresentazione al Teatro Carcano di Milano (26/12/1830), un bozzetto originale di scenografia (1830), l’avviso teatrale per la prima rappresentazione all’Imperiale Teatro di Corte di Porta Corinzia in Vienna (26/02/1833) e la riproduzione di una pagina della partitura autografa (1892)

Elisir d’amore
Opera buffa in due atti su libretto di Felice Romani, composta nel 1832. Esposti il libretto originale della prima rappresentazione al Teatro della Canobbiana di Milano (12/05/1832), tre bozzetti originali di scenografia (1832) e la riproduzione della partitura d’orchestra autografa

Marin(o) Faliero
Opera seria in tre atti su libretto di Giovanni Emanuele Bidera (con alcune modifiche di Agostino Ruffini), composta tra il 1834 e il 1835. Esposto il libretto per una rappresentazione al Teatro Comunale di Ferrara, primavera 1839

Linda di Chamounix
Opera semiseria in tre atti su libretto di Gaetano Rossi, composta tra il 1841 e il 1842. Esposti la riproduzione di una pagina della partitura autografa (1892) e una riduzione per canto e pianoforte

Lucia di Lammermoor
Opera seria in tre atti su libretto di Salvatore Cammarano, composta nel 1835. Esposti la riproduzione della partitura d’orchestra autografa (1941), il libretto per una rappresentazione al Teatro Riccardi di Bergamo nell’estate del 1838 e il frontespizio della prima edizione francese dello spartito in riduzione per canto e pianoforte

Il Pigmalione
Opera in un atto, su libretto di autore ignoto, composta nel 1816. E’ la prima opera teatrale di Gaetano Donizetti, rappresentata postuma nel 1960 a Bergamo

Enrico di Borgogna
Opera semiseria in due atti, su libretto di Bartolomeo Merelli, composta nel 1818. Segna l’esordio di Gaetano Donizetti come operista

Zoraide di Granata
Opera seria in due atti, su libretto di Bartolomeo Morelli (prima versione); rimaneggiato poi da Jacopo Ferretti (seconda versione), composta tra il 1821 e il 1822. Rappresenta il primo notevole successo del giovane Gaetano Donizetti

L’ajo nell’imbarazzo
Opera buffa in due atti, su libretto di Jacopo Ferretti, composta nel 1824. E’ nota anche col titolo Don Gregorio, versione napoletana successiva trasformata in farsa.

Ugo, conte di Parigi
Opera seria in due atti, su libretto di Felice Romani, composta tra il 1831 e il 1832.

Belisario
Opera seria in tre atti, su libretto di Salvatore Cammarano, composta tra il 1835 e il 1836

Poliuto
Opera seria in tre atti, su libretto di Salvatore Cammarano, composta nel 1838. La proibizione da parte della censura napoletana induce Donizetti a trasformarla in Les Martyrs e a metterla in scena a Parigi, Opéra, 1840.

La fille du régiment
Opéra-comique in due atti, su libretto di Jules-Henry Vernoy de Saint-Georges e Jean-François-Alfred Bayard, composta nel 1839. E’ la prima opera data in lingua francese; la versione ritmica italiana del libretto fu curata da Calisto Bassi.

Dom Sébastien, roi de Portugal
Grand-opéra in cinque atti, su libretto di Eugène Scribe, composta nel 1843. Successivamente rielaborata in lingua tedesca insieme al librettista Leo Herz.

Rielaborato da (riferimenti essenziali)
Fondazione Bergamo nella Storia
Profilo biografico a cura di Paolo Fabbri  (per la Fondazione Donizetti)

L’Osteria dei Tre Gobbi, il rifugio amato da Gaetano Donizetti

L’Antica Trattoria Ai Tre Gobbi, un tempo “Osteria dei Tre Gobbi”, in via Broseta, nel cuore di Borgo S. Leonardo: una delle prime osterie della città, condotta da oltre 20 anni da Marco Ceruti e da sua moglie Nives Bergamelli. La fama legata allo storico locale si è rinsaldata nel 1932 in occasione del centenario della prima rappresentazione dell’Elisir d’Amore di Donizetti, momento che ha visto il moltiplicarsi delle pubblicazioni, che hanno  contribuito a recuperarne la memoria storica

Nel 1932, nell’ambito delle celebrazioni  per il Centenario della prima rappresentazione dell’Elisir d’amore – l’opera che sempre avvince il pubblico in un’atmosfera d’incanto – Sereno Locatelli Milesi scrisse per la rivista Emporium una memorabile serie ispirata all’Osteria dei Tre Gobbi, che ripropongo da un lato, perchè  rivela l’aspetto umano del concittadino Donizetti e, dall’altro, perchè mette in luce uno spaccato di vita e di quotidianità del borgo più vivace e popoloso di Bergamo.

Fu in questo locale che Donizetti  amava sostare con i più cari amici durante i suoi soggiorni nella città natale, che egli “amò di un amore fatto di passione” e che custodisce le sue spoglie e le sue memorie più care.

Monumento funebre a G. Donizetti in Santa Maria Maggiore (Bergamo, Taramelli, riproduzione datata 1890 circa)

L’osteria era condotta da Michele Bettinelli, oste squisito e cultore del bel canto, che la tenne dagli inizi dell’Ottocento sino almeno al 1860, per poi cederla ad altri, prostrato per la morte dell’amico Gaetano.

Sotto la sua conduzione, fu per decenni il punto di ritrovo dell’affiatata cerchia di amici del Donizetti: il suo maestro Johann Simon Mayr; il tenore Tiberini, che ospitò caritatevolmente il Bettinelli nei suoi ultimi anni di vita; il pittore Deleidi detto “Il Nebbia”, che in un ritratto conservato nella villa dei Tiberini immortalò il gruppo di cui fa parte lo stesso Bettinelli; l’amico Dolci, tenore di fama, così come altri intellettuali nonchè artisti di passaggio a Bergamo.

Piazza Pontida, cuore pulsante della vecchia Bergamo, anticamente detta Piazza della Legna (Raccolta Gaffuri)

La storia comincia in via Broseta, la vecchia strada che da Piazza della Legna, ora Piazza Pontida, conduceva fuori porta.

Piazza Pontida (Raccolta Gaffuri)

Presso la chiesetta di San Rocco, in una casa modestissima si apriva il grande portone da dove passavano i rotabili e – accanto ad esso – una porticina, dalla quale si entrava a malapena.

La chiesa di S. Rocco in via Broseta, accanto all’Osteria dei Tre Gobbi (Raccolta Gaffuri)

Più sotto, l’insegna in ferro, con la dicitura: “Antica Osteria dei Tre Gobbi”: e le figure di tre gobbetti, paffuti e sorridenti, mantenutasi sino ad oggi.

“Si scendeva qualche gradino: e si entrava in una specie di antro polifemico, rischiarato da ampie finestre, aperte su orti pieni di sole e di verde:

L’Osteria dei Tre Gobbi ai tempi di Donizetti

nella prima stanza, era un ampio camino, dalla cappa maestosa: le fiamme, crepitanti perennemente, si innalzavano, lambendo pentole capaci e padelle ampie: sulle pareti fumose, risplendevano i rami delle casseruole, dei tegamini, dei timballi, delle teglie: le madie e le credenze erano molte, e tutte colme di ogni ben di Dio: sulle assi, infisse nel muro, in alto, una doppia fila di bottiglie polverose sembrava un esercito in….attesa di essere preso d’assalto: i larghi tavoli erano fiancheggiati da panche di legno e da sedie impagliate.

L’Osteria dei Tre Gobbi in attività in un disegno di Luigi Bettinelli)

Nella seconda camera, altre madie, altre credenze, altri tavoli, altri sedili: e, in un angolo, una spinetta.

Un aspetto della Trattoria dei Tre Gobbi in un disegno di Luigi Bettinelli

Nel cortile contiguo, carri e barrocci, con le stanghe alzate, simili a lunghe braccia di giganti ischeletriti ed imploranti: e carretti, e vecchie diligenze: ed un rumore di ferraglia, uno schioccare di fruste, un richiamarsi di postiglioni, un vociare di viaggiatori, uno sciamare di ragazzi: perchè entravano, in questo grande cortile, le diligenze, e da esso uscivano, pei lunghi viaggi.

Gaetano Donizetti, quando veniva da Milano, sostava con gli amici in questa osteria: e gli amici quivi lo attendevano, per essere i primi a dare il benvenuto al concittadino illustre che tornava alla città natale.

Gaetano Donizetti (Bergamo, 29 novembre 1797 – 8 aprile 1848)

L’oste era tal Bettinelli, lontano parente di un pittore dello stesso nome che ha lasciato schizzi pregevoli della famosa osteria:

Un noto dipinto di Luigi Bettinelli, lontano parente dell’oste Michele Bettinelli (“La Piazza del Duomo”.  Bergamo – propr. Eredi Bonomi)

era un ometto piccolo e rubicondo, Michele Bettinelli, dal viso aperto, spirante bonomia: ed era amico di Donizetti sin dalla più giovane età: e con Donizetti – quando erano entrambi fanciulli – avevano trionfato sulle tavole di un teatrino di dilettanti.

Michele Bettinelli (1792 – 1868), amico e fervente ammiratore di Gaetano Donizetti nonchè proprietario dell’Osteria dei Tre Gobbi

Veramente, il buon Bettinelli aveva soltanto assistito al trionfo dell’amico, perchè lui, poveretto, era balbuziente: ed un giorno, all’atto di pronunciare una battuta abbastanza complicata, aveva sentito di colpo che la lingua rifiutava di fare il dover suo, e che i denti gli si erano serrati: e si era fermato di colpo, cercando invano di pronunciare la frase: ma si era impappinto; ed aveva gridato a “Gaetanino”, con un enorme sforzo di volontà: “Vai avanti tu: io non posso!”: ed era fuggito tra le quinte, salutato dalle risate irrefrenabili del pubblico.
Amico degli artisti, il Bettinelli nutriva per il “suo Gaetano” un affetto ed una ammirazione che si potevano chiamare idolatria: giustamente ha scritto Giuliano Donati Petteni che “era una di quelle anime semplici che si accostano al genio come attirate dalla luce, riguardando ogni cosa dell’artista prediletto come propria e dedicandogli per tutta la vita una devozione umile ed assoluta”.

Gaetano Donizetti, quando era a Bergamo, frequentava sovente l’osteria del Bettinelli: insieme ad altri amici, il maestro Dolci – che Donizetti chiamava scherzosamente “Dolciumi”, Simone Mayr, il pittore Deleidi detto il Nebbia.

Luigi Deleidi detto il Nebbia, “Donizetti con gli amici”, 1830 circa. Da sinistra, l’oste Bettinelli, Gaetano Donizetti, Dolci, Simone Mayr. In piedi, il pittore Luigi Deleidi

E con piacere giocava alle bocce: narra Antonio Ghislanzoni che, essendo capitato, con alcuni amici, in un giorno del 1870, nell’Osteria dei Tre Gobbi, mentre si avviava verso il gioco delle bocce venne precipitosamente fermato dall’oste: il quale gli disse, in tono solenne che non ammetteva replica: “Se intendono giocare, passino da quest’altra parte. Questo è un viale riservato, e queste bocce non vanno toccate dai profani!”.

Il monumento al poeta Antonio Ghislanzoni, inaugurato a Caprino Bergamasco il 14 ottobre 1894. Ghislanzoni fu giornalista, scrittore, baritono, autore di oltre ottanta libretti d’opera tra cui l’Aida di Verdi, personaggio illustre della Scapigliatura milanese,

E di fronte allo stupore dei clienti sbalorditi, soggiunse: “Perchè questo viale e queste bocce sono un monumento storico…Perchè devono sapere che questa osteria di “Borgo”, così modesta e diroccata, ha avuto di quegli onori….che nessun albergo della città può vantarsi di aver mai ottenuto…Basti dire che il povero Gaetano non veniva mai a Bergamo che subito non venisse qui, a far la sua partita alle bocce!….”.
Il “povero Gaetano” era Gaetano Donizetti.

1890 circa: il gioco delle bocce a Bergamo (Raccolta D. Lucchetti)

Gaetano Donizetti non era un buongustaio della tavola come Gioacchino Rossini: ma era un entusiasta del classico piatto bergamasco “polenta e uccelli”, che il buon Bettinelli sapeva preparare con un’arte e con una maestria che il Maestro definiva “sublimi”: e della lode l’ostiere andava altrettanto superbo quanto dell’amicizia di Colui che gliela tributava.

Il rito della polenta in un dipinto di Pietro Longhi

Narra il Cicconetti che “Donizetti, seduto una sera nella sua casa, in lieta riunione d’amici, ne rallegrava i ragionamenti sia con arguti motti, sia con piacevoli racconti, quando, interrotto nel meglio il discorso, si allontanò dalla camera, e soltanto dopo una mezz’ora vi fece ritorno.
“E perchè ci hai così lasciati? – gli domandò la suocera.
“Ho composto – rispose – il finale del primo atto”.
Egli stava allora componendo il Torquato Tasso, l’opera dedicata a Bergamo, Sorrento e Roma.

Ritratto di Gaetano Donizetti eseguito ad olio su tela di Francesco Coghetti, 1837 (Collezione privata)

Dovunque si trovasse, il filo che reggeva la trama dei suoi pensieri si svolgeva incessante: la sua esistenza interiore creava le sublimi finzioni dell’Arte: il vasto mondo della poesia e dell’irreale, non visto dai circostanti, appariva alla sua anima, con le creature alle quali egli doveva donare la immortalità: e ad un tratto interrompeva le normali occupazioni, per fermarne e fissarne l’attimo di vita: e si appartava, ad un tratto, come spinto da un bisogno irresistibile: e si racchiudeva in sé medesimo: e l’onda della melodia, che gli sgorgava dal cuore, fissava con rapidi segni schematici su uno qualunque dei pezzi di carta che sempre portava con sé.

Chi scrive possiede una di queste pagine, su cui sono state scritte, con rapida e nervosa grafia, delle note: quasi indecifrabili, che nulla dicono a chi tenta di leggerle, ma che dovevano essere, per chi le ha scritte, come un richiamo nitido e chiaro a chissà quali armonie…
Forse, anche durante la partita alle bocce giocata con gli amici nel cortile vasto della modesta osteria, il Maestro si sarà qualche volta, ad un tratto, appartato, per fissare, sovra un pezzo di carta, un ritmo, un’idea, una ispirazione….

Schizzo autografo del Diluvio Universale (Bergamo, Fondazione Donizetti)

Angelina Ortolani, giovinetta, era stata accompagnata a Bergamo, da Almenno S. Bartolomeo, “per farsi sentire la voce di Donizetti”.
Chi l’aveva accompagnata era tale Santi, lontano parente del maestro e che abitava ad Almenno S. Salvatore, e precisamente alla Madonna del Castello: non avendolo trovato in casa, erano stati indirizzati all’ ”Osteria dei Tre Gobbi” dove Gaetano Donizetti accolse la ragazza con “buone parole, e prendendola per il ganascino”: la invitò a cantare, senza timore: perchè, tanto, avrebbe dovuto poi superare ben altri timori dinnanzi al pubblico!

“Era una giornata di settembre:” diceva la celebre cantante: “ed io avevo una grande paura, ed un grande appetito: vinsi subito la paura, per l’affabilità del Maestro: ma non potei vincere l’appetito neppure la sera, perchè quel giorno non mi sentii di mangiare…”.

Il grande soprano Angelina Ortolani, nata ad Almenno nel 1834, debuttò nel 1853 al Teatro Sociale di Bergamo, nella Parisina di Donizetti. Era dotata di una voce definita “angelica”. Nel 1857 avviò una carriera internazionale, esibendosi a Madrid e Londra; nel 1859 era a Barcellona. A partire dal ’59 si esibì quasi sempre con il marito, il tenore Mario Tiberini, sposato l’anno precedente; furono al Teatro alla Scala di Milano, al Regio di Torino, al San Carlo di Napoli, al Covent Garden di Londra, alla Wiener Staatsoper. Nell’atrio del teatro Donizetti di Bergamo è collocato un busto di Angelina Ortolani, opera dello scultore Gianni Remuzzi, in occasione del centenario della nascita del soprano

Il Maestro si accompagnava sovente al Bettinelli, in lunghe passeggiate sulle Mura, in Castagneta e sui Torni; perchè, come l’amico, era buon camminatore, tanto da definirsi “il musicista ambulante”: infatti, egli passava dall’una all’altra capitale come un trionfatore…

Un giorno, passeggiava col Bettinelli in Piazza Vecchia, ove da qualche anno la fontana del Contarini canta – come allora – la sua canzone argentina.

Piazza Vecchia (Raccolta Lucchetti)

Ad un tratto, da un caffè si diffuse la voce di un violino che suonava la chiara melodia dello spirto gentil, accompagnata dalle note gravi di un violoncello.
“Senti!” disse il Bettinelli “E’ l’Orbo, quel tale che suona soltanto musica tua…”.
“Poveretto! Vieni: gli facciamo una sorpresa!”.
Entrarono: Donizetti fece ai presenti un segno di silenzio: e, tolto il violoncello all’accompagnatore, cominciò a sonare.
Il cieco, accortosi del cambio, esclamò: “Alto là! Meno ghirigori, con quell’archetto, perchè io non voglio fare da secondo!”.
Al che, Donizetti: “Hai ragione: mantieni il tuo diritto, e fatti rispettare!”.
Il cieco, riconosciuta la voce, tentò di baciare la mano del Maestro: e dalla mano del Maestro cadde, nella tasca del poveretto, una moneta d’oro.

Caffè e bottiglieria del Tasso in Piazza Vecchia (Raccolta Lucchetti)

Ricorda il Ghislanzoni – e assicura l’averlo udito dallo stesso Bettinelli – che quando la Lucrezia Borgia naufragò a Milano, l’oste fedelissimo aspettò il Maestro alla porta del teatro, ed abbracciandolo stretto gli gridò a piena voce: “Tu sei il più grande musicista dell’epoca, e la tua Lucrezia vivrà immortale!”.
Da quella sera, però, Il Bettinelli giurò odio immortale contro i milanesi: e guai se uno di essi capitava nella sua osteria! Il vino peggiore, gli intingoli più scipiti erano per l’incauto “baggiano”, colpevole di appartenere a quella “genia” che aveva osato fischiare il capolavoro del “suo Gaetano”.

Ma allorquando, auspice il limpido canto della Frezzolini, la Lucrezia risorse alla Scala, e trionfò, il buon Bettinelli perdonò ai “baggiani” ridiventati “milanesi”: e non ci fu da allora Meneghino che non trovasse nell’”Osteria dei Tre Gobbi” l’ospitalità più cordiale, i cibi più appetitosi, il vino più prelibato.

Donizetti tornò a Bergamo il 6 ottobre del 1847: ma non potè godere della gioia che è concessa all’emigrato quando rivede i cari luoghi che lo hanno veduto nascere, i famigliari, gli amici.
Era troppo tardi ormai: egli non era più che il fantasma di se stesso!
In una di quelle tappe obbligatorie che riunivano i passeggeri di opposte destinazioni, Alfredo Piatti lo aveva intravisto, in una carrozza da viaggio, avvolto in un mantello, col capo reclinato sul petto, come un vinto: e non aveva osato abbracciare l’amico del padre suo, l’artista sommo che amava come il padre suo egli fosse…

Palazzo del Barone Scotti, in via Donizetti, nel quale spirò l’8 aprile 1848 il compositore bergamasco

Scrive Giuliano Donati Petteni nella biografia di Donizetti: “Non diversamente intravidero il musicista i bergamaschi che lo accolsero nel pomeriggio del 6 ottobre, quando la carrozza giunse alle porte della città. Il convoglio passò in mezzo a due ali di popolo silenzioso e riverente.
“E’ Donizetti” si sussurrava.
E tutti pensavano alla sua gloria, alle sue opere, al giorno in cui l’avevano accompagnato a casa in trionfo, alla miseria del suo stato presente.
“I cavalli, facendo tintinnare le sonagliere e battendo sul selcialto gli zoccoli ferrati, salivano sbuffando, avvolti in una nube di sudore, la ripida strada dell’alta città, il cui profilo, come quello d’una immensa fortezza, si stagliava sul fondo grigio delle montagne.
“Nel crepuscolo, le torri, i campanili, le mura scomparivano a poco a poco in un ombra violacea.
Un suono di campane largo ed armonioso si diffondeva da Santa Maria Maggiore. Le finestre, lungo la linea delle mura, si punteggiavano di lumi. Come sentirono il rumore dei cavalli, i servi del Palazzo Basoni accesero sotto l’atrio le lanterne. La carrozza sostò, e la signora Rosina, con la figlia Giovanna, il conte Lochis, e gli amici Dolci e Bonesi, si fecero avanti per ricevere il grande infelice.

Via Donizetti (Raccolta Gaffuri)

“Ma quando questi apparve, incapace di reggersi, muto e attonito, senza dare alcun segno di riconoscere le persone e le cose circostanti, le donne proruppero in un pianto dirotto”.
Certo, fra coloro che erano andati ad incontrare l’infelice Maestro era anche il buon Bettinelli che, come Alfredo Piatti, non aveva osato avvicinarsi al “suo idolo”…Si sarà tenuto nascosto, il poveretto, fra la folla: ed una “furtiva lagrima” sarà scesa a solcargli il viso rubicondo, diventato pallido ad un tratto….

Gaetano Donizetti morì il giorno 8 aprile dell’anno successivo. L’agonia era durata sei lunghi mesi!

Gaetano Donizetti, già gravemente malato, ed il nipote Andrea, in uno splendido dagherrotipo eseguito a Parigi nell’appartamento (affittato da Andrea per lo zio) in Avenue Chateaubriand n. 6, nell’agosto del 1847. L’autore del immagine fu probabilmente lo stesso Louis Jaques Mandé Daguerre (1779 – 1851). Furono eseguite tre pose (i dagherrotipi non si potevano duplicare): una fu inviata alla benefica Rosa Rota Basoni; una al fraterno amico Antonio Dolci; dell’ultima non si conosce la destinazione: esiste comunque una vecchia riproduzione eseguita verso la fine dell’800, quando divenne possibile la riproduzione su carta dei dagherrotipi. I due originali e la riproduzione sono ora conservati nel Museo Donizettiano (Foto e didascalia Domenico Lucchetti)

E durante questi mesi lunghissimi, il povero Bettinelli era salito ogni giorno in città alta, a visitare l’infermo, nel palazzo che lo ospitava, il grande palazzo che domina, dall’alto, l’ampia distesa della pianura lombarda: e forse lui solo, il povero ostiere della modesta osteria, seppe far tornare sulle labbra del Genio che si spegneva la luce di un cosciente sorriso, ripetendo la frase che gli aveva detto, fanciullo, nel teatrino di città alta: “Vai avanti tu: io non posso!”.

Donizetti sollevò gli occhi, corrugò la fronte, fissò a lungo, intensamente, l’amico della adolescenza: ed improvvisamente la luce di un sorriso apparve sul viso disfatto….

Gli ultimi momenti di vita di Gaetano Donizetti, qui ritratto da Ponziano Loverini (Bergamo, Casa Caprotti)

La fine del Donizetti segnò la fine dell’”Osteria dei Tre Gobbi”: o quasi: e segnò la fine della serenità e della gioia per il povero Bettinelli.
L’osteria perdette la sua chiara rinomanza: perchè il povero ostiere più non si curò di rinnovare, nella cantina, il “buon vino”, chiaro e frizzante, che era tanto piaciuto “al suo Gaetano”.
L’osteria venne ceduta ad altri.

L’osteria com’era ancora nel 1900 quando era esercita dal signor Francesco Algisi

E la casa del tenore Tiberini – che avea sposato Angelina Ortolani – accolse, generosa, il povero vecchio: e lo ospitò sino alla morte.
E scomparve anche la vecchia insegna dei Tre Gobbi…

L’interno dell’Osteria dei Tre Gobbi verso la fine del Novecento

Essa è però rinata, ora.

Il Ducato di Piazza Pontida – che è la “Famiglia Gioppinoria”, e che vanta fra le proprie benemerenze quella di aver conservato a Bergamo i manoscritti della Parisina e dell’Elisir – con una celebrazione quasi famigliare, che ha voluto essere l’espressione del culto dei concittadini per Gaetano Donizetti, ha ridonato alla gloriosa osteria l’antico nome: ed ha inaugurato la lapide, che – auspice il Comune di Bergamo – ha fatto murare nella prima stanza dell’antica taverna.
La lapide suona così:

IN QUESTA ANTICA “OSTERIA DEI TRE GOBBI”
COI PIU’ CELEBRATI ARTISTI DEL SUO TEMPO
GAETANO DONIZETTI
VENIVA A RITEMPRARE LO SPIRITO AFFATICATO
NELLA FRATERNA AMICIZIA DI MICHELE BETTINELLI
UMILE TAVERNIERE – ANIMA DI ARTISTA

In occasione del Centenario dell’Elisir, nel 1932, il Ducato di Piazza Pontida ha apposto nel locale una targa commemorativa alla presenza dei più bei nomi dell’epoca, tra cui il tenore Beniamino Gigli e la soprano Mercedes Capsir, alla quale spettò l’onore di scoprire la lapide ancora oggi visibile. Con grande corso di popolo si riattivò l’Osteria, già molto mutata rispetto alla tipologia ottocentesca illustrata nelle immagini dell’epoca. Il pianoforte e il busto di Donizetti fanno bella mostra nel locale

Il ricordo è stato inaugurato con una  celebrazione modesta, che ha però interpretato lo spirito del Sommo, il quale – pur avendo raggiunto le più alte vette della gloria – si compiacque coltivare amicizie anche umili e conservare modeste abitudini”.

 

Sereno Locatelli Milesi, Cronache bergamasche. L’osteria dei tre gobbi e Gaetano Donizetti, Emporium n. 453 – anno 1932.

Nota

Le fotografie attuali de dell’Antica Trattoria Ai Tre Gobbi e i due disegni che riproducono i tre gobbi, appartengono a Osteria dei Tre Gobbi