Il monumento all’Alpino e la sua storia

 

IL PRIMO MONUMENTO ALL’ALPINO, DAVANTI ALL’ACCADEMIA CARRARA

Per risalire al primo monumento dall’Alpino presente in città bisogna tornare al 1921, quando il Comando del 5° Reggimento Alpini proveniente dalla caserma Mainoni di Milano viene inserito nella 2ª Divisione alpina di stanza a Bergamo, dove prende possesso della Caserma Camozzi, in via S. Tomaso.

Monumento 5° Alpini nella piazzetta antistante l’Accademia Carrara (Raccolta D. Lucchetti)

Via che tra l’altro certuni dicono chiamarsi, all’epoca, “via della Milizia”, anche se – a quanto risulta dallo Stradario storico – si chiamava come oggi, mentre “piazza della Milizia” (questa l’effettiva definizione) esisterà come tale solo dal 1929 venendo abolita almeno dal ’49.

Caserma Camozzi e monumento 5° Alpini in via San Tomaso. Attualmente l’ex caserma, già sede dell’Ordine degli Umiliati nel XIII secolo, è occupata dalla Gamec

Nel corso del trasferimento il 5° Reggimento porta con sé il proprio monumento, che solo dopo un anno sarà innalzato di fronte alla caserma Camozzi nella piazzetta antistante l’Accademia Carrara.

Monumento 5° Alpini in via San Tomaso. Il  monumento proveniva dalla caserma Mainoni di Milano, dove aveva sede il Comando del 5° Alpini e dov’era stato inaugurato l’11 febbraio del 1915

Nel frattempo, in previsione dell’arrivo del 5° Alpini, gli alpini bergamaschi, perlopiù ufficiali che avevano combattuto nella Grande Guerra si fanno promotori della fondazione di una Sezione bergamasca dell’ANA (Associazione Nazionale Alpini), e dopo una riunione nel salone al primo piano del Cappello d’Oro il gruppo bergamasco delle penne nere è ufficialmente costituito, invitando ad aderire tutti gli alpini ed ex alpini di Bergamo e provincia.

Bergamo, 1921, Gruppo Alpini. Primo Presidente della Sezione bergamasca dell’ANA, con sede provvisoria in via Borfuro è l’avv. Ubaldo Riva, volontario della guerra ‘15-’18, decorato con due medaglie d’argento al V.M. ed esimio oratore alpino, letterato, poeta arguto (propr. ANA Bergamo)

Il primo atto della neonata Sezione è l’invito a tutti i soci a prendere parte in corpo alle onoranze che saranno tributate di lì a tre giorni al 5° Reggimento, durante la cerimonia di inaugurazione del monumento e della targa intitolata a Gabriele Camozzi, che verrà apposta sulla parete dell’omonima Caserma alla presenza del Re Vittorio Emanuele III.

L’invito (propr. ANA Bergamo)

 

L’invito reca sul recto una piantina dell’area con alcune indicazioni: “L’accesso alle Tribune avviene sia da via Pignolo che da via S. Tomaso, mentre quello per le Associazioni e gli invitati (biglietti di colore giallo) è da Borgo S. Caterina.  E’ assolutamente vietato l’ingresso al recinto riservato alle inaugurazioni se non muniti del presente biglietto. Alle ore 7.45 gl’ingressi nel recinto delle inaugurazioni saranno chiusi. I Signori invitati sono quindi pregati di occupare i loro posti prima dell’ora suddetta” (propr. ANA Bergamo)

L’opera, realizzata nel 1915 dallo scultore milanese Emilio Bisi, ricorda un’episodio particolare della campagna di Libia, avvenuto nel 1912 nei dintorni di Derna (Darnah), città della Libia nord-orientale.

Monumento 5° Alpini nella piazzetta antistante l’Accademia Carrara, in via S. Tomaso

In quell’occasione, l’alpino Antonio Valsecchi della Val San Martino, rimasto senza munizioni insieme ai compagni del Battaglione Edolo, fronteggiava l’attacco dei nemici scagliando pietre e massi.

Il monumento 5° Alpini rappresenta l’alpino Antonio Valsecchi del Comando 5° Alpini, rimasto privo di munizioni, nell’atto di attaccare i beduini con il lancio di un masso, nel corso della Campagna di Libia (1912)

Il bronzo volle perciò rievocare l’eroico episodio, raffigurando l’alpino nell’atto di lanciare una grossa pietra, aiutandosi con entrambe le braccia.

Finalmente, il 15 giugno del 1922 il monumento viene solennemente inaugurato, alla presenza di Sua Maestà Vittorio Emanuele III.

15 giugno 1922: la parata in onore di S. M. Vittorio Emanuele III, giunto a Bergamo per la cerimonia inaugurale del monumento agli Alpini e della targa a Gabriele Camozzi sulla parete dell’attigua Caserma Camozzi, in via San Tomaso

 

L’arrivo su S. M. Vittorio Emanuele III alla Stazione Ferroviaria il 15 giugno 1922 (per gentile concessione di Marco Foresti)

 

Bergamo 15 giugno 1922. La cerimonia per lo scoprimento del monumento 5° Alpini.  In occasione dell’inaugurazione avviene la consegna del gagliardetto sezionale dell’ANA di  Bergamo. Madrina della cerimonia è la signorina Rosetta Locatelli, sorella della triplice medaglia d’oro Antonio Locatelli. E’ presente anche la mamma degli eroici fratelli Calvi (propr. ANA Bergamo)

 

Il Re Vittorio Emanuele III dopo l’inaugurazione del monumento (Raccolta Lucchetti)

 

Nonostante ciò, il peregrinare del monumento non è terminato. Nel 1926 infatti il 5º Reggimento deve riprendere la strada per la Brigata alpina di  Milano portando appresso l’opera; opera che dopo diversi spostamenti verrà  definitivamente collocata ai Giardini Valentino Bompiani, in via Vincenzo Monti (zona Pagano) (1).

Il monumento dedicato al 5°Alpini è oggi situato a Milano, ai Giardini Valentino Bompiani, in via Vincenzo Monti. Sembra che ne esistano almeno due copie identiche, di cui una è stata donata nel 1938 dalla città di Milano a quella di Merano, mentre la seconda è stata donata a Edolo nel 1954 (2).

Dal canto loro gli alpini bergamaschi non si rassegnano alla perdita di un’opera, il cui significato ha ormai oltrepassato la commemorazione dei Caduti della Guerra di Libia per divenire simbolo degli alpini Caduti in tutte le battaglie.

A lungo coltivano il proposito di erigere un monumento all’Alpino a ricordo dei loro compagni in Bergamo, formulando voti in occasione di adunate ed assemblee. Dalla mozione presentata il 24 febbraio 1957 al Consiglio Sezionale per l’erezione di un nuovo monumento, risulta che per la sua realizzazione – sempre procrastinata per problemi attinenti l’attività della Sezione – gli alpini avevano avanzato diverse proposte: chi lo voleva eretto nei giardini prospicienti il palazzo dell’Istituto Tecnico e chi ne escludeva l’erezione persino in una piazza; altri ancora avevano pensato ad un’opera di maggior imponenza, che unisse il fine prefissato all’utilità e alla valorizzazione artistico-turistica della città.

Bergamo, Monumento all’Alpino, inaugurato in occasione della 35ª Adunata Nazionale del 1962. Fra le tante proposte avanzate dagli alpini nella mozione del ’57 era stata lanciata l’idea di una maestosa gradinata in marmo che congiungesse la città bassa a quella alta  partendo dal monumento ad Antonio Locatelli. Lungo questa gradinata avrebbero dovuto essere incisi i nomi dei battaglioni alpini, delle loro medaglie d’oro e di tutti i loro Caduti. L’essenziale era che il monumento venisse fatto perché quella di Bergamo, “era l’Edolo, il Tirano, il Morbegno”. E perché sulla Bandiera del 5° Reggimento Alpini brillavano due medaglie d’oro e due d’argento 

Non era possibile, per gli alpini, tradurre in cifre il contributo di sangue “della nostra gente bergamasca”. Realizzando l’iniziativa essi avrebbero “placato le ombre dei nostri Caduti spesso dimenticati” e lasciato “ai figli dei nostri figli il ricordo di una pagina di gloria e di sacrificio”.

Un’immagine di Bergamo, l’8 dicembre del 1957: cerimonia di consegna della Tromba d’argento al Gruppo Bergamo (propr. ANA Bergamo)

Nel 1957 finalmente venne assunto un formale impegno da parte dell’assemblea sezionale, in ottemperanza al quale il Consiglio direttivo diede corso alle  pratiche dando vita a un Comitato (3), nominando una Commissione tecnico-artistica (4) e indicendo un regolare bando di concorso nazionale (2 maggio 1957) per la scelta del progettista e dello scultore che avrebbe dovuto occuparsi esclusivamente della realizzazione dell’opera.

I progetti dovevano pervenire entro il 31 dicembre 1958, in quanto inizialmente l’anno fissato per l’inaugurazione del monumento era il 1960.

Motivi ornamentali della fontana del monumento all’Alpino (Bergamo)

Nel bando il Comitato voleva dare alla città un’opera che esprimesse qualcosa di nuovo pur ricalcando lo spirito antico. Avrebbe perciò dovuto associare elementi simbolici a quelli ornamentali, traendo ispirazione, “sia pure in una vastissima gamma di possibilità espressive, dalla secolare tradizione alpina della gente orobica”, al fine disuscitare nel pubblico un senso di rispetto e di ammirazione per il largo contributo che le genti bergamasche hanno dato in pace e in guerra alla formazione dei reparti alpini”.

DAL CONCORSO ALLA POSA DELLA PRIMA PIETRA

La partecipazione al concorso fu imponente: ben 40 artisti inviarono dalle più diverse parti d’Italia i loro bozzetti, nessuno dei quali fu ritenuto rispondente allo spirito e alla lettera delle direttive impartite. Si indisse quindi un concorso di secondo grado tra i sette artisti che avevano presentato le opere di maggior pregio, dividendo fra di essi i premi stabiliti nel bando, quale contributo per i nuovi bozzetti da presentare.

In questa seconda fase la commissione trovò l’opera che rispondeva ai requisiti richiesti, ma non tralasciando di suggerire alcune modifiche.

Vincitore fu un collettivo composto dallo scultore bolognese Peppino Marzot, dagli architetti Giuseppe Gambirasio, bergamasco, Aurelio Cortesi, di Parma, Nevio Parmeggiani, di Bologna. Al secondo e al terzo posto si classificarono rispettivamente lo scultore Giuseppe Cassani e lo scultore Giancarlo Marchesi.

Scelto il bozzetto, nel 1959 si provvide a dare corso all’esecuzione dell’opera, d’intesa con il comune di Bergamo, che convinto della nobiltà del monumento metteva a disposizione una delle migliori zone della città bassa – il Giardino Lussana – e prestava ogni sua possibile collaborazione.

Il Giardino Lussana, l’ampia zona verde antistante l’Istituto Tecnico Commericiale, prima della realizzazione del monumento all’Alpino

Non per nulla, il sindaco Tino Simoncini era un alpino; alpini erano molti assessori e consiglieri comunali ed alpini si sentivano un po’ tutti i membri dell’amministrazione della città dei Mille, della città capoluogo di una provincia che tanti suoi figli aveva dato e continuava a dare ai reparti alpini.

Lo spirito e la solidarietà alpina (circa diecimila gli associati) con l’ausilio del Comune di Bergamo, dalla Provincia, di alcune banche, altri Enti e privati, ne permisero la realizzazione (5).

Il Giardino Lussana in un immagine antecedente al 1962, data della collocazione del monumento all’Alpino

Per assicurarsi che il terreno fosse atto a sopportare il peso del monumento, si dovette ricorrere a un’indagine da parte di esperti del Politecnico di Torino, dopodiché, con la posa della prima pietra avvenuta il 31 gennaio 1960 alla presenza delle autorità cittadine, malgrado i problemi tecnici e soprattutto di carattere finanziario il desiderio degli alpini diveniva realtà.

Bergamo, monumento all’Alpino. All’interno della prima pietra era stata sistemata una pegamena con le seguenti parole “Le penne nere bergamasche/questo monumento/dedicano/all’inclita memoria/degli alpini/d’ogni grado e specialità/caduti combattendo/morti in prigionia/dispersi./Per il diritto e l’onore/della patria amata/auspicano/alle nuove generazioni/l’imitazione degli eroi/nel quotidiano impegno/del vivere civico/conforme/alle leggi, tradizioni, grandezze/dell’Italia/già maestra e guida delle genti. Bergamo 31 gennaio 1960

 

Bergamo, monumento all’Alpino. L’opera presenta una base infossata di circa 50 cm. rispetto al prato, per dare l’impressione di sorgere spontaneamente dal terreno, e da essa partono dei piani inclinati sui quali si innestano le guglie, alte m. 20,80 e rastremate verso l’alto. Fra esse si trova la statua in bronzo dell’alpino. Le dimensioni e le posizioni dei singoli elementi sono legate a regole prospettiche in relazione all’ambiente, ai viali e agli edifici (1962 , Ph Archivio Wells)

 

Bergamo, monumento all’Alpino. Sul bordo esterno della base sono apposti tutti i nomi dei battaglioni alpini. Nella pavimentazione di fondo sono inseriti grandi mosaici in tessere di marmo colorato, che illustrano fatti inerenti la vita e le gesta degli alpini (1962 , Ph Archivio Wells)

Per desiderio di tutte le sezioni alpine bergamasche l’inaugurazione del monumento venne fatta coincidere con la 35ª Adunata Nazionale degli alpini, prevista a Bergamo per il 1962. Per Bergamo sarebbe stata la prima adunata.

Bergamo, monumento all’Alpino. Lo specchio d’acqua  riflette in sé gli elementi verticali e gli zampilli laterali, regolabili, formano una trasparente e luminosa galleria. Su consiglio della Commissione, i giochi d’acqua non vennero realizzati per affiché l’attenzione si concentrasse sul monumento

Nel momento in cui la statua era in fusione, qualcuno si accorse che sul cappello dell’alpino mancava la famosa “penna” e si dovette provvedere in gran fretta.

L’Alpino opera in bronzo dello scultore bolognese Peppino Marzot. alta m. 5,20 e posta a m. 3,50 dal suolo

18 MARZO 1962: L’ INAUGURAZIONE DI UN MONUMENTO DA OSSERVARE CON IL CUORE

Nessun altro monumento cittadino ebbe un tale concorso di folla, neppure quello dedicato a Donizetti. Gli alpini giunti a Bergamo furono, secondo la voce ufficiale dell’ANA, 70.000; altri ne contarono 80.000, altri ancora 100.000; tutta la città fu un brulicare di cappelli alpini che la invasero gioiosamente da ogni parte d’Italia e con ogni mezzo.

La 35ª Adunata nazionale dell’Associazione Alpini si era aperta ufficialmente il  17 marzo – giorno antecedente la cerimonia d’inaugurazione -, con l’omaggio del Consiglio Direttivo al monumento innalzato a Cassanno d’Adda all’ideatore delle milizie alpine e fondatore del Corpo, Giuseppe Domenico Perucchetti.

Nello stesso giorno, il Consiglio depose corone d’alloro alla Torre dei Caduti e al monumento ai Fratelli Calvi e in Comune si svolse un ricevimento ufficiale durante il quale il sindaco, avv. Costantino Simoncini, espresse tutta la simpatia e l’affetto della città per gli alpini.

Alpini che per due giorni furono i padroni assoluti di Bergamo, tanto che non c’era via o piazza dove non si vedessero penne nere. Sul loro incontenibile entusiasmo – che travolse transenne, forze dell’ordine, cordoni e quant’altro potesse tenere la gente lontana dagli alpini – si regolò la stessa vita cittadina. E  l’organizzazione venne messa a dura prova.

La mattina del 18 marzo tutti i gruppi alpini si riunirono in località Conca d’Oro per organizzare e dare vita alla grande sfilata che durò oltre quattro ore. Considerato il gran numero di persone giunte in città venne stabilito di iniziare le cerimonie con l’inaugurazione del monumento, cui doveva poi seguire il corteo: l’inverso di quanto in genere si faceva per l’inaugurazione dei monumenti.

L’Alpino, opera in bronzo dello scultore bolognese Peppino Marzot, La grandiosa opera rappresenta due guglie che si elevano verso il cielo con un alpino che sale lungo il camino che le divide

 

Dettaglio del monumento all’Alpino visto dall’Istituto Tecnico. L’alpino “è come incastonato nella roccia che, con gran sforzo di muscoli e di volontà risale, guarda sempre in alto, verso la vetta da raggiungere, per la salvezza della sua e della nostra terra, della sua e della nostra gente” (ANA Bergamo)

Alle 9,15 circa di quel 18 marzo, una quarantina di minuti dopo rispetto all’orario stabilito, per il ritardo dell’aereo che trasportava l’allora Capo del Governo Fanfani e il ministro della Difesa Andreotti, cominciò la grande manifestazione, alla presenza delle massime autorità della città e dell’ANA.

Inaugurazione del monumento all’Alpino a Bergamo, il 15 giugno 1962 in occasione della 35ª  Adunata Nazionale degli Alpini. L’opera vuole raccogliere tante e diverse storie di uomini straordinari: quelle guglie che si elevano alte e snelle verso il cielo danno veramente l’impressione di quelle crode e di quelle pareti a “camino” che i nostri alpini dovevano scalare durante la guerra; di quelle trincee ad alta quota scavate nella roccia nelle quali passavano giorni (e mesi) abbarbicati, tra difficoltà e pericoli di ogni genere, per l’odiosa guerra e le impossibili condizioni climatiche al limite del sopportabile umano (…) Il monumento è un grande ara anche per le innumerevoli schiere di nostri Fratelli rimasti senza tumulo e senza croce sulle montagne, lungo le interminabili piste del deserto e della steppa, senza la pietà di un fiore, senza il pietoso sussurro di una preghiera. E oggi, pur perservando nell’onorare coloro che con valore ci hanno preceduto, l’alpino continua con tenacia e coerenza il suo percorso in salita, nella difesa dei valori a lui più cari, la famiglia, la tradizione, i principi morali, raccogliendo il monito dall’intrepido alpino del monumento, tramite tra gli eroi del recente passato e i costruttori del miglior prossimo futuro. Provate a osservare da vicino il monumento col cuore…(foto e didascalia ANA Bergamo)

Davanti al monumento era stata eretta una vasta tribuna e, fra questa e il monumento, l’altare da campo. Sulla sinistra erano schierati i reparti di truppa alpina e d’artiglieria da montagna del 5° con relativa banda nonché un reparto del 68° Rgt. Fanteria.

Il palco delle autorità: in primo piano il capo del Governo Amintore Fanfani, il ministro della Difesa Giulio Andreotti e gli onorevoli Rampa e Belotti.  Sul palco presero pure posto anche le mamme e le vedove di medaglie d’oro. Il discorso dell’on. Fanfani fu preceduto da un breve discorso del presidente della provincia, dott. Zambetti  

 

Accanto a Giulio Andreotti e al sindaco di Bergamo l’alpino Simoncini, il capo del Governo Amintore Fanfani esaltò i sacrifici e gli atti di eroismo degli alpini e terminò dicendo: “Come in passato anche oggi l’impegno dei governanti ha una sola garanzia di successo: la solidarietà dei cittadini. La chiediamo a tutti ma con particolare fiducia alla gente della montagna. Garantiti da questa fiducia e da essi confortati dimostreremo, siatene certi per conto della patria, che dopo il secolo dell’unità può cominciare il secolo della giustizia nella libertà. Col vostro sangue, con il sangue delle vostre ferite, con le ultime gocce del sangue dei vostri caduti, da quasi un secolo in ogni roccia avete acceso una fiamma di speranza, di certezza nel progresso della patria. Col vostro sangue in ogni nevaio avete fatto crescere un fiore dell’amore, della carità, della solidarietà fra tutti I figli d’Italia. E’ la nostra promessa di governanti davanti al simbolo del vostro sacrificio quello che noi vi facciamo: le fiamme da voi accese non si spegneranno e la patria tutta con voi, attorno a voi, attorno ai vostri focolari incederà avanti sulle strade del progresso e nella libertà unita con un solo amore; per l’Italia di oggi, per l’Italia di domani” (cerimonia dell’inaugurazione al monumento all’Alpino. Bergamo, 18 marzo 1962 – propr. ANA Bergamo)

Attorno all’altare erano sistemati i gonfaloni comunale e provinciale, il labaro nazionale dell’A.N.A. con le 209 medaglie d’oro, quello della sezione di Bergamo e del Nastro Azzurro, bandiere, labari, fiamme e gagliardetti di tutte le associazioni patriottiche e d’arma, e dei 160 gruppi della sezione di Bergamo.

Mons. Piazzi, vescovo di Bergamo, dopo aver dato lettura del telegramma inviato per l’occasione agli alpini da S.S. Giovanni XXIII° e vergato dal Card. Cicognani, benedì la bronzea figura dell’alpino che si inerpica per il camino, delimitato dalle due alte guglie. Subito dopo, l’ordinario militare mons. Pintonello celebrò la santa messa.

La messa nel piazzale celebrata alla presenza del vescovo di Bergamo mons. Piazzi, che lesse il telegramma inviato da S.S. Giovanni XXIII° agli alpini: “L’augusto pontefice, accompagna con voti e preghiere svolgimento 35.a adunata nazionale indetta a Bergamo dall’A.N.A. ed invia di cuore ai partecipanti, piamente raccolti intorno all’altare del divino sacrificio celebrato da V. Ec. Reverendissima, la paterna benedizione apostolica estensibile alle famiglie in auspicio di copiose grazie celesti e pegno di prosperità cristiana” (cerimonia dell’inaugurazione al monumento all’Alpino. Bergamo, 18 marzo 1962)

Al termine il presidente della sezione di Bergamo, dott. Gori, rivolto un breve saluto alle autorità ed agli alpini e fatta una sintesi della storia del monumento, lo consegnò ufficialmente alla municipalità; il Sindaco, ringraziando, garantì che sarebbe stato custodito “come una cosa cara, con l’amore che si riserva ai simboli di una passione accompagnata dai fremiti dell’emozione profonda”.

Ebbe quindi inizio la grande sfilata aperta dalla bandiera del 5° Reggimento seguita dal colonnello La Verghetta, dalla fanfara del 5°Alpini, da un gruppo di alpini con le più vecchie uniformi e dal battaglione d’onore formato da una compagnia di alpini e una batteria di artiglieria da montagna. Il battaglione di formazione dell’Orobica più che aprire la sfilata dovette fendere un corridoio tra la folla per poter defluire agevolmente sul percorso stabilito.

Subito dopo, veniva il labaro dell’Associazione Nazionale portato dalla medaglia d’argento Angelo Mora, alpino di Schilpario e scortato dal Presidente nazionale avv. Erizzo, dal segretario Nobile, dagli alpini che nel 1919 fondarono a Milano l’Associazione Alpini e da tutto il Consiglio Direttivo.

Il labaro dell’Associazione Nazionale Alpini portato dalla medaglia d’argento Angelo Mora. In quel 1962 Bergamo perse il primato di sezione più numerosa d’Italia (10.526 soci e 164 Gruppi), superata da Torino per soli 16 soci, per poi riconquistarlo nel ’64 (cerimonia dell’inaugurazione al monumento all’Alpino. Bergamo, 18 marzo 1962)

 

Il labaro dell’Associazione Nazionale Alpini durante l’Adunata Nazionale degli Alpini a Bergamo nel 1986 (dal volume “80 anni di storia 1921-2001)

Il corteo continuava con il gonfalone di Bergamo decorato della medaglia d’oro al valore risorgimentale accompagnato dal sindaco Simoncini – ufficiale alpino medaglia d’argento – e dai membri della Giunta comunale; appresso seguivano i rappresentanti delle associazioni d’arma con i labari; quindi i mutilati e gli  invalidi di guerra.

Il gonfalone della Città di Bergamo fregiato di medaglia d’oro (cerimonia dell’inaugurazione al monumento all’Alpino. Bergamo, 18 marzo 1962)

Iniziò poi la sfilata dei “veci” in congedo delle diverse sezioni.

I primi ad aprire la sfilata furono gli alpini della sezione di Zara, di Fiume e di Pola, tre città italiane per le quali combatterono tutti i “veci” del ‘15-’18; essi portavano uno striscione che a fatica riusciva ad avanzare in mezzo alla folla: “Gli alpini della Dalmazia e dell’Istria, vivi e morti sono qui”.

Ad essi facevano seguito gli alpini che si trovavano all’estero, delle sezioni di Montevideo, del Belgio, della Svizzera e della Francia. Mentre non erano ancora spenti gli applausi per queste penne nere, scoppiò fragoroso l’entusiasmo per gli alpini della città di Trieste, la città che ha maggiormente sofferto per unirsi alla madrepatria.

Il monumento venne sentito come un giusto tributo d’onore e di amore verso i compagni, che per la Patria avevano immolato la vita, dall’Africa alle due grandi guerre mondiali del ‘15-’18 e del ‘40-’45. Venne pensato per ricordare e celebrare l’eroismo e il sacrificio di migliaia di bergamaschi che nei reparti alpini hanno combattuto e sofferto per la Bandiera Italiana e di tutti coloro che in ogni tempo hanno compiuto e compiono il loro dovere da alpini.

Per quattro ore gli alpini di tutte le sezioni d’Italia sfilarono in corteo lungo il Viale Vittorio Emanuele e viale Roma, l’attuale viale Papa Giovanni, fra due ali compatte di folla plaudente e commossa.

1962, Adunata Nazionale degli Alpini a Bergamo. I più provenivano dal Piemonte, dalla Liguria, dal Veneto e dalla Lombardia, ma erano presenti anche gli alpini dell’Emilia, dell’Abruzzo, della Toscana, del Lazio, della Sardegna e della Sicilia. Giunsero pure, numerose, le rappresentanze delle sezioni estere della Germania, della Svizzera, della Francia, del Belgio e dell’America Latina

A due anni dall’inaugurazione del monumento, l’opera si completò nel modo più degno, intitolando il Giardino Lussana a “Piazzale degli Alpini”.

Note

(1) Secondo Gualandris (Op. cit.) fu nel 1938 che il monumento ed il Comando ripresero la strada per Milano, da cui dovettero ripartire nel 1946 perché il Comando era stato trasferito a Merano. Gli alpini di Milano però chiesero ed ottennero che in quella città venisse inviata una copia del monumento e, da allora, rimase della metropoli lombarda in via Pagano.

(2) Emanuele Biava, Piazza Carrara e l’alpino sparito. Che fine ha fatto il monumento?

(3) Commissione composta dal dott. Giovanni Gori, presidente; dott. Guglielmo Abate, segretario; rag. Renzo Cortesi, tesoriere. Inoltre, dal magg. Vittorio Galimberti; l’avv Giovanni Rinaldi; i ragionieri Giacomo Bertacchi, Gerolamo Dominoni, Aldo Farina, Giuseppe Maffessanti, Cesare Omboni; i dottori Antonio Leidi, Livio Mondini, Alessandro Valsecchi (Arnaldo Gualandris, Op. cit.).

(4) A componenti della commissione tecnico-artistica furono nominati il Presidente della sezione bergamasca dell’Associazione Alpini, dott. Giovanni Gori, i due vice presidenti magg. Vittorio Galimberti e rag. Giuseppe Maffessanti, il consigliere nazionale dott. Antonio Leidi, lo scultore Mingozzi, professore della Brera di Milano, il prof. Trento Longaretti, direttore della Scuola d’arte dell’Accademia Carrara, l’arch. Giuseppe Pizzigoni, per designazione dell’ordine degli architetti e l’ing. Federico Rota, allora presidente dell’ordine degli ingegneri (Arnaldo Gualandris, Op. cit.).

(5) Il piano finanziario predisposto per reperire i dieci milioni dei quindici preventivati, riguardava esclusivamente gli iscritti dell’associazione alpini di Bergamo. L’onere gravante su ognuno di essi ammontava a lire 1.000, da versarsi anche in più rate, purché entro il 1960 (anno fissato in un primo tempo per l’inaugurazione del monumento). Per i rimanenti 6 milioni il Consiglio pensava a contributi di enti e privati. Ma dopo la scelta del bozzetto, le modifiche apportate allo stesso e l’adozione dei materiali più rispondenti ad un’opera di tanta importanza, la spesa lievitò notevolmente raggiungendo, con la sistemazione anche dei giardini, la cospicua somma di 48.000.000 (A. Gualandris, Op. cit.). In un bollettino dell’ANA l’ammontare fu invece di 46.000.000, raccolti interamente tra gli alpini bergamaschi.

Riferimenti

Arnaldo Gualandris, Monumenti e colonne di Bergamo, a cura del Circolo Culturale G. Greppi. Bergamo, 1976 (con introduzione di Alberto Fumagalli).

Associazione Nazionale Alpini – Sezione di Bergamo

Alpini per sempre

Emanuele Biava, Piazza Carrara e l’alpino sparito. Che fine ha fatto il monumento?

La Colonna ai Lupi di Toscana davanti la caserma Montelungo

La caserma Montelungo sorge su un’area occupata dall’inizio dell’Ottocento dalla “Caserma delle Orfane, S. Raffaele e Convertite”, dal nome delle tre preesistenti opere di Carità presenti in loco dal XVI secolo. Dopo la seconda metà del’Ottocento il complesso architettonico ha subito numerosi mutamenti che l’hanno portato all’assetto con cui si presenta oggi. Numerosi anche i cambiamenti di nome: nel 1843, come risulta da una mappa dell’Archivio di Stato, la caserma venne contrassegnata con il nome di caserma “S. Giovanni”, dopo l’Unità d’Italia prese il nome di “Umberto I”, per assumere poi quello di “68° Fanteria”, di “Legnano” ed infine di “Montelungo”. Il presidio militare è stato sciolto definitivamente nel 1998 e contemporaneamente l’area e gli immobili sono stati dismessi e poi abbattuti

I Fanti della Brigata Toscana quando conquistarono il monte Melino, nell’ottobre 1915, furono definiti “Lupi” dai difensori austriaci in fuga. L’allora Capitano Ottorino Bonini, che comandava una delle Compagnie impegnate nello scontro, nella sua rievocazione ricorda come quest’appellativo divenisse per il Reggimento quasi una seconda fiammante bandiera.
Nella Grande Guerra la Brigata Toscana era chiamata “Bergamo” (poi denominata 78° Rgt. Fanteria che aveva il suo deposito di guarnigione alla Caserma “Umberto I” Montelungo) e il 77°, che aveva sede a Brescia alla Caserma Alessandro Monti (poi intitolata all’eroico Maggiore Giovanni Randaccio).

Dopo la vittoriosa battaglia sull’altipiano di Asiago e la conquista di Col del Rosso e di Cima d’Echele, nel 1917, i “Lupi” formularono il voto di erigere un Monumento che ricordasse il sacrificio dei Caduti e l’eroismo di tutto il 78° Reggimento Fanteria. A Bergamo, nel 1924, dopo due gare d’appalto, viene finalmente scelto il bozzetto dell’architetto Giulio Paleni. È una colonna trionfale romana di stile corinzio, a scanalature, che si alza per oltre 11 metri da un basamento quadrangolare (1).
Quella stessa colonna la cui familiare sagoma spicca ancor’oggi sul sagrato prospiciente l’ormai demolita caserma Montelungo, innalzata quando la caserma era intitolata ad Umberto I.

La caserma Montelungo in un’immagine d’epoca

Dopo la proclamazione del Regno d’Italia si costituì una nuova brigata granatieri di Toscana, il cui secondo reggimento prese il nome di 78° Reggimento Fanteria, partecipando alla guerra del 1866, alla campagna di Eritrea (1887/’88) e alla guerra italo turca (1895/96).

Esercitazioni di tiro nei campi di Seriate (fotografia anteriore al 1895, eseguita dal Dr. Giovanni Piccinelli) – (“Bergamo nelle vecchie fotografie”, D. Lucchetti)

 

Esercitazioni di tiro nei campi di Seriate (probabile foto conte Gerolamo Medolago) – (“Bergamo nelle vecchie fotografie”, D. Lucchetti)

 

Manovre militari del 1895: passeggiata davanti al palazzo Frizzoni (fotografia eseguita dal Dr. Giovanni Piccinelli) – (“Bergamo nelle vecchie fotografie”, D. Lucchetti)

La storia eroica del Reggimento però inizia con la prima guerra mondiale.
Molte furono le azioni di valore e di ardimento compiute dai fanti del 78°, e la fredda determinazione con cui le portavano a termine meritò l`appellativo di “Lupi”.

I “Lupi di Toscana” ebbero tre citazioni nel bollettino del Comando supremo, due decorati al valor militare di Savoia, 44 medaglie d’argento e 182 medaglie di bronzo.

Grande però fu il tributo di sangue pagato da quegli ardimentosi: più di 6.000 uomini rimasero uccisi o feriti.
Gli ufficiali morti furono 73, 143 i feriti, 50 i dispersi; i militari di truppa morti furono 878, i feriti 3.845 e i dispersi 1.573.
La bandiera del Reggimento andò letteralmente distrutta.

Dopo la vittoriosa battaglia detta “degli altipiani” nei giorni di Natale del 1917, i Lupi, considerate le grandi perdite subite nelle varie azioni di guerra, formularono il voto di erigere un monumento che ricordasse il sacrificio dei caduti e l’eroismo di tutto il Reggimento.

La promessa venne mantenuta: nel 1924, dopo due concorsi, il comitato formato da reduci e varie personalità e presieduto dall’on. Paolo Bonomi, scelse, per la realizzazione, il bozzetto dell’arch. Giulio Paleni e si diede subito inizio ai lavori.

Il monumento consiste in una colonna trionfale romana a scanalature, di stile corinzio, tratta da un sol blocco di marmo di Zandobbio, che si eleva per oltre 11 metri e 50 da un basamento quadrangolare.
Il capitello è in stile classico modernizzato, con delle figure di fante fra le volute.
ll basamento, che a sua volta poggia su una breve gradinata, presenta nella parte anteriore un bassorilievo in bronzo (in realtà un altorilievo, n.d.r.) , opera dello scultore bergamasco Cattaneo, rappresentante l’Italia, avvolta nella bandiera, che tiene fra le mani un ramo di alloro piegato destinato ai vincitori; ai suoi piedi un branco di lupi pronti all’attacco.

La caserma Umberto I, poi Montelungo, con il nuovo monumento ai Lupi di Toscana: la colonna trionfale romana di stile corinzio, a scanalature, che si alza per oltre 11 metri da un basamento quadrangolare. Intagliata in un blocco unico di marmo di Zandobbio, la colonna è sovrastata da un capitello che riproduce figure di Fanti tra le volute

Nella parte superiore del bassorilievo si legge l’esametro latino dettato dal condottiero della terza armata, il duca d’Aosta, che lo assegnò “in un giorno di battaglia come motto agli ardenti lupi del 78° reggimento”:TUSCI AB HOSTIUM GREGE LEGIO VOCATI LUPORUM.
La colonna ha incisi, lateralmente, i versi di Gabriele D’Annunzio, che così definì la fulminea conquista del monte Sabotino:
«Fu come l’ala
che non lascia impronte
il primo grido
avea già preso il monte»

Il basamento, posato su una breve gradinata, sulla parte anteriore esibisce un altorilievo in bronzo dello scultore bergamasco Edmondo Cattaneo che rappresenta l’ltalia vittoriosa avvolta nella Bandiera, protetta da una schiera di lupi pronti all’attacco. Sopra i lupi il motto latino del Duca d’Aosta: “Tusci ab hostium grege Legio vocati Luporum” (Legione di Lupi i Toschi fur detti dal gregge nemico). Sopra il celebre distico di Gabriele d’Annunzio dedicato alla folgorante conquista del monte Sabotino

e la motivazione della medaglia d’oro alla bandiera del Reggimento:
“con impeto irrefrenabile assaltarono e travolsero le più formidabili posizioni con orgogliosa audacia cercarono e sostennero la lotta vicina fieramente spezzando i più gravi sacrifici di sangue ed acquistando fama leggendaria si che il nemico sbigottito ne chiamò “Lupi” gli implacabili fanti (Velikj – Faitj 1 – 3 novembre 1916, Flondar-San Giovanni di Duino, Foci del Timavo 23-30 maggio 1917; 2 agosto – 3 settembre 1917; Tagliamento 2 – 3 novembre 1918)”.

Sugli altri lati del basamento, sono affisse le lapidi con la dedica “Ai gloriosi Caduti del 78° Reggimento Fanteria” con le date della prima e della seconda guerra mondiale, la motivazione della Medaglia d’Oro al Reggimento, le località gloriose della GRANDE GUERRA: Sabotino, Velikj, Col del Rosso e Cima d’Echele e quelle della SECONDA GUERRA: Malj Tabajani, Golico e Africa settentrionale

Per reperire i fondi necessari alla realizzazione del monumento, il comitato si affidò alle offerte volontarie degli ex combattenti e dei singoli cittadini, ma i fondi si rivelarono insufficienti e il comitato dovette organizzare, nel gennaio del 1925, un grande concerto per devolverne il ricavato all’opera intrapresa.
Superato l’ostacolo finanziario e terminato il monumento, il comitato si preoccupò di dare un carattere particolarmente solenne alla sua inaugurazione.

Approfittando del fatto che in Bergamo erano state portate a termine alcune costruzioni del centro piacentiniano e che l’Associazione Madri e Vedove dei Caduti e Dispersi aveva approntato il nuovo Gonfalone municipale, si pensò i riunire questi importanti momenti della vita cittadina in un’unica cerimonia con la presenza del re Vittorio Emanuele III.

La Camera di Commercio il 1° novembre 1925, giorno della sua inaugurazione alla presenza di Re Vittorio Emanuele III (“Bergamo nelle vecchie fotografie”, D. Lucchetti)

Così a Bergamo, il 1° di novembre del 1925 si era in attesa del re; il programma prevedeva:

ore 8,30 Arrivo di S. M. alla stazione. Presentazione e formazione corteo.

ore 9 Inaugurazione nel piazzale della caserma Umberto I del monumento ai caduti del 78° reggimento fanteria “Lupi di Toscana” e del Gonfalone della città, offerto dalle signore bergamasche, ad iniziativa dell’Associazione Madri Vedove e Parenti dei Caduti e Dispersi in guerra. Distribuzione delle drappelle dei trombettieri offerte da un comitato di signore fiorentine alla brigata toscana.

ore 10 Inaugurazione del palazzo di Giustizia.

ore 10 Inaugurazione nuova sede della Camera di Commercio.

Ore 11 Ricevimento dei signori Sindaci della Provincia, delle Autorità e Rappresentanze delle Associazioni nel Palazzo Provinciale.

“1925 circa: sfilata di reduci in via Torquato Tasso” (“Bergamo nelle vecchie fotografie”, D. Lucchetti)

I luoghi in cui avvenivano le cerimonie ufficiali erano tanto ristretti da consigliare un limitato numero di invitati, inoltre, ciascuno di essi non poteva assistere che ad una cerimonia.
Una fitta barriera di carabinieri e militari era stata posta lungo il percorso stazione-caserma Umberto I; la più stretta sorveglianza impediva a chiunque di entrare nei luoghi sopra indicati se non munito di apposito cartellino-invito. Notizia di cronaca curiosa può essere il fatto che questi cartellini differivano per colore in relazione al sesso dell’invitato ed alla manifestazione alla quale poteva partecipare.

Giunto a Bergamo, il Re fu ricevuto dai ministri Rocco e Belluzzo, dal conte Suardo, dal commissario prefettizio Franceschelli, dal generale Segré, dal prefetto e da altre personalità, quindi, a bordo di una “Isotta Fraschini”, di color giallo, raggiunse la caserma Umberto I fra due ali di folla acclamante.

Il Monumento ai Lupi di Toscana fu inaugurato con una fastosa cerimonia dal Re Vittorio Emanuele III il 1° novembre 1925. Giunto a bordo di una Isotta Fraschini, raggiunge la Camera di Commercio accolto dalle Autorità locali e nazionali tra gli applausi scroscianti di una folla imponente

 

Re Vittorio Emanuele III a bordo dell’Isotta Fraschini durante la visita a Bergamo nel 1925

I vecchi “Lupi”, venuti da tutte le città d’Italia (fra essi 500 trinceristi guidati da Franco Gagliani, il garibaldino del Sabotino) sfilarono con i petti fregiati dalle medaglie al valore, preceduti dal loro gagliardetto inaugurato la settimana prima al Vittoriale da Gabriele D’Annunzio.

Il Re, affacciato al balcone, inaugura la Camera di Commercio nel nuovo centro cittadino ideato da Marcello Piacentini. Nello stesso giorno egli inaugurerà anche il Palazzo di Giustizia

Dopo la breve cerimonia dell’inaugurazione del monumento, prese la parola il comandante del reggimento, colonnello Gritti, che brevemente ma incisivamente illustrò le eroiche imprese dei “Lupi”; a lui fecero seguito il generale Martinengo e l’On. Paolo Bonomi.
Al termine, donna Alessandri Ginammi, presidentessa dell’Associazione Madri e Vedove dei Caduti, consegnò al commissario prefettizio il nuovo gonfalone della città al quale era appesa la medaglia d’oro concessa da Umberto I per i gloriosi fatti del 1848.

Il palco per le autorità eretto di fronte alla colonna dei “Lupi”. Nella Caserma “Umberto I” il Re s’intrattiene con i gloriosi “vecchi Lupi”, guidati dal Generale Francesco Gagliani, Comandante storico della Brigata Toscana. Assiste quindi alla parata del 78° Rgt. Ftr. seguito dai Reduci che sfilano con i petti fregiati dalle Medaglie al Valore e con l’azzurro gagliardetto dei Lupi di Bergamo inaugurato la sera del 24 ottobre da Gabriele d’Annunzio al Vittoriale

La cerimonia si concluse nell’interno della Caserma, dove il Sovrano passò in rassegna e si intrattenne con i soldati e i reduci del reggimento.
Recentemente l’Associazione del Fante e dei Lupi di Toscana ha sostituito le tre lastre di marmo infisse nel monumento per incidere i luoghi e le date delle ultime gesta dei Lupi di Toscana nella seconda guerra mondiale.

Mali Tabaianj gennaio 1941
Golico marzo 1941
Africa Settentrionale 1942 (2)

Fonti
(1) Per la prefazione seguita da alcune didascalie poste a corredo delle immagini: “Bergamo restaurato il monumento ai Lupi di Toscana”, da “Il Fante ‘Italia” n. 1 del 3/2012.
(2) Per il testo integrale: Arnaldo Gualandris, “Monumenti e colonne di Bergamo”, a cura del Circolo Culturale G. Greppi. Bergamo, 1976 (con introduzione di Alberto Fumagalli).

Il busto a Lorenzo Mascheroni

Signori

In nome del Comitato per un ricordo a Lorenzo Mascheroni, ho l’onore di consegnare al sindaco di Bergamo questo busto opera di scalpello valente. I sottoscrittori, col porre questo ricordo, credettero non solo di compiere un atto doveroso, ma pensavano che se nulla si fosse fatto a Bergamo avrebbe potuto essere giustamente accusata di ingiustificabile, colpevole obblio verso uno dei suoi figli più illustri.

Primi del Novecento. Piazza Cavour con il monumento a Lorenzo Mascheroni (1750-1800), inaugurato nel 1897. Illustre illuminista, fu professore di matematica all’università di Pavia. Accanto al monumento, il complesso di Santa Marta, parzialmente demolito nel 1915, e l’omonimo “Boschetto”

Con queste parole di Gianforte Suardi, presidente del comitato per l’erezione del monumento, iniziò la cerimonia per la consegna del busto alla Municipalità.

Parole che a prima vista sembrerebbero di lode alla città perché inaugurava un monumento al Mascheroni, ma che in realtà erano un rimprovero.

Piazza Cavour, con il monumento a Mascheroni, e il Sentierone

Se non ci fosse stato quel comitato promotore, il nome del letterato sarebbe stato dimenticato, tanto é vero che sebbene il comitato si fosse costituito nel lontano 1892, patrocinato dal Casino degli Artisti, Operai e Professionisti, in cinque anni riuscì a raccogliere solo 1533,80 lire, più 112,95 d’interessi, e di conseguenza non poté che ordinare allo scultore Ernesto Bazzarro, milanese, un monumento, anzi, se vogliamo essere precisi un busto, del valore di milleseicento lire.

Il busto è bello, anche se è stato adoperato marmo di Candoglia con venature rossigne; d’altra parte l’artista era valente, faceva infatti parte della terna emersa dal concorso per il monumento al Donizetti.

Il busto di Lorenzo Mascheroni, in marmo di Candoglia, è posto su una base di stile composito, anch’essa in marmo, ed è opera dello scultore milanese Ernesto Bazzaro, che fece parte della “Scapigliatura” milanese 

Il Mascheroni scolpito è molto somigliante, somiglianza però, se vogliamo credere ai giornalisti dell’epoca, fortuita in quanto all’inizio lo scultore aveva modellato un naso che trasformava completamente il viso del letterato.

Caso volle che mentre si stava sistemando il monumento in luogo, si ruppe la gru, il busto cadde e si scheggiò il naso; lo scultore, presente, provvide alla riparazione e da essa sortì questo naso camuso che rese i lineamenti più somiglianti.

Particolare del busto a Lorenzo Mascheroni, opera di Ernesto Bazzaro

Ma per tornare al rimprovero di Gianforte Suardi alla cittadinanza, possiamo intravederlo anche nello svolgimento della cerimonia di inaugurazione, fatta alla chetichella senza nessun apparato speciale; mancava la solita sfilata di associazioni, di personalità e di autorità, anzi quest’ultime rimasero sino quasi all’ultimo in municipio per poi rifugiarsi all’ombra del boschetto di santa Marta in attesa dell’inizio della cerimonia.

Il monumento a Lorenzo Mascheroni e il Boschetto di Santa Marta

Il 5 settembre del 1897 era una giornata calda e lo scoprimento del busto, discorsi e musica, non durarono che mezz’ora. Due bande suonavano per l’inaugurazione e nello stesso tempo fungevano anche da calamita per i cittadini che, in quella giornata di festa passeggiavano numerosi per il Sentierone.

Inaugurazione del monumento a Lorenzo Mascheroni, 5 settembre 1897

Non stupisce quindi il fatto che allo scoprimento del busto ci fosse un solo battimano e che Gianforte Suardi si soffermasse nel suo discorso di consegna del monumento soprattutto sulla vita di Lorenzo Mascheroni forse nel timore, per non dire convinzione, che molti dei presenti non la conoscessero e che qui riportiamo: Lorenzo Mascheroni, nato nel 1750 nella tranquilla e romita ma casa di Castagneta, a vent’anni – vestito già l’abito sacerdotale – è professore di retorica e, poco appresso, di eloquenza, di fisica, di filosofia nel collegio mariano: è già valente, gentile poeta.

Lorenzo Mascheroni, primo di quattro figli, nacque nella località di Castagneta, – propaggine collinare a oriente del centro storico di Bergamo -, il 13 maggio 1750 da Maria Ceribelli e Giovanni Paolo. Il padre, discendente da una modesta famiglia originaria della Val Brembana, si era costruito una discreta fortuna nel commercio, cui dovette la nomina a quaderniere della Camera fiscale di Bergamo

Datosi con tutta la forza del poderoso suo ingegno allo studio delle matematiche, nel 1785 pubblicava l’opera sua magistrale “Nuove ricerche sull’equilibrio delle volte” che lo pone a paro de’ matematici più illustri e inviandone una copia a Paolina Suardo Grismondi, la decantata Lesbia Cidonia, la accompagna con versi squisiti, che lo pongono a paro dei poeti più rinomati.

Ritratto di Lesbia Cidonia (Paolina Secco Suardo Grismondi), nata a Bergamo nel 1746 e morta nel 1801. Bella e colta, fu onorata da molti uomini illustri; ricevette fama dal poemetto di L. Mascheroni. L’indimenticabile invito a Lesbia è del 1793

Rivelatosi con quest’opera, al mondo scientifico, Pavia lo vuole professore di matematica nel suo ateneo. L’amore della gloria e la guerra sorda e continua che alcuni colleghi gli muovono in patria lo determinano ad allontanarsi dalla madre vecchia dal fratello pazzo, dai suoi cari luoghi.

Nella nuova residenza il poeta scrive l’indimenticabile invito a Lesbia, che gli ottiene le lodi del Parini, lo scienziato le note al calcolo integrale di Eulero, alcune opere minori e la geometria del compasso, che gli attira l’ammirazione del Bonaparte, gli procura i famigliari colloqui col generale nella tranquillità della villa di Mombello, donde è balzato nella vita politica. Siamo nel 1797: orfà precisamente un secolo.

Nominato membro del corpo legislativo a lui si deve, in gran parte, il nuovo piano di pubblica istruzione della Cisalpina; è inviato a Parigi a partecipare ai lavori della Commissione, nominata dai vari stati per l’unificazione dei pesi e delle misure. Caduta la Cisalpina, perduta la cattedra, ridotto perciò in strettezze, il Mascheroni deve cercare nell’insegnamento di che campare la vita. I disagi, le fatiche del nuovo stato nel rigido inverno parigino, i dolori per le sventure della patria lo fanno cadere ammalato e lo trascinano alla tomba. Il vincitore di Marengo, dopo la strepitosa vittoria, restituisce al Mascheroni la cattedra di Pavia: e il nostro grande concittadino, dal letto di morte detta, con effusione di cuore, la lettera di ringraziamento, ma la sua mano non ha più la forza di apporvi la firma. Si spegne nel luglio del 1800.

La lapide a Lorenzo Mascheroni, all’Università di Pavia (1808) – Foto Giovanni Dall’Orto

Bonaparte fa ritardare i funerali dal mezzogiorno alle sei per potervi intervenire, e ne è solo impedito dalle sue gravi occupazioni. L’istituto di Francia si fa rappresentare da La Place, De-Lambre, Prony e Le Gendre, che sorreggono i quattro angoli del drappo mortuario. Vincenzo Monti, piangendo, getta le ultime manate di terra sulla fossa del poeta, suo collega ed amico. L’Italia perde prematuramente un letterato, un poeta, uno scienziato, un politico, un uomo dalle più elette virtù, un patriota”.

 

Nota

Autore del testo: Arnaldo Gualandris, Busto a Lorenzo Mascheroni, in “Monumenti e colonne di Bergamo”, a cura del Circolo Culturale G. Greppi. Bergamo, 1976 (con introduzione di Alberto Fumagalli).