Adagiata sullo sperone occidentale di Bergamo alta, la dimora barocca più bella di Bergamo fu eretta fra l’inizio del Sei e il Settecento da un ramo dei nobili Terzi – originaria della Val Cavallina -, senz’altro la più europea della nobiltà bergamasca, sia per l’antichità e i personaggi della sua storia sia per le alleanze che la congiungono alla più alta aristocrazia .
Una dimora importante per le pagine di storia che racchiude, per la nobiltà che rappresenta, per la struttura architettonica, per i materiali impiegati, per la notorietà degli artisti che hanno contribuito alla sua realizzazione e per la personalità dei padroni di casa che nei secoli hanno avuto non poca influenza nella vita cittadina.
Il Palazzo veniva un tempo scelto per accogliere re e principi in visita a Bergamo, sottolineando il rango che questo edificio rivestiva nella considerazione delle autorità pubbliche.
Ospitò, tra gli altri, molte famiglie illustri del Settecento e ben due imperatori austroungarici: all’inizio del 1816 Francesco I d’Austria, reduce da Milano dove si era recato nel dicembre precedente per essere incoronato Re. Volle fermarsi a Bergamo per visitare la città. Una ventina d’anni dopo, nel 1838, prese quartiere Ferdinando I con la moglie Anna Maria Carolina. Ma, come vedremo, non solo.
LA FAMIGLIA: UNA STORIA ILLUSTRE
In Val Cavallina i Terzi possedevano i castelli di Terzo, di Berzo, di Grone e di Monasterolo e sembrerebbe che ancor prima dell’anno Mille avessero dimora anche a Bergamo, dove presto divennero tra i reggitori del Comune.
Di appartenenza Ghibellina, la famiglia fu fedele al Sacro Romano Impero sino alla sua dissoluzione e la loro presenza in Val Cavallina, importante snodo fra Italia e Germania, garantì agli imperiali un passaggio sicuro, specie in seguito alla restaurazione del Sacro Romano Impero nel 962.
Al repentino consolidamento del potere dei Terzi corrispose tuttavia l’inizio di una lotta intestina tra i vari membri della famiglia, che a lungo andare si smembrò in due fazioni – gli “Allongi” da un lato e I “Loteri” dall’altro –, sino alla diaspora che li spinse non solo in altre città italiane (Brescia, Verona, Vicenza e Venezia, Gorizia, Fiume, Piacenza, Parma e Reggio, Bologna, Firenze, Iesi, Pesaro, Napoli) ma anche Oltralpe (Austria, Boemia e Ungheria).
La discordia terminò nel 1248 con la firma di un solenne trattato di pace che sancì le rispettive aree di influenza. In seguito, uno dei due gruppi acquistò terreni e case sul Colle Aureo, sul quale fu edificato l’attuale Palazzo.
Nonostante gli scontri che segnarono duramente la famiglia, i Terzi continuarono ad emergere in vari ambiti: dalle Prelature alle Armi, dalle Lettere alle Arti. Dal XII secolo molti membri si distinsero per meriti militari fino ad assumere il controllo di vari feudi; fra questi, Gherardo fu podestà di Cremona e Guido fu Vicario Imperiale e Capitano generale di Federico II.
Una delle personalità più illustri della famiglia fu Ottobono, che fu Condottiero di Gian Galeazzo Visconti, tenne la Signoria di Parma, Piacenza e Reggio acquisendo i titoli di Conte di Reggio e Marchese di Borgo S. Donnino, prima di essere assassinato a tradimento nel 1409.
Alcuni membri della famiglia Terzi seguirono invece la carriera ecclesiastica: Alberto e Adelongo furono canonici nel 1217, Alberto fu eletto Vescovo di Bergamo nel 1242, Giroldo divenne arciprete a Clusone nel 1272 e Giovanni partecipò al Concilio di Trento.
Giuseppe Terzi partì invece con Napoleone per la campagna di Russia e fondò l’Ateneo di Scienze, Lettere ed Arti di Bergamo.
IL PALAZZO
La costruzione del palazzo rientra a pieno titolo nel clima di affermazione sociale che caratterizza il Cinque e il Seicento, quando, sull’onda di una generale fortuna su scala europea delle casate nobiliari, l’aristocrazia locale si dotava di residenze degne dell’importante ruolo acquisito. Così fece un ramo dei Terzi, quando, a testimonianza del rango sociale raggiunto, si stabilì in città, luogo ideale dove intraprendere la realizzazione di un palazzo di rappresentanza.
Precedentemente la famiglia abitava vicino alla chiesa di S. Pancrazio, dove ancora vi sono delle case con affreschi di soggetto veneziano molto deteriorati dal tempo.
In realtà, l’aspetto esterno non è appariscente ed anche la collocazione urbanistica non è centrale: l’esiguità dello spazio edificabile, compreso fra il parco di Palazzo Recuperati e la sommità dello scosceso pendio meridionale del Colle, comportò la ricerca di soluzioni logistiche che richiesero quasi un secolo – fra acquisizioni, ampliamenti e modifiche – per conferire una forma compiuta al palazzo.
Nonostante la ristrettezza del sito i Terzi poterono così realizzare anche il bel giardino distribuito su vari livelli, ed ampliare lo spazio antistante l’ingresso del palazzo che, costruito sopra un’area precedentemente demolita, riuscì a inserirsi nello spazio tra il parco di Palazzo Recuperati e, sul lato opposto, al limite del dirupo che definisce Città Alta.
Le preesistenti costruzioni rinascimentali sono infatti parzialmente inglobate negli ampliamenti sei settecenteschi e addirittura nei sotterranei del palazzo sono ancora visibili resti dei precedenti edifici medioevali, come è tipico negli edifici di Città Alta.
La prima fase della costruzione coincise con le nozze fra il marchese Luigi Terzi e la giovanissima Paola Roncalli (1631), quando furono eretti la facciata e l’ala meridionale.
La seconda fase, preceduta da una serie di acquisizioni immobiliari corrispondenti alla parte settentrionale dell’edificio, ebbe inizio un secolo dopo in occasione del matrimonio fra il marchese Gerolamo Terzi e Giulia Alessandri (1747), sorella del noto architetto Filippo, che intervenne sull’edificio ridisegnandone il prospetto a valle, rendendo simmetrici i due corpi di fabbrica nord e sud e valorizzando gli elementi tardorinascimentali inseriti nel Seicento.
L’esposizione a mezzogiorno e la posizione dominante sopra la pianura, consentì di proiettare la costruzione verso il grande spazio antistante utilizzando il fianco della collina per terrazze e giardini pensili. Anche la disposizione degli ambienti interni venne condizionata dalle grandi vedute verso il piano: una componente fondamentale dell’intera struttura.
Di sottile pregio ambientale, la minuscola piazzetta antistante l’ingresso – in origine un vicolo largo non più di quattro metri – fu ampliata dall’Alessandri, mediante l’asportazione di una porzione del terrapieno di proprietà del Conte Ricuperati, la cui area è tuttora distinguibile grazie ad un perimetro in pietra inserito nella pavimentazione.
Per alleggerire la muraglia di contenimento di fronte all’ingresso è stata creata una nicchia a grotta che racchiude la statua allegorica dell’Architettura (eseguita, come altre opere plastiche all’esterno del palazzo, dal poliedrico Giovanni Antonio Sanz), sovrastata da due puttini che simboleggiano la Primavera e l’Estate, rimandando visivamente al prospetto settentrionale del palazzo, dove le statue dell’Autunno e dell’Inverno campeggiano sul balcone sostenuto dal bel portale.
Per differenziare ulteriormente i vari piani l’Alessandri usò la decorazione delle finestre: semplici e prive di motivi ornamentali al pianterreno e all’ultimo; con timpani lineari al secondo; con timpani spezzati completi di statue rappresentanti imperatori romani al piano nobile.
Nel Palazzo permane l’ombra del giovane Stendhal (1783-1842), al secolo Marie Henry Beyle, che vi soggiornò in qualità di sottotenente di cavalleria dell’esercito napoleonico.
Sulla facciata settentrionale, accanto al portale, una targa marmorea recita:
Oltre un secolo dopo, in una tiepida giornata di primavera Hermann Hesse (1887-1962) approdò casualmente nella piazzetta, dopo aver ammirato le meraviglie di Piazza Vecchia e dell’attigua Piazza Duomo.
La descrisse come “uno degli angoli più belli d’Italia, una delle molte piccole sorprese e gioie per le quali vale la pena di viaggiare”. Sbirciando attraverso il portone del palazzo scorse il cortile “con piante e una lanterna oltre il quale due grandi statue e un’elegante balaustra si stagliavano nitidi, in un’atmosfera trasognata, evocando, in quell’angolo stretto tra I muri, il presagio dell’infinita lontananza e vastità dell’aere sopra la pianura del Po”.
La vista sul cortile terrazzo affacciato sulla pianura continua ad estasiare gli avventori, filtrato dal porticato attribuito all’Alessandri, composto da sei colonne binate che creano tre archi paralleli, dove al centro spicca l’inconfondibile lanterna che illumina l’androne nelle ore serali.
La terrazza, racchiusa tra le due ali del palazzo, termina con una splendida balaustra sormontata dalle due aeree sculture – realizzate da Sanz – della Pittura e della Scultura, che richiamano la statua dell’Architettura nella piazzetta chiudendo il cerchio simbolico-decorativo.
La visuale è rivolta alla vasta e indefinita pianura e sul giardino del palazzo che digrada su via S. Giacomo accogliendo una bella fontana con Sauro.
Lo stupore suscitato dalla geniale soluzione dell’Alessandri, fa dimenticare l’asimmetria dell’androne rispetto al cortile ed anche quella delle finestre dei preesistenti ambienti sotterranei, non in asse con quelle del prospetto.
Lo scalone, lungo il quale si trovano ancora i candelabri settecenteschi, è decorato da numerosi affreschi che ne allargano le dimensioni con grandi prospettive di palazzi classicheggianti collocati in campi ariosi, mentre la volta presenta un affresco con un allegoria mitologica dipinto da Vincenzo Orelli e dal figlio Giuseppe, quest’ultimo autore di un grande affresco collocato nell’ala opposta del palazzo, quella attualmente abitata dai proprietari, dedicato ad “Apollo e le sue Muse”. Altre decorazioni si trovano nelle camere sottostanti, così come la preziosità di alcuni arredi aumenta la suggestione dei locali.
Gli artisti di Palazzo Terzi
Il palazzo è la risultanza dell’ingegno e dell’abilità di una formidabile équipe di architetti e di artisti scelti, sensibili e attenti all’evoluzione del gusto architettonico e pittorico dell’epoca, e benché l’ala sinistra del palazzo, tuttora abitata, racchiuda affreschi suggestivi, gli ambienti più interessanti sono situati nell’ala destra, dove troviamo le ricche decorazioni realizzate tra il 1640 e il 1664 da Giovan Battista Tiepolo, Cristoforo Storer (un pittore di Costanza formatosi presso la bottega milanese di Ercole Procaccini il giovane, e che in seguito Luigi Terzi sostenne per i lavori presso la basilica di S. Maria Maggiore), il pittore comasco Gian Giacomo Barbelli (autore anche degli affreschi di Palazzo Moroni in città Alta), Carpoforo Tencalla (un artista piuttosto inconsueto a giudicare dai dipinti), il bergamasco Domenico Ghislandi (padre di Frà Galgario), che interviene negli ambienti di Palazzo Terzi all’indomani dell’impresa in Palazzo Moroni (dove egli tornerà a lavorare sui ponteggi con il suo primo maestro, il cremasco Gian Giacomo Barbelli) sfoderando un’audacia nuova e personale, come si evince in particolare nel Salone d’onore.
Il Salone d’onore
Al grande salone di ricevimento, situato nel corpo centrale del palazzo e disposto su due piani, si accede direttamente dal portico passando attraverso un piccolo locale, un tempo forse destinato a portineria o a vestibolo, il cui soffitto presenta alcune riquadrature in stile barocco.
Il visitatore viene accolto in uno degli ambienti di maggior pregio – contraddistinto naturalmente da un fastoso barocco – attorno al quale ruotano le altre sale.
Quasi sicuramente l’inizio delle decorazioni porta la data del 1640; esse vennero affidate a Gian Giacomo Barbelli, che libero da ogni direttiva architettonica lavorò affidandosi alla sua fantasia, avvalendosi del quadraturista Domenico Ghislandi per la curiosa impostazione scenografica della volta.
Tra i curiosi pilastri rastremati a calice si aprono, negli angoli della volta, quattro finestre vere e quattro finte, alle quali si affacciano delle mezze figure a grandezza naturale, probabilmente personaggi della famiglia vissuti negli anni del restauro. Nell’ “Olimpo”, effigiato da Gian Giacomo Barbelli nella volta, le figure sono gettate en plain air con la stessa freschezza e lievità con cui poi le ritrae in azione nei quattro riquadri che lo incorniciano: “Minerva che con Marte guida le truppe”, “Orfeo che incanta gli animali”, “Giuseppe che guida le Furie” ed una “Flora con cornucopia”.
Alcune figure simboliche sedute, fiancheggiano ogni riquadro e due di queste sono riprese, in atteggiamento simile, dall’abile stuccatore che innalza fino all’impostazione della volta il maestoso camino, la cui realizzazione è probabilmente anteriore ai due quadri che lo affiancano.
Questi due dipinti, come gli altri che ornano le pareti del locale, sono stati eseguiti da Cristoforo Storer e raffigurano “Jefte vittorioso incontra la figlia” e “Ammone ucciso per comando di Assalonne”.
I soggetti degli altri dipinti sono: “Davide presenta a Saul la testa di Golia” e, sulla parete di fronte al camino, il grande “Convito di Assuero” che porta la firma e la data del 1657.
Sopra le porte vi sono altre tele eseguite probabilmente da Giovanni Cotta, un amico dello Storer.
L’ imponente camino di marmo, addossato alla parete maggiore, celebra la potenza e l’eccellenza della famiglia, come testimoniano i leoni laterali di sostegno e soprattutto lo stemma araldico collocato al centro del frontone curvilineo appoggiato alla cappa.
Quanto alla paternità dell’opera, attraversata da racemi a girale e da diversi motivi naturalistici, per la generosità del disegno e la carnosità delle forme presenta significative affinità stilistiche con le opere degli stuccatori luganesi Sala, attivi in quegli anni nei principali cantieri cittadini (seguiti anche dai Terzi, come quello della MIA).
La luce che irrompe dalle finestre aperte sulla pianura non fa che esaltare gli stucchi e le decorazioni.
Dal Salone di ricevimento, una porta sulla sinistra conduce alla Sala da pranzo, anch’essa affrescata dal Barbelli, sempre con la collaborazione del Ghislandi per le riquadrature e gli effetti prospettici nei quali è inserita una balconata. L’affresco principale rappresenta l’origine della “Via Lattea”, mentre quattro graziosi puttini sul cornicione reggono i simboli di Giove.
Tornati nel Salone si passa nelle sale di destra: una sequenza mirabile di decorazioni, di ornamenti e di tappezzerie di rara eleganza e raffinatezza, dove si avvicendarono frescanti, stuccatori, indoratori ed ebanisti, offrendo prove di eccellenza nell’accostare materiali diversi.
I plafoni conservano gli affreschi del Seicento, mentre le pareti sono state rivestite nel secolo successivo di damasco, di soprarizzo e di specchi. I pavimenti, realizzati con legni policromi, sono stati disegnati dal Caniana. Le porte, gli infissi e le finestre sono decorate con intagli dorati. E’ una sequenza di motivi che sorprende e che si conclude nel Salottino degli Specchi, il primo locale che lo Storer decorò appena arrivato a Bergamo.
Salotto degli Specchi
Le singolarità di palazzo Terzi non finiscono qui. E’ tra queste pareti che si cela appunto il celebre salotto degli specchi, considerato da Mario Praz “uno dei luoghi di specchi più incantati del mondo”.
La sala offre al visitatore i medaglioni secenteschi affrescati dallo Storer raffiguranti l’ “Astronomia misurante I segni dello zodiaco” al centro, i Quattro elementi ai lati e, tra l’uno e l’altro, sopra agli angoli delle pareti, quattro ovali presentano le “Quattro parti della Terra”.
Nel primo Settecento, all’ambiente si aggiunse un elegante gioco di specchi, spiccatamente barocco, che riflettendosi l’un l’altro ne modificano le dimensioni rendendo l’illusione di una maggior ampiezza. Gli specchi coprirono però anche le quadrature originali di Domenico Ghislandi.
Gli arredi raffinati si accompagnano a preziosi decorazioni e tessuti damascati, e, ad esaltare il tutto, I preziosi pavimenti a tarsie policrome realizzate con legni rari su disegno del Caniana. La decorazione presenta una doppia fascia stellata che racchiude il rosone centrale e alcuni motivi a grata. Negli angoli fanno bella mostra corbeilles di fiori e nella strombatura della finestra una gabbia di uccellini. Non contento di questi disegni, che danno al pavimento in legno quasi la caratteristica di un tappeto, il Caniana ha voluto arricchire i riquadri dello zoccolo con gioco di putti dipinti in tonalità monocromatica su fondo dorato.
L’insieme, ovvero l’abbinamento degli affreschi dello Storer sul plafone, gli specchi con le decorazioni barocche in legno dorato e il pavimento finemente intarsiato, danno luogo ad un ambiente raffinato: un “salottino” raccolto ma al tempo stesso non oppressivo; colorato, ma senza che i disegni incombano e disturbino l’armonia degli accostamenti.
Ed è dovuto al successo di queste decorazioni che i Terzi commissionarono allo Storer gli affreschi della Sala Rossa ed il medaglione della camera da letto di rappresentanza.
Procediamo nella visita passando alla Sala del Soprarizzo, così nominata per via della tappezzeria che ricopre le pareti.
Sala del Soprarizzo
Tra il Salone e il Salottino si trova la “Del Soprarizzo”, così nominata per via del tipo di tappezzeria sulle pareti.
La volta di questo locale è decorata dal ticinese Carpoforo Tencalla. Il dipinto del plafone ha un’impostazione abbastanza insolita. Le figure non si trovano al centro dello spazio decorato, bensì in un angolo, raggruppate e avvolte da nuvole, mentre nella volta, che si presenta come illuminata di rosa dalle prime luci dell’alba, appare l’ “Aurora” nel suo splendore, come soggetto principale di tutta la composizione. Il fregio che raccorda l’affresco con le pareti è stato eseguito quando queste sono state rivestite in soprarizzo e lo si nota dalla fascia architettonica, diversa da quella del Salone. Predominano i colori rosa e grigio chiaro in diverse sfumature, mentre le ghirlande di fiori hanno tonalità più vivaci. Queste decorazioni sono attribuibili al ticinese Giuseppe Antonio Orelli.
Sul soffitto campeggia l’Aurora che scaccia il Sonno, un affresco in stile barocchetto del pittore ticinese Carpoforo Tencalla.
Anche qui, il pregevole pavimento settecentesco in legno intarsiato.
A partire dalla seconda metà del Ottocento il palazzo diventò la sede di riunioni e conversazioni che favorirono l’Indipendenza d’Italia durante il Risorgimento. Proprio in un’intercapedine di questa sala fu nascosta, al ritorno degli Austriaci, la bandiera Nazionale, protagonista delle Cinque giornate e della Caduta di Milano, a lungo cercata dagli austriaci ed oggi conservata presso il Museo Storico allestito in Rocca. La bandiera era stata consegnata nel 1862 all’allora Sindaco della città dalla marchesa Maria Terzi Caumont de la Force, vedova del marchese Luigi, amico e collaboratore di Gabriele Camozzi, con il quale fondò la Guardia Nazionale.
Sala Rossa
La Sala Rossa è così nominata per la tappezzeria di damasco rosso vermiglio.
Presenta nel soffitto affreschi eseguiti nel 1655-57 da Cristoforo Storer, coadiuvato dal Ghislandi per le splendide quadrature delle quattro scene allegoriche raffiguranti uomini possenti e donne sinuose. Al centro della volta si trova l’Olimpo.
Gli arredi risalgono invece al Settecento: le specchiere, la consolle dei Fantoni, porte stuccate. Vi sono inoltre pregevoli vasi Ming con montatura in bronzo.
Sala del Tiepolo
Una delle più note e conosciute del palazzo, contornata da dei preziosi stucchi dorati, la sala conserva al centro del soffitto un affresco attribuito al Tiepolo.
Salottino della Musica
In stile rococò invece si trova il Salottino della Musica, dalle pareti molto irregolari ma sapientemente mimetizzate dalle decorazioni realizzate dai fratelli ticinesi Camuzio.
Oltre a queste di maggior pregio, vi sono altre stanze in stile veneziano, così di moda nel XVIII secolo. Tra queste una curiosa saletta adibita a giardino d’inverno, abbellita con carta da parati dipinta a mano dal conte Suardo.
Seguendo la moda neoclassica che si diffuse nella Bergamasca con il nome degli architetti Simone Elia, Pollack, Giacomo Bianconi ed altri, alcuni discendenti della famiglia Terzi pensarono di trasformare tutto l’edificio eliminando la sua impostazione barocca per conferirgli una caratteristica in stile impero. Fortunatamente ciò non avvenne.
Labirinti e maschere mortuarie a Palazzo Terzi
E’ noto che nel ventre di Città Alta si nasconda un dedalo di percorsi, che si snodano tra pareti rocciose, stalagmiti e stalattiti: un groviglio inquietante di cunicoli, gallerie, buchi, caverne. Ma nella Bergamo antica sono ancora molti i luoghi inesplorati. Basterebbe inoltrarsi nel sottosuolo di alcune dimore storiche, se i proprietari lo consentissero, per fare scoperte mozzafiato.
Nel sontuoso – e a quanto pare misterioso – Palazzo Terzi, sono stati rinvenuti curiosi e impressionanti reperti che lasciano presagire segreti rimasti ancora oggi inviolati: negli inaccessibili (al pubblico) sotterranei, che scendono come labirinti piranesiani nel cuore della città, giacciono presenze davvero inquietanti.
Non è facile addentrarsi in questi oscuri meandri. Ad un tratto nella penombra ecco apparire un vecchio armadio. La porta scricchiola. Un rumore sinistro, quasi monito a non violare il segreto, a non andare oltre. Ma la tentazione è fortissima e nessuno può fermarci: ai nostri occhi si presenta una “collezione” inconsueta: venti maschere mortuarie.
Pochi ne sono a conoscenza, ma quelle testimonianze, enigmatiche e angoscianti, sono calchi in gesso realizzati sui volti dei camerieri che prestarono servizio in quella residenza. Camerieri un po’ speciali, evidentemente, forse persone a cui la famiglia era particolarmente legata da vincoli di affetto.
Almeno questa sembra l’unica spiegazione plausibile, se alla servitù era concesso il “privilegio” di rimanere nei ricordi di sempre attraverso una bianca immagine gelosamente custodita nei sotterranei
Tra l’altro, un altro ambiente del palazzo – successivamente modificato – ancora più insolito e lugubre era la stanza interamente decorata a stucco nero, dove venivano esposti i morti di famiglia, in attesa delle esequie (2).
Note
(1) Attraverso un matrimonio Caumont-La Force, i Terzi sono collegati ai più grandi casati francesi: persino Honoré de Balzac (1799-1850) ricorda in uno scritto una ‘marquise de Terzi’. Assai interessante il matrimonio di un Nuse Terzi con la principessa Galitzine che venne a Bergamo accompagnata da un pope ortodosso come cappellano. Dai Galitzine si risale a parentele con le più importanti famiglie russe e con grandi scrittori come Aleksandr Serghiejevic Puskin (1799-1837) e Lev Nikolajevic Tolstoj (1828-1910).
(2) Emanuele Roncalli: “I misteri di Bergamo”, Burgo Editore, Bergamo, 1995
Fonti
-Palazzo Terzi, di Graziano Paolo Vavassori
-Ferrante, “Palazzi nobili di Bergamo”