L’ex monastero di Valmarina, la sua vicenda storica e costruttiva

Come l’ex monastero di Astino, anche quello di Valmarina, situato al versante opposto – rispetto allo spartiacque del Colle -, nasce come istituzione benedettina improntando la conca del suo vissuto, ancora perfettamente leggibile nel manufatto e nel paesaggio che lo circonda, rimasto relativamente integro.

Disposta ad est del Colle di Bergamo, di fronte alle pendici collinari della Maresana, la Valmarina si innesta al colle della Bastia estendendosi tra le pendici boscose del versante nord fin verso le località Ramera e Pontesecco, attestandosi al margine del “corridoio” di Valtesse e Petosino lungo la strada per la Val Brembana; strada che ricalca il vecchio percorso che usciva dalla città murata attraverso la Porta di San Lorenzo, verso il Brembo

A differenza di Astino, però, l’ex monastero di Valmarina, anche per la storia che vi si è svolta, ha avuto un legame diverso con il “Colle” e con la città – di cui non ha mai costituito una zona di anticipazione -, preludendo altri spazi, ad altri contesti. La forte caratterizzazione della conca è poi accentuata dai nuovi significati derivanti dall’essere divenuta il luogo d’elezione della sede operativa del Consorzio del Parco regionale dei Colli di Bergamo, che lo ha acquisito nel 1985.

Anche il rapporto della valletta con la città e con l’esterno è rimasto pressoché immutato nei secoli, considerando, oltre al paesaggio, i percorsi che dalla strada per la Val Brembana risalivano verso la Bastia o raggiungevano Colle Aperto attraverso gli abitati di Gallina e Castagneta.

Persino la vasta porzione di terreno che circonda l’ex monastero corrisponde alla sua pertinenza originaria, che secondo documenti è calcolata in circa trecento pertiche, comprensive di prati, aree boscate e parti coltivate a vite, così come oggi.

Valmarina (da “marra”, cumulo di sassi, probabile riferimento alle attività di estrazione nelle vicinanze) è caratterizzata su larga parte dei versanti dalla presenza del bosco e presenta sulle pendici meglio esposte una vasta area di coltivi in gran parte costituiti da terrazze tenute a vite

Nella valletta scorre un rivo, un corso d’acqua la cui presenza fu fondamentale per la nascita e la secolare vita del monastero, di cui abbiamo testimonianza già intorno al 1150 quando vi si stabilì una piccola comunità di religiose ispirata alla preghiera ed al lavoro, secondo la Regola benedettina: la sua acqua dovette essere incanalata dentro il recinto (nella zona più bassa, come documentano gli antichi cabrei), provvedendo per secoli al suo sostentamento.

Le monache vi risiedettero stabilmente fino alla fine del XV secolo e cioè fino a quando, forse anche per i rischi connessi alla posizione appartata e solitaria del luogo, si trasferirono in città presso il monastero di S. Maria Novella col quale, unendosi, diedero vita a quello di S. Benedetto nell‘attuale via S. Alessandro, istituzione che ancora oggi accoglie, in continuità con la tradizione, una comunità viva ed operosa di monache di clausura.

Chiostro isabelliano del monastero di S. Benedetto, in via S. Alessandro (BG), originatosi nel Duecento con il nome di S. Maria Novella. La nuova dedicazione avvenne in seguito alla fusione nel 1487 con il monastero benedettino di S. Maria in Valmarina e poi con quelli di Bonate e di Brembate. In seguito alla visita apostolica del 1575 vi si confluirono anche le monache del soppresso monastero di San Fermo in Plorzano

All’abbandono relativamente precoce della valletta da parte della comunità monastica, dovette corrispondere la destinazione pressoché esclusiva del complesso monastico a funzioni rurali. E’ utile però sottolineare che in Valmarina la definizione dei corpi di fabbrica intorno alla corte nelle forme e nelle dimensioni attuali avviene – come provato dai documenti – solo di recente, dal tardo Settecento in avanti.

Venute meno le condizioni per adeguamenti tipologici e stilistici di epoche successive, nonostante alcuni crolli e gli adeguamenti successivi la “situazione” medioevale si è cristallizzata, causando sì un progressivo impoverimento della parte superstite del complesso ma non una sua trasformazione, come invece è accaduto in quasi tutti gli altri monasteri benedettini bergamaschi conservati, che non hanno mutato la loro sede (S. Grata, Astino, Pontida, S. Paolo d’Argon, S. Benedetto).

Pertanto tutto quel che è sopravvissuto alle demolizioni ha conservato i suoi caratteri essenziali, conferendo al complesso un valore specifico di testimonianza, impreziosita ulteriormente dall’antichità del manufatto.

Ad una prima fase antica in cui il complesso monastico si è fissato con i suoi elementi costitutivi dentro e fuori dal recinto primitivo, è dunque seguita una seconda fase in cui la corte si è praticamente raddoppiata per i corpi di fabbrica – abitazioni rurali e annessi rustici – realizzati attraverso un processo additivo avvenuto a partire dal tardo Settecento, mediante il riuso di materiali poveri, rinvenuti sul posto (1).

La porzione più antica del monastero, distinguibile anche grazie ai caratteri tipologici e alla tecnica costruttiva adottata, era costituita da un complesso recintato, di carattere fortificato, che si presentava presumibilmente come una corte chiusa, delle stesse dimensioni dell‘attuale nel senso nord/sud ma molto più ridotta nel senso est/ovest, come descritto in antichi documenti (2): oltre alla chiesa e il lungo corpo di fabbrica rettangolare ad essa collegato, che costituiscono il lato est del complesso, anche un tratto di muro di cinta che delimita a sud la corte per almeno la metà dell’attuale lunghezza.

Si veda la versione in 3D. Il complesso architettonico di Valmarina si presenta oggi come un insieme di corpi di fabbrica distribuiti intorno a una grande corte che si adagia al piano seguendo l’andamento del versante. La parte più antica, rivolta ad est, corrisponde alla chiesa e al lungo corpo di fabbrica rettangolare ad essa collegato nonché a un tratto di muro di cinta che delimita a sud la corte per almeno la metà dell’attuale lunghezza. Altre parti sono scomparse e le aggiunte costituiscono addizioni, realizzate dal ‘700 in avanti per usi rurali

Ed è nel lungo corpo di fabbrica collegato alla chiesa, corrispondente al lato est del complesso e comprendente la sala del capitolo, il refettorio e il dormitorio, che vissero le religiose.

Il lato est presenta, incorporato nello spigolo settentrionale, ciò che resta della primitiva chiesetta romanica  definita da un’abside quadrata e con pianta a croce; dei due bracci l’uno è completamente caduto (già non figura in un cabreo cinquecentesco), l‘altro è inserito nell’ala lunga ancora conservata dell’antico monastero, che forma il lato orientale dell‘intero complesso, con volumi distribuiti su due piani

All’interno di questa corte dovevano trovarsi anche una torre, una seconda  chiesa – dedicata a S. Ambrogio – nonché una cantina.

In corrispondenza degli attuali volumi posti ad ovest del portone principale dell’attuale accesso alla corte doveva esserci un grande portico, parzialmente riconoscibile nei caratteri delle murature, che un cabreo tardo-cinquecentesco  descrive sulla fascia interna dell’edificio, nella stessa disposizione e con la stessa scansione di quello tuttora esistente.

Il Cabreo, eseguito nel 1742 dall’agrimensore Tomaso Bottelli (Archivio del Monastero di S. Benedetto), rivela eloquenti indicazioni sia sul complesso edificato, sia sui terreni circostanti. Gli edifici conservano in larga misura lo stesso assetto rilevato dal citato cabreo tardo-cinquecentesco (indicato in nota 2). Vi si trova, inoltre, la notazione del rivolo “che passa nel stallo” e una dettagliata descrizione delle campiture degli spazi disposti intorno

 

L’ex monastero di Valmarina prima dei restauri, prospetto sud

 

L’ex monastero di Valmarina prima dei restauri, prospetto est

 

La facciata della chiesa intitolata a S. Benedetto ed orientata secondo l’antica usanza medioevale, con la parete di arenaria scandita da due eleganti monofore separate da una lesena e sovrastate da due piccoli oculi

 

Il tessuto murario, a masselli sbozzati disposti con molta regolarità in strati orizzontali, rivela affinità con alcuni altri esempi di architettura locale riconducibili ai secoli Xll-Xlll, quali per esempio le parti più antiche della chiesa di Astino

 

Degni di attenzione i particolari stilistici del timpani triangolari monolitici delle monofore e di altre aperture che pure rivelano affinità con altri edifici medievali bergamaschi, per esempio a Calepio, Gorlago, Trescore

Le addizionl, realizzate dal tardo Settecento in avanti per servire alla funzione rurale, consistono in volumi relativamente poveri, di architettura spontanea e secondo la tipologia ricorrente, con abitazioni e rustici giustapposti: cucine e stalle al piano terreno, stanze da letto e fienili al primo piano, scale semiesterne, ballatoi sottogronda sulla fronte per le comunicazioni orizzontali, portici e tettoie per gli attrezzi e le stramaglie.

Planimetria dell’edificio. Le addizioni, realizzate dal tardo Settecento, si trovano sui lati nord ed ovest del complesso ed hanno l’aspetto di abitazioni rurali e rustici annessi, riconoscibili anche per la tecnica costruttiva

Il tutto realizzato con materiale eterogeneo e diverso secondo gli interventi: quello sul lato nord, pur presentandosi aII’esterno con un prospetto abbastanza unitario, rivela tre distinte fasi costruttive, alla più antica delle quali è riferibile un tratto di muratura conservato verso il cantonale ovest.

AlIe fabbriche settentrionali si collega, quasi come un’appendice, un altro corpo rustico con andamento nord/sud che, assieme ad un muro di cinta ed un portico, chiude il lato ovest della corte (3).

Tuttavia, nonostante le aggiunte successive va riconosciuto “che l‘armonica disposizione dei volumi intorno all’ampio spazio centrale, l‘adeguamento ai livelli dei terreno, le ampie pagine di cotto dei pioventi a due falde, la presenza di alberi dentro la corte ed in particolari posizioni delI’intorno, i punti di accesso con i suggestivi rapporti interno-esterno, la bellezza della cornice naturale sui vari lati sono tutti elementi che contribuiscono a conferire lineamenti caratterizzanti e consentono di interpretare l‘insieme come realtà unitaria” (Lelio Pagani, cit. in Riferimenti).

La proprietà (edifici e terre annesse) rimase della comunità monastica di S. Benedetto fino alle soppressioni napoleoniche del 1797, quando passò nelle mani di privati, mentre la chiesa venne chiusa al culto in anni recenti, spegnendone la dignità architettonica (negli ultimi tempi fu ridotta a fienile) e avvilendo ulteriormente l’intero edificio.

La chiesa prima dei restauri

 

La corte prima dei restauri

Il secolare complesso monastico è stato recuperato dal Consorzio del Parco regionale dei Colli di Bergamo che lo ha acquistato nel 1985 destinandolo a propria sede liberandone le potenzialità nel rispetto e nella valorizzazione di tutti gli elementi significativi del suo divenire storico-architettonico.

Posta in posizione baricentrica rispetto aIl’ambito sul quale lo stesso Consorzio estende le sue competenze, Valmarina ha così recuperato una nuova polarità rispetto al “Colle di Bergamo”, con il quale ha instaurato nuovi rapporti e nuovi dialoghi, divenendo al tempo stesso punto di riferimento per il territorio più vasto dei Parco regionale.

Note

(1) G. Grassi “Obiettivi operativi e criteri generali dei progetto di ristrutturazione architettonica dei complesso edilizio di Vaimarina destinato a nuova sede consortile dei Parco regionale dei Colli di Bergamo”, 1987, Consorzio del Parco dei Colli. In “Progetto Il Colle di Bergamo”, a cura del Parco dei Colli. Lubrina, 1989.

(2) La distribuzione e la reciproca relazione degli originari corpi di fabbrica sono descritte in un documento del 1367 e trovano un lucido riscontro nelle pagine di alcuni cabrei tardo-cinquecenteschi relativi ai beni del monastero di S. Benedetto, che illustrano la proprietà di Valmarina (Archivio di Stato di Milano – Fondo Religione “Libro delle descriptioni dele proprietà ragion dele Reverende monagi de Sancto Benedeto posto nela visinanza de Sancto Steffano” – agrimensore Marziale de Zucchi, 1583). Il suddetto documento, datato 21 gennaio 1367 (cfr. Archivio Monastero di S. Benedetto), disposto ai fini dell‘assegnazione in affitto e che si dice redatto “in castro ipsius monasterii”, descrive l’ampio appezzamento di terreno intorno al monastero, dando ragione anche della sua estensione, che ammonta a circa trecento pertiche. Vi si ricavano preziose indicazioni circa la destinazione colturale dei fondi (“Questa pezza de terra montiva boschiva sortiva et parte aradora vidata et parte prativa et cum el stallo et una giesia dita in Valmarina”) e si accenna ad “una turi solerata et cum duobus solariis et cum una caminata et cum quadam domo seu ecclesia que appellatur ecclesia sancti Ambroxi cum uno torcularii in ea et cum uan coquina sita prope scalam et cum una domo solerata que appellatur caneva que omnia predicta aedificia existentia in dicta pecia terre sita sunt in dicto monasterio et inter muros dicti monasterii et cum una hera et curte et una porticus magna site in dicta pecia terre extra muros dicti monasterii et radenter dictum monasterium” (Lelio Pagani, “Progetto il Colle di Bergamo”, a cura del Parco dei Colli. Lubrina, 1989). Una delle pagine pagine relative ai suddetti cabrei tardo-cinquecenteschi, riporta invece nitidamente il complesso a livello planimetrico, con la precisazione dell’articolazione interna degli spazi.

(3) G.P. Brogiolo e L. Zigrino “Il monastero di Valmarina: lettura stratigrafica dei manufatto architettonico”, Bergamo, 1986, Consorzio del Parco dei Colli. In “Progetto Il Colle di Bergamo”, a cura del Parco dei Colli. Lubrina, 1989.

Riferimenti

Lelio Pagani, Paola Morgante, Valmarina, in “Progetto Il Colle di Bergamo”, a cura del Parco dei Colli. Lubrina, 1989.