E’ notte fonda e tutto tace, ma non c’è dolce musica che possa assopirmi….non riesco a sognare.
Passeggiare fra le mura della città vecchia, con la brezza che mi sfiora la pelle, farà viaggiare la mia mente.
Sotto un cielo ammantato di nubi a nascondere le stelle, luci ed ombre si alternano sinuose in una danza notturna, entro cui intraprendo il mio viaggio.
La Basilica alessandrina (domus Sancti Alexandri), sorta all’esterno delle mura nel IV sec. d.C., sulla tomba di S. Alessandro, è il più antico, venerato e compianto edificio sacro di Bergamo.
Benché non sia dato di sapere da quando le chiese di S. Alessandro e di S. Vincenzo si contendessero il primato, gli scavi archeologici sotto il Duomo di Bergamo – che hanno portato alla luce i resti della chiesa paleocristiana di S. Vincenzo – ne hanno permesso la datazione al V° secolo.
Essendo la Basilica alessandrina ubicata fuori dalla cinta muraria cittadina, i cristiani dovettero provvedere a costruire una chiesa anche dentro le mura; ed è cosi che si sviluppò chiesa paleocristiana di S. Vincenzo, edificata nell’area del foro.
Già nella prima fonte scritta utile, il testamento del gasindo regio Taido del 774 (il documento più antico che nomina la Basilica Alessandrina e il martire Alessandro), il vertice della Chiesa bergamasca è costituito dalle Basilice beatissimi Christi martyris Sancti Alexandri intra hac civitate Bergomate, ubi eius sanctum corpus requiescit, set et beatissimi Christi martyris et apostoli Sancti Petri infra curte Sancti Alexandri adque ecclesia Beatissime semper virginis et Dei genetrice Marie et Sancti Vincenti ecclesie Bergomensis(1).
La causa “de matricitate” (causa in corso tra i capitoli delle due cattedrali cittadine, S. Alessandro e S. Vincenzo, portata nel 1187 dinanzi al Papa Urbano II nel palazzo vescovile di Verona), intendeva stabilire quale delle chiese fosse la “matrice”, ovvero la chiesa originaria idonea a detenere la cattedra vescovile.
La rivalità tra i capitoli delle cattedrali di S. Alessandro e S. Vincenzo (2), sviluppatasi tra XI e XII secolo, tradiva la sua valenza politico-economica legata al governo della città, al controllo del contado e delle decime (3); e grazie alla facoltà di eleggere il vescovo (avente giurisdizione politica e civile) i canonici esercitavano potere sulla vita pubblica.
I due capitoli erano perennemente in conflitto anche in merito a questioni spicciole riguardanti le processioni, la possibilità di portare le reliquie o di occupare posti privilegiati durante le pubbliche funzioni.
Un diploma redatto nell’894 dalla cancelleria di re Arnolfo di Carinzia, concesse diritti patrimoniali alla ecclesia sancti Vincentii Martyris Christi que constructa esse cernitur infra menia Bergomensis civitatis in qua etiam primitiva illius episcopii sedes est (Fabio Scirea, op. cit.).
Nell’897 il vescovo Adalberto istituì in San Vincenzo la Canonica, nel 923 composta da dodici preti, sette diaconi e sette suddiaconi (non si dispone invece dell’atto di fondazione della canonica di Sant’Alessandro, che Dentella e Belotti collocano all’anno 953, ma che Chiodi anticiperebbe all’inizio del secolo X).
Con la fusione dei due capitoli in una et eadem matrix ecclesia Pergamensis (decreto papale), nel 1189, si concludeva la controversia de matricitate che da tempo opponeva a Bergamo (a volte anche in modo particolarmente violento) le canoniche di San Vincenzo (in regime di chiesa doppia con Santa Maria) e di Sant’Alessandro (con annessa San Pietro), in relazione alle prerogative liturgiche e istituzionali.
Le controversie in realtà si chiusero solo nel XVII secolo con la composizione di un unico “capitolo”. “Ma già in età comunale le famiglie bergamasche avevano indirizzato le loro ambizioni e le loro divergenze verso altre istituzioni. L’Episcopio aveva perduto il suo potere civile e politico” (Andreina Franchi Loiri Fumagalli).
È ormai assodato che le cattedrali paleocristiane sorsero senza eccezioni entro le mura cittadine, pur in rapporto con i santuari cimiteriali del suburbio.
A Bergamo Alta San Vincenzo e Santa Maria si collocano ai margini del foro romano, mentre Sant’Alessandro e San Pietro, abbattute nel 1561 per far spazio alle mura veneziane, sorgevano a ridosso del settore nordovest delle mura romane.
In Sant’Alessandro era venerato il martire secondo tradizione fondatore della Chiesa bergamasca (ma si considerino le obiezioni di Giovanni Spinelli, che ritiene il culto di Sant’Alessandro di Bergamo derivato da quello di Alessandro d’Anaunia, mediato dalle missioni evangelizzatrici tridentine all’inizio del VII secolo), e sempre secondo tradizione (però tarda – Picard 1988) vi riposavano le spoglie dei supposti primi due vescovi, Narno e Viatore (4): un culto in linea con le prerogative di un santuario in grado di accrescere il proprio potere istituzionale e patrimoniale fino a rivaleggiare con la cattedrale (si pensi a San Pietro a Roma e a Sant’Ambrogio a Milano).
Nonostante tali premesse, a lungo e da più parti è stato rivendicato alla distrutta Sant’Alessandro (la cui origine paleocristiana resta da accertare archeologicamente), lo status di originaria cattedrale.
Supportava tale convinzione l’errata interpretazione di resti dell’antica San Vincenzo, rinvenuti nel 1906 dall’ingegnere Elia Fornoni in occasione dello scavo per la prima Cripta dei vescovi: nei muri della recinzione presbiteriale furono riconosciuti i perimetrali di una modesta cappella, coerente con una fondazione di VII secolo quale supposta sede del vescovo ariano. In tale ottica, la rifondazione nel 1459 su progetto di Filarete avrebbe inteso rimediare all’inadeguatezza della chiesa altomedievale, salvo incagliarsi in una tormentata vicenda risolta con l’ultimazione del prospetto solo nel 1886, sebbene la chiesa fosse già stata riconsacrata nel 1689 a Sant’Alessandro (per via delle reliquie di Alessandro, Narno e Viatore ivi traslate dalla distrutta basilica suburbana).
Nel giugno 2004, rimosso il pavimento del duomo in vista dell’installazione di un impianto di riscaldamento, è riemerso il muro dipinto già trovato da Fornoni (e da cui fu staccato il lacerto con I confratelli della Misericordia, conservato presso il Museo Diocesano di Bergamo), dando avvio allo scavo della navata coordinato dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici della Lombardia. Portata a termine una prima fase di lavori, i risultati sono dapprima stati ripetutamente pubblicati in forma sintetica, lasciando diversi nodi da sciogliere (Ghiroldi, Daffra, Ceriotti 2006; Fortunati, Ghiroldi 2007; Daffra 2007; Ghiroldi 2007; Fortunati, Ghiroldi 2008).
L’indagine archeologica ha fugato i restanti dubbi de matricitate: su strutture residenziali romane, sistematicamente rasate, sono riemersi resti della basilica paleocristiana, con impianto a tre navate scandite da colonne su basi attiche (almeno undici, con interasse di circa tre metri). Due lacerti di mosaico pavimentale geometrico, l’uno policromo l’altro in bianco e nero, collocano la struttura fra i secoli V e VI” (Fabio Scirea, op. cit.).
Nel mese di agosto del 1561 erano iniziati i preparativi per lo sgombero e l’abbattimento della basilica di Sant’Alessandro. Il 13 agosto di quell’anno le reliquie di Sant’Alessandro (assieme a quelle di altri “Corpi Santi”) erano state traslate nella cattedrale di San Vincenzo (l’attuale cattedrale di Sant’Alessandro) con grande concorso di popolo.
Da quel momento, in attesa che venisse eretta una nuova chiesa, che risarcisse della violenza subita, il capitolo di Sant’Alessandro (composto dal collegio dei canonici istituito presso la distrutta chiesa di Sant’Alessandro) si era trovato a convivere con quello di San Vincenzo.
Le tensioni erano legate alla nuova fabbrica del Duomo e alla sua intitolazione (l’accordo provvisorio del 1614 prevedeva che la nuova Cattedrale sarebbe stata dedicata al solo Sant’Alessandro e che le due congregazioni si sarebbero fuse nel capitolo di Sant’Alessandro Maggiore).
Il periodo delle discordie faziose durò sino al secolo XVII, quando avvenne la fusione dei due capitoli in un unico organismo (nell’unico Capitolo di Sant’Alessandro Maggiore), dopo la distruzione dell’antica cattedrale di S. Alessandro e la consacrazione (per decreto di Papa Innocenzo XI) a Sant’Alessandro martire della ricostruita cattedrale (1689) già di San Vincenzo.
In ogni caso, le precedenti congregazioni vennero mantenute distinte, con proprie amministrazioni e programmi spesso contrapposti. A San Vincenzo venne intitola una cappella, edificata appositamente, nel 1697, sul lato destro del tempio cittadino.
Note
(1) In questo documento la chiesa di San Vincenzo (che compare in qualità di sede pievana) è nominata insieme alla basilica di Santa Maria col titolo di “ecclesia” (chiesa battesimale). L’uso dell’ appellativo “ecclesia”, come mostrano gli studi di Lupi e Mazzi, stava ad indicare, nei secoli che precedono l’anno 1000, la chiesa battesimale esistente nel capoluogo dell’antico pagus romano, conservatosi importante e accresciuto, per ragioni di transito o di mercato o di residenza di qualche autorità. I termini “basilica”, “oratorium”, “capella”, significavano invece la presenza di una chiesa secondaria sita in un vicus o in un quartiere.
Entro il suddetto testamento venivano ricordate come eredi la chiesa di San Vincenzo con Santa Maria, la chiesa di Sant’Alessandro con San Pietro, la chiesa di San Viatore di Terno e le basiliche di Santa Grata in Borgo Canale, di San Michele al Pozzo Bianco, di San Lorenzo, di San Giuliano di Bonate e di Sant’Ambrogio di Zanica”. Lombardia Beni Culturali – diocesi di Bergamosec. IV – [1989]
In città l’unica pieve era costituita attorno alla cattedrale e al vescovo. Tanto Sant’Alessandro quanto San Vincenzo ebbero la chiesa battesimale: San Pietro e San Giovanni in Arena la prima, Santa Maria la seconda. Ma con tutta probabilità in tempi successivi: prima solo San Pietro, poi solo San Giovanni per Sant’Alessandro, infine solo Santa Maria per San Vincenzo. San Giovanni risaliva al vescovo Tachimpaldo, alla fine del VIII secolo, quando Sant’Alessandro si trovava entro le mura di Bergamo.
Scomparsa questa situazione nel secolo IX, tutte le funzioni si concentrarono in San Vincenzo, battesimo compreso, che veniva conferito in Santa Maria”. Le istituzioni storiche del territorio lombardo – “Le istituzioni ecclesiastiche XIII-XX secolo” (2) Entrambe le chiese erano dotate di un Capitolo di canonici, chierici addetti alla cattedrale e non necessariamente sacerdoti: potevano aver raggiunto i gradi inferiori del diaconato oppure non aver neppure ricevuto l’ordinazione a presbitero. (3) “Di diritto però le nomine erano riservate ai Capitoli stessi, i quali, come osserva il Pesenti “venivano così a configurarsi come due circoli distinti e chiusi”, ognuno dei quali perseguiva gli interessi di un insieme di casati fra loro alleati.
“Fra i compiti e i diritti canonicali erano quelli di dare l’assenso alla costruzione di nuove chiese, di ammettere i titolari ai benefici ecclesiastici, incarichi che comportavano notevoli prebende, di partecipare agli scrutini per decidere la riconciliazione dei pubblici peccatori alla Chiesa. La cerimonia di riammissione aveva luogo solennemente il giovedì Santo nella chiesa di San Vincenzo alla presenza del Vescovo e di entrambi i Capitoli” (Andreina Franchi Loiri Fumagalli per Bergamosera). (4) “Non è certo che San Narno fosse il primo vescovo di Bergamo. Sepolto nel sacello di San Pietro e traslato successivamente nella cripta della vicina Basilica, denuncia forse una priorità del culto apostolico su quello martiriale, analogamente ad altre situazioni della provincia ecclesiastica milanese” (Attila e gli unni : Una mostra itinerante).
Riferimenti
– Academia.edu – Fabio Scirea “Il complesso cattedrale di Bergamo”.
– Andreina Franchi Loiri Locatelli per Bergamosera .
– Tosca Rossi, A volo d’uccello Bergamo nelle vedute di Alvise Cima Analisi della rappresentazione della città tra XVI e XVIII secolo.
– AA.VV., Bergamo dalle origini all’altomedioevo, Modena 1986.
– AA.VV., I reperti altomedievali nel Civico Museo Archeologico di Bergamo, “Fonti per lo studio del territorio bergamasco” VI, Bergamo, 1988. G. Cantino Wataghin, Bergamo. La topografia cristiana, in Milano capitale dell’impero romano, catalogo della mostra (Milano 24 gennaio-22 aprile 1990), Milano 1990, pp.160-161.
– S. Del Bello, Indice toponomastico altomedievale del territorio di Bergamo, sec. VII-IX, Bergamo 1986.
– M. Fortunati, Bergamo. L’organizzazione urbanistica in Milano capitale dell’impero romano…., p.160.
– M. Fortunati-M.G. Vitali-A. Zonca, Terno d’Isola (Bergamo). Scavi presso la chiesa di S. Vittore, Bergamo, 1986.
– J. Jarnut, Bergamo 568-1098. Storia istituzionale sociale ed economica di una città lombarda nell’altomedioevo. Bergamo 1981.
– S. Lusuardi Siena, Tra tarda antichità e altomedioevo, in “Archeologia in Lombardia”, Milano 1980, pp. 179 ss.
– S. Lusuardi Siena, L’insediamento nelle età delle invasioni : problemi e spunti di ricerca, in Atti del I Convegno Archeologico Regionale, Milano (1980), Brescia 1981, pp. 271 s.
Sulla vicenda delle rivalità tra i due capitoli si vedano in particolare: A. Sala, Girardo vescovo di Bergamo e la consorteria dei “Da Bonate” negli avvenimenti cittadini del secolo XII, in «Bergomum», 79, 1985, pp. 139-214; A. Caprioli, A. Rimoldi, L. Vaccaro (a cura di), Diocesi di Bergamo , in Storia religiosa della Lombardia, Varese 1988, pp. 69-71; G. Valsecchi, “Interrogatus… respondit”. Storia di un processo del XII secolo , in «Bergomum», 84, 1989, spec. pp. 13-44; A. Zonca, “Est una matrix ecclesia”. A proposito di due recenti studi sulla Chiesa di Bergamo nel medioevo, in «Archivio storico bergamasco», 10, 1990, pp. 261-284.