A Marta Vitali, nipote di Alberto Vitali, amica e compagna del Liceo
Alberto Vitali e Bergamo. Una storia d’arte e di nascosta bellezza fu il titolo della rassegna allestita tra novembre 2014 e gennaio 2015 nella Sala delle Capriate di Palazzo della Ragione.
Dopo la mostra postuma cittadina risalente al 1975 e la retrospettiva alla Permanente di Milano nel 1985, a quasi quarant’anni dalla scomparsa di Alberto Vitali, Bergamo rese omaggio alla produzione dell’Artista bergamasco con la prima monografica: una corposa retrospettiva, fortemente voluta dalla GAMeC: una storia di bellezza nascosta tra i segni morbidi, che definiscono paesaggi bergamaschi, celata dietro maschere di Carnevale e dentro l’intimità domestica.
L’esposizione dedicata alla produzione pittorica di Alberto Vitali era composta da 80 dipinti collocati entro una panoramica artistica compresa tra gli anni Venti – periodo in cui Vitali iniziò a dipingere – agli anni Sessanta del Novecento.
Le opere, accostate ad altri dipinti di artisti italiani, provenivano da alcuni musei italiani quali la Pinacoteca e Accademia di belle arti di Brera, il museo milanese del Novecento, il museo Morandi di Bologna, la Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma e il museo civico e Pinacoteca di Alessandria, da istituzioni pubbliche, quali Provincia e Camera di Commercio di Bergamo, nonché da collezionisti privati.
La rassegna si arricchì di una selezione di 60 incisioni dell’artista (arte cui egli si è dedicato con continuità insieme alla pittura), esposta nelle eleganti sale dell’Ex Ateneo di Scienze, Lettere e Arti; mentre lo spazio Caleidoscopio in GAMeC, raccolae una selezione di acquerelli di Vitali.
Considerazioni sulla propria biografia
(a piè di pagina la biografia completa)
Se riesco cercherò ora di spiegarmi: nato il 21 aprile 1898 mio padre esercitava un piccolo negozio di vinaio; melanconici ricordi di infanzia; fatta la quinta elementare a dodici anni venni posto in uno stabilimento-costruzioni-mobili, intagliatore. Ho frequentato in quei tempi fino al 1916 scuole serali per artieri. A contatto di operai intellettuali. Letture di Valera, serata futurista comizi di Corridoni, conferenze Podrecca, oratori socialisti, – interessa all’arte e allo sport.
1915, ragazzo, a manifestazioni dell’intervento.
1916 presumendo prossima la mia chiamata mi sono ingaggiato come operaio zona di guerra, per vedere come era lassù.
1917, andato in fanteria prigioniero di guerra, non ho mai fatto niente di eroico.
La guerra, ella sa, è anche terribile, però, comandato, anche a costo di morirne di paura avrei obbedito.
Congedato nel 1920 continuando col mio mestiere, la domenica e altro tempo libero mi son posto in campagna a dipingere, come in da ragazzo avevo pensato, visto che codesta attività era mia propria, sono ancora lì e le difficoltà sono tutt’altro che scemate.
Nel 1925, morta mia madre, mi sono ammogliato, una cara figliola ignorante, ma non tanto, che non mette il becco nelle cose dell’arte; da quest’anno al 1927 la famiglia, morto il babbo, ridottosi bidello delle scuole comunali con altre disgrazie è andata distrutta. Ammogliato, traevo mezzo per vivere, oggi ho tre figli, esercitando per mio conto e da solo il mestiere, restaurando mobigilo antico. Da anni debbo subire periodi di lunga disoccupazione e, se non avessi da parte qualche centinaia di lire chissà cosa sarebbe di me; per la pittura quasi niente ne ho mai ricavato, né me ne curo.
(Lettera inviata a Mino Maccari nel 1931 dal pittore Alberto Vitali)
Autodidatta di umili origini, uomo di grande cultura, amante della solitudine e del riserbo, attento ai valori artistici ma anche umani, uomo onesto “e sempre costretto a fare i conti con una nera miseria e con la mancanza di vero “successo”, nonostante i numerosi e prestigiosi riconoscimenti critici” (l’artista “ha sempre seguito con la più strenua intransigenza il suo ideale d’arte, nel rifiuto più totale per ogni compromesso, “dilettantismo” e interesse personale”), la figura di Alberto Vitali, uno dei nomi più significativi del Novecento, è stata a torto sottovalutata anche a causa del suo esilio volontario, perchè Bergamo fu la città dove scelse di restare.
[…] passo buona parte dei miei giorni in campagna, una frazione del comune di Bergamo ad un’ora di cammino dalla città e, quando vi sono, se non fossero di mezzo i guai della pittura, tra quella gente che parrà al primo capitato grossolana e volgare, a me che da tanti anni la frequento appare, a tratti, di remota verginità e, talvolta, mi sono concessi attimi di felicità. Purtroppo il senso autocritico addirittura inumano non mi ha concesso, dopo tanti anni di studio, che fugaci o meglio nulle soddisfazioni personali. Mi considero come pittore, quasi mancato anche se generalmente vengo rimbrottato di eccesso di umiltà, infallantemente mi propongo compiti superiori se non erro alle mie forze. Un mio orgoglio, giacché non ne sono del tutto esente, è l’amore all’arte nel quale non mi ritengo secondo a nessuno. […] Non mi sono mai dilettato di pittura, né‚ preso le cose alla leggera e, campassi cento anni, mediocre ma insoddisfatto. Isolato come sono tendo alla pensosità e alla solitudine”.
(Lettera inviata a Mino Maccari nel 1931 dal pittore Alberto Vitali).
Profondamente radicato nell’ambiente culturale bergamasco (in stretto contatto con Gianandrea Gavazzeni, Bartolomeo Calzaferri, Luigi Agliardi o il fotografo Mario Finazzi..) e nelle atmosfere della sua Bergamo – emblematiche del suo intimo rapporto con la città -, in un ambiente certamente sfavorevole Vitali intraprende una considerevole ricerca artistica, consapevole del proprio valore quanto del proprio isolamento culturale, ottenendo più volte riconoscimenti artistici a livello nazionale (non è affatto sufficiente citare per tutti il Premio Bergamo, la prestigiosa manifestazione, definita da G.C. Argan un premio “della buona pittura”) ed internazionale, come attestano le diverse partecipazioni alle Biennali internazionali d’arte a Venezia.
Mantenendo un colloquio proficuo con i maggiori protagonisti del Novecento (Carrà, l’amico Morandi..) Alberto Vitali s’inserisce quindi a pieno titolo nel novero dei maestri della pittura italiana del Novecento, non solo nei rimandi a Cezanne, Carrà, Rosai ed altri (attraverso cui Vitali esprime l’amore per la realtà e la plasticità delle forme) esprimendosi tuttavia mediante una “sensibilità personalissima, cui si aggiunge una dimensione materica del quadro e dei bellissimi colori che rimandano alla formazione artigiana dello stesso Vitali, già intagliatore di mobili dopo le scuole elementari e poi corniciaio e restauratore di quadri”.
Nell’opera d’arte, sia essa espressa sulla tela o su foglio d’incisione, egli dà forma di immagine con una naturalezza quasi commovente.
Mirando Haz, che conobbe a fondo l’artista, nel catalogo in mostra descrive così il suo studio, aiutando a comprendere la ricchezza del mondo interiore del Maestro: “Lo studio di Alberto Vitali era un ambiente carico di poesia, di mistero, di solitudine. Gli arredi modesti e ricoperti di un sottile strato di polvere, i quadri rivolti verso il muro, venivano scostati soltanto per essere mostrati a visitatori privilegiati: il banco da falegname, sua matrice artigiana, troneggiava nella stanza, con un carico di bottiglie, bottigliette e vasetti, colmi di vernici dalla ricetta personale, elaborata e segreta. Antiche cornici si ammucchiavano, negli angoli bui e, al centro, un armadio massiccio chiudeva i tesori più intimi dell’artista”.
NEL PALAZZO DELLA RAGIONE
Alberto Vitali e Bergamo. Una storia d’arte e di nascosta bellezza
Al Palazzo della Ragione, le 80 opere esposte furono come detto relative al periodo compreso tra gli anni Venti e gli anni Sessanta del Novecento, periodo in cui il Maestro decise di rallentare i ritmi di una produzione capace di armonizzare nel segno di un naturalismo poetico esteriorità ed interiorità: quasi una risposta concreta ad un mondo artistico che faticava sempre più ad accettare, tanto era schiacciato da logiche commerciali, poco avvezze a premiare il talento.
Il percorso espositivo, articolato per temi, fu suddiviso in sei sezioni dedicate ai generi prediletti dal pittore: i Paesaggi, le Vedute di Bergamo, le Nature morte, le Mascherate, gli Interni con figure, i Ritratti e gli Autoritratti, dal cui dialogo pittorico è emersa la profonda cultura visiva e letteraria di Vitali, arricchita dalle relazioni personali di alto profilo intrecciate con alcuni dei protagonisti dell’arte italiana del Novecento, per ricordare i quali il percorso espositivo ha accolto dipinti di Carlo Carrà, Mario Sironi, Arturo Tosi, Ottone Rosai, Giorgio Morandi (di cui sono esposte due nature morte); una preziosa opera di James Ensor segnalava le affinità elettive di Vitali.
Le Nature morte di Vitali sono state messe in relazione con quelle di Morandi.
I Paesaggi e le Vedute di Bergamo sono stati accostati a quelli di Carlo Carrà, Mario Sironi, Arturo Tosi e Ottone Rosai, con cui il pittore è stato accomunato anche nella sezione dedicata agli Interni.
Per le Mascherate si sono invece rintracciate affinità elettive con il pittore James Ensor.
NELLE SALE DELL’ATENEO
L’OPERA INCISA
L’ Ex Ateneo di Scienze, Lettere e Arti ha invece ospitato una selezione di 60 incisioni dell’artista, arte cui egli si è dedicato con continuità insieme alla pittura (2).
Considerazioni sulle tecniche incisorie
Caro signor Maccari, la ringrazio del tono confidenziale, di cui mi tengo onorato, della premura che si è preso nel rispondere alla mia richiesta in relazione al rinnovo dell’abbonamento al Selvaggio e della lettera che mi ha diretto allorché ricevette le mie incisioni. Se invece del paio di incisioni che avevo offerto, in cambio dell’abbonamento ne ho inviate di più, ciò è perchè sarei stato indeciso nella scelta non per fare del preziosismo. I legni sono eseguiti col procedimento che ella dice, siccome volevo provare un’incisione diversa dalla xilografa e non avendo mezzi per procurarmi lastre metalliche, cosi ho preso delle tavolette di legno duro, giacché questo e ll mio elemento, lucidate con un ferro ad angolo e poi, per la stampa, ho provveduto con gli scarsi mezzi del mio mestiere. ln quel tempo, visitando la mostra di Soffici da Bardi, da questi vennero mostrate a Soffici mie stampe, che ebbe a lodare fin troppo, rammaricandomi, invece, io stesso, dei trucco di aver proceduto ad un effetto spurio di puntasecca e lui, Soffici, ad obiettarmi che non sono i mezzi che contano. In seguito, abbandonato il legno, mi sono provveduto in un negozio di ferrareccia di lastre di zinco che, a modo, riduco, di volta in volta, di superficie, incido poi a puntasecca e ad acquaforte e stampo, a fatica, con un torchietto primordiale che mi sono costruito. Alcuni esemplari di queste le ho inviato, e, a me, parevano migliori dei legni. Non vorrei che ella, visto arrivare un mucchio di roba mia; per questo mi chieda se avessi piacere che talune delle mie cose vengano riprodotte nel suo giornale. Ella può far ciò, ma se torna ad onore del Selvaggio non per fare piacere a me.
(Lettera inviata a Mino Maccari nel 1931 dal pittore Alberto Vitali).
L’esposizione comprendeva soggetti e tematiche cari all’artista, spesso presenti anche nei suoi dipinti: le Vedute urbane, i Paesaggi, la realtà degli umili, la Natura morta, gli Adolescenti, gli Autoritratti, le Mascherate – secondo un immaginario che ha tratto spunto dalla vita quotidiana, interpretata da Vitali con una personale sensibilità.
Un excursus ventennale (dal 1929, anno della prima incisione, al 1951) che include opere che mostrano il caleidoscopio dei sentimenti umani – donne impegnate nelle mansioni domestiche o colte nella tenerezza del ruolo materno -, i luoghi storici della città di Bergamo (le case, le torri, le cupole delle chiese; il paesaggio urbano che Vitali ha abitato divenendo la sua principale fonte d’ispirazione) e Piazza Vecchia, luogo d’incontro e palcoscenico di animati cortei mascherati.
“Rispetto alla pittura, l’acquaforte appare maggiormente intima, più pronta al racconto e alla divagazione. Cose che in pittura sembrerebbero inspiegabili sono invece a loro agio nel campo della grafica. Inoltre l’incisione sa di appartenere a una tradizione specifica, che è quella della carta e deIl’inchiostro e dunque dell’illustrazione, nella quale letteratura e immagine si fondono.
Guardando l’opera di Vitali, può essere interessante il confronto tra due composizioni sorelle, una in pittura e l’altra in acquaforte. Nel grande dipinto intitolato Sabato in trattoria, architrave e colonna ritmano la composizione e assegnano i luoghi del colore, meravigliosamente equilibrato.
Nell’incisione, tutto diventa meno astratto, i personaggi si fanno più veri e più vera e logica è ora l’architettura, dalla colonna alle volticine, persino nella sedia in primo piano, che ora e descritta nella sua struttura elementare.
l personaggi, che nel dipinto hanno un loro quattrocentesco stupore che li rende immobili, nella versione cartacea sono caratteri di un teatro in azione. Tutto ciò è ottenuto con un tratteggio ora più denso, ora più rado, graffito sulla lastra, evidentemente, con andamento sinistrorso, che però nella stampa prende la direzione opposta, poiché una stampa, a differenza di un disegno, non è ciò che traccia la mano con azione immediata, ma l’impronta di quanto con sapienza la mano ha già segnato.
Si veda come il tratteggio, in questa stampa di Vitali, accarezza la colonna e le dà peso e volume (Carlo Bertelli da “Vitali grafico”, manifesto esposto nella sala dell’Ateneo).
Gran parte del primo periodo di Vitali, dal 1929 al 1934, è occupato dai vicoli di Città Alta, le scene di lavoro, qualche ritratto e nature morte.
“Quando riprende le incisioni, nel 1941, i temi si spostano lievemente: ritratti dei familiari o autoritratti, paesaggi di campagna, le bellissime meditazioni sui fiori.
Anche il “segno” appare diverso, più rotto, impetuoso e accentuato dalla morsura che evidenzia i neri. Le lastre sono state tutte distrutte: Vitali le riutilizzava “raschiandole”, non potendo permettersi di acquistarle ogni volta, e le poche restanti furono da lui stesso gettate nel punto più profondo del lago d’Iseo.
Se aggiungiamo poi che le tirature sono limitate a sei, sette esemplari, a volte meno (solo nove incisioni sono tirate a poco più di dieci copie e una sola a quindici) ci rendiamo conto di quanto l’aspetto economico dell’arte fosse alieno a Vitali, che pure raggiunse livelli altissimi, tanto da poter contare su estimatori del calibro di Bartolini e Morandi, per citarne un paio”.
Vitali preannuncia le sue “Mascherate” (riproposte anche nell’opera pittorica) con la fantastica incisione di Arlecchino nella Piazza Vecchia del tutto deserta del 1931, tema che riprenderà dal 1937 al 1956.
“La Piazza Vecchia si trasforma in teatro per la mai dimenticata commedia dell’arte, cui proprio Bergamo fornì maschere intramontabili. Vitali ritorna più volte su questo tema che tanto ama, cui forse confida gli sfoghi della sua vena polemica, ma in cui vede soprattutto la possibilità di saggiare le variazioni sullo stesso motivo tematico. Dalla lastra alla stampa, variando le carte e gli inchiostri, per poi tornare a dipingere e saggiare cosa vuol dire il colore rispetto al chiaroscuro, cosa cambia con la posizione della piazza sullo sfondo, altrimenti con le maschere in primo piano, infine con le maschere nel bel mezzo del palcoscenico. La stampa concede vari stadi, la pittura richiede che ogni volta si rifaccia tutto da capo.
Chi avranno voluto deridere, quelle maschere ora allegre, ora litigiose, che agitano bandiere in una notte di luna o si sfidano a duello?
Ciò che è certo, come attestano le testimonianze di Mirando Haz, e che Vitali non tratteneva la lingua e anche le sue maschere appaiono assai loquaci. Un’altra cosa è certa. Ed e che, scorrendo le date, Vitali non segue supinamente le mode, ma si guarda intorno e verifica, con ammirevole indipendenza. È l’indipendenza che dà freschezza alle sue opere”.
Carlo Bertelli
BIOGRAFIA di Alberto Vitali (Bergamo 1898 – 1974)
Figlio di Pasquale Vitali ed Elisa Mazzoleni, nasce a Bergamo il 21 aprile 1898 da una famiglia di umili origini. Dopo l’istruzione primaria, inizia a lavorare (dal 1910) come apprendista intagliatore, corniciaio, doratore, restauratore in un mobilificio e contemporaneamente frequenta a Bergamo i corsi serali della Scuola d’arte e di disegno applicato presso il Seminarino. La sua formazione artistica avviene da autodidatta.
Nel 1916 si arruola come volontario, partecipando alla prima guerra mondiale; viene fatto prigioniero in Germania e congedato quattro anni dopo. Rientrato a Bergamo riprende negli anni Venti il suo lavoro di artigiano del legno ed inizia a dipingere e ad arricchire la sua cultura con intense letture di classici: da Thomas Mann a Kafka, da Proust a Puskin.
La morte della madre (1925) e del padre (1926) lo costringono a intensificare l’attività come restauratore, doratore e intagliatore. Sono anni di miseria poco redditizi ma continua a dipingere con passione pur non ricavando benefici economici.
Il 1927 e 1928 sono gli anni dell’esordio pubblico. Espone per la prima volta l suoi dipinti a Milano nel 1927 all’Esposizione Primaverile della Società Belle Arti.
Il suo legame con il capoluogo lombardo si fa stretto grazie all’amicizia con il gallerista Pier Maria Bardi che gli organizza, nel 1928, la prima mostra personale.
Accostatosi alla corrente pittorica del “NOVECENTO”, s’impone per l’originalità e il fascino delle sue mascherate ambientate nella Piazza Vecchia di Bergamo.
Ancora nel 1928 Vitali partecipa con due opere alla XVI Biennale Internazionale d’Arte di Venezia (manifestazione alla quale esporrà nelle edizioni del 1930, 1934, 1936, 1940, 1948, 1950) e alla I Mostra del Sindacato Regionale Fascista di Belle Arti, in occasione della quale il dipinto Siccità verrà premiato e acquistato dalla Galleria d’Arte Moderna di Milano.
Nel 1929 all’attività di pittore comincia ad affiancare quella di INCISORE. Attratto
soprattutto dalle tecniche della punta secca e dell’acquaforte, si dedica all’incisione negli anni compresi fra il 1929 e il 1934 e successivamente fra il 1941 e il 1951.
Con due legni incisi e un dipinto partecipa nei 1929 alla seconda mostra promossa dal Novecento italiano, promossa da Margherita Sarfatti.
Alla Biennale di Brera dello stesso anno viene premiato con medaglia d’oro dal Ministero per l’Educazione Nazionale.
Nel corso degli anni Trenta frequenta Ardengo Soffici e Mino Maccari, fondatore con Leo Longanesi del periodico satirico ‘Il Selvaggio’.
Nel 1931 partecipa allaI Quadriennale di Roma, manifestazione alla quale esporrà in tutte le edizioni sino all’inizio degli anni Cinquanta (1951).
Nel 1932 il dipinto Il mendicante, alla III Mostra d’arte del sindacato, è insignito del Premio Cassani. Nella medesima occasione riceve il Premio Stanga per l’acquaforte.
Alla VII Mostra del Sindacato Interprovinciale Fascista presso la Permanente di Milano (1936) viene premiato con la medaglia d’oro dal Ministero per l’Educazione Nazionale per il dipinto Il podere.
Dal 1935 al 1937 lavora come restauratore presso lo studio di Mauro Pellicioli (a tal proposito si ricorda che restaurò gli affreschi della chiesa di Santa Maria delle Grazie a Gravedona e che in una lettera scritta da Morandi a un collezionista, egli ammette che solo Vitali sarebbe stato capace di intervenire su una sua opera, essendo anche restauratore»).
Nel 1939 è fra i partecipanti al l PREMIO BERGAMO, in occasione del quale ottiene un riconoscimento per il dipinto Paesaggio bergamasco.
La partecipazione alla manifestazione Bergamasca, il più interessante concorso nazionale di pittura del periodo, sostenuto da Giuseppe Bottai (Ministro per l’Educazione Nazionale) si riscontra anche nelle tre edizioni successive.
Sempre nel 1939 vince a Milano il Premio Principe Umberto e nello stesso anno viene insignito del primo e secondo premio al Concorso per l’interpretazione di Bergamo antica.
Nel 1940 organizza con Attilio Nani la sua prima mostra personale a Bergamo e l’anno dopo una personale a Milano alla galleria Mascioni.
Lascia definitivamente il lavoro di artigiano restauratore per dedicarsi solo alla pittura e incisione e nel 1943 è di nuovo a Milano con una personale alla Galleria del Milione.
Negli anni Quaranta Vitali si produce in un’intensa attività artistica con la partecipazione a mostre collettive, a premi – nel 1950 ottiene il Premio Roma. La Galleria Gian Ferrari di Milano gli dedica nel 1946 una personale.
Nel 1946 vince il premio Tre Stelle grazie al quale soggiorna a Burano presso lo studio di Romano Barbaro.
Nel 1948 tenne una memorabile personale alla Galleria della Rotonda di Bergamo.
Nel 1950 partecipa alla Biennale di Venezia e il dipinto Paesaggio viene acquistato dal Comune di Milano per la Galleria d’Arte Moderna.
Nel 1951, e l’anno successivo, è chiamato a far parte della Commissione d’esami dell’Accademia Carrara.
L’ultimo periodo della sua carriera è segnato da un lento e progressivo abbandono della pittura e da un allontanamento dal mondo delle grandi mostre.
Nel 1951 si conclude la sua attività di incisore. Nel 1960 abbandona anche la tecnica della pittura a olio per prediligere l’acquarello.
Negli anni successivi il soggetto paesaggistico diventa prevalente nella sua produzione.
Le opere di questa fase sono realizzate soprattutto durante i soggiorni sul lago d’Iseo e in Engadina dove l’artista trascorre lunghi periodi fra la fine degli anni Settanta e il 1971.
Nel 1973, con la sua partecipazione, l’amico e allievo Amedeo Pieragostini (Mirando Haz) cura la pubblicazione del catalogo della sua opera incisa nonché la pubblicazione del bel volume relativo, Le incisioni di Alberto Vitali, Bolis, 1973, colle riproduzioni delle 124 incisioni realizzate tra il 1929 e il 1951.
Spentosi il 10 aprile 1974, nel 1975 il Comune di Bergamo dedica alla figura del suo cittadino una mostra postuma nel Palazzo della Ragione nel cui catalogo appare, insieme all’introduzione di Raffaele De Grada (Alberto Vitali, Bolis, 1975), uno scritto rivelatore di Amedeo Pieragostini (Mirando Haz) che permette di riscoprire l’Alberto Vitali pittore, riportando alla luce quadri come Siccità, Paesaggio bergamasco, Il mendicante, Interno con figure.
In occasione della retrospettiva del 2014/’15, è stato invece pubblicato il nuovo catalogo dedicato all’artista (3).
Note
(1) Mirando Haz, nel racconto della genesi delle opere di Vitali, parla dell’ospitalità di un amico di Vitali che gli fece conoscere il paesaggio svizzero tramite una serie di soggiorni a Soglio, Sils, Poschiavo, Samaden e altre località. Distillati di colore puro, cielo, montagne, laghi, gli acquerelli svizzeri testimoniano il ritorno dell’amore mai sopito per l’arte e per la natura, che si risvegliava prepotentemente al di fuori di una “logica” in cui l’artista non si riconosceva più. In uno degli ultimi acquerelli, del 1971, ricompare infine Arlecchino, che gioca con dei bimbi indicando uno stormo di uccelli nel cielo. Di lì a poco sopraggiungerà la malattia e, nel 1974, la morte.
(2) A quarant’anni dalla pubblicazione de Le incisioni di Alberto Vitali, a cura di Amedeo Pieragostini (Edizioni Bolis, Bergamo 1973), la Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo presenta il catalogo Alberto Vitali – L’opera incisa (edito GAMeC Books), che documenta la serie completa degli originalidel maestro e include testi di Carlo Bertelli, Amedeo Pieragostini, M. Cristina Rodeschini.
(3) La bibliografia su Vitali potrebbe tranquillamente fermarsi qui, almeno fino ad oggi. Ci sono però altri due libri di Fernando Rea, relativi ad esposizioni in gallerie private: il primo (Galleria S. Marco, 1984) è il catalogo dell’esposizione bergamasca che si tenne in parallelo a quella organizzata a Milano al Palazzo della Permanente nel 1984, decennale della morte di Vitali. Premesso che chiunque capirebbe l’inopportunità di organizzare due mostre sullo stesso artista in contemporanea e a 50 km di distanza (il fatto che la mostra sia in una galleria privata genera sospetti di natura “commerciale”) e che in alcuni passaggi del libro si leggono in controluce piccole rivalità prive di senso, oggi e forse anche allora, questo libro può avere un suo interesse per chi voglia “arricchire” il catalogo iconografico dei quadri di Vitali (ci sono riproduzioni a colori diverse da quelle presenti in De Grada) e perché aggiunge comunque alcune informazioni biografiche e bibliografiche; le stesse motivazioni si possono esporre per l’ultimo libro (Galleria d’arte Bergamo, 1989).