In quanto crocevia militare e commerciale verso l’Europa, la Strada della Regina percorreva un territorio immerso in un’area militarmente turbolenta, occupato da diversi presidi militari.
Non a caso ad Almenno la postazione romana fortificata sulla colline di Duno (il Dunum di Canezzo ormai incluso nel sistema difensivo romano) e di Castra (5), in una posizione dominante gli accessi alle valli Imagna e Brembana, svolse la funzione di proteggere la Strada della Regina – lungo la quale erano sorti accampamenti – dalle incursioni provenienti dalle valli; incursioni dovute alla resistenza indigena che continuò anche dopo la latinizzazione dell’ager bergomense.
Uno dei distretti con cui i romani divisero la bergamasca fu appunto il pagus Lemennis.
Avente il centro amministrativo in Almenno S. Salvatore, presumibilmente nei pressi della Madonna del Castello, il pagus comprendeva diversi vici, fra cui quello di Almè (Lemene).
Questa colonizzazione si concretizzava con la formazione di nuovi insediamenti, nuclei o edifici sparsi di carattere rurale, o con l’integrazione di quelli esistenti, in particolare in quelli situati nei punti strategici e militari.
Tali insediamenti dovevano essere costituiti da edifici realizzati con materiali poveri o ricavati dalle risorse locali (legno, pietre di fiume).
Certamente quindi, la presenza di una infrastruttura di rilievo quale è il Ponte della Regina favorì la formazione di insediamenti romani nella zona.
Proprio il nucleo di Almè potrebbe essere sorto e sviluppatosi come caposaldo attestato in prossimità del ponte romano: la testimonianza documentaria di due torri medievali nel luogo detto corobiolo (dal latino quadrivium), ad est della Torre d’oro, potrebbero giustificare la presenza più antica del presidio.
Un documento del 867 d.C. cita un fundo et vico Larno oggetto della permuta tra Garibaldo, vescovo di Bergamo, e un certo Pietro di Presionico. La definizione contemporanea di vico e fundo è ritenuta associabile ad un insediamento attorniato da terre coltivabili (l’uso del termine vico e fundo in epoca altomedievale può autorevolmente giustificare un’antica presenza romana).
L’analisi della toponomastica locale ricavata da documenti medievali ci permette di ipotizzare una frequentazione del territorio di Almè suddivisa in diverse aree. Si individua quindi un’area detta dell’Arme – che ricorda l’antica dizione – entro la quale, racchiuso tra i torrenti Rino e Quisa, vicino alla via di Sombreno, poteva sorgere un insediamento ora scomparso: una trama catastale di particolare interesse proprio in questo sito potrebbe far pensare ad una derivazione dell’antico frazionamento.
Lo stesso dicasi per il toponimo Caprinium (Cavergnano), nome antichissimo di una località che si ricollega alla romana gens Caprinia.
S’individua poi la località 10 Pertiche situato tra Almè e Larno lungo l’asse diretto a Sud, a Agro collocato tra Villa d’Almè e Almè.
Proseguendo verso sud lungo la medesima direttrice si incontrano altri nuclei, vici, quali Palatina, Scanum e Motium, dei quali sono stati scoperti pochi reperti pressochè tutti riferibili al I-II sec. d.C., e quindi in coincidenza di un effettivo progresso della società bergamasca.
Di grande suggestione è anche l’osservazione del culto dei Santi locali: vi si ritrovano dediche tutte ipoteticamente riconducibili al periodo tardo romano: tra queste S. Faustino e Giovita (Villa d’Almè), a S. Maria e S. Giovanni Battista (Almè, Mozzo), a S. Maria, S. Alessandro e SS. Fermo e Rustico (Sombreno e Paladina), a S. Vito (Ossanesga), a SS. Cosma e Damiano (Scano).
Inoltre, grazie al ritrovamento di alcune lapidi nei vici lungo la Valbreno, a Mozzo e a Ponte S. Pietro si conoscono il nome di alcune famiglie in parte di origine celtica (che testimomierebbero di una base sociale indigena) e in parte in relazione con l’area di Piacenza, d’altra parte legata a Bergamo come facente parte della tribù Voturia. Tra i personaggi di rilievo Marco Maesio Massimo, e la famiglia Calidii.
Per quanto riguarda le direttrici viarie, sono stati individuati due tracciati che dal Ponte della Regina raggiungevano Bergamo, passando per Almè.
Un tratto, inizialmente rettilineo, percorreva un tracciato che, passando per Almè, si dirigeva verso Brughiera, Petosino, Ramera, Ponte Secco, Valverde, fino alla porta di S. Lorenzo.
Si ipotizza poi che vi fosse un altro tratto – quello ritenuto più sicuro – che, passando per Almè, percorreva la spina dorsale che da Sombreno, salendo da Fontana, raggiungeva le pendici del colle di Bergamo accedendo alla città attraverso porta S. Alessandro, la porta occidentale (9).
Altre direttrici oltre a quelle sopracitate ebbero nuovo impulso a partire dalla fondazione della colonia di Piacenza (218 a.C.).
Da un punto di vista archeologico-topografico, l’originaria scelta insediativa del nucleo di Almè, potrebbe riallacciarsi ad un ipotetica direttrice proveniente da Sud: ovvero al percorso storico della transumanza (l’antica via Bergamo-Crema), l’antico tracciato di origine preromana che dalla pianura conduceva ai pascoli brembani disegnando l’asse Mozzo-Scano-Ossanesga-Sombreno-Paladina-Almè, lo stesso che proseguendo verso sud sarebbe poi divenuto in epoca romana, un asse di riferimento per la centuriazione, forse riferibile al cardo n. XX indicato dal Tozzi, ovvero il cardo massimo della prima centuriazione del territorio bergamasco (10). E ciò in relazione a quanto supposto in recenti studi.
Se così fosse, anche la via per Sombreno, prolungamento naturale del cardo, risalterebbe nella regolarizzazione centuriata delle terre adiacenti.
Alcuni ritrovamenti d’epoca romana e l’aiuto della toponomastica locale, ovvero l’indicazione circa la presenza di famiglie riconducibili all’area di Piacenza, sembrerebbero avvalorare questa ipotesi, testimoniando quindi l’esistenza di insediamenti romani presumibilmente impostati sulla centuriazione.
E’ lecito dunque chiedersi se esisteva una centuriazione nella piana di Almè. Le tracce rilevabili all’oggi sono piuttosto esili ma, osservando i catasti ottocenteschi si intravede una suddivisione dei terreni perpendicolare alla direttrice sopracitata, seguita dai luoghi ritenuti presenti in epoca romana:
Motium, Scanum, Ossanisga e Palatina.
Si potrebbe quindi scorgere una divisione particellare che suscita particolare attenzione individuando due diversi orientamenti.
Il primo, continuativo a quello presente nella piana sottostante, sarebbe individuabile sia in una griglia particellare nell’area presumibilmente occupata dall’antico vico Larno, sia lungo l’asse che da Sud conduce alla strada della Regina nel sito anticamente detto 10 Pertiche.
Il secondo, comprendente l’abitato di Lemene ed i terreni e SE, sarebbe invece impostato secondo la direttrice della Strada della Regina.
Verso Nord, la presenza dei toponimi corobiolo e agro nonchè del centro di Villa Lemene ci potrebbero indicare un prolungamento della centuriazione fino alla base collinare.
NOTE
(1) La comunità di Almè ed il suo territorio, fino a quasi tutto il XVI secolo, sono sempre stati indicati nei documenti con il nome LEMINE o LEMENE, esattamente come la vicina comunità di Almenno, stabilita sull’opposta riva del fiume. Per questo, l’analisi di ogni documento relativo alle due comunità presuppone un laborioso accertamento che possa stabilire con sicurezza a quale di esse si riferisca il documento in questione.
(2) Secondo il Rota (Origine di Bergamo, lib. III) “dun” è un’espressione che nel linguaggio gallico significa “colle o monte”; nella Gallia oltremontana si hanno infatti numerosi esempi di città situate in luoghi elevati i cui nomi finivano in “dun”, che poi i latini modificarono in “dunum”.
(3) La cultura di Golasecca, civiltà sviluppatasi nella regione dei laghi lombardi, tra il Po e l’arco alpino, si trovava in posizione di rilievo nei rapporti economici tra la civiltà etrusca e, oltralpe, quella celtica. Tale situazione, oltre al naturale sviluppo di una rete viaria locale, favorì il formarsi di direttrici di traffico comprese in lunghe rotte commerciali, sulle quali si attestarono anche centri urbani quali Como (nel V secolo punto di mercato in cui si incontravano gli itinerari commerciali fra i popoli transalpini e quelli dell’Etruria centro Italica), Bergamo e Brescia. Tra queste, vi erano quelle definite come la Transalpina e la Pedemontana. La Transalpina, in direzione NO-SE, congiungeva la valle del Reno con Felsina e l’area del Mincio seguendo il tracciato passo di S. Bernardino – Bellinzona – Canton Ticino – Como – Brembate – Fiume Mincio e Mantova. La Pedemontana, in direzione E-O, metteva in comunicazione Como, centro nodale per l’accesso a Nord, con Brescia via Bergamo (De Marinis annota che da Bergamo il tracciato forse si divideva in due direttrici: “a nord attraverso la valle S. Martino si perveniva a Chiuso e quindi a Lecco….a sud seguendo il corso del Brembo si poteva passare l’Adda all’altezza di Brembate e di Trezzo” e quindi proseguire per Como – cfr. R.C. De Marinis, 1995, p.4 -).
Altre vie ipotizzate erano quelle che seguivani i corsi dei principali fiumi quali l’Adda, il Serio, l’Oglio, nonchè le valli Seriana e Cavallina e, infine, un tracciato tradizionalmente usato per la transumanza attraversante Crema – Mozzanica – Bariano – Morengo – Cologno – Urgnano – Zanica. Da qui si ipotizza una biforcazione conducente ai pascoli subalpini, verso Est, in valle Seriana e, verso Ovest, in valle Brembana.
(4) Fra il III e il II sec. a.C. si assiste a una decisa penetrazione romana verso Nord. La necessità di un controllo di un territorio più ampio e l’introduzione di una politica intesa al dominio disciplinato delle popolazioni autoctone viene attuata dalla repubblica romana mediante l’imposizione di nuovi tracciati, la razionalizzazione di quelli esistenti, e l’applicazione del sistema di centuriazione. In area lombarda si favorirono i collegamenti di pianura. Questi privilegiavano i percorsi da Milano verso Novara, Pavia, Piacenza, Cremona, Brescia, Bergamo e Como.
(5) Alle pendici della collina di Castra, sono venuti alla luce i resti di di un acquedotto di epoca romana, il cui impianto idrico consisteva in un condotto in calcestruzzo con sezione ad “U”, privo di copertura, della lunghezza di circa 2 km, che prelevava l’acqua da una cascata portandola fino alla forcella di Castra.
(6) Man mano i Romani avanzavano verso il nord Italia, la reazione tenace dei Celti fu domata dopo 5 anni di aspra guerra; le ultime due resistenze, specie nelle valli, furono fiaccate dal console Valerio nel 196 a. C.. Cosicché Roma portò oltre il Po la sua potenza ed il nostro territorio fu certamente latinizzato (in sequenza le vittorie furono: 222 a.C. sull’Oglio, 199 a.C. sul Mincio, 198 a.C. a Como, 196 a.C. a Milano (Cfr. P.Manzoni, Lemine dalle origini al XVI secolo, Bergamo 1988, p. 19).
(7) Nel Bergamasco i confini non dovevano inizialmente oltrepassare le cime dell’Albenza, del Resegone e del Canto Alto.
Nel I sec. a. C. le vittorie sui Galli (in sequenza le vittorie furono: 222 a.C. sull’Oglio, 199 a.C. sul Mincio, 198 a.C. a Como, 196 a.C. a Milano (Cfr. P.Manzoni, Lemine dalle origini al XVI secolo, Bergamo 1988, p. 19) estesero la presenza romana nelle nostre zone portando una sorta di stabilità: nell’89 a.C. fu esteso il diritto romano alle città indigene transpadane, nel 49 a.C. Bergomum divenne municipium (Il “municipio” romano era diviso in distretti, a loro volta suddivisi in più piccoli insediamenti, dislocati in particolare lungo le vie romane nei punti strategici e militari.
Fu solo nel 43 a.C. quando le valli orobiche vennero assoggettate al dominio romano liberando tutta la fascia collinare dai rischi delle intemperanze degli avversari più irriducibili, che cominciò una lenta penetrazione dei coloni, insieme alla romanizzazione della popolazione locale e allo sfruttamento delle terre conquistate. Questa colonizzazione si concretizzava con la formazione di nuovi insediamenti, nuclei o edifici sparsi di carattere rurale, o con l’integrazione di quelli esistenti, in particolare in quelli situati nei punti strategici e militari.
(8) Silvano, dio romano forse assimilabile ad una divinità agreste celtica Cfr. M. Vavassori (a cura di), Le antiche lapidi di Bergamo e del suo territorio. Materiali, iscrizioni, iconografia, in “Notizie archeologiche bergomensi”, n. 1, 1993, pp. 145-146.
(9) E’ importante, a tale proposito, precisare che le direzioni delle vie principali che si dipartono (e convergono) dalle antiche porte della città, furono fissate già dai tempi antichi, almeno dal periodo romano, quando le probabili porte della cinta romana, erano, così come oggi, orientate secondo quattro punti principali (in qualche modo riconducibili ai quattro punti cardinali) che si aprivano verso Milano, Brescia, Como e la Valle Seriana, corrispondenze che furono poi confermate dalle aperture principali di quella medievale e poi fissate in quelle della fortezza veneta: Porta S. Alessandro – verso Ovest -, Porta S. Giacomo – verso Sud -, Porta S. Agostino – verso Est -, Porta S. Lorenzo – verso nord.
(10) “Conseguentemente all’ammissione dello ius Latii (89 a.C.), iniziò la centuriazione del territorio bergamasco. Studi precedenti hanno individuato due fasi distinte: la prima, interamente compresa nell’area pianeggiante del territorio, riferibile all’epoca dell’ammissione, la seconda, in parte sovrapposta alla precedente, realizzata in epoca augustea in una situazione meglio definita militarmente. Seguendo le indicazioni del Tozzi la prima centuriazione venne orientata secondo l’asse Spirano-Stezzano. In seguito la Cantarelli ha ipotizzato come Cardo massimo, il tracciato di riferimento per la prima centuriazione, l’antica via Bergamo-Crema – anticamente usata per la transumanza – passante per Verdello e identificata dal Tozzi come cardo XX: Se così fosse, anche la via per Sombreno, prolungamento naturale del cardo, risalterebbe nella regolarizzazione centuriata delle terre adiacenti” (Gritti, op cit.)
Riferimento principale
A cura di Andrea, Luigia e Pietro Gritti, “Almè, l’antico nucleo e il territorio”, 1997.
Un ringraziamento alla gentilissima signora che ha aperto a Maurizio i cancelli del suo cortile, postazione ideale per gli scatti fotografici presenti nel post.