Gli antichi cimiteri fuori le Muraine e lo scomparso cimitero ottagonale di Valtesse, dove plebe e nobiltà si davano la mano

E’ all’Editto di Saint-Cloud, emanato in Francia nel 1804, che si deve la nascita dei moderni cimiteri, imposti da Napoleone per motivi d’igiene e di salute pubblica.

Secondo le nuove disposizioni, che recidevano di colpo la tradizione secolare di seppellire i defunti all’interno delle chiese, nelle loro adiacenze e nei sagrati (“Coemeterium Plebis”), il seppellimento doveva ora avvenire in appositi recinti da collocarsi fuori dalle mura cittadine: nascevano così i cimiteri civici,  che ancora chiamiamo “campisanti” a ricordo del loro antico uso.

Il Foppone agli inizi del Novecento. All’uso secolare di seppellire i defunti all’interno o nei pressi delle chiese, si contrapposero eccezioni dovute a gravi pestilenze, come la peste del 1630, quando i morti vennero sepolti nei cosiddetti “fopponi”, grandi fosse poste generalmente fuori dall’abitato. Il Foppone di S. Agostino, all’esterno delle mura medievali ma dal XVI secolo compreso nelle mura veneziane, era comunque abbastanza decentrato rispetto alla parte più popolosa del centro storico. Venne colmato solo agli inizi del Novecento con detriti, forse derivanti dall’abbattimento del tratto di via Beltrami

In seguito alle nuove disposizioni, attuate dal 1 maggio, nel 1810 a Bergamo sorsero ben tre cimiteri, tutti fuori dalle Muraine: quelli di Santa Lucia, San Maurizio e Valderde.

Il piccolo cimitero pentagonale di Santa Lucia si trovava nell’attuale via Nullo, tra le vie Broseta e Lapacano nell’area a lungo occupata dalla sede dell’Enel ed oggi da un lussuoso complesso residenziale.

Via Nullo negli anni ’20: la sede della Società Elettrica Bergamasca, poi Enel

Ma nel 1813, ritenuta inadatta la sua localizzazione, il cimitero venne dismesso e sostituito dal nuovo camposanto di S. Giorgio, costruito alla Malpensata.

La cortina delle Muraine del Lapacano nel 1884, in una incredibile e rara fotografia. Il Lapacano, cortina muraria che collegava Porta Broseta con la torre tonda del Cavettone (uno dei pochi luoghi in cui le Muraine medioevali sono ancora visibili, inglobate in un condominio) rappresentava in epoca medioevale un punto importante del circuito difensivo delle Muraine. Proprio in corrispondenza dell’attuale Lapacano si incrociavano due corsi d’acqua (utilizzata a scopo difensivo e per muovere macine e telai): la roggia Serio si univa alla roggia Curna, che proseguiva verso l’ospedale per mezzo di un canale che correva parallelo alle mura, in luogo dell’attuale via Nullo (fotografia eseguita da Cesare Bizioli – Patrimonio Lucchetti-Museo delle Storie di Bergamo – rielaborata da Gianni Gelmini nel suo ultimo e prezioso lavoro dedicato alle Muraine)

Il cimitero di San Giorgio si trovava tra la chiesa e il grande parcheggio della Malpensata, dove si tiene il mercato del lunedì. Venne dismesso circa un secolo dopo (qualcuno afferma nel 1904, quando entrò in funzione il Monumentale di viale Pirovano, ed altri nel 1909) ma restò presente fino agli anni ’40, e “pare che, nell’interludio fra la dismissione e la traslazione, diverse tombe siano state profanate” (1).

In ogni caso, il cimitero “ebbe qualche monumento artisticamente pregevole con cappelle di enti e associazioni religiose e civili: fra le tombe private ricorrevano i nomi più noti di commercianti e industriali facoltosi. Vi erano pure lapidi commemorative di associazioni patriottiche che, come la tomba Ortolani, opera di Luigi Pagani, vennero trasferite al Cimitero Unico” (Tancredi Torri, in “Archivio Storico Lombardo, 1960).

Il cimitero di San Giorgio, alla Malpensata. Quando entrò in funzione il grande Cimitero Unico della città, i carri funebri vi portavano le spoglie esumate percorrendo la strada del Conventino. Dopo la dismissione del cimitero l’area  si trasformò nel nuovo mercato del bestiame, trasferitosi dal Foro Boario (Piazzale degli Alpini) verso il 1915, non più agibile per la costruzione di nuovi edifici. Inoltre, nel piazzale della Malpensata stazionarono periodicamente dapprima il circo equestre e successivamente i baracconi della Fiera di Sant’Alessandro, qui trasferiti dal prato tra viale Vittorio Emanuele e Piazza della Libertà per la costruzione dei palazzi dell’INPS e della Camera di Commercio

Il cimitero nella piana di San Maurizio, dalla forma tondeggiante, sorse in un luogo dove esisteva una antica chiesa cimiteriale, che in seguito venne ceduta alle monache benedettine del vicino convento di San Fermo, di cui ancor’oggi possiamo ammirare la piccola chiesa.

Un’irriconoscibile via San Fermo con la sua chiesetta documentata dal 1154

 

Il cimitero monumentale di Bergamo in costruzione

 

Il Cimitero Unico nella prima metà del Novecento. A sinistra dell’immagine si riconosce ancora chiaramente la forma rotonda dell’antico cimitero di San Maurizio, unico sopravvissuto dei tre piccoli cimiteri costruiti a Bergamo agli inizi dell’Ottocento perchè inglobato nel  nuovo impianto del Cimitero Monumentale di Bergamo e destinato da allora alle sepolture dei bambini

 

Il “Cimitero dei bambini” nel 1963, cresciuto sull’area dell’antico cimitero di San Maurizio

 

La rotondità dell’area cimiteriale riservata ai bambini è ancora perfettamente leggibile lungo il perimetro del campo (foto dell’autrice, datata 02/11/2018)

Il cimitero ottagonale di Valtesse, sulla strada per la Valle Brembana, fu costruito in luogo dell’attuale Campo Utili, in via Baioni, e doveva servire, oltre a Valtesse, Città Alta e le sue adiacenze (Borgo Canale, Castagneta e Fontana).  E’ già riportato, nella sua forma ottagonale, nella mappa del Comune di Valtesse del 1810.

Bergamo, 1916 – Giuseppe Manzini. Cimitero ottagonale di Valtesse (in alto verso sinistra, parallelo al riquadro del Lazzaretto, quest’ultimo evidenziato in nero)

Dismesso il cimitero di Santa Lucia, gli altri tre restarono in funzione fino agli inizi del Novecento, ossia fino a che non entrò in funzione il grande Cimitero nella spianata di S. Maurizio, nell’attuale viale Pirovano.

Mappa di Bergamo nel 1869. Si possono notare due dei quattro cimiteri ottocenteschi di Bergamo: a Santa Lucia (ovest) e Valtesse (nord)

La soppressione dei piccoli cimiteri si era resa necessaria oltre che per l’espansione della città, anche per motivi di igiene pubblica.

Già nel 1887 la relazione sanitaria, lamentando la gravissima condizione dei cimiteri di San Giorgio e di Valtesse, invitava a risolvere la situazione prima che si verificassero pericolose conseguenze. Il cimitero di San Giorgio aveva esaurito il terreno utile per le tumulazioni, mentre in quello di Valtesse la condizione del sottosuolo costituiva una perenne e grave minaccia alla salute: nei periodi di pioggia eccessiva, le casse galleggiavano “nell’acqua che si scarica nella Morla prima che questa attraversi due popolose borgate”.

La Morla in piena a Valverde. Ancora nel 1936, in un tardo pomeriggio di primavera, dopo una giornata afosa vi fu un temporale proveniente da est veramente impressionante. Venne fortemente colpita la zona Borgo S. Caterina, tanto che oltre alle case e alle cantine allagate affiorarono sul terreno le ossa del vecchio cimitero di Valtesse, Il grave episodio fu causato dallo straripamento dei torrenti Tremana e Gardellone, confluenti della Morla (fotografia di Carlo Scarpanti)

Il problema di un nuovo cimitero, insieme a quello della realizzazione dell’acquedotto e della rete fognaria, erano ormai improrogabili per la tutela della salute dei cittadini.

Il Cimitero monumentale di Bergamo intorno al 1910 (Raccolta Lucchetti)

La decisione (8 giugno 1896) della municipalità di costruire un nuovo grande cimitero in grado di accorpare tutti gli altri pose fine ad ogni questione: il piccolo cimitero di San Maurizio venne da subito incorporato nel grande Cimitero Unico (e se ne rintracciano le antiche memorie nelle colonne d’ingresso al cimitero dei bambini e sulle lapidi di  illustri pittori apposte sulle pareti dietro la Chiesa di Ognissanti), quello di San Giorgio alla Malpensata vi confluì nel 1904 (o nel 1909 secondo taluni, comunque ancora presente negli anni ’40), mentre quello di Valtesse fu l’ultimo ad essere dismesso, lasciando nella memoria collettiva una flebile traccia.

Negli anni ’40 del Novecento, il barbone Gattinoni detto “Gatinù”, si era accasato in una cappella del cimitero di San Giorgio, alla Malpensata, appartenente alla Famiglia Piazzoni: “una sontuosa cappella gentilizia tutta marmo, colonnine e fregi. In un loculo aveva sistemato il suo cucinino; in un altro la sua branda”. L’uomo, che portava uno stravagante cilindro spelacchiato con penna di fagiano, a causa della sua ostinazione a lasciare il suo personale “dormitorio”, fece ritardare la demolizione del cimitero:  la nobile famiglia proprietaria della Cappella, venuta a conoscenza del fatto “era intervenuta in comune e aveva ottenuto di lasciare il pover’uomo in pace…Effettivamente il barbone non morì nella cappella gentilizia e così il Cimitero potè essere completamente demolito.” (il virgolettato proviene da “Il Novecento a Bergamo”)

 

IL CIMITERO DI VALTESSE

La data di nascita del cimitero di Valtesse è solo deduttiva, ma di fatto dal 1812 i registri della parrocchiale di Valtesse portano l’indicazione “novo cemeterio” e certamente nel 1816 la sua forma definitiva era compiuta.

Un emozionante ricordo Cimitero di Valtesse, dalla forma ottagonale, sorto lungo la provinciale per la Valle Brembana, soppresso negli Anni ’20 (Foto Domenico Lucchetti)

Si trattava di un cimitero “consorziale” di cui per oltre un secolo gli abitanti di Valtesse dovettero condividere promiscuamente l’uso con quelli di Città Alta e adiacenze (Borgo Canale, Castagneta e Fontana).

Nel lungo corso di questa forzata convivenza, la ripartizione delle spese di manutenzione, suddivise in base al carico della popolazione delle due parti, fu motivo di contrasti continui tra Bergamo e Valtesse: proteste, querimonie e ricorsi di uno o dell’altro degli interessati.

Bergamo, 1891. Mappa Wagner & Debes. In alto a sinistra, a margine, è visibile l’ottagono del Cimitero di Valtesse

I contrasti si inasprirono al punto che nel 1852-’53 Valtesse arrivò a scegliere un terreno “di prima classe” di fronte all’entrata del camposanto consorziale e a far redigere un progetto per un proprio cimitero. Iniziativa che non ebbe seguito.

La diatriba si trascinò per decenni (durante i quali si pensò anche di cedere cimitero al Comune di Bergamo) e si chiuse solo nel 1904-’05 con la costruzione del grande Cimitero Unico, quando cioè vi confluirono Città Alta e le zone “satellite”, permettendo alla popolazione di Valtesse di mantenere l’uso esclusivo del cimitero ottagonale fino al 1925, anno in cui il Comune di Valtesse insieme a Redona e Colognola venne accorpato a quello di Bergamo (2).

1920 – Bergamo, Via Maggiore del Comune di Valtesse (oggi via Giovanni Maironi da Ponte). L’edificio a sinistra è il Municipio di Valtesse, come indicato dalla targa affissa sulla cancellata. La zona è posta all’incrocio con l’attuale via Bruno Buozzi

 

1920 – Bergamo, Via Maggiore del Comune di Valtesse, guardando verso Città Alta

Trascorso il periodo legale e rimosse le salme,  il primo gennaio del 1942 si diede avvio alla demolizione e nel volgere di pochi anni nulla restò della graziosa cinta ottagonale con le cappelle in stile ottocentesco, del portale, degli stessi monumenti che lo ornavano.

Il Cimitero di Valtesse da via del Roccolino nel 1930. La cappella visibile sulla destra era riservata alle monache di Santa Grata. Figura in primo piano la signora. Angela Bensoni, di Valverde, classe 1919, vissuta sicuramente sino a pochi anni or sono

Nell’interludio tra la chiusura e la demolizione, il poeta Vittorio Polli e l’amico Sandro Angelini, “curiosi e accesi per la novità del sito”, si recano a Valtesse:

“stupiti dall’atmosfera ritornammo a guardare le croci e a leggere le lapidi, sostammo timorosi davanti a un cancello aperto, prendemmo paura per le grosse lucertole che si muovevano sotto i cespugli”.

Bergamo, 1910 ca., panorama su Valverde e Valtesse ripresi da Porta Garibaldi già S. Lorenzo

Ne è scaturita la splendida e suggestiva evocazione del cimitero “fatto d’un perfetto ottagono col muro di cinta coperto di coppi; adornato di cappelle gentilizie, rotonde, quadre, esagone, con lunette e timpani di chiaro stile neoclassico.  Intorno le colline della città, una parte di Bergamo di intatto fascino e una campagna verdissima e serena.”

In quanto alla nuova destinazione delle povere salme, sappiamo quel poco che don Enrico Mangili, parroco di Petosino, rilasciò in un libro dedicato alla storia e le origini di Valtesse, pubblicato a puntate da L’Eco di Bergamo, dal 20 febbraio al 12 marzo del 1942:  “Le salme per le quali i parenti fecero richiesta vennero esumate e trasportate altrove. Furono pure levate le salme dei soldati caduti in guerra e trasportate nella Cappella” (3).

“Portarono via qualcuno, ceneri e ossa; infine restò abbandonato. Un giorno se ne andò la donna custode con il suo tavolino. Furono lasciati aperti i cancelli delle cripte e il cancello d’ingresso. Ferro ruggine, pietre spezzate, sfaccendati che giravano, innamorati impudici di notte dietro il muro. Città alta guardava, indifferente a tanta rovina.” (Particolare del Cimitero di Valtesse nell’acquaforte di Sandro Angelini e testo di Vittorio Polli)

Smarriti nell’oblio i nomi e la memoria dei tanti che vi trovarono eterna pace, a poco a poco se ne perdeva il ricordo mentre restava un grande prato che più tardi sarebbe stato destinato a campo di Marte.

 

“ERAVAMO UN COMUNE AUTONOMO E AVEVAMO IL NOSTRO CIMITERO. POI IL CAMPOSANTO DIVENNE UN CAMPO DI GRANO E SFAMO’ UNA FAMIGLIA”

Primi anni ’50: chiesa di Valverde con alle spalle l’area dell’ex cimitero di Valtesse e lo stabilimento Sace. Sull’area dell’ex cimitero non è ancora stato realizzato il campo sportivo: è questo il periodo in cui il campo venne coltivato a grano

“Ancora negli Anni Cinquanta noi di Valtesse ci consideravamo un paese a parte e non un quartiere di Bergamo. In fondo eravamo stati comune autonomo fino a una ventina di anni prima… Il nostro territorio comprendeva un’area vasta: Monterosso, Conca Fiorita, San Colombano…

Eravamo un comune agricolo, collinare. E avevamo il nostro cimitero, in quella che per noi era la nostra periferia, verso Bergamo, in via Ruggeri da Stabello, quello che poi è diventato il campo sportivo militare Utili e quindi adesso centro sportivo credo comunale.

Panoramica dell’area di Valtesse, San Colombano e Monterosso (edificato nel 1960). A sinistra, prospiciente la Sace, il Campo Militare Utili, appena realizzato sull’area dell’ex Cimitero (la ripresa è del 1958)

Era un cimitero in piena regola che accoglieva i defunti del Comune di Valtesse e, per lungo tempo, anche quelli di Città Alta. Finchè un certo giorno, era il 1929, venne decretato che non si poteva più seppellire i morti nel nostro cimitero, ma che bisognava confluire nel cimitero di Bergamo, il monumentale. Le sepolture esistenti restavano per gli anni decisi nei diversi contratti, dopo di che bisognava riesumare le salme. Di fatto il nostro cimitero – che aveva ospitato anche i resti illustri di Gaetano Donizetti e Simone Mayr, per esempio – venne chiuso definitivamente nel 1941 e le salme riesumate portate al Cimitero di via Borgo Palazzo. A quel punto, riesumate le salme, il cimitero divenne un nuovo pezzetto di campagna e venne dato da coltivare proprio alla mia famiglia, prima di diventare successivamente un campo sportivo. Il campo dei morti, seminato a frumento, diede alla nostra numerosa famiglia modo di vivere” (4).

Valtesse, area ex-cimitero: operai al lavoro per la bonifica del campo

 

Via Baioni e lo stabilimento Sace nel 1947

 

Il campo sportivo Utili e la Sace intorno al 1960. I pendii  della Maresana, ancora verdissimi, sono pressochè disabitati

 

I MORTI ILLUSTRI

Il cimitero di Valtesse si distingueva per i molti nobili che risiedevano nell’Alta Città e dunque non c’è da stupirsi se questi ultimi, ormai privati insieme alle famiglie di maggior censo di arche più o meno monumentali all’interno delle chiese, venissero seppelliti accanto ai plebei.

E così nel piccolo e modesto cimitero i nomi illustri si univano a quelli dei  compagni della vita e a molte coppie di sposi – “finiti quasi insieme, per armonia di sentire” – nonchè agli artisti. Giacquero qui anche le monache di Santa Grata, che avevano una propria dignitosa cappella e i loro nomi erano indicati al mondo così:

“Signora Idelfonsa… Morta di 50 anni.”

Giuseppe Daldossi, il cui padre, dipendente comunale, si occupò della demolizione del cimitero, raccontò che quando si demolì la grande cappella delle suore del monastero di Santa Grata, “la Madre Badessa volle che nell’esumazione dei corpi (traslati poi al Cimitero Unico) si procedesse nei dovuti modi: a tal fine chiamò a collaborare il portinaio-sacrista del monastero, che a tempo perso faceva l’armaiolo in un piccolo laboratorio annesso alla sua abitazione.

Nel procedere all’apertura dei loculi, si poté constatare con grande meraviglia che la consistenza delle bare, tutte costruite con legno massiccio e ti tale spessore che, a detta dell’esperto portinaio-sacrista, potevano ancora essere utilizzate – pur a distanza di tanti anni, in alcuni casi più di un secolo – per fare calci di fucile. Le bare all’interno erano state tra l’altro rivestite da una specie di catrame, per cui i corpi delle suore apparivano mummificati”.

Giacquero anche, nel cimitero di Valtesse, Simone Mayr e il suo allievo Gaetano Donizetti, poi traslati sotto le volte di Santa Maria Maggiore.

L’ 11 aprile del 1848 la salma di Gaetano Donizetti veniva deposta nella Cappella della nobile famiglia Pezzoli, dove rimase fino al 26 aprile 1875. A quella data, esumati i resti del grande musicista e quelli del suo maestro  Simone Mayr, vennero rese ai due illustri musicisti solenni onoranze che si conclusero con la deposizione delle loro ossa in S. Maria Maggiore.

Monumento funebre a G. Donizetti in Santa Maria Maggiore (Bergamo, Taramelli, riproduzione datata 1890 circa)

 

La solenne cerimonia della traslazione di Donizetti e del maestro Mayr nella basilica di S. Maria Maggiore – 1875

 

La solenne cerimonia della traslazione di Donizetti e del maestro Mayr nella basilica di S. Maria Maggiore – 1875

Nel cimitero di Valtesse ebbero ancora sepoltura i maestri Antonio Cagnoni ed Alessandro Nini; le loro ceneri  il 27 ottobre 1925 furono trasferite al Famedio cittadino.

Miniatura del poeta Pietro Ruggeri da Stabello eseguita da Faustino Boatti nel 1831 ). Il poeta, padre della poesia vernacola bergamasca, venne sepolto nel cimitero di Valtesse nel gennaio 1868. “Poveretto! Lui, un amante delle liete brigate, lui che tanto aveva riso e fatto ridere, negli ultimi anni della sua vita, si vide un po’ alla volta abbandonato da tutti gli amici e gli ammiratori dei tempi più lieti. Ma non perdette per questo il suo buon umore che conservò fino negli ultimi istanti. Morto in una stanzetta di una casa situata in Via Mura in Borgo S. Caterina. Un ristrettissimo corteo di amici lo accompagnò all’ultima dimora in una fredda scialba giornata del gennaio 1858: e la sua salma andò confusa con tutte le altre nella fossa comune. E lì giacque nel più assoluto oblio per dodici anni finché qualcuno pensò a ricordarne la memoria con un modesto ricordo” (5)

 

Cimitero Monumentale di Bergamo. Le lapidi di tre illustri pittori bergamaschi, un tempo sepolti al piccolo cimitero di Valtesse, i cui resti sono andati dispersi: Marco Gozzi, Vincenzo Bonomini e Pietro Ronzoni. Le tre lapidi sono apposte sul muro di cinta posto dietro la Chiesa di Ognissanti e confinante con via Serassi. Probabilmente furono portate al Monumentale poco prima che il cimitero di Valtesse venisse demolito. Notate la tavolozza in pietra sopra la lapide centrale  (foto dell’autrice, datata 02/11/2018)

“Dispersi andarono invece i resti degli storici Giovanni Finazzi e Agostino Salvioni, dei pittori Marco Gozzi, Vincenzo Bonomini  e Pietro Ronzoni, dello scultore Luigi Carrara, del melodico poeta romantico Samuele Biava de’ Salvioni la cui lapide tombale lo ricordava come “non ultimo dei pensatori che auspicarono il Risorgimento italiano”, del naturalista Giovanni Maironi da Ponte (del quale non fu possibile l’identificazione della salma), dei giureconsulti Gaspare Carcano e Luigi Tiraboschi, di Gaetano Alberigo da Rosciate “che ebbe sotto diversi governi cariche di rilievo” e di Giovanni da Rosciate con il quale si è spenta questa famiglia bergamasca celebre per il suo Alberico, del prof. Elia Zerzi che “raccolse e illustrò la flora bresciana”, del prof. Giuseppe Venanzio matematico, fisico, filosofo; del prof. Pietro Luigi Dahm insegnante di tedesco al liceo e dell’ing. Cesare Noris pure insegnante di discipline matematiche, del medico Federico Maironi da Ponte”… E l’elenco dei sepolti in oltre un secolo di storia potrebbe continuare per pagine e pagine.. (6).

Autoritratto ironico del pittore Vincenzo Bonomini (Bergamo 1757 – 1839), autore dei famosi sei pannelli Macabri realizzati prima del 1816 e  conservati attorno all’abside dell’altare principale della Parrocchia natia: quella di Santa Grata inter vites in Borgo Canale. Con questa sarcastica rielaborazione del memento mori, Bonomini ci ammonisce ricordandoci che al di là della condizione sociale, dell’età, dell’intelligenza e del credo di ognuno, la nostra mortalità ci accompagna in ogni istante della nostra vita

A proposito di Bonomini, Roberto Bassi-Rathgeb negli anni Cinquanta scriveva che “in uno di quei vagabondaggi fuori porta che talvolta ci si concede volentieri per evadere alcuni momenti dal rumore della città, mi accadde di passare nelle vicinanze del piccolo cimitero abbandonato di Valtesse; uno squallido camposanto ingoiato oggi dalla vicina Bergamo in continua espansione, che apriva malinconicamente la sua cinta in rovina al visitatore curioso e desideroso di un intimo senso di pace. Fra quelle tombe appena segnate tra le erbe cresciute da tempo senz’ordine, presi a camminare quietamente senza provare l’oppressione della solitudine, giacchè i nomi sui cippi e sulle lapidi facevano dell’ex camposanto una piccola città silenziosamente abitata da individui affiancati in perenne armonia. Orbene, mentre mi aggiravo presso il lato meridionale del muro di cinta, a pochi passi dal punto dove fu il primo tumulo di Gaetano Donizetti, vidi i frammenti d’una lastra funeraria che giaceva al suolo, abbandonata ormai da ogni pietà umana. La curiosità mi fece chinare. E lessi l’epitaffio: ‘A Vincenzo Bonomini, valente pittore morto il 17 aprile 1839 all’età di ottantatre anni, e all’unica sua figlia Maria Luigia, morta il 14 ottobre 1850 nell’età di diciotto anni, Maria Annunciata Bonomini nata Colombi – moglie e madre desolata – ha posto implorando il riposo dei giusti.

Cimitero Monumentale di Bergamo. La lapide di Vincenzo Bonomini qui trasportata dal Cimitero di Valtesse (foto dell’autrice, datata 02/11/2018)

I nomi di altri artisti, come il Ronzoni e il Gozzi, che poco prima avevo letto sulle loro sepolture, non mi avevano suscitato un particolare interesse; una strana emozione invece mi colse nel trovarmi d’improvviso di fronte a Vincenzo Bonomini proprio in un luogo che per un certo perido della sua vita era stato l’ambiente dei suoi pensieri, fino a disegnare gli uomini, nelle manifestazioni della vita quotidiana, sotto forma di scheletri, quasi fosse la cosa più naturale di questo mondo! E tutto ciò senza lo spirito cupo e sarcastico di molti artisti stranieri, ma con un fare del tutto bonariamente ironico”.

 

IL “POER NADALI” E LA “COMAR DE ALTESS”

Il parroco di Valtesse scrisse che fuori del recinto cimiteriale, specialmente ai lati del viale d’accesso, dal 1848 al 1851 venivano sepolti i patrioti che l’Austria abbatteva col piombo nelle fosse del Castello di San Vigilio o sugli spalti di S. Agostino, o che più ignominiosamente impiccava sulla spianata della Fara per delitti comuni: supplizio che avrebbe dovuto essere riservato soltanto ai peggiori delinquenti, ma che l’Austria applicava anche ai disertori, ai renitenti della leva oppure a coloro che avevano contravvenuto alla legge marziale del 1848 per detenzione e occultamento di armi: tutti per maggior parte provenienti dal contado.

Tra costoro si trovavano anche delinquenti comuni. Apparteneva a questi ultimi il “pòer Nadalì”, che condannato dal tribunale austriaco al capestro per gravi reati, prima di subire il supplizio fece ammenda delle proprie colpe ricordando la sua disgraziata giovinezza di trovatello e invocando ed ammonendo i genitori a vigilare sui propri figli.

Il pentimento o l’innocenza si questo bandito commosse il popolino, che a lungo invocò indulgenza nelle preghiere, recando fiori e accendendo ceri sulla sua tomba anonima, posta all’entrata del cimitero di Valtesse.

Sereno Locatelli Milesi ne raccontò la rocambolesca storia:

“Ecco, lontano, quasi ai piedi del colle, la Chiesa Prepositurale di Valtesse… che si profila fra il verde. Vedi il vecchio Cimitero? Vuoi sentire la storia del “Povero Nadali?“

Ascolta:

Il Nadali è stato un famoso – tanto famoso che di lui neppure si ricorda il cognome — delinquente dei primi dell’800, reo convinto di numerose grassazioni e di parecchi omicidi, e come tale condannato alla pena del capestro.

Impiccato sovra uno spalto della Fara, prima di passare il collo nel laccio fatale, aveva ottenuto di concionare gli intervenuti allo… spettacolo: e rivolgendosi specialmente alle madri di famiglia aveva raccomandato ad esse di vigilare l’educazione dei figlioli: perchè lui, povero Nadali, non si sarebbe trovato in quelle belle condizioni se la madre sua non lo avesse abbandonato a se stesso, ai pericoli della strada, alle insidie delle cattive compagnie.

Sotterrato in questo Cimitero, fuori del sacro recinto — come era costume del tempo — la sua fossa è stata per molto tempo meta costante del popolino, che recava tributo di fiori, di ceri e di preci, ritenendo per fermo che il Nadali fosse diventato poco meno di un santo.

Molti anni dopo, quando, per allargare il Cimitero, si dovette abbattere la cinta e provvedere al nuovo scavo, non si trovo più traccia della salma: il popolino gridò al miracolo: il Nadali, dopo aver ottenuto la grazia di entrare in Paradiso, aveva ottenuto anche quella di entrare nel Cimitero…”.  (7).

Pure in terra non sacra – aggiunge il parroco – venne sepolta certa Bongiani, meglio nota come la ‘comàr de Altess’, famigeratamente celebre al tempo dei nostri nonni.

Questa donna esercitava la professione di levatrice nel comune di Valtesse e godeva di molta stima e considerazione, finchè, per caso, venne scoperto che essa capeggiava una banda di rapinatori che di notte, sulla strada che corre poco lontano dal cimitero e allora del tutto isolata, aggrediva e derubava i carrettieri o altri passanti. Arrestata, subì il capestro nel 1851.

“Confortava i condannati nelle estreme ore, una caratteristica figura di sacerdote, Don Fantino Premerlani (Don Fantì), spirito altamente patriottico, originale e arguto tipo bergamasco, negli ultimi anni della sua vita bibliotecario alla Civica. Anch’egli – nel 1890 – ebbe estremo riposo nel cimitero di Valtesse.

Quanta pietà, quante dolorose vicende, quante lagrime, quanti ricordi, quante leggende intorno a questo triste luogo, avvolto ormai nell’oblio, nell’inesorabile oblio dei vivi” (8).

Oggi l’impronta dei nostri passi scivola distrattamente su quelle antiche memorie, posate a mo’ di selciato sulla breve gradinata che dal Mercato delle Scarpe conduce in piazza Angelini.

La scalinata di raccordo tra Piazza Mercato delle Scarpe e Piazza Angelini (allora piazza Pendezza), selciata da porzioni di lapidi provenienti dal demolito cimitero di Valtesse

 

Porzioni di lapidi provenienti dal demolito cimitero di Valtesse, posate sul selciato della gradinata tra piazza Mercato delle Scarpe e piazza Angelini.

Chissà quante volte, senza nemmeno saperlo, abbiamo calpestato i nomi di coloro che senza distinzione dì età e di ceto sociale si sono tenuti per mano nel mesto cimitero adagiato all’ombra della città antica.

 

NOTE

(1) Marco Cimmino, Il mistero di via Lapacano, dove le Muraine dividevano città e campagna

(2) “Al principio del regno d’Italia Valtesse contava 1008 abitanti. La sua guardia nazionale era formata da una compagnia con 110 militi attivi: aveva 71 elettori ammínistrativi e 19 politici inscritti al collegio di Bergamo. La sua Congregazíone di carità disponeva di un capitale di circa venti mila lire. A quel tempo esso formava ancora comune a sè: ma colla legge del 1935 sulla unificazione dei comuni esso è stato di nuovo riaggregato a Bergamo e non ne rimase distinto che nel campo ecclesiastico” (don Enrico Mangili, “La storia e l’origine di Valtesse”, cit. In bibliografia).

(3) P. Tosino, “La storia e l’origine di Valtesse” – Pubblicata a puntate da L’Eco di Bergamo, dal 20 febbraio al 12 marzo 1942.

(4) “Il grano del cimitero”, in: (A cura di) Paolo Aresi, “Bigio Long e gli altri – Storia e storie della gente di Valtesse,Valverde, Monterosso e Conca Fiorita”. Comune di Bergamo, Circoscrizione 4.

(5) P. Tosino, “La storia e l’origine di Valtesse”, cit.

(6) “Non sappiamo se alcuno si ricordò del patriota e scrittore Pasino Locatelli, e quale sorte toccò alla sua lapide tombale che portava l’epigrafe da lui dettata (…)”. Fra i sacerdoti:  “il primo che vi ebbe sepoltura fu il parroco di Valtesse, Valsecchi Gio Battista da Rossino, defunto il marzo 1820. Abbiamo poi tra i tanti, il sac. Antonio Cefis vice bibliotecario della Civica Biblioteca, il sac. Prof. Vincenzo Bonicelli insegnante per trentotto anni fisica al seminario, il sac. Paolo Fumio valentissimo nell’arte oratoria, Don Benedetto Mazzoleni pro cancelliere episcopale, ecc.”. “Nel periodo della dominazione austriaca vi ebbero sepoltura notabilità di quell’amministrazione; così, nel 1831, un Ernest Richeler von Binnenthal e l’anno dopo il command. K. Und K. Cav. Di Maria Teresa e S. Anna di Russia di II classe, Ludwig Freihew von Schonnermarck”. Vi ebbe sepoltura anche il poeta Rovetta (“La storia e l’origine di Valtesse”, P. Tosino, cit.).

(7) Sereno Locatelli Milesi, “La Bergamasca”, Edizioni Orobiche, Bergamo.

(8) P. Tosino, “La storia e l’origine di Valtesse”, cit.

FONTI

Luigi Volpi, “Memoria del Cimitero di Valtesse” – In memoria di Luigi Agliardi Presidente dell’Ateneo di Scienze Lettere ed Arti di Bergamo (Comunicazione fatta all’Ateneo di Scienze Lettere ed Arti di Bergamo nella seduta del 6 dicembre 1952). Il libro è stato stampato nel novembre 1952, in 371 copie numerate, dalla Stamperia Conti di Bergamo, via XX Settembre. 21 esemplari contrassegnati con lettere dall’A alla Z e 350 esemplari numerati dal N. 1 al N. 350. Esemplare 92.

Fondazione per la storia economica e sociale di Bergamo – Istituto di Studi e Ricerche, “Storia Economica e Sociale di Bergamo – Fra Ottocento e Novecento – Lo sviluppo dei servizi”.

Sereno Locatelli Milesi, “La Bergamasca”, Edizioni Orobiche, Bergamo.

(A cura di) Paolo Aresi, “Bigio Long e gli altri – Storia e storie della gente di Valtesse,Valverde, Monterosso e Conca Fiorita”. Comune di Bergamo, Circoscrizione 4.

P. Tosino (pseudonimo di don Enrico Mangili, parroco di Petosino), “La storia e l’origine di Valtesse” – Pubblicata a puntate da L’Eco di Bergamo, dal 20 febbraio al 12 marzo 1942.