Verso la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento, nei locali della Fiera che si affacciavano su Sentierone fiorivano quattro splendenti caffè-ristoranti: il Gambrinus, verso la chiesa di San Bartolomeo, punto di ritrovo dei giornalisti e dei tifosi di sport: calcio e soprattutto ciclismo; il Centrale, all’ingresso della Fiera, frequentato da professionisti ed impiegati e più tardi trasformato in Cinema Centrale; il Bramati, ritrovo preferito di alcuni giornalisti, frequentato da pensionati e da studenti e sede di dibattiti e comizi politici. Ultimo, ma non ultimo, il Nazionale, presso il torresino che guardava verso Porta Nuova, più o meno nella stessa posizione in cui si trova l’attuale: era frequentato dalla gioventù “bene” e grazie al vulcanico Pilade Frattini divenne il centro della vita mondana della città, o meglio, il simbolo della Belle Époque in salsa orobica.
IL CAFFE’ GAMBRINUS
Presso il torresino della Giustizia, e proprio tra le ultime botteghe affacciate sul Sentierone, era il Gambrinus, vicino alla chiesa di San Bartolomeo. Caffè alla moda e punto di ritrovo dei giornalisti, era frequentatissimo dai commercianti ma soprattutto dei tifosi di sport: durante le corse di ciclismo, il Gambrinus era il centro delle informazioni sull’andamento delle competizioni.
Fra i giornalisti, alcuni si salutavano fraternamente, altri si guardavano in cagnesco dopo essersi lanciati accuse ed insulti sulle colonne dei rispettivi giornali. Tra i tifosi di sport invece, il più appassionato era certamente il Gamba, il suo eroe era Enrico Brusoni, allora campione italiano del ciclismo su strada.
Ma questo caffè era soprattutto rinomato per le battute umoristiche che partivano dal cosiddetto tavolo degli aristocratici, attorno al quale convenivano verso sera l’avvocato Giuseppe Brignoli, il dottor Francesco Negrisoli, il giornalista-scrittore Giovanni Banfi, lo scultore Alfredo Faino, che non era ancora partito per la Francia e che aveva il domicilio in Fiera.
La tavola del Gambrinus era la calamita di quei clienti che cercavano l’allegria come aperitivo all’ora del pranzo. La sorgente del buon umore partiva dalla triade Banfi, Faino Brignoli, quest’ultimo umorista più unico che raro.
Nella bella stagione aleggiava lungo il Sentierone il suono delle orchestrine che si esibivano all’aperto per i clienti dei Caffè. Si udivano i valzer viennesi di Strauss e quelli parigini di Waldteufel, la napoletana “Santa Lucia” e il “Sogno” di Schumann, le melodie della “Vedova allegra” di Franz Lehar, le note della celebre barcaiola di Offenbach; in certe sere domenicali si potevano ascoltare un tenore o un soprano intonare raffinate melodie, oppure un bravo violinista creare atmosfere piene di magia. Il blues, il dixieland e i ritmi sincopati erano ancora di là da venire (2).
I componenti di questi complessi musicali erano giovani professionisti diplomati, che avevano alle spalle anni di studi rigorosi e che tuttavia non disdegnavano di suonare nei café chantant o nelle sale cinematografiche quando si chiudevano i sipari sulle ultime rappresentazioni delle varie stagioni operistiche cittadine (quella di carnevale al Nuovo, quella di mezza quaresima al Sociale e quella di Fiera al Donizetti). Tra questi suonatori, Oreste Tiraboschi (che dal 1913 faceva parte dell’orchestra “Gaetano Donizetti” diretta dal maestro Achille Bedini), che aprì più tardi un negozio di strumenti musicali. Renzo Avogadri (Rasghì), celebre componente del Ducato di Piazza Pontida, era al violino.
IL CAFFE’-RISTORANTE CENTRALE
Il Centrale seguiva al Gambrinus. Caffè-ristorante di buona nomea, era frequentato da numerosi professionisti e da impiegati di concetto, che qui convenivano coi gruppi familiari per “ciacole” serali e per combinare lunghe partite a scopa, partite di “famiglia” che duravano fino alla chiusura dell’esercizio.
Ma un giorno del 1914 il Caffè Centrale, condotto da Bernardo Speranza e da Giuseppe Tiraboschi detto Dindo, cessò la sua attività. Nel locale, opportunamente riattato, il 15 agosto iniziarono le proiezioni del Cinema Centrale, diretto da Pietro Airoldi, lo stesso gestore del Cinema Salone Radium, il primo cinematografo di Bergamo. Dopo aver dato – fra l’altro – alcuni “numeri” di varietà, tutti sboccatucci e licenziosetti, il Centrale, acquisito da Giulio Consonno, ridimensionò i richiami erotici e dirottò la programmazione verso il repertorio poliziesco. Giulio Consonno darà nuovo spazio agli spettacoli di varietà prima rilevando il Teatro Nuovo e poi edificando il Teatro Duse.
Quando la vecchia Fiera verrà demolita e sorgerà il nuovo centro di Bergamo, il Cinema Centrale sopravviverà all’angolo del Quadriportico del Sentierone.
IL CAFFE’ BRAMATI
Il Caffè Bramati si apriva dopo il cancello della seconda tresanda. Il proprietario era il signor Camillo, un ometto sempre serio, dignitoso, con un berretto di seta nera con visiera in testa e leggermente claudicante. Di lui il Pelandi ricordava (anche) i gustosi spuntini: prosciutto cotto alto un dito, innaffiato da un certo vinello frizzante, al prezzo di una lira, mancia compresa.
Il “Bramati” era il ritrovo preferito di alcuni giornalisti di quel tempo e fra essi, Carlo Zumbini, il direttore della “Gazzetta Provinciale”, il battagliero competitore di Parmenio Bettòli, allora direttore-proprietario-fondatore della “Nuova Gazzetta”. La “Provinciale” parteggiava per il partito moderato conservatore, l’altra doveva essere l’organo del partito monarchico liberale. La lotta fra i due giornali, o meglio fra i due giornalisti, fu decisa, aspra, senza quartiere. Altro habitué era Francesco Scarpelli, che dirigeva il “Giornale di Bergamo” ma fu costretto a lasciare la nostra città perché inviso ai fascisti.
IL CAFFE’ NAZIONALE
Di tutti, il Nazionale era il più rinomato. Il caffè ristorante occupava parte del torresino rivolto verso Porta Nuova ed altre botteghe sino al primo cancello della Fiera.
Il locale era stato rilevato da Pilade Frattini, un impresario dotato di tanta originalità ed inventiva, geniale scopritore di talenti ed organizzatore impareggiabile di molti spettacoli teatrali.
Capitato a Bergamo intorno al 1900, l’aveva rilevato da Pietro Balicco, che a sua volta l’aveva acquistato nel 1894, trasformando la Trattoria della Speranza in Caffè Nazionale.
Il Frattini mise al banco della cassa Emilia, la consorte – un’affascinante bionda – e per richiamare gente assunse in servizio, in qualità di camerieri, degli autentici cinesi, vestiti all’orientale: tutta la città parlava divertita di questi camerieri esotici, che incuriosivano per le ciabatte dipinte, i paludamenti sgargianti e i capelli raccolti a codino.
Frattini introdusse i concerti musicali “senza aumento delle consumazioni”, si inventò svariate iniziative che ora definiremmo di marketing e cercò, riuscendoci, di far sì che il Nazionale fosse più di un esercizio pubblico, ma il centro della vita mondana, artistica e intellettuale, portandovi una ventata di aria metropolitana.
All’interno del locale, oltre a riservare alcune salette al gioco – sua perenne e fatale passione -, Frattini fece un teatrino di varietà, una specie di “cabaret” nel quale si esibì per una quindicina d’anni il fiore dei cantanti famosi, dei musici, delle soubrette, delle ballerine, dei comici e dei giocolieri dell’epoca. Per il suo teatrino aveva costruito persino i camerini degli artisti ed un apposito fondale.
Scriveva Geo Renato Crippa che a frequentare il locale erano “i ricchi di città e di borgate, la crème della nobiltà, i viveurs e gli elegantoni, quelli che portavano il cappello verde, gli abiti confezionati da Prandoni in Milano, calzavano le scarpe del classico Assuero Rota di Città Alta, frequentavano il Cappello d’Oro ed il Concordia di Viale Roma, magari sostenevano ‘donnette’ di qualche avvenenza, pagandole a ‘mesata’ (era molto chic), non mancavano ogni mattina, sul tardi, di sbarbarsi dal barbiere ‘Biffi’ di Via Torquato Tasso”. Questi signori, potevano in verità vantarsi di una visitina – una volta tanto – “al Cova, al Savini od al Bonola di Milano, ai Casinò di San Remo o di Montecarlo, celando tali scappate alle fedelissime consorti, alle fidanzate, alle madri intransigenti e sospettose.
Al Nazionale arrivavano, in gruppo, per l’aperitivo; non più il ‘bianchino’ delle trattorie, del Garibaldi o del Gambrinus, bensì il Campari, il Carpano, il Cinzano ed il Martini o, più fine ancora, il Costumé Cannetta , un rosé milanese di classe”.
Alle cinque del pomeriggio qualche elegante divetta ingaggiata dal Frattini si degnava di fare un’apparizione lungo il Sentierone per farsi ammirare dagli snob. Le dame dell’aristocrazia e le signore della borghesia sbirciavano passeggiando sussiegose e le loro occhiate tradivano fuggevolmente l’invidia.
Nel 1906 al Nazionale arrivò persino il cinematografo, o meglio, il Cinematografo Ungari, che proiettava “vedute modernissime, riflettenti fatti seri di attualità, educativi, istruttivi, nonché aneddoti umoristici”.
Al café chantant di Pilade Frattini giunse anche Gea della Garisenda, bella e agilissima. Il suo “Inno a Tripoli” fu un trionfo. Il pubblico andò in visibilio vedendo la brunetta emiliana entrare in scena con un cappello da bersagliere in testa, nuda sotto una grande bandiera tricolore, che l’avvolgeva tutta, ed ascoltandola effondere la generosa voce di mezzo-soprano nelle note marziali di “Tripoli, bel suol d’amore…”.
Pietro Mascagni, a Bergamo per assistere ad una recita della sua “Cavalleria”, che si dava al Donizetti sotto la prestigiosa direzione del napoletano Leopoldo Mugnone, volle godersi lo spettacolo della ”diva” seduto in prima fila nel teatrino del Nazionale.
Quando l’estroso e geniale caffettiere, che dal 1908 dispose di un aereo personale, diventò impresario, con Giovanni Ceresa, del Teatro Nuovo, non finì di far strabiliare. Da buon impresario teatrale (suo a Roma il teatro Frattini), gestì il Nuovo in prima persona, facendone uno dei teatri italiani più vivi e à la page, trasformandolo in un vero e proprio centro d’attrazione per ogni genere di spettacoli. Grazie a lui il teatro divenne la sala più polivalente della città, rendendo memorabili i primi anni del Novecento.
Quando a San Pellegrino si aprirono le sale da gioco, Frattini era il patron del Casinò: alla sua esperienza, alla sua vivace spregiudicatezza ricorsero i promotori e gli organizzatori. Fra lo sfoggio degli smoking e lo sciupio dello champagne, un fiume di denaro affluì da Milano al centro termale brembano. ll patron tentò qualche colpo al banco da gioco ed ebbe fortuna.
Poi venne la guerra del ‘15-’18, con le inevitabili restrizioni; bardature, oscuramento, tesseramento, limitazioni di generi di lusso. Il Nazionale languiva. Dopo la disastrosa rotta di Caporetto, arrivarono anche a Bergamo numerosi militari feriti e si allestì per loro una infermeria nella sede del vecchio Ricovero delle Grazie. La gente non pensava più a divertirsi.
All’inizio del 1917 Frattini pensò bene di disfarsi dell’esercizio, cedendo il locale al pasticcere Luigi Isacchi (1-1-1917), noto per avere creato il tipico dolce bergamasco della polènta e osèi. Nel vecchio café chantant, adibito a pasticceria, regnava ora un discreto silenzio; all’ora del tè qualche signora sedeva ai tavolini biancodorati in stile impero per sorseggiare compostamente un bicchierino di rosolio: Bergamo – scriveva Crippa – si trovava ora “spenta e muta, ricadendo nella sua monotonia, nei ritorni alle preferenze ineleganti. Quanti la sera vestivano lo smoking si persero come nebbia di pianura…. Il floscio riportò Bergamo alla sua semplicità ancestrale”.
Un giorno, richiamato dalla passione del gioco, Pilade Frattini andò a Stresa e puntò ostinatamente un numero alla roulette per tutta la notte: all’alba, disperato, dopo aver dilapidato una fortuna, stramazzò al suolo. Un colpo apoplettico lo aveva stroncato: era il 1920.
Di tutti i locali incontrati nel corso della nostra passeggiata, il Nazionale è l’unico dei quattro che ha continuato a vivere – dapprima come caffè-ristorante e poi solo come caffè – anche dopo l’abbattimento della Fiera e la costruzione del Centro piacentiniano: e lo si deve anche alla notorietà del vecchio locale e alle iniziative di Pilade Frattini.
Dopo Frattini, sarà Pietro Bardoneschi ad averlo in gestione, quando aprirà la nuova e attuale sede sotto i portici, che nel 1925 vedrà nascere anche il primo Rotary Club della cittadina.
Nel 1936, sotto quei portici prese posto il caffè Balzer, con la sua sobria e nobile eleganza, impostata da una famiglia originaria del Liechtenstein. Balzer e Nazionale, che non mancavano mai in ogni reportage dal Sentierone, accoglievano gli spettatori che uscivano dal Teatro Donizetti, tenendo aperto anche fino alle due di notte.
In quegli anni, quando la tradizione del caffè come luogo d’incontro era ancora viva e intellettuali, artisti e “bella gente” passavano le giornate ai tavolini, sul Sentierone c’era un dualismo alla Coppi e Bartali: dall’altra parte della strada, sempre nel ’36 nel palazzo della Popolare era stato aperto un caffè il cui nome ricordava l’euforia da Impero: il Moka Efti, famoso nel Dopoguerra per i concerti serali e diventato poi l’attuale Caffè del Colleoni.
All’estremo dei portici, verso Largo Belotti, era invece attivo il Savoia, chiuso in età repubblicana nel 1956 (?).
In quello stesso ’56, al Nazionale si erano ritrovati gli artisti che avevano firmato il manifesto del Gruppo Bergamo. Ma nel 1945 il Nazionale-Concordia era stato anche una mensa di guerra.
Tra alti e bassi, è arrivata la chiusura a giugno 2006. Il locale ha riaperto esattamente dopo un anno di ristrutturazione con un nuovo nome “212 barcode” (212 è il prefisso dell’area di New York) e un arredo postmoderno. Tra cambi di gestione e licenze contese, finite nelle aule del tribunale, il 1° settembre 2011 il locale a riacquisito il nome Nazionale, ma non la vecchia atmosfera: se oltre un secolo fa nelle sue eccentricità Pilade Frattini aveva preso come camerieri degli autentici cinesi, con vestiti orientali e tanto di codino (come dovevano essere nell’immaginario dell’epoca), i cinesi, senza codino, prendevano ora in gestione il locale, per tenerlo fino al 2015, quando subentrava un’altra società cinese, che ha chiuso i battenti alla fine del 2020. Si mormora che il Nazionale sia in procinto di rifarsi il look con importanti lavori di ristrutturazione, che puntano a farlo tornare tra i locali simbolo e più frequentati del centro.
Note
(1) Negli ultimi anni dell’Ottocento a Bergamo si pubblicavano tre quotidiani: “L’Eco di Bergamo”, d’ispirazione cattolica, diretto da Gian Battista Caironi; la “Gazzetta Provinciale”, organo indipendente diretto da Parmenio Bettòli; e l’”Unione”, foglio liberale diretto da Enrico Mercatali. L’”Unione”, fondata nel 1891, ebbe vita breve; cessò le pubblicazioni nel 1900. Vi aveva fatto le ossa Franco Armando Tasca, il quale poi diresse il “Giornale di Bergamo”, emigrando infine a Pavia dove diresse un altro giornale, spegnendosi in tarda età. Scrittore intelligente e fecondo, aveva anche trovato il tempo per scrivere una storia di Bergamo, che fu pubblicata a puntate dal “Gazzettino” di San Pellegrino Terme Luigi Pelandi, “Attraverso le vie di Bergamo scomparsa. II. La strada Ferdinandea”. Banca Popolare di Bergamo. Co-Editore: Edizioni Bolis. Bergamo, 1963 (Collana di studi bergamaschi).
(2) “…in certe sere domenicali si potevano ascoltare un tenore nelle melodie di Tosti e di Denza e un soprano nella “Leggenda valacca” di Braga e nelle raffinate ariette in stile antico di Stefano Donaudy, nonché un bravo violinista nella “Serenata medioevale” di Silvestri, nella romanza andalusa di Sarzate, e in qualche virtuosa variazione su temi zingareschi (…) I componenti di questi complessi musicali erano giovani professionisti diplomati, che avevano alle spalle anni di studi rigorosi e che tuttavia non disdegnavano di suonare nei café chantant o nelle sale cinematografiche quando si chiudevano i sipari sulle ultime rappresentazioni delle varie stagioni operistiche cittadine (quella di carnevale al Nuovo, quella di mezza quaresima al Sociale e quella di Fiera al Donizetti). Tra questi suonatori, Oreste Tiraboschi, un violoncellista mantovano diplomatosi nel 1909 presso l’Istituto Donizetti; dal 1913 faceva parte dell’orchestra “Gaetano Donizetti” diretta dal maestro Achille Bedini. Il complesso (due pianoforti: Tironi e Briccoli; due violini: Avogadri e Pesci; due violoncelli: Airoldi e Tiraboschi) eseguiva musica da camera nella sede di via Pignolo. Il Tiraboschi aprì più tardi un negozio di strumenti musicali. Altri musicisti, Osvaldo Legramanti, contrabbassiste; Giovanni Marigliani, violinista; Eugenio Tironi… (“Umberto Zanetti, “Bergamo d’una volta”. Ed. Il conventino, 1983).
Riferimenti
Umberto Zanetti, “Bergamo d’una volta”. Ed. Il conventino, 1983.
Luigi Pelandi, “Attraverso le vie di Bergamo scomparsa. II. La strada Ferdinandea”. Banca Popolare di Bergamo. Co-Editore: Edizioni Bolis. Bergamo, 1963 (Collana di studi bergamaschi).
Geo Renato Crippa, “Bergamo così (1900 – 1903?)”.