Bergamo agli albori del cinematografo

Se volessimo rintracciare il primo cinematografo di Bergamo, dovremmo aggirarci fra le tresande dell’antica Fiera durante il periodo della festa patronale: è qui che nel 1896 compare per la prima volta fra le tende sistemate ai lati della Fiera.

A passeggio negli spazi della Fiera

Ed è proprio in questo spazio, punto di confluenza della maggioranza dei “forestieri”, che dalla fine del Settecento, ma ancor di più durante l’Ottocento, al teatro “regolare” (le stagioni operistiche estive e gli spettacoli delle compagnie di attori professionisti) si affianca quello “minore” composto dai teatri dei burattini, presenti insieme ad acrobati, ciarlatani, ammaestratori di animali, giostre ed ambulanti con i loro apparecchi proto-cinematografici.

Il padiglione di Fotografia alla Fiera di Bergamo

 

Giostra in piazza Baroni, accanto alla Fiera

E se nel 1864, per la Fiera di Sant’Alessandro arriva a Bergamo il “Salon Parisien”, un’incantevole esposizione d’immagini stereoscopiche delle località più note del mondo (vedute della Torre di Pisa e della Marina di Capri), è nel 1895 che approda alla Fiera il “Teatro Ottico”, nel quale “piccoli fantocci agiscono per mezzo d’illusioni ottiche”. I visitatori si commuovono alla piagnucolosa vicenda del povero Pierrot, il quale, nel volgere di dieci minuti – tanto dura la proiezione del nastro -, viene respinto da Colombina e preso a bastonate da Arlecchino (1).

Una curiosa “stereoscopia” (fotografia tridimensionale), eseguita nel 1898 dal Dr.  Prof. Emilio Tiraboschi: un genere che ebbe larghissima diffusione sin dalla dine dell’Ottocento (Raccolta D. Lucchetti)

Nel grande recinto della Fiera il pubblico s’incanta anche davanti alla “lanterna magica”, alle pantomime delle “ombre cinesi”, agli specchi deformanti, alle marionette meccaniche, al serraglio-acquario, alla donna senza braccia che scrive con la bocca, alla Strabiliante Scoperta Fotografica (lo studio fotografico che fa il ritratto in cinque minuti), alle cuffie auricolari per ascoltare una canzone incisa su di un cilindro e al “gabinetto riservato”, nel quale gli allocchi e i perdigiorno si fanno alleggerire il borsello per poter contemplare nientemeno che alcune immagini invereconde (2).

Giostre alla Fiera di Bergamo: si noti il cartello con la scritta “SOLO PER UOMINI”

 

Alla Fiera di Sant’Alessandro

Non mancano il vitello a due teste, la donna barbuta, il cannibale della foresta e qualche altro specchietto per le allodole (3). E ancora, il Labirinto, l’Esposizione Mondiale, l’Oracolo, il Bersaglio Umoristico Meccanico, il Teatro Egiziano, il Tiro ad anelli, il padiglione della Divina Commedia (4).

La vecchia lanterna magica era un apparecchio davanti al quale si faceva girare con una manovella una pellicola saldata ad anello che proiettava un brevissimo film. Le lanterne magiche erano vendute dall’ottico e profumiere Pietro Vanoli, con negozio in via XX Settembre 41 (18 lire per le lanterne e1 lira e 25 centesimi per le pellicole), ed erano ancora pubblicizzate nel 1904 da “Isnenghi e fratello” con negozio di ottica e di orologeria in piazza Cavour (5)

E così, anche il primo antidiluviano cinematografo si annuncia come fenomeno “fieraiolo”, facendo la sua prima comparsa, nella nostra città, il 25 agosto 1896, a pochi mesi dalla scoperta dei fratelli Lumière, avvenuta il 28 dicembre 1895 a Parigi (in realtà, sulla questione si intrecciò una polemica, che si risolse in parità tra i fratelli Lumière e Edison). Fra le tante tende sistemate ai lati della Fiera, una inalberava il gran nome: ‘Cinematografo’. Era un padiglione modesto, impiantato da certo Gambari; lo spettacolo comprendeva dodici “vedute” (cioè dodici brevi film) che presumibilmente erano costituite dai primissimi film dei Lumière e da alcune riprese ‘dal vero’ dei pionieri italiani Calcina e Pacchioni (6).

I baracconi di piazza Baroni in tempo di Fiera

Le “vedute” interessarono enormemente il semplice pubblico della Fiera e il Cinematografo fece un pienone ogni giorno. “Ci si estasiava al treno che entrava in stazione muovendo ruote e stantuffi: sembrava di averlo davanti, anzi c’era chi si scostava per non farsi investire! Quel pubblico poi apprezzava il movimento degli operai e delle operaie che uscivano da una fabbrica, si divertiva a vedere bambini giocare in un prato, rideva a crepapelle alle disavventure di un giardiniere che innaffiava i fiori e restava vittima dello scherzo di un monello. Il ragazzino interrompeva il getto d’acqua mettendo un piede sul tubo di gomma e, quando il giardiniere guardava dentro l’imboccatura per rendersi conto del supposto guasto, toglieva di colpo il piede e il getto d’acqua inondava il viso del malcapitato”(7).

Il baraccone del “Cinematografo Moderno”, che agli inizi del Novecento ospitava le prime proiezioni “stupefacenti” in Piazza Baroni, presso l’antica Fiera di Bergamo. Il primo Cinematografo comparso a Bergamo il 25 agosto 1896 consisteva in una tenda, alcune panche in legno, un proiettore Lumière di legno con una manovella cigolante e un lenzuolo sulla parete di fondo. Dalla pellicola si effondevano su di un lenzuolo le immagini tremule e sfuocate. La scoperta dei fratelli Lumière fu un fenomeno “primario” della belle époque; non mancò neppure una diatriba “filologica”: cinematografo, oppure cinetografo? (Domenico Lucchetti, Fotografi pionieri a Bergamo. Foto di Aristide Dragoni)

Lo spettacolo durava “venticinque minuti. Le pellicole erano lunghe sedici metri ciascuna per una proiezione di due minuti. Un intervallo, al termine dello spettacolo, permetteva all’operatore-proprietario di riposarsi il braccio che faceva girare la manovella, di vuotare il locale e richiamare a gran voce, assistito da un aiutante, nuovo pubblico”. Il classico ‘Venghino, venghino signore e signori, l’ultima meraviglia del secolo. Non potrete dimenticare il cinematografo, nuova sbalorditiva invenzione scientifica! Fotografie in movimento, grandiose vedute di vita reale, scene magiche che danno l’impressione del vero!” (8).

Non mancavano però anche coloro che non si entusiasmarono per niente, riscontrando nel nuovo ritrovato nessuna differenza sostanziale dagli altri strombazzati e frequentati spettacoli della Fiera.

In quei primi anni del Novecento i cinematografi diventarono sempre più numerosi (il “Novecento a Bergamo” cita per esempio, l’Ideal e il Museo) e le proiezioni non avvenivano più soltanto in tempo di fiera e in Piazza Baroni.

IL PADIGLIONE DEL CINEMATOGRAFO FRANZ KUHLMANN E GLI ALTRI

Fra coloro che in particolare imposero il cinematografo a Bergamo, un ruolo di rilievo spetta a un tedesco, Franz Kuhlmann, un intraprendente impresario nomade, presente annualmente in Fiera almeno dall’anno 1900.

Prima dell’invenzione dei Lumière portava in giro per il Nord Italia serragli e giocolieri, ma seppe adeguarsi ai tempi: stabilitosi a Monza con la sua famiglia, investì i suoi risparmi in un grande telone smontabile, in una macchina da proiezione e nell’acquisto di tutti i film che poté reperire, specialmente sul mercato francese; poi si mise a girare per fiere, trovando in quella di Bergamo una delle piazze più proficue.

Kullmann, un omone imponente dai capelli rossi, con una pittoresca uniforme, redingote e tanto di cilindro, si presentava già all’esterno con un grande, meraviglioso organo meccanico, a cartoni forati, che riproduceva gli strumenti dell’orchestra (9). Nei paesi anglosassoni, in effetti, gli organi erano di gran moda nell’intrattenere gli spettatori durante gli intervalli e nel commentare le proiezioni.

Secondo le parole di un testimone, Luigi Caglio, questo organo “deliziava orecchi e vista del pubblico con una sequela doviziosa di musiche e con tutta una struttura e un’ornamentazione piuttosto pletoriche che facevano sgranare tanto d’occhi per lo stupore. In quei tempi i concerti della banda non erano frequentati e non c’era la radio che oggidì appaga ad esuberanza i bisogni dei musicofili. L’organo dei signori Kullmann era quindi una manna per gli amici della musica squattrinati, e per di più offriva il commento visivo dei motivi che diffondeva sulla piazza grazie al movimento della statuina che faceva tinnire un campanello o dei tamburini che a tratti sottolineavano coi loro movimenti lo scandire dei ritmi”.

La statuina che dominava tutte le altre era quella del direttore d’orchestra (10).

Adulti e ragazzini stavano ad osservarlo per ore prima che Herr Kuhlmann riuscisse a muoverli e a farli entrare sotto il tendone. Prima delle proiezioni chiamava il pubblico a gran voce e a proiezione iniziata annunciava i titoli dei film e ne spiegava il contenuto.

Il Cinematografo Kuhlmann era uno spettacolo nello spettacolo. Nonostante il fracasso infernale, la macchina a vapore che produceva l’energia elettrica per l’illuminazione e la proiezione brillava ai riflessi del sole e della luna, la cassa era luccicante di lustrini e nel bel mezzo vi troneggiava la moglie di Franz Kuhlmann. Per attirare maggiormente gli spettatori si fece ricorso anche all’esposizione di pupazzi di gomma riempiti d’aria, che si libravano nel cielo sopra il tendone, nonché di complicate macchine automatiche, a forma di locomotiva, per distribuire arachidi. Era un impianto ricco e costoso, di conseguenza i prezzi d’ingresso erano un po’ salati.

I primi posti, in fondo al tendone con seggiole mobili, costavano sessanta centesimi; i secondi, nel mezzo, con panche rivestite di velluto, quaranta; i terzi, sotto lo schermo e con nude panche, venti. Nonostante i prezzi il Cinematografo Kuhlmann mantenne sempre la supremazia sugli altri imprenditori del settore presenti negli anni sulla piazza a Bergamo. Questo soprattutto perché, come sosteneva la pubblicità, era il più perfezionato “per la naturalezza delle proiezioni”; l’unico che poteva “disporre di pellicole fino a 250 metri di lunghezza”.

Tra i titoli in proiezione: Nel fondo dell’oceano, Don Chisciotte della Mancia, Cent’anni di sonno, Ladri moderni….e offriva anche “proiezioni di attualità con gli ultimi avvenimenti e fatti del giorno, tra cui alcuni magnifici episodi della guerra russo-giapponese”.

Eccezionale una serata nel 1905, quando, oltre a varie proiezioni, il Cinematografo Kuhlmann mostrò “Un dramma dello sciopero, una splendida proiezione, tratta dalla vita sociale, divisa in sei quadri: 1) l’eroina; 2) il gabinetto del direttore della fabbrica; 3) tumulto e uccisione del padrone; 4) l’arresto del colpevole; 5) alla Corte d’Assise; 6) l’avvenire: davanti all’altare della pace il capitale e il lavoro si trovano uniti” (11).

Luigi Pelandi lo ricordava ancora attivo in Fiera nel settembre del 1909, quando assistette ad una “grandiosa” serata cinematografica a totale beneficio dell’Associazione Studentesca “Pro Italia irredenta”, nonché a due novità: “Gli ultimi scavi di Pompei” e “Torquato Tasso” (12).

La Fiera dell’agosto 1908

In quei primi anni del Novecento, fra i concorrenti di Franz Kuhlmann un posto di primo piano fu occupato da Filippo Leilich, che in Piazza Baroni portò il suo Cinematografo Edison. Egli, per combattere la concorrenza del più fastoso Kuhlmann offriva un programma allettante comprendente proiezioni colorate (i singoli fotogrammi venivano colorati uno per uno da esperti e pazienti pennelli) ed altre novità di richiamo, come la proiezione di un film con una vera trama, Cendrillon (Cenerentola) (13).

Un altro concorrente era il baraccone Zamperla (fondato dal proprietario di un circo minore e diretto dalla vedova, la signora Laura Del Pozzo), che di quando in quando faceva la sua apparizione in Fiera o negl’immediati dintorni, lavorando anche per il Teatro Nuovo. Impresario del settore, lo Zamperla girava le città con un carrozzone, pronto a montare e a smontare i suoi spettacoli; disponeva anche di pellicole pornografiche ufficialmente propagandate come tali. Il baraccone si presentava con un grande organo meccanico tutto luccicante e risonante delle arie operistiche e leggere più in voga. Così era annunciato dalla stampa locale: “È arrivato a Bergamo ed ha piantato le sue tende in Piazza Baroni il Grande Cinematografo Zamperla. Egli ha con sé I’officina elettrica della forza di 40 cavalli e lunedì prossimo inaugurerà un grandioso organo testé arrivato da Parigi…” (14).

Non tutti gli impresari foranei si potevano permettere organi meccanici, qualcuno ricorreva al buon vecchio organetto di Barberia. Come nel caso di quel baraccone (probabilmente il “Cinematografo deal”) di cui parla lo studioso bergamasco Sereno Locatelli Milesi. Non sappiamo, piuttosto, se l’organo serviva anche per le proiezioni (15).

LA SVOLTA 

La scoperta e il lancio di queste ”fotografie in movimento” ebbe presto fortuna; il pubblico ormai non si accontentava più delle vecchie lanterne magiche. I giornali cittadini cominciarono a scriverne un po’ più diffusamente nel 1903 (persino a spiegare cos’era il cinema e come funzionava) e fra il 1904 e il 1905, da fenomeno esclusivamente nomade e fieristico, il cinematografo cominciò ad assumere un tono decisamente più ambizioso, a mollare gli ormeggi e ad entrare nei teatri cittadini, seppur associato al varietà, al cabaret e al music-hall.

Entrò dapprima alla palestra dell’attuale Palazzo de’ Tre Passi, poi al “Givoli” di Piazza Baroni (16), al politeama “Novelli” di Viale della Stazione e, con grave disapprovazione dei benpensanti, addirittura (1899) nel nuovissimo “Donizetti”, erede del vetusto ‘Riccardi” (17), dove pare che, inizialmente, la “vergogna modernista” apparisse come una profanazione (18).

A Bergamo, il cinema entrò per la prima volta in un teatro di tradizione il 5 novembre 1899, quando il “Cinematografo Lumière” presentò al “Donizetti” un programma composto da svariate “vedute”, che occuparono da sole un’intera serata (vi ritroviamo i sopracitati) “Arrivo di un treno ferroviario” e “Uscita dalla fabbrica”). Si trattava ancora di film primitivi, girati dagli operatori dei fratelli Lumière e portati al teatro dall’impresario Terzi: un avvenimento del tutto raro in un’epoca in cui gli spettacoli cinematografici erano mostrati nei baracconi delle fiere o nei caffè-concerto. Probabilmente anzi si tratta di un primato poiché non si ha notizia che il cinema sia stato ospite, prima d’allora, di teatri. Gli intermezzi e il quadro rappresentante la Danza russa dovevano essere accompagnati non da una vera e propria orchestra (a fine secolo ancora non si usava), ma da una delle orchestrine che agivano nei locali al chiuso (non nei tendoni di fiera) per rallegrare il pubblico nelle attese, prima dello spettacolo e negli intervalli. Il cinema tornerà poi diverse volte al “Donizetti”

Subito dopo, nel teatro Nuovo appena inaugurato (19), dove ebbe una successiva brillante vita grazie al dinamico impresario Pilade Frattini, che diede una patente di nobiltà al cinema avendo compreso che ormai la prosa e gli spettacoli del circo non bastavano più (anche al Nazionale, il caffè-ristorante gestito da Pilade Frattini, nel 1906 arriverà il Cinematografo Ungari, che proietterà “vedute modernissime, riflettenti fatti seri di attualità, educativi, istruttivi, nonché aneddoti umoristici”).

Il Teatro Nuovo, in Largo Belotti, inaugurato il 23 marzo 1901

A proiettare film erano gli impresari del settore che giravano le città con confortevoli carrozzoni, pronti a montare e a smontare in teatro i loro impianti. Vanno ricordati in particolare lo Zamperla, il Roatto, i fratelli Marcenaro e il Pettini. Durante gli spettacoli proiettati al Nuovo, i titoli dei film non venivano annunciati, ma il nome dell’impresario sì. E così i manifesti dicevano: ‘Al teatro Nuovo il Cinematografo Roatto’. Alcuni impresari però davano al loro spettacolo il classico nome di fantasia (ad esempio, “Cinematografo Universal”) (20).

Le prime proiezioni erano sistematicamente abbinate a spettacoli di varietà: veniva cioè presentato all’interno dei vari programmi delle sale da spettacolo musical-popolare (come il Politeama Givoli o il Teatro Nuovo), in abbinamento al cabaret e al music-hall. Proprio per le sue modalità di presentazione, il cinema degli inizi è strettamente legato alla musica, che fin dalla fine del secolo scorso è un forte elemento di richiamo (fuori dei baracconi gli impresari nomadi – ad esempio, i già citati Franz Kullmann e Zamperla – collocavano i loro organi meccanici) (21).

La progressiva decadenza della Fiera, sempre più malfamata e fatiscente, portò il cinema in altri teatri: nel marzo del 1908 il glorioso Sociale ospitò proiezioni all’insegna del “Cinematografo Sicsim” (sigla di una compagnia di imprenditori che a maggio assunse il nome di “Cinematografo Excelsior” su iniziativa della società milanese “Industria Cinematografi”). Erano film di prima scelta, proiettati con macchinario d’ultimo modello, perfezionatissimo, veramente importante per la grande fissità delle immagini; eliminando cioè l’inconveniente principale delle proiezioni dell’epoca, il tremolio delle immagini (22).

La stampa locale ammetteva ora – e per motivi a noi noti – che “questo nuovo divertimento, alla portata di tutte le tasche, di tutte le età e condizioni, sostituisce oggi il teatro, specialmente il teatro di prosa”: un processo inesorabile, che diede il via, seppur molto lentamente, alla decadenza dei tipici intrattenimenti popolari (il circo, l’opera, il teatro leggero, ogni forma di spettacolo di piazza).

Fu poi la volta del Rubini, che il 4 agosto 1908 ospitò le proiezioni del “Grandioso Cinematografo Parlante Roosvelt American Cinematograph” (esperimento ante litteram del futuro parlato), che consisteva in un meccanismo che assicurava un approssimativo sincronismo fra proiettore e grammofono (un brevetto del francese Georges Mendel). Non mancava un “grazioso regalo” a tutti i bambini presenti in sala e si permetteva di assistere a più rappresentazioni ”senza ulteriore pagamento. I prezzi: sessanta centesimi in platea; cinquanta nella prima loggia; trenta nella seconda. Molto pubblicizzato il film “dal vero”: Due chinesi a Bergamo. Visitano le nostre antichità e fanno colazione all’hotel Moderno, un film girato in città da Giovanni Vitrotti, il miglior operatore dell’Amrosio di Torino.

L’interno del Teatro Rubini nel 1908

Il cinema arrivò quindi nel retro del bar Concordia, sul viale della Stazione, fino al primo locale permanente della città appositamente adibito agli spettacoli cinematografici: il “Cinema-salone Radium” (23).

CINEMA SALONE RADIUM: IL PRIMO VERO CINEMATOGRAFO

Il “Cinema-salone Radium”, inaugurato il 6 maggio 1909, era un capannone in legno “appositamente” costruito da una ditta di Lovere e si trovava all’incirca dove sorge ora il Credito Italiano (piazza Vittorio Veneto), di fronte al boschetto di Santa Marta (24). Era capace di ben 300 posti a sedere.

Primi del Novecento: la chiesa e il Boschetto di S. Marta, con  il busto eretto alla memoria di Lorenzo Mascheroni, inaugurato nel settembre del 1897. La chiesa, consacrata nel 1357, fu pietosamente abbattuta insieme a parte del monastero a partire dal 1915, per l’edificazione del Centro piacentiniano (Raccolta D. Lucchetti)

Decantato da una pubblicità come “il re dei cinematografi” e un “locale di prim’ordine”, era un baraccone tipo saloon da film western, con alcuni gradini da superare, un ballatoio, colonne di legno, con sala d’aspetto e bar. Vi si respirava un’atmosfera da pionieri. La pubblicità informava che il Radium era l’unico a rappresentare “costantemente le prime novità mondiali, morali, istruttive e ricreative” (25), offrendo tutti i lunedì, mercoledì e sabato un cambiamento di programma. Nei giorni feriali le proiezioni andavano dalle 19.30 in avanti, mentre nei giorni festivi iniziavano alle 14.30. L’ideatore del Radium era il vulcanico Pilade Frattini. (26), in quel periodo impresario del Teatro Nuovo e proprietario-mattatore del Caffè Nazionale.

Il Caffè Nazionale di Pilade Frattini, aperto nella vecchia Fiera

Ma non passò qualche mese che il Radium si trovò ad affrontare la concorrenza di altre due sale cinematografiche: l’Universale, in via Torquato Tasso, e il Cinema Orobico, in piazza Santo Spirito (inaugurato il 23 luglio 1910). Un incendio scoppiato nel marzo 1911 consigliò in gran fretta il trasferimento del Radium in un ambiente in muratura, presso la Società di Mutuo Soccorso. Ma la sala era disagevole e il Radium chiuse il battenti.

Nel ricordo di Luigi Pelandi, al “Radium” si tenevano i maggiori comizi sovversivi capitanati dal gruppo Rocchi, Piccinini, Marcassoli e che durante una mattinata domenicale Filippo Corridoni, presentato da Alfonso Vajana, vi tenne un comizio. Pelandi ricorda anche alcune proiezioni (“La maschera di ferro”, “I misteri di Parigi”, il colossale film “La mano nera”, che ottenne un successo strepitoso) e il prezzo d’ingresso: trenta centesimi per i primi posti (sedie) e venti per i secondi (panche); i manifesti apposti sulla porta a vetri avvertivano che “i militari di bassa forza” e i bambini pagavano la metà (27).

LE PRIME PROIEZIONI: IL CINEMA E’ ABBINATO AGLI SPETTACOLI “NAZIONAL-POPOLARI” E ALLA MUSICA

Anche al “Radium”, così come nei teatri “minori” le proiezioni erano sistematicamente abbinate a spettacoli di varietà, caratteristica fissa del “Radium”, dove sfilavano i più tipici rappresentanti del café-chantant: i loro “numeri” erano talmente apprezzati che il più delle volte il locale faceva la pubblicità non ai film, ma agli ‘intermezzi di varietà’ (28). Anche Umberto Zanetti conferma che al “Radium” le varie sequenze erano accompagnate e commentate da un pianoforte suonato da Pietro Airoldi, uno dei proprietari del locale (29).

Anche Rodolfo Paris, autore di poesie in dialetto bergamasco con lo pseudonimo “Alegher”, nonché primo duca del Ducato di Piazza Pontida, accompagnava al piano alcune proiezioni cinematografiche al Teatro Donizetti e pare fosse bravissimo nell’alternare i vari pezzi da eseguire in sincronia con le immagini (Archivio storico-fotografico Domenico Lucchetti)

Talvolta erano invece i burattini a gareggiare con le attrattive dello schermo, come nel settembre 1899 alla Scuola dei Tre Passi di Via Torquato Tasso, con un “Concerto musicale, cinematografico e trattenimento burattini”; e come nel 1909 al Caffe Concordia sul Viale della Stazione, che per tutto l’anno, sotto l’etichetta “Cinematografo e Fantocci”, proponeva spettacoli gioppinori nutriti di proiezioni di film. Mentre di questi ultimi non erano mai annunciati i titoli, degli spettacoli delle “teste di legno” figuravano sempre, ed assai circostanziati, titoli e sommari (dove Gioppino vi faceva la parte del leone: La caccia di Luigi XI con Gioppino soldato valoroso; i fulmini di Giove ovvero il debito dei’ generale, con Gioppino sentinella; i quattro simili con Gioppino servo; Le risorse per non lavorare, ossia Gioppino finto Sansone; e simili).

Decisamente più bizzarri gli abbinamenti fra il cinema e i fuochi d’artificio (come avvenne il 15 settembre 1899 nel recinto della Fiera, in occasione della ricorrenza del santo patrono), e fra il cinema e la gastronomia. Come avvenne il 4 giugno 1911 nel Salone dell‘Albergo Moderno, in cui si offriva al prezzo di lire 4 tutto compreso una ‘Festa delle rose’ con concerto, film e pranzo, con un menu tutto dedicato alle rose: Potage Rosa Gloria di Bergamo – Controfiletto di bue alla Rosa Eglantine – Polli novelli alla Rosa Lombarda – Insalatina alla Rosa d’Italia – Fragole alla Rosa Rosarum, con biscottini, più mezza bottiglia di Cimarone e mezza bottiglia di Champagne (rosé, probabilmente) (30).

Festa all’Hotel Moderno

Dopo il Cinema Salone Radium si aprirono a Bergamo altre sale. Nel frattempo era nato il divismo (prima, le produzioni non si allontanavano dal documentarismo) e arrivarono i primi kolossal: da Quo Vadis? (1913) a Cabiria (1914) (31).

Dagli anni Venti, oltre ai teatri votati al cinema sorsero altre sale cinematografiche, molte delle quali accompagnarono per decenni i sogni dei bergamaschi. E lo vedremo nel prossimo post.

Note

(1) Umberto Zanetti, “Bergamo d’una volta”. Ed. Il conventino, 1983.

(2) Umberto Zanetti, “Bergamo d’una volta”. Ibidem.

(3) Umberto Zanetti, “Bergamo d’una volta”. Ibidem.

(4) Ermanno Comuzio, “Giornale di Bergamo” del 17 agosto 1962.

(5) Pilade Frattini e Renato Ravanelli, “Il Novecento a Bergamo – Cronache di un secolo”. A cura di Ornella Bramani – Vol. II. UTET. Anno 2013.

(6) Ermanno Comuzio, “Giornale di Bergamo”. Ibidem.

(7) Ermanno Comuzio, “Giornale di Bergamo”. Ibidem.

(8) Ermanno Comuzio, “Giornale di Bergamo”. Ibidem.

(9) Pilade Frattini e Renato Ravanelli, “Il Novecento a Bergamo – Cronache di un secolo”. Ibidem.

(10) “Giornale di Bergamo”, Bergamo 5 aprile 1970.

(11) Pilade Frattini e Renato Ravanelli, “Il Novecento a Bergamo – Cronache di un secolo”. Ibidem.

(12) Luigi Pelandi, “Attraverso le vie di Bergamo scomparsa. II. La strada Ferdinandea”. Banca Popolare di Bergamo. Co-Editore: Edizioni Bolis. Bergamo, 1963 (Collana di studi bergamaschi).

(13) Pilade Frattini e Renato Ravanelli, “Il Novecento a Bergamo – Cronache di un secolo”. Ibidem.

(14) “L’Eco di Bergamo”, Bergamo 10 luglio 1906.

(15) Musica dentro e attorno le proiezioni degli inizi. Di Ermanno Comuzio (Primavera 1992). In: Immagini note di storia del cinema. Nuova serie N. 20. Associazione Italiana per le Ricerche di Storia del Cinema.

(16) Nel maggio del 1897 si erano avute al Politeama Givoli, in Piazza Baroni rappresentazioni del ‘Reale Cinematografo Lumière’ di proprietà di Giuseppe Filippi, in cui il cinema aveva il compito di concludere lo spettacolo della ‘Compagnia Eccentrica di Varietà’ composta di cantanti, clowns femminili e ‘monologhisti’ (Musica dentro e attorno le proiezioni degli inizi. Di Ermanno Comuzio (Primavera 1992). In: Immagini note di storia del cinema. Nuova serie N. 20. Associazione Italiana per le Ricerche di Storia del Cinema).

(17) Il cinema tornerà poi diverse volte al “Donizetti”, come quando nel 1906 si proiettano pellicole sotto la complicata etichetta di Electro-Chrono-Projecteur; o nel 1907, quando sul telone del teatro si mostrano scene girate a Bergamo, per le strade; o nel 1913 quando si presenta il kolossal storico Quo Vadis? accompagnato dalla musica di un’orchestra sinfonica (il cinema era muto, a quei tempi); o nel 1914, anno in cui arriva il film italiano più famoso del periodo, Cabiria. Nel 1919 venne proiettato Christus. I tre film ottennero un successo clamoroso, sicuramente anche per l’ottimo adattamento musicale del maestro Tironi, che con Cabiria seppe adeguare le musiche a quanto accadeva sullo schermo, precorrendo così le moderne soluzioni del sempre più stretto rapporto sonoro-immagine (Pilade Frattini e Renato Ravanelli, “Il Novecento a Bergamo – Cronache di un secolo”. Ibidem).

(18) Quando fu la volta del Donizetti, si scatenarono polemiche perché la “vergogna modernista” appariva come una profanazione. Si stabilì quindi di allestire cinematografo e sala di proiezione nell’atrio, e ciò a partire dall’aprile del 1908 sotto l’etichetta “Cinematografo Centrale” o anche “Cinematografo Permanente”. Curiosamente, durante la stagione della Fiera, mentre dentro il teatro si rappresentavano le opere, le proiezioni nel foyer erano perlopiù “accompagnate da un sonoro estemporaneo composto dagli acuti del tenore e dai pieni dell’orchestra che passavano le pareti”. Finalmente, nel 1912 le proiezioni trovarono posto anche all’interno del teatro per durare diversi anni (Pilade Frattini e Renato Ravanelli, “Il Novecento a Bergamo – Cronache di un secolo”. Ibidem).

(19) Nel maggio 1901 nel Teatro Nuovo da poco inaugurato si ha uno «Svariato spettacolo per l’artista Oreste Donnini, oltre al Cinematografo Lumière ed intermezzo di prosa e di canto per Ada Mancinelli». Il film proiettato in questa occasione, frammezzo alle altre esibizioni, è Le petit Poucet, fiaba in 20 quadri tratta da Perrault (Pathé) – (Musica dentro e attorno le proiezioni degli inizi. Di Ermanno Comuzio (Primavera 1992). In: Immagini note di storia del cinema. Nuova serie N. 20. Associazione Italiana per le Ricerche di Storia del Cinema).

(20) Pilade Frattini e Renato Ravanelli, “Il Novecento a Bergamo – Cronache di un secolo”. Ibidem.

(21) Musica dentro e attorno le proiezioni degli inizi. Di Ermanno Comuzio (Primavera 1992). In: Immagini note di storia del cinema. Nuova serie N. 20. Associazione Italiana per le Ricerche di Storia del Cinema.

(22) Dal programma della prima serata: “Parte prima: Giuramento bretone (dramma commoventissimo); I lunatici (cinematografia fantastica a colori); Amore di bandito (dramma commoventissimo); Buon occhio di gendarme (comicissimo)” (Pilade Frattini e Renato Ravanelli, “Il Novecento a Bergamo – Cronache di un secolo”. Ibidem)

(23) Pilade Frattini e Renato Ravanelli, “Il Novecento a Bergamo – Cronache di un secolo”. Ibidem.

(24) Alcuni autori, ad es. Umberto Zanetti, che forse ha ripreso la notizia dal Pelandi (citati in “Riferimenti”), scrivono che “Il 6 maggio 1909 accanto al Bramati, all’interno del recinto della Fiera, s’inaugurava il primo cinematografo della città, il Salone Radium”. Per questo motivo, altrove si legge che il Cinema Salone Radium fu l’antenato del futuro Centrale, sul Sentierone, chiuso nel 1997).

(25) All’inizio del 1910 i giornali annunciavano che “d’intesa con la Lega Navale Italiana, al Cinematografo Salone Radium, di fronte al boschetto di Santa Marta, ogni venerdì avverrà la proiezione di uno speciale programma: rappresentazioni dal vero di soggetti nautici, vita nelle colonie, vedute marine panoramiche ecc. Scopo dell’iniziativa è di dare intrattenimenti divertenti e istruttivi cercando di seguire possibilmente un ordine metodico nei programmi delle proiezioni. Alle proiezioni potranno assistere gratuitamente gli alunni delle scuole comunali”. L’utile era “destinato ad aumentare il fondo per il terzo viaggio d’istruzione per mare al quale sono iscritti anche alcuni bergamaschi” (Ermanno Comuzio per il “Giornale di Bergamo” del 14 luglio 1962).

(26) Pilade Frattini e Renato Ravanelli, “Il Novecento a Bergamo – Cronache di un secolo”. Ibidem. Con inserti di Ermanno Comuzio per il “Giornale di Bergamo” del 14 luglio 1962.

(27) Luigi Pelandi, “Attraverso le vie di Bergamo scomparsa. II. La strada Ferdinandea”. Ibidem.

(28) Ecco un programma tipico [10 febbraio 1912): Parte I – Triste valzer, straordinarie scene drammatiche passionali; Visioni alpestri, interessante cinematografia dal vero. Parte II ­ Intermezzo artistico di varietà. Les Del Cigno, trio artistico-comico di canto, continuo grande successo. Parte III – Il dito del destino, nuovo dramma emozionantissimo; Viaggio di nozze a tre, comica. Prezzi d’ingresso: Primi Posti cent. 40, Secondi Posti cent. 20, Soldati e bambini pagano la metà (Musica dentro e attorno le proiezioni degli inizi. Di Ermanno Comuzio (Primavera 1992). In: Immagini note di storia del cinema. Nuova serie N. 20. Associazione Italiana per le Ricerche di Storia del Cinema).

(29) Umberto Zanetti, “Bergamo d’una volta”. Ibidem.

(30) Musica dentro e attorno le proiezioni degli inizi. Di Ermanno Comuzio (Primavera 1992). In: Immagini note di storia del cinema. Nuova serie N. 20. Associazione Italiana per le Ricerche di Storia del Cinema.

(31) L’Eco di Bergamo, 13 febbraio 1985. All’Ateneo La conversazione di Ermanno Comuzio sulla nascita del cinema a Bergamo.

Riferimenti principali

Pilade Frattini e Renato Ravanelli, “Il Novecento a Bergamo – Cronache di un secolo”. A cura di Ornella Bramani – Vol. II. UTET. Anno 2013.

Immagini note di storia del cinema. Nuova serie N. 20. Associazione Italiana per le Ricerche di Storia del Cinema. Il capitolo: Musica dentro e attorno le proiezioni degli inizi. Di Ermanno Comuzio (Primavera 1992).

L’Eco di Bergamo, 13 febbraio 1985. All’Ateneo La conversazione di Ermanno Comuzio sulla nascita del cinema a Bergamo.

Umberto Zanetti, “Bergamo d’una volta”. Ed. Il conventino, 1983.

Luigi Pelandi, “Attraverso le vie di Bergamo scomparsa. II. La strada Ferdinandea”.  Banca Popolare di Bergamo. Co-Editore: Edizioni Bolis. Bergamo, 1963 (Collana di studi bergamaschi).

Sul Sentierone alla vecchia Fiera, tra il “Nazionale” ed altri Caffè

Il Sentierone con i suoi famosi “Caffè”, nel 1914

Verso la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento, nei locali della Fiera che si affacciavano su Sentierone fiorivano quattro splendenti caffè-ristoranti: il Gambrinus, verso la chiesa di San Bartolomeo, punto di ritrovo dei giornalisti e dei tifosi di sport: calcio e soprattutto ciclismo;  il Centrale, all’ingresso della Fiera, frequentato da professionisti ed impiegati e più tardi trasformato in Cinema Centrale; il Bramati, ritrovo preferito di alcuni giornalisti, frequentato da pensionati e da studenti e sede di dibattiti e comizi politici. Ultimo, ma non ultimo, il Nazionale, presso il torresino che guardava verso Porta Nuova, più o meno nella stessa posizione in cui si trova l’attuale: era frequentato dalla gioventù “bene” e grazie al vulcanico Pilade Frattini divenne il centro della vita mondana della città, o meglio, il simbolo della Belle Époque in salsa orobica.

Quattro torri angolari delimitavano i lati dell’ ”insigne fabrica” della Fiera. Erano rozze, basse, tutt’altro che slanciate: perciò venivano chiamate “torresini”. Nei due torresini prospicienti l’Ospedale di San Marco (di cui oggi resta solo la chiesa) avevano le loro sedi il Tribunale della Sanità e i Conservatori della Fiera. Nel torresino che dava verso il portello delle Grazie (in fotografia) erano gli uffici delle Vettovaglie: qui sorgeva il caffè Nazionale. Il torresino vicino alla chiesa di San Bartolomeo, ospitava il Tribunale della Giustizia: accanto sorgeva il caffè Gambrinus e, nel mezzo, il Bramati ed il Centrale (chiuso nel 1914 per dare spazio al Cinema Centrale)

IL CAFFE’ GAMBRINUS

Presso il torresino della Giustizia, e proprio tra le ultime botteghe affacciate sul Sentierone, era il Gambrinus, vicino alla chiesa di San Bartolomeo. Caffè alla moda e punto di ritrovo dei giornalisti, era frequentatissimo dai commercianti ma soprattutto dei tifosi di sport: durante le corse di ciclismo, il Gambrinus era il centro delle informazioni sull’andamento delle competizioni.

Il Gambrinus, presso la Fiera

Fra i giornalisti, alcuni si salutavano fraternamente, altri si guardavano in cagnesco dopo essersi lanciati accuse ed insulti sulle colonne dei rispettivi  giornali. Tra i tifosi di sport invece, il più appassionato era certamente il Gamba, il suo eroe era Enrico Brusoni, allora campione italiano del ciclismo su strada.  

Il Sentierone nel 1914, nei pressi del Gambrinus. Tramanda il Pelandi che il Gambrinus era condotto prima del 1900 da Aristide Mangili, a cui seguì Gamba e più tardi Aroldo Carini, venuto dalla “Cervetta” e poi passato al caffè del Teatro Donizetti, Tra i giornalisti del Gambrinus, Giulio Pavoni, Franco Armando Tasca, Massinari,  Parmenio Bettòli, Carlo Zumbini, Adobati, salumiere con negozio in viale Roma e corrispondente a tempo perso del “Secolo”, quotidiano radicale milanese (1)

Ma questo caffè  era soprattutto rinomato per le battute umoristiche che partivano dal cosiddetto tavolo degli aristocratici, attorno al quale convenivano verso sera l’avvocato Giuseppe Brignoli, il dottor Francesco Negrisoli, il giornalista-scrittore Giovanni Banfi, lo scultore Alfredo Faino, che non era ancora partito per la Francia e che aveva il domicilio in Fiera.

La tavola del Gambrinus era la calamita di quei clienti che cercavano l’allegria come aperitivo all’ora del pranzo. La sorgente del buon umore partiva dalla triade Banfi, Faino Brignoli, quest’ultimo umorista più unico che raro.

Lo scultore Alfredo Faino in posa nel suo studio durante la realizzazione della imponente statua della Vittoria da collocare nella Torre dei Caduti (Archivio fotografico – Fondazione Bergamo nella Storia)

 

Il caravaggino Giovanni Banfi, autore dei noti “Racconti della Bassa”, negli anni intorno al 1907 scriveva per la “Gazzetta della Provincia” (di cui diventerà direttore), che si stampava presso Ia tipografia Isnenghi, la quale aveva l’officina in via Verdi, dove sorse il cinema “Mignon” poi divenuto Ritz (nella foto). Banfi, che dedicava notevole spazio alla critica teatrale, è ricordato da Umberto Zanetti come elegante e inappuntabile, col guanto penzolante, le ghette, il bastoncino da passeggio con il pomolo d’argento e la cravatta all’ultima moda. Con Faino e Vincenzo Monetti “formava un trio spensierato di scanzonati bohémiens”. Banfi è scomparso nel 1959

Nella bella stagione aleggiava lungo il Sentierone il suono delle orchestrine che si esibivano all’aperto per i clienti dei Caffè. Si udivano i valzer viennesi di Strauss e quelli parigini di Waldteufel, la napoletana “Santa Lucia” e il “Sogno” di Schumann, le melodie della “Vedova allegra” di Franz Lehar, le note della celebre barcaiola di Offenbach; in certe sere domenicali si potevano ascoltare un tenore o un soprano intonare raffinate melodie, oppure un bravo violinista creare atmosfere piene di magia.  Il blues, il dixieland e i ritmi sincopati erano ancora di là da venire (2).

I componenti di questi complessi musicali erano giovani professionisti diplomati, che avevano alle spalle anni di studi rigorosi e che tuttavia non disdegnavano di suonare nei café chantant o nelle sale cinematografiche quando si chiudevano i sipari sulle ultime rappresentazioni delle varie stagioni operistiche cittadine (quella di carnevale al Nuovo, quella di mezza quaresima al Sociale e quella di Fiera al Donizetti). Tra questi suonatori, Oreste Tiraboschi (che dal 1913 faceva parte dell’orchestra “Gaetano Donizetti” diretta dal maestro Achille Bedini), che aprì più tardi un negozio di strumenti musicali. Renzo Avogadri (Rasghì), celebre componente del Ducato di Piazza Pontida, era al violino. 

IL CAFFE’-RISTORANTE CENTRALE

Il Centrale seguiva al Gambrinus. Caffè-ristorante di buona nomea, era frequentato da numerosi professionisti e da impiegati di concetto, che qui convenivano coi gruppi familiari per “ciacole” serali e per combinare lunghe partite a scopa, partite di “famiglia” che duravano fino alla chiusura dell’esercizio.

La Fiera nel 1908

Ma un giorno del 1914 il Caffè Centrale, condotto da Bernardo Speranza e da Giuseppe Tiraboschi detto Dindo, cessò la sua attività. Nel locale, opportunamente riattato, il 15 agosto iniziarono le proiezioni del Cinema Centrale, diretto da Pietro Airoldi, lo stesso gestore del Cinema Salone Radium, il primo cinematografo di Bergamo. Dopo aver dato – fra l’altro – alcuni “numeri” di varietà, tutti sboccatucci e licenziosetti, il Centrale, acquisito da Giulio Consonno, ridimensionò i richiami erotici e dirottò la programmazione verso il repertorio poliziesco. Giulio Consonno darà nuovo spazio agli spettacoli di varietà prima rilevando il Teatro Nuovo e poi edificando il Teatro Duse.

Quando la vecchia Fiera verrà demolita e sorgerà il nuovo centro di Bergamo, il Cinema Centrale sopravviverà all’angolo del Quadriportico del Sentierone.

Il Cinema Centrale, nel nuovo centro piacentiniano, prima della ristrutturazione (per gentile concessione di Antonella Ripamonti). Il primitivo Cinema Centrale (quello nella vecchia Fiera) iniziò le proiezioni il 15 agosto 1914. “Fra una pellicola e l’altra si arrotola il lenzuolo dello schermo e si diverte il pubblico con scenette comiche, balletti e altri “numeri” di varietà, tutti sboccatucci e licenziosetti. I rampolli della “Bergamo bene” accorrono a frotte e sperperano i loro centesimi nella nuova sala, che i genitori scandalizzati definiscono “uccellanda diabolica”. A sera, quando gli uccellini irretiti si degnano di rincasare, odono compunti i brontolamenti materni e subiscono contriti le severe lavate di capo dei padri infuriati  (Umberto Zanetti, “Bergamo d’una volta”, cit. in Riferimenti)

IL CAFFE’ BRAMATI

Il Caffè Bramati si apriva dopo il cancello della seconda tresanda. Il proprietario era il signor Camillo, un ometto sempre serio, dignitoso, con un berretto di seta nera con visiera in testa e leggermente claudicante. Di lui il Pelandi ricordava  (anche) i gustosi spuntini: prosciutto cotto alto un dito, innaffiato da un certo vinello frizzante, al prezzo di una lira, mancia compresa.

Caffè Bramati, “bigliardi, birreria”

Il “Bramati” era il ritrovo preferito di alcuni giornalisti di quel tempo e fra essi, Carlo Zumbini, il direttore della “Gazzetta Provinciale”, il battagliero competitore di Parmenio Bettòli, allora direttore-proprietario-fondatore della “Nuova Gazzetta”. La “Provinciale” parteggiava per il partito moderato conservatore, l’altra doveva essere l’organo del partito monarchico liberale. La lotta fra i due giornali, o meglio fra i due giornalisti, fu decisa, aspra, senza quartiere. Altro habitué era Francesco Scarpelli, che dirigeva il “Giornale di Bergamo” ma fu costretto a lasciare la nostra città perché inviso ai fascisti.  

Vicino al “Bramati” aveva sede il “Club di ricreazione” sorto dopo la chiusura del “Casino dei Nobili”, già funzionante al primo piano della casa Goggi in via XX Settembre e come esso svolgente, in tono più modesto, le stesse finalità. Casa Goggi, ritrovo soprattutto delle famiglie degli impiegati statali, faceva parte di uno stabile acquistato nel 1882 da Grazioso Goggi, dove si trovava anche lo storico negozio Goggi (a destra della foto), che era preceduto dalla altrettanto storica Libreria Conti. Grazioso Goggi aveva creato, oltre alla facciata, un libero passaggio pedonale comunicante con via Zambonate, all’interno del quale esponeva le sue merci

IL CAFFE’ NAZIONALE

Di tutti, il Nazionale era il più rinomato. Il caffè ristorante occupava parte del torresino rivolto verso Porta Nuova ed altre botteghe sino al primo cancello della Fiera.

Il torresino rivolto verso Porta Nuova era occupato dal caffè Nazionale insieme ad altre botteghe, sino al primo cancello della Fiera

Il locale era stato rilevato da Pilade Frattini, un impresario dotato di tanta originalità ed inventiva, geniale scopritore di talenti ed organizzatore impareggiabile di molti spettacoli teatrali.

Il Caffè Nazionale, già Trattoria della Speranza. Sui cristalli, facevano bella vista fotografie di ballerine “mezzo ignude”, di soubrettes, di balletti can-can, di musicanti, giocolieri, cantanti alla moda. “Una meraviglia. I bigotti, passando, chiudevano gli occhi, si facevano il segno della croce, pronunciavano segrete preghiere” (Raccolta D. Lucchetti)

 

Frattini Pilade, il vulcanico impresario che acquistò il Caffè Nazionale nell’anno 1900 (gestendo dal 1904 anche il Teatro Nuovo, nonché il Casinò di San Pellegrino), trasformandolo da caffè-ristorante-birreria a una sorta di café chantant, con tanto di teatrino, scuotendo la sonnacchiosa Bergamo

Capitato a Bergamo intorno al 1900,  l’aveva rilevato da Pietro Balicco, che a sua volta l’aveva acquistato nel 1894, trasformando la Trattoria della Speranza in Caffè Nazionale.

Sul Sentierone, il Caffè Nazionale, frequentato dalla gioventù “dorata” di Bergamo. La clientela, per quei tempi, sufficientemente spensierata, godeva dell’ammirazione di chi non poteva varcare le solenni “soglie” (la ripresa è del 1907)

Il Frattini mise al banco della cassa Emilia, la consorte – un’affascinante bionda – e per richiamare gente assunse in servizio, in qualità di camerieri, degli autentici cinesi, vestiti all’orientale: tutta la città parlava divertita di questi camerieri esotici, che incuriosivano per le ciabatte dipinte, i paludamenti sgargianti e i capelli raccolti a codino.

Caffè-ristorante Nazionale. Il cartellone pubblicitario con le opere liriche al Teatro Donizetti fornisce una doppia indicazione: sull’anno in cui venne scattata la fotografia (dopo il 1897, quando il teatro venne inaugurato nel nome di Gaetano Donizetti) e sulla stagione (era d’autunno) – (Archivio Fotografico – Museo delle Storie di Bergamo)

Frattini introdusse i concerti musicali “senza aumento delle consumazioni”, si inventò svariate iniziative che ora definiremmo di marketing e cercò, riuscendoci, di far sì che il Nazionale fosse più di un esercizio pubblico, ma il centro della vita mondana, artistica e intellettuale, portandovi una ventata di aria metropolitana.

Da una rivista del 1900

All’interno del locale, oltre a riservare alcune salette al gioco – sua perenne e fatale passione -, Frattini fece un teatrino di varietà, una specie di “cabaret” nel quale si esibì per una quindicina d’anni il fiore dei cantanti famosi, dei musici, delle soubrette, delle ballerine, dei comici e dei giocolieri dell’epoca. Per il suo teatrino aveva costruito persino i camerini degli artisti ed un apposito fondale.

In questa foto risalente ai primi anni del Novecento, il grande Salone Teatro del Nazionale nell’Antica Fabbrica della Fiera, ai tempi in cui il locale era gestito da Pilade Frattini. Il salone, nel quale si tenevano anche feste e dei banchetti, era posto al piano superiore e venne a un certo punto affittato da Frattini al rinomatissimo Circolo Commerciale Agricolo e Industriale, che raccoglieva i maggiori commercianti ed industriali di città e provincia fra i quali il “Pesentù”, il fautore della direttissima Bergamo-Milano

Scriveva Geo Renato Crippa che a frequentare il locale erano “i ricchi di città e di borgate, la crème della nobiltà, i viveurs e gli elegantoni, quelli che portavano il cappello verde, gli abiti confezionati da Prandoni in Milano, calzavano le scarpe del classico Assuero Rota di Città Alta, frequentavano il Cappello d’Oro ed il Concordia di Viale Roma, magari sostenevano ‘donnette’ di qualche avvenenza, pagandole a ‘mesata’ (era molto chic), non mancavano ogni mattina, sul tardi, di sbarbarsi dal barbiere ‘Biffi’ di Via Torquato Tasso”. Questi signori, potevano in verità vantarsi di una visitina – una volta tanto – “al Cova, al Savini od al Bonola di Milano, ai Casinò di San Remo o di Montecarlo, celando tali scappate alle fedelissime consorti, alle fidanzate, alle madri intransigenti e sospettose.

Al Nazionale arrivavano, in gruppo, per l’aperitivo; non più il ‘bianchino’ delle trattorie, del Garibaldi o del Gambrinus, bensì il Campari, il Carpano, il Cinzano ed il Martini o, più fine ancora, il Costumé Cannetta , un rosé milanese di classe”.

Alle cinque del pomeriggio qualche elegante divetta ingaggiata dal Frattini si degnava di fare un’apparizione lungo il Sentierone per farsi ammirare dagli snob. Le dame dell’aristocrazia e le signore della borghesia sbirciavano passeggiando sussiegose e le loro occhiate tradivano fuggevolmente l’invidia.

“Tediose sofferenze turbavano le signore altolocate alle quali, in diverse oocasioni, l’entrata era vietata. Per il Nazionale, a Bergamo, si farneticava. Se non stavano più nella pelle le nobildonne scontente dei raggiri, delle bugie e del grosso di fandonie ad esse propinate da padri, mariti e figli, addirittura le giovinette accoravansi di essere tralasciate a profitto di ‘divette’ straniere delle quali si narravan ‘mirabilie’ a ripetizione. Bizzarrie scuotevan dame e fanciulle sino ad obbligarle a trascorrere sul Sentierone, all’Isacchi , ore ed ore, in attesa spietata di assistere al passaggio delle ‘compagnie’ contrattate per serate illuminanti. Lo scodinzolamento delle ‘invidiate’ succedeva, quasi sempre, intorno al mezzogiorno o alle cinque del pomeriggio. Le critiche rattristavano i purlottii e le denuncie dei salotti i più affollati. Non mancavamo, mai, recriminazioni, accuse, denuncie e qualche lacrimuccia. Le constatazioni ferivano e come” (Geo Renato Crippa, in Riferimenti)

Nel 1906 al Nazionale arrivò persino il cinematografo, o meglio, il Cinematografo Ungari, che proiettava “vedute modernissime, riflettenti fatti seri di attualità, educativi, istruttivi, nonché aneddoti umoristici”.

Al café chantant di Pilade Frattini giunse anche Gea della Garisenda, bella e agilissima. Il suo “Inno a Tripoli” fu un trionfo. Il pubblico andò in visibilio vedendo la brunetta emiliana entrare in scena con un cappello da bersagliere in testa, nuda sotto una grande bandiera tricolore, che l’avvolgeva tutta, ed ascoltandola effondere la generosa voce di mezzo-soprano nelle note marziali di “Tripoli, bel suol d’amore…”.

Grande Caffè Ristorante Nazionale. Si noti anche la dicitura “Ristorante Frattini”

Pietro Mascagni, a Bergamo per assistere ad una recita della sua “Cavalleria”, che si dava al Donizetti sotto la prestigiosa direzione del napoletano Leopoldo Mugnone, volle godersi lo spettacolo della ”diva” seduto in prima fila nel teatrino del Nazionale.

Il primo “Nazionale” sul Sentierone, nei locali della demolita Fiera. Come indicano le scritte sul muro, il celebre caffè ospitava anche la sede dell’Automobil club e il Garage Frattini (da “C’era una volta….” di Pino Capellini, Ferruccio Arnoldi Editore)

Quando l’estroso e geniale caffettiere, che dal 1908 dispose di un aereo personale, diventò impresario, con Giovanni Ceresa, del Teatro Nuovo, non finì di far strabiliare. Da buon impresario teatrale (suo a Roma il teatro Frattini), gestì il Nuovo in prima persona, facendone uno dei teatri italiani più vivi e à la page, trasformandolo in un vero e proprio centro d’attrazione per ogni genere di spettacoli. Grazie a lui il teatro divenne la sala più polivalente della città, rendendo memorabili i primi anni del Novecento.

Quando a San Pellegrino si aprirono le sale da gioco, Frattini era il patron del Casinò: alla sua esperienza, alla sua vivace spregiudicatezza ricorsero i promotori e gli organizzatori. Fra lo sfoggio degli smoking e lo sciupio dello champagne, un fiume di denaro affluì da Milano al centro termale brembano. ll patron tentò qualche colpo al banco da gioco ed ebbe fortuna.

Poi venne la guerra del ‘15-’18, con le inevitabili restrizioni; bardature, oscuramento, tesseramento, limitazioni di generi di lusso. Il Nazionale languiva. Dopo la disastrosa rotta di Caporetto, arrivarono anche a Bergamo numerosi militari feriti e si allestì per loro una infermeria nella sede del vecchio Ricovero delle Grazie. La gente non pensava più a divertirsi.

All’inizio del 1917 Frattini pensò bene di disfarsi dell’esercizio, cedendo il locale al pasticcere Luigi Isacchi (1-1-1917), noto per avere creato il tipico dolce bergamasco della polènta e osèi. Nel vecchio café chantant, adibito a pasticceria, regnava ora un discreto silenzio; all’ora del tè qualche signora sedeva ai tavolini biancodorati in stile impero per sorseggiare compostamente un bicchierino di rosolio: Bergamo – scriveva Crippa – si trovava ora “spenta e muta, ricadendo nella sua monotonia, nei ritorni alle preferenze ineleganti. Quanti la sera vestivano lo smoking si persero come nebbia di pianura…. Il floscio riportò Bergamo alla sua semplicità ancestrale”.

Un giorno, richiamato dalla passione del gioco, Pilade Frattini andò a Stresa e puntò ostinatamente un numero alla roulette per tutta la notte: all’alba, disperato, dopo aver dilapidato una fortuna, stramazzò al suolo. Un colpo apoplettico lo aveva stroncato: era il 1920.

Il Sentierone nel 1920. Questa parte della Fiera fu l’ultima ad essere abbattuta, mentre dietro già si costruiva (Raccolta D. Lucchetti)

Di tutti i locali incontrati nel corso della nostra passeggiata, il  Nazionale è l’unico dei quattro che ha continuato a vivere – dapprima come caffè-ristorante e poi solo come caffè – anche dopo l’abbattimento della Fiera e la costruzione del Centro piacentiniano: e lo si deve anche alla notorietà del vecchio locale e alle iniziative di Pilade Frattini.

Dopo Frattini, sarà Pietro Bardoneschi ad averlo in gestione, quando aprirà la nuova e attuale sede sotto i portici, che nel 1925 vedrà nascere anche il primo Rotary Club della cittadina.

Il bar del ristorante Nazionale dopo la riedificazione (1923) nel quadro del più vasto progetto urbanistico curato dall’architetto Marcello Piacentini

 

Uno dei saloni da pranzo del ristorante Nazionale dopo la riedificazione (1923) nel quadro del più vasto progetto urbanistico curato dall’architetto Marcello Piacentini. Il servizio di ristorazione continuò sino a quando, intorno agli anni novanta, il Nazionale si ridusse a solo Caffè

 

Uno dei saloni da pranzo del ristorante Nazionale dopo la riedificazione (1923) nel quadro del più vasto progetto urbanistico curato dall’architetto Marcello Piacentini

Nel 1936, sotto quei portici prese posto il caffè Balzer, con la sua sobria e nobile eleganza, impostata da una famiglia originaria del Liechtenstein. Balzer e Nazionale, che non mancavano mai in ogni reportage dal Sentierone, accoglievano gli spettatori che uscivano dal Teatro Donizetti, tenendo aperto anche fino alle due di notte.  

In quegli anni, quando la tradizione del caffè come luogo d’incontro era ancora viva e intellettuali, artisti e “bella gente” passavano le giornate ai tavolini, sul Sentierone c’era un dualismo alla Coppi e Bartali: dall’altra parte della strada, sempre nel ’36 nel palazzo della Popolare era stato aperto un caffè il cui nome ricordava l’euforia da Impero: il Moka Efti, famoso nel Dopoguerra per i concerti serali e diventato poi l’attuale Caffè del Colleoni.

Bergamo, anni trenta; il maestro Sala con la sua orchestra al caffè Nazionale sul Sentierone (proprietà A. Sala, in Riccardo Schwamenthal, Jazz a Bergamo. Ricordi, testimonianze, documenti dagli anni trenta agli anni Settanta- Archivio Storico Bergamasco. Nuova Serie n. 2, maggio-agosto 1995)

 

Bergamo, 1945. L’orchestra di Aldo Sala al caffè Moka Efti sul Sentierone: Aldo Sala pianoforte, Angelo Kadaelli batteria, Orlando Mazzoleni contrabbasso, Rino Gabellinl sassofono tenore, Gian Maria Berlendis violino; [?] Canavesi tromba, Ada Bondi cantante (proprietà A. Sala, in Riccardo Schwamenthal, Jazz a Bergamo. Ricordi, testimonianze, documenti dagli anni trenta agli anni Settanta- Archivio Storico Bergamasco. Nuova Serie n. 2, maggio-agosto 1995)
Il celebre Moka Efti del secondo Dopoguerra, ha visto i più bei nomi del jazz italiano e locale esibirsi per il pubblico bergamasco. Mitico il suo aperitivo “giallo” Martini con oliva verde, servito in coppetta da cocktail “Martini”. Oggi i locali sono occupati dal bar Colleoni 

All’estremo  dei portici, verso Largo Belotti, era invece attivo il Savoia, chiuso in età repubblicana nel 1956 (?).

Caffè Savoia sul Sentierone

In quello stesso ’56, al Nazionale si erano ritrovati gli artisti che avevano firmato il manifesto del Gruppo Bergamo. Ma nel 1945 il Nazionale-Concordia era stato anche una mensa di guerra.

Tra alti e bassi, è arrivata la chiusura a giugno 2006. Il locale ha riaperto esattamente dopo un anno di ristrutturazione con un nuovo nome “212 barcode” (212 è il prefisso dell’area di New York) e un arredo postmoderno. Tra cambi di gestione e licenze contese, finite nelle aule del tribunale, il 1° settembre 2011 il locale a riacquisito il nome Nazionale, ma non la vecchia atmosfera: se oltre un secolo fa nelle sue eccentricità Pilade Frattini aveva preso come camerieri degli autentici cinesi, con vestiti orientali e tanto di codino (come dovevano essere nell’immaginario dell’epoca), i cinesi, senza codino, prendevano ora in gestione il locale, per tenerlo fino al  2015, quando subentrava un’altra società cinese, che ha chiuso i battenti  alla fine del 2020. Si mormora che il Nazionale sia in procinto di rifarsi il look con importanti lavori di ristrutturazione, che puntano a farlo tornare tra i locali simbolo e più frequentati del centro.

Note 

(1) Negli ultimi anni dell’Ottocento a Bergamo si pubblicavano tre quotidiani: “L’Eco di Bergamo”, d’ispirazione cattolica, diretto da Gian Battista Caironi; la “Gazzetta Provinciale”, organo indipendente diretto da Parmenio Bettòli; e l’”Unione”, foglio liberale diretto da Enrico Mercatali. L’”Unione”, fondata nel 1891, ebbe vita breve; cessò le pubblicazioni nel 1900. Vi aveva fatto le ossa Franco Armando Tasca, il quale poi diresse il “Giornale di Bergamo”, emigrando infine a Pavia dove diresse un altro giornale, spegnendosi in tarda età. Scrittore intelligente e fecondo, aveva anche trovato il tempo per scrivere una storia di Bergamo, che fu pubblicata a puntate dal “Gazzettino” di San Pellegrino Terme Luigi Pelandi, “Attraverso le vie di Bergamo scomparsa. II. La strada Ferdinandea”.  Banca Popolare di Bergamo. Co-Editore: Edizioni Bolis. Bergamo, 1963 (Collana di studi bergamaschi).

(2) “…in certe sere domenicali si potevano ascoltare un tenore nelle melodie di Tosti e di Denza e un soprano nella “Leggenda valacca” di Braga e nelle raffinate ariette in stile antico di Stefano Donaudy, nonché un bravo violinista nella “Serenata medioevale” di Silvestri, nella romanza andalusa di Sarzate, e in qualche virtuosa variazione su temi zingareschi (…) I componenti di questi complessi musicali erano giovani professionisti diplomati, che avevano alle spalle anni di studi rigorosi e che tuttavia non disdegnavano di suonare nei café chantant o nelle sale cinematografiche quando si chiudevano i sipari sulle ultime rappresentazioni delle varie stagioni operistiche cittadine (quella di carnevale al Nuovo, quella di mezza quaresima al Sociale e quella di Fiera al Donizetti). Tra questi suonatori, Oreste Tiraboschi, un violoncellista mantovano diplomatosi nel 1909 presso l’Istituto Donizetti; dal 1913 faceva parte dell’orchestra “Gaetano Donizetti” diretta dal maestro Achille Bedini. Il complesso (due pianoforti: Tironi e Briccoli; due violini: Avogadri e Pesci; due violoncelli: Airoldi e Tiraboschi) eseguiva musica da camera nella sede di via Pignolo. Il Tiraboschi aprì più tardi un negozio di strumenti musicali. Altri musicisti, Osvaldo Legramanti, contrabbassiste; Giovanni Marigliani, violinista; Eugenio Tironi… (“Umberto Zanetti, “Bergamo d’una volta”. Ed. Il conventino, 1983).

Riferimenti

Umberto Zanetti, “Bergamo d’una volta”. Ed. Il conventino, 1983.

Luigi Pelandi, “Attraverso le vie di Bergamo scomparsa. II. La strada Ferdinandea”.  Banca Popolare di Bergamo. Co-Editore: Edizioni Bolis. Bergamo, 1963 (Collana di studi bergamaschi).

Geo Renato Crippa, “Bergamo così (1900 – 1903?)”.