La curiosa beffa della tomba di Bartolomeo Colleoni

Bartolomeo Colleoni, particolare dell’affresco eseguito nel Luogo Pio Colleoni di Bergamo

Il «giallo» legato alle sorti dei resti di Bartolomeo Colleoni ebbe inizio nel 1913  in seguito alla visita a Bergamo di Vittorio Emanuele III e alla mancata risposta ad una sua semplice domanda: “Il Colleoni si trova nell’arca superiore o inferiore?”

Due ali di folla, con bandiere, applausi e grida “Viva il re!” al passaggio a Porta Nuova del corteo con l’auto – scortata da carabinieri in bicicletta – con Vittorio Emanuele III in visita alla città il 23 settembre 1913. In quella occasione il re presenziò anche all’inaugurazione del monumento a Cavour, alla posa della prima pietra dell’lstituto Tecnico in foro Boario e visitò l’lstituto Italiano d’Arti Grafiche (da “Fotografi pionieri a Bergamo” di Domenico Lucchetti – Foto di Giuseppe Locatelli)

Gli studi di mons. Locatelli, allora priore di S. Maria Maggiore, portarono a escludere che il condottiero fosse nel suo mausoleo e ad ipotizzare che questi fosse sepolto nell’attigua basilica di Santa Maria Maggiore dove, nel gennaio del 1950, venne scoperto un sarcofago in pietra sepolto nell’angolo sud – est della basilica.
Il sarcofago, che alcuni decenni or sono era ancora visibile sotto gli archi della casa d’angolo fra via Arena e piazza Rosate, conteneva ossa umane delle quali ad oggi non si sa nulla.
Il “Cavaliere Misterioso”, come è stato ribattezzato, riposa ancora sotto Santa Maria Maggiore, in un’urna di ebano protetta da una cassetta di zinco.
Dov’erano sepolte dunque le spoglie del nostro Bartholomeus?

Riassaporiamone gli eventi nella divertente intervista rilasciata nel 2004 al Corriere della Sera dal compianto fotografo bergamasco Domenico Lucchetti, che fu testimone di una vicenda dal sapore rocambolesco.

I propilei di Porta Nuova addobbati in occasione della visita del re Vittorio Emanuele III, in visita alla città il 23 settembre 1913

Quello che di pittoresco e popolare resta di lui: tre paia di «segni virili», come nel 1500 scriveva Spino, che nella sua biografia lo ha sempre e serenamente chiamato Bartolomeo Coglioni.

Tre paia di coglioncini come lustro e orgoglioso decoro della cancellata di ferro intorno alla magnifica cappella funeraria del gran condottiero.

Lo stemma forgiato sulla cancellata di ferro della cappella-mausoleo di Bartolomeo Colleoni, “passato alla storia per il suo nome e per il suo stemma, che sfoggiava dipinti tre “cojoni”, ovvero tre testicoli (secondo altri, tre cuori rovesciati): un potente simbolo di fertilità che fece nascere la leggenda che egli fosse particolarmente “dotato”. Se anche non lo era, forse, fisicamente, dotato lo fu di certo per traslato” (Elena Percivaldi, “Bartolomeo Colleoni – Vita di un grande Bergamasco”)

Lustri come l’oro, a furia di toccamenti e carezze, «perché dicono che porta buono» ridacchia Domenico Lucchetti, che più di tutti conosce la città e le sue storie: «e perché, dopo tanta gloria e tanto splendore, quel che del Colleoni ricorda la gente di Bergamo sono soprattutto gli aneddoti».

Ai tempi s’ era sparsa la voce che, di «segni virili», il gran condottiero ne avesse tre: sui marmorei stipiti della cappella, gli «attributi» ancora più evidenziati, essendo stati scolpiti in eloquentissima prospettiva.

Taglia corto Lucchetti: «Sul tema, sono state scritte migliaia di chiacchiere; stemma e cognome appartenevano già a suo padre e a suo nonno, originari di Malpaga, a sud di Bergamo: dove Bartolomeo Colleoni nacque, e dove morì, il 3 novembre 1475».

A parte i toccamenti ai tre lucenti cosini, è comunque fuori di dubbio che Bartolomeo Colleoni sia un tutt’ uno con Bergamo. Non fosse per la tomba maestosa, che suscitò dispute non meno accese di quelle circa il numero de «i ball», come le chiamano qui.

Oramai vecchio, ricchissimo e in forzato ritiro, il grande soldato era tornato nel castello di Malpaga pensando, finalmente, all’ anima sua: come allora si usava, dopo averne fatte di cotte e di crude.

Convocò l’ architetto Giovanni Antonio Amadeo e gli ordinò di erigere la cappella funeraria a due passi dal suo palazzo di città, di fianco alla chiesa di Santa Maria Maggiore in Città Alta.

Cappella Colleoni (Bergamo, Taramelli, 1890 ca.) Stampa all’albumina o al gelatino bromuro

Volle essere raffigurato a cavallo, armato e corrusco, e interamente dorato.

Il monumento equestre di Bartolomeo Colleoni, la grandiosa statua d’oro che sovrasta la tomba del condottiero nella cappella a lui intitolata in Bergamo Alta (da una stampa ottocentesca)

Dispose inoltre che, nella parete di fronte, fosse preparata la tomba per sua figlia Medea, morta all’ età di quindici anni, e temporaneamente sepolta nel Santuario della Basella insieme al suo canarino.
Tomba di struggente bellezza, con Medea dal lungo collo e la virginale vestina distesa come se stesse dormendo.

Bartolomeo Colleoni visita la tomba della figlia Medea che l’Amadeo ha compiuto (di Giovanni Beri, post 1867. Il dipinto è giunto alle collezioni museali dalla Civica Scuola di Pittura). Quasi sei secoli fa, sul finire dell’inverno del 1470, Medea, la figlia quattordicenne del Colleoni, si ammalò di un grave morbo polmonare. Il condottiero abbandonò i suoi incarichi per stare vicino alla sua amatissima bambina. Ma la fine giunse rapidamente e Medea morì il 6 marzo 1470. Una perdita gravissima

Liquidata la questione della cappella funebre, Bartolomeo Colleoni passò al testamento. Lasciò armi, cavalli e denaro a Venezia, che tranne qualche fuggevole infedeltà aveva servito per tutta la vita, pretendendo in compenso un grande monumento in città: anche qui a cavallo, e anche qui tutto armato.

Venezia – Campo dei Santi Giovanni e Paolo – Monumento equestre a Bartolomeo Colleoni – Verrocchio. Data della ripresa: 1900/1920

Fondò a Bergamo il «Luogo Pio Bartolomeo Colleoni» per fornire una dote alle ragazze bergamasche povere e in età da marito.

Luogo Pio della Pietà, via Colleoni, Bergamo

Nelle campagne bergamasche creò mulini e rogge utili a irrigare le terre che ancora oggi fruttano tutto ciò che serve amantenere la sua funebre cappella.

E infine morì, presenti alcune figlie (ne aveva nove, fra legittime e no), il segretario Abbondio Longhi, il magistrato Candiano Bollani, che Venezia aveva spedito perché si buttasse sui suoi beni.

E Zohane di Zuchi, «inviato» dei Visconti, che descrisse la sua «vestizione «final»: camicia di raso cremisi, «turca» di panno d’argento, berretta  «cappitanesca», bastone di comando, spada, speroni.

Trainata da due cavalli neri, la lunga salma (era alto quasi due metri ) raggiunse Bergamo, che tutta in lutto andò per tre giorni a rendergli onore nella basilica di Santa Maria Maggiore, dove era stata esposta prima della sepoltura nella vicina cappella, ancora fresca di pitture sui muri.

Interno della basilica di Santa Maria Maggiore in una stampa ottocentesca

E poi, sparì: il sacello sul quale montava a cavallo il gran condottiero, risultava vuoto. «L’ hanno cercato come pazzi», racconta divertito Lucchetti.

Nel 1954 monsignor Locatelli, priore di Santa Maria Maggiore si convinse che Colleoni fosse sepolto nella basilica. Ribaltarono il pavimento, finché non si trovarono segni evidenti di una tomba.

Il discusso ritrovamento del 12 gennaio 1950. Mons. Locatelli scopre la massiccia arca lapidea in granito, di tipo barbarico, interrato nel pavimento di Santa Maria Maggiore

Fu convocato il rabdomante Malachia, che i bambini di Città Alta credevano un mago perché ipnotizzava le galline.

Il discusso ritrovamento del 12 gennaio 1950. Il pesante sarcofago della polemica

Fu trovato uno scheletro.

Una scritta scolpita su una lastra autorizzò il priore a cantare vittoria. Finché non giunse una crudele smentita.

Il discusso ritrovamento del 12 gennaio 1950. Lo scheletro ricomposto che fu ritenuto del Colleoni. La commissione che presenziò a questa riesumazione dichiarò frettolosamente che i resti appartenevano al Colleoni senza rilevare le evidenti contraddizioni che vi si opponevano. Non si spiegava il perché dell’utilizzo di un’arca altomedievale, l’assenza di qualsiasi elemento di identificazione del feretro, la presenza di una spada di legno anziché di una vera, l’altezza dello scheletro non corrispondente alla statura tramandataci del Colleoni

 

Il discusso ritrovamento del 12 gennaio 1950. Con ironia la didascalia originale recita così: “I dolenti porgono condoglianze… ai discendenti del Condottiero”. I dubbi, mai sopiti, portarono al riesame dei reperti ad opera di una commissione, indicata dal Ministero della Pubblica Istruzione, presieduta da padre Agostino Gemelli che il 21 maggio 1956 escluse che le ossa in questione appartenessero al Colleoni: si concludeva una vicenda ma il mistero rimaneva, anzi vi si aggiungeva quello della vera appartenenza delle ossa, forse di un guerriero medievale mentre rimaneva inspiegabile la spada di legno rinvenuta insieme al misterioso scheletro

Il volonteroso prete e il mite ipnotizzatore di galline furono coperti di ridicolo.

I giornali dopo il ritrovamento contestato di Mons. Locatelli (1950)

Ma il tormentone aveva oramai invaso la città di Bergamo: «Dov’è Colleoni?».

Il fallimento di Malachia aveva aperto la caccia al fantomatico scheletro.

La ripresa delle ricerche con l’Ing. Alessandro Porro (maggio 1968). Si scavò fino a 4 m. di profondità

 

Il materiale ricavato dallo scavo eseguito nell’angolo in fondo a sinistra della Cappella

Monsignor Angelo Meli, nuovo priore di santa Maria Maggiore studiò a lungo il problema: «Il Colleoni è nella sua tomba.
Ma il suo sacello non è quello dove poggia la statua a cavallo ma quello più in basso».

Il Rotary cittadino si assunse le spese della ricerca.

Fu aperto fra le formelle di marmo un pertugio.
Fu chiesta al custode Sala un manico di scopa per tastare il fondo.
Non trovarono niente.
Offesissimo, Melli: «Io sono sicuro che Colleoni è in quello in basso; che cerchino meglio».

Infatti, chi aveva manovrato il manico della scopa aveva creduto di aver toccato il fondo; e invece era il coperchio della cassa di pero, lunga due metri e alta 45 centimetri «L’ abbiamo trovato!» andarono in trionfo al priore Melli.
E lui, imperturbabile: «Io l’ avevo sempre saputo che il Colleoni era lì».

Il disegno illustra l’ipotesi ritenuta più probabile circa l’introduzione della bara – avvenuta il 4 gennaio 1476 – nell’Arca maggiore: quello che per secoli era stato ritenuto un semplice pavimento sotto l’Arca Maggiore, sempre ritenuta vuota, viene frantumato e sotto un sigillo di calce viene alla luce una cassa di legno di pero priva di qualsiasi decorazione

 

Se i resti di Bartolomeo Colleoni riposano nell’Arca maggiore, a chi era destinata l’Arca minore? Forse il Condottiero pensava di trasferirvi le spoglie dell’adorata figlia Medea, lasciando alla Basella (dove inizialmente venne sepolta) il monumento originario dell’Amadeo

Questa volta, non c’ erano dubbi: le vesti e tutto il resto corrispondevano alla descrizione del cronista visconteo.

Una lastra in piombo ai piedi della bara riportava chiaramente la scritta

«Bartolomeo Colleoni, nobile bergamense per privilegio dello d’ Angiò, invitto condottiero generale della Illustrissima Signoria Veneta.
Visse 75 anni. Comandò per 24. Morì il 3 novembre anno 475 sopra il mille»

La targa di piombo, nitidamente incisa, rinvenuta nella cassa. Si tratta di una vera e propria “carta d’identità” del Condottiero. L’iscrizione dice: « BARTOLOMEUS COLIONUS NOBILIS BERGO. PRIVILEGIO ANDEGAVENSIS ILL.MI IMPERIJ VENETORUM IMPERATOR GENERALIS INVICTUS VIXIT ANNOS LXXX IMPERAVIT IIII ET XX OBIIT. III. NO. NOVEMBRIS CCCCLXXV SUPRA MILLE »

Erano sbagliati soltanto gli anni, che in realtà erano 81.

Domenico Lucchetti, che del Colleoni sapeva ormai tutto, si introdusse nel loculo per fotografarlo.
«La spada era sotto la schiena, perché era stato inumato da sotto, mentre la bara aveva dovuto subire una rotazione in avanti.
Il bastone del comando era in briciole, la spada arrugginita: evidentemente, l’avido inviato veneziano si era portato via i gloriosi cimeli, sostituendoli con altri di meno valore.

La prima fotografia a colori eseguita dopo la sensazionale scoperta delle spoglie di Bartolomeo Colleoni. Il coperchio della cassa viene tolto alle 14,30 del 21 novembre 1969; ai presenti appaiono le spoglie ancora intatte del Colleoni dopo 494 anni, con le vestigia del grande Capitano (nonchè una lastra di piombo con inviso il nome del condottiero). Il capo del Condottiero non è più centrato sul suo cuscino ma è scivolato nell’angolo della cassa; la berretta capitanesca è a sghimbescio, il corpo non è ben diritto. Evidentemente si è spostato all’indietro durante la collocazione della cassa nell’arca maggiore. E’ visibile il bastone di comando sul fianco destro del Capitano, e la targa di piombo cadutagli sui piedi

Ho fotografato ciò che restava di Bartolomeo Colleoni per una mattina intera. Mia madre mi aveva preparato gli ossi buchi, il mio piatto preferito. Non le dissi la verità, inventai una scusa, mangiai un pezzo di formaggio».

Il Rotary chiese in ricordo la scopa del ritrovamento, che tuttora religiosamente conserva.
Il custode Sala disse «sissignori» ma ne consegnò un’ altra.

Medea fu sepolta di fronte al padre due secoli fa. Per oscuri motivi, le autorità religiose la privarono del canarino che suo padre aveva fatto imbalsamare perché le tenesse compagnia anche al di là della vita.

Uccellino imbalsamato nella cappella Colleoni: apparteneva a Medea, figlia del Colleoni. A poca distanza dalla camera della ragazza vi era una gabbietta con un passerotto, suo compagno di giochi. Anche l’uccellino pare avesse avvertito l’agonia della padroncina e infatti morì lo stesso giorno. Bartolomeo ordinò dunque di farlo imbalsamare e di riporlo nella bara di Medea. Seppellita nella chiesa di Santa Maria della Basella, a Urgnano, nel 1842 la bara con le spoglie di Medea e il passero venne trasportati nella Cappella Colleoni. Ed è appunto da quel sarcofago che l’uccellino venne successivamente tolto per essere conservato sotto la cupola di vetro

Lo spennato cimelio, adagiato su un cuscinetto giallo e chiuso in una campanella di vetro, è custodito dalla signora Angela, che vende ricordi in un chioschetto all’ interno della cappella.

E per non smentire la concretezza bergamasca, Lucchetti informa: «Noi lo chiamiamo come la nostra torta più celebre, polenta e osei».

 

Fonti
– Corriere della Sera (21 novembre 2004):  Il Colleoni, gran condottiero e benefattore Gloria di un mondo pittoresco e popolare.
– Le fotografie in b/n e alcune notizie storiche sono tratte da Mario Bonavia, “Storia di una ricerca – La scoperta delle spoglie di Bartolomeo Colleoni”, edito nel 1970 a cura del Rotary Club Est Bergamo Clusone. L’ing. Bonavia è stato l’artefice della scoperta delle spoglie del Colleoni.