Le vicende della colonna e il capitello ritrovato, conservato presso il Museo Archeologico: potrebbe appartenere alla Colonna di S. Alessandro

La colonna in via S. Alessandro (Bergamo) ricostruita arbitrariamente nel 1618 davanti alla Chiesa di S. Alessandro in Colonna. E’ composta da una base, un capitello e cinque rocchi, di cui solamente i tre superiori sono inquadrabili in età romana (Racc. Gaffuri)

Salendo da Piazza Pontida verso Città Alta lungo l’antico e stretto budello di via Sant’Alessandro, si arriva in uno slargo al cui margine sorge l’antica chiesa di Sant’Alessandro in Colonna, così nominata per l’elegante colonna eretta sul sagrato, composta da alcuni blocchi di epoca romana.

Vuole la tradizione che la colonna sia stata eretta sul luogo dove subì il martirio Alessandro, vessillifero romano della leggendaria Legione Tebea, divenuto patrono della città di Bergamo.

Ma cosa sappiamo davvero riguardo le sue origini?

La colonna rappresentata nel  “Martirio di S. Alessandro” (particolare). Giampaolo Cavagna (1560-1627). Olio su tela. Milano – Banca Popolare di Bergamo

Così come la vediamo oggi, la colonna è frutto di una rocambolesca ricostruzione risalente al 1618, quando, dopo essere stata smembrata e dispersa, venne nuovamente rizzata sul sagrato assemblando ad alcuni rocchi della colonna originaria parti realizzate ex-novo: di quella originaria, d’età romana, oggi vediamo solo i tre blocchi superiori scanalati e in marmo bianco.

Chiesa di S. Alessandro in Colonna (Bergamo) – Claudio Facheris. 55° Mostra-Concorso Pittura-Scultura-Acquerello “Don Angelo Foppa”, Bergamo, 15-30 Novembre 2003 (Collezione personale)

Secondo la documentazione, tutta esaminata da Mons. Mario Lumina, la colonna si trovava in quel luogo almeno dal 1133, data in cui la Chiesa di S. Alessandro è indicata dal Lupi come “Ecclesia S. Alexandri quae dicitur in columna”, in riferimento alla presenza in loco di resti romani, come colonne monumentali appunto (1).

E grazie ai decreti della visita compiuta dal Cardinale di Milano Carlo Borromeo, sappiamo che essa doveva essere ancora sul sagrato nel 1575 – anno della visita apostolica –, quand’era ancora oggetto di venerazione (2).

E’ dunque inevitabile chiedersi quali traversie possa aver subito tra il 1575 e il 1618 – anno della sua ricomposizione sul sagrato della chiesa –, e dove possano essere finiti i pezzi dispersi della colonna, davanti alla quale fu  decollato il capo di Alessandro.

La chiesa di S. Alessandro in colonna ancora priva del campanile (iniziato nel 1842 e terminato nel 1904) in un disegno della Raccolta Gaffuri. La cupola e la facciata principale vennero realizzate nel 1780. Il residuo di boschetto può vagamente evocare l’antica naturalità del luogo, dove – narrano le fonti – Crotacio aveva una sontuosa villa circondata da un giardino oppure la sua sepoltura. Nel giardino di Crotacio vi era una colonna posta in sua memoria e dunque detta “del Crotacio”

I tre rocchi superiori, quelli originari d’età romana, dovevano appartenere alla colonna di Crotacio, che, come vuole la tradizione, fu  innalzata in onore di un mitico personaggio romano, citato dalle narrazioni antiche (3) .

Queste ultime dovettero rifarsi almeno in parte alla leggenda che descrive Crotacio come un cittadino importante (forse un valoroso condottiero, poi eletto duca della città: “principe e signore di Bergamo”), padre di Lupo e nonno di S. Grata (4).

Effige della santa che raccolse dopo il martirio il capo di S. Alessandro

Il suo prestigio era tale che alla sua morte sarebbe stato divinizzato, come si usava con gli imperatori, e dopo grandiose onoranze funebri il figlio Lupo gli avrebbe eretto una colonna, che ne reggeva un’altra sormontata da un idolo: entrambe in marmo e in stile corinzio, con scanalature verticali e con il capitello a foglie d’acanto.

Predica di Sant’Alessandro, di Enea Salmeggia. Al centro del dipinto la Colonna di Crotacio sovrastata dall’idolo, citata da Mosé del Brolo, dal Lupi e da Celestino Colleoni. Quest’ultimo descrive la colonna con una parte inferiore, che doveva essere più grande, che ne reggeva un’altra, più piccola, a sua volta sormontata da un idolo pagano (secondo alcuni la statua dello stesso Crotacio) che reggeva un’ara per i sacrifici (Brescia, Pinacoteca Tosio Martinengo)

A detta di Lumina e sempre secondo la tradizione la colonna sarebbe stata eretta nel giardino dello stesso Crotacio, nella località che ne mutuò il nome (“Vico Crotacio”), e che cominciò a chiamarsi “Vico S. Alessandro” solo dopo il Mille.

Scorcio di via S. Alessandro con la colonna ricostruita nel 1618 recuperando alcuni pezzi originari romani (a.p. 18-12-1905. Album di antiche cartoline bergamasche, Domenico Lucchetti. Grafica Gutemberg)

Quando in quel lontano 1618 la colonna venne nuovamente rizzata sul sagrato, i dirigenti del Consorzio di S. Alessandro fecero incidere sui quattro lati del basamento un’iscrizione:

CROTCII BERGOMI DUCIS IDOLO SUPERSTITIOSE, HIC PRIUS ERECTAM, S. ALEXANDRI LEGIONIS THEBEAE SIGNIFERI, CHRISTUM PRAEDICANTIS MIRACULO EVERSAM, EIDEM TUTELARI DIVO ALEXANDRO MART. HIC PALMAM, ADEPTO RELIGIOSE REPONENDAM, EX PIORUM STIPE CONSORTII PRAESIDES C.C., IOANNE EMO EPIS. AN. SAL. MDCXIIX

In essa si affermava che era senza alcun dubbio quella di Crotacio, che con la sua presenza indicava il luogo dove il Santo patrono era stato decapitato e che  era finita miracolosamente in pezzi mentre il Santo predicava.

Un immaginario Vico Pretorio ai tempi di Alessandro; borgo che, secondo Mosè del Brolo, occupava la zona alta di via S. Alessandro

Tali fantasiose affermazioni, di certo concepite per mistificare lo scempio compiuto rimuovendo la colonna e lasciando che i pezzi venissero dispersi, sono smentite sia dal documento del 1133 e sia dai decreti della visita apostolica di S. Carlo: testimonianze che attestano la presenza in loco della colonna originaria almeno sino al 1575 (5).

“Borgo S. Alessandro e la città alta” (1617). Fregio del frontespizio della Historia quadripartita del Padre Celestino Colleoni

Ma c’è di più: la testimonianza dello storico Celestino Colleoni, che nella sua Historia Quadripartita, pubblicata nel 1618 – in un momento di poco antecedente la ricomposizione della colonna sul sagrato -, parla dell’esistenza nel luogo di due colonne: una grossa e alta di marmo bianco, sormontata da una più piccola dello stesso marmo, entrambe lavorate in stile corinzio, con sulla cima la statua del dio Crotacio. E si parla anche della sua scomposizione: afferma infatti lo storico che la “colonna picciola vedesi anco hoggidì, sopra il muro della Chiesa di S. Alessandro in colonna: ed invece dell’idolo tiene in cima una croce di ferro; della più grossa qui pur trovansi due pezzi grandi; il capitello dicesi essere quello che è nel prato che di S. Alessandro s’appella; il resto non so dove“.

Particolare della colonna di Crotacio sovrastata dall’idolo citato dalle fonti antiche, nella “Predica di Sant’Alessandro”, di Enea Salmeggia

Perchè la colonna era stata smembrata?

Quando S. Carlo nel 1575 venne in visita a Bergamo, ordinò che il luogo circostante la colonna venisse “recinto con inferriata, alquanto distante dalla colonna stessa“, e ciò per proteggere, evidentemente, la sacralità dell’area.

Particolare di Borgo San Leonardo nella “Planimetria prospettica di Bergamo”, eseguita nel 1680 da Stefano Scolari. In alto, al centro, spicca la colonna posta sul sagrato della chiesa di S. Alessandro in Colonna (Bergamo – Ufficio Tecnico del Comune)

Ma i dirigenti del Consorzio decisero, anzichè innalzare l’inferriata, di rimuovere addirittura la colonna: lo deduciamo – spiega Lumina – da una delibera del 1615, dove essi, pentiti di aver fatto scempio di una colonna cosi prestigiosa, proclamano l’intenzione di ricomporre “per honorevolezza della chiesa di S. Alessandro in Col. [(…)] la colonna del Crotacio, sopra la quale fu decapitato S. Alessandro“, colonna della quale “alcuni pezzi sono presso la chiesa et un pezzo si ritruova nel sedume di [(…)] Bressano, a S. Lazzaro, qual gli serve per pondero per suo torchio”.

In pratica, cos’avevano combinato i maldestri dirigenti del Consorzio di S. Alessandro?

Anziché recingere la colonna con un’inferriata, probabilmente per evitare di ingombrare il sagrato (che allora era di sei metri più stretto rispetto all’attuale), avevano preferito rimuoverla incorporando la parte superiore (quella che in origine reggeva l’idolo) nella facciata della chiesa, dov’era stata effettivamente vista dal Celestino e poi da un altro personaggio, il Manganoni, eletto parroco nel 1713 (6).

La Chiesa di S. Alessandro in Colonna nella Raccolta Gaffuri. La facciata principale è stata completata nel 1780, data in cui della colonna piccola non c’è ormai più traccia

Ne avevano poi deposto la parte inferiore nel vicino prato, dove il Celestino disse di aver visto i due pezzi, mentre un altro pezzo se l’era preso un certo Bressano riutilizzandolo come peso per il suo torchio, che si trovava in Borgo San Lazzaro.

Per riparare il misfatto, “pentiti di aver fatto scempio di una colonna cosi prestigiosa“, avevano quindi deciso di recuperare i due blocchi grandi nel prato presso la chiesa e il blocco presso il Bressano, e di integrarli a pezzi nuovi così da poter nuovamente ricomporre un’imponente colonna commemorativa da rizzare sul sagrato della chiesa.

In quel 1618, i tre blocchi recuperati della “colonna grande” vennero quindi ricomposti nell’attuale parte superiore, mentre la base, i primi due rocchi e il capitello vennero realizzati ex-novo: la base e i primi due rocchi da comuni “picapietra”, mentre il capitello fu commissionato ad un artigiano più abile e rinomato, tal Domenico Fantone.

I tre rocchi che oggi rimangono della colonna originale d’epoca  romana, sono dunque gli stessi che in origine componevano la parte inferiore della colonna.

Stampa posteriore al 1859

E la storia potrebbe concludersi qui, così come è stata ricostruita da Mons. Lumina, se non fosse che Celestino Colleoni ci ha tramandato un indizio di capitale importanza, che sembrerebbe sfuggito (o forse dimenticato) alle cronache attuali.

Per capire di quale indizio si tratti, dobbiamo rileggere il passo di Celestino, il quale dice che le colonne erano due: una grande e, sopra, una più piccola, “E questa colonna piccola vedesi anco hoggidì, sopra il muro della Chiesa di S. Alessandro in Colonna: ed invece dell’idolo tiene in cima una croce di ferro; della più grossa qui pur trovansi due pezzi grandi“.

E fin qui nulla da eccepire, la colonna piccola è ormai perduta mentre i due pezzi della colonna inferiore furono recuperati.

Celestino aggiunge poi di non sapere dove sia il resto ma che “il capitello dicesi essere quello che è nel prato che di S. Alessandro s’appella“, cioè in quello che viene chiamato “Prato di S. Alessandro”, zona che si estendeva nell’area dell’attuale centro cittadino, tra il Sentierone e piazza Vittorio Veneto.

E scopriamo che la testimonianza di Celestino è corroborata da quella dello storico Rota, il quale riferisce che il capitello stava “‘nel prato di S. Alessandro non molto lungi dal Portello’ [del dazio]“.

Apprendiamo questa notizia da Raffaella Poggiani Keller – autorevole voce della Soprintendenza ai Beni archeologici della Lombardia -, nel suo testo divenuto da tempo una pietra miliare dell’archeologia bergamasca.

Secondo la soprintendente il capitello, ritrovato e trasferito presso l’ingresso del Museo Archeologico in Cittadella, potrebbe pertanto riconnettersi con i rocchi di colonna in marmo che anche il Rota – oltre a Celestino – vide nel prato vicino alla Chiesa di S. Alessandro, quegli stessi che componevano la colonna del Crotacio, di cui si conservano tre esemplari nella colonna eretta davanti alla chiesa (7).

Capitello corinzio di colonna in pietra calcarea bianca, cosiddetta  Maiolica, proveniente dalla zona chiamata “Prato S. Alessandro”, conservato all’ingresso del Civico Museo Archeologico di Bergamo. Le fonti storiche e l’epoca di appartenenza del manufatto, inquadrato nel II sec. d.C., giustificherebbero una connessione con i tre rocchi d’epoca romana conservati nella colonna eretta davanti alla chiesa di S. Alessandro in Colonna

 

Capitello corinzio di colonna, proveniente dal cosiddetto “Prato S. Alessandro” (ingresso del Civico Museo Archeologico di Bergamo) : “Il capitello presenta due ordini di foglie, l’inferiore molto basso (circa un quarto del capitello) ed il superiore che raggiunge in altezza la metà dell’intero pezzo. L’acanto è costituito da foglie ampie, dai contorni molto consunti e con nervature rese a linee verticali parallele. Tra le foglie della seconda corona, si drizza un lungo caule, sormontato da un orlo liscio; da esso nascono, entro un calice fogliaceo, volute ed elíci spiraliformi. Fori del trapano indicano le zone d’ombra tra i lobi. Il capitello è in pietra calcarea bianca, c.d. Maiolica. Lavorato su due lati, presenta la superficie estremamente consunta; al centro dell’abaco vi sono quattro fori. H m 0.83; lato max abaco m 0.90; Ø base m 0.60. Per i caratteri tipologici ancora leggibili, il capitello si inquadra nel II sec. d.C. (in particolare per la foglia di acanto della seconda corona trova confronto in SCRINARI 1952, p. 34 n. 29; Cfr. anche PENSABENE 1973, pp. 68-77 e più specificatamente p. 69 n. 271, p. 77 n. 314)”. (Maria Fortunati Zuccala, Bergamo dalle origini all’altomedioevo, cit. in bibliografia).

 

Capitello corinzio di colonna, proveniente dal cosiddetto “Prato S. Alessandro” (ingresso del Civico Museo Archeologico di Bergamo)

Tale connessione sembrerebbe ulteriormente suffragata dall’epoca di appartenenza del capitello nonché dallo stile (corinzio) che lo accomuna ai tre rocchi romani della colonna eretta sul sagrato: motivi più che sufficienti per accorrere al Museo Archeologico ed ammirare quella che sembrerebbe essere la parte mancante, più bella e significativa, del monumento più amato dai Bergamaschi: la colonna-simbolo della nostra città.

Note

(1) Codex Diplomaticus, II, co. 975. La tradizione vuole che la chiesa sia già stata eretta nel VI secolo.

(2) Dal libro di Mario Lumina (cit. in bibliografia) ricaviamo informazioni riguardo la colonna originaria, che nel 1575 doveva essere ancora visibile sul sagrato della chiesa, com’è deducibile dalla relazione redatta in occasione della visita compiuta in quell’anno dal Cardinale di Milano Carlo Borromeo: “Nei decreti della visita di S. Carlo, si legge: “Il luogo fuori della Chiesa, dove c’è la colonna sulla quale, come si crede con certezza (‘ut certo creditur’) a S. Alessandro titolare di questa Chiesa fu mozzato il capo…“.

(3) In merito ai tre rocchi superiori della colonna attuale, essi fanno “probabilmente parte della colonna originaria innalzata in onore di Credacio, mitico personaggio romano” (Maria Fortunati Zuccala, Bergamo dalle origini all’altomedioevo, cit. in bibliografia).

(4) Giovanni Maironi da Ponte, a proposito di Crotacio, figura ammantata da un’aura leggendaria, così si esprime: “I primi secoli del’Era Cristiana quanto alla storia nostra politica sono ancora più d’ogni altro antecedente avvolti nella incertezza, e in una invincibile oscurità. In que’ tempi alcuni nostri scrittori assegnarono alla patria un governo di duchi, de’ quali Crotacio il primo, investito dall’imperator probo, e s. Lupo l’ultimo, che fu padre della beatissima Grata curatrice del corpo di S. Alessandro. Ma sulla erroneità di siffatta opinione, e sulla incompetenza di un tal titolo ai governanti in quell’epoca convien leggere il precitato Codice del canonico Lupo capo IV. e § V., e altrove” (Dizionario odeporico: o sia, storico-politico-naturale della provincia bergamasca (Giovanni Maironi da Ponte). Inoltre, secondo la tradizione Crotacio fu il padre di Lupo e il nonno di S. Grata, la fanciulla che aveva raccolto il capo mozzato del martire e ne aveva seppellito il corpo laddove più tardi sorse la basilica alessandrina, poi distrutta per l’erezione delle mura veneziane; una storia bella e malinconica che ho descritto qui.

(5) Riguardo la colonna composta arbitrariamente sul sagrato nel 1618, si legge che anche “il Belotti nella sua Storia di Bergamo, così si esprime: “Intorno ad essa (colonna) si intrecciano leggende circa la gloriosa morte di Alessandro, tantoché nel 1618, i presidenti del Consorzio di S. Alessandro, riunendo vari pezzi… composero la colonna attualmente esistente avanti la Chiesa anzidetta, vi aggiunsero un piedestallo con iscrizioni ed affermarono senz’altro di aver rimesso in piedi la colonna del Crotacio” (M. Lumina, cit. in bibliografia).

(6) E’ sempre Lumina a raccontarci che “il Manganoni, eletto parroco di S. Alessandro in Colonna nel 1713, nelle sue Memorie sulla Chiesa Prepositurale di S. Alessandro in Colonna, scrive: ‘Fu poi la Chiesa nominata S. Alessandro in Colonna, perché in questo luogo ove è piantata la Chiesa vi era una colonna di marmo, drizzata in onore di Crotacio padre di Lupo, ed avolo di S. Grata, principe e signore di Bergamo. La qual colonna medesima (od altra in sua memoria) fu issata anticamente nel muro di detta Chiesa dalla parte sinistra della porta grande; ed un’altra fu posta sulla sommità del muro verso tramontana, e questa l’ho veduta ancor io; che fu levata, saranno circa vent’anni, nella riedificazione della Chiesa. Sta anche di presente davanti alla Chiesa medesima da un lato piantata una gran colonna di marmo che rammenta la famosa intrepidezza del glorioso nostro tutelare Alessandro” (M. Lumina, cit. in bibliografia).

(7) Raffaella Poggiani Keller scrive che la provenienza del capitello “è desumibile dal Rota il quale riferisce che il capitello stava ‘nel prato di S. Alessandro non molto lungi dal Portello’ [del dazio]. Non è dato sapere se fosse isolato“(Rota 1804, p. 127 nota 4. In: Bergamo dalle origini all’altomedioevo, cit.). Il capitello rinvenuto “è forse da riconnettersi con i rocchi di colonna in marmo che il Rota vide vicino alla Chiesa di S. Alessandro e di cui si conservano tre esemplari nella colonna eretta davanti alla chiesa” (Bergamo dalle origini all’altomedioevo, cit.).

Riferimenti
– Mario Lumina, La chiesa di S. Alessandro in Colonna, S. Alessandro in Colonna, Greppi, Bergamo, 1977, pp. 6-8.
– Raffaella Poggiani Keller (a cura di), “BG – Via S. Alessandro, Chiesa di S. Alessandro in colonna”, Bergamo dalle origini all’altomedioevo: Documenti per un’archeologia urbana, Panini, Modena, 1986, pagg. da 121 a 123.

Origini e fascino dell’antica festa dell’Apparizione in Borgo Santa Caterina

La scenografia più spettacolare – un arco trionfale – allestita in Borgo Santa Caterina nell’agosto del 1903, in occasione dell’incoronazione della Madonna Addolorata (Archivio fotografico – Fondazione Bergamo nella Storia)

La festa dell’Apparizione in Borgo Santa Caterina è legata a un evento straordinario, descritto da Padre Donato Calvi nelle sue “Effemeridi”.

Il 18 agosto del 1602 una stella apparsa nel cielo di mezzogiorno illuminava con tre raggi l’affresco della Madonna Addolorata posto sul muro di una casa presso l’antico ponte della Stongarda. Sotto gli occhi di una folla numerosa i raggi prodigiosi riportavano l’affresco – già deteriorato in alcune parti – alla bellezza originaria. Al prodigio seguirono grazie miracolose e frequenti guarigioni.

Giuseppe Riva, “L’Apparizione del 18 agosto 1602” collocata presso il Santuario di Borgo S. Caterina

L’affresco, che era stato dipinto il 27 luglio del 1597 dal pittore locale G. Giacomo Anselmi, è lo stesso che si venera da oltre quattro secoli nell’altare maggiore del Santuario.

L’immagine miracolosa della B. V. Addolorata, opera del pittore locale G. Giacomo Anselmi (1), collocata sull’altare maggiore del santuario di Borgo S. Caterina. L’effige è stata solennemente incoronata il 17 agosto del 1903 dal Beato Card. Andrea Carlo Ferrari

Dopo un anno il Vescovo concedeva ai borghigiani di edificare un Santuario, di cui la prima pietra – come ricorda la lapide affissa a fianco dell’ingresso sul lato ovest – fu benedetta dal vescovo Giovan Battista Milani l’11 luglio del 1603.

Entro il gennaio del 1605 la fabbrica veniva portata a termine ed aperta al culto, con il trasporto sull’altare maggiore del muro affrescato.

L’aspetto del Santuario di Borgo S. Caterina nel 1885. La pianta originaria era quadrata, con ingresso a ovest e loggia esterna su tre lati nord-ovest-sud, di cinque archi per lato (come descritto dall’Inventario dei Beni Culturali e Ambientali di Bergamo)

 

L’aspetto del Santuario di Borgo S. Caterina, prima della ristrutturazione del 1886 (da “Cenni storici intorno al Santuario di Maria SS. Addolorata di Borgo Santa Caterina)

L’anno successivo (1606), grazie all’offerta della famiglia Galina venne realizzato, su modello del dipinto miracoloso, il gruppo ligneo dell’Addolorata portato ogni anno in processione per le strade del borgo nel giorno che rievoca il miracoloso evento.

Il gruppo ligneo della Beata Vergine, realizzato pochi anni dopo il fatto prodigioso

La colonna votiva sul piazzale del Santuario in origine si trovava invece nel bel mezzo della contrada, essendo stata posata in sostituzione di una grande croce in legno, rimossa per timore che potesse arrecare danno ai passanti: per tale motivo la colonna venne chiamata “crocetta”.

La colonna, eseguita nel 1614 da Antonio Abbati e benedetta il 24 dicembre dal vescovo Emo, è sormontata dal gruppo scultoreo della Beata Vergine Addolorata, in tutto simile al simulacro che si porta ogni 18 agosto in processione (2).

Sotto il gruppo marmoreo dell’Addolorata sono incise le parole: “Vulneratus cuspide amoris”: (Gesù) ferito dalla lancia dell’amore. Nel 1629 fu deliberata la costruzione di un’inferriata intorno alla colonna, ma non si sa quando essa venne posta e successivamente tolta

Nei due dipinti votivi di Marco Gozzi (1759-1839) collocati nella cappella in cui ogni anno si espone il gruppo ligneo dell’Addolorata, la colonna appare nella sua collocazione originaria, ovvero al centro della contrada di Borgo S. Caterina, in asse con l’edificio sacro.

Gli ex-voto documentano due fasi salienti del passaggio di truppe straniere avvenuto senza arrecare danni al borgo e sono al contempo una bella testimonianza della vita e dell’aspetto di Borgo S. Caterina all’inizio ed alla fine del secolo XVIII. Mentre del primo avvenimento l’autore dovette affidarsi alla memoria storica e alla fantasia, del secondo fu probabilmente testimone diretto.

Nel passaggio di truppe francesi ed alemanne in Borgo Santa Caterina (1705) l’Addolorata proteggere dall’alto i suoi devoti. Il borgo è osservato dal ponte della Morla e la colonna, visibile in lontananza, compare al centro della via.

Ex-voto di Marco Gozzi rappresentante un evento miracoloso datato 1705: il passaggio di truppe francesi ed alemanne in Borgo Santa Caterina, avvenuto senza arrecare danni

L’altro evento è legato all’ingresso degli austro-russi (1799) senza che alcun danno venga arrecato al borgo: un fatto miracoloso, attribuito all’intervento della Madonna Addolorata venerata nel Santuario, dipinta in alto tra nuvole ed angeli.

Il dipinto è vivissimo nel rappresentare la colonna, il Santuario con il suo campanile, le case con i balconi e le finestre da cui si affacciano figure incuriosite ma non spaventate, mentre in primo piano soldati e cavalleggeri sostano e si intrattengono con alcuni borghigiani.

Ex-voto di Marco Gozzi rappresentante l’ingresso nel borgo di S. Caterina, il 14 aprile 1799, di un distaccamento austro-russo che insegue truppe francesi. I soldati vi pernottarono “ma niuno vi soffrì un minimo disturbo”, come recita la didascalia dipinta sulla tela

Fu solo alla fine dell’Ottocento che, probabilmente per la posa dei binari del tram la colonna venne spostata nella sede attuale e cioè nel punto di convergenza ottico del piazzale antistante il Santuario.

La liscia colonna sormontata dal gruppo scultoreo della Pietà, realizzati in marmo bianco di Zandobbio. La  base della colonna è attica e capitello è di tipo tuscanico. Sul basamento si legge la seguente iscrizione: IOANNIS EMUS EPISCOPUS BENEDIXIT – IX KALEND JANUARII 1614 (anno di costruzione). I due gradini alla base vennero eseguiti nel primo Novecento

 

Simulacro dell’Addolorata posto sopra la colonna. Il gruppo scultoreo, richiamante l’iconografia della Pietà, riproduce il dipinto conservato nel Santuario. La scultura è protetta da un baldacchino semisferico in rame

Nel frattempo l’edificio si arricchì di opere d’arte: oltre al Gozzi, dello Zucco, del Salmeggia, del Fantoni, ad esempio.

La grande pala di Francesco Zucco, nell’altare dedicato alla Madonna di Loreto, nel transetto sinistro, fatto erigere nel 1615 dagli abitanti di Pedrengo in adempimento a un voto. Attorno all’effigie della Madonna di Loreto compaiono i santi patroni della Parrocchia di Borgo S. Caterina (Caterina d’Alessandria e Maddalena) e di quella di Pedrengo (Evasio papa e Silvestro). Santa Caterina è alla sinistra, inginocchiata. Porta sul capo la corona regale. Vicino a lei, alla sua sinistra, sono la palma e la ruota

Nell’agosto del 1886 iniziò la ristrutturazione del Santuario su disegno di Antonio Piccinelli, mentre la cupola (1894) e la facciata (1897) vennero eseguite su disegno di Elia Fornoni.

L’aspetto del Santuario di Borgo S. Caterina, prima della ristrutturazione del 1886 (Raccolta Lucchetti)

 

Bergamo. Santuario di Borgo Santa Caterina, Anonimo. Posteriore al 1898 (Civiche Raccolte Grafiche e Fotografiche. Civica Raccolta delle Stampe Achille Bertarelli)

Il campanile assunse invece la forma attuale nel 1906 su disegno del Pandini.

Il Santuario oggi

All’interno, ricco di stucchi e affreschi, vi operarono inoltre gli artisti Ponziano Loverini, Giovanni Pezzotta, Giuseppe Riva, Antonio Rota (che eseguì dodici statue raffiguranti santi), Nino Nespoli, Luigi Angelini, Attilio Nani.

E ancor’oggi i festeggiamenti dell’Apparizione continuano ad essere sinonimo di grande devozione da parte di migliaia di fedeli, che vi si riuniscono sin dal primo mattino.

Santuario di Borgo S. Caterina

Sotto la luce carezzevole delle Litanie Lauretane, all’intento squisitamente religioso si associa così anche quello umano: si ammirano le opere d’arte che arricchiscono l’edificio, si ascolta musica sacra e si rivedono amici del borgo in una salutare rimpatriata dove si respira quella dolce e familiare “aria dè paìs”.

E attraverso canti, suppliche, acqua santa, processioni, reliquie, incenso, luci, statue, ori, fuochi e banda, i sensi entrano nel gioco virtuoso della devozione, dando corpo alla fede: una fede antica e ancora molto viva.

 

NOTE
(1) Altre opere di Gian Giacomo Anselmi presenti nella bergamasca: un dipinto della Vergine col Bambino tra San Giuseppe e San Carlo (firmato e datato Jacobus de Anselmis –1597), collocato nell’altare a sinistra del Tempio dei Caduti di Sudorno, dove fu posto quando il tempio sostituì la vecchia chiesetta dedicata alla Madonna; nella Chiesa di Sant’Andrea; nella sagrestia di Redona; Pala d’altare della Chiesa Parrocchiale di Pedrengo.

(2) “Ottenuta il 27 settembre 1614 la licenza dai “giudeci delle strade’, Marco Antonio Mutio e Gio Battista Advinatri, su istanza del deputato della chiesa Giacomo Bagis, si procedette alla costruzione”, affidandone l’esecuzione, come attestano i documenti dell’archivio parrocchiale, ad Antonio Abbati “…che risulta già morto quando il 25 luglio 1615 i sindaci e reggenti del santuario si riunirono per saldare con gli eredi il debito contratto” (Andrea Paiocchi, Il Santuario dell’Addolorata in Borgo Santa Caterina, Edizioni Grafital, Bergamo, 2002, pag. 43).

BIBLIOGRAFIA

Per la colonna

Elia Fornoni, St. Di Berg., XVI.

Luigi Pelandi, 1962, IV.

Arnaldo Gualandris, “Monumenti e colonne di Bergamo”, a cura del Circolo Culturale G. Greppi. Bergamo, 1976.

Vecchio inventario dei Beni Culturali e ambientali – Geo-Portale del Comune di Bergamo.

Per il Santuario

Elia Fornoni, St. Di Berg., Ms. XVII, 53-67.

Luigi Angelini, 1960, 12.

Luigi Pelandi, 1962.

Sandro Angelini, 1966.

Ezio Bolis e Efrem Bresciani, Il Santuario dell’Addolorata in Borgo Santa Caterina, Chiesa di santa Caterina, 2002.

“Cenni storici intorno al Santuario di Maria SS. Addolorata di Borgo Santa Caterina in Bergamo”. Pubblicato in occasione della “Solenne incoronazione – Feste Centenarie dell’apparizione della Beata Vergine di Borgo Santa Caterina”. Bergamo, Legrenzi).

Bergamo – Parrocchia Santa Caterina. Personaggi, a cura del Prof. Luigi Tironi.