La secolare vicenda della conca di Santa Lucia, da valletta rurale a quartiere residenziale

Mollemente disteso lungo il declivio occidentale della collina di Città Alta, il quartiere di Santa Lucia prende il nome dall’antico complesso monastico domenicano femminile “di Santa Lucia in Broseta”, fondato nel 1337, di cui è sopravvissuta la chiesetta posta a fianco del vecchio orfanatrofio maschile (oggi Scuola Imiberg) in via Santa Lucia.

Il quartiere di Santa Lucia nella Valle di Santa Lucia Vecchia, compresa nel vasto anfiteatro che spazia dalla città murata a nord, lo sperone del Fortino ad est (ossia la dorsale che scende dal borgo di Sant’Alessandro) e lo sperone che da Borgo Canale si allunga alla Benaglia ad ovest, delimitata a meridione dall’espansione novecentesca (Ph Moira Vitali)

Ancor’oggi, nonostante l’intensa urbanizzazione la meravigliosa conca rappresenta una sorta di “intervallo”, quasi luogo di sospensione fra la città dei borghi e l’immediata periferia, dove ancora si avverte il profumo di un passato rurale, splendidamente fuso all’impronta elegante del costruito, a partire dalle pregevoli ville e villini di stampo liberty del primo Novecento.

La veduta di Alvise Cima riproduce una larga porzione della Valle di Santa Lucia Vecchia, ai piedi del versante occidentale delle mura medioevali, compresa fra lo sperone di via Sant’Alessandro (terminante nel grumo di case del Paesetto) e la Valle di Sant’Alessandro ai piedi di Borgo Canale, così chiamata per la presenza a monte della basilica alessandrina, distrutta per l’erezione delle mura veneziane (1561-1595), rappresentate con il tratto nero sovrimpresso. La strada che corrisponde all’attuale via Tre Armi, radicalmente mutata per l’erezione delle mura veneziane, rappresentava il legamento al piede delle mura medioevali tra la Porta Santo Stefano (ora S. Giacomo) e l’innesto di Borgo Canale. La costruzione della piattaforma di Santa Grata (P) – che ha interrotto le vie Tre Armi e Paradiso – e del baluardo di San Giovanni (Q) ha isolato ulteriormente la conca di Santa Lucia, già esclusa a valle dal circuito delle Muraine.  Di fronte al Baluardo di S. Giacomo (O), che si innesta su via Tre Armi e su quella di S. Lucia Vecchia, sorgeva il promontorio su cui era costruito il complesso monastico domenicano (Z, 25) corrispondente al Fortino, che in caso d’assedio avrebbe favorito riparo al nemico. Insieme alla vicina porta (N) ha causato la distruzione della chiesa di S. Giacomo (24) e di quella di S. Barnaba e Lorenzino

 

Via Tre Armi presenta verso sud un muro continuo che chiude lo sguardo, bucato solo dalle scalette di collegamento con la conca di Santa Lucia. Verso sud si ricongiunge al Paesetto, dove si trova la seicentesca chiesetta della Madonna del Giglio, quindi a Porta San Giacomo; mentre nella seconda parte sale costeggiando i bastioni e il Seminario, fino a guadagnare l’incrocio con via Borgo Canale, che si diparte all’altezza della colonna posta a ricordo dell’antica Basilica Alessandrina. Proseguendo scende invece su porta Sant’Alessandro

Intessuta com’è da una delle orditure più complesse e sapienti dell’intero paesaggio collinare, la conca conserva, forse più di ogni altra, innumerevoli tracce del suo primitivo carattere agricolo: basta osservare le vecchie case e le cascine sparse, ed in primis i sedumi medioevali ancora presenti nella conca del Paradiso, e il calibro minuto degli appezzamenti evocanti le antiche colture dei broli (orti-frutteti delimitati da muretti a secco), oppure i percorsi acciottolati e i terrazzamenti con i muretti a secco di contenimento, che costrituiscono l’ “armatura” dell’antico paesaggio agricolo.

La Valle di S. Lucia Vecchia in una ripresa del 1884

Se a ciò aggiungiamo i moderni giardini, le alberature e le coltivazioni che ancora resistono, otteniamo un meraviglioso colpo d’occhio sulla grande esedra verde che ancor’oggi chiamiamo a buon ragione “Conca d’Oro”.

Scaletta del Paradiso. Da via Riva di Villasanta si diparte via del Paradiso (nome proveniente da uno scomparso monastero dedicato a Santa Maria del Paradiso), che con ampie curve a gradoni sottopassa un ponticello biforcandosi sotto una grande casa rossa ben restaurata, dove troviamo una lapide con antiche indicazioni, una santella della Madonna e una fontanella. Dal bivio la via prosegue in piano verso destra costeggiando la proprietà della Comunità missionaria del Paradiso, per poi salire l’ultimo tratto con una bella gradinata. Il ramo di sinistra è invece costituito dal vicolo del Paradiso che procede più ripido e più sconnesso con qualche curva, a fianco di un canale di scolo delle acque piovane, fino a sbucare su via Tre Armi un po’ più a monte dell’altro ramo

Un’impronta che si conserva evidente nei tracciati sinuosi – per gran parte gradonati e tutti in forte pendenza – che innervano il pendio intessendo una fitta rete di collegamenti rapidi che dalla piana, dall’antico convento e i suoi dintorni, giungono, oggi come allora, in via Tre Armi, in Borgo Canale, in via Sudorno e in San Martino della Pigrizia.

 Scaletta di Santa Lucia Vecchia. La più “cittadina” delle antiche scalette che conducevano ai campi fuori le Mura, in quanto maggiormente interessata dallo sviluppo urbanistico dell’ultimo secolo, si diparte a fianco della splendida Villa Tentorio, a margine della rotonda Santa Lucia – a mezza strada fra la Galleria Conca d’Oro e la piscina Italcementi -, da dove, con un’elegante doppia scalinata, si stacca il percorso selciato che conduce in via Tre Armi attraverso una teoria di 194 gradini. Si può concatenare alla Scaletta del Paradiso, che si raggiunge salendo via Tre Armi per circa trecento metri, affiancando gli orti posti fra i sovrastanti baluardi di Santa Grata e di San Giovanni

Rimandano alla matrice rurale anche alcuni toponimi, come via degli Orti, dove permane il caratteristico ambiente agricolo collinare, vicolo degli Ortolani nonché via e vicolo Fontanabrolo (“loco ubi dicitur Fontana in valle que dicitur Brolo”), che ricorda la presenza delle acque e la densità dei broli e delle colture da giardino che resero famosa la zona fino a tutto il Cinquecento.

Scaletta di Fontanabrolo. Il suggestivo nome deriva certamente da una sorgente, oggi perduta (la fontana di Cereto) nella zona coltivata a broli (orti). La strada inizia in piano, in via Statuto sopra le piscine, quindi piega a sinistra e sale. Il primo tratto è asfaltato, di servizio ai giardini delle ville, ma presto diventa una vera scaletta acciottolata, molto ripida ma ampia e ben tenuta, che con qualche curva punta verso la chiesa di Borgo Canale. Lungo il muretto “a secco” che l’affianca, corre un caratteristico fosso per le acque pluvie. La via accoglie sulla sinistra il vicolo degli Ortolani (nella zona storica degli orti) scorciatoia di collegamento tra i due spezzoni di via Fontanabrolo – di cui non ha l’eleganza – sfociando su via degli Orti

 

Veduta verso via degli Orti dalla Scaletta di Fontanabrolo (Ph Claudia Roffeni)

Scalette che i contadini percorrevano reggendo le grandi ceste ricolme di ortaggi che foraggiavano la città al piano: via Santa Lucia, via del Paradiso (che si staccano attualmente dalla via Tre Armi), e più defilate, verso Borgo Canale e la Pigrizia, la scaletta delle More, Fontanabrolo (che raggiunge via degli Orti, sul retro della cortina del Borgo Canale), vicolo degli Ortolani e, non dimentichiamo, lo Scalone di Sant’Alessandro, che si diparte dalla parte alta di via Francesco Nullo salendo ripida con i suoi 134 scalini a raggiungere il Paesetto e Porta San Giacomo attraverso la via S. Alessandro.

Anche la breve scaletta delle More, un tempo affiancata da rovi ricchi di frutti, ci porta su via Borgo Canale ma decisamente meno in alto di via Fontanabrolo, concedendoci una lenta e godibile salita, con un’ampia veduta su tutta la Conca d’Oro. La partenza avviene di fronte all’entrata delle piscine, in corrispondenza dell’inizio di via Fontanabrolo. Dapprima il fondo è acciottolato, poi la strada si trasforma in una scaletta con larghi gradini selciati, stringendosi man mano si sale tra i muri. Alla prima curva si può tirare il fiato volgendosi all’indietro e ammirando il panorama che si allarga salendo. Dopo essersi ulteriormente ristretta e passata sotto il balcone di una casa, la scaletta giunge in via Borgo Canale, quasi alla confluenza con via San Martino della Pigrizia. Per raggiungere Città Alta, basta percorrere tutta la via Borgo Canale fino a Porta Sant’Alessandro

LA CONCA E IL SUO ANTICO MONASTERO

La chiesa di Santa Lucia oggi: ciò che resta dell’antico complesso monastico

Ai tempi della fondazione del complesso monastico di Santa Lucia, la devozione alla santa siracusana era già consolidata in Bergamo, come testimonia una scultura del secolo XI inserita nella lunetta del portale d’angolo di Santa Maria Maggiore, dove  Lucia, identificata dal nome inciso nella pietra, partecipa come ancella addetta al bagno della Neonata Maria.

Il portale d’angolo di Santa Maria Maggiore eseguito dai Maestri Campionesi

 

La scultura del secolo XI inserita nella lunetta del portale d’angolo di Santa Maria Maggiore alla metà del XIV secolo e raffigurante la nascita di Maria, vede al centro della scena Lucia (identificata dal nome inciso nella pietra) partecipare come ancella addetta al bagno della piccola Maria

Nella rappresentazione di Bergamo risalente a metà ‘400 – la prima veduta realistica della Città – il monastero “Santa Lizia” è rappresentato con due campaniletti al margine sinistro oltre “lo rizzolo” (antica cinta muraria) e la cinta delle nuove Muraine.

Il monastero di “Santa Lizia” rappresentato nella prima veduta realistica della Città, risalente a metà ‘400

Ma l’isolamento del complesso di Santa Lucia rendeva il monastero rischiosamente esposto a infauste vicende, tanto che nel 1556 (1), a scopo precauzionale le monache decisero di trasferirsi all’interno delle Muraine, trovando definitiva sistemazione nel Prato di Sant’Alessandro – sul luogo dell’attuale Palazzo Frizzoni -, dove si aggregarono al convento occupato fino a quel momento dalle Umiliate di Sant’Agata de Rasolo, fondato nel Duecento dagli Antoniani del vicino ospedale di S. Antonio.

La chiesa, che prima era dedicata a S. Agata, venne unita a quella dell’ospedale di S. Antonio di Prato e dedicata alle Sante Lucia e Agata.

Il convento SS Lucia e Agata in Prato, distrutto negli anni Trenta dell’Ottocento per la costruzione del Palazzo Frizzoni, attuale sede del Comune di Bergamo. Anche il culto di Santa Lucia si trasferisce nel convento di Santa Lucia e Agata in contrada di Prato, all’imbocco di quello che sarà il Sentierone. L’antica devozione a Santa Lucia continuerà nella chiesa dello Spasimo in via XX settembre, poco distante dal convento demolito (particolare dell’incisione del 1815 ca. Proprietà Conte G. Piccinelli, Milano)

Da quel momento, a ricordo del trasferimento della comunità monastica, l’antica chiesa nella conca di Santa Lucia prese il nome popolare di “Santa Lucia Vecchia”, trasmesso poi a tutta la valletta.

La conca di Santa Lucia prima della costruzione dei “Villini”, con al centro l’omonima  chiesa (Raccolta Gaffuri)

La costruzione dello spalto di Santa Grata e del bastione di San Giovanni delle nuove mura veneziane (1561-1595) isolarono ulteriormente la conca di Santa Lucia e presto la chiesa finì in rovina, essendo già, ai tempi della visita apostolica di Carlo Borromeo (1575), piena di attrezzi agricoli.

La Conca d’Oro dopo la costruzione delle mura veneziane (da G. Paolo Lolmo – Pala del voto, 1581)

Ai tempi della peste del 1630 narrata dal Manzoni, il medico Lorenzo Ghirardelli scriveva che nel convento di Santa Lucia, ormai  ridotto a rudere isolato, era sopravvissuto un lembo di muro sbrecciato che manteneva prodigiosamente illeso l’affresco di Cristo curvato sulla strada del Calvario, attirando “i dolenti anche da lontani paesi” così come lo stesso Ghirardelli, che colpito dalla peste vi si rivolse offrendo in voto di ricostruire la chiesa. 

Il medico Lorenzo Ghirardelli documentò la tremenda epidemia di peste del 1630 in una dettagliata cronaca, la “Historia del memorando contagio”

Sopravvissuto il Ghirardelli all’epidemia e acquistate a tal fine “…casa e ortaglie in Santa Lucia Vetera”, ma morto ancor prima di portare a compimento il suo voto (1641), la nuova chiesa verrà edificata grazie ai figli (“padroni di questo luogo”), e consacrata nel 1648 con la nuova intitolazione al Santo Nome di Gesù, in coerenza con l’effigie cui era stata rivolta la promessa ai tempi del “memorando contagio”.

Panoramica della conca di Santa Lucia, fine otto/inizi Novecento (Raccolta Gaffuri)

Nello stesso periodo, il gennaio del 1622, fuori Porta Broseta, nel Borgo Pompiliano (futuro quartiere di Loreto), posto a non più di mezzo miglio dalla città, veniva inaugurato il santuario della Beata Vergine di Loreto e nel mese di giugno, con grande processione la statua della Madonna veniva traslata dal convento di S. Lucia.  

Il santuario di Loreto in uno schizzo di Pietro Ronzoni (1781-1861), nella contrada Broseta Foris, tra il bosco della Trucca e la roggia Serio

A quei tempi, parrocchia dell’intera plaga era la chiesa di Santa Grata inter vites, che abbracciava un’area vastissima.

Tavola topografica disegnata da Angelo Mazzi raffigurante la suddivisione delle vicinie bergamasche nel tredicesimo secolo. Se la strada di S. Lucia vecchia divideva le vicinie di S. Stefano e di Antescolis, l’altra maggior parte del sistema collinare ad occidente della città costituì per secoli la vastissima vicinia di S. Grata inter vites, dipendente dalla omonima chiesa di Borgo Canale

La chiesa nella conca di Santa Lucia (con “quattro reliquie in bellissima urna” sotto l’altare), dotata di abitazione per il sacerdote e per il sacrista, disponeva di un fondo per la messa quotidiana e perpetua e della rendita di terreni siti in Curno.

La chiesa di Santa Lucia, edificata nel 1672 dai figli di Lorenzo Ghirardelli (Alessandro, arciprete di Clusone, e Andrea, cancelliere della città) sulla precedente, fondata dal vescovo Cipriano degli Alessandri nel 1337. Dotata di una navata con volte a botte, presbiterio quadrato e tre altari laterali, la chiesa ha mantenuto il monastero fino al 1910, quando è stato costruito l’oratorio decorato in stile Liberty in armonia con il nascente quartiere

 

La pala d’altare di Francesco Capella, un tempo conservata nella chiesa di Santa Lucia Vecchio, ora nella nuova Parrocchiale (Tempio Votivo)

Alla sua morte nel 1692, Andrea, figlio del medico Lorenzo Ghirardelli, venne sepolto nella chiesa.

Sulla lapide di Andrea Ghirardelli ancora visibile nella chiesa di S. Lucia, si legge: “Le spoglie mortali dell’egregio Signor Andrea Ghirardelli fu Lorenzo segretario solertissimo della Città per anni 45 in questo sacrario da lui fatto costruire in pace riposano nell’anno della salvezza MDCLXXXXII”

La nuova chiesa, come detto intitolata al Santo Nome di Gesù, risultava simile per linee e proporzioni a quella della Madonna del Giglio presso porta San Giacomo, edificata nel 1660 in sostituzione della chiesa vicinale di S. Giacomo, distrutta per la costruzione delle mura veneziane nella seconda metà del Cinquecento.

La seicentesca chiesa della Madonna del Giglio al Paesetto, fuori Porta San Giacomo, sorta con la denominazione di chiesetta della Madonna di San Giacomo in sostituzione della chiesa posta più a monte, distrutta nel corso dell’erezione delle mura veneziane

In realtà, è intitolata alla Madonna del Giglio dal 1806, a ricordo dell’evento miracoloso del 1659 che vide protagonista Felicetta Coltrini, una fanciulla storpia, qui giunta a gran fatica dal borgo San Leonardo per chiedere la grazia alla Vergine dipinta ad affresco nei pressi dei portelli posti ai piedi di Porta di San Giacomo, tra le vie Tre Armi e Sant’Alessandro: la tradizione vuole che persino i gigli ormai appassiti deposti dinnanzi alla sacra immagine, improvvisamente rifiorissero. Dopo la concessione della grazia, l’affresco venne trasportato all’interno della chiesa.  

Chiesa della Madonna del Giglio. L’interno è impreziosito dall’altare in marmo arabescato, opera della bottega dei ticinesi Manni (1714), dalle sei grandi tele di Marco Olmo (1683-1753), lo stesso autore della pala della chiesa della Carità, e dagli affreschi della volta e del lunettone di C. Tencalla, d’inizio ‘700 (Raccolta Gaffuri)

I due edifici risultavano direttamente collegati dal vicolo Santa Lucia che  risale ancor oggi, con la denominazione di via Santa Lucia Vecchia (scaletta), la via Tre Armi (via radicalmente modificata dalla costruzione delle mura veneziane) e la Porta San Giacomo nella Città Alta.

Da via Tre Armi si possono ammirare da vicino le tecniche costruttive delle Mura: il muro a scarpa di base, il redondone (la cornice arrotondata in pietra che delimita il cambio di pendenza del muro) e il parapetto verticale. L’imbocco orientale della via coincide con lo spigolo del bastione di San Giacomo, dalla classica forma a stella, mentre nel tratto sudoccidentale,  interrotto dalla piattaforma di Santa Grata e dal bastione di San Giovanni, è occupato dalle le cannoniere (ingresso sul viale delle Mura), di cui si scorgono le bocche di cannone e le “sortite”, le porte da cui i soldati potevano uscire in campo aperto (Raccolta Gaffuri)

 

La conca di Santa Lucia nell’incisione di Pierre Mortier (Planimetria di Bergamo e suo territorio, 1704. Bergamo, Biblioteca Civica)

Il territorio intorno alla chiesa non subì trasformazioni, cristallizzandosi in un ameno paesaggio agreste che lambiva i non più minacciosi contrafforti della fortezza di Bergamo, come appare in un disegno di Giacomo Quarenghi, databile intorno al 1810.

Disegno di G. Quarenghi, 1810

NELLA CONCA COMPARE IL CIMITERO

Intorno al 1810, in seguito al divieto di sepoltura nelle aree urbane, fuori Porta Broseta, a servizio del sempre più popoloso Borgo di San Leonardo venne creato un cimitero dalla forma pentagonale intitolato a Santa Lucia, con ciò restituendo la devozione dell’antico e indimenticato monastero.

Il cimitero pentagonale di Santa Lucia nella pianta di Bergamo del 1810; il cimitero si trovava alla metà dell’attuale via Nullo

Il piccolo camposanto, uno dei tre cimiteri storici sorti in quel periodo fuori le Muraine (2), si trovava esternamente alla cortina del Lapacano ed era ancora in uso nel periodo in cui, a pochi passi, era già stato avviato il cantiere per il nuovo impianto della centrale della Società elettrica Bergamasca (1911 -1926), chiamata in seguito ENEL.

Via Nullo negli anni ’20, con l’edificio novecentesco della Società elettrica Bergamasca (nata ai primi del ’900 dalla fusione fra la Società elettrica prealpina e la Società bergamasca per la distribuzione dell’energia elettrica), costruito fra il febbraio 1911 e il 1926 su progetto dell’architetto Luigi Bergonzo, padre di Alziro, il progettista dell’attuale Casa della Libertà. Il cimitero di Santa Lucia venne dismesso nel 1813

 

Del  recente complesso residenziale costruito sull’area della vecchia centrale ENEL sono sopravvissuti i prospetti del grande edificio d’angolo tra le vie Nullo e Mazzini (un tempo destinato a sala macchine e trasformatori) e la palazzina della sottostazione di trasformazione edificata tra il 1923 e il 1926. Il nuovo isolato è composto da cinque corpi di fabbrica, su progetto dello studio di Antonio Citterio e Patricia Viel and Partners

Anche se ormai dismesso, e sostituito dal nuovo camposanto di S. Giorgio alla Malpensata, nella pianta del Manzini del 1816 il piccolo cimitero è ancora presente; intanto, nel 1910, il Comune aveva già decretato l’ampliamento dell’attuale via Nullo (parallela alla distrutta cinta del Lapacano), demolendo la preesistente centrale della Società elettrica prealpina, per ricostruirne una nuova.

Pianta dell’ing. Manzini del 1816. Cerchiato in basso il cimitero pentagonale di S. Lucia (a questa soglia già dismesso) e in alto la chiesetta di Santa Lucia Vecchia, congiunte dal tracciato della roggia Curna, che dall’attuale via Garibaldi prosegue verso il futuro Ospedale Maggiore. Da questo momento si individua parte della via Santa Lucia Vecchia nell’attuale via XXIV maggio dove, all’altezza dell’ex camera mortuaria sorgeva la Cascina del Ghetto (documentata in una pianta del 1930), il cui toponimo ricorrerà nel 1939 nella definizione dei confini della parrocchia di Santa Lucia, istituita in quell’anno

 

In un atto del novembre 1336 apprendiamo che nel corso del XV secolo, in concomitanza con un “ampliamento della cerchia antica sul colle per ricomprendere la parte alta del borgo di S. Stefano”, la contrada di Broseta si dilatò verso ovest e si creò il muro del Lapacano con una nuova porta fortificata di Broseta, da cui saliva a ricongiungersi con le mura medioevali nei pressi dell’attuale porta S. Giacomo (fotografia del 1884 eseguita da Cesare Bizioli – Patrimonio Lucchetti-Museo delle Storie di Bergamo – rielaborata da Gianni Gelmini)

Nel 1838 in Porta Broseta si insediava la filanda Berizzi, dando avvio al nuovo destino proto-industriale della parte bassa della conca di Santa Lucia, lambita dalla roggia Serio.

Gli insediamenti proto-industriali fuori Porta Broseta in direzione Loreto, lungo il corso della roggia Serio

Eletto a parrocchia nel 1863, il santuario di Loreto diventava parrocchia di riferimento anche per la zona di Santa Lucia vecchia e le sue pertinenze. Nello stesso anno, il lascito Ghirardelli finiva nelle proprietà dell’Opera Pia Azzanelli Cedrelli e la chiesa diventava di patronato della stessa Opera.

Il secentesco santuario della Beata Vergine di Loreto, nella contrada Broseta Foris nel Borgo Pompiliano, era preceduto dalla Porta Nera (qui ritratta prima della sua demolizione, avvenuta nel 1831), uno degli sbarramenti avanzati medioevali, di cui è sopravvissuta solo la stongarda di San Matteo a Longuelo

Ma nel 1902 la chiesa di santa Lucia passò alla famiglia Migliorini Carminati, che acquistò le Ortaglie del Paradiso,  la chiesa e gli annessi fabbricati, con l’intenzione d’istituirvi un Orfanatrofio, realizzato nel 1916.

Romeo Bonomelli – Ritratto della famiglia Carminati. La chiesa viene officiata dal 1902 al 1922 da don Angelo, sacerdote, ultimo esponente della facoltosa famiglia Carminati, che devolverà tutto il patrimonio all’abbellimento della chiesa e all’aiuto ai derelitti

CADONO LE MURAINE: NASCE IL QUARTIERE LIBERTY ED IN SEGUITO  L’OSPEDALE 

Via Nullo, primi ‘900, con Villa Bracciano in primo piano a sx

Mentre la Città Bassa aveva cominciato a trasformarsi già a partire dall’Ottocento, dando vita ad un moderno centro cittadino con grandi palazzi istituzionali, ampie strade e innovativi mezzi di trasporto, l’abbattimento delle Muraine agli albori del Novecento cambiava il volto degli antichi borghi, decretando la perdita di isolamento anche per la conca intorno alla chiesa di Santa Lucia.

1890: le Muraine viste dal Paradiso  prima della loro demolizione

In quel “grazioso angolo di campagna con meravigliose visioni di papaveri nei campi a primavera” (ma anche ad oriente del contrafforte di S. Stefano) sorsero le prime ville padronali e le prime palazzine in stile Liberty, costruite per famiglie borghesi, professionisti, imprenditori e commercianti, per massima parte tra il 1905 e il 1915 determinando la nascita di un quartiere ordinato a scacchiera, che andrà sviluppandosi fino alla fine della Seconda Guerra mondiale, acquisendo un nuovo impulso con l’avvento del boom economico.

Il nascente quartiere di Santa Lucia, ai primi del Novecento

 

Bergamo, via Nullo. Viaggiata nel 1924 da Bergamo a Roma (proprietà Marta Volta, ricevuta da Laura Ceruti)

Nel frattempo, nel 1916 sui terreni del lascito Carminati agli Istituti Educativi  iniziava la costruzione dell’Orfanatrofio Maschile (divenuto nel periodo della Prima guerra mondiale Ospedale Militare di Riserva).

La chiesetta di Santa Lucia Vecchia con a destra il grande fabbricato dell’Orfanatrofio Maschile

 

L’Orfanatrofio Maschile, adibito nel periodo della Prima guerra mondiale a Ospedale Militare di Riserva, con cappellano don Angelo Roncalli

In quel periodo, la società dei fratelli Ingegnoli di Milano aveva acquistato i terreni per un fronte di 500 metri dal Lapacano verso S. Lucia, iniziando la costruzione dei cosiddetti “Villini” della Conca d’oro, riecheggiando l’idea della città-giardino.

All’incrocio con via Nullo, Villa Bracciano, al civico 28, ambita dimora dell’alta borghesia, probabilmente la prima a essere costruita nel 1905-1906 nel nuovo quartiere di Santa Lucia. Fu commissionata da Carlo Bracciano all’architetto Luigi Bergonzo, padre del più noto Alziro. Il motto virgiliano LABOR OMNIA VINCIT in tipici caratteri Liberty, ben esprimeva l’etica del lavoro tanto caro alla borghesia bergamasca

 

Della stagione liberty è esempio monumentale la bizzarra Villa La Bassiana (in cima a via Nullo, al civico 50, in angolo con via Albricci), costruita da Angelo Sesti nel 1916 per l’avvocato Bassano Gabba (sindaco di Milano nel biennio 1909-10 e senatore del Regno dal 1924) che ne andava particolarmente fiero. Quasi simile a un castello, i numerosi disegni del progetto sono oggi conservati presso la Biblioteca Angelo Mai

 

Poco alla volta, i moderni edifici in cemento (poco costoso e facilmente lavorabile), abbinato al ferro battuto di cancelli ed inferriate, cambiarono il volto del quartiere andando ad occupare una vasta area tutta intorno alla futura via Statuto, che presto divenne residenza della media e alta borghesia del tempo, desiderosa di distinguersi attraverso la nuova espressione artistica d’inizio secolo.

Nell’immagine, risalente al primo Novecento, l’attuale via Santa Lucia, allora chiamata via al Paradiso, dall’incrocio con via Statuto. Oggi la via del Paradiso è ubicata più avanti, lungo la scaletta che porta in Città Alta. Nate dal disegno degli architetti e dalla personalità dei committenti, le fantasiose facciate Liberty furono affrescate con motivi floreali, geometrie, iscrizioni, eleganti figure femminili dipinte o scolpite, putti, festoni di frutta e cornici curvilinee, ripresi sia dal gusto proveniente dal Nord Europa, sia dagli esempi del passato

In un primo momento, essendo la zona completamente priva di servizi, il nascente quartiere era ancora congiunto alla città dal tortuoso tracciato di via delle Cavette (attuale via Sant’Antonino), che dal sagrato di Sant’Alessandro in Colonna arrivava fino al Lapacano costeggiando il parco dei conti Belli, mentre l’idea del “traforo del Fortino” per connettere il nascente quartiere con la città, comincerà a farsi strada solo a partire dal piano regolatore promosso dal Rotary nel 1926.

Scorcio verso la Conca d’Oro

Nel 1922, l’area era abitata da circa 400 persone, ma le costruzioni in atto e l’intricata rete del tracciato stradale – già dotato delle nuove vie Milano, Torino, Albrici, Alborghetti, Rismondo -, lasciavano presagire un notevole sviluppo tra la zona immediatamente pedecollinare (l’attuale via Rosmini) e le vie Statuto (completata nel 1933), Negri, XXIV Maggio, ai tempi percorse solo da carri e da una comoda linea tranviaria che arriverà fino al nuovo Ospedale, inaugurato nel 1930, epoca in cui si comincerà a pensare ad una chiesa nuova per il quartiere.

Ex Ospedale Maggiore Il grande complesso dell’ex Ospedale Maggiore viene realizzato negli anni 1927-1930 su progetto dell’ing. Giulio Marcovigi di Bologna. L’inaugurazione avvenne alla presenza dei futuri re Umberto II e regina Mara Jose, in onore della quale venne intitolato “Principessa di Piemonte” mantenendo tale denominazione sino all’avvento della Repubblica. L’edificio ha fatto la storia del quartiere e della città intera

L’ELEZIONE A PARROCCHIA DELLA CHIESA DI SANTA LUCIA, LA CREAZIONE DEL RIFUGIO ANTIAEREO E LA NASCITA DEL TEMPIO VOTIVO 

All’inizio degli anni Trenta gli abitanti della zona erano circa 1.000, e mentre si era da tempo acquistato il “bellissimo campo d’angolo” tra via Statuto e via Alborghetti dove edificare la nuova chiesa, nel 1939 la chiesa al Santo nome di Gesù veniva smembrata da quella suburbana di Santa Maria di Loreto per essere eletta a parrocchia con il titolo di “Chiesa di Santa Lucia vergine e martire”, recuperando l’antica dedicazione.  L’anno successivo veniva ceduta dall’amministrazione dell’Orfanatrofio alla curia di Bergamo.

Chiesa di Santa Lucia vergine e martire, in via Santa Lucia

Intanto, negli anni Quaranta nella zona c’erano poche case isolate, con la chiesetta di S. Lucia dominata dal poderoso edificio dell’Orfanatrofio maschile e la roggia Curna che correva lungo la via Statuto a demarcare le due anime del rione: quella alta ed elegante e quella bassa, ancora campestre, ricca di  campi di grano, gelsi, e frutteti, delimitati da piccoli fossati.

Il quartiere di Santa Lucia, chiamato comunemente “I Villini”. La via Mazzini (oggi Garibaldi) è già tracciata nel 1908 (annullo postale del 1929 – Raccolta Domenico Lucchetti)

 

Il quartiere di Santa Lucia, chiamato comunemente “I Villini” (ripresa fotografica del 1930 – Raccolta Domenico Lucchetti)

 

Il quartiere di Santa Lucia, chiamato comunemente “I Villini” (ripresa fotografica del 1930 ca. – Raccolta Domenico Lucchetti)

 

Il quartiere di Santa Lucia, chiamato comunemente “I Villini” (edizione del 1939 – Raccolta Domenico Lucchetti)

Ma a parte le ville liberty nell’insieme la valletta era ancora un’area agricola, perennemente baciata dal sole e ancora chiamata Conca d’Oro per l’amenità del sito e per l’abbondanza e varietà dei suoi coltivi.

Scorcio sui coltivi nella conca di Santa Lucia, nell’attuale zona delle piscine (Raccolta Gaffuri)

Nel frattempo, nel 1944 era iniziato lo scavo della Galleria Conca d’Oro sotto il colle del Fortino per creare il bunker antiaereo del Comando Germanico Werhmacht, collegato in “verticale” alla sovrastante villa (oggi nota come villa Bizioli) mediante una scala scavata nella roccia di cui è ancora visibile la porta in ferro di arrivo nel bunker, il quale era a doppia uscita.

Il rifugio antiaereo nella Galleria Conca d’Oro, nel 1949 ancora chiusa al traffico, con la strada sterrata e l’interno completamente buio

In quella bellissima residenza con torre ad altana/belvedere, si svolsero le trattative che, si dice, nel 1943/’45 salvarono la città, prima da un bombardamento alleato e poi dallo scontro insurrettivo.

L’imbocco della Galleria Conca d’Oro nel 1949, adibita in tempo di guerra a rifugio antiaereo del Comando Germanico Werhmacht, collegato in “verticale” alla sovrastante villa (oggi nota come villa Bizioli), sul colle del Fortino, mediante una scala scavata nella roccia di cui è ancora visibile la porta in ferro di arrivo nel bunker, il quale era a doppia uscita

Con lo scavo della galleria,  si poneva la premessa per la realizzazione del collegamento veicolare che dal 1953 sarà la Galleria della Conca d’oro.

A causa della guerra, ma anche per mancanza di fondi la cupola inconfondibile del Tempio Votivo cominciava ad emergere solo nel 1949, avviandosi al completamento l’anno successivo (poco dopo il Congresso Eucaristico diocesano e la proclamazione del dogma dell’Assunta), quando le anime della parrocchia di Santa Lucia erano ormai salite a 3.000.

Il 25 aprile del 1952, a sei anni esatti dalla posa della prima pietra, con grande concorso di popolo la nuova chiesa venne solennemente consacrata dal vescovo Bernareggi, dedicata al “Cuore Immacolato della Beata Vergine Maria” ma presto nominata Tempio Votivo (3) in segno di gratitudine per aver risparmiato la zona dall’orrore dei bombardamenti, adempiendo al voto fatto dalla Città di Bergamo nel 1943 (4).

Un momento della solenne processione propiziatoria sulle mura veneziane, convocata dal Vescovo Adriano Bernareggi il 14 marzo 1943 (prima domenica di quaresima e terzo anno di guerra), cui presero parte oltre 40.000 persone , “al seguito del venerato Crocifisso di Rosate…che ben altre volte vide davanti a sé la folla prostrata dei fedeli bergamaschi…” (dalla cronaca de L’Eco di Bergamo del 16 marzo ’43. Fotografia tratta da L’Eco di Bergamo del 15 marzo 1943)

 

Il Tempio Votivo della Pace, costruito su progetto dell’ingegner Federico Rota, è un corpo cilindrico dal diametro interno di 20 metri e alto 24 metri, sormontato da cupola emisferica cieca di 30 metri al vertice, con profonda abside e scarselle sulle diagonali. L’esterno viene rivestito in conci di pietra di Credaro ben squadrati, con elementi in Calcare bianco Zandobbio. Nell’altare maggiore sono sigillate le reliquie dei santi Adriano, Alessandro, Grata e Lucia. L’abside è rivestita da mosaico. I quattro stemmi modellati da Elia Ajolfi per l’altare del voto ricordano chi ha maggiormente contribuito all’adempimento: il vescovo Bernareggi, la diocesi, il Comune e la Provincia di Bergamo. Ma non va dimenticato il grandissimo contributo dei parrocchiani di Santa Lucia. Tra le pregevoli opere d’arte, la “Sacra conversazione” attribuita ad Andrea del Sarto, una “Deposizione” copia da Luca Giordano e un Crocifisso seicentesco in avorio (ora sull’altare maggiore). Inoltre, vi sono opere di Ugo Riva (Via Crucis), Attilio Nani (altare maggiore e vasca battesimale), Piero Brolis (Pietà e Crocifisso), Vanni Rossi (affreschi), Angelo Gritti e Trento Longaetti, a cui si devono anche le vetrate.  Inoltre, due dipinti di ambito locale dedicati alla figura di Santa Lucia, entrambi del XVI secolo

 

Il Tempio Votivo, al centro dell’immagine, è la chiesa parrocchiale della Conca d’Oro: eretto per adempiere il voto fatto dalla Città di Bergamo nel 1943 e consacrato il aprile 1952. Vi si tengono le principali liturgie

GLI ANNI DEL BOOM E L’APERTURA DELLA GALLERIA CONCA D’ORO

Negli anni ‘50-’60, pur mantenendosi residenziale la zona si adeguò ai mutamenti economici e sociali: dagli anni ‘50 cominciarono a comparire i primi condomini di via Rosmini, via Bologna, via Milano e via Santa Lucia.

In una cartolina del 1959 gli edifici ad appartamenti segnano ormai il volto di via IV Novembre

Nel 1953 venne portato a termine il collegamento veicolare fra il quartiere di Santa Lucia e il viale Vittorio Emanuele, realizzato mediante la Galleria Conca d’Oro, lunga circa 245 metri e tutta illuminata al neon.

Galleria Conca d’Oro

Fortunatamente non andò a buon fine il progetto concepito nel 1954 per creare un’altra strada partendo dalla rotonda di S. Lucia, che avrebbe dovuto aggredire con una serie di tornanti questa zona collinosa della città, creando “una rusticana passeggiata, una specie di ‘Viale dei Colli’ meno classico certamente del celebrato viale di Firenze, ma anch’esso allagato di sole, stornellato a primavera dalle chiome dei peschi che sui nostri colli esplodono prestissimo in fiore”.

Il Tempio Votivo oggi

Così come non andò a buon fine l’idea di far passare per la galleria una linea del tram, “nella suggestione di un traforo”, per raggiungere il bel quartiere di Santa Lucia (5).

Scorcio sulla Conca d’Oro e l’Ospedale Maggiore, 1955

In seguito, nel 1964 fu istituita la parrocchia di S. Paolo, al confine col quartiere, nell’ottobre del ’63 iniziarono a costruire le piscine Italcementi, entro il 1972 fu completato il complesso dell’Eurocollege, che dall’84 ospita l’Accademia della Guardia di Finanza e, sempre nel corso degli anni ’70, i contigui nuovi insediamenti di via Anna Frank e di via Damiano Chiesa.

La costruzione del nuovo Seminario, tra il 1960 e il 1967, portò un parziale rimodellamento della morfologia della conca di Santa Lucia, compreso l’interramento di una casa. Per contenere il materiale di conferimento e scarico derivante dalla costruzione del Seminario, lungo il pendio sottostante la via Tre Armi fu piazzata una muraglia di pietre ingabbiate, oggi non più visibile perché occultata da una rigogliosa vegetazione. Nella zona delle piscine Italcementi, che funse da gigantesca discarica, vennero provvisoriamente trasportati detriti per oltre 100.000 metri cubi

 

Le piscine Italcementi negli anni Settanta. Il Centro Sportivo Italcementi distribuito su una superficie di circa 30 mila mq, di cui 6.300 coperti, per un totale di cinque piscine oltre a un palazzetto dello sport e una piccola palestra. A destra dell’ingresso, apposta alla parete un’opera di Elia Ajolfi (Bergamo 1916-2001), mentre all’interno una scultura di Franco Normanni (Bergamo 1927-2005) dedicata alla Fontanabrolo.

La chiesa di Santa Lucia,  embrione di tutta la valletta, dopo un adeguato restauro venne riaperta al culto nel 1980, quando la parrocchia contava ormai circa 8.000 abitanti; anche se, come detto, le principali liturgie si tengono a tutt’oggi al Tempio Votivo, eletto a chiesa parrocchiale della Conca d’Oro.

Nel complesso, nel quartiere convivono pacificamente le tante anime che nel tempo vi si sono sedimentate, all’ombra del pendio dorato della conca dove  natura e costruito continuano a coniugarsi in perfetta armonia.

 

Note

(1) Per il Pasta 1586, per G.B. Angelini 1590. Per notizie relative ai due siti di S. Lucia si veda anche E. Fornoni, Le vicinie cittadine, pp. 440-411.

(2) In seguito alle nuove disposizioni imposte da Napoleone con l’Editto di Saint-Cloud, emanato in Francia nel 1804 per motivi d’igiene e di salute pubblica nel 1810 a Bergamo sorsero ben tre cimiteri, tutti fuori dalle Muraine: quelli di Santa Lucia, San Maurizio e Valderde. Nel 1813, ritenuta inadatta la sua localizzazione, il cimitero di S. Lucia venne dismesso e sostituito dal nuovo camposanto di S. Giorgio, costruito alla Malpensata, tra la chiesa e il grande parcheggio a lungo occupato dal mercato del lunedì. I tre cimiteri confluiranno in seguito nel Cimitero Unico costruito in viale Pirovano agli inizi del Novecento.

(3) La solenne consacrazione avviene in coincidenza con la conclusione del Sinodo diocesano svoltosi il 23 e 24 aprile e l’apertura definitiva al culto è del ‘53.

(4) Durante la solenne processione tenutasi il 14 marzo 1943, in piazza del Duomo il vescovo proclama solenne voto: “Per la città domandiamo la protezione di Dio; domandiamo tale protezione con la mediazione del Crocifisso, perciò è stato portato in trionfo; e domandiamo tale protezione anche con l’intercessione di Maria. Ecco il mio desiderio: se saremo risparmiati dai danni delle incursioni aeree, noi promettiamo e facciamo voto di erigere, quale parrocchia nel quartiere di Santa Lucia, a guerra terminata un tempio votivo al Cuore Immacolato di Maria, tempio che rappresenti nei secoli la nostra gratitudine al Signore”. L’epigrafe latina voluta dal vescovo Bernareggi a fascia di tutto il perimetro esterno dell’edificio proclama dunque: “COLOMBA BELLISSIMA CHE PORTI L’ULIVO DELLA PACE/ACCOGLI IL VOTO DELLA CITTÀ INDENNE PER IL TUO SOCCORSO/TI RENDIAMO GRAZIE O CREATURA DELLA TRINITÀ/SIGNORA DELL’ALTISSIMO GAUDIO DELLA CHIESA SPERANZA DEL MONDO/A TE CHE HAI CALPESTATO IL MOSTRO DELLA GUERRA/DEDICHIAMO PER LE MANI DI ADRIANO VESCOVO QUESTO TEMPIO”.

(5) L’Eco di Bergamo.

Bibliografia e sitografia essenziale

Progetto Il colle di Bergamo, Lubrina, 1988.

Valentina Bailo, Roberto Cremaschi, Perlita Serra, Alle porte  di Citta’ Alta, 2012, Associazione per Città Alta e i Colli di Bergamo.

Parrocchia di S. Lucia

Tosca Rossi, A volo d’uccello Bergamo nelle vedute di Alvise Cima Analisi della rappresentazione della città tra XVI e XVIII secolo. Litostampa istituto grafico, Bergamo, 2012.

Ultima modifica: 26 marzo 2024

Gli antichi cimiteri fuori le Muraine e lo scomparso cimitero ottagonale di Valtesse, dove plebe e nobiltà si davano la mano

E’ all’Editto di Saint-Cloud, emanato in Francia nel 1804, che si deve la nascita dei moderni cimiteri, imposti da Napoleone per motivi d’igiene e di salute pubblica.

Secondo le nuove disposizioni, che recidevano di colpo la tradizione secolare di seppellire i defunti all’interno delle chiese, nelle loro adiacenze e nei sagrati (“Coemeterium Plebis”), il seppellimento doveva ora avvenire in appositi recinti da collocarsi fuori dalle mura cittadine: nascevano così i cimiteri civici,  che ancora chiamiamo “campisanti” a ricordo del loro antico uso.

Il Foppone agli inizi del Novecento. All’uso secolare di seppellire i defunti all’interno o nei pressi delle chiese, si contrapposero eccezioni dovute a gravi pestilenze, come la peste del 1630, quando i morti vennero sepolti nei cosiddetti “fopponi”, grandi fosse poste generalmente fuori dall’abitato. Il Foppone di S. Agostino, all’esterno delle mura medievali ma dal XVI secolo compreso nelle mura veneziane, era comunque abbastanza decentrato rispetto alla parte più popolosa del centro storico. Venne colmato solo agli inizi del Novecento con detriti, forse derivanti dall’abbattimento del tratto di via Beltrami

In seguito alle nuove disposizioni, attuate dal 1 maggio, nel 1810 a Bergamo sorsero ben tre cimiteri, tutti fuori dalle Muraine: quelli di Santa Lucia, San Maurizio e Valderde.

Il piccolo cimitero pentagonale di Santa Lucia si trovava nell’attuale via Nullo, tra le vie Broseta e Lapacano nell’area a lungo occupata dalla sede dell’Enel ed oggi da un lussuoso complesso residenziale.

Via Nullo negli anni ’20: la sede della Società Elettrica Bergamasca, poi Enel

Ma nel 1813, ritenuta inadatta la sua localizzazione, il cimitero venne dismesso e sostituito dal nuovo camposanto di S. Giorgio, costruito alla Malpensata.

La cortina delle Muraine del Lapacano nel 1884, in una incredibile e rara fotografia. Il Lapacano, cortina muraria che collegava Porta Broseta con la torre tonda del Cavettone (uno dei pochi luoghi in cui le Muraine medioevali sono ancora visibili, inglobate in un condominio) rappresentava in epoca medioevale un punto importante del circuito difensivo delle Muraine. Proprio in corrispondenza dell’attuale Lapacano si incrociavano due corsi d’acqua (utilizzata a scopo difensivo e per muovere macine e telai): la roggia Serio si univa alla roggia Curna, che proseguiva verso l’ospedale per mezzo di un canale che correva parallelo alle mura, in luogo dell’attuale via Nullo (fotografia eseguita da Cesare Bizioli – Patrimonio Lucchetti-Museo delle Storie di Bergamo – rielaborata da Gianni Gelmini nel suo ultimo e prezioso lavoro dedicato alle Muraine)

Il cimitero di San Giorgio si trovava tra la chiesa e il grande parcheggio della Malpensata, dove si tiene il mercato del lunedì. Venne dismesso circa un secolo dopo (qualcuno afferma nel 1904, quando entrò in funzione il Monumentale di viale Pirovano, ed altri nel 1909) ma restò presente fino agli anni ’40, e “pare che, nell’interludio fra la dismissione e la traslazione, diverse tombe siano state profanate” (1).

In ogni caso, il cimitero “ebbe qualche monumento artisticamente pregevole con cappelle di enti e associazioni religiose e civili: fra le tombe private ricorrevano i nomi più noti di commercianti e industriali facoltosi. Vi erano pure lapidi commemorative di associazioni patriottiche che, come la tomba Ortolani, opera di Luigi Pagani, vennero trasferite al Cimitero Unico” (Tancredi Torri, in “Archivio Storico Lombardo, 1960).

Il cimitero di San Giorgio, alla Malpensata. Quando entrò in funzione il grande Cimitero Unico della città, i carri funebri vi portavano le spoglie esumate percorrendo la strada del Conventino. Dopo la dismissione del cimitero l’area  si trasformò nel nuovo mercato del bestiame, trasferitosi dal Foro Boario (Piazzale degli Alpini) verso il 1915, non più agibile per la costruzione di nuovi edifici. Inoltre, nel piazzale della Malpensata stazionarono periodicamente dapprima il circo equestre e successivamente i baracconi della Fiera di Sant’Alessandro, qui trasferiti dal prato tra viale Vittorio Emanuele e Piazza della Libertà per la costruzione dei palazzi dell’INPS e della Camera di Commercio

Il cimitero nella piana di San Maurizio, dalla forma tondeggiante, sorse in un luogo dove esisteva una antica chiesa cimiteriale, che in seguito venne ceduta alle monache benedettine del vicino convento di San Fermo, di cui ancor’oggi possiamo ammirare la piccola chiesa.

Un’irriconoscibile via San Fermo con la sua chiesetta documentata dal 1154

 

Il cimitero monumentale di Bergamo in costruzione

 

Il Cimitero Unico nella prima metà del Novecento. A sinistra dell’immagine si riconosce ancora chiaramente la forma rotonda dell’antico cimitero di San Maurizio, unico sopravvissuto dei tre piccoli cimiteri costruiti a Bergamo agli inizi dell’Ottocento perchè inglobato nel  nuovo impianto del Cimitero Monumentale di Bergamo e destinato da allora alle sepolture dei bambini

 

Il “Cimitero dei bambini” nel 1963, cresciuto sull’area dell’antico cimitero di San Maurizio

 

La rotondità dell’area cimiteriale riservata ai bambini è ancora perfettamente leggibile lungo il perimetro del campo (foto dell’autrice, datata 02/11/2018)

Il cimitero ottagonale di Valtesse, sulla strada per la Valle Brembana, fu costruito in luogo dell’attuale Campo Utili, in via Baioni, e doveva servire, oltre a Valtesse, Città Alta e le sue adiacenze (Borgo Canale, Castagneta e Fontana).  E’ già riportato, nella sua forma ottagonale, nella mappa del Comune di Valtesse del 1810.

Bergamo, 1916 – Giuseppe Manzini. Cimitero ottagonale di Valtesse (in alto verso sinistra, parallelo al riquadro del Lazzaretto, quest’ultimo evidenziato in nero)

Dismesso il cimitero di Santa Lucia, gli altri tre restarono in funzione fino agli inizi del Novecento, ossia fino a che non entrò in funzione il grande Cimitero nella spianata di S. Maurizio, nell’attuale viale Pirovano.

Mappa di Bergamo nel 1869. Si possono notare due dei quattro cimiteri ottocenteschi di Bergamo: a Santa Lucia (ovest) e Valtesse (nord)

La soppressione dei piccoli cimiteri si era resa necessaria oltre che per l’espansione della città, anche per motivi di igiene pubblica.

Già nel 1887 la relazione sanitaria, lamentando la gravissima condizione dei cimiteri di San Giorgio e di Valtesse, invitava a risolvere la situazione prima che si verificassero pericolose conseguenze. Il cimitero di San Giorgio aveva esaurito il terreno utile per le tumulazioni, mentre in quello di Valtesse la condizione del sottosuolo costituiva una perenne e grave minaccia alla salute: nei periodi di pioggia eccessiva, le casse galleggiavano “nell’acqua che si scarica nella Morla prima che questa attraversi due popolose borgate”.

La Morla in piena a Valverde. Ancora nel 1936, in un tardo pomeriggio di primavera, dopo una giornata afosa vi fu un temporale proveniente da est veramente impressionante. Venne fortemente colpita la zona Borgo S. Caterina, tanto che oltre alle case e alle cantine allagate affiorarono sul terreno le ossa del vecchio cimitero di Valtesse, Il grave episodio fu causato dallo straripamento dei torrenti Tremana e Gardellone, confluenti della Morla (fotografia di Carlo Scarpanti)

Il problema di un nuovo cimitero, insieme a quello della realizzazione dell’acquedotto e della rete fognaria, erano ormai improrogabili per la tutela della salute dei cittadini.

Il Cimitero monumentale di Bergamo intorno al 1910 (Raccolta Lucchetti)

La decisione (8 giugno 1896) della municipalità di costruire un nuovo grande cimitero in grado di accorpare tutti gli altri pose fine ad ogni questione: il piccolo cimitero di San Maurizio venne da subito incorporato nel grande Cimitero Unico (e se ne rintracciano le antiche memorie nelle colonne d’ingresso al cimitero dei bambini e sulle lapidi di  illustri pittori apposte sulle pareti dietro la Chiesa di Ognissanti), quello di San Giorgio alla Malpensata vi confluì nel 1904 (o nel 1909 secondo taluni, comunque ancora presente negli anni ’40), mentre quello di Valtesse fu l’ultimo ad essere dismesso, lasciando nella memoria collettiva una flebile traccia.

Negli anni ’40 del Novecento, il barbone Gattinoni detto “Gatinù”, si era accasato in una cappella del cimitero di San Giorgio, alla Malpensata, appartenente alla Famiglia Piazzoni: “una sontuosa cappella gentilizia tutta marmo, colonnine e fregi. In un loculo aveva sistemato il suo cucinino; in un altro la sua branda”. L’uomo, che portava uno stravagante cilindro spelacchiato con penna di fagiano, a causa della sua ostinazione a lasciare il suo personale “dormitorio”, fece ritardare la demolizione del cimitero:  la nobile famiglia proprietaria della Cappella, venuta a conoscenza del fatto “era intervenuta in comune e aveva ottenuto di lasciare il pover’uomo in pace…Effettivamente il barbone non morì nella cappella gentilizia e così il Cimitero potè essere completamente demolito.” (il virgolettato proviene da “Il Novecento a Bergamo”)

 

IL CIMITERO DI VALTESSE

La data di nascita del cimitero di Valtesse è solo deduttiva, ma di fatto dal 1812 i registri della parrocchiale di Valtesse portano l’indicazione “novo cemeterio” e certamente nel 1816 la sua forma definitiva era compiuta.

Un emozionante ricordo Cimitero di Valtesse, dalla forma ottagonale, sorto lungo la provinciale per la Valle Brembana, soppresso negli Anni ’20 (Foto Domenico Lucchetti)

Si trattava di un cimitero “consorziale” di cui per oltre un secolo gli abitanti di Valtesse dovettero condividere promiscuamente l’uso con quelli di Città Alta e adiacenze (Borgo Canale, Castagneta e Fontana).

Nel lungo corso di questa forzata convivenza, la ripartizione delle spese di manutenzione, suddivise in base al carico della popolazione delle due parti, fu motivo di contrasti continui tra Bergamo e Valtesse: proteste, querimonie e ricorsi di uno o dell’altro degli interessati.

Bergamo, 1891. Mappa Wagner & Debes. In alto a sinistra, a margine, è visibile l’ottagono del Cimitero di Valtesse

I contrasti si inasprirono al punto che nel 1852-’53 Valtesse arrivò a scegliere un terreno “di prima classe” di fronte all’entrata del camposanto consorziale e a far redigere un progetto per un proprio cimitero. Iniziativa che non ebbe seguito.

La diatriba si trascinò per decenni (durante i quali si pensò anche di cedere cimitero al Comune di Bergamo) e si chiuse solo nel 1904-’05 con la costruzione del grande Cimitero Unico, quando cioè vi confluirono Città Alta e le zone “satellite”, permettendo alla popolazione di Valtesse di mantenere l’uso esclusivo del cimitero ottagonale fino al 1925, anno in cui il Comune di Valtesse insieme a Redona e Colognola venne accorpato a quello di Bergamo (2).

1920 – Bergamo, Via Maggiore del Comune di Valtesse (oggi via Giovanni Maironi da Ponte). L’edificio a sinistra è il Municipio di Valtesse, come indicato dalla targa affissa sulla cancellata. La zona è posta all’incrocio con l’attuale via Bruno Buozzi

 

1920 – Bergamo, Via Maggiore del Comune di Valtesse, guardando verso Città Alta

Trascorso il periodo legale e rimosse le salme,  il primo gennaio del 1942 si diede avvio alla demolizione e nel volgere di pochi anni nulla restò della graziosa cinta ottagonale con le cappelle in stile ottocentesco, del portale, degli stessi monumenti che lo ornavano.

Il Cimitero di Valtesse da via del Roccolino nel 1930. La cappella visibile sulla destra era riservata alle monache di Santa Grata. Figura in primo piano la signora. Angela Bensoni, di Valverde, classe 1919, vissuta sicuramente sino a pochi anni or sono

Nell’interludio tra la chiusura e la demolizione, il poeta Vittorio Polli e l’amico Sandro Angelini, “curiosi e accesi per la novità del sito”, si recano a Valtesse:

“stupiti dall’atmosfera ritornammo a guardare le croci e a leggere le lapidi, sostammo timorosi davanti a un cancello aperto, prendemmo paura per le grosse lucertole che si muovevano sotto i cespugli”.

Bergamo, 1910 ca., panorama su Valverde e Valtesse ripresi da Porta Garibaldi già S. Lorenzo

Ne è scaturita la splendida e suggestiva evocazione del cimitero “fatto d’un perfetto ottagono col muro di cinta coperto di coppi; adornato di cappelle gentilizie, rotonde, quadre, esagone, con lunette e timpani di chiaro stile neoclassico.  Intorno le colline della città, una parte di Bergamo di intatto fascino e una campagna verdissima e serena.”

In quanto alla nuova destinazione delle povere salme, sappiamo quel poco che don Enrico Mangili, parroco di Petosino, rilasciò in un libro dedicato alla storia e le origini di Valtesse, pubblicato a puntate da L’Eco di Bergamo, dal 20 febbraio al 12 marzo del 1942:  “Le salme per le quali i parenti fecero richiesta vennero esumate e trasportate altrove. Furono pure levate le salme dei soldati caduti in guerra e trasportate nella Cappella” (3).

“Portarono via qualcuno, ceneri e ossa; infine restò abbandonato. Un giorno se ne andò la donna custode con il suo tavolino. Furono lasciati aperti i cancelli delle cripte e il cancello d’ingresso. Ferro ruggine, pietre spezzate, sfaccendati che giravano, innamorati impudici di notte dietro il muro. Città alta guardava, indifferente a tanta rovina.” (Particolare del Cimitero di Valtesse nell’acquaforte di Sandro Angelini e testo di Vittorio Polli)

Smarriti nell’oblio i nomi e la memoria dei tanti che vi trovarono eterna pace, a poco a poco se ne perdeva il ricordo mentre restava un grande prato che più tardi sarebbe stato destinato a campo di Marte.

 

“ERAVAMO UN COMUNE AUTONOMO E AVEVAMO IL NOSTRO CIMITERO. POI IL CAMPOSANTO DIVENNE UN CAMPO DI GRANO E SFAMO’ UNA FAMIGLIA”

Primi anni ’50: chiesa di Valverde con alle spalle l’area dell’ex cimitero di Valtesse e lo stabilimento Sace. Sull’area dell’ex cimitero non è ancora stato realizzato il campo sportivo: è questo il periodo in cui il campo venne coltivato a grano

“Ancora negli Anni Cinquanta noi di Valtesse ci consideravamo un paese a parte e non un quartiere di Bergamo. In fondo eravamo stati comune autonomo fino a una ventina di anni prima… Il nostro territorio comprendeva un’area vasta: Monterosso, Conca Fiorita, San Colombano…

Eravamo un comune agricolo, collinare. E avevamo il nostro cimitero, in quella che per noi era la nostra periferia, verso Bergamo, in via Ruggeri da Stabello, quello che poi è diventato il campo sportivo militare Utili e quindi adesso centro sportivo credo comunale.

Panoramica dell’area di Valtesse, San Colombano e Monterosso (edificato nel 1960). A sinistra, prospiciente la Sace, il Campo Militare Utili, appena realizzato sull’area dell’ex Cimitero (la ripresa è del 1958)

Era un cimitero in piena regola che accoglieva i defunti del Comune di Valtesse e, per lungo tempo, anche quelli di Città Alta. Finchè un certo giorno, era il 1929, venne decretato che non si poteva più seppellire i morti nel nostro cimitero, ma che bisognava confluire nel cimitero di Bergamo, il monumentale. Le sepolture esistenti restavano per gli anni decisi nei diversi contratti, dopo di che bisognava riesumare le salme. Di fatto il nostro cimitero – che aveva ospitato anche i resti illustri di Gaetano Donizetti e Simone Mayr, per esempio – venne chiuso definitivamente nel 1941 e le salme riesumate portate al Cimitero di via Borgo Palazzo. A quel punto, riesumate le salme, il cimitero divenne un nuovo pezzetto di campagna e venne dato da coltivare proprio alla mia famiglia, prima di diventare successivamente un campo sportivo. Il campo dei morti, seminato a frumento, diede alla nostra numerosa famiglia modo di vivere” (4).

Valtesse, area ex-cimitero: operai al lavoro per la bonifica del campo

 

Via Baioni e lo stabilimento Sace nel 1947

 

Il campo sportivo Utili e la Sace intorno al 1960. I pendii  della Maresana, ancora verdissimi, sono pressochè disabitati

 

I MORTI ILLUSTRI

Il cimitero di Valtesse si distingueva per i molti nobili che risiedevano nell’Alta Città e dunque non c’è da stupirsi se questi ultimi, ormai privati insieme alle famiglie di maggior censo di arche più o meno monumentali all’interno delle chiese, venissero seppelliti accanto ai plebei.

E così nel piccolo e modesto cimitero i nomi illustri si univano a quelli dei  compagni della vita e a molte coppie di sposi – “finiti quasi insieme, per armonia di sentire” – nonchè agli artisti. Giacquero qui anche le monache di Santa Grata, che avevano una propria dignitosa cappella e i loro nomi erano indicati al mondo così:

“Signora Idelfonsa… Morta di 50 anni.”

Giuseppe Daldossi, il cui padre, dipendente comunale, si occupò della demolizione del cimitero, raccontò che quando si demolì la grande cappella delle suore del monastero di Santa Grata, “la Madre Badessa volle che nell’esumazione dei corpi (traslati poi al Cimitero Unico) si procedesse nei dovuti modi: a tal fine chiamò a collaborare il portinaio-sacrista del monastero, che a tempo perso faceva l’armaiolo in un piccolo laboratorio annesso alla sua abitazione.

Nel procedere all’apertura dei loculi, si poté constatare con grande meraviglia che la consistenza delle bare, tutte costruite con legno massiccio e ti tale spessore che, a detta dell’esperto portinaio-sacrista, potevano ancora essere utilizzate – pur a distanza di tanti anni, in alcuni casi più di un secolo – per fare calci di fucile. Le bare all’interno erano state tra l’altro rivestite da una specie di catrame, per cui i corpi delle suore apparivano mummificati”.

Giacquero anche, nel cimitero di Valtesse, Simone Mayr e il suo allievo Gaetano Donizetti, poi traslati sotto le volte di Santa Maria Maggiore.

L’ 11 aprile del 1848 la salma di Gaetano Donizetti veniva deposta nella Cappella della nobile famiglia Pezzoli, dove rimase fino al 26 aprile 1875. A quella data, esumati i resti del grande musicista e quelli del suo maestro  Simone Mayr, vennero rese ai due illustri musicisti solenni onoranze che si conclusero con la deposizione delle loro ossa in S. Maria Maggiore.

Monumento funebre a G. Donizetti in Santa Maria Maggiore (Bergamo, Taramelli, riproduzione datata 1890 circa)

 

La solenne cerimonia della traslazione di Donizetti e del maestro Mayr nella basilica di S. Maria Maggiore – 1875

 

La solenne cerimonia della traslazione di Donizetti e del maestro Mayr nella basilica di S. Maria Maggiore – 1875

Nel cimitero di Valtesse ebbero ancora sepoltura i maestri Antonio Cagnoni ed Alessandro Nini; le loro ceneri  il 27 ottobre 1925 furono trasferite al Famedio cittadino.

Miniatura del poeta Pietro Ruggeri da Stabello eseguita da Faustino Boatti nel 1831 ). Il poeta, padre della poesia vernacola bergamasca, venne sepolto nel cimitero di Valtesse nel gennaio 1868. “Poveretto! Lui, un amante delle liete brigate, lui che tanto aveva riso e fatto ridere, negli ultimi anni della sua vita, si vide un po’ alla volta abbandonato da tutti gli amici e gli ammiratori dei tempi più lieti. Ma non perdette per questo il suo buon umore che conservò fino negli ultimi istanti. Morto in una stanzetta di una casa situata in Via Mura in Borgo S. Caterina. Un ristrettissimo corteo di amici lo accompagnò all’ultima dimora in una fredda scialba giornata del gennaio 1858: e la sua salma andò confusa con tutte le altre nella fossa comune. E lì giacque nel più assoluto oblio per dodici anni finché qualcuno pensò a ricordarne la memoria con un modesto ricordo” (5)

 

Cimitero Monumentale di Bergamo. Le lapidi di tre illustri pittori bergamaschi, un tempo sepolti al piccolo cimitero di Valtesse, i cui resti sono andati dispersi: Marco Gozzi, Vincenzo Bonomini e Pietro Ronzoni. Le tre lapidi sono apposte sul muro di cinta posto dietro la Chiesa di Ognissanti e confinante con via Serassi. Probabilmente furono portate al Monumentale poco prima che il cimitero di Valtesse venisse demolito. Notate la tavolozza in pietra sopra la lapide centrale  (foto dell’autrice, datata 02/11/2018)

“Dispersi andarono invece i resti degli storici Giovanni Finazzi e Agostino Salvioni, dei pittori Marco Gozzi, Vincenzo Bonomini  e Pietro Ronzoni, dello scultore Luigi Carrara, del melodico poeta romantico Samuele Biava de’ Salvioni la cui lapide tombale lo ricordava come “non ultimo dei pensatori che auspicarono il Risorgimento italiano”, del naturalista Giovanni Maironi da Ponte (del quale non fu possibile l’identificazione della salma), dei giureconsulti Gaspare Carcano e Luigi Tiraboschi, di Gaetano Alberigo da Rosciate “che ebbe sotto diversi governi cariche di rilievo” e di Giovanni da Rosciate con il quale si è spenta questa famiglia bergamasca celebre per il suo Alberico, del prof. Elia Zerzi che “raccolse e illustrò la flora bresciana”, del prof. Giuseppe Venanzio matematico, fisico, filosofo; del prof. Pietro Luigi Dahm insegnante di tedesco al liceo e dell’ing. Cesare Noris pure insegnante di discipline matematiche, del medico Federico Maironi da Ponte”… E l’elenco dei sepolti in oltre un secolo di storia potrebbe continuare per pagine e pagine.. (6).

Autoritratto ironico del pittore Vincenzo Bonomini (Bergamo 1757 – 1839), autore dei famosi sei pannelli Macabri realizzati prima del 1816 e  conservati attorno all’abside dell’altare principale della Parrocchia natia: quella di Santa Grata inter vites in Borgo Canale. Con questa sarcastica rielaborazione del memento mori, Bonomini ci ammonisce ricordandoci che al di là della condizione sociale, dell’età, dell’intelligenza e del credo di ognuno, la nostra mortalità ci accompagna in ogni istante della nostra vita

A proposito di Bonomini, Roberto Bassi-Rathgeb negli anni Cinquanta scriveva che “in uno di quei vagabondaggi fuori porta che talvolta ci si concede volentieri per evadere alcuni momenti dal rumore della città, mi accadde di passare nelle vicinanze del piccolo cimitero abbandonato di Valtesse; uno squallido camposanto ingoiato oggi dalla vicina Bergamo in continua espansione, che apriva malinconicamente la sua cinta in rovina al visitatore curioso e desideroso di un intimo senso di pace. Fra quelle tombe appena segnate tra le erbe cresciute da tempo senz’ordine, presi a camminare quietamente senza provare l’oppressione della solitudine, giacchè i nomi sui cippi e sulle lapidi facevano dell’ex camposanto una piccola città silenziosamente abitata da individui affiancati in perenne armonia. Orbene, mentre mi aggiravo presso il lato meridionale del muro di cinta, a pochi passi dal punto dove fu il primo tumulo di Gaetano Donizetti, vidi i frammenti d’una lastra funeraria che giaceva al suolo, abbandonata ormai da ogni pietà umana. La curiosità mi fece chinare. E lessi l’epitaffio: ‘A Vincenzo Bonomini, valente pittore morto il 17 aprile 1839 all’età di ottantatre anni, e all’unica sua figlia Maria Luigia, morta il 14 ottobre 1850 nell’età di diciotto anni, Maria Annunciata Bonomini nata Colombi – moglie e madre desolata – ha posto implorando il riposo dei giusti.

Cimitero Monumentale di Bergamo. La lapide di Vincenzo Bonomini qui trasportata dal Cimitero di Valtesse (foto dell’autrice, datata 02/11/2018)

I nomi di altri artisti, come il Ronzoni e il Gozzi, che poco prima avevo letto sulle loro sepolture, non mi avevano suscitato un particolare interesse; una strana emozione invece mi colse nel trovarmi d’improvviso di fronte a Vincenzo Bonomini proprio in un luogo che per un certo perido della sua vita era stato l’ambiente dei suoi pensieri, fino a disegnare gli uomini, nelle manifestazioni della vita quotidiana, sotto forma di scheletri, quasi fosse la cosa più naturale di questo mondo! E tutto ciò senza lo spirito cupo e sarcastico di molti artisti stranieri, ma con un fare del tutto bonariamente ironico”.

 

IL “POER NADALI” E LA “COMAR DE ALTESS”

Il parroco di Valtesse scrisse che fuori del recinto cimiteriale, specialmente ai lati del viale d’accesso, dal 1848 al 1851 venivano sepolti i patrioti che l’Austria abbatteva col piombo nelle fosse del Castello di San Vigilio o sugli spalti di S. Agostino, o che più ignominiosamente impiccava sulla spianata della Fara per delitti comuni: supplizio che avrebbe dovuto essere riservato soltanto ai peggiori delinquenti, ma che l’Austria applicava anche ai disertori, ai renitenti della leva oppure a coloro che avevano contravvenuto alla legge marziale del 1848 per detenzione e occultamento di armi: tutti per maggior parte provenienti dal contado.

Tra costoro si trovavano anche delinquenti comuni. Apparteneva a questi ultimi il “pòer Nadalì”, che condannato dal tribunale austriaco al capestro per gravi reati, prima di subire il supplizio fece ammenda delle proprie colpe ricordando la sua disgraziata giovinezza di trovatello e invocando ed ammonendo i genitori a vigilare sui propri figli.

Il pentimento o l’innocenza si questo bandito commosse il popolino, che a lungo invocò indulgenza nelle preghiere, recando fiori e accendendo ceri sulla sua tomba anonima, posta all’entrata del cimitero di Valtesse.

Sereno Locatelli Milesi ne raccontò la rocambolesca storia:

“Ecco, lontano, quasi ai piedi del colle, la Chiesa Prepositurale di Valtesse… che si profila fra il verde. Vedi il vecchio Cimitero? Vuoi sentire la storia del “Povero Nadali?“

Ascolta:

Il Nadali è stato un famoso – tanto famoso che di lui neppure si ricorda il cognome — delinquente dei primi dell’800, reo convinto di numerose grassazioni e di parecchi omicidi, e come tale condannato alla pena del capestro.

Impiccato sovra uno spalto della Fara, prima di passare il collo nel laccio fatale, aveva ottenuto di concionare gli intervenuti allo… spettacolo: e rivolgendosi specialmente alle madri di famiglia aveva raccomandato ad esse di vigilare l’educazione dei figlioli: perchè lui, povero Nadali, non si sarebbe trovato in quelle belle condizioni se la madre sua non lo avesse abbandonato a se stesso, ai pericoli della strada, alle insidie delle cattive compagnie.

Sotterrato in questo Cimitero, fuori del sacro recinto — come era costume del tempo — la sua fossa è stata per molto tempo meta costante del popolino, che recava tributo di fiori, di ceri e di preci, ritenendo per fermo che il Nadali fosse diventato poco meno di un santo.

Molti anni dopo, quando, per allargare il Cimitero, si dovette abbattere la cinta e provvedere al nuovo scavo, non si trovo più traccia della salma: il popolino gridò al miracolo: il Nadali, dopo aver ottenuto la grazia di entrare in Paradiso, aveva ottenuto anche quella di entrare nel Cimitero…”.  (7).

Pure in terra non sacra – aggiunge il parroco – venne sepolta certa Bongiani, meglio nota come la ‘comàr de Altess’, famigeratamente celebre al tempo dei nostri nonni.

Questa donna esercitava la professione di levatrice nel comune di Valtesse e godeva di molta stima e considerazione, finchè, per caso, venne scoperto che essa capeggiava una banda di rapinatori che di notte, sulla strada che corre poco lontano dal cimitero e allora del tutto isolata, aggrediva e derubava i carrettieri o altri passanti. Arrestata, subì il capestro nel 1851.

“Confortava i condannati nelle estreme ore, una caratteristica figura di sacerdote, Don Fantino Premerlani (Don Fantì), spirito altamente patriottico, originale e arguto tipo bergamasco, negli ultimi anni della sua vita bibliotecario alla Civica. Anch’egli – nel 1890 – ebbe estremo riposo nel cimitero di Valtesse.

Quanta pietà, quante dolorose vicende, quante lagrime, quanti ricordi, quante leggende intorno a questo triste luogo, avvolto ormai nell’oblio, nell’inesorabile oblio dei vivi” (8).

Oggi l’impronta dei nostri passi scivola distrattamente su quelle antiche memorie, posate a mo’ di selciato sulla breve gradinata che dal Mercato delle Scarpe conduce in piazza Angelini.

La scalinata di raccordo tra Piazza Mercato delle Scarpe e Piazza Angelini (allora piazza Pendezza), selciata da porzioni di lapidi provenienti dal demolito cimitero di Valtesse

 

Porzioni di lapidi provenienti dal demolito cimitero di Valtesse, posate sul selciato della gradinata tra piazza Mercato delle Scarpe e piazza Angelini.

Chissà quante volte, senza nemmeno saperlo, abbiamo calpestato i nomi di coloro che senza distinzione dì età e di ceto sociale si sono tenuti per mano nel mesto cimitero adagiato all’ombra della città antica.

 

NOTE

(1) Marco Cimmino, Il mistero di via Lapacano, dove le Muraine dividevano città e campagna

(2) “Al principio del regno d’Italia Valtesse contava 1008 abitanti. La sua guardia nazionale era formata da una compagnia con 110 militi attivi: aveva 71 elettori ammínistrativi e 19 politici inscritti al collegio di Bergamo. La sua Congregazíone di carità disponeva di un capitale di circa venti mila lire. A quel tempo esso formava ancora comune a sè: ma colla legge del 1935 sulla unificazione dei comuni esso è stato di nuovo riaggregato a Bergamo e non ne rimase distinto che nel campo ecclesiastico” (don Enrico Mangili, “La storia e l’origine di Valtesse”, cit. In bibliografia).

(3) P. Tosino, “La storia e l’origine di Valtesse” – Pubblicata a puntate da L’Eco di Bergamo, dal 20 febbraio al 12 marzo 1942.

(4) “Il grano del cimitero”, in: (A cura di) Paolo Aresi, “Bigio Long e gli altri – Storia e storie della gente di Valtesse,Valverde, Monterosso e Conca Fiorita”. Comune di Bergamo, Circoscrizione 4.

(5) P. Tosino, “La storia e l’origine di Valtesse”, cit.

(6) “Non sappiamo se alcuno si ricordò del patriota e scrittore Pasino Locatelli, e quale sorte toccò alla sua lapide tombale che portava l’epigrafe da lui dettata (…)”. Fra i sacerdoti:  “il primo che vi ebbe sepoltura fu il parroco di Valtesse, Valsecchi Gio Battista da Rossino, defunto il marzo 1820. Abbiamo poi tra i tanti, il sac. Antonio Cefis vice bibliotecario della Civica Biblioteca, il sac. Prof. Vincenzo Bonicelli insegnante per trentotto anni fisica al seminario, il sac. Paolo Fumio valentissimo nell’arte oratoria, Don Benedetto Mazzoleni pro cancelliere episcopale, ecc.”. “Nel periodo della dominazione austriaca vi ebbero sepoltura notabilità di quell’amministrazione; così, nel 1831, un Ernest Richeler von Binnenthal e l’anno dopo il command. K. Und K. Cav. Di Maria Teresa e S. Anna di Russia di II classe, Ludwig Freihew von Schonnermarck”. Vi ebbe sepoltura anche il poeta Rovetta (“La storia e l’origine di Valtesse”, P. Tosino, cit.).

(7) Sereno Locatelli Milesi, “La Bergamasca”, Edizioni Orobiche, Bergamo.

(8) P. Tosino, “La storia e l’origine di Valtesse”, cit.

FONTI

Luigi Volpi, “Memoria del Cimitero di Valtesse” – In memoria di Luigi Agliardi Presidente dell’Ateneo di Scienze Lettere ed Arti di Bergamo (Comunicazione fatta all’Ateneo di Scienze Lettere ed Arti di Bergamo nella seduta del 6 dicembre 1952). Il libro è stato stampato nel novembre 1952, in 371 copie numerate, dalla Stamperia Conti di Bergamo, via XX Settembre. 21 esemplari contrassegnati con lettere dall’A alla Z e 350 esemplari numerati dal N. 1 al N. 350. Esemplare 92.

Fondazione per la storia economica e sociale di Bergamo – Istituto di Studi e Ricerche, “Storia Economica e Sociale di Bergamo – Fra Ottocento e Novecento – Lo sviluppo dei servizi”.

Sereno Locatelli Milesi, “La Bergamasca”, Edizioni Orobiche, Bergamo.

(A cura di) Paolo Aresi, “Bigio Long e gli altri – Storia e storie della gente di Valtesse,Valverde, Monterosso e Conca Fiorita”. Comune di Bergamo, Circoscrizione 4.

P. Tosino (pseudonimo di don Enrico Mangili, parroco di Petosino), “La storia e l’origine di Valtesse” – Pubblicata a puntate da L’Eco di Bergamo, dal 20 febbraio al 12 marzo 1942.