Le polveriere veneziane di Bergamo e la fabbrica della polvere da sparo: un mondo sconosciuto

Una splendida e rara immagine della polveriera superiore, in via Beltrami (Raccolta Gaffuri)

LA ROCCA, IL PRIMO DEPOSITO E FABBRICA DELLA POLVERE NERA

Agli inizi del Cinquecento la Bergamasca aveva avuto varie occasioni per far conoscenza con la forza distruttrice della polvere da sparo e delle armi da fuoco. Come nel 1509, quando le forze della Lega di Cambrai – nata  allo scopo di annichilire per sempre l’espansionismo di Venezia – avevano invaso, conquistato e devastato un paese dopo l’altro.

Nel 1514 fu però la volta della città, quando le truppe spagnole assalirono da  Sant’Agostino la Rocca, presidiata dai Veneziani, costringendo i difensori alla resa.

Nel corso degli eventi bellici il Castello di San Vigilio vide confermata la sua rilevante posizione strategica e fu al centro di aspri scontri, mentre la Rocca, che soprattutto dopo la costruzione delle nuove mura andò perdendo importanza nella difesa della città , finì con l’essere relegata a funzioni di magazzino e di arsenale della fortezza, attrezzandosi per la riparazione dei mezzi di trasporto e dei pezzi di artiglieria.

La Rocca, ampio recinto fortificato rettangolare con quattro torri quadrate di rinforzo agli angoli, costruito nel 1331 da Giovanni di Boemia, completato entro il 1336 dai Visconti ed ulteriormente definito sotto il dominio veneziano

Con i Veneziani, la grande torre d’ingresso della Rocca era stata convertita a polveriera.

Il torrione della Rocca, all’ingresso della fortificazione, venne trasformato dai Veneziani in forma cilindrica nel 1455/58 e utilizzato come deposito della polvere nel ‘500, quando venne danneggiato da uno scoppio provocato dal fulmine: un episodio ricordato da un graffitto eseguito da un fedele sulla veste di quella S. Caterina raffigurata nella Teoria dei Santi, all’interno del vano ipogeo di San Vincenzo (attuale duomo)

Nonostante il pericolo derivante dall’essere a diretto contatto con le abitazioni, vi si fabbricava la polvere per i cannoni e per gli archibugi, ma in misura molto modesta in quanto le macine per tritare e ridurre in polvere salnitro, zolfo e carbone, necessari per la miscela esplosiva, erano azionate con i cavalli o a mano.

Planimetria della Rocca di Bergamo con indicala la “masena da polvere” (dalla relazione di Giovanni Da Lezze, anno 1596)

A ridosso della cortina orientale del mastio interno i Veneziani avevano costruito gli alloggiamenti (poi ridotti in altezza e trasformati nel 1975 in museo) e istituito la scuola dei bombardieri , per il cui addestramento funzionò con fasi alterne un tiro al bersaglio grazie al quale, peraltro, venivano consumate ingenti quantità delle già scarse scorte della fortezza.

La Rocca dall’alto. La regolare milizia dei “bombardieri”, addetti all’artiglieria ed addestrati per la difesa di Bergamo, da noi si limitava al “falconetto” o all’archibugio da cavalletto. Nel Seicento contava 4.700 unità distribuite in diciannove città della terraferma. Non era solo di un centro di addestramento ma una corporazione avente anche funzioni religiose e di assistenza (Archivio Wells)

 

Le riunioni degli scolari bombardieri si tenevano nella chiesa di Santa Eufemia in Rocca

 

La scuola dei bombardieri era dedicata a Santa Barbara, venerata dagli stessi in un altare della Chiesa del Carmine. A Santa Barbara ciascun aspirante allievo bombardiere doveva fare l’offerta di mezzo scudo nel momento in cui chiedeva di potersi iscrivere e a ciascuno di loro, al momento della morte, la Scuola assicurava un funerale con l’accompagnamento di tutti gli scolari bombardieri

Anche quando vennero costruiti appositi edifici (le ben note polveriere) per conservare la polvere in tutta sicurezza, il deposito della Rocca non venne rimosso, esponendo la stessa Rocca e una a parte della città alle conseguenze di uno scoppio, che avrebbe potuto essere provocato in qualsiasi momento da un fulmine – data l’eminenza della sua posizione – o da qualche azione criminosa: erano gli anni di notevole tensione con gli Spagnoli e con Milano, fatto che porterà alla decisione di erigere una monumentale fortezza bastionata a protezione della città alta.

Proprio la caduta di un fulmine sul torrione tondo della Rocca ci fornisce la prima testimonianza dell’esistenza in città di un deposito di polvere nera, datata 17 giugno 1511 e riportata nelle “Effemeridi” dall’abate Donato Calvi riprendendo la notizia dall’ “Historia Quadripartita” di Celestino Colleoni: la saetta rovinò quasi del tutto il torrione, danneggiando gravemente il circondario. Quello stesso torrione esplose anche nel 1512.

Come sempre, la munizione era scarsa è vetusta; soprattutto, c’era pochissima polvere e mancava il piombo. Si raccomandava pertanto che, come in altre fortezze, in concomitanza all’erezione delle mura si costruisse lontano dall’abitato un “edifitio da polvere”, che il nemico non avrebbe mai potuto colpire direttamente con il cannone: si tratta delle due polveriere nel forte di S. Marco, che, come vedremo, verranno costruite qualche decennio dopo.

Parte della cinta muraria veneziana nel Forte di S. Marco superiore, in corrispondenza dell’attuale strada panoramica che conduce a San Vigilio (Racc. Gaffuri)

I TEZZONI DEL SALNITRO

L’unico esplosivo disponibile fino alla seconda metà dell’Ottocento fu la polvere da sparo, per fabbricare la quale occorrevano tre ingredienti: lo zolfo, il carbone e il salnitro. Ma mentre i primi due erano facili da procurare, la produzione del salnitro – principale ingrediente della miscela esplosiva, di cui costituiva quasi il 75% – richiedeva un processo lungo e laborioso dal momento che abbondava soprattutto nei luoghi saturati da escrementi animali, ovunque fosse possibile l’azione di speciali batteri nitrificanti. I sali di nitro venivano estratti dal terreno imbevuto di orina e feci mediante una lavatura con acqua; il liquido così ottenuto conteneva il salnitro disciolto che veniva recuperato mediante evaporazione (1).

La parte maggiore della produzione del salnitro avveniva perciò attraverso i cosiddetti “tezzoni”, ampi recinti con il fondo costituito da terra opportunamente scelta e riparati da tettoie, sotto le quali venivano fatte ricoverare le pecore (per ogni tezzone era previsto un gregge di duecento pecore).

A Bergamo il tezzone del salnitro si trovava nel Prato di Sant’Alessandro a fianco della Fiera e a non molta distanza dall’Ospedale Grande di San Marco, ed era stato costruito per ordine di Venezia tra il 1573 e il 1588, istituendo la figura del salnitraio (2), attraverso il quale la Dominante gestiva in regime di monopolio la raccolta del salnitro e la sua raffinazione in nitrato di potassio.

Altre “tezze” in muratura furono istituite in provincia ed entro il 1623 nella Bergamasca se ne potevano contare sino ad otto. La loro attività proseguì per tutto il Settecento, benché, almeno per un certo periodo, una parte venisse importata (3).

Nell’immagine della città secentesca formulata da Macherio e poi da Stefano Scolari, a sinistra del loggiato dell’Ospedale Grande di S. Marco è visibile l’edificio della Dogana veneta e il tezzone del salnitro (con i locali annessi), dove, terminato l’evento, venivano ricoverate le baracche di legno della fiera. Venne abbattuto nel 1820 per far posto al mercato del grano

 

Il “tezzone” del salnitro al Prato di Sant’Alessandro. Rielaborazione di Luigi Angelini dal disegno di Bernardino Sarzetti del 1723, fatto eseguire dall’amministrazione ospedaliera al fine di controllare e quantificare gli esercizi delle rivendite. Il tezzone si trovava nell’area oggi compresa tra la Banca Popolare di Bergamo e l’incrocio tra il viale Vittorio Emanuele e via Tasca (disegno di Luigi Angelini, “II volto di Bergamo nei secoli”)

Come riferisce Donato Calvi nelle “Effemeridi”, sopra l’ingresso, dominato dal Ieone di San Marco, spiccavano gli stemmi del Doge, del Provveditore alle Artiglierie Giovanni Bondumiero e del capitano Michele Bono, oltre a quelli dei rettori Paolo Contarini e Paolo Loredano.

 

Nella pianta del Manzini del 1816 è indicato il tezzone del salnitro, funzionante dal 1573/’88 sino al 1820, anno del suo abbattimento

 

Planimentri di inizio Ottocento nell’area della Fiera. Non è ancora stato abbattuto il tezzotto del salnitro (demolito nel 1820) – (da: Maria Mencaroni Zoppetti, “L’Ospedale nella città – Vicende storiche e architettoniche della Casa Grande di S. Marco”. Collana: Storia della sanità a Bergamo – 1. Fondazione per la Storia Economica e Sociale di Bergamo)

Il tezzone al Prato di Sant’Alessandro venne abbattuto nel 1820 per far posto al mercato delle granaglie, costruito entro l’anno successivo (4) ed affacciato su piazza Baroni, nell’area adiacente alla Fiera.

G. Berlendis, Piazza Baroni in tempo di Fiera. A sinistra il mercato delle granaglie nei pressi della Fiera costruito nel 1821 al posto del “tezzone” del salnitro. Con l’abbattimento del mercato del grano, nel 1838 poté iniziare la costruzione della strada Ferdinandea (poi Viale Vittorio Emanuele), cui seguiranno importanti trasformazioni nell’area del centro urbano come si evince dal confronto tra la pianta di Bergamo del 1816 e quella del 1896 (mencaroni zoppetti).

Ritroviamo una Fabbrica di Sanitro nella mappa del Catasto storico lombardo-veneto del 1853, appena fuori le muraine, accanto al portello e al convento delle Grazie.

Nella mappa del Catasto storico lombardo-veneto del 1853, accanto al portello e al convento delle Grazie, fuori le Muraine, è invece indicata una Fabbrica di Salnitro (f.10 Archivio di Stato di Bergamo)

Se in un primo momento la conservazione del salnitro avveniva in Cittadella in un magazzino in disuso, nel 1598 la quantità prodotta era così notevole da far pensare alla costruzione di un deposito affinché la polvere venisse fabbricata localmente anziché mandare il salnitro a Venezia. Ciò avrebbe permesso di fronteggiare le crescenti richieste della fortezza, dove le scorte erano solo la metà del necessario.

LE POLVERIERE VENETE DI COLLE APERTO

Tra il 1580/’81 e il 1582 si provvide dunque a costruire le due polveriere venete all’interno del Forte di S. Marco, al di fuori del tiro dei cannoni e lontane dall’abitato (5).

Il Forte di San Marco con le due polveriere: la prima a sinistra della chiesetta dì San Pietro, l’altra un po’ più in basso a destra. Particolare dalla planimetria di Stefano Scolari, 1680 circa

Una, di proprietà comunale, è adagiata lungo il baluardo di Castagneta, nella parte superiore, chiave della difesa cittadina del Forte. Si trova in via Costantino Beltrami, ai piedi della scaletta che conduce all’Orto Botanico Lorenzo Rota.

Di notevole interesse storico e turistico e in posizione facilmente accessibile,  ha sofferto per la modifica della zona dovuta alla presenza della scuola media  “T. Tasso.

La polveriera superiore dopo i restauri in un ambiente che non ne valorizza le caratteristiche, essendo sovrastata a nord e ad ovest da un alto muro che ne guasta la visione frontale

 

1875: veduta da Colle Aperto verso il palazzo dei conti Roncalli e la strada per Castagneta. Cerchiata in rosso la polveriera veneziana (fotografia probabilmente eseguita dal conte Antonio Roncalli (Racc. Gaffuri)

L’altra, oggi di proprietà della famiglia dei conti Roncalli, fu costruita più in basso, nella valletta tra Colle Aperto e Porta San Lorenzo.

Cerchiata in rosso, la polveriera inferiore nel 1899. In primo piano, Porta Garibaldi, già San Lorenzo (Racc. Gaffuri)

 

La polveriera inferiore con in primo piano il baluardo di San Lorenzo

E’ delimitata alle spalle dal poderoso muro del forte superiore, dominando  con le sue forme insolite un inconsueto ambiente agreste.

La polveriera inferiore, immersa in un ambiente agreste, nel verde della valletta che scende da Colle Aperto. Di proprietà privata, è stata a lungo adibita a ricovero degli animali dell’attigua cascina

Le pietre furono cavate probabilmente da qualche vena nelle vicinanze, come si usava ai tempi, dal momento che i blocchi di pietra di arenaria della copertura furono con certezza estratti dalla cava posta nelle immediate adiacenze di Porta di San Lorenzo.

Le polveriere, identiche nella forma, sono formate dalla sovrapposizione di una piramide ad un parallelepipedo; in entrambe, il blocco di base è formato da grandi masselli di pietra accuratamente tagliati e ben disposti. Il locale interno è voltato in mattoni e sopra la volta, un conglomerato di calce e pietrame prepara la forma della piramide, rivestita da blocchi di arenaria, più consistenti all’incontro degli spigoli e verso la cuspide; il rivestimento sui quattro lati è invece in lastre più sottili

Il blocco di base, formato da masselli di pietra di nobile fattura e accurata disposizione, è un elemento non trascurabile nel complesso di architettura bellica e aggiunge preziosità alla costruzione:

“Queste costruzioni sono tra i volumi più belli, inusitati e curiosi dell’opera fortificata. La perfetta loro geometria è evidenziata dal nitore dei semplici volumi e testimonia molto bene quel rigore che nell’architettura militare mai vien meno, neppure in piccoli edifici sussidiari dove sarebbe stato possibile concedersi divagazioni ornamentali” (Gianmaria Labaa, “Le Mura di Bergamo”).

La messa a nudo delle piramidi attuata durante i recenti lavori di restauro (6), ha rivelato lo stato rovinoso della copertura lapidea ed anche l’azione delle acque meteoriche, che avevano sfaldato gran parte dello strato superficiale di copertura.

Mentre la piramide della polveriera inferiore è oggi l’unica a presentarsi ancora completa, in quella della polveriera superiore (la più malconcia e più a lungo trascurata) le infiltrazioni d’acqua hanno invaso la volta con minuscole stalattiti, aggiungendo una nota di romantica decorazione al complesso.

La piramide della polveriera inferiore durante i restauri

 

La vegetazione spontanea incombeva sulla piramide superiore e invadeva tutto attorno il blocco di base; la piramide manca pertanto di tutto il rivestimento del lato settentrionale, dove è a vista il sottostante conglomerato; il rivestimento del lato ovest, ricoperto per circa un terzo da terriccio di riporto è stato rifatto in epoca recente utilizzando lastre d’arenaria provenienti dal rifacimento di strade o di marciapiedi. Lo si riconosce dalle caratteristiche scanalature sulla pietra

 

Tolti cespugli ed erbacce finalmente torna ad essere visibile la struttura della polveriera superiore

L’aereazione è attivata da fori o finestrelle alte, mentre la luce e l’aria penetrano attraverso due finestre a baionetta di profondo sviluppo, consentito anche dal notevole spessore del muro che alla base è di circa due metri.

L’inconfondibile mole della polveriera nella valletto dì Colle Aperto mentre erano in corso i restauri

 

La polveriera inferiore al termine dell’intervento di restauro. Proprio perché stabilmente occupate dalle rispettive proprietà per usi pratici, all’interno le operazioni di intervento si sono limitate alla sola pulizia, mantenendo il pavimento realizzato in terra battuta, come all’uso nelle polveriere

 

Nella polveriera inferiore, la porta è sormontata da una stretta feritoia, presente sui lati est ed ovest. Le aperture sono del tipo a baionetta, con un angolo spezzato che impedisce l’accesso diretto al deposito, trattenendo in questo modo eventuali proiettili o materiale incendiario lanciato da fuori. Per maggior sicurezza all’interno delle finestre era stato innalzato in origine un muro, demolito nel 1685 dal capitano Giorgio Cocco perché sottraeva molto spazio al deposito

Sopra gli ingressi sopravvive ciò che resta dei due stemmi scolpiti in un grosso blocco di arenaria grigia, quasi totalmente disgregati. Essi presentano la data di esecuzione dell’opera e i nomi dei capitani e dei soprintendenti veneti.

Lo stemma della polveriera di via Beltrami è ridotto ad una massa informe, dove si può solo intuire la presenza in origine di due insegne affiancate

 

Nella polveriera inferiore la perdita di materiale è ancora maggiore perché, essendo stata usata pietra con un taglio a strati, il distacco degli stemmi è avvenuto in modo netto ma il profilo è tuttora leggibile. Sopravvive un po’ del fregio sottostante, la cui conservazione lascia spazio alla fantasia per la ricostruzione della data relativa alla costruzione (MD…XXX…) e di alcune lettere di dedicazione

§ § §

Nel frattempo si riorganizzava l’intera struttura militare. Per alloggiare le truppe si costruivano quartieri sul versante settentrionale, vicino alle porte (le cosiddette “casermette”, a sud del chiostro maggiore del convento di S. Agostino) o all’interno del forte di San Marco (dove gli alloggiamenti sono ancora individuabili in una parte degli edifici all’inizio di via Beltrami), garantendo ovunque l’immediatezza di un eventuale intervento e un forte presidio nelle località strategicamente più importanti e al contempo sgravando la città dall’onere dell’alloggio.

Le “Casermette” di SAnt’Agostino

 

L’imbocco di via Costantino Beltrami nel 1905 con la chiesupola di S. Pietro, le case del conte Roncalli sulla destra ed altri edifici lungo la strada

Il Castello di S. Vigilio veniva ulteriormente rafforzato entro il 1626, ricavando dalle demolizioni una vasta piazza capace di ospitare anche deposito per le polveri, per le munizioni e per gli archibugi nonché gli alloggiamenti per i soldati.

Sopra la controscarpa che circondava il castello correva la strada coperta in cui erano ricavate alcune piazzuole per le cannoniere.

LA TERZA POLVERIERA

Una terza polveriera, di cui non è rimasta traccia, venne costruita all’interno del Castello di San Vigilio, documentata da un disegno di Luigi Deleidi, detto il Nebbia, nell’album di vedute di Bergamo trafugato alcuni anni or sono dalla Biblioteca Civica “Angelo Mai”. Un’opera grandiosa, il cui progetto secondo l’ingegnere Luigi Angelini può essere attribuito al Codussi.

La polveriera del castello di San Vigilio nell’Ottocento. Disegno di Luigi Deleidi detto il Nebbia. Di questo deposito s’è persa traccia

Il deposito si trovava a destra nella piazza bassa del castello prospettante sulla città, dove si innalzava anche una chiesetta; a sinistra c’erano invece il magazzeno delle armi e gli alloggiamenti dei soldati.

Da Lezze precisa che la torretta (piramide) “per conserva della polvere” era coperta di piombo. Il suo impiego doveva essere limitato alle esigenze del presidio militare sul colle, ma nel 1666 il capitano di turno, nel riferire la situazione dei depositi della polvere, fa presente che essa era suddivisa in tre torrette (ossia piramidi), due in città e la terza nella “Cappella” (Castello di S. Vigilio).

Fu demolita molto probabilmente in coincidenza con le notevoli trasformazioni che la “Cappella” subì nell’Ottocento per mano degli Austriaci, che la sguarnirono del tutto abbattendo pure il portale d’ingresso; i disegni eseguiti da Giuseppe Rudelli nel momento della demolizione ne documentano la grandiosità.

I CRONICI RALLENTAMENTI: SI CONTINUA A USARE LA POLVERISTA DELLA ROCCA

Finita la costruzione nel 1582, le due polveriere non furono utilizzate con la dovuta tempestività, probabilmente per il rallentamento del modesto apparato amministrativo-burocratico dell’epoca, dovuto all’alternanza dei rettori inviati da Venezia a Bergamo, lontana dal potere centrale.

La sigla lasciata da uno scalpellino su una delle pietre della piramide della polveriera superiore

Ancora nel 1598, a ben 16 anni dalla fine dei lavori funzionava a malapena una polveriera (completata tre anni prima), dove il capitano Giovanni Querini aveva fatto collocare tutta la polvere che era stata spedita a Bergamo all’inizio del suo mandato, mentre nella seconda mancava ancora la copertura in piombo.

La piramide era rivestita con piombo che doveva garantire l’impermeabilità. Le lastre di piombo venivano fissate nell’arenaria con degli incavi (nella foto), maggiormente riscontrabili verso la base della piramide

La prima, non era comunque messa meglio, visto che la pioggia filtrava nuovamente a causa della sottile copertura del piombo e il capitano Girolamo Alberti aveva dovuto rimuovere la polvere “bagnata, e in parte ridotta come fango”, facendola asciugare e riportandola in Rocca nonostante il pericolo.

Ancora nel 1599 la polvere (82.126 libre di grossa e 9.226 libre di fine) veniva dunque conservata dentro due torri della Rocca e per la custodia vi erano solo quattro bombardieri, per giunta poveri (quindi corruttibili) e perciò esposti a tramare “ogni scelerità”. Nel 1601 la polvere era ancora in Rocca, ancora esposta al pericolo dei fulmini o a quello di essere presa con un facile colpo di mano, come evidenziato nelle relazioni dei capitani Venier e Trevisan tra la fine del Cinque e l’inizio del Seicento, invitando a portare la polvere in luogo più sicuro.

La Rocca di Bergamo (particolare) – Racc. Gaffuri

Si provvedeva pertanto a sistemare la polverista (deposito della polvere) della Rocca insieme alla casa del salnitraio. Si allungava il bersaglio e fuori città (Osio Sotto e Spirano) si costruivano due “tezze” (tettoie) per la conservazione delle terre necessarie alla formazione del salnitro.

LE ESPLOSIONI ALLA ROCCA

La lunga consuetudine fece trascurare le più elementari norme di sicurezza, per cui si finì col dimenticare dentro la Rocca una scorta di esplosivo, che a causa di un fulmine scoppiò: era il 22 settembre 1663 e ne dobbiamo la vivace descrizione a Donato Calvi, testimone oculare dell’evento.

A giudicare dai danni alle abitazioni anche di Borgo San Lorenzo, sul versante opposto del colle, c’è da ritenere che l’esplosivo anziché nella torre rotonda fosse collocato in una torre in posizione più avanzata verso la città. Questa venne diroccata insieme a molte case vicine e si contarono due vittime fra i civili.

La Rocca di Bergamo (Racc. Gaffuri)

Delle antiche esplosioni avvenute in Rocca restano comunque i segni nel torrione – evidenziati da recenti restauri – nei corsi irregolari delle murature, dove si notano i vari tipi di materiali usati. Alle pietre ben squadrate della base si sovrappone nella parte superiore materiale di taglio e di varia composizione, come se si fosse reso necessario chiudere una breccia.

LE DUE POLVERIERE FINALMENTE ATTIVE MA NON DEL TUTTO EFFICACI

Ed ecco finalmente che con il capitano Andrea Paruta nel 1606 la Rocca è sgomberata e tutta la polvere è conservata in una polveriera.

Il problema non è però del tutto risolto: lo spazio disponibile è poco, mentre è indubbiamente molto pericoloso tenere tutto l’esplosivo in un solo luogo. Il capitano ha fatto sistemare anche la seconda polveriera e sei anni più tardi (1612) il capitano Marco Dandolo può annunciare che tutta la polvere (per 2272 barili) è al sicuro nei due depositi; ma si ripresenta il problema della conservazione, sia per l’insufficiente copertura e sia perché i muri non sono del tutto impermeabili, obbligando a far asciugare la polvere al sole.

Per sicurezza, ma forse anche per ridurre l’umidità proveniente dal terreno circostante, il capitano Dandolo fa circondare i due edifici con un alto muro, di modo che nessuno si può più avvicinare, evitando “ogni pericoloso incontro”.

Le polveriere erano circondate da un alto muro, che le proteggeva e le isolava; se ne nota ancora una traccia nello spazio circostante, soprattutto per quanto riguarda la polveriera inferiore. La cuspide, come appare da alcuni disegni, era sormontata da una sfera di pietra, ora scomparsa

Pur con tutti i difetti, quasi due secoli dopo la costruzione le due polveriere sono ancora utilizzate. Nel 1759 il capitano Francesco Rota fa sapere di aver speso 4025 lire per il loro restauro: ad entrambe le costruzioni vengono tolte le coperture di piombo per rinnovarle, ma sembra che poi non se ne faccia niente.

LA POLVERISTA E I DEPOSITI DELLA POLVERE NEI BORGHI

Mentre, finalmente, dal 1612 pur con qualche problema le due polveriere nel forte di S. Marco potevano contenere tutta la polvere da sparo, per tutto il Cinquecento e parte del Seicento, quando il fabbisogno cresceva di pari passo con lo sviluppo delle armi da fuoco, la produzione rimase concentrata nella “masena da polvere” della Rocca dove, come s’è visto, si fabbricava la polvere per i cannoni e per gli archibugi: in misura modesta, in quanto le macine per tritare e ridurre in polvere componenti necessari erano azionate con i cavalli o a mano.

Nonostante la sua presenza fosse una costante minaccia per la città e nonostante i numerosi solleciti inviati a Venezia a partire dal 1572 (7), la cessazione di questa attività e il suo trasferimento in luogo più isolato, andò incredibilmente per le lunghe.

Le scorte di polvere nella fortezza erano insufficienti e se ne consumava per l’addestramento degli “scolari bombardieri”. Nonostante la scomodità di inviare il salnitro a Venezia e di far venire la polvere da questa città e nonostante salnitro e carbone (componenti essenziali per ottenere la miscela esplosiva, insieme allo zolfo) a Bergamo non mancassero, il progetto di costruire un “edificio da polvere” al piano andò in porto solo nel 1614.

Una fabbrica della polvere ne avrebbe incrementato la produzione – rendendola sufficiente anche per le fortezze vicine -, a costi inferiori rispetto alle vetuste macine della Rocca potendo utilizzare la forza motrice dell’acqua dei canali.

Nel 1623 comunque, la fabbrica presso l’ex convento del Galgario, già degli Umiliati, era già in tutto o in parte funzionante. Qui era possibile sfruttuare come forza motrice le acque del torrente Morla.

L’ex convento del Galgario nel secolo scorso in un disegno di Giuseppe Rudelli (1790-1850). Il Galgario fu sede della prima fabbrica della polvere a Bergamo. (Propr. Sandro Angelini)

La conservazione della polvere avveniva nella vicina torre, quella del Galgario, oggi unica scampata all’abbattimento delle Muraine.

Pietro Ronzoni, Il Galgario (Bergamo, propr. rag. A. Farina)

Ma la presenza della polvere non poteva non suscitare allarme tra gli abitanti del borgo, anche in considerazione degli incendi che si erano sviluppati nel 1623 e dieci anni più tardi.

Così, nel 1682, essendo l’edificio ormai malconcio il doge Alvise Contarini dispose la costruzione di un nuovo edificio per la polvere in un sito lontano dell’abitato, “con abondanza di acqua, et capace di lavorare con trenta copie di pestoni”, in modo da aumentare il più possibile la produzione.

Il luogo scelto fu quello nei pressi della cappella del Sant’Jesus, situata dietro il monastero di Santa Maria delle Grazie (su un’area oggi compresa tra le vie Taramelli e Casalino), dove passavano due canali.

La cappella del Sant’Jesus, nei pressi della fabbrica della polvere, costruita su un’area oggi compresa tra le vie Taramelli e Casalino. Già attiva intorno al 1685,  la fabbrica continuò a funzionare per tutto il Settecento tra sistemazioni e rifacimenti vari (agosto 1888, Racc. Gaffuri)

Il deposito, in tutto simile alle polveriere dell’alta città, dovette essere costruito con una certa celerità e tre anni più tardi il capitano Giorgio Cocco non risparmiava elogi alla nuova costruzione (“la più bella e ben disposta pianta che in questo genere l’arte havesse potuto inventare”), apportandovi delle migliorie, ampliando l’edificio e collocando il “rafinadore”, in un settore dove non c’era pericolo di incendio.

Planimetria della “polverista”, ing. Urbani. (Bib. Mai)

Sappiamo però dell’incendio del 1702 e dei conseguenti lavori di sistemazione nell’edificio, che fu adibito a fabbrica della polvere per tutto il Settecento tra sistemazioni e rifacimenti vari.

Significativi sono, a questo proposito, i due bei disegni in pianta e in alzato dell’ing. Gio. Antonio Urbani, eseguiti dopo un sopralluogo compiuto nel 1778 per rendersi conto delle condizioni del “pubblico edificio della polveri” che risultava essere piuttosto malandato.

Nel disegno a volo d’uccello è visibile, annesso alla fabbrica, il deposito della polvere, copia delle due polveriere piramidali costruite nel 1582.

Veduta a volo uccello dell’edificio della “polverista”, ing. Urbani. (Bib. Mai)

Anche se le cento bocche da fuoco dislocate lungo il perimetro delle Mura non spararono mai un solo colpo e con l’arrivo delle truppe francesi in città (1797) l’apparato militare era già quasi del tutto in disuso, la fabbrica della polvere continuò la sua attività anche nel corso dell’Ottocento, come è possibile rilevare dalle planimetrie del   1816 e del 1836 dove è indicato ancora il complesso della “polverista”.

La caserma del Galgario nel 1880 (Foto Antonio Roncalli). Con le soppressioni e gli espropri avvenuti tra la fine del Settecento e gli inizi dell’Ottocento, in seguito al decreto napoleonico, molti istituti religiosi vennero convertiti ad usi civili (caserme, prigioni, ospedali, alloggi militari…)

Il caratteristico toponimo di “polverista” sopravviverà anche all’abbattimento dell’edificio, tanto che i più anziani lo ricordano ancora applicato all’area dove sorgeva lo stabilimento Reich, dove verso la fine degli anni 50 e negli anni 60 è sorto il quartiere residenziale compreso tra via Casalino e la via Martiri di Cefalonia.

II trasferimento nei borghi della produzione della polvere ridusse gradualmente l’importanza delle due polveriere di Città Alta, che, verosimilmente a metà Settecento finirono con l’essere abbandonate e, senza più sorveglianza, esposte ai ladri che asportavano pezzi della malconcia copertura in piombo. Nella foto, la polveriera inferiore (cerchiata in rosso), nella valletta di Colle Aperto, aggredita dalla vegetazione (Racc. Gaffuri) 

Anche per i religiosi del monastero di Santa Maria delle Grazie, non lontani dalla fabbrica della polvere e dall’annessa polveriera, tale presenza continuava a suscitare motivato allarme.

Nel 1769, dopo un disastroso scoppio con molte vittime a Brescia causato dalla caduta di un fulmine (e probabilmente anche dopo un disastroso incidente citato da Ferdinando Caccia nel “Trattato scientifico di fortificazione” del 1748), venne deciso di trasferire il pericoloso materiale in una località più isolata.

La scelta cadde sull’ex convento di Santa Maria di Sotto, l’attuale “Conventino”, dove le polveri furono trasportate nonostante la presenza nell’edificio di un centinaio di ragazze ospiti.

L’edificio del “Conventino”

In un sopralluogo del 1781 effettuato per ragioni di sicurezza l’ing. Urbani rilevava che oltre ai rischi ai quali erano esposte le ragazze, nella zona esistevano anche diversi cascinali e, non molto lontano, la contrada della Malpensata.

Quattro anni più tardi, per allontanare il pericolo dalle ospiti del Conventino l’Urbani ricevette l’incarico di costruire un deposito della polvere in località isolata e realizzò un progetto che ricalca nelle linee tradizionali le polveriere cinquecentesche: non sappiamo però se l’edificio venne realizzato.

Progetto dell’ing. Giovan Antonio Urbani per la polveriera da costruire nei pressi dell’ex convento di Santa Maria di Sotto. Anno 1785

L’ultima traccia di un deposito della polvere in città ce la fornisce la pianta delineata nel 1896 dall’ingegnere Roberto Fuzier. Si tratta di una vera e propria polveriera militare in prossimità del cimitero di San Maurizio, poi inglobato nell’attuale cimitero civico. La polveriera del San Maurizio doveva già esistere un cinquantennio prima ai tempi dei moti del 1848, quando, presidiata dagli Austriaci, venne assaltata dai patrioti bergamaschi. Forse non a caso,  nella mappa del Catasto storico lombardo-veneto del 1853, è ancora indicata  una Fabbrica di Salnitro, accanto al portello e al convento delle Grazie.

Nella planimetria dell’ing. Roberto Fuzier del 1896 il deposito della polvere è situato nei pressi del cimitero di S.Maurizio

 

Il Cimitero Unico nella prima metà del Novecento. A sinistra dell’immagine si riconosce ancora chiaramente la forma rotonda dell’antico cimitero di San Maurizio, unico sopravvissuto dei tre piccoli cimiteri costruiti a Bergamo agli inizi dell’Ottocento perché inglobato nel nuovo impianto del Cimitero Monumentale di Bergamo e destinato da allora alle sepolture dei bambini. La polveriera si trovava a nord del piccolo cimitero

Poco distante alla polveriera del San Maurizio sorgeva fra l’altro la Piazza d’Armi (già presente nella pianta di Bergamo del 1874), posta tra le vie Suardi solcata dalla roggia Serio, Giovanni da Campione, Codussi e Noli affiancata in quel tratto dalla Morla. Era sorto verosimilmente dopo che la Piazza d’Armi presso la stazione ferrioviaria era stata dismessa insieme al “Bersaglio” per far posto al Mercato del Bestiame nel 1865 (8). In particolare, fino al 1920 fu tutta cintata da un alto muro e riservata esclusivamente alle esercitazioni militari’.

Fu proprio in quel periodo che, in previsione della nascita di un nuovo quartiere di duemilacinquecento abitanti, si cominciò a pensare a una piazza d’Armi da realizzare altrove in città.

1924: il “Campo di Marte” (Piazza d’Armi), prospiciente il quartiere della Zognina

Ma questa è un’altra storia.

 

Note

(1) Il salnitro compariva sotto forma di efflorescenze o di aggregati di minutissimi aghi sulle pareti delle stalle, delle cantine e degli ambienti umidi (grotte per esempio); lo si poteva trovare anche nel terreno di varie zone dell’Europa (in particolare Francia e Lombardia), ma abbondava soprattutto nei luoghi saturati da orina e da feci,

(2) La raccolta del salnitro avveniva ad opera del salnitraio e dei suoi lavoranti. L’attività dei “tezzoni” era disciplinata insieme a quella dei salnitrai e dei pastori, ai quali I primi affittavano i pascoli loro assegnati. Per ogni tezzone era previsto un gregge di duecento pecore (ed è curioso sapere che dopo il 1810 nell’ex Mercato dei bovini  posto tra le attuali Piazza Cavour e via T. Tasso, si commerciava solo il bestiame fessipede). Il salnitraio e i suoi lavoranti potevano in un qualsiasi momento scavare nelle stalle e nelle cantine per prelevare il terreno ricco di nitrati, ed era fatto divieto non solo di ostacolarli ma anche di intervenire sulla raccolta, spazzolando ad esempio, i muri.

(3) In provincia a partire dal 1576 erano state istituite altre “tezze” in muratura che consentivano una più abbondante produzione di salnitro in sostituzione della raccolta occasionale nelle stalle e nelle cantine: una ad Osio Sotto e l’altra a Spirano, alle quali vent’anni dopo (relazione del capitano Giovanni Da Lezze) si erano aggiunte quelle di Martinengo, Mornico e Terno d’Isola e, pare, una settima per Sarnico. Nella Bergamasca si giunse ad avere fino ad otto “tezzoni”, citati nel 1623, epoca in cui erano tutti piuttosto malconci. Nel 1601 essendo i salnitrai venuti meno all’obbligo di fornire i quantitativi, la ricerca di salnitro avvenne al di fuori dei confini dello Stato (a Trento, nel Genovese, a Chiavenna e a Zurigo nei Grigioni). Dopo aver intrattenuto rapporti con Nova Genovese, il capitano di turno finì con lo stringere un accordo con un mercante d’oltralpe, importando salnitro di ottima qualità, che probabilmente venne fatto arrivare attraverso la Strada Priula.

(4) In poche note trovate nel n. 5 del “Giornale di indizi giudiziari” del 1° febbraio 1821, si informa che in piazza Baroni la fabbrica dei nitri, detto il “Salmister”, veniva trasformata in “pubblica vendita di granaglie al coperto”: “L’impresa di questo lavoro è diggià incominciata, e compiuta che sia noi avremo un’area ancor più vasta adiacente a questo ampio porticato, con casini laterali per uso degli inservienti, e chiuso da tre rastelli di ferro”.

(5) Il via al cantiere venne dato verosimilmente con il podestà Francesco Pesare e portato a termine, ma in modo incompleto con il capitano Vincenzo Nani. In un documento dell’Archivio Albani, custodito alla Biblioteca “A. Mai” vi sono risolutive indicazioni sulla data di inizio. Per la prima polveriera l’appalto dei lavori fu assegnato ad Antonio da Piacenza, per la seconda a Paolo dei Bizioli di Desenzano. Entrambe costarono 2668 ducati.

(6) Il restauro conservativo completo è stato portato a termine sotto la supervisione della Soprintendenza per i Beni Ambientali e Architettonici e del Comune, grazie al prezioso interessamento del Lions Club Bergamo Host (1981) nonchè della Banca Popolare di Bergamo e del Credito Bergamasco (1986).

(7) Uno dei primi a sollecitare il Senato Veneto perché a Bergamo venisse costruita una fabbrica della polvere – come esisteva nelle altre fortezze – fu, nel 1572, il capitano Bartolomeo Vitturi.

 (8) La Piazza d’armi nell’area dell’attuale piazzale degli Alpini, luogo di esercitazione militare popolarmente denominato “Campo di Marte”, compare nella mappa Catasto Storico Lombardo Veneto del 1866. In funzione al sito militare, viene costruita la struttura del “Bersaglio” (in corrispondenza dell’attuale via Foro Boario) con il suo lungo corridoio di tiro (che verrà dismesso insieme alla Piazza d’Armi per far posto al Mercato del Bestiame nel 1865 (anche se sulla pianta di Bergamo del 1874 la “Nuova Piazza d’Armi” risulta ancora presente). In precedenza, luogo di esercitazione militare era il Comando di Piazza, costituito da piazza e capannoni, dove nel 1852-54 era nato il Palazzo della Pretura ora Palazzo degli Uffici Comunali).

Riferimento principale

A cura del Lions Club Bergamo Host, Pino Capellini, “Le polveriere venete”. Editrice Cesare Ferrari di Clusone. Tipolitografia Cesare Ferrari. Giugno, 1987.

Bergamo nel Dipartimento del Serio (1797-1814), i cambiamenti nella città e nel territorio e l’introduzione del catasto

Con il trattato di Campoformio, dopo circa tre mesi dal suo stabilimento, la Repubblica Bergamasca (subentrata alla caduta del dominio veneziano su Bergamo) entrava a far parte della Repubblica Cisalpina (promulgata nel luglio del 1797), ponendo fine alla breve esperienza di autogoverno cittadino: Bergamo, in qualità di capoluogo del Dipartimento del Serio, veniva ora a dipendere dal potere centrale milanese assumendo un nuovo ruolo rispetto al passato: da città di confine entrava in diversa relazione con il resto della Lombardia.

La suddivisione politica dell’Italia nel 1796 prima della costituzione della Repubblica Cisalpina

 

Configurazione del Nord e del Centro Italia nel 1799. Con il trattato di Campoformio, dopo circa tre mesi dal suo stabilimento la Repubblica Bergamasca entra a far parte della Repubblica Cisalpina come Dipartimento del Serio, restandovi sino al decadere del Regno d’Italia seguito dall’avvento del Regno Lombardo-Veneto e dell’occupazione austriaca. L’istituzione del dipartimento segna la fine delle articolate autonomie di cui avevano goduto le valli orobiche durante il dominio veneziano

Intanto in Europa si stava preparando la prima coalizione contro la Francia. Mentre Napoleone di trovava in Egitto, nella primavera del 1799 scendevano in Lombardia gli Austro-Russi, comandati da Suvarow.

Ricevuta di pagamento daziario, durante il periodo dell’occupazione austro russa a Bergamo

Il Direttorio bergamasco della Cisalpina si scioglieva e i suoi membri emigravano. I cosacchi entravano in Bergamo da Porta Broseta il 24 aprile spargendo terrore nella città. L’evento è ricordato in due dipinti di Marco Gozzi, collocati in una cappella del Santuario di Borgo Santa Caterina.

Ex-voto di Marco Gozzi (1759-1839) rappresentante un evento miracoloso: il passaggio di truppe francesi ed alemanne in Borgo Santa Caterina, avvenuto senza arrecare danni. Nel dipinto, la Madonna Addolorata venerata nel Santuario proteggere dall’alto i suoi devoti. Il borgo è osservato dal ponte della Morla e in prospettiva è visibile la colonna posta al centro della via

 

Gli Austro Russi in Borgo S. Caterina. Ex voto (1799). Bergamo. Santuario di Borgo S. Caterina. Il dipinto rappresenta l’ingresso nel borgo di S. Caterina, in data 14 aprile 1799, di un distaccamento austro-russo che insegue truppe francesi

Ma questo stato di cose durò breve tempo: nel novembre Bonaparte ritornava dall’Egitto a Parigi, veniva eletto primo console; nella primavera del 1800 piombava nuovamente in Italia; sconfiggeva nel giugno gli austriaci a Marengo e il territorio orobico entrava a far parte della seconda Cisalpina  (1800-1802). Con la Consulta di Lione del 1802 si emanava una nuova costituzione e nasceva così sotto la Vice-Presidenza di Francesco Melzi d’Eril la Repubblica italiana (1802-1805), che alla proclamazione del maggio 1805 di Napoleone Imperatore dei Francesi, doveva divenire Regno d’Italia (1805-1814) sotto il comando del Vice-Re Beauharnais.

Dipartimenti napoleonici italiani. Il Dipartimento del Serio vede definiti i propri confini nel 1801 con l’acquisizione della Valle Camonica, che farà parte della provincia bergamasca fino all’Unità; altra importante rettifica rispetto al periodo veneto era stata nel 1798 l’annessione, a sud, della Gera d’Adda e della Calciana

Se con la prima Cisalpina si era affermata una classe dirigente composta da uomini già politicamente attivi nei mesi della repubblica democratica (con Marco Alessandri e Girolamo Adelasio nel Direttorio), con la proclamazione della Repubblica italiana e quindi del Regno d’Italia venne realizzato un apparato statale fortemente centralizzato, che determinò la fine della autonoma organizzazione della municipalità di Bergamo, tanto che nel 1805 l’albero della libertà scomparve dalle piazze cittadine per decreto sovrano.

Il regime chiedeva ora la collaborazione di notabili più moderati e conservatori, scelti fra i proprietari terrieri, la borghesia ricca dei commerci e delle professioni, gli intellettuali, i gradi alti dell’esercito, a cui concedeva cariche di prestigio, onorificenze e titoli nobiliari, col proposito di allargare le basi del consenso e di ridurre la resistenza al nuovo assetto statuale.

Lettera spedita a Brescia a Bergamo nel 1798, nel periodo della Repubblica Cisalpina

In contrasto con l’atteggiamento personale del vescovo Dolfin, che appoggiava la politica francese, il clero continuava ad opporsi esplicitamente al governo, esercitando una forte influenza su una popolazione saldamente ancorata ai principi religiosi.

Vincenzo Bonomini (1757- 1839), “Il soldato tamburino”, chiesa di S. Grata inter vites, Borgo Canale (Bg). Vestito di verde, bianco e rosso, i colori della bandiera italiana, nata allora in Lombardia come vessillo della Repubblica Cisalpina, e che poi sarà adottata dal nuovo Stato unitario

 

Vincenzo Bonomini (1757- 1839), “Il soldato tamburino” (particolare), chiesa di S. Grata inter vites, Borgo Canale (Bg). Alle spalle del soldato, le truppe napoleoniche

Tale opposizione si era avviata nel periodo “giacobino” (1797), con le soppressioni di conventi e monasteri e relativo incameramento dei beni (nel 1810-1811 si giunse alla soppressione di tutti gli istituti religiosi), la chiusura del seminario, le requisizioni di argenti, le proibizioni di processioni e di altre manifestazioni esteriori di culto, che avevano cominciato ad offendere il sentimento religioso di gran parte del popolo; ma proseguì anche negli anni successivi, quando Napoleone cercò la riconciliazione con la Chiesa quale mezzo indispensabile per la stabilità politico-sociale, nonostante in nome della difesa della laicità dello stato e della razionalizzazione della vita religiosa e della cura pastorale, Napoleone avesse anche decretato la riduzione del numero delle parrocchie, che a Bergamo scesero da 15 a 7.

A tali provocazioni, il clero locale rispose con la scarsa disponibilità a collaborare e con la diffidenza, ma anche con l’opposizione oltranzista di carattere politico operante attraverso l’attività clandestina delle congregazioni di San Luigi o Mariane.

Scorcio del Mercato delle Scarpe e dell’imbocco di via Porta Dipinta verso il 1870, in una litografia di G. Elena (Racc. Vimercati Sozzi, Bibl. Civica)

In quell’epoca contrassegnata, con Bonaparte,  da rivolgimenti sociali, politico-amministrativi e militari, nell’arco di pochi anni non solo mutarono le strutture politiche e si ridefinirono le classi dirigenti, ma si crearono anche istituzioni di gestione dell’economia e del “soddisfacimento del bisogno sociale” che ebbero un valore epocale, e non ultima la nascita del Codice di Commercio e delle Camere di Commercio.  La prima sede della Camera di Commercio a Bergamo, è la “sala maggiore del Palazzo Civico” (attuale sede della Biblioteca A. Mai), dove già aveva esercitato la Camera dei Mercanti.

Con la legge del 26 agosto del 1802, Francesco Melzi d’Eril, vice presidente della neonata Repubblica Italiana, stabilisce che in tutto il territorio ogni Tribunale mercantile debba denominarsi Camera Primaria di Commercio attuando con ciò una rottura con le precedenti istituzioni dell’ancien regime: lo Stato diventa garante del progresso economico e mediatore tra gli interessi economici che esprimono le diverse forme imprenditoriali, dell’artigianato o dell’agricoltura. Anche a Bergamo, il 15 novembre 1802, nasce la Camera di Commercio, i cui membri (appartenenti al mondo imprenditoriale) inizialmente sono di nomina governativa, ma successivamente saranno eletti dagli stessi commercianti sulla base di una nuova forma di verifica delle ricchezze imponibili. La prima sede della Camera di Commercio è la “sala maggiore del Palazzo Civico” (attuale sede della Biblioteca A. Mai), dove già aveva esercitato la Camera dei Mercanti, ma già nel 1803 si comincia a sistemare l’ex Tribunale per offrire alla Camera una sede autonoma. Dapprima si trasferì in un locale in via Aquila Nera dove vi restò dal 1804 al 1809, momento in cui la Camera di Commercio trovò una sistemazione in Città bassa

Cambiò il corpus legislativo e amministrativo; al Comune vennero assegnati compiti nei campi dell’istruzione, dell’assistenza, del controllo anagrafico, che erano prima di quasi esclusiva competenza di organismi caritatevoli ed ecclesiastici. Vennero completamente riorganizzati gli uffici comunali, introdotta la nuova figura del Segretario generale e l’uso del protocollo nella scrittura degli atti comunali.

Venne aggiornata secondo nuovi e più moderni criteri la fiscalità, e con l’introduzione della registrazione catastale delle proprietà immobiliari, venne imposta una perequazione fiscale più razionale ed omogenea (prima di allora la tassazione era basata sulle denunce dirette dei proprietari) (1).

(1) Ispirato al modello Teresiano, il catasto napoleonico  è concepito come strumento di accertamento e perequazione fiscale. Prima di allora la tassazione era basata sulle denunce dirette dei proprietari. Con il catasto, in Provincia di Bergamo, per alcune zone già a partire dalla prima metà del Settecento con il Catasto Teresiano, viene introdotto un criterio razionale di individuazione geometrico-particellare del bene immobile e una meticolosa procedura di determinazione della rendita per il calcolo dell’imposta prediale. Si avviano così le operazioni per la prima catastazione condotta con criteri moderni sul territorio bergamasco, ovvero per tutta quella parte dell’attuale provincia che era sottoposta a Venezia, mentre per i ventiquattro comuni ex milanesi le rilevazioni erano già state fatte al tempo del catasto cosiddetto Teresiano. Nel dipartimento del Serio i lavori iniziano nel 1808 sotto la direzione dell’ingegner Giuseppe Manzini e si concludono nel 1813. In tale occasione viene composta la prima mappa di Bergamo in scala 1:2000; il documento, fonte di straordinaria importanza per la conoscenza del tessuto urbano, è conservato all’Archivio di Stato di Milano (una Pianta di Bergamo dell’ingegner Giuseppe Manzini – Acquaforte – è conservata presso la Biblioteca civica A. Mai).

Si procedette alla realizzazione di un nuovo ordinamento territoriale, strutturato secondo una più ordinata geografia dipartimentale, e in linea con un’ottica tutta urbano-centrica si procedette persino ad una ricognizione urbana ed extraurbana del territorio circostante, con l’evidente finalità di procedere verso la costituzione di un regesto generale dei beni architettonici, archeologici e ambientali di maggiore risonanza popolare.

A tale scopo, il pittore bergamasco Marco Gozzi (1759-1839) ricevette l’incarico, prima dal governo francese e poi da quello austriaco, di fornire annualmente all’amministrazione quadri di paesaggi che rilevassero topograficamente alcuni spazi di vedute e paesaggi del territorio lombardo, e con lui si inaugurò il filone del paesaggio moderno lombardo.

Avviso riguardante le estrazioni del lotto, 1804

I diversi provvedimenti adottati in materia sociale, assistenziale, religiosa, culturale, scolastica, sanitaria (questi ultimi determinando la costruzione di campisanti fuori dall’abitato) e urbanistica, produssero evidenti effetti sulla struttura della città, che subito dopo il passaggio delle truppe francesi si vide cambiare volto attraverso una serie di opere pubbliche, concepite secondo un ottica di decoro cittadino.

Bergamo, Cimitero di Valtesse, soppresso nel 1920. Con l’Editto di Saint-Cloud, emanato in Francia nel 1804 per motivi d’igiene e di salute pubblica, il seppellimento doveva  avvenire non più nelle chiese, nei sagrati o negli spazi ad essi adiacenti (“Coemeterium Plebis”), ma in appositi recinti da collocarsi fuori dalle mura cittadine: nascevano così i moderni cimiteri,  che ancora chiamiamo “campisanti” a ricordo del loro antico uso

 

DUE PAROLE SULLA FIERA

Il periodo della dominazione napoleonica segna l’ampliamento delle dimensioni del commercio fieristico, preparando l’economia bergamasca ad entrare nel più vasto mercato lombardo e a trarne presto vantaggi, per confronto concorrenziale con la dinamica presenza industriale milanese.

Durante il periodo napoleonico, in tempo di fiera si commerciavano panni di lana, ferrarezza, pietre coti, tele bianche (cotone), sete; il tutto rappresentava il sostentamento della città e del suo territorio

Tra i provvedimenti per il miglior funzionamento, l’ordine e l’organizzazione generale della fiera, nel 1809 si provvede a spostare le botteghe del ferro e nel 1810 il mercato dei bovini, trasferito dal Lazzaretto alla fiera.

Insieme agli altri, anche i provvedimenti di decoro pubblico contribuiscono a fare della fiera un luogo d’incontro e di cultura di tutta la popolazione bergamasca.

D’altro canto però le guerre aggravano anzitutto il problema dell’insufficiente produzione di frumento e gli eventi europei incidono negativamente anche sullo scarso sviluppo della rete viaria (il commercio di transito che da Venezia alla Svizzera, Germania e Olanda passava per la dogana di Bergamo, era via via scemato anche a causa della mancata manutenzione della strada della Val S. Martino e della Ca’ S. Marco).

 

LA CITTA’ NEL PERIODO NAPOLEONICO

In seguito alla soppressione di tutti gli istituti religiosi, avviata nel 1797 e portata a termine nel 1810-1811 con relativo incameramento dei beni, nell’ottica della riorganizzazione dei centri di potere i conventi e i monasteri vengono convertiti in caserme, uffici doganali, carceri, case di lavoro, ospedali, ospizi (mentre il previsto nuovo manicomio presso il Convento di Astino non verrà realizzato).

All’architetto viennese Leopoldo Pollack è affidata la risistemazione ad uso di carcere dell’enorme complesso edilizio dell’ex convento di S. Agata, anche se il progetto verrà realizzato solo per piccoli lotti a causa di difficoltà burocratiche e finanziarie.

Bergamo, ex-convento di Sant’Agata, fronte del cortile interno. Il complesso conventuale eretto dai Teatini nella prima metà del Seicento, è stato adibito a carcere dal 1797 al 1977

 

Pianta dell’edificio delle carceri di S. Agata, architetto Pollack (Archivio di Stato di Bergamo, Tribunali Giudiziari, bb 1775 c 1776)

 

Sezioni dell’edificio delle carceri di S. Agata, architetto Pollack (Archivio di Stato di Bergamo, Tribunali Giudiziari, bb 1775 c 1776)

Il principio della concentrazione delle opere di beneficenza nella Congregazione di carità (1807) comporta l’unificazione nella Casa del Conventino dell’Istituto delle orfane.

L’Orfanatrofio femminile presso la Casa del Conventino, nel 1906

Il cosiddetto bando della mendicità (era fatto divieto ai mendicanti di questuare per le strade) determina l’istituzione dell’Ospedale della Maddalena per incurabili ed inabili al lavoro.

Il portone della chiesa della Maddalena, in via S. Alessandro

Il convento dei francescani di S. Maria delle Grazie viene trasformato nel 1811 in Albergo per i poveri (casa di ricovero delle Grazie), fuori delle Muraine.

Il chiostro del convento dei francescani di S. Maria delle Grazie

 

Affacciato sullo slargo di Porta Nuova, l'”Albergo dei poveri” (ex convento francescano di S. Maria delle Grazie), istituito nel 1811

La legislazione scolastica, che prevede tra l’altro l’apertura di scuole pubbliche presso ogni sede parrocchiale (1801), porta con la riforma del nuovo liceo dipartimentale all’acquisto dell’ex convento di Rosate (1803) e alla fondazione dell’Istituto musicale (1805).

Il colle di Rosate, culminante in corrispondenza del Liceo Sarpi (Ph Walter Barbero, da “Bergamo”)

 

Parte della Città col convento di S. Grata, gli archi della cinta medioevale, il convento a destra di S. Maria di Rosate e il Palazzo a sinistra dei Sozzi (sec. XVI) ora Seminario (Raccolta Conte Piccinelli)

Sull’onda rivoluzionaria che diffondeva certo aggiornamento ad una modernità con opere utilmente pubbliche, entro il primo decennio dell’Ottocento si eressero una serie di edifici, che rientravano in quel processo di espansione delle infrastrutture e dei servizi che è proprio della politica urbanistica napoleonica.

Si completava così il maggior teatro della città in piano, il teatro Riccardi, ricostruito da Bortolo Riccardi dopo un terribile incendio e riaperto al pubblico nel 1799.

Il Teatro Riccardi sul Sentierone, in seguito riadattato e intitolato a Gaetano Donizetti

Nel 1797, mentre cadeva la repubblica di Venezia era in corso di costruzione del grande Palazzo Grumelli-Pedrocca (lungo l’attuale via S. Salvatore) su progetto di L. Pollack: un estremo aggiornamento stilistico in una Bergamo alta che aveva ormai perso la funzione di centro cittadino e dove – ironia della sorte – i  nobili che in gran parte la occupavano si riconoscevano nelle colte intuizioni linguistiche dell’architetto viennese.

Palazzo Grumelli Pedrocca (1797), in via S. Salvatore, progettato dal Pollack (Ph Walter Barbero, da “Bergamo”)

 

L’ingresso di Palazzo Grumelli Pedrocca (1797), in via S. Salvatore, progettato dal Pollack (Ph Walter Barbero, da “Bergamo”)

Ed è proprio alla presenza dell’aristocrazia che si deve il più importante intervento architettonico realizzato in Bergamo alta nei quindici anni della presenza napoleonica, quando, nel 1803, una società di nobili appositamente formatasi, commissiona al Pollack il progetto di un teatro (teatro della Società o dei Nobili, oggi noto come Teatro Sociale) che sostituisca la poco dignitosa sistemazione provvisoria (dal 1797) di un teatro nel Palazzo della Ragione e faccia concorrenza all’unico vero teatro della città (esistente dal 1770 davanti alla fiera).

Sezione del Teatro Sociale, disegnata dall’architetto viennese Leopold Pollack

 

Il Teatro Sociale, realizzato tra il 1806 e il 1809 su disegno dell’architetto Pollack, prende corpo all’interno di una delle più complesse operazioni edilizie sperimentate nel cuore della città antica. Pur non rinunciando a un disegno rigorosamente neoclassico, la Pollack usa accortamente i materiali per armonizzare il grande edificio al contesto medievale, cosciente della funzione di recupero della storia

L’area prescelta, alle spalle dell’ex Palazzo del Podestà e affacciata sulla via principale (attuale via B. Colleoni), è significativa della volontà di rilanciare la “centralità” (se non altro mondana) di Bergamo alta; e in effetti, con la restaurazione austriaca sul Lombardo-Veneto Bergamo alta verrà ad essere interessata da una serie di interventi che la riproporranno, se non come unico polo della centralità urbana, come uno dei luoghi di più alto interesse della vita cittadina, il primo dei quali, nel 1818, sarà la sistemazione a sede dell’“Ateneo di Scienze, Lettere e Arti”, laddove il portico, costruito nel 1759 sul fontanone visconteo (a est di S. Maria Maggiore), sembra voler indicare nelle sedi istituzionali della cultura uno degli strumenti per la rivitalizzazione della città alta: una tendenza che persisterà nel successivo periodo austriaco (2).

(2) A questi interventi seguirà infatti l’’apertura del Conservatorio musicale, la sistemazione a biblioteca del Palazzo della Ragione, la costruzione della grande sede del liceo-ginnasio sul sito dell’appositamente demolito convento di S. Maria di Rosate,  oltre che la nuova sede del Seminario vescovile e gli  interventi volti a restituire il circuito delle mura veneziane all’uso civile.

Particolare del portico, costruito nel 1759 sul fontanone visconteo, ad est di S. Maria Maggiore, laddove nel 1818 avverrà la sistemazione a sede dell’“Ateneo di Scienze, Lettere e Arti”, istituito con decreto napoleonico il 25 dicembre 1810 allo scopo di fondere in un unico organismo l’Accademia degli Eccitati e quella degli Arvali, secondo la tendenza illuminista volta a riformare e unificare gli istituti culturali.  Ma sarà solo nel 1818 che l’Imperial Regia Delegazione Provinciale disporrà di dare come sede definitiva il pubblico locale del Civico Museo, sopra il Fontanone in Piazza Duomo

 

Si collocano nel quadro delle avanguardie culturali europee eminenti figure di bergamaschi come Lorenzo Mascheroni, letterato e scienziato. Patrimonio di pochi singolari personaggi sono i fermenti di studiosi solitari o riuniti in associazioni, opere di scienziati, atti munifici dettati da un nuovo e più aperto concetto di cultura, estesa all’intera comunità (nell’immagine, l’inaugurazione del monumento a Lorenzo Mascheroni, il 5 settembre 1897, nel Boschetto di Santa Marta)

Ai margini della città antica, nello storico borgo San Tomaso, l’Accademia, voluta dal conte Giacomo Carrara, assume più nobile forma su disegno di Simone Elia, concludendosi nel 1810.

L’Accademia, fondata nel 1780 dal conte Giacomo Carrara, comprende una scuola di disegno secondo il gusto del tempo orientata al recupero della misurra classica, ed una galleria di 1500 dipinti aperta al pubblico con “chiara e antiveggente liberalità”

 

La chiesetta di S. Tomaso, demolita nel 1868 per la sistemazione della nuova piazza dell’Accademia

Da leggere invece nell’ottica nella celebrazione del potere sono i progetti che si susseguono per la trasformazione dell’Obelisco di Prato, che viene dedicato a Napoleone…

L’obelisco dedicato a Napoleone Bonaparte. L’obelisco era stato eretto in realtà in onore del podestà e vice capitano della Repubblica Veneta  Gianfranco Correr per essersi tanto prodigato durante la grave carestia del 1775. A seguito dell’invasione francese del 1797, venne dedicato a Napoleone, ma nel 1801, con l’occupazione austro-russa della città, l’intestazione venne rimossa. Con il ritorno delle truppe francesi in Bergamo, si riportò il nome di Napoleone sull’obelisco, dal quale peraltro venne cancellato intorno al 1815. Ma le peripezie dell’intitolazione non finiscono qui

…nonché i diversi monumenti di architettura effimera che nel periodo vengono eretti in città e l’abbellimento di porta Osio, all’incrocio tra via Moroni e via Palma il Vecchio, che ora rappresenta la nuova direttrice principale verso Milano.

Costantino Rosa, La diligenza per Milano a Porta Osio, 1850

 

Porta Osio, la porta aperta nelle muraine sulla direttrice per Milano. Di questa porta oggi resta una costruzione che si pensa possa essere stato il casello del dazio

Si fa progettare dall’architetto G. Quarenghi un disegno per costruire fuori Porta Osio un arco di trionfo da erigere per l’arrivo imminente a Bergamo di Napoleone Bonaparte. Il progetto non fu mai realizzato.

Progetto di G. Quarenghi per un arco trionfale da erigersi a Porta Osio (Bergamo) in onore di Napoleone Bonaparte (B. Belotti, Storia di Bergamo e dei bergamaschi, ed. Bolis, Bergamo, 1989)

Si provvede all’edificazione della strada di Circonvallazione fuori delle Muraine.

 

Via Pitentino, oggi Frizzoni, nel 1916. La cosiddetta Strada di Circonvallazione lambiva esternamente gran parte del tracciato delle Muraine – a sua volta costeggiato dalla Roggia Serio – che racchiudevano i Borghi della Città Bassa e si raccordavano alle Mura veneziane di Città Alta nei pressi di Porta Sant’Agostino da una parte e di Porta San Giacomo dall’altra

Con la caduta di Venezia e la conquista napoleonica, perduto il ruolo di città di frontiera Bergamo vede ulteriormente indebolito il ruolo strategico-militare della cinta murata cinquecentesca; venute meno tutte le preoccupazioni di carattere difensivo, la poderosa macchina bellica abbandona la funzione di struttura militare e a poco a poco prende a trasformarsi in un privilegiato luogo di passeggio, affacciato sulla città e la pianura.

Nelle vedute settecentesche come quella di Fossati, riprese dal Fortino presso la chiesa di S. Maria del Giglio, cogliamo la perdita ormai imminente della funzione militare delle Mura: benché ancora dotate di un forte risalto protettivo, le vedute ci restituiscono un’atmosfera serena, con figure che passeggiano e cavalieri.

Bergamo Alta vista da Porta S. Giacomo – Giorgio Fossati (1704 – 1785). Con la fine della dominazione veneta e l’ingresso dei Francesi in città, la vita civile prende il sopravvento sui vincoli militari, la città comincia progressivamente a riappropriarsi dei suoi spazi e a  fiorire

Sulla scia di una tendenza ormai in atto, nel 1781 il podestà Alvise Contarini propone di trasformare in passeggiata le Mura da S. Giacomo a S. Agostino, tratto che doveva essere molto frequentato se nel 1795 si doveva già provvedere al restauro dei “divisati deliziosi passeggi e giardini pubblici”, e all’abbassamento del tratto di vecchie mura pericolanti fuori Porta S. Giacomo, lungo la strada che porta a Borgo S. Leonardo (3).

(3) Monica Resmini, Le Mura, cit. in bibliografia.

F.B. Werner, Veduta prospettica di Bergamo, Ausburg, 1740 (Archivio Storico A. Mai, Bergamo)

Scompaiono i cannoni, vengono tolte le garitte e demoliti i terrapieni. I ponti lignei di accesso alle porte delle Mura vengono sostituiti da ponti in muratura, e le porte definitivamente aperte.

Porta S. Giacomo – Ex voto – Anonimo, 1727. Il dipinto, con lo stemma dei Tasso e la carrozza della contessa M. Tasso, mostra ancora le garitte sullo spalto e la struttura in legno con il ponte levatoio, che nel 1780 verrà sostituito con archi in pietra dal Podestà veneto Alvise Contarini  (Bergamo, proprietà S. Angelini)

 

Scorcio su Porta S. Giacomo con la rampa di raccordo in muratura, in una xilografia settecentesca

Le idee illuministiche di decoro urbano, legate a uno sfruttamento più razionale degli spazi, portano con sé nuovi canoni estetici che impongono l’ampio utilizzo del viale alberato.

Porta S. Giacomo e il viale alberato fino a S. Agostino, in una ripresa datata 1903

Lungo la cinta bastionata, il primo ad essere piantumato, a ippocastani e platani, è il tratto tra Porta S. Agostino e Porta S. Giacomo; resi più accessibili e “alla moda”, i baluardi cominciano ad animarsi di cittadini a passeggio.

Dopo la piantumazione di questo primo tratto, viene sistemata a verde l’area nei pressi della Porta di S. Alessandro. Il modello del viale alberato sperimentato sulle Mura verrà adottato anche nei nuovi rettifili realizzati in città.

Pietro Ronzoni, Complesso di Sant’Agostino: veduta meridionale dal Baluardo di San Michele, 1837 (Milano, Quadreria dell’800). Nell’agosto del 1837 viene aperto al pubblico passagio la barriera delle Grazie di Porta Nuova dove erano stati costruiti i Propilei; poi nel settembre dell’anno successivo, a Bergamo, avviene la storica visita dell’imperatore Ferdinando I d’Austria. Il grande evento favorisce la costruzione della strada che unisce i Propilei di Porta Nuova alla Porta Sant’Agostino, denominata Ferdinandea, appunto, in onore dell’Imperatore. Il tracciato del viale (oggi intitolato a Vittorio Emanuele II) è costeggiato dagli alberi e nella parte finale incontra l’antica porta Sant’Agostino

Acquisiti da parte dell’amministrazione comunale i terreni degli spalti, si provvederà a piantumare il tratto da Porta S. Giacomo a Porta S. Alessandro.

Verranno effettuati degli imponenti interventi neoclassici, in linea con la tendenza che per tutto il Settecento vedrà l’apertura, nella città sul colle, di cantieri privati per la trasformazione o l’edificazione di palazzi signorili.

Palazzo Medolago Albani, costruito dal 1873 al 1891 dall’Arch. Simone Cantoni. Caratteristico il lampione a gas (ripresa del 1910 circa)

Con il tempo, anche il colle di S. Vigilio, posto al culmine della città, si ricoprirà di una folta cortina alberata e di una serie di ville di delizia, sorte per godere dell’invidiabile posizione panoramica.

Nelle aree poste ai piedi delle Mura, orti e vigneti si riappropriano dei pendii collinari, assediandoli con le loro volute e tappezzandoli di calde policrome: svanito il timore che eventuali nemici possano mimetizzarsi nella macchia e avvicinarsi senza essere visti, la severa e fredda cinta di pietra si trasforma in un bucolico giardino pensile.

In dipinto ottocentesco, di cui non si conosce l’autore, è ambientato sullo spalto del convento di S. Agostino, dove alcuni uomini sono intenti nel gioco delle bocce (Bergamo, proprietà S. Angelini)

La Pianta della città e del territorio di Bergamo, realizzata da Stefano Scolari nel 1680, mostra la doppia cortina presente nella città: le mura venete, che circondano l’abitato sul colle, e la barriera daziaria delle Muraine, che dalle Mura scende a contenere i borghi come abbracciandoli.

Planimetria prospettica di Bergamo Alta e dei Borghi – Incisione veneta stamp. da Stefano Scolari, Venezia, metà secolo XVII (uff. Tecnico Comune di Bergamo)

Quasi due secoli dopo, le mappe ad opera dell’ingegner Manzini, realizzate a cinquant’anni di distanza l’una dall’altra (1816 e 1863), rifletteranno i mutamenti avvenuti per le infrastrutture e l’estensione dell’edificato nella parte centrale dell’Ottocento, mutamenti che hanno seguito i vincoli imposti dalle cinte murarie ma hanno anche sottolineato la necessità e la possibilità di un loro superamento.

Pianta della Città di Bergamo e dei Borghi esterni redatta nel 1816 dall’ingegnere e architetto Giuseppe Manzini

L’EVOLUZIONE DEI CONFINI DELLA CITTA’ IN UN ARTICOLO

Nonostante la vicenda territoriale del Comune di Bergamo suggerisca l’immagine di un nucleo che si allarga o si ritrae senza spostare il suo centro né il suo asse, soprattutto negli ultimi due secoli la storia dei confini del Comune di Bergamo è abbastanza tormentata.
“Il tramonto del XIV secolo coglieva Bergamo nel pieno della signoria viscontea, dopo aver sostanzialmente esaurito un’esperienza municipale durata oltre due secoli.
Negli statuti cittadini – che ancora si emanavano nonostante le mutate condizioni politiche – le comunità di Colognola, Daste, Dalcio, Palazzo, Grumello e Calvi erano invece riportate come Comuni autonomi.
Anche la descrizione confinaria del 1392 escludeva la maggior parte di queste entità – dai limiti non sempre ben precisati – mentre comprendeva i territori di Torre Boldone e di Rosciano, ora frazione di Ponteranica. Colognola e le altre comunità citate, insieme con Lallio e Curnasco, sarebbero comunque state presto annesse al territorio di Bergamo, che sotto il dominio veneziano non subì cambiamenti di rilievo.

Le «grandi manovre» iniziarono nel 1797 quando Valtesse, Redona, Torre Boldone, Colognola, Grumello del Piano, Curnasco e Lallio si costituirono in Comuni autonomi.
Il decreto del 1805, che favoriva – ma sarebbe meglio dire imponeva – l’accorpamento dei piccoli municipi, avrebbe ispirato però una decisa inversione di tendenza.
Fu infatti il periodo napoleonico a segnare, per pochi anni soltanto, la nascita di una «grande Bergamo» che aveva accorpato ben 28 comuni della cintura (compresi Ponteranica, Seriate e Stezzano) e vedeva la circoscrizione cittadina confinare direttamente con Nembro, Zanica e Zogno.
Si era creato un maxi distretto amministrativo- dove il Comune coincideva con il cantone bergamasco – che era anche il simbolo del ruolo preminente affidato al capoluogo.

I provvedimenti legislativi seguiti alla Restaurazione si preoccuparono di restituire a tutti i Comuni della cintura la loro autonomia.
Intorno al Comune cittadino, ora confinato territorialmente al centro città, si costituiva in municipio il Circondario dei Corpi Santi, corrispondente ai Comuni censuari di Valle d’Astino, Boccaleone e Castagneta.
La nuova entità amministrativa – che riesumava una partizione territoriale del periodo veneziano – ebbe però vita brevissima perché nel 1818 fu di nuovo incorporata alla città.

L’inizio del ’900 vide il riproporsi dei tentativi di aggregazione dei Comuni finitimi. Nel 1918 il Municipio di Bergamo deliberò la richiesta di annettere a sé i territori di Valtesse, Redona, Colognola, Grumello del Piano e in parte di Ponteranica, incontrando l’ovvia opposizione dei Comuni interessati.

Non se ne parlò più fino al 1927, quando la commissione reale incaricata della riorganizzazione municipale diede parere favorevole a tutte le richieste d’annessione, eccezion fatta per quella del Comune di Seriate.

Nemmeno il dopoguerra vi operò modifiche importanti, eccezion fatta per una permuta del 1954 con Orio al Serio, necessaria alla ricostruzione del cimitero distrutto per far posto al campo di aviazione, e per una rettifica di confine con Ponteranica nel 1969.

L’ultima variazione in ordine di tempo risale al 1983, con l’annessione della borgata di Nuova Curnasco e di alcune aree appartenenti a Treviolo. Da quel momento Bergamo raggiunse l’attuale estensione di 3960 ettari” (4).

(4) Prove tecniche di “Grande Bergamo” – Paolo Oscar. L’Eco di Bergamo, 8 ottobre 2000.

Riferimenti

Da: Fondazione Bergamo nella Storia (riferimento essenziale)

Walter Barbero, Bergamo, Electa, 1985.

A cura di Paolo Cesaretti, Le Mura. Da Antica Fortezza a Icona Urbana. Testi di Monica Resmini, Renato Ferlinghetti e Gianmaria Labaa. Bolis, 2016.