La Fontana di Sant’Agata e quel che c’era intorno: un percorso lungo due millenni

Fontana di S. Agata – Foto Giuseppe Preianò

Per lungo tempo la Fontana vicinale di Sant’Agata ha zampillato lungo la via, accogliendo gli avventori desiderosi di rinfrescarsi all’ombra del suo grande arcone, fino a quando i lavori di recupero effettuati nel 2009 ne hanno riportato alla luce l’assetto primitivo, rimasto per anni nascosto all’interno della volta murata.

Fino a una quindicina d’anni fa, e cioè prima dei lavori di ripristino, la fontana mostrava un muro posticcio, aggiunto nell’Ottocento, al centro del quale campeggiava un mascherone in arenaria consunto dal tempo, da cui usciva un semplice bocchettone per l’acqua. Della facciata originaria si intravedevano solo delle pietre disposte a formare un arco nella parte superiore, unica parte visibile della grande volta a tutto sesto, un tempo aperta sulla strada ed ora celata alla vista dei passanti.

La Fontana di S. Agata prima dei lavori di recupero effettuati nel 2009

 

La Fontana oggi

 

Oltre l’arcone della Fontana di S. Agata

Il suo aspetto originario non è dissimile a quello di tante altre fontane medioevali della città antica, come quella di Antescolis a fianco di S. Maria Maggiore, la Fontana secca in piazza Mercato delle Scarpe, la fontana del Corno alla Fara e quelle delle vie Porta Dipinta, Osmano, Solata, S. Giacomo, Donizetti, Pignolo, e Vagine, realizzate tutte presumibilmente nel corso del XIII secolo, come si deduce dall’uniformità dell’impianto, volta ad assicurare all’intera città una uguale fornitura d’acqua.

Pianta ricostruttiva della Bergamo medioevale (XIII secolo), secondo la ricostruzione di S. Angelini (1950)

L’evidente finalità di pubblica utilità è leggibile nell’aspetto sobrio ed essenziale, con la parte anteriore aperta al pubblico sormontata da un imponente volta e sul retro una cisterna, alla quale era possibile accedere attraverso uno sportello per i periodici spurghi e per le riparazioni.

Fontana vicinale di via Solata

Dagli statuti cittadini risulta che la manutenzione e la custodia delle fontane era affidata alle vicinie (associazioni di abitanti dello stesso quartiere che si riunivano per tutelare gli interessi comuni), allo stesso modo con cui alle stesse era fatto obbligo di provvedere ai portici, alle pizze e ad altre strutture utilizzate dagli abitanti in ogni singola vicinia; al Comune restava il compito di provvedere al buon funzionamento dell’acquedotto, sia fuori che dentro le mura: una consuetudine che si prolungò fino all’Ottocento.

La Fontana vicinale di S. Agata è citata nello Statuto del 1248 insieme alla Fontes Lux Morum di via Pignolo, e alle fontane del Vagine, del Cornus (via Fara), del Later (via Boccola), dove si ordina alle rispettive vicinie di provvedere alla loro custodia e di osservare la regolamentazione dell’uso delle acque.

La chiesa di S. Agata, documentata dal 908 ma forse presente anche nel secolo antecedente (1) divenne ben presto vicinale. A Bergamo l’organizzazione della città in vicinie è documentata dagli statuti cittadini che ne riferiscono i nomi e ne tracciano i confini a partire dal 1263 (giuntoci nella trascrizione del successivo statuto del 1331). Nel 1251, come risulta nella stesura di un trattato di pace tra Bergamo e Brescia, la città era divisa in diciassette vicinie e la vicinia di S. Agata comprendeva anche quella di Arena, che sarebbe diventata autonoma prima del 1263 mantenendo “intatti i diritti sulla chiesa di S. Agata e sul suo cimitero” (2)

LA BERGAMO ROMANA, MEDIOEVALE E RINASCIMENTALE 

L’intervento di rimozione delle strutture sovrapposte è stato guidato dalle testimonianze storiche sulla Fontana e dalle cognizioni sul sistema delle acque in quest’area della città: se da un lato il suo recupero ci ha privati delle sue preziose acque, dall’altro ha restituito alla cittadinanza un piccolo, ma significativo spaccato che abbraccia duemila anni di storia: oltre all’intero sistema idrico della fontana medioevale, anche i resti di un ambiente domestico d’epoca romana e il trigramma di San Bernardino, risalente al Rinascimento, affrescato sulla volta a botte che copre la Fontana. Il tutto oggi visibile all’interno di un esercizio commerciale, nel cuore antico della città, dove le case romane si impreziosivano di mosaici unici, le donne medievali attingevano alla Fontana e il trigramma celebrava la pace e le speranze all’alba del Rinascimento.

Del medioevale impianto idrico della Fontana di S. Agata sono stati recuperati il bacino di raccolta dell’acqua, il locale cisterna e i resti di una vasca di decantazione, nonché una canaletta di scarico di epoca romana.

Quest’ultimo ritrovamento, stimola ulteriori considerazioni sul perché, secoli dopo, proprio in questo luogo sia stata collocata una fontana: in via Salvecchio 12, durante i lavori di sistemazione di un edificio è tornato alla luce un tratto di acquedotto romano in maiolica, un calcare compatto (3) formato da nove setti in ghiera ad incastro, saldati con malta, ciascuno dei quali riporta la sigla del costruttore e i numeri romani per rispettarne la sequenza. Le caratteristiche della condotta, facente parte di un sistema finale di distribuzione dell’acqua, fanno ritenere che fosse in relazione con un edificio di notevole importanza.

Il tratto di acquedotto romano, risalente alla seconda metà del I secolo d.C. e perfettamente conservato, rinvenuto nel 1985 in un edificio privato di via Salvecchio e ritenuto raro anche in relazione agli insediamenti romani sul territorio lombardo. I setti, lunghi ciascuno 70-80 centimetri e dal diametro interno di 18, sono saldati con malta, mentre la conduttura era protetta da uno strato d’argilla, che ne aumentava l’impermeabilità. L’acquedotto romano era collegato con il con il Saliente di Castagneta, un’antica cisterna di raccolta delle acque (foto da Pino Capellini, “Acqua e acquedotti nella storia di Bergamo”. Ed. Ferruccio Arnoldi, Bergamo, 1990)

Dallo scavo è emerso che lungo lo stesso asse della conduttura idrica romana di via Salvecchio correva sia l’acquedotto medioevale che quello cinquecentesco, ancor oggi quasi interamente conservati (4). Per essere distribuita dentro la città, l’acqua doveva essere fatta passare per quei medesimi livelli che i Romani avevano sicuramente individuato e utilizzato, seguendo quindi un tracciato ben preciso, codificato dalle quote dello stesso abitato (5): nelle vicinanze passava infatti l’acquedotto Magistrale, che nel Medioevo andava ad alimentare 16 fontane, quante erano le vicinie, presentando una diramazione anche lungo la via Salvecchio, in direzione appunto della Fontana di Sant’Agata.

Dal Medioevo e fin verso la fine dell’Ottocento, l’impianto della Fontana di Sant’Agata fu dunque alimentato dall’acquedotto Magistrale: in un disegno del 1806 si individuano due collettori provenienti dal colle di S. Giovanni che si incrociano in via Salvecchio, uno dei quali prosegue nel vicolo S. Agata e l’altro raggiunge sulla destra la cisterna, interrompendosi con due fuoruscite nel vano della Fontana (6).

L’immagine riproduce lo schema di distribuzione delle acque nella città antica desunto da un disegno dell’ing. Elia Fornoni. All’altezza di Colle Aperto, gli acquedotti dei Vasi e di Sudorno confluivano in un’unica condotta, o acquedotto Magistrale, il cui percorso dentro la città seguiva un tracciato ben preciso. Per la distribuzione tra le varie fontane esistevano tre “partitori”, o vasche dalle quali si “dipartivano” dei canali più piccoli. Il primo partitore era situato nell’orto degli Albani, all’estremità nord-ovest della Cittadella. Rami minori portavano l’acqua dentro la Cittadella e al Mercato del Lino; più avanti un canale scendeva per via Salvecchio, tenendosi sul lato sinistro, fino alla fontana di S. Agata, mentre un altro provvedeva ad alimentare il monastero di S. Grata (schema di distribuzione delle acque nella città antica desunto da un disegno dell’ing. Elia Fornoni (fine ‘800) che si conserva presso la Civica Biblioteca di Bergamo – Diramazione degli antichi canali nella città di Bergamo – manoscritti AB-77 -, tratto da “Gli antichi acquedotti di Bergamo”, Nevio Basezzi, Bruno Signorelli. Comune di Bergamo, Assessorato all’urbanistica, 1992

DUE PAROLE SULLA BERGAMO ROMANA

Con la costituzione di Bergamo a municipium civium romanorum nel 49 a.C., si costituisce il centro politico, amministrativo, religioso e residenziale della Bergamo romana, con la creazione della cinta muraria, della rete idrica e fognaria, delle necropoli, dell’area forense, degli edifici da spettacolo, dei monumenti pubblici, delle domus e del sistema viario, che ha lasciato una forte eredità in termini urbanistici, influenzando notevolmente anche le successive fasi di sviluppo.

La Bergamo romana secondo l’ipotesi Angelini (1974)

È proprio all’incrocio tra le due principali arterie ortogonali (decumano massimo e cardine massimo) che è stato localizzato il Foro, cuore pulsante della città, esteso lungo un quadrilatero compreso tra Piazza Vecchia e Piazza Duomo-Ateneo  e via Bartolomeo Colleoni.

L’intersezione tra il decumano maximus (asse via Colleoni – via Gombito) e il cardine maximus (asse via S. Lorenzo-via Mario Lupo), si colloca in prossimità della torre di Gombito, costruita nell’antico punto di incontro tra le due vie romane principali, il cardo e il decumano. Il nome Gombito discende dal latino compitum, perché da quell’incrocio si cominciavano a contare le strade secondarie

La centralità del luogo, rispondeva all’intento di creare effetti monumentali e scenografici, tipici dell’architettura romana di quel periodo (età tardo-repubblicana e di prima età augustea), favoriti dall’essere Bergomum una città d’altura: il suo disegno dovette essere concepito secondo una “prospettiva dinamica”, perché fosse ben visibile dal basso e dall’esterno, facendo in modo che nei luoghi emergenti spiccassero gli edifici più emblematici o monumentali.

La città alta di Bergamo osservata dal torrente Morla nella zona di via Suardi. Sin dall’età romana, il modello canonico di pianificazione regolare dell’impianto urbano, tipico delle aree di pianura, è declinato alle caratteristiche topografiche e morfologiche di Bergamo Alta, che han dato luogo a un impianto caratterizzato da una particolare disposizione dell’abitato su piani inclinati, con isolati di forma irregolare. La “prospettiva dinamica” ne favorisce la visione dal basso e dall’esterno, esaltando nei luoghi emergenti gli edifici più emblematici o monumentali, come quelli oggi affastellati lungo le vie S. Giacomo e Porta Dipinta e sul cocuzzolo le chiese principali della città antica, a formare lo skyline di Bergamo

Sulla piazza circondata da portici, si affacciavano i più importanti edifici della città: i luoghi di culto (templi), la Curia dove si riuniva il Senato, la Basilica dove si celebravano i processi, il Tabularium (archivio), le botteghe, e i gabinetti pubblici.

Ne rintracciamo i resti in alcune domus, come quelle rinvenute sotto la Cattedrale di S. Alessandro, nel Museo degli scavi e del tesoro del Duomo e alla base della Torre del Campanone, dove lungo una grande parete del I secolo d.C., estesa per oltre trenta metri, si sarebbero allineate le tabernae dei commercianti, che segnano la delimitazione del Foro sul lato meridionale: via Colleoni confinava con il lato nord della piazza del foro, delimitata da un portico colonnato, di cui si è rinvenuto un blocco di architrave nel Teatro Sociale.

Porzione meridionale del Foro romano nei locali del Palazzo del Podestà (Hospitium Comunis Pergami), ai piedi della Torre civica (Campanone)

 

Porzione meridionale del Foro romano nei locali del Palazzo del Podestà (Hospitium Comunis Pergami) di Bergamo, ai piedi della Torre civica (Campanone)

È in quest’area nevralgica della città, che dovevano trovarsi anche le abitazioni più significative del tempo: non solo ricche domus provviste di pozzi (7), ma anche importanti edifici monumentali, come testimonia il recente ritrovamento davanti alla settecentesca facciata dell’ex chiesa di Sant’Agata,  al limitare del giardino oggi sede della Cooperativa Città Alta (Circolino): un poderoso muro – lungo una decina di metri e largo sino a un metro e sessanta centimetri – e frammenti di intonaci affrescati con frutti e fogliame dai colori vividi, resti di pavimenti in marmo policromo, tracce di stucchi a rilievo ed elementi decorativi in terracotta che ornavano il tetto dell’edificio: l’ennesima testimoninza dell’importanza rivestita da Bergamo in epoca romana, che rafforza l’ipotesi di un esteso e prospero insediamento urbano, posto nel punto di raccordo tra le montagne e la pianura.

I resti di un imponente edificio pubblico, venuti alla luce nel corso dei lavori di restauro dell’ex monastero di S. Agata, davanti alla facciata della ex chiesa, confinante col giardino. La struttura (muro) indica chiaramente la presenza di un grande ed importante edificio pubblico. scoperta rilevante per la storia della città

Le ragguardevoli dimensioni del muro, posto al centro degli scavi, e i resti degli elementi architettonici e ornamentali rinvenuti, suggeriscono la presenza di un imponente palazzo, affacciato sul decumano massimo – odierna via Colleoni -, nel quale si svolgevano funzioni pubbliche (8).

Fanno da quinta al sito archeologico una fila di sepolture e un muro con archi di epoca medievale: tutto materiale ancora allo studio degli esperti, e che altro racconterà della storia antica di Bergamo

Un altro edificio importante d’epoca romana è attestato dai resti rinvenuti all’interno del ristorante “Da Mimmo”, al civico 17d (9), pertinenti a un tempio oppure a un propileo o ad un ingresso monumentale (10), inseriti, come vedremo, in un contesto di epoca medioevale e rinascimentale.

Nei locali del ristorante “Da Mimmo”, in via Colleoni 17d, si è rinvenuta, a un metro e 70 dal piano stradale, una base attica di colonna in maiolica, inquadrabile nel II sec. d.C. La base poggiava su un parallelepipedo di pietre spesso 30 cm pertinente a una struttura d’età imperiale che si estendeva per circa 7 metri (ma probabilmente anche oltre) sotto le case che costeggiano la via. Si tratta probabilmente di quanto resta di un edificio di grande importanza, dato che le relative colonne dovevano avere un’altezza di 8 o 9 metri: probabilmente un tempio, oppure poteva far parte di una costruzione aperta come un propileo o un ingresso monumentale

La strada doveva essere lastricata, come dimostrano i tratti rinvenuti in via Colleoni/angolo via Salvecchio (11) e quello, notevole, formato da lastre in pietra arenaria delle cave di Castagneta, rinvenuto presso le case Pesenti,  dove già si erano rinvenuti preziosissimi cimeli e resti architettonici d’epoca romana (12), tornati alla luce nel corso dei lavori di demolizione di un vecchio edificio, abbattuto per dar aria e luce all’abitazione dei Secco Suardo: frammenti di un arco di marmo ed un frontone, chiari indizi di un edificio importante, una ben conservata aquila di bronzo, l’insegna della legione romana (13), e una tavola bronzea con iscrizione, che rappresenta un decreto onorario per M. Sempronius Fuscus, prefetto della coorte Betica (14).

In via Colleoni, dove oggi sorge il giardino di casa Tresoldi, nel 1871 sono tornate in luce  parecchie monete, una delle quali portante l’effigie di Trajano; i cocci di una grande anfora, alcuni tratti di un pavimento a mosaico e qualche grossa scaglia di marmo ornato di fregi (14). Inoltre, un’aquila di bronzo (metà del I secolo d.C./fine del II secolo d.C. ), che, con le ali spiegate, stringe tra gli artigli un globo e molti frammenti di una sottile tavola di bronzo rettangolare, fittamente incisa a caratteri alfabetici, rappresentante un decreto onorario per M. Sempronius Fuscus, prefetto della coorte Betica, disposto sotto la magistratura dei duoviri di una colonia non identificabile. Il personaggio in questione, evidentemente di rango equestre, si rese meritevole di questo onore per la moderazione nello svolgimento delle funzioni militari e per la liberalità nell’assolvere i debiti della colonia, alla pari di un concittadino. I duoviri esprimono la speranza che il successore sia simile a lui e intendono inviare due legati dell’ordine senatorio all’imperatore per rendere nota la sua ottima condotta e raccomandarlo. Per la datazione della tavoletta, l’ipotesi più accreditata la fa risalire al II secolo d.C., dall’età di Adriano in poi (15)

 

La tavola di bronzo rinvenuta nel 1871  nella gola di un pozzo, in corrispondenza dell’attuale giardino di casa Tresoldi, in via Colleoni

IL MOSAICO D’EPOCA ROMANA NEL SITO DELLA FONTANA DI S. AGATA

Ed e qui, a pochi passi dal centro della vita pubblica di Bergomum, che si trova ciò che resta di un ambiente domestico, rinvenuto al di sotto della Fontana di S. Agata. Si tratta di un pavimento a mosaico di grande superficie (mt. 2,30×2,40), realizzato con piccoli motivi cruciformi bianchi e tessere nere al centro e il cui motivo decorativo è attestato tra il I sec a.C. e il Il secolo d.C., collocandosi proprio nel periodo di consolidamento e strutturazione della città e delle istituzioni romane. Anche questo mosaico rappresenta un’ulteriore importante scoperta, costituendo un piccolo ma significativo tassello che arricchisce il quadro della Bergamo romana.

Fontana di S. Agata – Interno

 

Il pavimento a mosaico d’epoca romana rinvenuto nei locali della Fontana di S. Agata. Grazie ritrovamenti archeologici, sappiamo che in quest’area la strada era lastricata ed era posta a quota -1,80 m. rispetto all’attuale Corsarola

DALL’ALTOMEDIOEVO AL MEDIOEVO: VERSO LA NASCITA DELLE FONTANE VICINALI

Con la caduta dell’Impero Romano, a Bergamo come in altre città, ci furono mutamenti radicali nella ripartizione degli spazi urbani, nella destinazione e nella struttura degli edifici: già dalla fine del IV e soprattutto nel corso del V secolo, alcuni edifici della porzione centrale della città vennero abbandonati e, nel secolo successivo, spoliati allo scopo di recuperare materiali utili per nuove fabbriche.

Il complesso forense, edificato tra l’età tardo repubblicana e la prima età augustea, rimase in uso anche tra il II e il IV secolo d.C., con qualche modifica e ristrutturazione, ma alla fine del IV secolo fu abbandonato e subì opere di spoliazione di materiali edili da reimpiegare in nuove costruzioni. Nell’insula poco più ad est del foro, occupata da ricche domus, fu eretta nel V secolo una maestosa cattedrale a tre navate, con colonnati e pavimenti a mosaico, i cui resti sono oggi visibili al di sotto della cattedrale di Sant’Alessandro. La scelta del luogo è indicativa delle importanti trasformazioni religiose e civili avvenute in Bergamo e si pone come l’elemento maggiormente innovativo, sia urbanisticamente che socialmente. In questo settore si edificherà anche il complesso episcopale. Ulteriori mutamenti avverranno tra la tarda antichità e l’Altomedioevo.

Nell’area sottostante la Cattedrale di S. Alessandro, a seguito del disuso e dell’abbandono di domus di età romana che costituivano un complesso residenziale molto vicino al foro, viene fondata nel V secolo l’ecclesia della città, una basilica di grandi proporzioni, a tre navate, in cui sono riutilizzate basi di colonne romane, forse provenienti dal foro. Questo edificio rimane in uso fino alla realizzazione del grande complesso episcopale, che, tra la fine dell’XI e gli inizi del XII, sul medesimo luogo, porterà alla edificazione di una Cattedrale. D’altro lato, nell’area dell’Hospitium Comunis Pergami, in età altomedioevale l’area è divenuta luogo di sepoltura finché la ripresa dell’attività edilizia, diverrà assai più consistente tra XI e XIV secolo. Ed è in questo periodo che viene edificata la Torre Civica,  già attestata nel 1197

Nell’area sottostante la Cattedrale di S. Alessandro, a seguito del disuso e dell’abbandono di domus di età romana che costituivano un complesso residenziale molto vicino al foro, viene fondata nel V secolo l’ecclesia della città, una basilica di grandi proporzioni, a tre navate, in cui sono riutilizzate basi di colonne romane, forse provenienti dal foro. Questo edificio rimane in uso fino alla realizzazione del grande complesso episcopale che, tra la fine dell’XI e gli inizi del XII, sul medesimo luogo, porterà alla edificazione di una Cattedrale. D’altro lato, nell’area dell’Hospitium Comunis Pergami, in età altomedioevale l’area è divenuta luogo di sepoltura finché la ripresa dell’attività edilizia, diverrà assai più consistente tra XI e XIV secolo. In questo periodo viene edificata la Torre Civica, già attestata nel 1197.

Fontana di S. Agata – Foto Giuseppe Preianò

 

Fontana di S. Agata – Foto Giuseppe Preianò

 

Fontana di S. Agata – Foto Giuseppe Preianò

Nell’Altomedioevo, nei pressi della futura Fontana sorgeva, presso l’antica cinta muraria romana (ampliata all’inizio del X secolo), la chiesa di S. Agata, citata già nel 908 ma forse presente anche nel secolo antecedente: sappiamo che nel XII sec. la chiesa e il convento di S. Agata erano presieduti dall’ordine religioso degli Umiliati, dedito alla lavorazione e alla follatura della lana, per la quale era necessaria la vicinanza a un corso d’acqua o a una sorgente molto ricca di calcare, elemento indispensabile per l’infeltrimento (quindi la compattezza) del tessuto.

Il ristoro “Circolino” occupa la ex chiesa di S. Agata (l’ala sud del complesso monastico), uno spazio in origine a navata unica, chiuso a est da un presbiterio con abside semicircolare (oggi corrispondente alla cucina) e coperto da una volta a botte suddivisa in tre campate. L’antica navata corre parallela al bancone del locale

All’inizio del secondo millennio il governo cittadino avverte chiaramente la complementarietà della zona pianeggiante posta ai piedi del mons civitatis e l’esigenza di assorbirla, quale presupposto indispensabile del suo sviluppo: mentre la città sul colle si infittisce di torri, si articolano i borghi e si segna il territorio suburbano col tracciato di canali artificiali destinati ad incrementare le attività artigianali e gli insediamenti produttivi del Comune. Nel contempo, il vasto suburbio della città è oggetto di un preciso piano difensivo volto a creare un sistema fortificato costituito da porte-torri (come la stongarda di Longuelo), torri isolate e veri e propri castelli.

All’interno di questo sistema vi era anche il castello dell’Allegrezza nella valletta di Astino, disposto a formare con altre tre torri poste nei pressi un quadrilatero. Il castello dovrebbe corrispondere a quel castrum de Lungullo, posto tra il castello di Mozzo e Astino, che viene indicato per la prima volta nello statuto del 1353 come proprietà di Alberto Suardi e anteriormente dei La Crotta: un presidio fortificato inserito nel sistema difensivo del suburbio (Ph Claudia Roffeni)

All’interno delle mura, Bergamo si arricchisce di edifici, spazi commerciali, strutture di servizio per raccogliere e distribuire l’acqua. E’ a questo periodo, il XIII secolo, che risale la Fontana di Sant’Agata, sorta con la suddivisione della città in vicinie (quella di S. Agata è citata nello statuto del 1248), quando ogni quartiere viene dotato di fontane che svolgeranno un ruolo importante nella vita quotidiana della Bergamo medioevale.

Fontana di S. Agata – Vano cisterna.

 

Fontana di S. Agata – Vano cisterna. Sulla sinistra compare l’incisione del Sole delle Alpi, simbolo di età longobarda

Provvista di un vano aperto al pubblico e protetta da un arco a tutto sesto con retrostante cisterna, la fontana di S. Agata era situata a un livello inferiore rispetto al piano della strada, raggiungibile da una breve scalinata; le coperture dovevano essere sfalsate e a due falde ed era probabilmente isolata, cioè non inglobata in nessun edificio, come quella che appare ancor oggi in via Porta Dipinta, presso la chiesa del Pozzo Bianco.

Come la Fontana di via Porta Dipinta, presso la chiesa del Pozzo Bianco, anche la primitiva Fontana di S. Agata  era probabilmente isolata

Con il sorgere del Comune numerose torri si elevarono sul colle all’interno delle mura. Esse appartenevano ai feudatari inurbati che per affrancarsi dal regime feudale, sentivano il bisogno di porre la loro residenza turrita in città, dove volevano inserirsi nella vita sociale del Comune, sia pure con spiegabili pretese di egemonia militaresca. Costoro spesso mantenevano le proprietà fondiarie nella campagna e la loro torre urbana sottolineava la persistente autonomia e isolamento all’interno della cinta muraria (16).

Le torri, erette prevalentemente all’inizio del periodo comunale come segno di potenza e di distinzione, divennero gli strumenti principali di difesa e offesa solo sul finire del XII secolo, quando, cessata la minaccia del Barbarossa, che era stata motivo di concordia interna, con il subentro del regime podestarile si scatenarono le violente lotte civili. Le torri evidenziavano nel paesaggio urbano i vari nuclei di potere, divisi anche a Bergamo tra Guelfi e Ghibellini, capeggiati i primi dai Rivola, i secondi dai Suardi, che avevano residenze fortificate nelle vicinie di S. Agata, di S. Matteo e di S. Pancrazio. Una torre dei Suardi dominava la zona centrale e più importante della città, e proprio per questa sua posizione baricentrica dovette essere ceduta nel XIII secolo al Comune e diventò espressione stessa del regime comunale. A differenza delle altre torri, molte delle quali vennero mozzate o mutarono proprietario, la torre civica si elevò ulteriormente, aprendosi a loggia per accogliere le campane del Comune (AA.VV., “Le Mura di Bergamo”. Azienda Autonoma del Turismo di Bergamo. 1977)

Nel corso del XIII secolo la Fontana di S. Agata venne inglobata in un’ampia costruzione che comprendeva probabilmente anche una TORRE ritenuta dei Suardi, impostata proprio sulle strutture della Fontana e ancora riconoscibile osservando la struttura muraria su vicolo S. Agata (17). A pochi passi,  la vicina chiesa di S. Agata era presieduta dai frati Militi Gaudenti, incaricati di garantire la pace fra le fazioni cittadine.

La fontana posta al piede della torre dei Suardi (parzialmente conservata). Le fronti sul vicolo delle Carceri hanno aperture di diverso tipo, con tracce di antiche aperture ora murate (18) – (AA.VV., “Le Mura di Bergamo”, cit.)

Il nuovo edificio avanzò di circa due bracci verso l’attuale via Colleoni, coprendo la scalinata di accesso della Fontana. Nel frattempo il livello stradale si era notevolmente alzato per la rimanenza il loco di macerie provenienti da demolizioni di costruzioni, che al tempo, date le estreme difficoltà di trasporto, rimanevano sul posto (19). Ciò rendeva il prelievo dell’acqua molto più scomodo.

Apprendiamo che l’edificio sovrastante la fontana, intorno al 1263 doveva ospitare la “Canova” ossia il magazzino comunale del sale. La “Canova” mutò sede nel corso dei secoli, e si suppone che la vicina via Salvecchio possa aver preso il nome da un precedente vecchio deposito.

L’edificio all’angolo tra via Colleoni e vicolo S. Agata (civico 13 di via Colleoni) dovette essere, nel XIII secolo, un deposito del sale, ingrediente preziosissimo allora utilizzato anche per la conservazione degli alimenti e da sempre soggetto a monopolio governativo. Il compito di ripartire la gabella sul sale era demandato alle vicinie. Si legge in un articolo on line redatto da Andreina Franco Loiri Locatelli per Bergamosera (non più reperibile) che il Comune dava in cessione la riscossione del dazio ad una compagnia di appaltatori verso i quali le singole vicinie risultavano solidalmente responsabili. Ogni vicinia, ricevuta la quantità di sale che ad essa spettava e che veniva conservata in uno “stacium” attrezzato, la ripartiva fra le famiglie “in una ragione composta dei loro averi e dei membri che le componevano”. Ma a partire dall’inizio del Trecento l’acquisto del sale, a Bergamo come in molte altre città, divenne un obbligo. Anzi alla tassa sul “sale vivo”, cioè effettivamente acquistato, si aggiunse quella sul “sale morto”, non distribuito. Si trattava di una tassa aggiuntiva il cui importo era determinato dalla quantità di “sale vivo” assegnato a ciascuna famiglia. E al “sale morto” si fece ricorso con sempre maggiore frequenza in occasione di impreviste spese di guerra

Da quanto rimane delle attrezzature idrauliche si può ipotizzare che l’acqua proveniente dalla conduttura di via Salvecchio raggiungesse la cisterna per poi diramarsi nei caseggiati circostanti, tra cui troviamo la Casazza (in origine dei Suardi, oggi ristorante “Da Mimmo” e risalente alla prima fase del Trecento/1357), il Luogo Pio Colleoni (voluto da Bartolomeo Colleoni nel 1466, sorto nelle case un tempo appartenenti a Baldo e Giovanni Suardi) e il convento di S. Agata (iniziato a costruire nella prima metà XVIII secolo, ma preceduto, dalla prima metà del XIV secolo, da alcune domus ecclesiae S. Agathae collocate a ridosso dell’abside). Dal serbatoio l’acqua, attraverso un bocchello entrava nel vano della fontana pubblica da dove poteva essere prelevata (20).

La Casazza, dimora fortificata, in parte in conci squadrati di pietra arenaria di Sarnico, oggi occupata dai locali de ristorante “Da Mimmo”, presenta al piano terra una lapide che riporta la descrizione utilizzata nel tardo Medioevo per descrivere l’edificio: “QUESTO EDIFICIO DETTO ‘LA CASAZZA’/COSTRUITO DA BALDINO SUARDI NEL 1357/RITENUTO ALLORA IL PIU’ FASTOSO/PALAZZO PRIVATO DELLA CITTA’/FU SEDE DEL SERVIZIO POSTALE VENETO/ACA 1951”. Secondo un recente articolo pare invece che l’edificio risalga alla prima fase del Trecento, quando il ghibellino Baldino Suardi decise di acquistarlo e renderlo dimora del proprio casato, ubicato in posizione strategica nei pressi della Cittadella voluta da Bernabò Visconti, con il quale Baldino si era imparentato tramite il matrimonio fra i rispettivi figli. Con l’avvento della Repubblica di Venezia, la casata fu costretta a cedere lo stabile ai Veneziani, che decisero di destinarlo al deposito del sale e al servizio postale della Serenissima. La Casazza fu nuovamente acquistata dai Suardi prima nel 1509 e poi nel 1598 prima di cederla definitivamente nei decenni successivi ai Benaglio. Le aperture architravate del pianterreno conservano l’aspetto tipico delle botteghe medioevali

IL RINASCIMENTO E IL TRIGRAMMA DI SAN BERNARDINO SULLA VOLTA A BOTTE CHE SOVRASTA LA FONTANA

Sulla volta a botte che copre la fontana è venuto alla luce un antico affresco con il trigramma di San Bernardino, databile tra il XV ed il XVI secolo. diffuso da San Bernardino da Siena dopo la sua venuta a Bergamo tra il 1411 e il 1419 per predicare la concordia tra i Guelfi ed i Ghibellini della città: è il simbolo legato alla presenza del santo a Bergamo, in cui realizzò un nuovo convento francescano dove ora sorge la chiesa di Santa Maria delle Grazie a Porta Nuova.

Il trigramma è iscritto in un sole raggiato giallo oro su campo bianco stellato, databile tra il XV e il XVI secolo. La sigla IHS (in greco IHZ) indica per alcuni il nome IHZOYZ (cioè “lesous’: Gesù); per altri il motto costantiniano “ln Hoc Signo (Vinces), “Con questo segno vincerai”.

Il trigramma fu ideato e disegnato da San Bernardino stesso (considerato non a caso patrono dei pubblicitari), che diede ad ogni elemento del simbolo un significato: il sole centrale è chiara allusione a Cristo che dà la vita e suggerisce l’idea dell’irradiarsi della Carità. I dodici raggi serpeggianti sono i dodici Apostoli; gli otto raggi diretti rappresentano le beatitudini; la fascia che circonda il sole rappresenta la felicità infinita dei beati, il celeste dello sfondo è simbolo della fede; l’oro dell’amore.

Il trigramma di S. Bernardino da Siena affrescato sulla volta a botte che copre la fontana ed iscritto in un sole raggiato giallo oro su campo bianco stellato. La sigla IHS indica le prime tre lettere del nome “Iesous” (Gesù). le lettere H e S erano rispettivamente una eta e una sigma dell’alfabeto greco; ma si sono date anche altre spiegazioni, come l’abbreviazione di “In Hoc Signo (vinces)”, il motto costantiniano, [“in questo segno vincerai”] oppure Iesus Hominum Salvator [“Gesù salvatore degli uomini”]. Il significato mistico dei raggi serpeggianti era espresso in una litania: rifugio dei penitenti; vessillo dei combattenti; rimedio degli infermi; conforto dei sofferenti; onore dei credenti; gioia dei predicanti; merito degli operanti; aiuto dei deficienti; sospiro dei meditanti; suffragio degli oranti; gusto dei contemplanti; gloria dei trionfanti
Il Rinascimento fu per Bergamo un’epoca di profondi cambiamenti. La città doveva essere meglio difesa, essere un valido bastione verso Milano e tenere aperti i valichi preziosi verso i Grigioni e il centro Europa. Pur tenendo attive alcune parti della cinta muraria medievale, furono costruiti nuovi bastioni e nuove piattaforme ed infine l’intero impianto fu rivisto e ridisegnato.

All’interno delle mura, intanto, avvenivano analoghi mutamenti nelle costruzioni, negli stili, nel modo di vivere. Se da una parte infatti una parte della popolazione fu costretta a reinsediarsi nella citta bassa a causa delle demolizioni operate per la costruzione delle Mura e dei controlli che danneggiavano i mercanti non particolarmente ricchi, un’altra porzione di popolazione risalì il colle alla ricerca di un alloggio all’interno del fitto tessuto di case, perlopiù medioevali, costituite da uno o due piani, oltre al piano terra occupato da botteghe o laboratori e con le aree libere interne agli isolati.

Condizionati dall’anello delle Mura e costretti a cercare spazio, gli edifici vennero innalzati con sopralzi di uno o due piani, superandosi l’uno sull’altro alla ricerca di luce e di sole. Venne poi costruita una seconda linea di case, interna al fronte affacciato su strada, inserendo nella fascia intermedia diversi corpi trasversali intervallati da cortili. Ad infittirsi fu soprattutto l’asse principale della città che corre lungo le attuali vie Gombito e Colleoni.

Fontana di S. Agata – Foto Giuseppe Preianò

LA FONTANA TRA SETTE E OTTOCENTO

Sappiamo che la torre dei Suardi, posta a fianco della fontana, fu inglobata in un edificio del XVIII secolo (21), inserita cioè nel palazzo Secco Suardo, tra le famiglie della nobiltà bergamasca che potevano vantare origini più antiche: uno dei rami, insieme a quello dei Suardi e dei Suardo, provenienti da un unico ceppo risalente al XIII secolo, precisamente da un Lanfranco del secolo XIII. “I vari rami del casato hanno legato il loro nome a quattro edifici, in Bergamo: l’antica “Domus Suardorim” di Piazza Vecchia, sede del Podestà dopo il 1216; quello successivamente passato alla Funicolare, quello dei Secco Suardo in via S. Salvatore, 7; infine quello di via Pignolo” (22).

L’edificio Tresoldi risale al XIII secolo (torre) con trasformazioni nel Settecento e nell’Ottocento e restauri parziali nel 1941. Al primo piano volte a padiglione con affreschi, al pt locali con volte a botte e a crociera (23 ) Nell’inventario dei beni culturali il palazzo è indicato al civico 13-13A-B-C-D (Foto Giuseppe Preianò)

In effetti, nel 1758 l’area in cui sorge la fontana risulta di proprietà Secchi-Suardi (24), che da queste parti dovevano possederne altre, in quanto già nel 1686, di fronte al palazzo esisteva un vero e proprio teatro privato di estrazione nobiliare, costruito su iniziativa del conte Giuseppe Secco Suardo, nel suo palazzo sito in contrada di Sant’Agata (25).

Nelle adiacenze della Fontana, vi era inoltre un pons Suardorum, che compare ancora nella mappa catastale del 1811, ma che viene demolito nel 1825 (26).

Ad ogni modo, nella mappa catastale del 1876 (che mostra i mappali del teatro secentesco) l’edificio oltre il vicolo con n. di mappa 410 risulta in proprietà alla Partita 3814 dei fratelli Scotti nobile Giovanni e sacerdote Carlo. L’ edificio che occupava l’area dell’attuale giardino Tresoldi risultava in proprietà dei fratelli Conti Secco Suardo Bartolomeo e Giulio (27).

Palazzo Secco Suardo (413, 415) nella mappa castastale di Bergamo (1876). Il teatro Secco Suardo, un un vero e proprio teatro privato di estrazione nobiliare, fu costruito nella seconda metà del 1686 (attivo fino al 1695) su iniziativa del conte Giuseppe Secco Suardo, nel suo palazzo sito in contrada di Sant’Agata (ASBg, Catasto lombardo veneto, mappe) – (da Francesca Fantappiè, «Per teatri non è Bergamo sito». La società bergamasca e l’organizzazione dei teatri pubblici tra ’600 e ’700. Copyright © 2010 by Fondazione per la Storia Economica e Sociale di Bergamo)

L’accesso alla fontana fu possibile fino all’Ottocento, quando ancora il prelievo avveniva in sottoquota, ma a causa delle continue lamentele dei residenti, per agevolare il prelievo dell’acqua nel 1884 (28) il fronte venne chiuso da un muro di tamponamento e il punto di prelievo spostato in avanti ed innalzato al livello della via, grazie all’installazione di una pompa meccanica ad azionamento manuale; nel contempo il collegamento dei due vani ne raddoppiò la capacità (29): si poterono così evitare “tutti gli otto o dieci gradini che prima bisognava fare per attingere l’acqua e che costituivano un pericolo grave” (30).

Un articolo de L’Eco di Bergamo informa che sopra la fontana vi era un vecchio tabernacolo consacrato alla Madonna Addolorata, che dietro insistenza degli abitanti venne ricollocato al suo posto alla fine dei lavori. Grazie a una raccolta di fondi intrapresa da un gruppo di operai, il vecchio quadro della Madonna fu fatto pulire, ornato di una nuova cornice e collocato “in una nicchia difesa da un forte graticcio di ferro e adorna di un bel lanternino” (31).

Intorno al 1928 fa la fontana era stata risistemata dagli ing. Luigi Angelini e Cesare Selvelli e sul muro di fondo (32), tra l’arco e la volta vi era un bassorilievo in ceramica colorata di tipo robbiano rappresentante l’Annunciazione (33).

Fontana di S. Agata – Foto Giuseppe Preianò

L’impianto della Fontana di Sant’Agata fu alimentato dall’acquedotto Magistrale fin verso la fine dell’Ottocento e nel 1889 entrò in funzione un nuovo acquedotto municipale, con l’acqua che veniva pompata dal serbatoio di S. Agostino a quello sul colle del Seminario, mentre una condotta per i colli entrò in esercizio nel 1892 (34).

Nel 1920 la Fontana fu restaurata da Ciro Caversazzi che, probabilmente, fece collocare il mascherone da cui sgorga l’acqua (35). Dopo questa data, in un periodo imprecisato l’immobile risulta di proprietà Donadoni, per essere acquistato dalla Famiglia Tresoldi nel 1953 (36).

Negli ultimi anni i due vani collegati erano stati utilizzati come cisterna per la nafta al servizio dell’impianto per la panificazione e solo con la metanizzazione i vani erano stati liberati e utilizzati a ripostiglio (37), fino all’intervento di recupero promosso dalla proprietà dello stabile effettuato nel 2009, che, come detto, ha riportato alla luce, oltre all’intero sistema idrico medioevale – con il suo bacino di raccolta dell’acqua, il locale dove attingerla e i resti di una vasca di decantazione -, anche un affresco d’epoca rinascimentale sulla volta della fontana e i resti di un ambiente domestico d’epoca romana, con annessa canaletta di scarico: un tassello piccolo ma prezioso nel quale si concentrano due millenni di storia di Bergamo.

Come beffardo contrappasso al posto della fontana era sorta un’enoteca, in seguito sostituita da un altro esercizio commerciale.

Note

(1) A. Mazzi, “Alcune indicazioni per servire…” pag. 20. La chiesa di S. Agata fu presieduta dapprima dall’ordine religioso degli Umiliati, poi dai frati Militi Gaudenti, incaricati di garantire la pace fra le fazioni cittadine e, a partire dal 1357, dai Padri Carmelitani, che la ampliarono nel 1450. Insieme alla sua consacrazione nel 1489, il Vescovo Lorenzo Gabrieli ne ufficializzò l’investitura parrocchiale, considerato che la vicinia contava ormai un congruo numero di abitanti. Per le vicende degli Umiliati, si veda: Maria Teresa Brolis, “Gli Umiliati a Bergamo nei secoli XIII e XIV”. Casa editrice: Vita e Pensiero, 1991.

(2) Fornoni 1905, p.70.

(3) Stefania Casini, Maria Fortunati (a cura di), “Bergomum. Un colle che divenne città”. Catalogo della mostra (Bergamo, 16 febbraio-19 maggio 2019). Lubrina Bramani Editore, 2019.

(4) Raffaella Poggiani Keller, Maria Fortunati Zuccàla, Il caso di Bergamo. In “La Città nell’Italia settentrionale in età romana. Morfologia, strutture e funzionamento dei centri urbani delle Regiones X e XI”. Atti del convegno di Trieste (13-15 marzo 1987).

(5) Pino Capellini, “Acqua e acquedotti nella storia di Bergamo”. Ed. Ferruccio Arnoldi, Bergamo, 1990.

(6) Il documento in questione è una copia in scala 1/2 del disegno topografico delle acque sotterranee nell’interno della Città di Bergamo dell’ing. Andrea P. Respino redatta dall’ Arch. Carlo Capitanio e risalente al 1806 (copia visibile presso il restauratore Leonida Stefanoni di Bergamo). A quella data il Fontanaro risultava certo Bortolo Beretta. Dal disegno si evince che a quella data il vano della Fontana era ancora perfettamente agibile e funzionante, essendo individuabili due collettori provenienti dal Colle S. Giovanni che si incrociano in via Salvecchio, di cui uno prosegue nel vicolo S. Agata e l’altro raggiunge sulla destra la cisterna, interrompendosi con due fuoruscite nel vano della Fontana. Il numero dell’ utenza risulta il 234 (Francesco Gilardi Architetto, Eugenio Bonomi Architetto, Fontana di Sant’Agata. Bergamo 1995).

(7) In via Colleoni si sono ritrovati una domus al civico 30, un pozzo (i pozzi erano generalmente collegati a cisterne) e resti di struttura (Raffaella Poggiani Keller, Gian Pietro Brogiolo, “Bergamo: dalle origini all’alto Medioevo: documenti per un’archeologia urbana. Catalogo della Mostra tenuta a Bergamo nel 1986. Comune di Bergamo, Assessorato alla cultura, Civico museo archeologico. Giampietro Brogiolo. Panini, Modena, 1986).

(8) L’Eco di Bergamo, sabato 20 Aprile 2024, “Sant’Agata svela la Bergamo romana”.

(9) Il numero civico è precisato in Stefania Casini, Maria Fortunati (a cura di), “Bergomum. Un colle che divenne città” (op. cit.), che indica per i n. civici 23-24 un’altra base di colonna.

(10) Notizia rintracciata in Raffaella Poggiani Keller, Gian Pietro Brogiolo, “Bergamo: dalle origini all’alto Medioevo: documenti per un’archeologia urbana”, op. cit. e nell’Inventario dei Beni Culturali, Ambientali e Archeologici del Comune di Bergamo.

(11) Stefania Casini, Maria Fortunati (a cura di), “Bergomum. Un colle che divenne città” (op. cit.).

(12) Raffaella Poggiani Keller, Gian Pietro Brogiolo, “Bergamo: dalle origini all’alto Medioevo: documenti per un’archeologia urbana”, op. cit.

(13) In via Colleoni, in corrispondenza del civico 69, c’era una vecchia casupola un tempo appartenuta a Bartolomeo Colleoni e da questi donata nel 1468 al Luogo Pio della Pietà, acquistata dal conte Alessandro Secco Suardo e da questi demolita nel 1871 per dar aria e luce all’attigua abitazione. Durante la demolizione, fu trovata in un pozzo una tavola bronzea con iscrizione, insieme ad oggetti fittili e di metallo, tra cui monete imperiali, un’aquila di bronzo che, con le ali spiegate, stringe tra gli artigli un globo: nell’Ottocento, nella bergamasca se ne trovò una simile anche a Cicola sul colle Roccoli e da confronti effettuati, potrebbe risalire a un periodo compreso tra la metà del I secolo d.C. e la fine del II secolo d.C. (Raffaella Poggiani Keller, Gian Pietro Brogiolo, “Bergamo: dalle origini all’alto Medioevo: documenti per un’archeologia urbana”, op. cit.).

(14) Le condizioni del rinvenimento sono descritte da Paolo Vimercati Sozzi nel manoscritto dal titolo Raccolta di iscrizioni di vari tempi e luoghi della città e provincia. In: Raffaella Poggiani Keller, Gian Pietro Brogiolo, “Bergamo: dalle origini all’alto Medioevo: documenti per un’archeologia urbana”, op. cit.

(15) Raffaella Poggiani Keller, Gian Pietro Brogiolo, “Bergamo: dalle origini all’alto Medioevo: documenti per un’archeologia urbana”, op. cit.

(16)  AA.VV. “Le mura di Bergamo”. Azienda Autonoma del Turismo di Bergamo. Anno 1977.

(17) Francesco Gilardi Architetto, Eugenio Bonomi Architetto, Fontana di Sant’Agata, op. cit.

(18) Inventario dei Beni Culturali, Ambientali e Archeologici del Comune di Bergamo.

(19) Francesco Gilardi Architetto, Eugenio Bonomi Architetto, Fontana di Sant’Agata, op. cit.

(20) Francesco Gilardi Architetto, Eugenio Bonomi Architetto, Fontana di Sant’Agata, op. cit.

(21) Arnaldo Gualandris, La città Dipinta – Affreschi, Dipinti murali, Insegne di Bergamo Alta.  U.C.A.I., 2008.

(22) Bascapè Giacomo C., Perogalli Carlo (a cura di), “Palazzi privati di Lombardia”. Milano, Electa Editrice per Banco Ambrosiano, 1964. Altrove si legge che nel 1517 ebbe origine il casato dei Secco Suardo, a partire da Maria Secco Suardo, figlia di Socino Secco e data in sposa a Lodovico Suardi. Il doppio cognome era dovuto a questioni di eredità che Socino Secco lasciò, a patto che il suo cognome fosse tramandato in aggiunta a quello del genero (Andreina Franco Loiri Locatelli, La casa della Misericordia, La Rivista di Bergamo, p. 81). Di questo casato si ricordano Giovanni noto restauratore, e Paolina Secco Suardo, meglio conosciuta con lo pseudonimo di Lesbia Cidonia nei suoi componimenti risalenti al XVIII secolo.

(23) Bascapè Giacomo C., Perogalli Carlo (a cura di), “Palazzi privati di Lombardia”, op. cit.

(24) Nel 1758, “nell’Inventario dei Beni della Città dell’agrimensore Gio. Tomaso Botelli non risulta alcuna proprietà pubblica della Fontana, ma, se si riferisce alla zona il cabreo di pagina 10, di 11 botteghe e abitazioni nelle adiacenze, mentre l’area della Fontana sarebbe indicata di proprietà Secchi-Suardi” (Francesco Gilardi Architetto, Eugenio Bonomi Architetto, Fontana di Sant’Agata, op. cit.).

(25) Francesca Fantappiè, “Per teatri non è Bergamo sito”. La società bergamasca e l’organizzazione dei teatri pubblici tra ’600 e ’700. Fondazione per la Storia Economica e Sociale di Bergamo.

(26) Nella mappa catastale del 1811 “la Fontana è individuata nella sua estensione e compare ancora il Pons Suardorum nelle adiacenze”, demolito nel 1825 (Francesco Gilardi Architetto, Eugenio Bonomi Architetto, Fontana di Sant’Agata, op. cit.).

(27) Francesco Gilardi Architetto, Eugenio Bonomi Architetto, Fontana di Sant’Agata, op. cit., dove si aggiunge che l’ingombro della Fontana non compare.

(28) Arnaldo Gualandris, “La città Dipinta – Affreschi, Dipinti murali, Insegne di Bergamo Alta”, op. cit., che trae la notizia da un articolo de L’Eco di Bergamo datato 22 febbraio 1884.

(29) Francesco Gilardi Architetto, Eugenio Bonomi Architetto, Fontana di Sant’Agata, op. cit.

(30) Arnaldo Gualandris, “La città Dipinta – Affreschi, Dipinti murali, Insegne di Bergamo Alta”, op. cit., che trae la notizia da un articolo de L’Eco di Bergamo datato 22 febbraio 1884.

(31) Arnaldo Gualandris, “La città Dipinta – Affreschi, Dipinti murali, Insegne di Bergamo Alta”, op. cit., che trae la notizia da un articolo de L’Eco di Bergamo datato 22 febbraio 1884.

(32) Arnaldo Gualandris, “La città Dipinta – Affreschi, Dipinti murali, Insegne di Bergamo Alta”, op. cit.

(33) Inventario dei Beni Culturali, Ambientali e Archeologici del Comune di Bergamo.

(34) Nevio Besezzi, Bruno Signorelli, “Gli antichi acquedotti di Bergamo”. Stamperia Stefanoni, Bergamo, 1992.

(35) Francesco Gilardi Architetto, Eugenio Bonomi Architetto, Fontana di Sant’Agata, op. cit., dove si precisa che la notizia non è accertata.

(36) Francesco Gilardi Architetto, Eugenio Bonomi Architetto, Fontana di Sant’Agata, op. cit.

(37) Francesco Gilardi Architetto, Eugenio Bonomi Architetto, Fontana di Sant’Agata, op. cit.

Riferimenti

Francesco Gilardi Architetto, Eugenio Bonomi Architetto, Fontana di Sant’Agata. Bergamo 1995.

Raffaella Poggiani Keller, Maria Fortunati Zuccàla, Il caso di Bergamo. In “La Città nell’Italia settentrionale in étà romana. Morfologia, strutture e funzionamento dei centri urbani delle Regiones X e XI”. Atti del convegno di Trieste (13-15 marzo 1987).

Pino Capellini, “Acqua e acquedotti nella storia di Bergamo”. Ed. Ferruccio Arnoldi, Bergamo, 1990.

Stefania Casini, Maria Fortunati (a cura di), “Bergomum. Un colle che divenne città”. Catalogo della mostra (Bergamo, 16 febbraio-19 maggio 2019). Lubrina Bramani Editore, 2019.

Nevio Besezzi, Bruno Signorelli, “Gli antichi acquedotti di Bergamo”. Stamperia Stefanoni, Bergamo, 1992.

Arnaldo Gualandris, La città Dipinta – Affreschi, Dipinti murali, Insegne di Bergamo Alta.  U.C.A.I., 2008.

L’Eco di Bergamo, sabato 20 APRILE 2024, “Sant’Agata svela la Bergamo romana”.

Raffaella Poggiani Keller, Gian Pietro Brogiolo, “Bergamo: dalle origini all’alto Medioevo: documenti per un’archeologia urbana. Catalogo della Mostra tenuta a Bergamo nel 1986. Comune di Bergamo, Assessorato alla cultura, Civico museo archeologico. Giampietro Brogiolo. Panini, Modena, 1986.

Bascapè Giacomo C., Perogalli Carlo (a cura di), “Palazzi privati di Lombardia”. Milano, Electa Editrice per Banco Ambrosiano, 1964.

Francesca Fantappiè, “Per teatri non è Bergamo sito”. La società bergamasca e l’organizzazione dei teatri pubblici tra ’600 e ’700. Fondazione per la Storia Economica e Sociale di Bergamo.