Per lungo tempo la Fontana vicinale di Sant’Agata ha zampillato lungo la via, accogliendo gli avventori desiderosi di rinfrescarsi all’ombra del suo grande arcone, fino a quando i lavori di recupero effettuati nel 2009 ne hanno riportato alla luce l’assetto primitivo, rimasto per anni nascosto all’interno della volta murata.
Fino a una quindicina d’anni fa, e cioè prima dei lavori di ripristino, la fontana mostrava un muro posticcio, aggiunto nell’Ottocento, al centro del quale campeggiava un mascherone in arenaria consunto dal tempo, da cui usciva un semplice bocchettone per l’acqua. Della facciata originaria si intravedevano solo delle pietre disposte a formare un arco nella parte superiore, unica parte visibile della grande volta a tutto sesto, un tempo aperta sulla strada ed ora celata alla vista dei passanti.
Il suo aspetto originario non è dissimile a quello di tante altre fontane medioevali della città antica, come quella di Antescolis a fianco di S. Maria Maggiore, la Fontana secca in piazza Mercato delle Scarpe, la fontana del Corno alla Fara e quelle delle vie Porta Dipinta, Osmano, Solata, S. Giacomo, Donizetti, Pignolo, e Vagine, realizzate tutte presumibilmente nel corso del XIII secolo, come si deduce dall’uniformità dell’impianto, volta ad assicurare all’intera città una uguale fornitura d’acqua.
L’evidente finalità di pubblica utilità è leggibile nell’aspetto sobrio ed essenziale, con la parte anteriore aperta al pubblico sormontata da un imponente volta e sul retro una cisterna, alla quale era possibile accedere attraverso uno sportello per i periodici spurghi e per le riparazioni.
Dagli statuti cittadini risulta che la manutenzione e la custodia delle fontane era affidata alle vicinie (associazioni di abitanti dello stesso quartiere che si riunivano per tutelare gli interessi comuni), allo stesso modo con cui alle stesse era fatto obbligo di provvedere ai portici, alle pizze e ad altre strutture utilizzate dagli abitanti in ogni singola vicinia; al Comune restava il compito di provvedere al buon funzionamento dell’acquedotto, sia fuori che dentro le mura: una consuetudine che si prolungò fino all’Ottocento.
La Fontana vicinale di S. Agata è citata nello Statuto del 1248 insieme alla Fontes Lux Morum di via Pignolo, e alle fontane del Vagine, del Cornus (via Fara), del Later (via Boccola), dove si ordina alle rispettive vicinie di provvedere alla loro custodia e di osservare la regolamentazione dell’uso delle acque.
LA BERGAMO ROMANA, MEDIOEVALE E RINASCIMENTALE
L’intervento di rimozione delle strutture sovrapposte è stato guidato dalle testimonianze storiche sulla Fontana e dalle cognizioni sul sistema delle acque in quest’area della città: se da un lato il suo recupero ci ha privati delle sue preziose acque, dall’altro ha restituito alla cittadinanza un piccolo, ma significativo spaccato che abbraccia duemila anni di storia: oltre all’intero sistema idrico della fontana medioevale, anche i resti di un ambiente domestico d’epoca romana e il trigramma di San Bernardino, risalente al Rinascimento, affrescato sulla volta a botte che copre la Fontana. Il tutto oggi visibile all’interno di un esercizio commerciale, nel cuore antico della città, dove le case romane si impreziosivano di mosaici unici, le donne medievali attingevano alla Fontana e il trigramma celebrava la pace e le speranze all’alba del Rinascimento.
Del medioevale impianto idrico della Fontana di S. Agata sono stati recuperati il bacino di raccolta dell’acqua, il locale cisterna e i resti di una vasca di decantazione, nonché una canaletta di scarico di epoca romana.
Quest’ultimo ritrovamento, stimola ulteriori considerazioni sul perché, secoli dopo, proprio in questo luogo sia stata collocata una fontana: in via Salvecchio 12, durante i lavori di sistemazione di un edificio è tornato alla luce un tratto di acquedotto romano in maiolica, un calcare compatto (3) formato da nove setti in ghiera ad incastro, saldati con malta, ciascuno dei quali riporta la sigla del costruttore e i numeri romani per rispettarne la sequenza. Le caratteristiche della condotta, facente parte di un sistema finale di distribuzione dell’acqua, fanno ritenere che fosse in relazione con un edificio di notevole importanza.
Dallo scavo è emerso che lungo lo stesso asse della conduttura idrica romana di via Salvecchio correva sia l’acquedotto medioevale che quello cinquecentesco, ancor oggi quasi interamente conservati (4). Per essere distribuita dentro la città, l’acqua doveva essere fatta passare per quei medesimi livelli che i Romani avevano sicuramente individuato e utilizzato, seguendo quindi un tracciato ben preciso, codificato dalle quote dello stesso abitato (5): nelle vicinanze passava infatti l’acquedotto Magistrale, che nel Medioevo andava ad alimentare 16 fontane, quante erano le vicinie, presentando una diramazione anche lungo la via Salvecchio, in direzione appunto della Fontana di Sant’Agata.
Dal Medioevo e fin verso la fine dell’Ottocento, l’impianto della Fontana di Sant’Agata fu dunque alimentato dall’acquedotto Magistrale: in un disegno del 1806 si individuano due collettori provenienti dal colle di S. Giovanni che si incrociano in via Salvecchio, uno dei quali prosegue nel vicolo S. Agata e l’altro raggiunge sulla destra la cisterna, interrompendosi con due fuoruscite nel vano della Fontana (6).
DUE PAROLE SULLA BERGAMO ROMANA
Con la costituzione di Bergamo a municipium civium romanorum nel 49 a.C., si costituisce il centro politico, amministrativo, religioso e residenziale della Bergamo romana, con la creazione della cinta muraria, della rete idrica e fognaria, delle necropoli, dell’area forense, degli edifici da spettacolo, dei monumenti pubblici, delle domus e del sistema viario, che ha lasciato una forte eredità in termini urbanistici, influenzando notevolmente anche le successive fasi di sviluppo.
È proprio all’incrocio tra le due principali arterie ortogonali (decumano massimo e cardine massimo) che è stato localizzato il Foro, cuore pulsante della città, esteso lungo un quadrilatero compreso tra Piazza Vecchia e Piazza Duomo-Ateneo e via Bartolomeo Colleoni.
La centralità del luogo, rispondeva all’intento di creare effetti monumentali e scenografici, tipici dell’architettura romana di quel periodo (età tardo-repubblicana e di prima età augustea), favoriti dall’essere Bergomum una città d’altura: il suo disegno dovette essere concepito secondo una “prospettiva dinamica”, perché fosse ben visibile dal basso e dall’esterno, facendo in modo che nei luoghi emergenti spiccassero gli edifici più emblematici o monumentali.
Sulla piazza circondata da portici, si affacciavano i più importanti edifici della città: i luoghi di culto (templi), la Curia dove si riuniva il Senato, la Basilica dove si celebravano i processi, il Tabularium (archivio), le botteghe, e i gabinetti pubblici.
Ne rintracciamo i resti in alcune domus, come quelle rinvenute sotto la Cattedrale di S. Alessandro, nel Museo degli scavi e del tesoro del Duomo e alla base della Torre del Campanone, dove lungo una grande parete del I secolo d.C., estesa per oltre trenta metri, si sarebbero allineate le tabernae dei commercianti, che segnano la delimitazione del Foro sul lato meridionale: via Colleoni confinava con il lato nord della piazza del foro, delimitata da un portico colonnato, di cui si è rinvenuto un blocco di architrave nel Teatro Sociale.
È in quest’area nevralgica della città, che dovevano trovarsi anche le abitazioni più significative del tempo: non solo ricche domus provviste di pozzi (7), ma anche importanti edifici monumentali, come testimonia il recente ritrovamento davanti alla settecentesca facciata dell’ex chiesa di Sant’Agata, al limitare del giardino oggi sede della Cooperativa Città Alta (Circolino): un poderoso muro – lungo una decina di metri e largo sino a un metro e sessanta centimetri – e frammenti di intonaci affrescati con frutti e fogliame dai colori vividi, resti di pavimenti in marmo policromo, tracce di stucchi a rilievo ed elementi decorativi in terracotta che ornavano il tetto dell’edificio: l’ennesima testimoninza dell’importanza rivestita da Bergamo in epoca romana, che rafforza l’ipotesi di un esteso e prospero insediamento urbano, posto nel punto di raccordo tra le montagne e la pianura.
Le ragguardevoli dimensioni del muro, posto al centro degli scavi, e i resti degli elementi architettonici e ornamentali rinvenuti, suggeriscono la presenza di un imponente palazzo, affacciato sul decumano massimo – odierna via Colleoni -, nel quale si svolgevano funzioni pubbliche (8).
Un altro edificio importante d’epoca romana è attestato dai resti rinvenuti all’interno del ristorante “Da Mimmo”, al civico 17d (9), pertinenti a un tempio oppure a un propileo o ad un ingresso monumentale (10), inseriti, come vedremo, in un contesto di epoca medioevale e rinascimentale.
La strada doveva essere lastricata, come dimostrano i tratti rinvenuti in via Colleoni/angolo via Salvecchio (11) e quello, notevole, formato da lastre in pietra arenaria delle cave di Castagneta, rinvenuto presso le case Pesenti, dove già si erano rinvenuti preziosissimi cimeli e resti architettonici d’epoca romana (12), tornati alla luce nel corso dei lavori di demolizione di un vecchio edificio, abbattuto per dar aria e luce all’abitazione dei Secco Suardo: frammenti di un arco di marmo ed un frontone, chiari indizi di un edificio importante, una ben conservata aquila di bronzo, l’insegna della legione romana (13), e una tavola bronzea con iscrizione, che rappresenta un decreto onorario per M. Sempronius Fuscus, prefetto della coorte Betica (14).
IL MOSAICO D’EPOCA ROMANA NEL SITO DELLA FONTANA DI S. AGATA
Ed e qui, a pochi passi dal centro della vita pubblica di Bergomum, che si trova ciò che resta di un ambiente domestico, rinvenuto al di sotto della Fontana di S. Agata. Si tratta di un pavimento a mosaico di grande superficie (mt. 2,30×2,40), realizzato con piccoli motivi cruciformi bianchi e tessere nere al centro e il cui motivo decorativo è attestato tra il I sec a.C. e il Il secolo d.C., collocandosi proprio nel periodo di consolidamento e strutturazione della città e delle istituzioni romane. Anche questo mosaico rappresenta un’ulteriore importante scoperta, costituendo un piccolo ma significativo tassello che arricchisce il quadro della Bergamo romana.
DALL’ALTOMEDIOEVO AL MEDIOEVO: VERSO LA NASCITA DELLE FONTANE VICINALI
Con la caduta dell’Impero Romano, a Bergamo come in altre città, ci furono mutamenti radicali nella ripartizione degli spazi urbani, nella destinazione e nella struttura degli edifici: già dalla fine del IV e soprattutto nel corso del V secolo, alcuni edifici della porzione centrale della città vennero abbandonati e, nel secolo successivo, spoliati allo scopo di recuperare materiali utili per nuove fabbriche.
Il complesso forense, edificato tra l’età tardo repubblicana e la prima età augustea, rimase in uso anche tra il II e il IV secolo d.C., con qualche modifica e ristrutturazione, ma alla fine del IV secolo fu abbandonato e subì opere di spoliazione di materiali edili da reimpiegare in nuove costruzioni. Nell’insula poco più ad est del foro, occupata da ricche domus, fu eretta nel V secolo una maestosa cattedrale a tre navate, con colonnati e pavimenti a mosaico, i cui resti sono oggi visibili al di sotto della cattedrale di Sant’Alessandro. La scelta del luogo è indicativa delle importanti trasformazioni religiose e civili avvenute in Bergamo e si pone come l’elemento maggiormente innovativo, sia urbanisticamente che socialmente. In questo settore si edificherà anche il complesso episcopale. Ulteriori mutamenti avverranno tra la tarda antichità e l’Altomedioevo.
Nell’area sottostante la Cattedrale di S. Alessandro, a seguito del disuso e dell’abbandono di domus di età romana che costituivano un complesso residenziale molto vicino al foro, viene fondata nel V secolo l’ecclesia della città, una basilica di grandi proporzioni, a tre navate, in cui sono riutilizzate basi di colonne romane, forse provenienti dal foro. Questo edificio rimane in uso fino alla realizzazione del grande complesso episcopale che, tra la fine dell’XI e gli inizi del XII, sul medesimo luogo, porterà alla edificazione di una Cattedrale. D’altro lato, nell’area dell’Hospitium Comunis Pergami, in età altomedioevale l’area è divenuta luogo di sepoltura finché la ripresa dell’attività edilizia, diverrà assai più consistente tra XI e XIV secolo. In questo periodo viene edificata la Torre Civica, già attestata nel 1197.
Nell’Altomedioevo, nei pressi della futura Fontana sorgeva, presso l’antica cinta muraria romana (ampliata all’inizio del X secolo), la chiesa di S. Agata, citata già nel 908 ma forse presente anche nel secolo antecedente: sappiamo che nel XII sec. la chiesa e il convento di S. Agata erano presieduti dall’ordine religioso degli Umiliati, dedito alla lavorazione e alla follatura della lana, per la quale era necessaria la vicinanza a un corso d’acqua o a una sorgente molto ricca di calcare, elemento indispensabile per l’infeltrimento (quindi la compattezza) del tessuto.
All’inizio del secondo millennio il governo cittadino avverte chiaramente la complementarietà della zona pianeggiante posta ai piedi del mons civitatis e l’esigenza di assorbirla, quale presupposto indispensabile del suo sviluppo: mentre la città sul colle si infittisce di torri, si articolano i borghi e si segna il territorio suburbano col tracciato di canali artificiali destinati ad incrementare le attività artigianali e gli insediamenti produttivi del Comune. Nel contempo, il vasto suburbio della città è oggetto di un preciso piano difensivo volto a creare un sistema fortificato costituito da porte-torri (come la stongarda di Longuelo), torri isolate e veri e propri castelli.
All’interno delle mura, Bergamo si arricchisce di edifici, spazi commerciali, strutture di servizio per raccogliere e distribuire l’acqua. E’ a questo periodo, il XIII secolo, che risale la Fontana di Sant’Agata, sorta con la suddivisione della città in vicinie (quella di S. Agata è citata nello statuto del 1248), quando ogni quartiere viene dotato di fontane che svolgeranno un ruolo importante nella vita quotidiana della Bergamo medioevale.
Provvista di un vano aperto al pubblico e protetta da un arco a tutto sesto con retrostante cisterna, la fontana di S. Agata era situata a un livello inferiore rispetto al piano della strada, raggiungibile da una breve scalinata; le coperture dovevano essere sfalsate e a due falde ed era probabilmente isolata, cioè non inglobata in nessun edificio, come quella che appare ancor oggi in via Porta Dipinta, presso la chiesa del Pozzo Bianco.
Con il sorgere del Comune numerose torri si elevarono sul colle all’interno delle mura. Esse appartenevano ai feudatari inurbati che per affrancarsi dal regime feudale, sentivano il bisogno di porre la loro residenza turrita in città, dove volevano inserirsi nella vita sociale del Comune, sia pure con spiegabili pretese di egemonia militaresca. Costoro spesso mantenevano le proprietà fondiarie nella campagna e la loro torre urbana sottolineava la persistente autonomia e isolamento all’interno della cinta muraria (16).
Nel corso del XIII secolo la Fontana di S. Agata venne inglobata in un’ampia costruzione che comprendeva probabilmente anche una TORRE ritenuta dei Suardi, impostata proprio sulle strutture della Fontana e ancora riconoscibile osservando la struttura muraria su vicolo S. Agata (17). A pochi passi, la vicina chiesa di S. Agata era presieduta dai frati Militi Gaudenti, incaricati di garantire la pace fra le fazioni cittadine.
Il nuovo edificio avanzò di circa due bracci verso l’attuale via Colleoni, coprendo la scalinata di accesso della Fontana. Nel frattempo il livello stradale si era notevolmente alzato per la rimanenza il loco di macerie provenienti da demolizioni di costruzioni, che al tempo, date le estreme difficoltà di trasporto, rimanevano sul posto (19). Ciò rendeva il prelievo dell’acqua molto più scomodo.
Apprendiamo che l’edificio sovrastante la fontana, intorno al 1263 doveva ospitare la “Canova” ossia il magazzino comunale del sale. La “Canova” mutò sede nel corso dei secoli, e si suppone che la vicina via Salvecchio possa aver preso il nome da un precedente vecchio deposito.
Da quanto rimane delle attrezzature idrauliche si può ipotizzare che l’acqua proveniente dalla conduttura di via Salvecchio raggiungesse la cisterna per poi diramarsi nei caseggiati circostanti, tra cui troviamo la Casazza (in origine dei Suardi, oggi ristorante “Da Mimmo” e risalente alla prima fase del Trecento/1357), il Luogo Pio Colleoni (voluto da Bartolomeo Colleoni nel 1466, sorto nelle case un tempo appartenenti a Baldo e Giovanni Suardi) e il convento di S. Agata (iniziato a costruire nella prima metà XVIII secolo, ma preceduto, dalla prima metà del XIV secolo, da alcune domus ecclesiae S. Agathae collocate a ridosso dell’abside). Dal serbatoio l’acqua, attraverso un bocchello entrava nel vano della fontana pubblica da dove poteva essere prelevata (20).
IL RINASCIMENTO E IL TRIGRAMMA DI SAN BERNARDINO SULLA VOLTA A BOTTE CHE SOVRASTA LA FONTANA
Sulla volta a botte che copre la fontana è venuto alla luce un antico affresco con il trigramma di San Bernardino, databile tra il XV ed il XVI secolo. diffuso da San Bernardino da Siena dopo la sua venuta a Bergamo tra il 1411 e il 1419 per predicare la concordia tra i Guelfi ed i Ghibellini della città: è il simbolo legato alla presenza del santo a Bergamo, in cui realizzò un nuovo convento francescano dove ora sorge la chiesa di Santa Maria delle Grazie a Porta Nuova.
Il trigramma è iscritto in un sole raggiato giallo oro su campo bianco stellato, databile tra il XV e il XVI secolo. La sigla IHS (in greco IHZ) indica per alcuni il nome IHZOYZ (cioè “lesous’: Gesù); per altri il motto costantiniano “ln Hoc Signo (Vinces), “Con questo segno vincerai”.
Il trigramma fu ideato e disegnato da San Bernardino stesso (considerato non a caso patrono dei pubblicitari), che diede ad ogni elemento del simbolo un significato: il sole centrale è chiara allusione a Cristo che dà la vita e suggerisce l’idea dell’irradiarsi della Carità. I dodici raggi serpeggianti sono i dodici Apostoli; gli otto raggi diretti rappresentano le beatitudini; la fascia che circonda il sole rappresenta la felicità infinita dei beati, il celeste dello sfondo è simbolo della fede; l’oro dell’amore.
Il Rinascimento fu per Bergamo un’epoca di profondi cambiamenti. La città doveva essere meglio difesa, essere un valido bastione verso Milano e tenere aperti i valichi preziosi verso i Grigioni e il centro Europa. Pur tenendo attive alcune parti della cinta muraria medievale, furono costruiti nuovi bastioni e nuove piattaforme ed infine l’intero impianto fu rivisto e ridisegnato.
All’interno delle mura, intanto, avvenivano analoghi mutamenti nelle costruzioni, negli stili, nel modo di vivere. Se da una parte infatti una parte della popolazione fu costretta a reinsediarsi nella citta bassa a causa delle demolizioni operate per la costruzione delle Mura e dei controlli che danneggiavano i mercanti non particolarmente ricchi, un’altra porzione di popolazione risalì il colle alla ricerca di un alloggio all’interno del fitto tessuto di case, perlopiù medioevali, costituite da uno o due piani, oltre al piano terra occupato da botteghe o laboratori e con le aree libere interne agli isolati.
Condizionati dall’anello delle Mura e costretti a cercare spazio, gli edifici vennero innalzati con sopralzi di uno o due piani, superandosi l’uno sull’altro alla ricerca di luce e di sole. Venne poi costruita una seconda linea di case, interna al fronte affacciato su strada, inserendo nella fascia intermedia diversi corpi trasversali intervallati da cortili. Ad infittirsi fu soprattutto l’asse principale della città che corre lungo le attuali vie Gombito e Colleoni.
LA FONTANA TRA SETTE E OTTOCENTO
Sappiamo che la torre dei Suardi, posta a fianco della fontana, fu inglobata in un edificio del XVIII secolo (21), inserita cioè nel palazzo Secco Suardo, tra le famiglie della nobiltà bergamasca che potevano vantare origini più antiche: uno dei rami, insieme a quello dei Suardi e dei Suardo, provenienti da un unico ceppo risalente al XIII secolo, precisamente da un Lanfranco del secolo XIII. “I vari rami del casato hanno legato il loro nome a quattro edifici, in Bergamo: l’antica “Domus Suardorim” di Piazza Vecchia, sede del Podestà dopo il 1216; quello successivamente passato alla Funicolare, quello dei Secco Suardo in via S. Salvatore, 7; infine quello di via Pignolo” (22).
In effetti, nel 1758 l’area in cui sorge la fontana risulta di proprietà Secchi-Suardi (24), che da queste parti dovevano possederne altre, in quanto già nel 1686, di fronte al palazzo esisteva un vero e proprio teatro privato di estrazione nobiliare, costruito su iniziativa del conte Giuseppe Secco Suardo, nel suo palazzo sito in contrada di Sant’Agata (25).
Nelle adiacenze della Fontana, vi era inoltre un pons Suardorum, che compare ancora nella mappa catastale del 1811, ma che viene demolito nel 1825 (26).
Ad ogni modo, nella mappa catastale del 1876 (che mostra i mappali del teatro secentesco) l’edificio oltre il vicolo con n. di mappa 410 risulta in proprietà alla Partita 3814 dei fratelli Scotti nobile Giovanni e sacerdote Carlo. L’ edificio che occupava l’area dell’attuale giardino Tresoldi risultava in proprietà dei fratelli Conti Secco Suardo Bartolomeo e Giulio (27).
L’accesso alla fontana fu possibile fino all’Ottocento, quando ancora il prelievo avveniva in sottoquota, ma a causa delle continue lamentele dei residenti, per agevolare il prelievo dell’acqua nel 1884 (28) il fronte venne chiuso da un muro di tamponamento e il punto di prelievo spostato in avanti ed innalzato al livello della via, grazie all’installazione di una pompa meccanica ad azionamento manuale; nel contempo il collegamento dei due vani ne raddoppiò la capacità (29): si poterono così evitare “tutti gli otto o dieci gradini che prima bisognava fare per attingere l’acqua e che costituivano un pericolo grave” (30).
Un articolo de L’Eco di Bergamo informa che sopra la fontana vi era un vecchio tabernacolo consacrato alla Madonna Addolorata, che dietro insistenza degli abitanti venne ricollocato al suo posto alla fine dei lavori. Grazie a una raccolta di fondi intrapresa da un gruppo di operai, il vecchio quadro della Madonna fu fatto pulire, ornato di una nuova cornice e collocato “in una nicchia difesa da un forte graticcio di ferro e adorna di un bel lanternino” (31).
Intorno al 1928 fa la fontana era stata risistemata dagli ing. Luigi Angelini e Cesare Selvelli e sul muro di fondo (32), tra l’arco e la volta vi era un bassorilievo in ceramica colorata di tipo robbiano rappresentante l’Annunciazione (33).
L’impianto della Fontana di Sant’Agata fu alimentato dall’acquedotto Magistrale fin verso la fine dell’Ottocento e nel 1889 entrò in funzione un nuovo acquedotto municipale, con l’acqua che veniva pompata dal serbatoio di S. Agostino a quello sul colle del Seminario, mentre una condotta per i colli entrò in esercizio nel 1892 (34).
Nel 1920 la Fontana fu restaurata da Ciro Caversazzi che, probabilmente, fece collocare il mascherone da cui sgorga l’acqua (35). Dopo questa data, in un periodo imprecisato l’immobile risulta di proprietà Donadoni, per essere acquistato dalla Famiglia Tresoldi nel 1953 (36).
Negli ultimi anni i due vani collegati erano stati utilizzati come cisterna per la nafta al servizio dell’impianto per la panificazione e solo con la metanizzazione i vani erano stati liberati e utilizzati a ripostiglio (37), fino all’intervento di recupero promosso dalla proprietà dello stabile effettuato nel 2009, che, come detto, ha riportato alla luce, oltre all’intero sistema idrico medioevale – con il suo bacino di raccolta dell’acqua, il locale dove attingerla e i resti di una vasca di decantazione -, anche un affresco d’epoca rinascimentale sulla volta della fontana e i resti di un ambiente domestico d’epoca romana, con annessa canaletta di scarico: un tassello piccolo ma prezioso nel quale si concentrano due millenni di storia di Bergamo.
Come beffardo contrappasso al posto della fontana era sorta un’enoteca, in seguito sostituita da un altro esercizio commerciale.
Note
(1) A. Mazzi, “Alcune indicazioni per servire…” pag. 20. La chiesa di S. Agata fu presieduta dapprima dall’ordine religioso degli Umiliati, poi dai frati Militi Gaudenti, incaricati di garantire la pace fra le fazioni cittadine e, a partire dal 1357, dai Padri Carmelitani, che la ampliarono nel 1450. Insieme alla sua consacrazione nel 1489, il Vescovo Lorenzo Gabrieli ne ufficializzò l’investitura parrocchiale, considerato che la vicinia contava ormai un congruo numero di abitanti. Per le vicende degli Umiliati, si veda: Maria Teresa Brolis, “Gli Umiliati a Bergamo nei secoli XIII e XIV”. Casa editrice: Vita e Pensiero, 1991.
(2) Fornoni 1905, p.70.
(3) Stefania Casini, Maria Fortunati (a cura di), “Bergomum. Un colle che divenne città”. Catalogo della mostra (Bergamo, 16 febbraio-19 maggio 2019). Lubrina Bramani Editore, 2019.
(4) Raffaella Poggiani Keller, Maria Fortunati Zuccàla, Il caso di Bergamo. In “La Città nell’Italia settentrionale in età romana. Morfologia, strutture e funzionamento dei centri urbani delle Regiones X e XI”. Atti del convegno di Trieste (13-15 marzo 1987).
(5) Pino Capellini, “Acqua e acquedotti nella storia di Bergamo”. Ed. Ferruccio Arnoldi, Bergamo, 1990.
(6) Il documento in questione è una copia in scala 1/2 del disegno topografico delle acque sotterranee nell’interno della Città di Bergamo dell’ing. Andrea P. Respino redatta dall’ Arch. Carlo Capitanio e risalente al 1806 (copia visibile presso il restauratore Leonida Stefanoni di Bergamo). A quella data il Fontanaro risultava certo Bortolo Beretta. Dal disegno si evince che a quella data il vano della Fontana era ancora perfettamente agibile e funzionante, essendo individuabili due collettori provenienti dal Colle S. Giovanni che si incrociano in via Salvecchio, di cui uno prosegue nel vicolo S. Agata e l’altro raggiunge sulla destra la cisterna, interrompendosi con due fuoruscite nel vano della Fontana. Il numero dell’ utenza risulta il 234 (Francesco Gilardi Architetto, Eugenio Bonomi Architetto, Fontana di Sant’Agata. Bergamo 1995).
(7) In via Colleoni si sono ritrovati una domus al civico 30, un pozzo (i pozzi erano generalmente collegati a cisterne) e resti di struttura (Raffaella Poggiani Keller, Gian Pietro Brogiolo, “Bergamo: dalle origini all’alto Medioevo: documenti per un’archeologia urbana. Catalogo della Mostra tenuta a Bergamo nel 1986. Comune di Bergamo, Assessorato alla cultura, Civico museo archeologico. Giampietro Brogiolo. Panini, Modena, 1986).
(8) L’Eco di Bergamo, sabato 20 Aprile 2024, “Sant’Agata svela la Bergamo romana”.
(9) Il numero civico è precisato in Stefania Casini, Maria Fortunati (a cura di), “Bergomum. Un colle che divenne città” (op. cit.), che indica per i n. civici 23-24 un’altra base di colonna.
(10) Notizia rintracciata in Raffaella Poggiani Keller, Gian Pietro Brogiolo, “Bergamo: dalle origini all’alto Medioevo: documenti per un’archeologia urbana”, op. cit. e nell’Inventario dei Beni Culturali, Ambientali e Archeologici del Comune di Bergamo.
(11) Stefania Casini, Maria Fortunati (a cura di), “Bergomum. Un colle che divenne città” (op. cit.).
(12) Raffaella Poggiani Keller, Gian Pietro Brogiolo, “Bergamo: dalle origini all’alto Medioevo: documenti per un’archeologia urbana”, op. cit.
(13) In via Colleoni, in corrispondenza del civico 69, c’era una vecchia casupola un tempo appartenuta a Bartolomeo Colleoni e da questi donata nel 1468 al Luogo Pio della Pietà, acquistata dal conte Alessandro Secco Suardo e da questi demolita nel 1871 per dar aria e luce all’attigua abitazione. Durante la demolizione, fu trovata in un pozzo una tavola bronzea con iscrizione, insieme ad oggetti fittili e di metallo, tra cui monete imperiali, un’aquila di bronzo che, con le ali spiegate, stringe tra gli artigli un globo: nell’Ottocento, nella bergamasca se ne trovò una simile anche a Cicola sul colle Roccoli e da confronti effettuati, potrebbe risalire a un periodo compreso tra la metà del I secolo d.C. e la fine del II secolo d.C. (Raffaella Poggiani Keller, Gian Pietro Brogiolo, “Bergamo: dalle origini all’alto Medioevo: documenti per un’archeologia urbana”, op. cit.).
(14) Le condizioni del rinvenimento sono descritte da Paolo Vimercati Sozzi nel manoscritto dal titolo Raccolta di iscrizioni di vari tempi e luoghi della città e provincia. In: Raffaella Poggiani Keller, Gian Pietro Brogiolo, “Bergamo: dalle origini all’alto Medioevo: documenti per un’archeologia urbana”, op. cit.
(15) Raffaella Poggiani Keller, Gian Pietro Brogiolo, “Bergamo: dalle origini all’alto Medioevo: documenti per un’archeologia urbana”, op. cit.
(16) AA.VV. “Le mura di Bergamo”. Azienda Autonoma del Turismo di Bergamo. Anno 1977.
(17) Francesco Gilardi Architetto, Eugenio Bonomi Architetto, Fontana di Sant’Agata, op. cit.
(18) Inventario dei Beni Culturali, Ambientali e Archeologici del Comune di Bergamo.
(19) Francesco Gilardi Architetto, Eugenio Bonomi Architetto, Fontana di Sant’Agata, op. cit.
(20) Francesco Gilardi Architetto, Eugenio Bonomi Architetto, Fontana di Sant’Agata, op. cit.
(21) Arnaldo Gualandris, La città Dipinta – Affreschi, Dipinti murali, Insegne di Bergamo Alta. U.C.A.I., 2008.
(22) Bascapè Giacomo C., Perogalli Carlo (a cura di), “Palazzi privati di Lombardia”. Milano, Electa Editrice per Banco Ambrosiano, 1964. Altrove si legge che nel 1517 ebbe origine il casato dei Secco Suardo, a partire da Maria Secco Suardo, figlia di Socino Secco e data in sposa a Lodovico Suardi. Il doppio cognome era dovuto a questioni di eredità che Socino Secco lasciò, a patto che il suo cognome fosse tramandato in aggiunta a quello del genero (Andreina Franco Loiri Locatelli, La casa della Misericordia, La Rivista di Bergamo, p. 81). Di questo casato si ricordano Giovanni noto restauratore, e Paolina Secco Suardo, meglio conosciuta con lo pseudonimo di Lesbia Cidonia nei suoi componimenti risalenti al XVIII secolo.
(23) Bascapè Giacomo C., Perogalli Carlo (a cura di), “Palazzi privati di Lombardia”, op. cit.
(24) Nel 1758, “nell’Inventario dei Beni della Città dell’agrimensore Gio. Tomaso Botelli non risulta alcuna proprietà pubblica della Fontana, ma, se si riferisce alla zona il cabreo di pagina 10, di 11 botteghe e abitazioni nelle adiacenze, mentre l’area della Fontana sarebbe indicata di proprietà Secchi-Suardi” (Francesco Gilardi Architetto, Eugenio Bonomi Architetto, Fontana di Sant’Agata, op. cit.).
(25) Francesca Fantappiè, “Per teatri non è Bergamo sito”. La società bergamasca e l’organizzazione dei teatri pubblici tra ’600 e ’700. Fondazione per la Storia Economica e Sociale di Bergamo.
(26) Nella mappa catastale del 1811 “la Fontana è individuata nella sua estensione e compare ancora il Pons Suardorum nelle adiacenze”, demolito nel 1825 (Francesco Gilardi Architetto, Eugenio Bonomi Architetto, Fontana di Sant’Agata, op. cit.).
(27) Francesco Gilardi Architetto, Eugenio Bonomi Architetto, Fontana di Sant’Agata, op. cit., dove si aggiunge che l’ingombro della Fontana non compare.
(28) Arnaldo Gualandris, “La città Dipinta – Affreschi, Dipinti murali, Insegne di Bergamo Alta”, op. cit., che trae la notizia da un articolo de L’Eco di Bergamo datato 22 febbraio 1884.
(29) Francesco Gilardi Architetto, Eugenio Bonomi Architetto, Fontana di Sant’Agata, op. cit.
(30) Arnaldo Gualandris, “La città Dipinta – Affreschi, Dipinti murali, Insegne di Bergamo Alta”, op. cit., che trae la notizia da un articolo de L’Eco di Bergamo datato 22 febbraio 1884.
(31) Arnaldo Gualandris, “La città Dipinta – Affreschi, Dipinti murali, Insegne di Bergamo Alta”, op. cit., che trae la notizia da un articolo de L’Eco di Bergamo datato 22 febbraio 1884.
(32) Arnaldo Gualandris, “La città Dipinta – Affreschi, Dipinti murali, Insegne di Bergamo Alta”, op. cit.
(33) Inventario dei Beni Culturali, Ambientali e Archeologici del Comune di Bergamo.
(34) Nevio Besezzi, Bruno Signorelli, “Gli antichi acquedotti di Bergamo”. Stamperia Stefanoni, Bergamo, 1992.
(35) Francesco Gilardi Architetto, Eugenio Bonomi Architetto, Fontana di Sant’Agata, op. cit., dove si precisa che la notizia non è accertata.
(36) Francesco Gilardi Architetto, Eugenio Bonomi Architetto, Fontana di Sant’Agata, op. cit.
(37) Francesco Gilardi Architetto, Eugenio Bonomi Architetto, Fontana di Sant’Agata, op. cit.
Riferimenti
Francesco Gilardi Architetto, Eugenio Bonomi Architetto, Fontana di Sant’Agata. Bergamo 1995.
Raffaella Poggiani Keller, Maria Fortunati Zuccàla, Il caso di Bergamo. In “La Città nell’Italia settentrionale in étà romana. Morfologia, strutture e funzionamento dei centri urbani delle Regiones X e XI”. Atti del convegno di Trieste (13-15 marzo 1987).
Pino Capellini, “Acqua e acquedotti nella storia di Bergamo”. Ed. Ferruccio Arnoldi, Bergamo, 1990.
Stefania Casini, Maria Fortunati (a cura di), “Bergomum. Un colle che divenne città”. Catalogo della mostra (Bergamo, 16 febbraio-19 maggio 2019). Lubrina Bramani Editore, 2019.
Nevio Besezzi, Bruno Signorelli, “Gli antichi acquedotti di Bergamo”. Stamperia Stefanoni, Bergamo, 1992.
Arnaldo Gualandris, La città Dipinta – Affreschi, Dipinti murali, Insegne di Bergamo Alta. U.C.A.I., 2008.
L’Eco di Bergamo, sabato 20 APRILE 2024, “Sant’Agata svela la Bergamo romana”.
Raffaella Poggiani Keller, Gian Pietro Brogiolo, “Bergamo: dalle origini all’alto Medioevo: documenti per un’archeologia urbana. Catalogo della Mostra tenuta a Bergamo nel 1986. Comune di Bergamo, Assessorato alla cultura, Civico museo archeologico. Giampietro Brogiolo. Panini, Modena, 1986.
Bascapè Giacomo C., Perogalli Carlo (a cura di), “Palazzi privati di Lombardia”. Milano, Electa Editrice per Banco Ambrosiano, 1964.
Francesca Fantappiè, “Per teatri non è Bergamo sito”. La società bergamasca e l’organizzazione dei teatri pubblici tra ’600 e ’700. Fondazione per la Storia Economica e Sociale di Bergamo.