Alla scoperta di piazza Mercato delle Scarpe

Osservando Piazza Mercato delle Scarpe da subito si coglie il carattere tipico della città, frutto della sovrapposizione e della compresenza di edifici di epoche diverse: il Duecento per le case torri di via alla Rocca, il Trecento per l’antica fontana vicinale e il palazzo della funicolare, il Quattrocento per la cisterna, il Cinquecento per la chiesa di San Rocco (eretta in luogo del quattrocentesco Tribunale dei Mercanti) e il Settecento di Palazzo Gavazzeni.

La piazza ha avuto nei secoli una funzione di primaria importanza in quanto rappresenta uno degli snodi chiave della viabilità all’interno del nucleo antico, essendo da sempre – data la morfologia del colle – punto di convergenza delle due direttrici principali che si diramano verso la pianura: verso Brescia e Venezia ad est, attraverso l’attuale via di Porta Dipinta – dove sorgeva la porta di levante – e verso Milano ad ovest, attraverso l’attuale via San Giacomo, dove sorgeva la porta di mezzodì: le due porte pertinenti la cinta muraria romana, la cui esistenza è attestata da una lastra in pietra di Zandobbio rinvenuta nel 1874 presso la chiesa di Sant’Andrea: l’iscrizione (I/II sec. d.C.) si riferisce alla spesa sostenuta da Crispus e dalla moglie Sedata per la costruzione di due porte e del probabile muro intermedio (1).

Via San Giacomo. Lo scheletro principale dell’attuale reticolo viario di Città Alta può ritenersi in tutto simile a quello arcaico e romano. Il suo disegno è in prevalenza dettato da un morbido adattamento alla forma del colle; la sua orditura si estende secondo trame che ricordano quelle di una foglia in cui le innervature principali rappresentano le vie per Milano (via San Giacomo), Brescia e la Valle Seriana (vie Porta Dipinta, Pignolo e San Tomaso), Valle San Martino e Como (via Borgo Canale), Valle Brembana (via e porta San Lorenzo): il collegamento con il territorio da cui la città trae alimento

Sviluppandosi all’estremità meridionale dell’antico decumano (asse viario principale della città) e ai margini del pianalto, la sua ampiezza doveva essere ben maggiore – non esistendo l’attuale Palazzo della Funicolare -, giungendo secondo Luigi Angelini sino alla linea della cinta murata che fiancheggiava l’antico vicolo degli Anditi (che si trovava al di sotto dell’attuale terrazza-restaurant del Palazzo della Funicolare, venendo poi tagliato dal percorso della funicolare): vale a dire ad oltre quaranta metri dal filo attuale.

Nel tondo, le cinque arcate dell’antico vicolo degli Anditi nella veduta di Alvise Cima (sovrimpresso in nero il tracciato delle mura veneziane). Si tratta di un percorso di ronda (ora quasi totalmente chiuso) facente parte della muraglia difensiva medioevale, tagliato dal percorso della funicolare alla fine dell’800 e di cui restano solo alcuni avanzi di muratura ad arco, appena visibili dietro le recinzioni di giardini privati. Data la conformità della collina, le mura  romane non dovevano essere molto distanti

In Età Comunale (nel periodo compreso tra XII e XIV secolo), dopo anni di degrado e sciacallaggio la città compì un radicale rinnovamento che toccò tutti i settori del vivere e dell’organizzazione, compreso quello della sicurezza e della difesa.

Il vicolo dei Franchetti, facente parte della strada degli Anditi

La posizione strategica e la contiguità con la centralissima (ed affollata) vicinia di San Pancrazio, di cui faceva parte, influì notevolmente sulla vivacità commerciale di piazza Mercato delle Scarpe così come sull’espansione dell’edificato che andava addensandosi immediatamente fuori le porte.

Piazzetta S. Pancrazio, antica corte altomedioevale, in cui si ritiene risiedessero le alte cariche longobarde tra il VI e l’inizio dell’VIII secolo nonché importante vicinia in epoca medioevale. Intorno al 1263 e nello Statuto cittadino del 1331 (che definisce nel dettaglio i singoli confini) la vicinia di San Pancrazio comprendeva tutta la zona intorno al crocicchio del Gombito, l’attuale Piazza Mercato delle Scarpe, via Solata, la piazza Mercato del Fieno (dove si trovava una fontana coperta) oltre naturalmente alla chiesa vicinale, in origine più piccola e diversamente posizionata. Quasi sempre adiacenti a stradette strette ed affollate, le piazze, cuore pulsante della vicinia, non erano solo luogo di mercato ma offrivano maggiori possibilità di passeggio e di incontro nel caotico viavai cittadino, oltre che occasione di confronto politico

 

In età medioevale lo sviluppo dell’edificato appena fuori le porte della città  richiede la realizzazione di “rezzetti”, vale a dire addizioni murarie, dotate di torri di cinta e porte-torri, che recingono le espansioni, divenute ormai consistenti. E’ questo il caso del rezzetto di Porta Sant’Andrea, lungo la strada orientale, mentre la breve espansione a Sud che comprende l’attuale parte iniziale di via San Giacomo è da intendersi come riallineamento e razionalizzazione del muro cittadino, che da porta Santo Stefano si riattesta a mezzogiorno, a porta San Giacomo, dando luogo alla nascita della vicina di San Giacomo della Porta

 

Giuseppe Rudelli, Le mura di S. Andrea

 

Lungo le Mura di Sant’Andrea, sulla strada orientale,  (Racc. Gaffuri)

Per il carattere strategico della sua posizione, che l’ha resa nei secoli punto d’afflusso della vita di Bergamo, piazza Mercato delle Scarpe è ritenuta primo ed unico mercato dell’antichissima città ed è ancor’oggi il polo generatore da cui si irradia la tessitura viaria disposta sul mosso declivio, il punto d’accesso per i turisti che giungono in Città Alta salendo da via Porta Dipinta o da via San Giacomo, mentre per via Gombito o per via Donizetti, per l’antica via Pendezza, per via Rocca o per via Solata si sale verso i quartieri alti della città.

Un polo tanto antico da guadagnarsi la denominazione di Forum (che ancora ritroviamo nello Statuto del 1331), affermatosi quando l’area su cui insisteva l’antico Foro romano non era ancora occupata dai grandi edifici pubblici dell’età comunale e quando la dimensione dell’abitato doveva apparire ancora modesta, sebbene già sviluppata nei rioni extra moenia o nei casolari dell’ambito agricolo circostante.

Piazza Mercato delle Scarpe nel 1920, ritenuta una delle più antiche piazze della città. La  limitata estensione è tipica delle piazze dell’Europa medioevale, dove neppure le cattedrali avevano dinanzi a sé superfici libere molto estese

Ricordata da Mosè del Brolo nel suo Pergaminus (1120-1130) e presto nominata Mercato Vecchio, nell’altomedioevo, era sede di un mercato nundinario, come si evince da un testamento del 928 in cui il vescovo Adalberto lascia ai Canonici di San Vincenzo, oltre ai redditi derivanti dalla fiera di S. Alessandro, anche i proventi di questo luogo di commercio, aperto nei giorni di sabato alle vendite e agli scambi (2).

Gli antichi statuti comunali prevedevano che nelle osterie non ci potesse essere più di un venditore salvo che si trattasse di esercizio tenuto in casa propria, in questo caso l’oste poteva essere aiutato dal figlio o dal fratello. Agli osti era fatto obbligo di vendere il vino con le misure imposte dal comune e chi avesse rifiutato di vendere nei limiti delle prescrizioni comunali era severamente punito; la vendita di vino inoltre non era permessa dopo il terzo suono della campana

Come centro vitale di scambi e di commerci il Mercato Vecchio aveva intorno edifici di attività commerciale, che potevano essere botteghe stabili (staciones) ricavate tra i portici chiudendo lo spazio tra una colonna e l’altra, “stalli” realizzati con assi di legno, banchetti oppure “dischi”, appartenenti alla vicinia, cui potevano aggiungersi delle strutture provvisorie, dove si commerciavano sia generi alimentari o comunque beni di prima necessità e merci più preziose.

Fruttivendolo sotto i portici: continua la vocazione commerciale del Mercato delle Scarpe (Ph Giuseppe Preianò)

Lo Statuto del 1263 informa che a sud della piazza sorgeva la Domus Calegariorum, la sede del Consorzio dei Caligari (Calzolai), ancora esistente nel 1331 al posto dell’attuale palazzo della Funicolare; in atti successivi rileviamo che in quella domus era ospitato anche il Paratico dei Beccai, ovvero dei Macellai.

Ed è possibile che queste corporazioni si riunissero in assemblea  presso l’aula della cattedrale di San Vincenzo,  utilizzata anche per i più diversi usi profani (adunanze dell’assemblea del Comune di Bergamo e di altri comuni della provincia; assemblee delle corporazioni o di associazioni; rogiti degli atti  notarili).

In epoca comunale le assemblee delle corporazioni (mestieri) si tenevano presso l’aula della cattedrale di San Vincenzo, utilizzata anche per i più diversi usi profani

Centro vitale di scambi e di commerci, il Mercato Vecchio era servito da una fontana trecentesca, con un arcone aperto sulla piazza.

Piazza Mercato delle Scarpe nel 1962, prima delle operazioni di recupero delle strutture essenziali della “Fontana Seca”, una sorgente-fontana romanica

Alimentata da una propria sorgente, è chiamata in documenti settecenteschi “Fontana secca” in quanto la modesta vena che scendeva dalla Rocca era esaurita ormai da tempo.

La Fontana o Fonte Seca (secca) fu incorporata dal 1491 nell’edificio del Tribunale dei Mercanti, distrutto nel Cinquecento per l’erezione di una cappella presto trasformata nella chiesa di San Rocco. Dopo aver ospitato un’installazione luminosa è oggi utilizzata come vetrina espositiva, mentre l’ambiente attiguo, oggi occupato dalla biblioteca rionale Gavazzeni, è ricordato intorno al 1775 come bottega di spezieria (Pasta, Pitture notabili in Bergamo)

 

Interno della trecentesca Fontana Seca

 

Prima delle operazioni di recupero delle strutture essenziali nel 1970, lo spazio della Fontana Seca è stato utilizzato anche come banco del lotto (Ph Giuseppe Preianò)

Analogamente, la vicinia di San Pancrazio aveva una sua fontana vicinale, ricordata dal Mazzi in luogo dell’attuale fontana cinquecentesca, e pure le vie Porta Dipinta, San Giacomo e Donizetti erano dotate di una propria fontana, che prendeva il nome dalla chiesa vicinale (chiese poi sostituite da edifici più imponenti). Con l’entrata in funzione dei moderni acquedotti nel 1880 per eliminare la piaga endemica del tifo, il loro impiego pratico quotidiano è venuto meno.

Fontana vicinale di San Giacomo, ancora esistente sotto la porta medioevale che collegava il traffico commerciale dalla pianura all’alta città

 

La Fontana di Sant’Andrea in via Porta Dipinta, risalente alla fine del XIII secolo, serviva all’approvvigionamento della vicinia di S. Andrea

 

Fontana vicinale di San Cassiano, in via Donizetti. Dal partitore del Mercato del Pesce l’Acquedotto Magistrale proseguiva il suo percorso al di sotto di via Donizetti, alimentando varie utenze e la fontana medioevale, con piccola cisterna, posizionata sul lato sinistro della via per chi scende verso la città nuova. L’acqua poteva essere prelevata da un rubinetto ora scomparso

DALLA DOMUS CALEGARIORUM A PALAZZO SUARDI

Intorno al 1353, sull’area già occupata dalla Domus Calegariorum et Becariorum Guidius de Suardis, che aveva ereditato dal padre il titolo di Conte Palatino (3) fece costruire l’attuale Palazzo della Funicolare, passato poco dopo alla famiglia Rota che lo rifabbricherà nelle forme attuali. Nell’Ottocento, divenuto proprietà del Comune, vi verrà realizzata la stazione superiore della funicolare per il collegamento fra la città alta e quella bassa (4).

Il palazzo edificato da Guidino Suardi a sud di Piazza Mercato delle Scarpe e rifabbricato nelle forme attuali dalla famiglia Rota, divenuto sede della stazione superiore della  funicolare. E’ caratterizzato dalle classiche aperture comunali alla base una per l’ingresso principale e le altre, probabilmente, per i negozi o i magazzini

In virtù della carica di Conte Palatino, ai Suardi e ai loro discendenti erano state accordate funzioni giudiziarie del più alto grado; funzioni – scrive il Mazzi – che potevano esigere una procedura di citazioni, come allora si usava, proclamate in pubblico in luoghi determinati.

Il Campanone, la torre cittadina per antonomasia, fu costruito dalla potentissima famiglia ghibellina dei Suardi durante le crude guerre di fazione, entrando poi in possesso del Comune di Bergamo. La sua architettura grezza e sommaria è tipica delle opere difensive gentilizie costruite in quel periodo

Per questa ragione Guidino Suardi costruì il palazzo, lo dotò di quello strano balconcino che ancor’oggi si vede sotto la finestra centrale della facciata – da cui annunciava sentenze e proclami – e pose al centro l’affresco con lo stemma della nobile casata, accesa sostenitrice del partito ghibellino dal Duecento in poi.

Dettaglio del palazzo eretto da Guidino Suardi in Mercato Vecchio (attuale piazza Mercato delle Scarpe). La ripresa risale alla fine dell’Ottocento

Nel cartiglio affrescato sulla facciata del palazzo è scritto: “VIM VI REPELLERE LICET” (è lecito reprimere la forza con la forza).

L’affresco riproduce lo stemma della nobile casata dei Suardi e l’effigie di Guidino Suardi con il copricapo rosso, posta dietro lo stemma del suo casato; attorno al cartiglio la scritta “VIM VI REPELLERE LICET” (E’ lecito reprimere la forza con la forza); sotto lo scudo spaccato con un aquila nera imperiale in campo giallo sopra e sotto un leone rampante campo rosso

L’edificio, che allora come oggi si sviluppava sulla piazza, sovrastava a sud le arcate di via degli Anditi, aveva un cortile centrale e, a meridione, altri corpi di fabbrica che sostituirono o inglobarono le case dei Terni.

Com’era il fronte sud del palazzo prima del rinnovo dell’arrivo della Funicolare. E’ ancora   visibile l’antico passaggio di ronda dell’antica via degli Anditi. Su questo versante, il palazzo primitivo aveva altri corpi di fabbrica che sostituirono o inglobarono le preesistenti case dei Terni

Proprio sul versante meridionale, il ritrovamento di un affresco quattrocentesco rivela che al primo piano del palazzo verso la pianura doveva esistere un ambiente dedicato alla preghiera, forse una cappella privata. Il soggetto, la Trinità con Cristo Crocefisso (verosimilmente un’immagine dedicatoria dipinta con tratto spontaneo da un buon artista, probabilmente  locale), riprende una tematica diffusasi nel XV secolo con Masaccio, rivelando con ciò una committenza colta. I fregi laterali e le affascinanti decorazioni presenti sulla parete ovest al piano terra dell’edificio, dovevano già esistere quando fu realizzata l’immagine sacra.

L’impianto medievale del palazzo è immediatamente riconoscibile nelle cinque arcate affacciate sulla piazza.

Il palazzo edificato da Guidino Suardi nel 1353, dalla fine dell’Ottocento stazione superiore della Funicolare, nel 1901. Ancor’oggi, con il suo aspetto severo di antico edificio, il palazzo conferisce alla piazza un’impronta di netto sapore medievale

L’effetto sfondato dato dalle scure imposte riecheggia la memoria dell’antico portico degli Orefici, dove sorgeva la bottega della famiglia Bustigalli.

Piazza Mercato delle Scarpe in una ripresa del 1910. Nella città medioevale i portici erano frequentissimi, soprattutto nelle piazze davanti alla chiesa vicinale ma anche ai crocicchi delle strade, costituendo insieme alle chiese la più rilevante fonte di reddito delle vicinie

E non è un caso che l’attigua vicinia di San Pancrazio, che nel medioevo costituiva un il ricco cuore mercantile della città, fosse detta “via degli orefici” (di cui S. Pancrazio era il protettore), per il gran numero di officine artigiane e di botteghe dedite a tale tipo di attività.

GUIDINO SUARDI E L’AFFRESCO DELL’ALBERO DELLA VITA IN S. MARIA MAGGIORE

Il Conte Palatino Guidino Suardì è l’autorevole personaggio inginocchiato ai piedi dell’affresco dell’Albero della vita (che egli stesso commissiona nel 1347) nella basilica di S. Maria Maggiore, dove occupa l’intera parete meridionale del transetto della chiesa, mentre la parte superiore è oggi nascosta da un dipinto secentesco di Pietro Liberi.

L’affresco dell’Albero della vita (oggetto della predicazione di San Bonaventura) nella basilica di Santa Maria Maggiore (basilica che costituiva una “chiesa doppia” con la cattedrale di San Vincenzo)

L’identità del personaggio ritratto nell’affresco è rivelata da un’iscrizione: “Dominus Guidius de Suardis”, uomo nobile e profondamente religioso, che ha ordinato l’esecuzione dell’affresco per sua devozione e, a sottolineare le proprie possibilità economiche, “suisque expensis”, a sue spese.

Fra le diverse immagini dei Santi raffigurati nell’Albero della vita, appare, ai piedi dello stesso il ritratto a figura intera di Guidius De Suardis inginocchiato, di dimensioni inferiori rispetto ai Santi, ad indicare un minor grado di dignità. Tuttavia, la rappresentazione di profilo secondo le convenzioni pittoriche del tempo attribuisce autorevolezza al personaggio, reso perfettamente riconoscibile dal meticoloso realismo del volto. Secondo la moda del tempo, l’abito presenta le sontuose maniche bordate di pelliccia, il cappuccio rifinito dal becchetto, un basso cinturone e una borsa, simbolo di ricchezza

Il fatto stesso che potesse disporre di un’intera parete della maggiore chiesa cittadina, la cappella civica voluta dal Comune, non lascia dubbi sulla considerazione di cui godeva presso le autorità civili e religiose del suo tempo (5).

Scritta apposta all’Albero della vita

PIAZZA MERCATO DELLE SCARPE, LA FONTE SECA E LA CAMERA DEI MERCANTI

E fu proprio alla fine del Trecento che la piazza acquisì l’attuale denominazione di Mercato delle Scarpe, in un periodo in cui le vie e le piazze, nei vari settori cittadini, erano nominate a seconda dei differenti caratteri merceologici che vi si svolgevano.

Ancor’oggi, le piazze dislocate lungo le attuali vie Gombito e Colleoni, asse viario principale della città, mantengono la loro spiccata vocazione commerciale, distinte per singoli settori merceologici: oltre a Piazza Mercato delle Scarpe, il Mercato del Fieno, il Mercato del Pesce  e Piazza del Lino, oggi Mascheroni

Solo per qualche tempo, scrive l’Angelini, la piazza prese il nome di Mercato delle Biade, forse per il mutato genere dell’attività commerciale che vi si svolgeva, e che poi che passò in un apposito fabbricato nella zona della Fiera, come appare in una nota incisione ottocentesca di Giuseppe Berlendis.

A sinistra il mercato delle granaglie in Piazza Baroni nei pressi della Fiera (costruito nel 1821 al posto del “tezzone” del salnitro) ed abbattuto nel 1838 per la costruzione della Strada Ferdinandea, attuale Viale Vittorio Emanuele II (incisione di Giuseppe Berlendis)

Dal 1491, nell’angolo a nord della piazza, sopra la Fonte Seca comparve la sede della Camera dei Mercanti, istituzione volta a regolare le attività di scambio in città, a riconferma della vocazione sostanzialmente commerciale della piazza stessa.

Spesso ricordata come Tribunale dei Mercanti, fin dal Quattrocento  incrementava la funzione giurisdizionale dei Consoli mercantili (giudici a tutti gli effetti, cui rivolgersi per ogni tipo di controversia commerciale), affiancando già dal secolo successivo il Podestà nell’amministrazione della città. In epoca napoleonica si evolse in Camera di Commercio e dopo aver mutato più volte sede trovò una sistemazione definitiva nella Città Bassa.

Ma in seguito all’epidemia di peste che aveva colpito la città nel 1513,  il locale occupato dalla Camera dei Mercanti fu trasformato in cappella come ex-voto alla Madonna, e la sede della Camera trasferita altrove. Solo dopo varie trasformazioni e vicissitudini la primitiva cappelletta fu dedicata a San Rocco,  invocato soprattutto contro la peste.  Dopo una lunga serie di traversie, venne definitivamente sconsacrata nel 1927, trovandosi oggi in condizione di notevole degrado ed abbandono.

L’ex chiesa di S. Rocco, inizialmente dedicata alla Madonna, sorge in luogo dell’antico Tribunale dei Mercanti, edificato sull’arcata della Fonte Seca, una sorgente-fontana trecentesca

LA CISTERNA QUATTROCENTESCA

Riferisce padre Donato Calvi che nel 1485, a causa della scarsità d’acqua che spesso affliggeva la città a causa delle sorgenti inaridite e per le poche piogge, il Maggior Consiglio elesse due delegati perché esaminassero la situazione e indicassero i luoghi dove costruire cinque pozzi o cisterne da destinare all’uso pubblico. Tra i luoghi scelti, una grande cisterna fu costruita su progetto dell’arch. Alessio Agliardi al di sotto del Mercato delle Scarpe, capace di contenere fino a 25.000 brente bergamasche, ossia qualcosa come 1.170 metri cubi d’acqua, “con beneficio singolarissimo della Città per tutte le contingenze”. Il serbatoio veniva alimentato dall’Acquedotto Magistrale che scendeva per via Donizetti e proseguiva per via Porta Dipinta.

La cisterna del Mercato delle Scarpe, all’imbocco di via Porta Dipinta (litografia di G. Elena eseguita verso il 1870. Racc. Sozzi Vimercati – Biblioteca Civica A. Mai)

L’acqua, prima di riversarsi nella cisterna era scaricata in un sistema di vasche di decantazione che circondano ancor’oggi la cisterna.

La cisterna costruita su progetto dell’arch. Alessio Agliardi sotto il livello di Piazza Mercato delle Scarpe nel 1485, per decreto del Consiglio cittadino

 

La “pigna”, oggi scomparsa, sopra la testata della fontana

L’EDICOLA LIGNEA

In angolo con via Rocca, sulla spalla dell’arcata medioevale della Fontana Seca è ancora presente una Madonna con Bambino circondata da angeli, racchiusi in un’edicola lignea sormontata da un timpano.

Il dipinto, dalla composizione aggraziata e dalle armoniose tonalità di colore, raffigura una dolce Madonna dal manto azzurro a risvolti chiari e abito rosso, con il Bimbo seduto in grembo e, in alto, due angioletti musicanti “di ricordo belliniano che ravvivano di gentile grazia lo spazio di un cielo a nuvolette bianche su fondo blu cobalto, tipico della pittura veneta del Rinascimento”: tutti elementi che fanno assegnare l’epoca di esecuzione al secondo decennio del Cinquecento (quando, a detta del Calvi, fu innalzata la chiesetta).

L’antica edicola lignea affissa sulla parete esterna della chiesa di S. Rocco (lato piazza Mercato delle Scarpe) con l’affresco raffigurante una Madonna con Bambino circondata da angeli, immersi in un paesaggio con arbusti e due pavoncelle nella parte bassa

“L’atteggiamento delle figure e soprattutto il tono veneto previtalesco del cielo e gli angeli musicanti rivelano la mano di artista bergamasco del primo Cinquecento influenzato dall’arte veneziana, forse di un Baschenis o di uno Scanardi per quel certo gusto paesano, oppure di un previtalesco oppure ancora, forse, di quel pittore brembano, Giacomo Gavazzi da Poscante che, in un polittico della chiesetta di S. Sebastiano in Nembro compose ai piedi della Madonna due angioletti che presentano analogie e affinità di segno e di forma con questo affresco” (6).

I PALAZZI NOBILIARI

Tra via Porta Dipinta e via S. Giacomo si registra un’elevata concentrazione di palazzi nobiliari, disposti lungo le due principali strade di accesso dalla Città Bassa al centro politico-amministrativo. Molti di questi palazzi, soprattutto nel caso di via Porta Dipinta, vengono realizzati a partire dalla fine del Cinquecento, occupando l’area resa disponibile dallo spostamento più a sud della nuova cinta muraria: quella veneziana.

Scorcio di piazza Mercato delle Scarpe nel 1908, con il settecentesco Palazzo Gavazzeni in primo piano, residenza del famoso direttore d’orchestra. Scendendo lungo la via Porta Dipinta s’incontrano palazzi costruiti a partire dal Cinquecento (Casa Bani, Palazzo Ponte, Palazzo Grumelli-Pedrocca, Palazzo Pesenti, Palazzo Moroni, Palazzo Pelliccioli, solo per citarne alcuni), mentre proseguendo per via Pignolo comincia la serie dei palazzi gentilizi sorti nel Cinquecento. Nel corso dei secoli, via Porta Dipinta ha perso gli affreschi esterni sulle case, che le donavano una nota tutta particolare. Al di là di qualche superstite traccia, resta solo la memoria nel nome della via, un tempo la strada per Venezia

Queste nuove aree edificabili erano rese particolarmente appetibili dalla posizione dominante verso la città bassa e la pianura e l’ottima esposizione solare, condizioni a cui si aggiungerà successivamente anche la possibilità di inglobare sotto forma di giardini e terrazze le aree libere alle spalle dei bastioni.

Lungo via San Giacomo Al n. 12 si innalza Palazzo Radici e ai n. 18 e 20 si incontra Palazzo Colleoni. Sul lato destro si trova Palazzo Polli-Stoppani, edificato attorno al 1500 su progetto di Pietro Isabello e poi ristrutturato nel XVII secolo; venne acquistato da Vittorio Polli nel 1960 per farne  la residenza principale sua e di sua moglie Anna Maria Stoppani. Fu costruito aggrappato direttamente sulla roccia di Città alta, godendo anche dell’accesso diretto ad una fonte d’acqua. In vista della porta, sull’angolo a sinistra si innalza l’imponente Palazzo Medolago Albani, edificio di stile chiaramente neoclassico costruito fra il 1783 e il 1791 su progetto dell’architetto ticinese Simone Cantoni

L’ARRIVO DELLA FUNICOLARE

Il fronte del palazzo della Funicolare nel 1910 (a sinistra) e nel 1889 (a destra)

Nel 1887 il palazzo (palazzo Gritti alla fine dell’800 ha subito radicali cambiamenti per la realizzazione della stazione superiore della funicolare.

L’antico impianto della Funicolare di collegamento tra la città alta e quella bassa, nel tratto superiore

Un collegamento rapido fra le due “Bergamo” era stato sollecitato dagli abitanti di Città alta, timorosi che il recente sviluppo della parte moderna ‐ dovuto al progressivo spostamento al piano di tutte le attività economiche e amministrative –, potesse isolare quello che, fino alla seconda metà dell’Ottocento era stata “la Città”.

Con l’arrivo della funicolare, il cortile del palazzo fu trasformato con una copertura in vetro, mentre il fronte sulle Mura, affacciato sulla pianura, venne ammodernato attraverso un panoramico loggiato a terrazza in stile neogotico, di richiamo a quello originale.

La stazione superiore della Funicolare di Città Alta in una stampa del 1888, con il panoramico terrazzo-restaurant in stile neogotico e con vista affacciato sulle Mura

Il giardino venne riempito con terreno di riporto e fu sbrecciato il muro di sostegno con grande arco, probabilmente parte delle mura medioevali, eliminato insieme al ponticello con l’ammodernamento del 1921-’22.

A sinistra, il percorso primitivo della funicolare: vi era il ponticello che consentiva ancora di utilizzare l’antichissima via degli Anditi. A destra, dopo la trasformazione del 1921, il ponticello non esiste più e sono visibili le due vetture “panoramiche”

UNA CURIOSITA’

Per oltre un secolo un’edicoletta ha occupato un angolo della piazza, all’uscita della stazione della Funicolare.

Oggi la rivendita dei giornali è, come tutti sappiamo, all’interno della stazione stessa.

 

Note

(1) La strada per Brescia passava da Seriate e Telgate mentre la strada per Milano passato Verdello superava il Brembo a Marne, dove tuttora esistono i resti di un ponte a due arcate di probabile origine romana.

(2) Luigi Angelini, Il volto di Bergamo nei secoli, Bolis, 1952.

(3) Guido o Guidino Suardi era il figlio primogenito di Teutaldo, importante personaggio politico che il 20 gennaio 1330 a Trento ricevette da Lodovico il Bavaro l’investitura di Conte Palatino, carica da esercitarsi nel contado di Bergamo e titolo trasmissibile ai discendenti. Teutaldo, da Caterina, di cui non si conosce il casato, aveva avuto sei figli: due, Guglielmo detto Minolo e Romelio detto Mazolo, che troviamo decorati col titolo “Milites imperiales”, altri due, Giovanni e Simone qualificati come “Legum doctores”, Giacomo, ed infine il nostro Guidino che aveva sposato Tomasina, figlia di un altro eminente personaggio politico, Matteo o Maffeo Foresti, che a Trento come Teutaldo, nella stessa data, venne nominato Conte Palatino per il territorio di Brescia.

(4) In un documento del 1353 concernente i confini della vicinia di san Cassiano, troviamo “per ipsum mercatum usque a cantonum domus Calegariorum et Becariorum quondam et modo est domus habitationis heredum domini Guidi de Suardis quam fecit levari super ipso mercato”.

(5) Andreina Franchi Loiri Locatelli per la rubrica Bergano scomparsa, insieme alle tre immagini relative all’Albero della vita.

(6) Luigi Angelini, Un affresco cinquecentesco sul Mercato delle Scarpe, in “Cose belle di casa nostra: Testimonianze d’arte e di storia in Bergamo”, Stamperia Conti, Bergamo, 1955, pagg. da 90 a 92.

Riferimenti principali

Vanni Zanella, Bergamo Città, 2ª edizione, Azienda Autonoma di Turismo, Bergamo, 1977, pagg. da 31 a 33.

Inventario dei Beni Culturali Ambientali del Comune di Bergamo: Volume 7 Città Alta schede nn. 0203316 e 0203316 bis.

Luigi Angelini, Il volto di Bergamo nei secoli, Bolis, 1952.

Liliana Moretti – Schede del Mercantico. Biblioteca Gavazzeni, Piazza Mercato delle Scarpe, Bergamo.

Luigi Angelini, Cose belle di casa nostra: Testimonianze d’arte e di storia in Bergamo, Stamperia Conti, Bergamo, 1955.

Arnaldo Gualandris, La Città Dipinta – Affreschi, Dipinti Murali, Insegne di Bergamo Alta. Hoepli, 2008.

Storia e suggestioni della chiesa di S. Rocco, tra via Rocca e piazza Mercato delle Scarpe

Scorcio sull’imbocco di via Rocca, con ingresso della chiesa di San Rocco posta  accanto a uno dei palazzi più antichi della città. Un susseguirsi di 6 archi e porte, di cui due murate (le cosiddette “porte del morto”), caratterizza la casa che fu la prima sede della Misericordia Maggiore fondata nel 1265 da P. Pinamonte da Brembate (Ph Alfonso Modonesi)

A pochi passi dalla stazione della funicolare di Bergamo Alta, allo snodo tra via Rocca e piazza Mercato delle Scarpe, l’ex chiesa di S. Rocco, gioiello nascosto e dimenticato dell’architettura sacra cittadina, fa capolino al di sopra di un antica fontana trecentesca.

Eretta nel primo ‘500 come ex-voto alla Madonna in seguito all’epidemia di peste che aveva colpito la città, solo più tardi, e dopo varie trasformazioni e vicissitudini, venne dedicata a San Rocco, caro alla popolazione per le sue facoltà taumaturgiche e invocato soprattutto contro la peste (unitamente a San Sebastiano). Proprio in quell’anno la città faceva voto, durante una pestilenza, di celebrare con una processione annuale al 16 agosto la devozione a S. Rocco protettore.

In un periodo di continue e violente epidemie, il culto a San Rocco si era irradiato da Venezia ai domini della terraferma, dove si era talmente diffuso da essere, nel 1575, il santo più invocato dell’intera bergamasca per numero di edifici religiosi ad esso dedicati (si pensi anche solo alle chiese di Castagneta, Fontana, via Broseta e alle tante edicole votive esistenti): solo il contagio del 1630, la famosa peste manzoniana, contò circa 9000 morti su di una popolazione complessiva di 27.000 abitanti.

La chiesa di San Rocco in via Broseta

Il sacro edificio all’angolo tra via Rocca e il Mercato delle Scarpe ha attraversato diverse vicende della storia della città: da tribunale mercantile nel Medioevo a cappelletta ed infine a chiesa, fu poi sconsacrato e a lungo inutilizzato nonostante un’intensa opera di sensibilizzazione volta al recupero, da parte di un attivo comitato di cittadini della circoscrizione, e nonostante la temporanea riapertura, avvenuta nel 2014 in occasione di  un allestimento artistico ideato per riaccendere l’interesse intorno alle sorti della ex chiesetta.

L’ex chiesa (Oratorio) di S. Rocco, inizialmente dedicata alla Madonna, sorge in luogo dell’antico Tribunale dei Mercanti, edificato sull’arcata della Fonte Seca, una sorgente-fontana trecentesca. Alta due piani, la chiesa  è formata da un corpo semplice a pianta rettangolare irregolare

In quell’occasione, dal disfacimento dovuto ad un abbandono protrattosi per ottantant’anni la chiesa era riemersa dall’oblio con il suo lungo corollario storico, i sui silenzi e la forza impressa dalle mille suggestioni trasmesse dal percorso espositivo, che mediante una passerella sospesa permetteva ai visitatori di fruire della fragile struttura interna e saggiare una gamma di emozioni accresciute da una colonna sonora creata ad hoc.

Rivissuta grazie all’iniziativa di Contemporary locus, la chiesa era stata riaperta al pubblico il 17 maggio 2014 per ospitare le installazioni artistiche dell’italiana Margherita Moscardini e della sound artist e compositrice inglese Jo Thomas, invitate a ideare e sviluppare un lavoro “site specific” per questo fragile luogo che racchiude secoli di storia e di silenzi. Per l’occasione, una passerella metallica attraversava la chiesa fin d’ingresso in via Rocca, restringendosi a cuneo fino a “bucare” la finestra affacciata sulla piazza

 

La cupola e la passerella metallica allestita tra la primavera e l’estate del 2014

Ancora nella prima metà del secolo scorso, nel giorno della ricorrenza di San Rocco, il 16 agosto, la porta della chiesetta veniva riaperta e per l’occasione gli abitanti di via Rocca si adoperavano per rendere la festa più solenne e gioiosa.

Racimolato il denaro per far celebrare una messa serale seguita da una solenne benedizione e da un seppur modesto concerto bandistico, predisponevano i preparativi per illuminare la via con un centinario di gusci di lumaca colmi d’olio, disseminati tra l’ingresso della chiesa e i davanzali delle finestre, dove venivano accesi sin dalla serata precedente la festa.

Via Rocca e le porte del morto nella raccolta Gaffuri. All’altezza del primo piano di quella che fu la prima sede della Misericordia Maggiore, campeggia uno stemma araldico (non visibile) diviso in due parti da una linea curva: nella superiore una figura umana che ha l’aspetto di un corpulento mastro di posta come talvolta si vede in alcuni dipinti fiamminghi, in quella inferiore due corni di posta incrociati

Oggi la chiesetta è ancora lì, silente all’angolo tra il Mercato delle Scarpe e l’erta salita che inerpica alla Rocca, “sospesa” sopra il solido arcone di dura arenaria di un’antica sorgente-fontana, poi prosciugata, che anticamente zampillava su una piazza ricca di suoni, voci e odori persistenti, come quello dell’attigua spezieria; fontana che, alla fine del Cinquecento, per soddisfare l’accresciuto fabbisogno era stata affiancata da una grande cisterna, costruita sotto il livello della piazza e presente ancor’oggi all’imbocco di via Porta Dipinta.

La chiesa di San Rocco nella veduta di Alvise Cima, inserita in un fabbricato con alla base la trecentesca Fonte Seca (quest’ultima, visibile solo nella tela del Museo, data la posizione ostica della chiesa) il cui arcone anticipava il serbatoio. L’ingresso della chiesa è tuttora rivolto verso via Rocca, dietro un angolo e appena sopra l’imbocco della salita

Come detto, la chiesa era sorta come cappella nel 1513 in luogo di un’antica corporazione di mercanti come ex-voto alla Madonna, in seguito all’epidemia di peste che aveva colpito la città (1).

Scorcio sulla chiesa di San Rocco in piazza Mercato delle Scarpe nel 1961. Sotto, la santella con l’affresco cinquecentesco e a fianco le tre arcate oggi corrispondenti alla trecentesca Fonte Seca (non ancora recuperata) e i locali della biblioteca rionale Gavazzeni

Cappella che nel 1577 fu dichiarata vicinale e che il 4 aprile del ‘79 fu adattata “in forma di picciola chiesa” ed affidata dal 1580 alla locale Confraternita di San Rocco, la quale, “notabilmente accresciuta”, chiese ed ottenne dal Pontefice l’annessione alla Confraternita di Roma, insieme ai relativi privilegi, indulgenze e statuti.

Ex chiesa di San Rocco, interno

Se la visita pastorale di S. Carlo Borromeo nel 1572 testimoniava che la messa vi veniva celebrata solo saltuariamente (trattandosi per lo più di funzioni private, su commissione), con la Confraternita di San Rocco – tra le più prestigiose in Bergamo, perché composta da molti nobili – era consentita la celebrazione della messa quotidiana e di due messe domenicali; vi si teneva la dottrina e nei venerdì di Quaresima si dava spazio ad un predicatore.

Nel corso dei secoli l’interno dell’Oratorio non ha subito modifiche di particolare importanza (se si eccettua la decorazione a stucchi nel secolo XVII, citata da Luigi Angelini), anche se la visita pastorale di S. Carlo Borromeo testimonia che il modesto edificio doveva avere due non ben precisate aperture (“aperto da due lati con un solo altare in ornato”), oggi non più riscontrabili.

Databili al 1856 gli affreschi, ora non più identificabili, di Giacomo Gritti

All’interno, dotato di un solo piccolo altare, si conservavano le reliquie del Santo (non più rintracciabili) e colui che vi faceva celebrare la S. Messa riceveva delle indulgenze speciali. Per tale motivo lo spazio privilegiato dell’altare doveva essere interamente occupato una “pietra” sacra di marmo (da uno scritto del 31 marzo 1661), che poteva essere spostata verso l’alto, come informa un documento del 1666.

Ex chiesa di San Rocco, altare

La pala d’altare, commissionata nel 1588 a Pietro Ronzelli (La Vergine addolorata e i Santi Rocco e Sebastiano) venne trasferita presso la Quadreria della Cattedrale.

Tra i beni artistici della ex chiesa, la pala d’altare di Pietro Ronzelli del 1588 (La Vergine addolorata e i Santi Rocco e Sebastiano, olio su tela cm 160×120), trasferita presso la Quadreria della Cattedrale

Dietro la parete destra rispetto all’ingresso in via Rocca sono ancora visibili i resti di un organo di cui si sono perse le tracce.

Nel 1697 si ha notizia della soppressione (una probabile e temporanea “sconsacrazione”) della piccola chiesa, che rimase in tale condizione sino al 1884, dopodiché l’edificio fu oggetto di alterne vicende.

Il degrado avanzato della cupola di forma ellittica

L’attuale impianto, comprensivo di una piccola cella campanaria a pianta quadrata e con quattro aperture a tutto sesto, un’alta cornice e copertura a padiglione, deriva dalla modifica apportata nel 1630, anno in cui si verificò a Bergamo un altro contagio di peste.

Il campaniletto, antistante un lacerto d’affresco posto sulla parete dietro la chiesa

Il Pasta, nelle Pitture notabili in Bergamo, descrivendo le chiese cittadine nel 1775 accenna alla “picciola, ma pur galante e gentile chiesuola di S. Rocco”; chiesa che alla fine del ‘700 venne riaperta al culto grazie alla famiglia Salvioni, potente e nobile famiglia bergamasca.

Dalla visita pastorale del 28 Luglio 1835 (proprietaria della chiesa è ancora la famiglia Salvioni), risulta che “L’Oratorio è in lodevole stato, ad eccezione dei banchi, del vecchio confessionale e della volta della chiesa che devono essere riparati”.

Infine, nel 1856 venne abbellita con affreschi (ora non più identificabili) eseguiti da Giacomo Gritti.

A seguito della probabile caduta in disgrazia della famiglia Salvioni, la chiesa fu nuovamente abbandonata per essere definitivamente sconsacrata nel 1927.

La chiesa di San Rocco e le porte del morto (incisione Carlo Scarpanti)

Attualmente di proprietà comunale, si trova in condizione di notevole degrado ed abbandono, ma ancora capace di sprigionare una sua particolare forza evocativa.

Note

(1) Padre Donato Calvi, nelle sue “Effemeridi” riporta la data del 14 novembre 1513, data do cui ricorda la demolizione avvenuta sopra la fontana di quella antica costruzione per l’erezione della chiesetta tuttora esistente.

Riferimenti

Alberto Castoldi, Bergamo e il suo territorio. Ed. Bolis, 2004.

Rossi Tiziana, Vanoncini Barbara, Carcano Rossella, Spanò Giovanna, Chiesa di San Rocco di piazza Mercato delle Scarpe.  Corso di Restauro Politecnico di Milano ‐ Dip. di Conservazione e storia dell’architettura. In Schede del Mercantico, Biblioteca Gavazzeni, Bergamo Alta.

Camillo Pedretti, Una sbirciata al passato. Manoscritto, 2006.

Tosca Rossi, A volo d’uccello – Bergamo nelle vedute di Alvise Cima – Analisi della rappresentazione della città trà XVI e XVIII secolo, Litostampa, Bergamo, 2012.