Da Valmarina al sentiero dei Vasi, fra natura, storia e trekking

A coronamento del centro storico di Bergamo, esiste un vasto territorio collinare fatto di campi, prati e boschi, costellato di antiche vestigia e innervato da una fitta rete di bucolici percorsi, sentieri, viottoli e scalette.
Il percorso qui proposto, compreso fra le località di Valmarina e Castagneta lungo il versante orientale della collina, conduce alla riscoperta di una delle porzioni più suggestive di questo meraviglioso patrimonio paesaggistico di natura e cultura.
Si tratta di un itinerario che oltre a costituire una variante al classico tour ciclopedonale Green Way del Morla – Sentiero di Ilaria (ciclovia dei torrenti Morla e Quisa), consente di muoversi in un ambiente che conserva, all’interno di un considerevole patrimonio faunistico e floristico, la presenza di edifici rurali e manufatti storici di pregio quali l’ex monastero benedettino in Valmarina e i manufatti dell’acquedotto dei Vasi, l’impianto che per secoli ha costituito parte integrante della primitiva rete di distribuzione delle acque della città di Bergamo. L’acquedotto, di cui le prese d’acqua sono già documentate e rilevate in alcuni manoscritti del Settecento, raccoglie lungo il suo tragitto le acque sorgive dislocate tra gli avvallamenti boscosi posti dalle pendici del Monte Bastia ai fianchi del crinale, spingendosi sin verso Valmarina, da cui risale per Gallina e Castagneta.
Il nostro itinerario, attraversando pressoché interamente un’area boschiva consente di praticare agevolmente attività sportive anche nella stagione più torrida.

Il percorso ideale qui proposto si diparte dal tratto della Green Way del Morla che si innesta da via Maironi da Ponte nella località di Valverde, giungendo a Valmarina all’ombra delle pendici boscose di Castagneta ed assecondando le pieghe del torrente tra ponti e divertenti passerelle lignee.

Lungo la Green Way del Morla, in vista di Valmarina

La vista si apre all’improvviso sul grandioso anfiteatro di Valmarina, accarezzando le morbide pendenze su cui poggia l’antico monastero, magicamente sospeso fra prati, boschi rigogliosi e terrazze tenute a vite.

L’ex monastero di Santa Maria in Valmarina, tra boschi e vigneti

Non troppo distante dalla viabilità principale, ma lontano quanto basta da costituire un’oasi a parte, l’antico monastero campeggia placido nella radura, splendidamente fuso con il tessuto che lo circonda in verde abbraccio.

L’ex monastero di Santa Maria in Valmarina, al confine tra la città e la località Ramera, in territorio di Ponteranica, è posto alle pendici del versante nord-orientale del Colle ed è oggi sede del Parco dei Colli di Bergamo

Fra scorci di rara bellezza, il suo caldo color nocciola – ancor più vivo quando il sole lo accarezza – è come un bagno tiepido e benefico per gli occhi, invitandoci alla sosta.

Fondato nel XII secolo da una piccola comunità di monache benedettine è oggi sede del centro direzionale del Parco dei Colli, al centro di un ambiente ideale dove natura, cultura e attività sportive si coniugano in perfetta armonia.

Cascina Valmarina

In questa splendida conca suburbana – irrinunciabile polmone verde cittadino – l’antico monastero esibisce i due momenti salienti della sua storia secolare, mostrando i locali “canonici” della vita benedettina e cioè la chiesa, il refettorio e la sala del capitolo – il lato interamente affacciato sulla strada per la Val Brembana -, con le aggiunte realizzate dalla fine del Settecento per adattare il complesso ad aia rustica.

Dalla fine del Quattrocento, da quando le monache si trasferirono dentro le muraine, il monastero ormai abbandonato fu riadattato a cascina, subendo interventi che ne snaturarono soprattutto la parte interna.

Il nucleo originario romanico è quello esteso lungo il lato orientale, affacciato sulla strada provinciale, formato dal lungo braccio che si unisce alla chiesa (da tempo privata delle decorazioni ad affresco medioevali), valorizzato dal recente restauro

Dalla fine del Settecento dunque, l’aggiunta progressiva di nuove volumetrie ha finito col raddoppiare le dimensioni dell’antico recinto fino a formare la grande corte chiusa che vediamo oggi: una tipologia inconsueta in una  zona collinare – qual è quella di Valmarina -, dove le cascine hanno generalmente i corpi di fabbrica giustapposti, disposti a L, oppure contrapposti.

Comunque sia, specialmente nel  lato est il complesso conserva ancora un notevole fascino, con ciò che resta della primitiva chiesetta romanica incorporata nello spigolo settentrionale del complesso.

L’ex chiesa di Santa Maria in Valmarina

La parete piena e compatta della chiesa è alleggerita da due elegantissime monofore, dallo slancio quasi gotico, separate da una lesena sottile entro la quale alcune porzioni di calda arenaria richiamano la parte superiore delle monofore.

Al di sopra di queste, due piccoli oculi catturano la luce dall’esterno e allo stesso tempo ammiccano verso valle, quasi a richiamare l’attenzione verso il bel monastero, intriso di storia secolare.

Il porticato, addossato al nucleo originario, trova precisa corrispondenza in complessi rustici che ritroviamo in diversi punti del territorio, dalle pendici della Maresana al castello della Moretta, in quel di Sorisole.

All’interno, fra un anfratto e l’altro sono conservati gli antichi arnesi impiegati nelle attività rurali e la loro semplicità riporta piacevolmente alla memoria quei frangenti di vita contadina vissuti in questo luogo sino a pochi decenni or sono.

 

 

 

 

 

Dall’osservazione dei particolari, emerge con chiarezza la filosofia che ha accompagnato ogni fase del magistrale restauro, che ha saputo calibrare perfettamente la conservazione di ogni singola parte con i nuovi adattamenti,  mantenendo intatto il fascino e le suggestioni del manufatto antico.

 

 

Lasciata alle spalle questa piccola valle della Biodiversità – consorella della valletta di Astino – dove è preservato anche il più minuscolo gambero di fiume,  imbocchiamo in salita la vera via dei Vasi, un viottolo a tornanti da non confondere con l’omonimo sentiero che frequentiamo abitualmente nei fine settimana, e che raccorda Valmarina alla località Cascina Costa, situata nella parte mediana di via Ramera.

“Questa” via dei Vasi, è così nominata perché il suo tracciato cela un condotto dell’antico acquedotto che da Valmarina, proprio al di sopra dell’antico monastero, si dirige sino all’uschiolo della valle dei Romanelli (di cui oggi si sono perse le tracce), concludendosi  in località Gallina.

Via dei Vasi costituisce il tratto di raccordo tra la Valmarina e la parte mediana di via Ramera (località Cascina Costa). Il condotto di Valmarina, di poco al di sopra del monastero lungo via dei Vasi, presenta un uschiolo di ispezione e una  cisterna per la raccolta delle acque. Da qui risale sino alla località Gallina per poi percorrere via Castagneta ed infilarsi nella cisterna interrata nel baluardo di S. Alessandro

Dopo aver percorso la piccola serie di tornanti che si snodano fra la boscaglia, si raggiunge località Cascina Costa con il breve slargo posto a crocevia fra la ciclopedonale della Quisa e la via Ramera.

Pieghiamo decisamente verso la parte alta di via Ramera, che si impenna impietosamente lasciando brevi attimi di respiro ma ripagandoci, almeno inizialmente, con una vista impagabile su Valmarina.

Percorriamo l’ertissima salita sino alle pendici del Monte Bastia, e cioè sino a che non incontriamo la “cisterna del fontanino”: una fonte oggi ridotta a un rivolo, alimentata dalle sorgenti della Noce e dallo Scudo. Qui un pannello illustrativo indica l’inizio del sentiero 912, che procedendo in leggera pendenza lungo la valle della Costa ricalca il percorso dell’acquedotto lungo il Sentiero dei Vasi, percorso interamente boschivo che si raccorda alla località Gallina, in quel di Castagneta.

I pannello illustrativo ubicato lungo il bordo settentrionale di via Ramera, da cui prende avvio il sentiero 912, ricalca il tracciato dell’antica “via dei Vasi” – i Vatia” -, già citati in un documento del 1013 ed utilizzati in età viscontea per alimentare la grandiosa cisterna del Fontanone (ex Ateneo). Dalla sorgente di origine (Sorgente della Noce, 435 m s.l.m.) sino a porta S. Alessandro (365 m s.l.m.) l’acquedotto copriva un dislivello di 70 metri

Il tracciato del sentiero 912, un percorso ombreggiato e pianeggiante, ideale per attività sportive svolte en plein air, coincide con l’antica  “via del Canale”, secondo la denominazione riportata nelle mappe catastali del 1853.

Lungo il sentiero dei Vasi

 

Lungo il sentiero dei Vasi

VASO è un termine antico per indicare un canale adibito al trasporto dell’acqua: entrambe le denominazioni indicano appunto con evidenza la presenza in loco di un acquedotto, il cui tracciato, benché testimoniato già in epoca medievale, ricalca probabilmente il percorso di un precedente manufatto di epoca romana.

Lungo il “Sentiero dei Vasi”, un percorso ombreggiato in falsopiano, ricalcante il tracciato dell’omonimo acquedotto che riforniva la città

Lungo il sentiero è possibile osservare alcune parti dell’antico manufatto, che nonostante la condizione di attuale abbandono ancora denota la cura che nei secoli passati si riservava ad opere decisive come quelle idriche: il vaso maestro (la condotta principale), cisterne di raccolta e decantazione, uschioli d’ispezione, tombini, lastricati nonché un interessante sistema di condutture minori, in parte sopravvissute, che raccoglievano le acque delle sorgenti convogliandole dalle vallette nel “Vaso” principale.

Il primo uschiolo d’ispezione, con l’accesso al canale ed alla vasca di decantazione s’incontra al termine della gradinata da cui prende avvio il sentiero dei Vasi. Il secondo uschiolo è quello, già osservato, ubicato in Valmarina

 

I canali (realizzati in blocchi squadrati di pietra legati con malta di calce e cocciopesto) presentano mediamente di 25 x 40 cm; ogni canale era inserito in un cunicolo ispezionabile di 90 cm d’altezza e 70 cm di larghezza controllato periodicamente dai “fontanari”, gli addetti alla manutenzione di acquedotti e fontane, che ancora sul finire dell’800 ivi svolgevano lavori di manutenzione e restauro.

Le relazioni dei fontanari incaricati dei lavori, a noi pervenute, sono fonti preziose per lo studio del percorso, delle modalità e delle tecniche usate per la pulitura e le riparazioni

Lo apprendiamo grazie ad alcune date incise nei cunicoli che tuttora si snodano, in eccezionale stato di conservazione, negli orti delle case “Colombà” lungo la via Castagneta.

 

Un tratto della condotta principale (Vaso maestro) esistente lungo il sentiero dei Vasi, in cui confluiscono, tramite condotte minori, le acque delle sorgenti. Lungo il pavimento v’è come un invaso di modeste dimensioni utilizzato per convogliare l’acqua

Una lapide inserita nel muro medioevale, in prossimità della località Gallina, ricorda che nel 1329 il podestà Beccaro Beccaris provvide a far effettuare la pulitura dell’acquedotto di Castagneta.

Lapide in località Gallina di Castagneta

Presso una casa, sempre in località Gallina è stata rinvenuta una traccia della scritta AQ che dal 1728 costituiva, talvolta accompagnata da una croce, la sigla identificativa di tutti gli acquedotti facenti capo alla città di Bergamo.

L’iscrizione “AQ” denota la presenza del manufatto lungo il percorso dell’acquedotto dei Vasi

Lungo il sentiero, il bosco, ricchissimo di Castagni e funghi, attira sovente nella mite e variopinta stagione autunnale, intere comitive intente alla raccolta.

Raggiunta l’estremità meridionale del sentiero dei Vasi in località Gallina all’altezza del segnavia 912, il condotto, ricongiungendosi con il canale proveniente dalla sezione inferiore di via Castagneta, si dirige verso la cisterna del baluardo di S. Alessandro percorrendo il nucleo di Castagneta.

L’imbocco del Sentiero dei Vasi in località Gallina di Castagneta

 

Il segnavia che raccorda la località Gallina a via Ramera

Entrambi gli insediamenti, allungati lungo la strada percorsa attraverso i secoli dall’acquedotto dei Vasi, presentano i caratteri tipici della zona collinare di Bergamo.

Castagneta, località Gallina

 

Castagneta, località Gallina

Dalla località Gallina, l’acquedotto inizia, tra tratti incerti e non, a seguire il percorso di via Castagneta sino a via Beltrami, che percorre per un breve tratto, prima di infilarsi nelle Mura, attraversandole nello spalto di S. Pietro.

Fuoriesce poi nella seguente via Sforza Pallavicino, dov’è rimasta un’antica fontana.

Da qui riattraversa la via Beltrami, passa davanti alla polveriera superiore, attraversa il vicolo Colle, e attraversando il baluardo di S. Gottardo raggiunge la porta di S. Alessandro; la percorre lungo la parte superiore prima d’entrare nell’omonimo baluardo e raggiungere la cisterna in cui avviene il congiungimento delle sue acque con quelle portatevi dall’altro acquedotto, quello di Sudorno.

Anticamente, proprio qui, in prossimità dell’antica porta di S. Alessandro queste acque si univano nella fontana-serbatoio del “Saliente”, andata distrutta in occasione della costruzione delle Mura veneziane. Nonostante la sua distruzione, il nome di “Saliente” rimase per un certo periodo ad indicare l’intero acquedotto.
Dopo la costruzione delle Mura, il punto di confluenza venne spostato all’altezza del baluardo di Sant’Alessandro ma nel 1892 si procedette ad una nuova canalizzazione, resasi necessaria per ridurre l’inquinamento delle acque dovuto al passaggio della condotta all’interno delle case e sotto la sede stradale.

Il torrente Morla e le sue storie

Veduta di Città Alta dal torrente Morla presso il Galgario. Racc. Ing. Angelini. Da Luigi Angelini, “Il volto di Bergamo nei secoli”

Benchè sia ormai inglobato nel tessuto cittadino, Il torrente Morla – “la Morla” per tradizione – è storicamente considerato il “fiume di Bergamo”, dal momento che ben 8 chilometri dei 14 totali sono compresi nel territorio comunale del capoluogo orobico.

Anche se la Morla non può, e non poteva competere, per volume d’acqua e per lunghezza di percorso, con i due fratelli maggiori – il Serio e il Brembo, onorati dal Tasso nel famoso sonetto – supera questi ultimi per importanza storica; per centinaia d’anni essa fu ammessa nella nomenclatura dei fiumi: nei diplomi imperiali di dieci secoli fa è chiamato flumen, e
Mosè del Brolo otto secoli or sono nel suo Pergaminus cantava: “un fiume a cui di Morla han dato il nome”.

Nasce dal Monte Solino, alle pendici del Canto Alto, e dal Col di Ranica, propaggine della Maresana, e all’altezza di viale G. Cesare riceve il contributo del torrente Tremana; del Gardellone riceve soltanto le acque di sfioro, e ciò da quando, nel 1950, per evitare che la Morla esondasse in città in caso di abbondanti piogge, tale torrente fu deviato direttamente al fiume Serio in territorio di Torre Boldone.

Come facilmente intuibile, la  portata della Morla è largamente dipendente dagli apporti meteorici.

Dopo aver attraversato, con andamento meandriforme, Sorisole, Ponteranica e Bergamo, la Morla assume un andamento quasi rettilineo, delimitando il perimetro comunale a est e lambendo il Corpo Santo di Campagnola a sud.

Oggi l’alveo attivo del torrente Morla scorre in una direzione completamente diversa rispetto al passato, in seguito ad importanti interventi di rettifica e canalizzazione.

Lasciata la città, la Morla attraversa Azzano S. Paolo, fiancheggiata lungo le rive da un’ampia fascia boschiva, procede verso Zanica, segnandone i poderi con le antiche linee di confine, ed infine raggiunge Comun Nuovo, dove si dirama in canali minori: una parte piega verso sud, accompagnata da un’interessante fascia alberata, per poi dividersi i in altre diramazioni che irrigano i campi al di sopra della Strada Francesca. La parte finale si disperde infine nel sistema irriguo di Spirano e zone limitrofe (elaborazione grafica su mappa tratta da Mapire)

Anticamente, il paleoalveo della Morla, documentato al XIII secolo, raggiunta la città di Bergamo a est, dopo aver compiuto un’ampia curva che la evitava proseguiva verso la zona dell’insediamento dell’ex-Gres di via S. Bernardino (ed esattamente a ovest di tale insediamento industriale),  continuando poi in direzione di Grumello del Piano. Da qui si disperdeva in una zona acquitrinosa con altri corsi d’acqua provenienti dalle pendici collinari occidentali.

Nell’area compresa tra la ferrovia e l’area dell’ex-Gres (via S. Bernardino), si possono ancora chiaramente riconoscere le tracce dell’antico corso della Morla: un tracciato ampio fino a qualche decina di metri, delimitato da due principali scarpate e da una serie di terrazzamenti che segnano l’area di influenza del torrente durante gli episodi di esondazione. “Fino agli anni Ottanta del secolo scorso i tratti del paleoalveo venivano sfruttati, sia per la natura limosa dei terreni che per la loro pendenza costante, per realizzare le marcite, tipico sistema di coltivazione lombardo, costituito da prati stabili irrigati con un velo continuo d’acqua perché seguitino a vegetare per permettere tagli d’erba, anche fino a 8-10 nella stagione fredda (Galizzi, 2012)”. Tale morfologia è ancora parzialmente presente nel disegno dei pochi campi agricoli ancora esistenti (Il paleoalveo del torrente Morla).

L’antico percorso della Morla venne deviato nel Duecento per irrigare nuovi campi bonificati, e nel 1253 il Municipio di Bergamo “alienò parte dei suoi terreni a sud di Campagnola e li affidò a ricche famiglie aristocratiche (tra cui i Suardi e i Grumelli) che li gestirono e li coltivarono destinando la produzione di fieno e ortaglie alla città. Le tracce di tale operazione permangono oggi nei designatori, con la presenza della via dei Prati, a Campagnola, che corre ancora oggi lungo la roggia. Successivamente lo stesso schema della bonifica venne applicato per la fondazione del centro di Comun Nuovo, situato qualche km a sud di Colognola in direzione di Caravaggio” (Il paleoalveo del torrente Morla).

Nei tempi antichi la Morla costituiva una fonte di vita per gli abitati che lambiva.
Durante il periodo medioevale la stessa città di Bergamo ricorreva alle sorgenti della collina per i propri bisogni idrici e domestici, ed ancora in tempi più recenti, almeno fino alla prima metà del XX secolo, la Morla fu utilizzata per fini domestici, in primis per lavare i panni, in quanto le sue acque erano dotate di una grande limpidezza.
Le persone più anziane ricorderanno certo con nostalgia i tempi in cui la Morla pareva “acqua sorgiva”, al punto tale che le massaie utilizzavano la sua acqua per lavare la biancheria, che stendevano sulle rive e nei prati ad asciugare e che, secondo l’esperienza di allora, con la luce ed il calore solare acquistava maggiore candore.
Inoltre, il suo alveo, adagiato su uno strato impermeabile argilloso, permetteva l’estrazione agli inizi del secolo di un’eccellente qualità di argilla (“unica nel suo genere”), con la quale venivano fabbricate stoviglie fra le migliori della Bergamasca.

La Morla lungo la sua storia causò grossi guai, paurosi straripamenti, inondazioni e vittime, ricordate in una lapide risalente all’epoca della dominazione veneta, affissa sulla facciata di una ex chiesetta costruita sul suo argine in località “Scuress” (Ponteranica).

Particolare tratto dall’aerofotografia della Città di Bergamo del 1924. La Morla, ancora scoperta, nell’area prospiciente lo scomparso edificio noto come “Nave”, in via Pitentino 1. La “Nave” guadagnò tale denominazione per la sua caratteristica forma

 

La Nave di via Pitentino (fotofrafia Rinaldo Della Vite) tratta dal libro di Don Francesco Garbelli

La Morla infatti è un torrente dal corso tortuoso con il fondo lastricato di rocce cenericce e sfaldabili chiamate  Sass de la Luna: quando è in secca non ci si accorge della sua esistenza, mentre in occasione di abbondanti precipitazioni si sveglia e può diventare pericolosa.

La Morla a Valverde. Fotografia di Carlo Scarpanti

 

La Morla a Valverde. Fotografia di Carlo Scarpanti

Le calamità naturali legate alle esondazioni della Morla sono ricordate dal poeta bergamasco Mosè del Brolo e dal Mazzi nella sua corografia bergomense. Quest’ultimo scriveva: “Il torrente provenendo dalle alture di Ponteranica, corre vicino alla città dalla sua parte orientale e se non è infelice esagerazione di poeta, si può credere che negli antichi tempi recasse non pochi guasti alle vicine campagne, giacchè di esso canta il nostro Mosè: Prossimo al Monte cittadin trascorre, un fiume a cui di Morla han dato il nome, e crudelmente le campagne inonda”.

Ricordiamo anche gli enormi guasti arrecati alla città di Bergamo, e in particolare a Borgo S. Caterina e Borgo Palazzo, nella primavera del 1936, quando persero la vita due persone.

Il cronista di allora così scriveva su “L’Eco di Bergamo”:
“il 3 maggio 1936 nel tardo pomeriggio dopo una giornata afosa si avevano i prodromi di un temporale proveniente da est e che è stato veramente impressionante.
La zona fortemente colpita è stata Borgo S. Caterina tanto che oltre alle case e cantine allagate le ossa del vecchio cimitero di Valtesse affiorarono sul terreno.
Questo grave episodio è stato determinato dallo straripamento dei torrenti Tremana e Gardellone, confluenti del Morla. Essi sono alimentati dal bacino imbrifero del Canto Alto da un lato e dalla zona collinare dall’altro.
Un fenomeno del genere si è avuto nel 1932 ma meno grave, perché avvenuto in un periodo di siccità mentre questo a seguito di continue piogge…”

Accanto a quella tragica del 1936, la storia della Morla registrò altre drammatiche piene, e tra queste, quella del 1896, del 1932, del 1937, del 1940, del 1946, del 1949 e del 1976.
In quelle occasioni si accesero discussioni, polemiche, dibattiti, volti a porre rimedio a queste calamità, studiando quindi una soluzione definitiva.
Dopo numerosi progetti si decise di canalizzare parte del corso cittadino del fiume, coprendone alcuni tratti. L’opera, che comportò ingenti sforzi non soltanto economici, si concluse nei primi anni sessanta modificando definitivamente la natura del torrente.

Via Cesare Battisti fiancheggiata dal torrente a cielo aperto

 

La “Nave” dopo la copertura della Morla. L’edificio venne abbattuto nel 1985, per far posto all’attuale parcheggio

La zona maggiormente interessata fu Borgo Santa Caterina, che vide scomparire totalmente il corso d’acqua che ne aveva caratterizzato la storia, posto sotto il manto di nuove strade e piazzali, su cui venne costruito anche il nuovo palazzetto dello sport della città.

Il Palazzetto dello Sport in costruzione. Proprietà Archivio Wells

 

La “Nave” e sullo sfondo a destra il Palazzetto dello Sport in un disegno a carboncino di A. Gritti, eseguito nel 1970 e rinvenuto in un mercatino

Venne quindi eliminato anche il caratteristico ponte di Borgo santa Caterina, da secoli delimitazione territoriale del quartiere stesso.

Il Ponte di S. Caterina nel 1910. Il tracciato delle Muraine seguiva l’andamento del muro che delimitava l’alveo del torrente dal lato di via Cesare Battisti, fungendo anticamente da fossato difensivo. La via Pitentino (a destra) era esterna alle mura dei borghi. Il massiccio muro verso la Morla serviva per proteggere le abitazioni della zona dalle piene del torrente, causa frequente di notevoli danni. Il vecchio cancello daziario e gli edifici annessi, erano già stati demoliti, ed è anche scomparso il ponte di vecchie pietre sopra il torrente, ora scavalcato da un ponte in cemento. Sono però visibili gli archi del ponte originario. Nel 1962 la Morla fu coperta anche nel tratto da S. Caterina al largo del Galgario

Un altro tratto in cui il torrente venne nascosto alla vista della città fu immediatamente dopo il ponte di Borgo Palazzo, per riemergere dal buio in prossimità della stazione ferroviaria, sotto la quale scorre l’ultimo tratto sotterraneo.

A seguito di questa grande opera il torrente venne relegato ad un ruolo sempre più marginale, tanto che col passare del tempo venne considerato sempre più una sorta di discarica a cielo aperto.

La Morla in via Battisti in un’immagine antecedente la copertura della Morla e la costruzione del Palazzetto dello Sport, inaugurato nel 1965. Sullo sfondo si individua l’edificio della “Nave”

 

La Morla nel 1960, tra via Cesare Battisti e via Pitentino (scattata da sud): una fogna a cielo aperto coperta nel 1962

 

Un immagine non molto dissimile dell’area, nel periodo in antecedente la copertura del torrente e la costruzione del Palazzetto dello Sport. Proprietà Archivio Wells

Soltanto con l’avvento del XXI secolo cominciò a verificarsi una nuova presa di coscienza da parte dei cittadini e delle autorità, che hanno posto la Morla al centro di un’opera di recupero ambientale. A tal riguardo è nato anche un Parco Locale ad Interesse Sovracomunale (PLIS) volto alla tutela ed al rilancio delle aree della pianura bergamasca interessate dal corso della Morla e dalle rogge da essa derivate.

L’arcata del vecchio Ponte di Borgo S. Caterina, immortalata nei primi mesi del 2013 in occasione del rifacimento della copertura stradale

La Morla fu  immortalata nei diplomi regi e imperiali, poiché diede il nome alla Corte regia di Borgo Palazzo. Il Lupi, che nel 1780 scriveva : “la corte Morgola… presso al fiume che fino ad oggidì porta lo stesso nome, in quel luogo che ora è detto Borgo Palazzo”, spiega che la curtis era un possedimento, o vasto feudo, appartenente a qualche particolare famiglia, la quale aveva la propria abitazione in forma di castello o di palazzo, con adiacenti alcune case per la  servitù o coloni addetti alla coltivazione dei terreni che si estendevano intorno ai fabbricati: il castello di Malpaga e le abitazioni che lo circondano possono rendono l’idea di cosa fossero le corti.

La Curtis regia era invece proprietà di un re o di un imperatore e talvolta abbracciava un villaggio (vicus) o anche un insieme di villaggi (pagus); aveva ampi fabbricati, che dimostravano la potenza e la dignità regia. In città la curtis regia era ubicata nell’area attualmente occupata dalla fontana di San Pancrazio.

Ora, la curtis: “… quae vocatur Morcula in comitatu Pergamo”, appare per la prima volta in un diploma dell’875 di Lodovico re di Germania; in questo documento si menziona l’esistenza di una corte Morgula o Murgula –  poiché essa era dislocata lungo il corso del torrente Morla -, situata nei pressi di un Palatium imperiale, nella parte bassa di Bergamo. Un palazzo destinato alla residenza degli imperatori di passaggio nei loro viaggi nelle provincie italiane.

Il ponte sul torrente Morla in Borgo Palazzo (1885 circa). Raccolta D. Lucchetti 

Fonti

http://www.comune.ponteranica.bg.it/territorio/maresana.php
http://it.wikipedia.org/wiki/Morla_(torrente)#cite_ref-0

IL TORRENTE MORLA. CARATTERI, VALORI, PROSPETTIVE
Saggi di: Lelio Pagani, Andrea Tosi, Moris Lorenzi, Gian Pietro Armanni, Fabrizio Conti, Renato Ferlinghetti, Fulvio Caronni, Silvano Ceresoli, Mario Di Fidio, Claudio Merati, Piervincenzo Scalpelli, Stefano Stecchetti, Graziano Vitali.

Il paleoalveo del torrente Morla

Provincia di Bergamo

Per la mappa storica: Mapire – le mappe storiche dell’impero asburgico, con Bergamo e provincia mappate nella seconda indagine militare (1806-1869).