Lo stadio Mario Brumana di Bergamo fu ufficialmente inaugurato, dopo meno di un anno d’intenso lavoro, nel dicembre del 1928 e il regime fascista organizzò per l’occasione una grande parata. In quei tempi venne considerato uno dei più belli in assoluto e vennero da ogni dove per ammirare quella tribuna coperta rivoluzionaria, che apparve sulle più autorevoli riviste di architettura e di ingegneria.
L’impianto era talmente ben fatto da essere giudicato, oltre mezzo secolo più tardi – quando lo si sarebbe voluto demolire per edificarne uno decentrato, più grande e più “comodo” -, monumento nazionale.
Ma per rintracciare le origini della squadra bergamasca bisogna risalire agli albori del Novecento, quando a Bergamo il centro motore dello sport si trovava in Città Alta, dove erano attive due società sportive: la “Società Bergamasca di Ginnastica e Scherma” fondata nel 1878, e “La Giovane Orobia”, fondata nel 1901 che svolgeva la propia attività nella palestra del Liceo Sarpi.
Per i giovani sportivi bergamaschi che abitavano in Città Bassa era scomodo e oltremodo impegnativo doversi recare tutti i giorni in Città Alta: bisognava salire a piedi o con la funicolare, allenarsi e tornare a casa in serata, e tutto dopo la scuola.
Fu su queste premesse che cinque giovani intraprendenti bergamaschi (Eugenio Urio, Giulio e Ferruccio Amati, Alessandro Forlini e Giovanni Roberti) ebbero la brillante intuizione di dar vita ad una nuova società sportiva che avesse la sua palestra nel Borgo, ovvero nella Città Bassa.
Il 17 ottobre 1907 venne quindi fondata la “Società Bergamasca di Ginnastica e Sports Atletici Atalanta”, dal nome della giovane atleta della mitologia greca invincibile nella corsa.
Attorno alla neonata società si svilupparono un clima di entusiasmo e una voglia di rinnovamento inimmaginabili. Il primo presidente della storia atalantina fu il nobile Vittorio Adelasio, e il primo segretario Gino Amati.
Nel programma furono inclusi molti sports diversi tra loro, fra i quali anche il “Fùbal”, ossia il calcio, la cui sezione vide la luce nel 1913, anno che segna l’inizio della lunga storia della squadra calcistica dell’Atalanta.
L’Eco di Bergamo così annunciava la nascita della “Società Bergamasca di Ginnastica e Sports Atletici Atalanta”: “Da un gruppo di giovani volenterosi venne in questi giorni costituita in Bergamo una società sotto il nome di ‘Sport Club Atalanta’. Scopo della stessa è quella di addestrare la gioventù in tutti i rami degli sport atletici atti a maggiormente sviluppare il fisico. Essa infatti si prefige di coltivare in modo speciale il podismo, il salto, la lotta, il sollevamento peso, la palla vibrata, il calcio, il lancio del disco e del giavellotto nonchè il nuoto e le marcie in montagna”.
In questo periodo il calcio è relegato a comprimario ma piano piano cresce. Già nel 1907 il pallone fa il suo debutto, iscrivendo la squadra al torneo organizzato da C.S. Trevigliese per l’inaugurazione del proprio campo di calcio.
Il sodalizio creato attorno alla squadra calcistica dell’Atalanta venne ufficialmente riconosciuto dalla FIGC solo nel 1914, all’atto dell’inaugurazione e collaudo del campo – il primo campo di gioco omologato della squadra atalantina – situato in via Maglio del Lotto, a ridosso della ferrovia.
Il campo misurava metri 90×45 ed era provvisto di una tribuna con 500 posti a sedere; la sua realizzazione fu fortemente voluta da Pietro Carminati, un merciaio che in quegli anni dirigeva la sezione calcio della società.
Le cronache ricordano che il giorno della sua inaugurazione, avvenuta nel maggio del 1914, un treno proveniente da Milano, in fase di ingresso in stazione, rallentò ulteriormente per permettere ai viaggiatori di assistere ad alcune fasi della partita.
Fino a quel 1914 i bergamaschi, con colori sociali bianconeri, avevano giocato solo partite amichevoli, prima nella Piazza d’Armi della città ed in un secondo momento nel Campo di Marte, un terreno sconnesso situato tra le vie Suardi e Fratelli Cairoli nel centro cittadino, dove le porte in legno venivano collocate e smontate ogni volta.
Va detto comunque che la prima società di calcio a Bergamo fu il Foot Ball Club Bergamo, fondato nel 1903 da imprenditori Svizzeri (Legler, Luchsinger, Honegger), da tempo giunti in Italia per promuovere il tessile. La squadra giocava nell’Ippodromo di Borgo S. Caterina, proprio dove oggi sorge lo stadio.
Nel 1913 confluì nella Bergamasca dando vita alla sezione calcio guidata da Matteo Legler e in poco tempo divenne la vera squadra rivale dell’Atalanta.
La rivalità tra Bergamasca ed Atalanta crebbe fino ad esplodere nel 1919, quando la FIGC impose alla città di Bergamo una sola squadra nel campionato di Prima Categoria.
Era inevitabile: nel febbraio 1920, dopo una assemblea memorabile, la Società per gli Sports Atletici Atalanta e la Società Bergamasca di Ginnastica e Scherma si fusero assumendo la denominazione di Atalanta e Bergamasca di Ginnastica e Scherma, poi semplificata nell’attuale Atalanta Bergamasca Calcio.
Per i colori ufficiali l’intesa fu rapida, l’Atalanta (bianco-nera) e la “Bergamasca” (bianco-azzurra) decisero di eliminare il bianco, comune ad entrambe, e di adottare il NERO e l’AZZURRO.
Agli inizi del 1919, con la ripresa della attività sportiva dopo la Grande Guerra, la società, che a causa delle difficoltà economiche dovute al conflitto aveva dovuto vendere il campo di via Maglio del Lotto, ripartì di slancio impegnandosi alla ristrutturazione di un vecchio ippodromo in disuso, la “Clementina” – in zona Daste vicino al confine con Seriate -, per affrontare nel migliore dei modi l’ammissione alla massima categoria FIGC dell’epoca (1).
L’Atalanta disputa vari anni nei gironi interregionali e nel 1925 assume Cesare Lovati (ex giocatore del Milan) come primo allenatore professionista. Nel tentativo di arrivare nelle categorie nazionali, in quello stesso anno arrivano anche i primi stranieri: gli ungheresi Lukacs e Hauser. Due anni più tardi viene ingaggiato anche il primo allenatore straniero (Imre Payer) ed il primo massaggiatore (Sala).
Nel 1927-28 l’Atalanta Bergamasca, nata dalla fusione delle due squadre, fu promossa in Divisione Nazionale. L’accesso alla massima serie impose la costruzione di un nuovo stadio, argomento di cui si cominciò a parlare ufficialmente nel gennaio 1928, allorchè si era appositamente costituita una Società Anonima (in seguito “assorbita” dal Comune), fondata dalla federazione fascista, con sede presso la Casa del fascio.
Promotore dell’iniziativa era il segretario del partito locale Pietro Capoferri, nominato di recente anche presidente dell’Atalanta (1).
Il costo complessivo dell’impresa era previsto in L. 1.800.000 (anche se con la decisione di ampliare le gradinate la cifra lievitò), da sostenere con le sottoscrizioni dei cittadini che avrebbero acquistato le azioni “di cento lire cadauna”, lanciate dalla Società controllata dal Partito nazionale fascista, responsabile della costruzione e della gestione.
All’atto costitutivo della Società era già stata raccolta una somma di centomila lire.
Nel frattempo i lavori per la realizzazione del nuovo stadio erano già cominciati sull’area dell’ormai ex Ippodromo di Borgo Santa Caterina (una superficie di circa 3500 metri quadrati), ormai divenuto un “tesoro infruttuoso”, come riporta la cronaca all’inizio di quel 1928: “Osservando dagli spalti meravigliosi delle nostre Mura, dalla vasta chioma verde, verso la monumentale Porta di Sant’Agostino, il panorama della città inferiore e nuova, si riscontra che esso è caratterizzato nelle sue ultime propaggini, in direzione nord-est, da un anello di terra che circoscrive un vasto spiazzo di terreno che tutti conosciamo come il vecchio Ippodromo di Borgo Santa Caterina. Per chi non vi giunge che nell’estate, quando questa amplissima area diventa il paradiso solare di frotte innumerevoli di bambini che frequentano la colonna elioterapica e che si rinsaldano i muscoli e le ossa al calore benefico dell’amico sole, l’ippodromo può ancora offrire un’impressione i vita. Ma quando nei lunghi autunni, negli inverni lividi e bianchi, nelle primavere acerbe questo recinto si offre ai nostri occhi, ci dà come una sensazione d’infinita nostalgia e di rimpianto. L’abbandono, il silenzio, l’incuria delle cose morte si contrappongono al ricordo dei cavalli che ungiorno percorrevano ansimanti questa traccia circolare fra l’ammirazione della folla”.
E quando la Federazione fascista convocò gli azionisti della società del vecchio ippodromo, “tutti aderirono di buon grado per far si che l’impianto si trasformasse in un grandioso ‘stadio polisportivo’, dotato anche di una pista d’atletica ed arricchito da campi da tennis e da una piscina. Il progetto era stato affidato all’ingegner De Beni.
Il NUOVO STADIO
“Le linee architettoniche inquadrano l’opera ardita facendone una delle più belle fra quelle costruite fin ora in Italia” (Ing. Zanchi).
Al Polisportivo si accedeva da due ingressi, ciascuno provvisto di due edicole per la dispensa dei biglietti.
Il complesso occupava, e occupa tuttora, un’area di 35.000 m², e comprendeva: un campo per il gioco del football delle dimensioni di metri 70 per 120, contornato da una pista podistica in cenere dello sviluppo di 430 metri, larga sei metri.
Lungo i lati maggiori sorgevano le due tribune in beton armato, la cui forma era costituita da due lati dritti raccordati da archi di cerchio.
La tribuna ad ovest (lunga 88 m e larga 12, con 13 gradoni), fu coperta con una soletta a nervature in beton armato avente lo sbalzo di dodici metri, una soluzione d’avanguardia che verrà citata ad esempio nei manuali di tecnica delle costruzioni.
Sotto la tribuna furono ricavati i vari ambienti necessari per i servizi del campo: spogliatoi collettivi e individuali, palestra, sala per riunioni, locali per arbitri e la direzione, un appartamento per il custode, tutti i vari servizi sanitari e un piccolo buffet per gli spettatori.
La tribuna ad est, scoperta, avente le dimensioni di 84 metri per 15 lungo il lato di mattina “in fregio a un futuro viale”.
Ed anche la realizzazione del nuovo viale fu sommersa di lodi. I giornali lo definirono “una piccola opera d’arte urbana”.
Sotto la tribuna scoperta furono ricavati locali destinati a negozi e magazzini da cedere in affitto, nonché un bar-ristorante aperto tutto l’anno, al quale si accedeva sia dall’interno che dall’esterno dello stadio.
Quanto alla capienza, i giornali annunciarono una cifra che fece sbarrare gli occhi a molti bergamaschi: dodicimila! Duemila in ciascuna delle due tribune, ottomila nei parterre (poi ampliata a 15.000).
Fu inoltre previsto anche un’auto-parco per il deposito delle macchine durante gli spettacoli.
Nell’ottobre del 1928, lo stadio era già aperto “tutti i mercoledì e i venerdì, dalle 14 alle 17.30, ai giocatori appartenenti a qualsiasi società della provincia” (da un comunicato dell’Atalanta).
IL COLLAUDO E UNA PRIMA INAUGURAZIONE
Per verificare le condizioni del terreno di gioco, il primo novembre si tenne una sorta di “prova generale” in occasione della partita Atalanta-Triestina, alla presenza del pubblico che aveva avuto accesso solo in gradinata: si trattava della prima partita giocata nel nuovo stadio, che vide l’Atalanta trionfare sulla squadra ospite per quattro reti a una.
Il giorno prima i tecnici avevano provveduto al collaudo delle due tribune, alla presenza di numerosi cronisti.
L’indomani, riferirono i giornali: “Tutto è risultato compiuto a regola d’arte e al termine dei vari collaudi, durati alcune ore, le autorità presenti si sono vivamente congratulate con il progettista e i suoi collaboratori, specie per la tribuna coperta che è la più ardita e importante del genere esistente in Italia”.
Per il collaudo della tribuna coperta, la soletta di copertura della tribuna, avente uno sbalzo di m. 12,80, fu sovraccaricata di sabbia in ragione di 150 kg al mq; i flessimetri rilevarono. sotto tutto quel carico, una freccia d’inflessione di 2,5 mm e rimosso il carico non si riscontrò alcuna deformazione permanente. Fu un risultato superiore ad ogni aspettativa in quanto, secondo il calcolo degli esperti, era prevista una deformazione elastica di circa 10 mm. Successivamente furono caricate anche le gradinate per gli spettatori in ragione di 5 quintali per metro quadrato, senza che gli apparecchi di controllo segnassero inflessione alcuna.
Infine, il responsabile del collaudo professor Salvatella del Politecnico di Milano, spese parole d’elogio per le qualità superiori del cemento granito fabbricato dalla Italcementi e impiegato nella grandiosa opera.
Le autorità si congratularono vivamente con i tecnici e le maestranze per aver donato a Bergamo, con il loro impegno, un’opera tanto ardita e importante (dalla cronaca dell’Eco di Bergamo).
Inoltre, sul nuovo terreno di gioco, a mo’ di collaudo“severo”, il 9 dicembre 1928 fu disputata una partita di rugby fra l’Ambrosiana Milano e una squadra di Bucarest. Per Bergamo si trattava di uno sport inedito e i giornali si sbizzarrirono a spiegarne le regole.
L’INAUGURAZIONE UFFICIALE
La chiacchieratissima inaugurazione ufficiale del nuovo stadio di Bergamo avvenne la domenica adamantina del 23 dicembre 1928, quando contemporaneamente furono inaugurati anche i Magazzini Generali al Conventino e la nuova facciata di palazzo Nuovo in piazza Vecchia.
Sotto un freddo e luminoso cielo azzurro, quella mattina Bergamo fu svegliata dalla prima neve sfarinata appena sui tetti e nei prati, e dal suono delle fanfare di suonatori vestiti d’ogni foggia.
Tutta la città era imbandierata dai tricolori svolazzanti alle finestre, ai balconi, sulle torri.
Un grande corteo cominciò a prendere forma sul piazzale delle stazioni in un tripudio di luci, suoni e colori e la sfilata s’incamminò festante e al passo, con vessilli e gagliardetti che sferzavano l’aria, verso il nuovo stadio.
A mezzogiorno lo stadio, dove erano attese le autorità, era già ricolmo di sportivi, richiamati anche per la partita di campionato in programma, Atalanta-Dominante di Genova.
Alle 13.30, a metà del viale Regina Margherita (come allora si chiamava l’attuale viale Giulio Cesare, da poco realizzato) scesero dalle loro auto per avviarsi a piedi verso l’ingresso dello stadio, il segretario generale del partito Filippo Turati, Arnaldo Mussolini e Achille Starace.
“La Milizia, distesa in doppio cordone, scatta sull’attenti e presenta le armi. Poi, come Turati sorpassa l’ingresso, dove prestano servizio i reali carabinieri in alta uniforme, dalla folla balza l’ala- là di saluto al gerarca, che a passo svelto si dirige verso il posto d’onore della tribuna. Fotografi e cineoperatori sono sparsi un po’ ovunque e fanno scattare gli obiettivi. Poco più tardi arrivano anche Arnaldo Mussolini (direttore de “Il Popolo d’Italia”) e Starace”, raccontano le cronache.
La partita – Atalanta-Dominante di Genova – preceduta da una esibizione di ginnasti dell’Atalanta, fu vinta per 2 a 0 dall’Atalanta, fra un’impressionante, spettacolare ed esaltante – si direbbe oggi – standing ovation.
Ma la cerimonia vera e propria dell’inaugurazione si aprì con la benedizione impartita da monsignor Brambilla, appositamente delegato dal vescovo. Poi arrivò una pioggia di discorsi fra i quali, in particolare, quello del federale Pietro Capoferri fu definito dalla cronaca “imponente”. Turati riconobbe “ai camerati bergamaschi di aver bene operato costruendo questo campo sportivo dedicato alla memoria di un nostro caduto. Qui si disputerà la più aperta, la più bella e aspra competizione dello sport”.
Per le vie della città i festeggiamenti durarono sino a tarda ora e si calcolò, considerate le corse straordinarie dei treni in arrivo dalla stazione centrale e dalle stazioni delle Valli (il cui personale ricevette un encomio per l’ottimo lavoro svolto), che erano state trasportate a Bergamo oltre undicimila persone.
I giornali si sperticarono in lodi per il nuovo complesso all’avanguardia di cui finalmente Bergamo si era dotata, compresi i campi da tennis (per i quali fu costruita la caratteristica villetta, sede del primo Tennis club Bergamo) e la piscina-lido.
LA PISCINA PRESSO IL NUOVO STADIO: IL “CASTELLO DEI TUFFI”
Il moderno complesso della piscina regalò ai bergamaschi l’impressione di essere al mare, e così i giornali la battezzarono presto con il nome di “piscina-lido”.
Secondo quanto si legge su “Il Nocecento a Bergamo” (Op. cit.), il podestà Antonio Locatelli (che tra l’altro era assiduo frequentatore della piscina, dove egli “prediligeva nuotare sott’acqua”) aveva affidato l’incarico della sua realizzazione all’ingegner Giancarlo Eynard, professionista da lui molto stimato; da una recentissima conversazione con il Sig. Valdo Eynard, figlio dell’ingegner Giancarlo, risulta che tale piscina non sia stata progettata dal padre, che invece in quegli annni aveva progettato la piscina di Cuneo, di cui Valdo ricorda ancora il plastico tenuto per anni in casa .
La piscina, una vasca di 50 metri, era dotata di un impianto di depurazione e clorizzazione dell’acqua (soluzione elogiata in un numero de “La Rivista di Bergamo” del 1934), “di un bar-ristorante con tavolini all’aperto, impianto di illuminazione per le gare in notturna (“dotato anche di alcuni fari mediante i quali si ottengono effetti di luce molto suggestivi”), cabine e armadietti per il pubblico, docce e servizi igienici, trampolini e una pedana in legno, sopraelevata ai bordi della vasca, per l’esposizione al sole” (Giorgio Mazzoleni).
Un recinto metallico isolava la vasca dalla zona circostante, allo scopo di disciplinare e rendere facilmente controllabile l’accesso dei bagnanti alla vasca. Un solo passaggio vi era permanentemente aperto; e si trattava di un passaggio a guado che doveva essere necessariamente attraversato da tutti i bagnanti prima di immergersi in piscina.
Va da sé che tutta la zona compresa entro il recinto era pavimentata, parte in piastrelle di cemento e parte con pedane sopraelevate assai apprezzate dai bagnanti per distendersi al sole.
Quei semplici accorgimenti permettevano di evitare l’introduzione in vasca di terra, sabbia o altro, concorrendo notevolmente a mantenere limpida l’acqua, rispondendo pienamente alle norme regolamentari e rendendo quindi la piscina idonea ad ospitare manifestazioni agonistiche di qualsiasi importanza.
In un reportage degli anni Trenta, uno stralcio descrive la piscina-lido:
“(…) A rendere inoltre più attraente e ospitale l’ambiente, è in funzione un decoroso caffè-ristorante soprattutto gradito alla categoria dei professionisti e degli impiegati che, potendo consumare a modico prezzo il pasto in piscina, riescono a concedersi nelle ore meridiane un po’ di vita da spiaggia. Concludendo, la cittadinanza bergamasca non poteva essere meglio servita in fatto di possibilità balneari. E qualcuno già pensa alla costruzione di una piscina coperta invernale” .
La piscina coperta invernale, a Bergamo, verrà realizzata molti anni dopo.
VERSO I NOSTRI GIORNI
Nel corso del tempo lo stadio ha subito diverse opere di ristrutturazione fino ad assumere l’attuale configurazione: delle vecchie strutture sportive del 1928 ormai non resta più nulla e solo nella facciata possiamo ravvisare i tratti del vecchio stadio.
Sono state aggiunte le due curve e la copertura della tribuna ad est.
Di notevole importanza a livello strutturale furono i lavori eseguiti nell’estate del 1984, contestualmente al ritorno dell’Atalanta in serie A, che portarono all’eliminazione della pista di atletica (si ricordi che, grazie ad essa, dal 1960 al 1983 proprio in questo stadio si concludeva il Trofeo Baracchi di ciclismo), al posto della quale furono aggiunte delle tribune metalliche. Queste permisero di aumentare la capienza, che toccò il record storico il 16 settembre 1984, quando alla partita Atalanta-Inter assistettero oltre 43.000 spettatori, benchè dopo le ultime modifiche la capienza dello stadio sia di 24.726 posti.
Nel 1991 lo stadio fu oggetto di un prodigioso intervento di ristrutturazione, eseguita a tempo di record grazie anche ad un ingente finanziamento statale, ma soprattutto alle maestranze – tre imprese edili d’eccellenza – che ne garantirono la qualità, bergamasche al cento per cento.
Oggi, al di là di ogni discussione riguardo l’inadeguatezza dell’impianto e della sua collocazione, rincuora sapere che quello stadio all’avanguardia che sul finire degli anni Venti sorgeva alle porte di una tranquilla cittadina, continua a svolgere diligentemente il compito per il quale è sorto, continuando a far sognare ad occhi aperti migliaia di bergamaschi.
NOTE
(1) Questa società ottenne il riconoscimento giuridico, usufruendo delle esenzioni fiscali stabilite dalla legge 14 giugno 1928, n. 1310.
Riferimenti
“Il Novecento a Bergamo – Cronache di un secolo”. Di Pilade Frattini e Renato Ravanelli. A cura di Ornella Bramani – Vol. II. UTET. Anno 2013.
“Cent’anni di Sport a Bergamo. Di Aurelio Locati. Editore Bolis, 1987.
Ultima modifica: 02/07/2018.