Da Valmarina al sentiero dei Vasi, fra natura, storia e trekking

A coronamento del centro storico di Bergamo, esiste un vasto territorio collinare fatto di campi, prati e boschi, costellato di antiche vestigia e innervato da una fitta rete di bucolici percorsi, sentieri, viottoli e scalette.
Il percorso qui proposto, compreso fra le località di Valmarina e Castagneta lungo il versante orientale della collina, conduce alla riscoperta di una delle porzioni più suggestive di questo meraviglioso patrimonio paesaggistico di natura e cultura.
Si tratta di un itinerario che oltre a costituire una variante al classico tour ciclopedonale Green Way del Morla – Sentiero di Ilaria (ciclovia dei torrenti Morla e Quisa), consente di muoversi in un ambiente che conserva, all’interno di un considerevole patrimonio faunistico e floristico, la presenza di edifici rurali e manufatti storici di pregio quali l’ex monastero benedettino in Valmarina e i manufatti dell’acquedotto dei Vasi, l’impianto che per secoli ha costituito parte integrante della primitiva rete di distribuzione delle acque della città di Bergamo. L’acquedotto, di cui le prese d’acqua sono già documentate e rilevate in alcuni manoscritti del Settecento, raccoglie lungo il suo tragitto le acque sorgive dislocate tra gli avvallamenti boscosi posti dalle pendici del Monte Bastia ai fianchi del crinale, spingendosi sin verso Valmarina, da cui risale per Gallina e Castagneta.
Il nostro itinerario, attraversando pressoché interamente un’area boschiva consente di praticare agevolmente attività sportive anche nella stagione più torrida.

Il percorso ideale qui proposto si diparte dal tratto della Green Way del Morla che si innesta da via Maironi da Ponte nella località di Valverde, giungendo a Valmarina all’ombra delle pendici boscose di Castagneta ed assecondando le pieghe del torrente tra ponti e divertenti passerelle lignee.

Lungo la Green Way del Morla, in vista di Valmarina

La vista si apre all’improvviso sul grandioso anfiteatro di Valmarina, accarezzando le morbide pendenze su cui poggia l’antico monastero, magicamente sospeso fra prati, boschi rigogliosi e terrazze tenute a vite.

L’ex monastero di Santa Maria in Valmarina, tra boschi e vigneti

Non troppo distante dalla viabilità principale, ma lontano quanto basta da costituire un’oasi a parte, l’antico monastero campeggia placido nella radura, splendidamente fuso con il tessuto che lo circonda in verde abbraccio.

L’ex monastero di Santa Maria in Valmarina, al confine tra la città e la località Ramera, in territorio di Ponteranica, è posto alle pendici del versante nord-orientale del Colle ed è oggi sede del Parco dei Colli di Bergamo

Fra scorci di rara bellezza, il suo caldo color nocciola – ancor più vivo quando il sole lo accarezza – è come un bagno tiepido e benefico per gli occhi, invitandoci alla sosta.

Fondato nel XII secolo da una piccola comunità di monache benedettine è oggi sede del centro direzionale del Parco dei Colli, al centro di un ambiente ideale dove natura, cultura e attività sportive si coniugano in perfetta armonia.

Cascina Valmarina

In questa splendida conca suburbana – irrinunciabile polmone verde cittadino – l’antico monastero esibisce i due momenti salienti della sua storia secolare, mostrando i locali “canonici” della vita benedettina e cioè la chiesa, il refettorio e la sala del capitolo – il lato interamente affacciato sulla strada per la Val Brembana -, con le aggiunte realizzate dalla fine del Settecento per adattare il complesso ad aia rustica.

Dalla fine del Quattrocento, da quando le monache si trasferirono dentro le muraine, il monastero ormai abbandonato fu riadattato a cascina, subendo interventi che ne snaturarono soprattutto la parte interna.

Il nucleo originario romanico è quello esteso lungo il lato orientale, affacciato sulla strada provinciale, formato dal lungo braccio che si unisce alla chiesa (da tempo privata delle decorazioni ad affresco medioevali), valorizzato dal recente restauro

Dalla fine del Settecento dunque, l’aggiunta progressiva di nuove volumetrie ha finito col raddoppiare le dimensioni dell’antico recinto fino a formare la grande corte chiusa che vediamo oggi: una tipologia inconsueta in una  zona collinare – qual è quella di Valmarina -, dove le cascine hanno generalmente i corpi di fabbrica giustapposti, disposti a L, oppure contrapposti.

Comunque sia, specialmente nel  lato est il complesso conserva ancora un notevole fascino, con ciò che resta della primitiva chiesetta romanica incorporata nello spigolo settentrionale del complesso.

L’ex chiesa di Santa Maria in Valmarina

La parete piena e compatta della chiesa è alleggerita da due elegantissime monofore, dallo slancio quasi gotico, separate da una lesena sottile entro la quale alcune porzioni di calda arenaria richiamano la parte superiore delle monofore.

Al di sopra di queste, due piccoli oculi catturano la luce dall’esterno e allo stesso tempo ammiccano verso valle, quasi a richiamare l’attenzione verso il bel monastero, intriso di storia secolare.

Il porticato, addossato al nucleo originario, trova precisa corrispondenza in complessi rustici che ritroviamo in diversi punti del territorio, dalle pendici della Maresana al castello della Moretta, in quel di Sorisole.

All’interno, fra un anfratto e l’altro sono conservati gli antichi arnesi impiegati nelle attività rurali e la loro semplicità riporta piacevolmente alla memoria quei frangenti di vita contadina vissuti in questo luogo sino a pochi decenni or sono.

 

 

 

 

 

Dall’osservazione dei particolari, emerge con chiarezza la filosofia che ha accompagnato ogni fase del magistrale restauro, che ha saputo calibrare perfettamente la conservazione di ogni singola parte con i nuovi adattamenti,  mantenendo intatto il fascino e le suggestioni del manufatto antico.

 

 

Lasciata alle spalle questa piccola valle della Biodiversità – consorella della valletta di Astino – dove è preservato anche il più minuscolo gambero di fiume,  imbocchiamo in salita la vera via dei Vasi, un viottolo a tornanti da non confondere con l’omonimo sentiero che frequentiamo abitualmente nei fine settimana, e che raccorda Valmarina alla località Cascina Costa, situata nella parte mediana di via Ramera.

“Questa” via dei Vasi, è così nominata perché il suo tracciato cela un condotto dell’antico acquedotto che da Valmarina, proprio al di sopra dell’antico monastero, si dirige sino all’uschiolo della valle dei Romanelli (di cui oggi si sono perse le tracce), concludendosi  in località Gallina.

Via dei Vasi costituisce il tratto di raccordo tra la Valmarina e la parte mediana di via Ramera (località Cascina Costa). Il condotto di Valmarina, di poco al di sopra del monastero lungo via dei Vasi, presenta un uschiolo di ispezione e una  cisterna per la raccolta delle acque. Da qui risale sino alla località Gallina per poi percorrere via Castagneta ed infilarsi nella cisterna interrata nel baluardo di S. Alessandro

Dopo aver percorso la piccola serie di tornanti che si snodano fra la boscaglia, si raggiunge località Cascina Costa con il breve slargo posto a crocevia fra la ciclopedonale della Quisa e la via Ramera.

Pieghiamo decisamente verso la parte alta di via Ramera, che si impenna impietosamente lasciando brevi attimi di respiro ma ripagandoci, almeno inizialmente, con una vista impagabile su Valmarina.

Percorriamo l’ertissima salita sino alle pendici del Monte Bastia, e cioè sino a che non incontriamo la “cisterna del fontanino”: una fonte oggi ridotta a un rivolo, alimentata dalle sorgenti della Noce e dallo Scudo. Qui un pannello illustrativo indica l’inizio del sentiero 912, che procedendo in leggera pendenza lungo la valle della Costa ricalca il percorso dell’acquedotto lungo il Sentiero dei Vasi, percorso interamente boschivo che si raccorda alla località Gallina, in quel di Castagneta.

I pannello illustrativo ubicato lungo il bordo settentrionale di via Ramera, da cui prende avvio il sentiero 912, ricalca il tracciato dell’antica “via dei Vasi” – i Vatia” -, già citati in un documento del 1013 ed utilizzati in età viscontea per alimentare la grandiosa cisterna del Fontanone (ex Ateneo). Dalla sorgente di origine (Sorgente della Noce, 435 m s.l.m.) sino a porta S. Alessandro (365 m s.l.m.) l’acquedotto copriva un dislivello di 70 metri

Il tracciato del sentiero 912, un percorso ombreggiato e pianeggiante, ideale per attività sportive svolte en plein air, coincide con l’antica  “via del Canale”, secondo la denominazione riportata nelle mappe catastali del 1853.

Lungo il sentiero dei Vasi

 

Lungo il sentiero dei Vasi

VASO è un termine antico per indicare un canale adibito al trasporto dell’acqua: entrambe le denominazioni indicano appunto con evidenza la presenza in loco di un acquedotto, il cui tracciato, benché testimoniato già in epoca medievale, ricalca probabilmente il percorso di un precedente manufatto di epoca romana.

Lungo il “Sentiero dei Vasi”, un percorso ombreggiato in falsopiano, ricalcante il tracciato dell’omonimo acquedotto che riforniva la città

Lungo il sentiero è possibile osservare alcune parti dell’antico manufatto, che nonostante la condizione di attuale abbandono ancora denota la cura che nei secoli passati si riservava ad opere decisive come quelle idriche: il vaso maestro (la condotta principale), cisterne di raccolta e decantazione, uschioli d’ispezione, tombini, lastricati nonché un interessante sistema di condutture minori, in parte sopravvissute, che raccoglievano le acque delle sorgenti convogliandole dalle vallette nel “Vaso” principale.

Il primo uschiolo d’ispezione, con l’accesso al canale ed alla vasca di decantazione s’incontra al termine della gradinata da cui prende avvio il sentiero dei Vasi. Il secondo uschiolo è quello, già osservato, ubicato in Valmarina

 

I canali (realizzati in blocchi squadrati di pietra legati con malta di calce e cocciopesto) presentano mediamente di 25 x 40 cm; ogni canale era inserito in un cunicolo ispezionabile di 90 cm d’altezza e 70 cm di larghezza controllato periodicamente dai “fontanari”, gli addetti alla manutenzione di acquedotti e fontane, che ancora sul finire dell’800 ivi svolgevano lavori di manutenzione e restauro.

Le relazioni dei fontanari incaricati dei lavori, a noi pervenute, sono fonti preziose per lo studio del percorso, delle modalità e delle tecniche usate per la pulitura e le riparazioni

Lo apprendiamo grazie ad alcune date incise nei cunicoli che tuttora si snodano, in eccezionale stato di conservazione, negli orti delle case “Colombà” lungo la via Castagneta.

 

Un tratto della condotta principale (Vaso maestro) esistente lungo il sentiero dei Vasi, in cui confluiscono, tramite condotte minori, le acque delle sorgenti. Lungo il pavimento v’è come un invaso di modeste dimensioni utilizzato per convogliare l’acqua

Una lapide inserita nel muro medioevale, in prossimità della località Gallina, ricorda che nel 1329 il podestà Beccaro Beccaris provvide a far effettuare la pulitura dell’acquedotto di Castagneta.

Lapide in località Gallina di Castagneta

Presso una casa, sempre in località Gallina è stata rinvenuta una traccia della scritta AQ che dal 1728 costituiva, talvolta accompagnata da una croce, la sigla identificativa di tutti gli acquedotti facenti capo alla città di Bergamo.

L’iscrizione “AQ” denota la presenza del manufatto lungo il percorso dell’acquedotto dei Vasi

Lungo il sentiero, il bosco, ricchissimo di Castagni e funghi, attira sovente nella mite e variopinta stagione autunnale, intere comitive intente alla raccolta.

Raggiunta l’estremità meridionale del sentiero dei Vasi in località Gallina all’altezza del segnavia 912, il condotto, ricongiungendosi con il canale proveniente dalla sezione inferiore di via Castagneta, si dirige verso la cisterna del baluardo di S. Alessandro percorrendo il nucleo di Castagneta.

L’imbocco del Sentiero dei Vasi in località Gallina di Castagneta

 

Il segnavia che raccorda la località Gallina a via Ramera

Entrambi gli insediamenti, allungati lungo la strada percorsa attraverso i secoli dall’acquedotto dei Vasi, presentano i caratteri tipici della zona collinare di Bergamo.

Castagneta, località Gallina

 

Castagneta, località Gallina

Dalla località Gallina, l’acquedotto inizia, tra tratti incerti e non, a seguire il percorso di via Castagneta sino a via Beltrami, che percorre per un breve tratto, prima di infilarsi nelle Mura, attraversandole nello spalto di S. Pietro.

Fuoriesce poi nella seguente via Sforza Pallavicino, dov’è rimasta un’antica fontana.

Da qui riattraversa la via Beltrami, passa davanti alla polveriera superiore, attraversa il vicolo Colle, e attraversando il baluardo di S. Gottardo raggiunge la porta di S. Alessandro; la percorre lungo la parte superiore prima d’entrare nell’omonimo baluardo e raggiungere la cisterna in cui avviene il congiungimento delle sue acque con quelle portatevi dall’altro acquedotto, quello di Sudorno.

Anticamente, proprio qui, in prossimità dell’antica porta di S. Alessandro queste acque si univano nella fontana-serbatoio del “Saliente”, andata distrutta in occasione della costruzione delle Mura veneziane. Nonostante la sua distruzione, il nome di “Saliente” rimase per un certo periodo ad indicare l’intero acquedotto.
Dopo la costruzione delle Mura, il punto di confluenza venne spostato all’altezza del baluardo di Sant’Alessandro ma nel 1892 si procedette ad una nuova canalizzazione, resasi necessaria per ridurre l’inquinamento delle acque dovuto al passaggio della condotta all’interno delle case e sotto la sede stradale.

L’ex monastero di Valmarina, la sua vicenda storica e costruttiva

Come l’ex monastero di Astino, anche quello di Valmarina, situato al versante opposto – rispetto allo spartiacque del Colle -, nasce come istituzione benedettina improntando la conca del suo vissuto, ancora perfettamente leggibile nel manufatto e nel paesaggio che lo circonda, rimasto relativamente integro.

Disposta ad est del Colle di Bergamo, di fronte alle pendici collinari della Maresana, la Valmarina si innesta al colle della Bastia estendendosi tra le pendici boscose del versante nord fin verso le località Ramera e Pontesecco, attestandosi al margine del “corridoio” di Valtesse e Petosino lungo la strada per la Val Brembana; strada che ricalca il vecchio percorso che usciva dalla città murata attraverso la Porta di San Lorenzo, verso il Brembo

A differenza di Astino, però, l’ex monastero di Valmarina, anche per la storia che vi si è svolta, ha avuto un legame diverso con il “Colle” e con la città – di cui non ha mai costituito una zona di anticipazione -, preludendo altri spazi, ad altri contesti. La forte caratterizzazione della conca è poi accentuata dai nuovi significati derivanti dall’essere divenuta il luogo d’elezione della sede operativa del Consorzio del Parco regionale dei Colli di Bergamo, che lo ha acquisito nel 1985.

Anche il rapporto della valletta con la città e con l’esterno è rimasto pressoché immutato nei secoli, considerando, oltre al paesaggio, i percorsi che dalla strada per la Val Brembana risalivano verso la Bastia o raggiungevano Colle Aperto attraverso gli abitati di Gallina e Castagneta.

Persino la vasta porzione di terreno che circonda l’ex monastero corrisponde alla sua pertinenza originaria, che secondo documenti è calcolata in circa trecento pertiche, comprensive di prati, aree boscate e parti coltivate a vite, così come oggi.

Valmarina (da “marra”, cumulo di sassi, probabile riferimento alle attività di estrazione nelle vicinanze) è caratterizzata su larga parte dei versanti dalla presenza del bosco e presenta sulle pendici meglio esposte una vasta area di coltivi in gran parte costituiti da terrazze tenute a vite

Nella valletta scorre un rivo, un corso d’acqua la cui presenza fu fondamentale per la nascita e la secolare vita del monastero, di cui abbiamo testimonianza già intorno al 1150 quando vi si stabilì una piccola comunità di religiose ispirata alla preghiera ed al lavoro, secondo la Regola benedettina: la sua acqua dovette essere incanalata dentro il recinto (nella zona più bassa, come documentano gli antichi cabrei), provvedendo per secoli al suo sostentamento.

Le monache vi risiedettero stabilmente fino alla fine del XV secolo e cioè fino a quando, forse anche per i rischi connessi alla posizione appartata e solitaria del luogo, si trasferirono in città presso il monastero di S. Maria Novella col quale, unendosi, diedero vita a quello di S. Benedetto nell‘attuale via S. Alessandro, istituzione che ancora oggi accoglie, in continuità con la tradizione, una comunità viva ed operosa di monache di clausura.

Chiostro isabelliano del monastero di S. Benedetto, in via S. Alessandro (BG), originatosi nel Duecento con il nome di S. Maria Novella. La nuova dedicazione avvenne in seguito alla fusione nel 1487 con il monastero benedettino di S. Maria in Valmarina e poi con quelli di Bonate e di Brembate. In seguito alla visita apostolica del 1575 vi si confluirono anche le monache del soppresso monastero di San Fermo in Plorzano

All’abbandono relativamente precoce della valletta da parte della comunità monastica, dovette corrispondere la destinazione pressoché esclusiva del complesso monastico a funzioni rurali. E’ utile però sottolineare che in Valmarina la definizione dei corpi di fabbrica intorno alla corte nelle forme e nelle dimensioni attuali avviene – come provato dai documenti – solo di recente, dal tardo Settecento in avanti.

Venute meno le condizioni per adeguamenti tipologici e stilistici di epoche successive, nonostante alcuni crolli e gli adeguamenti successivi la “situazione” medioevale si è cristallizzata, causando sì un progressivo impoverimento della parte superstite del complesso ma non una sua trasformazione, come invece è accaduto in quasi tutti gli altri monasteri benedettini bergamaschi conservati, che non hanno mutato la loro sede (S. Grata, Astino, Pontida, S. Paolo d’Argon, S. Benedetto).

Pertanto tutto quel che è sopravvissuto alle demolizioni ha conservato i suoi caratteri essenziali, conferendo al complesso un valore specifico di testimonianza, impreziosita ulteriormente dall’antichità del manufatto.

Ad una prima fase antica in cui il complesso monastico si è fissato con i suoi elementi costitutivi dentro e fuori dal recinto primitivo, è dunque seguita una seconda fase in cui la corte si è praticamente raddoppiata per i corpi di fabbrica – abitazioni rurali e annessi rustici – realizzati attraverso un processo additivo avvenuto a partire dal tardo Settecento, mediante il riuso di materiali poveri, rinvenuti sul posto (1).

La porzione più antica del monastero, distinguibile anche grazie ai caratteri tipologici e alla tecnica costruttiva adottata, era costituita da un complesso recintato, di carattere fortificato, che si presentava presumibilmente come una corte chiusa, delle stesse dimensioni dell‘attuale nel senso nord/sud ma molto più ridotta nel senso est/ovest, come descritto in antichi documenti (2): oltre alla chiesa e il lungo corpo di fabbrica rettangolare ad essa collegato, che costituiscono il lato est del complesso, anche un tratto di muro di cinta che delimita a sud la corte per almeno la metà dell’attuale lunghezza.

Si veda la versione in 3D. Il complesso architettonico di Valmarina si presenta oggi come un insieme di corpi di fabbrica distribuiti intorno a una grande corte che si adagia al piano seguendo l’andamento del versante. La parte più antica, rivolta ad est, corrisponde alla chiesa e al lungo corpo di fabbrica rettangolare ad essa collegato nonché a un tratto di muro di cinta che delimita a sud la corte per almeno la metà dell’attuale lunghezza. Altre parti sono scomparse e le aggiunte costituiscono addizioni, realizzate dal ‘700 in avanti per usi rurali

Ed è nel lungo corpo di fabbrica collegato alla chiesa, corrispondente al lato est del complesso e comprendente la sala del capitolo, il refettorio e il dormitorio, che vissero le religiose.

Il lato est presenta, incorporato nello spigolo settentrionale, ciò che resta della primitiva chiesetta romanica  definita da un’abside quadrata e con pianta a croce; dei due bracci l’uno è completamente caduto (già non figura in un cabreo cinquecentesco), l‘altro è inserito nell’ala lunga ancora conservata dell’antico monastero, che forma il lato orientale dell‘intero complesso, con volumi distribuiti su due piani

All’interno di questa corte dovevano trovarsi anche una torre, una seconda  chiesa – dedicata a S. Ambrogio – nonché una cantina.

In corrispondenza degli attuali volumi posti ad ovest del portone principale dell’attuale accesso alla corte doveva esserci un grande portico, parzialmente riconoscibile nei caratteri delle murature, che un cabreo tardo-cinquecentesco  descrive sulla fascia interna dell’edificio, nella stessa disposizione e con la stessa scansione di quello tuttora esistente.

Il Cabreo, eseguito nel 1742 dall’agrimensore Tomaso Bottelli (Archivio del Monastero di S. Benedetto), rivela eloquenti indicazioni sia sul complesso edificato, sia sui terreni circostanti. Gli edifici conservano in larga misura lo stesso assetto rilevato dal citato cabreo tardo-cinquecentesco (indicato in nota 2). Vi si trova, inoltre, la notazione del rivolo “che passa nel stallo” e una dettagliata descrizione delle campiture degli spazi disposti intorno

 

L’ex monastero di Valmarina prima dei restauri, prospetto sud

 

L’ex monastero di Valmarina prima dei restauri, prospetto est

 

La facciata della chiesa intitolata a S. Benedetto ed orientata secondo l’antica usanza medioevale, con la parete di arenaria scandita da due eleganti monofore separate da una lesena e sovrastate da due piccoli oculi

 

Il tessuto murario, a masselli sbozzati disposti con molta regolarità in strati orizzontali, rivela affinità con alcuni altri esempi di architettura locale riconducibili ai secoli Xll-Xlll, quali per esempio le parti più antiche della chiesa di Astino

 

Degni di attenzione i particolari stilistici del timpani triangolari monolitici delle monofore e di altre aperture che pure rivelano affinità con altri edifici medievali bergamaschi, per esempio a Calepio, Gorlago, Trescore

Le addizionl, realizzate dal tardo Settecento in avanti per servire alla funzione rurale, consistono in volumi relativamente poveri, di architettura spontanea e secondo la tipologia ricorrente, con abitazioni e rustici giustapposti: cucine e stalle al piano terreno, stanze da letto e fienili al primo piano, scale semiesterne, ballatoi sottogronda sulla fronte per le comunicazioni orizzontali, portici e tettoie per gli attrezzi e le stramaglie.

Planimetria dell’edificio. Le addizioni, realizzate dal tardo Settecento, si trovano sui lati nord ed ovest del complesso ed hanno l’aspetto di abitazioni rurali e rustici annessi, riconoscibili anche per la tecnica costruttiva

Il tutto realizzato con materiale eterogeneo e diverso secondo gli interventi: quello sul lato nord, pur presentandosi aII’esterno con un prospetto abbastanza unitario, rivela tre distinte fasi costruttive, alla più antica delle quali è riferibile un tratto di muratura conservato verso il cantonale ovest.

AlIe fabbriche settentrionali si collega, quasi come un’appendice, un altro corpo rustico con andamento nord/sud che, assieme ad un muro di cinta ed un portico, chiude il lato ovest della corte (3).

Tuttavia, nonostante le aggiunte successive va riconosciuto “che l‘armonica disposizione dei volumi intorno all’ampio spazio centrale, l‘adeguamento ai livelli dei terreno, le ampie pagine di cotto dei pioventi a due falde, la presenza di alberi dentro la corte ed in particolari posizioni delI’intorno, i punti di accesso con i suggestivi rapporti interno-esterno, la bellezza della cornice naturale sui vari lati sono tutti elementi che contribuiscono a conferire lineamenti caratterizzanti e consentono di interpretare l‘insieme come realtà unitaria” (Lelio Pagani, cit. in Riferimenti).

La proprietà (edifici e terre annesse) rimase della comunità monastica di S. Benedetto fino alle soppressioni napoleoniche del 1797, quando passò nelle mani di privati, mentre la chiesa venne chiusa al culto in anni recenti, spegnendone la dignità architettonica (negli ultimi tempi fu ridotta a fienile) e avvilendo ulteriormente l’intero edificio.

La chiesa prima dei restauri

 

La corte prima dei restauri

Il secolare complesso monastico è stato recuperato dal Consorzio del Parco regionale dei Colli di Bergamo che lo ha acquistato nel 1985 destinandolo a propria sede liberandone le potenzialità nel rispetto e nella valorizzazione di tutti gli elementi significativi del suo divenire storico-architettonico.

Posta in posizione baricentrica rispetto aIl’ambito sul quale lo stesso Consorzio estende le sue competenze, Valmarina ha così recuperato una nuova polarità rispetto al “Colle di Bergamo”, con il quale ha instaurato nuovi rapporti e nuovi dialoghi, divenendo al tempo stesso punto di riferimento per il territorio più vasto dei Parco regionale.

Note

(1) G. Grassi “Obiettivi operativi e criteri generali dei progetto di ristrutturazione architettonica dei complesso edilizio di Vaimarina destinato a nuova sede consortile dei Parco regionale dei Colli di Bergamo”, 1987, Consorzio del Parco dei Colli. In “Progetto Il Colle di Bergamo”, a cura del Parco dei Colli. Lubrina, 1989.

(2) La distribuzione e la reciproca relazione degli originari corpi di fabbrica sono descritte in un documento del 1367 e trovano un lucido riscontro nelle pagine di alcuni cabrei tardo-cinquecenteschi relativi ai beni del monastero di S. Benedetto, che illustrano la proprietà di Valmarina (Archivio di Stato di Milano – Fondo Religione “Libro delle descriptioni dele proprietà ragion dele Reverende monagi de Sancto Benedeto posto nela visinanza de Sancto Steffano” – agrimensore Marziale de Zucchi, 1583). Il suddetto documento, datato 21 gennaio 1367 (cfr. Archivio Monastero di S. Benedetto), disposto ai fini dell‘assegnazione in affitto e che si dice redatto “in castro ipsius monasterii”, descrive l’ampio appezzamento di terreno intorno al monastero, dando ragione anche della sua estensione, che ammonta a circa trecento pertiche. Vi si ricavano preziose indicazioni circa la destinazione colturale dei fondi (“Questa pezza de terra montiva boschiva sortiva et parte aradora vidata et parte prativa et cum el stallo et una giesia dita in Valmarina”) e si accenna ad “una turi solerata et cum duobus solariis et cum una caminata et cum quadam domo seu ecclesia que appellatur ecclesia sancti Ambroxi cum uno torcularii in ea et cum uan coquina sita prope scalam et cum una domo solerata que appellatur caneva que omnia predicta aedificia existentia in dicta pecia terre sita sunt in dicto monasterio et inter muros dicti monasterii et cum una hera et curte et una porticus magna site in dicta pecia terre extra muros dicti monasterii et radenter dictum monasterium” (Lelio Pagani, “Progetto il Colle di Bergamo”, a cura del Parco dei Colli. Lubrina, 1989). Una delle pagine pagine relative ai suddetti cabrei tardo-cinquecenteschi, riporta invece nitidamente il complesso a livello planimetrico, con la precisazione dell’articolazione interna degli spazi.

(3) G.P. Brogiolo e L. Zigrino “Il monastero di Valmarina: lettura stratigrafica dei manufatto architettonico”, Bergamo, 1986, Consorzio del Parco dei Colli. In “Progetto Il Colle di Bergamo”, a cura del Parco dei Colli. Lubrina, 1989.

Riferimenti

Lelio Pagani, Paola Morgante, Valmarina, in “Progetto Il Colle di Bergamo”, a cura del Parco dei Colli. Lubrina, 1989.