La facile escursione, che si svolge nella parte occidentale dei colli, ricca di valenze storico-naturalistiche, si diparte dalla piana di Astino, con al centro il complesso benedettino vallombrosano, immerso tra campi coltivati e dolci versanti terrazzati coltivati a vite e a frutteto. Il percorso si dirige verso Mozzo – dove spicca per importanza storica l’emergenza di Castello Presati – e prosegue salendo la cima del monte Gussa sino a lambire il balcone soleggiato di Villa Bagnada, dominante sulla pianura. Raggiunta la sella di Madonna del Bosco, il nostro percorso ideale s’inoltra nel Bosco dell’Allegrezza che cela, avviluppati nella folta vegetazione, i ruderi dell’omonimo “Castello”: una delle tante fortificazioni che punteggiano la zona. L’anello si conclude presso il monastero di Astino, uno dei monumenti più affascinanti di Bergamo, che al centro di una conca verdeggiante accoglie e ritempra il viandante, fra la secolare quiete delle sue spesse mura ed un piacevole effluvio aromatico sprigionato da innumerevoli essenze: il tutto, leggendo i tanti segni lasciati dai Vallombrosani in questa valle miracolosamente sopravvissuta al trascorrere del tempo.
Il giro ad anello ha inizio dalla via Astino – che raggiungiamo anche dalle vie Sudorno, Torni e Lavanderio -, dove spicca la mole del monastero vallombrosano con la torre gotica del Beato Guala e la chiesa del S. Sepolcro, totalmente recuperati.
Più in là, la Cascinetta del Mulino, un tempo adibita a legnaia ed oggi reception e spazio ricreativo, ricorda con il suo nome le attività che un tempo si svolgevano nella valle, ancor’oggi caratterizzata da attività agricole ad alto rendimento, grazie alla a un microclima termofilo, alla fertilità del terreno e dell’abbondante presenza d’acqua.
Siamo nell’ultimo angolo della città rimasto quasi immutato nel tempo, ricco di presenze storiche e di grande suggestione paesaggistica: qui tutto “parla” del monastero e delle grandi opere intraprese dai benedettini Vallombrosani sin dal lontano 1070, quando si insediarono in terre per gran parte feudo dei Mozzo e dei Suardi, in un latifondo oggi sopravvissuto miracolosamente alla frammentazione e agli appetiti speculativi: da quel momento, i Vallombrosani cominciarono ad intrecciare una fitta rete di relazioni con le vicende politiche e civili della città.
Giunti ad Astino, i frati cominciarono a dissodare e livellare i terreni e a trasformare il luogo con sapienti lavori di irrigazione, terrazzando i declivi anche con muretti a secco di contenimento, così da poterli coltivare a fondo: era il periodo in cui i lavori intrapresi dai grandi impianti conventuali di Astino, Santa Lucia e Valmarina, emancipavano l’intero territorio comunale al ruolo di suburbio agricolo del “Comunis Pergami”.
Se ci guardiamo intorno, possiamo ritrovare le tracce di quel lontano passato nelle cascine sorte intorno al monastero, inserite in un disegno minuto di vigneti ed orti, di pendii tagliati a gradoni, di viottoli e scalette, di muretti costruiti a secco sorretti da archetti.
E boschi, boschi rigogliosi come quello sopra Astino, che gli abitanti del posto chiamano familiarmente “Scabla”: un querceto secolare d’importanza comunitaria, la cui forma ricorda la pelle di un orso.
Osservando con attenzione, vediamo intrecciarsi strettamente le storie degli uomini e del lavoro nei campi e vedere nelle vicende attuali il futuro di questa fertile valle, da sempre vocata all’agricoltura.
Le cascine sorte con l’arrivo dei Vallombrosani avevano l’aspetto di fortezze, come si evince dalle grosse mura perimetrali o dalle torri poi inglobate in ristrutturazioni postume; solo con il tempo si trasformarono in cascine aperte, i cosiddetti “sedumi” che compaiono negli antichi cabrei.
Prese forma il minuscolo borgo del Lavanderio, e, insieme, ad una fitta rete di percorsi di terra – di cui il convento era il fulcro – e di vie d’acqua.
Fin dall’epoca del suo insediamento, il monastero si approvvigionava di acqua dalla fontana “Astina”, ovvero il Lavanderio.
L’autorizzazione alla captazione da parte del Podestà di Bergamo risale al 1203, ma prima, nel 1156, il monastero aveva ottenuto il diritto a captare l’acqua anche dalla fontana dell’Acquamorta, che insieme alla fonte del Gavazzolo alimentava generosamente l’acquedotto di Sudorno.
La piana di Astino è ancor’oggi disegnata dai canali di irrigazione che documentano la sapienza delle antiche opere idrauliche intraprese dai Vallombrosani: come il Canale del Pomperduto (che deriva l’acqua dal Serio sotto il ponte di Gorle e la conduce con tre “seriole” che tagliano la città, fino alla pianura di Stezzano e Levate) e la Roggia Curna, una derivazione della Morlana, a sua volta alimentata con acque dal fiume Serio.
Ideata primariamente dai Benedettini di Astino a cavallo del 1100 d.C., fu rifatta completamente da Bartolomeo Colleoni nel 1475 per portare le acque irrigue nelle sue estese proprietà terriere ad ovest di Bergamo, quindi verso Mozzo, Curno, Treviolo e Ponte San Pietro, notoriamente in balia delle estati siccitose. La Curna è tuttora di proprietà del Luogo Pio della Pietà Istituto dallo stesso condottiero.
Oggi il reticolato idrico è stato semplificato per facilitare il movimento dei moderni mezzi agricoli e i canali sono stati approfonditi allo scopo di drenare i campi convogliando l’eccesso delle acque superficiali.
Ancor’oggi la valle d’Astino ha acque proprie, sia di origine sorgentizia, sia perché solcata da canali d’impluvio (qui nasce il torrente Morletta), mentre la falda sotterranea, ricca d’acqua, alimenta il pozzo recente servendo l’attuale progetto agricolo biologico: acque preziose, da sempre tenute in grande considerazione e gestite con oculatezza, a partire dai primi contadini che vi abitavano.
I PERCORSI
Anche le strade che percorriamo ricalcano l’antica rete dei collegamenti – imperniati sulla presenza del monastero – ed in primis il tracciato che sale al Lavanderio o quello che si inoltra nel bosco dell’Allegrezza per risalire all’antica via Bagnada, scollinando alla Madonna del Bosco.
Il borgo del Lavanderio, il cui nome deriva dal lavatoio ancora presente, è sorto proprio sul percorso che collegava Città Alta – e lo stesso monastero di Astino – ai ponti di attraversamento sul Brembo attraverso Rizzolo del Pascolo; un percorso la cui antichità è comprovata dalla torre difensiva medioevale, mozzata ed inserita nella cortina edificata posta all’altezza del portico, il quale ne ha celato la vista dalla valletta.
IL PERCORSO: TRA VILLE, BOSCHETTI E ANTICHE FORTIFICAZIONI
In un ambiente così conservato, percorrendo il nostro itinerario possiamo ancora “leggere” i segni del sistema difensivo medioevale eretto attorno alla città, di cui vi sono ampie tracce nelle strutture isolate d’avvistamento e segnalazione presenti tra Longuelo e Mozzo, dove, sia in pianura che in collina, sorgono torri, “castelli” e cascine turrite.
La zona di Astino è proprio quella che conserva il più articolato sistema di torri e fortificazioni, che controllavano le principali vie di penetrazione proteggendo sia il suburbio che la città murata, compresi i borghi che erano sorti lungo i suoi fianchi (a loro volta protetti da addizioni, cui si accedeva attraverso porte fortificate come quella dei Sanici in Borgo Canale).
All’estremità nord-occidentale dei colli, l’antichissima roccaforte di Sombreno, posta a controllo delle valli Brembana e S. Martino, svolgeva le medesime funzioni di avvistamento, mentre al vertice di tutto il sistema di segnalazione il Castello di S. Vigilio e, dal XIV secolo, la Rocca sul versante opposto, assicuravano in caso di pericolo una puntuale difesa.
Lo stesso monastero era in contatto visivo con la trecentesca casa-torre che sorge ad ovest, in via Astino 41, proprio in angolo con via Ripa Pasqualina: un antico fortilizio inglobato in un edificio.
Era poi in contatto visivo con la torre della cascina Bechèla (Becchella), nella via omonima, che si innesta allo svicolo tra via Astino e via Madonna del Bosco.
Proseguendo per via Madonna del Bosco ed oltrepassata la cascina-trattoria Lozza, con animali in bella mostra per la gioia dei bambini, ci dirigiamo verso l’edificio delle Suore delle Poverelle (fondato nel 1869 dal Beato don Luigi Palazzolo ed ora casa di riposo per le suore), raggiungendo in breve la Chiesa di Madonna del Bosco, costruita nel 1762 abbattendo la primitiva cappella del 1615.
All’inizio dei tornanti che salgono ripidi alla sella di via Madonna del Bosco (strada aperta nel secondo dopoguerra), la piccola via della Vena portava a una cava di pietra arenaria, ora abbandonata, e le cui tracce sono ben visibili sui tornanti della nuova strada.
Ma all’altezza della chiesa il nostro itinerario piega a sinistra lungo la pianeggiante via Castello Presati, che prende il nome dal possente fortilizio dei Capitani di Mozzo e che si incontra dove la strada, restringendosi, diviene sterrata.
Mantenendoci lungo via Castello Presati costeggiamo il muro del campo da golf, attraversato da un antico bosco di roveri, incontrando diversi edifici tra cui la Casa Carnazzi e l’attigua cappella dedicata a Sant’Anna, sorte in età barocca quando Mozzo acquisì un ruolo di villeggiatura suburbana.
Giungiamo quindi a Castello Presati, adagiato su un dossello coltivato a vite e alla cui base sorgono cascine dal tardo medioevo. L’edificio è identificato nelle sue strutture più antiche con il castello dei signori di Mozzo.
Si sostiene che la sua torre quadrata sia stata fatta abbassare in epoca Napoleonica.
Da via Castello Presati, lasciata a sinistra la via che scende verso Longuelo, proseguiamo per via Borghetto di Mozzo, ammirando la conca stretta tra lo sperone del castello Presati (265 m.) e quello del colle Lochis (m. 287-309 s.l.m.), la propaggine che conclude a sud-ovest il sistema collinare, caratterizzando il crinale con cipressi secolari e disegnando il pendio con la trama dei vigneti e le case a corte con rustici, aperte a meridione.
Il colle costituiva una linea fortificata avanzata a difesa della città, dominata dal “castrum” dei capitani di Mozzo, un’importante famiglia documentata nel IX secolo, che contribuì alla nascita del monastero di Astino.
Fiancheggiato il centro di recupero funzionale (ex Ospedale di Mozzo), continuiamo su via Borghetto (che segue l’andamento del colle tra villette, vigneti e bosco) sino a via Castello (una via asfaltata chiusa alle auto da una catena), che seguiremo in salita piegando a destra. Più si sale e più il panorama diviene ampio ed invidiabile.
Dopo il tratto di salita, la via Castello diviene pianeggiante sovrastando bellissimi vitigni; raggiunto il punto in cui la strada comincia a scendere, abbandoniamo via Castello per piegare nettamente a destra (indicazioni) imboccando il largo sentiero 805 CAI che si immette nel fitto e fresco bosco.
Poco oltre, raggiunto il primo bivio sentieristico, pieghiamo a sinistra per raggiungere in poco più di dieci minuti la modesta cima del Monte Gussa (390 m) in territorio di Mozzo (segnavia 807 CAI), dove è presente la croce metallica costruita dagli scouts nel 1950 e ricostruita dagli Alpini di Mozzo nel 1981.
Torniamo al precedente bivio sentieristico e pieghiamo a sinistra per raggiungere in breve la carrareccia che costeggia il lungo muro di contenimento della tenuta dell’imponente Villa Bagnada , punto panoramico in comunicazione visiva con il colle della Benaglia.
La villa, un esempio di architettura neoclassica di fine dell’Ottocento concepita come casa di villeggiatura, fu presumibilmente occupata dai capitani di Mozzo, data la sua posizione e i muri medioevali su cui è fondato il corpo centrale.
La dimora, oggi dei fratelli Bonassi, si trova al centro di un paesaggio collinare ancora integro, dominando sola soletta la conca, al limite del bosco, e restando ben visibile dalla pianura.
Nonostante la modesta quota (338 m), il panorama sulla città di Bergamo e sulla pianura occidentale è davvero apprezzabile e la vicinanza ricorda la vicina frasca, ormai divenuta casa privata, cui si accedeva dalla sterrata di via Caneva (da “cantina, deposito di vino”, appunto).
Lasciata alle spalle l’omonima villa, ripariamo mantenendoci su via Bagnada, che diviene in breve nuovamente asfaltata, e proseguiamo sempre dritti su via Rabaiona, toponimo derivante probabilmente dal cognome Rabaioni o Rabaglio, conservato nel nome di una cascina.
In lieve discesa raggiungiamo la sella di Madonna del Bosco (il valico che collega la conca di Astino con quella di Sombreno) per immergerci, al di là della strada, nel fitto bosco dell’Allegrezza attraverso un sentiero che ridiscende dolcemente sino al bivio sentieristico che indica verso destra la direzione per il Castello – Cascina dell’Allegrezza.
In breve raggiungiamo i ruderi del Castello dell’Allegrezza (280 m), nel medioevo presidio fortificato di proprietà della potentissima famiglia Suardi, inserito nel sistema difensivo del suburbio. Era dotato di un’alta torre di avvistamento posta in contatto visivo con il Castello Presati.
Esaurita la funzione originaria, il complesso venne adattato a cascina con l’apertura di alcune finestre, la creazione di una corte e la costruzione di un porticato sul fianco est, per poi essere abbandonato alla fine degli anni 50 del secolo scorso.
Il Castello è immerso in una Riserva tutelata, grazie alla presenza di un querceto misto a specie rare nella collina Bergamasca (come il cerro), lungo il sentiero che congiunge la Madonna del bosco alla valletta di Astino.
Non mancano i castagni, che erano fonte di alimento e di materiale da impiegare nel vigneto e per riscaldare e, con un po’ di attenzione, si scoprono anche i vecchi terrazzamenti.
Ritorniamo indietro sino al precedente bivio e seguiamo ancora in discesa il sentiero che in breve si immette sulla strada asfaltata di via Allegrezza, da cui si apre una veduta di largo respiro sulla piana coltivata di Astino.
Percorriamo la strada raggiungendo in breve tempo il complesso monastico, che i frati rinnovarono dagli inizi del ‘500, quando nella valletta fortificata intervennero importanti cambiamenti.
AGLI ALBORI DEL CINQUECENTO: IL RINNOVAMENTO AGRICOLO E LA NASCITA DELLE CASE DI VILLEGGIATURA
Con gli interventi di rinnovamento eseguiti nella chiesa e nel monastero anche la terra divenne oggetto di un rinnovato impegno di sfruttamento agricolo: le nuove cascine sorte intorno al monastero e distribuite lungo il calibro minuto dei tracciati medioevali, vennero adattate ad usi rurali, così come i robusti impianti fortificati circostanti quali il Castello dell’Allegrezza o la torre del Lavanderio, che da quel momento vennero a dipendere dall’abbazia: un documento del 1516 rivela che il terreno intorno al Castello dell’Allegrezza era ‘coltivato a vite, prugni, castagni da frutto e da legna, meli, peri, noci, ciliegi, fichi, salici, roveri, cerri’.
Già nel Quattrocento, sulla collina di San Vigilio erano sorti i primi roccoli, avviando una tradizione tipica della terra bergamasca e dei suoi abitanti. Ora considerata pratica crudele, la caccia con le reti era un tempo l’unica che consentisse a montanari e contadini di aggiungere nel piatto – dove prevaleva la polenta – la saporita carne degli uccelli stanziali e di passo; quotidianamente, dai colli giungevano alla città lunghe sfilze di tordi.
L’inizio del Cinquecento è anche il momento in cui la plaga di Astino è già ambito e collaudato luogo di villeggiatura suburbana, con le “villulae” che punteggiano qua e là i crinali ed i pendii.
Ville di dimensioni raccolte affiancate da rustici, in una semplicità di elementi costruttivi, di impiego di materiali e colori, felicemente fusi in un paesaggio disegnato da alberi e coltivazioni. Oggi, non sempre riconoscibili in quanto trasformate da ristrutturazioni successive.
La tradizione vuole che Plinio il Giovane, nipote dell’altro Plinio (morto nell’eruzione del Vesuvio), avesse una villa sui colli. Nativo di Como, Bergamo doveva essergli familiare e si volle identificare in una villa sul crinale tra il Pascolo dei Tedeschi e la valle d’Astino la dimora – chiamata ancor oggi Villa Plinia, sede delI’Istituto Palazzolo-Noviziato Suore delle Poverelle – dove trascorreva le vacanze.
Del tardo Quattrocento riconosciamo la “Cascina Moroni”, mollemente adagiata su un terrazzo soleggiato al di sotto della Bastia: fu edificata dai monaci di Astino come tubercolosario ad uso privato (è infatti impreziosita da affreschi di soggetto religioso) e poi divenne un edificio padronale.
Nella fase cinquecentesca delle ville sui colli rientra anche la non lontana Villa Benaglia, che dominando il piano di Longuelo forma una delle più spiccate emergenze architettoniche e ambientali del Parco dei Colli.
Dal 1600, il versante meridionale, terrazzato dagli stessi Vallombrosani, fu vitato con uva bianca moscatella, vernaccia e malvasia, regalando la sua impronta al paesaggio della Val d’Astino.
I grappoli, portati al monastero lungo i sentieri campestri, venivano immersi negli enormi tini delle imponenti cantine, dove affluivano anche uve di altri territori che fecero del monastero la prima cantina sociale della Bergamasca.
LA STAGIONE LIBERTY DEL COLLE
L’antico spazio rurale è radicalmente mutato, insieme ai colori e alla tessitura dei pendii; i contadini hanno da tempo lasciato le loro cascine, trasformate in residenze stabili o di villeggiatura sul finire dell’Ottocento e ancor di più nel primo Novecento, quando gli abitanti della città hanno cominciato a scoprire le splendide colline panoramiche di monte Bastia e S. Vigilio, felicemente esposte e baciate dal sole in ogni stagione.
Alle poche case che punteggiavano la conca, ch’era ancora fortemente rurale, si sono sovrapposti gli edifici in stile liberty, che hanno trasformato questi luoghi sulla scia dei modelli di città-vacanza facendo loro acquisire quella singolarità paesistica e panoramica che oggi ben conosciamo: non più solo case di villeggiatura nella vecchia casa di famiglia o per le cacce quindi, ma vere e proprie residenze che i cittadini più abbienti hanno cominciato a costruire nei luoghi più accessibili.
Sui pendii che abbracciano la conca sono fiorite ville e villini di stampo Liberty felicemente fusi nel paesaggio vario di coltivazioni e alberi: è il caso di Villa Keller, a oriente del monastero, o del Villino Neri sui Torni, costruita su una casa preesistente e delicatamente decorata in stile.
Villa Keller, di timbro romantico-eclettico, è circondata da uno splendido parco naturalmente legato al plurisecolare querceto di Astino, adagiato sul versante nord-occidentale della dorsale di Sudorno: un bosco che, insieme a quello dell’Allegrezza, ha conservato condizioni che avvicinano agli antichi equilibri.
Ai piedi di via Monte Bastia spicca l’emblema più vistoso del fenomeno che in quel periodo fa divenire la località ambito sito di villeggiatura: la monumentale Villa Viviani, nata dalla ristrutturazione e dall’ampliamento negli anni Venti di un edificio cinquecentesco corrispondente alla torretta terminale medioevaleggiante.
A questa singolare ed esclusiva concezione dell’abitare si è accompagnata la fioritura di giardini, che oggi mimetizzano i crinali così come lo stesso Castello di S. Vigilio.
A poco a poco, al verde tradizionale costituito anche da colture legnose come la vite e gli alberi da frutto, si è sostituito il verde dei giardini con la comparsa di nuove essenze, anche esotiche, e l’introduzione di alcune conifere.
A partire dagli anni ’50 del secolo scorso, via via che le famiglie abbandonavano le attività agricole e le cascine intorno al Monastero, si è assistito al degrado degli edifici, all’estirpazione dei vigneti, all’espansione del bosco sui terrazzamenti, alla trasformazione della piana agricola in una grande monocoltura a mais.
Le viti sono così scomparse dalla valle, con qualche rara eccezione, come in prossimità della cascina La Schésa, adagiata sul lato sud-est della conca, databile nelle sue strutture più antiche tra il ‘400 e il ‘500.
Oggi, il nuovo vigneto appena sotto il Monastero rappresenta quindi un grande ritorno.
Anche il “colore” e la tessitura dei pendii, ora disegnati da una più minuta architettura vegetale, è cambiato, ed oggi non possiamo che ammirarne supefatti la bellezza struggente e variegata, fatta di terrazzamenti rigogliosi, campiture di colore e giardini grandi e piccoli, che donano alla valletta uno strepitoso pregio paesaggistico.
Soprattutto, la piana e le prime balze della collina mantengono le caratteristiche di un’oasi agricola, dove permane la consuetudine della passeggiata domenicale, della colazione sull’erba o in qualche radura del bosco, con frotte di persone che percorrono viuzze, boschi, sentieri e scalette.
Ed infine, ben esposto sulle terrazze secolari che un tempo accoglievano viti e coltivi, è tornato l’olivo, ove un tempo vi era un podere denominato Monte Oliveto, in linea con la lunga tradizione sui colli di Bergamo.
Nella piana racchiusa tra i boschi la vita scorre lenta all’ombra del monastero, dove grazie al lavoro dell’uomo la natura elargisce frutti a piene mani.
Dove la sera, il volo delle cornacchie lascia spazio al suono dei rapaci e al gracidìo di raganelle, che zittiscono al sorgere del sole quando un cinguettio indistinto prende a scandire il tempo insieme al canto del Cucù.
Nella Valle che profuma di Storia, dove il tempo sembra essersi fermato.
Riferimenti essenziali
“Il Parco dei Colli di Bergamo – Introduzione alla conoscenza del territorio”: “Caratteri urbanistici e presenze architettoniche”, Graziella Colmuto Zanella. “Spunti per una lettura del paesaggio del Parco dei Colli”, Lelio Pagani.
“Alle porte di Città Alta”, V. Bailo, R. Cremaschi, P. Serra – Associazione per Città Alta e i Colli di Bergamo – Spaggiari edizioni Srl, 20.
A cura del Parco dei Colli, “Progetto Il Colle di Bergamo”. Lubrina, 1989.