Il 29 ottobre 1922 vi fu l’assalto al palazzo delle Poste e Telegrafi da parte dei fascisti, riassunto nelle parole dell’avvocato giornalista Alfonso Vaiana:
“Più laboriosa l’occupazione delle Poste e Telegrafi, alla quale potei assistere, poiché le informazioni su quanto si preparava… ignorate dalIa questura, erano arrivate in redazione: un ghiotto servizio per il giornalista! A mezzanotte (tra il 28 e il 29 ottobre 1922) sul Sentierone si aveva l’impressione di poter camminare nudi, ma era soltanto un’impressione: le tresende della fiera – situate dove sorgono gli attuali edifici del centro piacentiniano – erano animate; al portone degli uffici postelegrafici, qualche sentinella (guardie regie); qualche ombra umana incollata nelle zone d’ombra. Anch’io, in attesa, mi ero appostato in ombra. …In quella, sempre dalle tresende, intervenne a gran corsa il grosso, il quale iniziò una sparatoria. Vediamo un ferito (mortalmente) steso al suolo… portammo il ferito in questura”. L’apparire del ferito – la guardia regia Pietro Perrone – provoca una tremenda esplosione d’ira tra le guardie regie, che vogliono correre a vendicare il compagno. E questo è veramente il momento più drammatico di tutta l’azione. ll questore – che stava creandosi i titoli per il suo avanzamento alla questura di Milano – chiude il portone, sfodera la pistola e minaccia di morte chiunque tenti di uscire. …la cronaca dei fatti fu improntata a verità ma anche ad austerità”.
lnizia cosi per l’Italia un triste periodo, caratterizzato da una sanguinosa guerra fratricida (1).
Note
(1) Da Domenico Lucchetti, Bergamo nelle vecchie Fotografie, ” Il costume (ambiente e vita)”. Grafica Gutemberg, 1976.
La nostra città deve moltissimo a Domenico Lucchetti, scomparso nel febbraio del 2008, che voglio ricordare per quanto ha rappresentato sul piano culturale e umano. In decenni di attività, ha svolto un appassionato e insostituibile lavoro di ricerca fotografica e documentaria restituendoci preziose testimonianze storico-culturali dell’intera città e della provincia, riguardo a personaggi, monumenti, vicende, vita civile, lavori e mestieri.
Con spirito di liberalità e condivisione, Lucchetti ha sempre reso disponibile il suo prezioso materiale, consentendo la realizzazione di di iniziative culturali – allestimenti, esposizioni, testi – altrimenti impossibile.
Il fotografo e collezionista, nel 2006 ha voluto donare parte del suo materiale storico-fotografico all’Archivio fotografico Sestini, depositato presso l’allora Museo Storico di Bergamo (oggi Museo delle Storie di Bergamo), che due anni dopo, in memoria di Lucchetti ha organizzato la mostra fotografica “La città visibile”.
La donazione è avvenuta non solo a scopo conservativo ma anche per realizzare un grande desiderio di Lucchetti: gettare le basi per la creazione di una fototeca cittadina, con ampi squarci su Bergamo e su tutto il mondo.
La cospicua porzione rimanente ha invece continuato ad esistere nell’Archivio Storico Fotografico Domenico Lucchetti, del quale egli ha continuato ad incrementare il fondo grazie ad un costante lavoro di ricerca.
Alla sua scomparsa, il copioso Archivio di Lucchetti è stato trasmesso alla famiglia, alle eredi che tuttora lo mantengono attivo mediante esposizioni, prestiti o collaborazioni con il Museo stesso o con enti locali, come Archivio privato Storico Fotografico Famiglia Domenico Lucchetti.
Guidato dalla profonda convinzione che ogni immagine, ogni singola fotografia, evocando “un momento di vita” non potesse venir distrutta o dimenticata ma dovesse essere tramandata, Lucchetti ha accompagnato la sua preziosa donazione con una bellissima lettera, una sorta di testamento nel quale rintracciamo insieme all’amore per la fotografia e per la sua città, l’enorme bagaglio professionale e umano del fotografo-collezionista bergamasco.
Un archivio, una vita. L’archivio Lucchetti presso il Museo delle Storie di Bergamo
Se anche nel collezionismo di oggetti apparentemente banali esiste un significato storico, riconducibile alla creatività dell’uomo, in quello relativo alle immagini fotografiche i significati si moltiplicano, emergendo in vari campi (arte, documentazione, etnografia, antropologia, psicologia, ecc.) divenendo con ciò profonda espressione intellettuale.
Grazie al padre, un eccellente fotografo dilettante presente in concorsi nazionali ed internazionali, acquisì confidenza con gli strumenti del mestiere “ma soprattutto con le non convenzionali immagini fotografiche che realizzava: affascinanti ed emozionanti” e determinato a praticare l’attività di fotografo, dopo un periodo di apprendistato presso lo studio del grande Umberto Da Re, Lucchetti si mise in proprio aprendo uno studio nella sua città, in Piazza Vecchia.
Qui svolse per anni la sua attività, provvedendo alla conservazione delle sue negative.
La fotografia quale fonte di emozione
Nonostante le molte riflessioni, Lucchetti non seppe mai spiegarsi “se non in modo empirico, come mai un pezzo di carta con un po’ di gelatina più o meno annerita” potesse “recare certe sensazioni”.
Ritenne che la risposta si trovasse nel campo della psicologia e cioè nella capacità dell’immagine fotografica di porsi come “uno straordinario messaggero di sentimenti” sin dalla metà dell’Ottocento, quando, grazie all’evoluzione dei brevetti fotografici, vi fu un’enorme diffusione delle “cartes de visite”, cartoncini fotografici di cm. 6X10.
Su questi deliziosi cartoncini si soleva far imprimere il proprio ritratto, che si inviava all’amato o all’amata “quale segno di sensitiva partecipazione. Sensitiva poiché il ricevente, captato dalle fedeli sembianze amiche, gioiva e si emozionava; mentre poteva anche perdere il concetto di spazio-tempo, per divagare tra vivi ricordi”.
Oltre all’immagine, altamente evocativa, rimaneva all’amato/a “anche l’oggetto fotografia, che diveniva feticcio, da conservare come si conservano le reliquie corporee dei santi”, o che, nei casi peggiori, poteva venire strappata in seguito a una delusione amorosa.
Ma grazie al suo forte oggettivismo l’immagine fotografica ha anche il potere di fissare o fermare il tempo e permettere “di capire in molte circostanze più di quanto si possa capire osservando direttamente la fuggevole realtà”.
Comunque, al di là dei molteplici aspetti della fotografia, per identificare la molla che può spingere un collezionista alla ricerca, “basta aver messo l’accento sui suoi valori sensitivi ed emozionali” che essa sottende.
Le ragioni del collezionismo
“L’iniziativa di raccogliere e salvare anche fotografie di altri è sempre stata per me implicita alla mia attività; soprattutto con riferimento a quelle negative o stampe fotografiche soggette a deperimento. Ritenendo che le immagini fotografiche possono evocare irripetibili momenti di vita, non tollero la loro dispersione o distruzione.
Quando seppi che la vedova di un noto fotografo della Valdimagna aveva sepolto nel pollaio tutte le lastre del marito ne ebbi un dolore fisico. Il migliore spirito del collezionista è quello che ti porta sì a possedere, ma anche a sapere in buone mani il materiale che non possiedi.
La ricerca del materiale fotografico è stata per me lenta e paziente, ma sempre rivolta con grande attenzione alle occasioni favorevoli. Ho cercato di non farmi prendere dal ‘morbo del collezionista’, che di solito porta alla ricerca dei soli pezzi originali. Perciò, senza trascurare la raccolta di opere autentiche, ho dato molta importanza ai contenuti, eseguendo migliaia di riproduzioni. Per fare questo mi sono rivolto a varie istituzioni o collezionisti in possesso di originali importanti, ma soprattutto ho seguito le diverse esposizioni provinciali o rionali, spesso frutto di una locale ricerca porta a porta. Ho poi riprodotto archivi privati, frequentemente legati a famiglie nobili. Ho pure razzolato tra mercatini, solai di famiglie disponibili e studi fotografici in liquidazione.
Mi sono mosso in particolare per il reperimento di materiale d’interesse bergamasco, anche se non mi sono lasciato sfuggire opere d’interesse nazionale e internazionale, il tutto con aspetti economici oscillanti tra il molto, il poco e il gratuito […].
Comunque l’aspetto più commovente della mia collezione è scaturito dalle donazioni. Spesso gli amici donatori hanno accompagnato i loro gesti generosi con la frase: “Ti omaggiamo questo materiale perché sappiamo che lo curerai e lo conserverai adeguatamente”. Una frase moralmente impegnativa che mi ha accompagnato in questi ultimi anni col pensiero, essendo io in età matura, di dare continuità al mio archivio”.
La creazione di una fototeca pubblica: un sogno realizzato
“In merito, la riflessione più ovvia e credo più saggia è stata quella che mi ha portato alla decisione di poter collocare il materiale raccolto in una pubblica fototeca”.
Il desiderio si è tradotto concretamente attraverso l’incontro con Mauro Gelfi, direttore dell’allora Museo storico della città, l’intervento del sindaco Veneziani, dell’assessore Marabini e soprattutto della benemerita Fondazione Sestini, grazie ai quali, presso il Museo sono ora depositati, provenienti dall’archivio di Domenico Lucchetti, circa ventimila soggetti fotografici di interesse bergamasco.
Gli aspetti legati alla gestione della fototeca
Per quanto riguarda i problemi legati alla conservazione delle opere (archivio conservativo), soprattutto se originali, Lucchetti diede precisi suggerimenti in particolare per il trattamento delle delicate negative su vetro e delle stampe fotografiche, prevedendo anche la realizzazione di un gabinetto di restauro per il materiale deteriorato.
Previde inoltre la sala delle riproduzioni e la camera oscura, necessaria per poter eseguire le varie stampe fotografiche, nonostante oggi vi sia “la concreta possibilità di creare un archivio fotografico elettronico, sia partendo da negative che da stampe positive”.
Due parole sull’elettronica (un ammonimento)
“A tale proposito mi si conceda di esprimere un pensiero che esula o quasi dal tema fototeca. Sia benvenuta l’elettronica, ma si faccia attenzione, poiché entrando nella spirale degli automatismi si rischia di perdere l’inimitabile ‘sapore’ del lavoro artigianale, quel sapore che spesso è sinonimo di creatività. Con l’elettronica (e non è poco) si salva il documento, ma si rischia di non dare ‘vita all’opera’.
La stessa fotografia tradizionale ha sofferto con l’arrivo degli apparecchi fotografici completamente automatici e con il materiale da stampa dal supporto plastico. La qualità ha spesso lasciato il posto al dozzinale! E’ un problema di consapevolezza; quando questa esiste anche il computer può divenire uno straordinario mezzo creativo”.
Quale il materiale depositato
Il materiale depositato presso il Museo si divide sostanzialmente in tre categorie: stampe fotografiche originali (alcune ultracentenarie), negative originali e negative riprodotte da altri archivi, per ognuna delle quali Lucchetti ha lasciato precise disposizioni anche riguardo la catalogazione, la riproduzione, la stampa, la schedatura cartacea od elettronica, da inserire in un eventuale circuito multimediale.
Pensò anche a come affrontare il problema della fornitura del materiale richiesto dagli utenti.
Il materiale venne consegnato già schedato su carta (circa ottomila schede) ed organizzato secondo uno schema piramidale, con al vertice i tre gruppi principali: Bergamo città, Bergamo provincia e Bergamo vita.
Il gruppo “Bergamo città” ha come sottovoci: vie e piazze, cappelle, chiese, edifici privati, edifici o locali pubblici, fiera vecchia e fiera nuova, monasteri e chiostri, monumenti e fontane, mura e porte, panoramiche città bassa, panoramiche città alta, documentazione di mostre specifiche.
Il gruppo “Bergamo provincia” ha come sottovoci le indicazioni delle varie località, siano esse comuni o frazioni.
Il gruppo “Bergamo vita” è certamente il più variegato poiché molte sono le sottovoci e anche perché spesso si ricollegano ai primi due gruppi. Esse sono: animali, archeologia, attività amatoriali, calamità/guerre, cartoline illustrate, condizioni igienico-ambientali, corsi d’acqua, castelli, costume/costumi, dipinti e stemmi, folclore, fotografi, locali caratteristici, località anonime, manifestazioni/cerimonie, monumenti vari, opere d’arte, paesaggi boschivi/natura, personaggi e gruppi vari, persone particolari, ponti, stampe e mappe, teatro e teatri, umorismo, usi e costumi di altre nazioni. Tutte queste sottovoci a loro volta sono nuovamente suddivise sino a giungere ai singoli soggetti.
La sua mente organizzata e lungimirante pensò anche alla creazione di locali per la catalogazione, ad una biblioteca storico-scientifica, a locali per accogliere gli utenti ed anche per un piccolo museo della fotografia.
“Essendo una fototeca un polo culturale ne deriva che in essa, tra l’altro, si svilupperanno specifici studi, che troveranno supporto in seminari o gruppi di lavoro. Anche una eventuale edizione periodica a stampa potrebbe portare notevoli contributi. I temi da trattare saranno più che molteplici, visto che l’immagine fotografica è presente da molti decenni in ogni frangente della vita dell’uomo, persino nei suoi momenti fetali.
Ho forse esternato i miei pensieri con accenti troppo ‘passionali’ e per questo chiedo ai lettori amichevole comprensione”.
Domenico Lucchetti
Note
Le immagini si riferiscono alla mostra “La città visibile” (i Volti nella Città), organizzata nel 2008 dal Museo Storico di Bergamo (oggi Museo delle Storie di Bergamo).
Nel volume “Un bambino di Piazza Mascheroni in tempo di guerra”, realizzato da Domenico Lucchetti nel 2002 e pubblicato nei quaderni del Museo Storico di Bergamo, l’autore racconta della propria infanzia, della famiglia e di Città Alta durante gli anni della guerra.