Bergamo nel Dipartimento del Serio (1797-1814), i cambiamenti nella città e nel territorio e l’introduzione del catasto

Con il trattato di Campoformio, dopo circa tre mesi dal suo stabilimento, la Repubblica Bergamasca (subentrata alla caduta del dominio veneziano su Bergamo) entrava a far parte della Repubblica Cisalpina (promulgata nel luglio del 1797), ponendo fine alla breve esperienza di autogoverno cittadino: Bergamo, in qualità di capoluogo del Dipartimento del Serio, veniva ora a dipendere dal potere centrale milanese assumendo un nuovo ruolo rispetto al passato: da città di confine entrava in diversa relazione con il resto della Lombardia.

La suddivisione politica dell’Italia nel 1796 prima della costituzione della Repubblica Cisalpina

 

Configurazione del Nord e del Centro Italia nel 1799. Con il trattato di Campoformio, dopo circa tre mesi dal suo stabilimento la Repubblica Bergamasca entra a far parte della Repubblica Cisalpina come Dipartimento del Serio, restandovi sino al decadere del Regno d’Italia seguito dall’avvento del Regno Lombardo-Veneto e dell’occupazione austriaca. L’istituzione del dipartimento segna la fine delle articolate autonomie di cui avevano goduto le valli orobiche durante il dominio veneziano

Intanto in Europa si stava preparando la prima coalizione contro la Francia. Mentre Napoleone di trovava in Egitto, nella primavera del 1799 scendevano in Lombardia gli Austro-Russi, comandati da Suvarow.

Ricevuta di pagamento daziario, durante il periodo dell’occupazione austro russa a Bergamo

Il Direttorio bergamasco della Cisalpina si scioglieva e i suoi membri emigravano. I cosacchi entravano in Bergamo da Porta Broseta il 24 aprile spargendo terrore nella città. L’evento è ricordato in due dipinti di Marco Gozzi, collocati in una cappella del Santuario di Borgo Santa Caterina.

Ex-voto di Marco Gozzi (1759-1839) rappresentante un evento miracoloso: il passaggio di truppe francesi ed alemanne in Borgo Santa Caterina, avvenuto senza arrecare danni. Nel dipinto, la Madonna Addolorata venerata nel Santuario proteggere dall’alto i suoi devoti. Il borgo è osservato dal ponte della Morla e in prospettiva è visibile la colonna posta al centro della via

 

Gli Austro Russi in Borgo S. Caterina. Ex voto (1799). Bergamo. Santuario di Borgo S. Caterina. Il dipinto rappresenta l’ingresso nel borgo di S. Caterina, in data 14 aprile 1799, di un distaccamento austro-russo che insegue truppe francesi

Ma questo stato di cose durò breve tempo: nel novembre Bonaparte ritornava dall’Egitto a Parigi, veniva eletto primo console; nella primavera del 1800 piombava nuovamente in Italia; sconfiggeva nel giugno gli austriaci a Marengo e il territorio orobico entrava a far parte della seconda Cisalpina  (1800-1802). Con la Consulta di Lione del 1802 si emanava una nuova costituzione e nasceva così sotto la Vice-Presidenza di Francesco Melzi d’Eril la Repubblica italiana (1802-1805), che alla proclamazione del maggio 1805 di Napoleone Imperatore dei Francesi, doveva divenire Regno d’Italia (1805-1814) sotto il comando del Vice-Re Beauharnais.

Dipartimenti napoleonici italiani. Il Dipartimento del Serio vede definiti i propri confini nel 1801 con l’acquisizione della Valle Camonica, che farà parte della provincia bergamasca fino all’Unità; altra importante rettifica rispetto al periodo veneto era stata nel 1798 l’annessione, a sud, della Gera d’Adda e della Calciana

Se con la prima Cisalpina si era affermata una classe dirigente composta da uomini già politicamente attivi nei mesi della repubblica democratica (con Marco Alessandri e Girolamo Adelasio nel Direttorio), con la proclamazione della Repubblica italiana e quindi del Regno d’Italia venne realizzato un apparato statale fortemente centralizzato, che determinò la fine della autonoma organizzazione della municipalità di Bergamo, tanto che nel 1805 l’albero della libertà scomparve dalle piazze cittadine per decreto sovrano.

Il regime chiedeva ora la collaborazione di notabili più moderati e conservatori, scelti fra i proprietari terrieri, la borghesia ricca dei commerci e delle professioni, gli intellettuali, i gradi alti dell’esercito, a cui concedeva cariche di prestigio, onorificenze e titoli nobiliari, col proposito di allargare le basi del consenso e di ridurre la resistenza al nuovo assetto statuale.

Lettera spedita a Brescia a Bergamo nel 1798, nel periodo della Repubblica Cisalpina

In contrasto con l’atteggiamento personale del vescovo Dolfin, che appoggiava la politica francese, il clero continuava ad opporsi esplicitamente al governo, esercitando una forte influenza su una popolazione saldamente ancorata ai principi religiosi.

Vincenzo Bonomini (1757- 1839), “Il soldato tamburino”, chiesa di S. Grata inter vites, Borgo Canale (Bg). Vestito di verde, bianco e rosso, i colori della bandiera italiana, nata allora in Lombardia come vessillo della Repubblica Cisalpina, e che poi sarà adottata dal nuovo Stato unitario

 

Vincenzo Bonomini (1757- 1839), “Il soldato tamburino” (particolare), chiesa di S. Grata inter vites, Borgo Canale (Bg). Alle spalle del soldato, le truppe napoleoniche

Tale opposizione si era avviata nel periodo “giacobino” (1797), con le soppressioni di conventi e monasteri e relativo incameramento dei beni (nel 1810-1811 si giunse alla soppressione di tutti gli istituti religiosi), la chiusura del seminario, le requisizioni di argenti, le proibizioni di processioni e di altre manifestazioni esteriori di culto, che avevano cominciato ad offendere il sentimento religioso di gran parte del popolo; ma proseguì anche negli anni successivi, quando Napoleone cercò la riconciliazione con la Chiesa quale mezzo indispensabile per la stabilità politico-sociale, nonostante in nome della difesa della laicità dello stato e della razionalizzazione della vita religiosa e della cura pastorale, Napoleone avesse anche decretato la riduzione del numero delle parrocchie, che a Bergamo scesero da 15 a 7.

A tali provocazioni, il clero locale rispose con la scarsa disponibilità a collaborare e con la diffidenza, ma anche con l’opposizione oltranzista di carattere politico operante attraverso l’attività clandestina delle congregazioni di San Luigi o Mariane.

Scorcio del Mercato delle Scarpe e dell’imbocco di via Porta Dipinta verso il 1870, in una litografia di G. Elena (Racc. Vimercati Sozzi, Bibl. Civica)

In quell’epoca contrassegnata, con Bonaparte,  da rivolgimenti sociali, politico-amministrativi e militari, nell’arco di pochi anni non solo mutarono le strutture politiche e si ridefinirono le classi dirigenti, ma si crearono anche istituzioni di gestione dell’economia e del “soddisfacimento del bisogno sociale” che ebbero un valore epocale, e non ultima la nascita del Codice di Commercio e delle Camere di Commercio.  La prima sede della Camera di Commercio a Bergamo, è la “sala maggiore del Palazzo Civico” (attuale sede della Biblioteca A. Mai), dove già aveva esercitato la Camera dei Mercanti.

Con la legge del 26 agosto del 1802, Francesco Melzi d’Eril, vice presidente della neonata Repubblica Italiana, stabilisce che in tutto il territorio ogni Tribunale mercantile debba denominarsi Camera Primaria di Commercio attuando con ciò una rottura con le precedenti istituzioni dell’ancien regime: lo Stato diventa garante del progresso economico e mediatore tra gli interessi economici che esprimono le diverse forme imprenditoriali, dell’artigianato o dell’agricoltura. Anche a Bergamo, il 15 novembre 1802, nasce la Camera di Commercio, i cui membri (appartenenti al mondo imprenditoriale) inizialmente sono di nomina governativa, ma successivamente saranno eletti dagli stessi commercianti sulla base di una nuova forma di verifica delle ricchezze imponibili. La prima sede della Camera di Commercio è la “sala maggiore del Palazzo Civico” (attuale sede della Biblioteca A. Mai), dove già aveva esercitato la Camera dei Mercanti, ma già nel 1803 si comincia a sistemare l’ex Tribunale per offrire alla Camera una sede autonoma. Dapprima si trasferì in un locale in via Aquila Nera dove vi restò dal 1804 al 1809, momento in cui la Camera di Commercio trovò una sistemazione in Città bassa

Cambiò il corpus legislativo e amministrativo; al Comune vennero assegnati compiti nei campi dell’istruzione, dell’assistenza, del controllo anagrafico, che erano prima di quasi esclusiva competenza di organismi caritatevoli ed ecclesiastici. Vennero completamente riorganizzati gli uffici comunali, introdotta la nuova figura del Segretario generale e l’uso del protocollo nella scrittura degli atti comunali.

Venne aggiornata secondo nuovi e più moderni criteri la fiscalità, e con l’introduzione della registrazione catastale delle proprietà immobiliari, venne imposta una perequazione fiscale più razionale ed omogenea (prima di allora la tassazione era basata sulle denunce dirette dei proprietari) (1).

(1) Ispirato al modello Teresiano, il catasto napoleonico  è concepito come strumento di accertamento e perequazione fiscale. Prima di allora la tassazione era basata sulle denunce dirette dei proprietari. Con il catasto, in Provincia di Bergamo, per alcune zone già a partire dalla prima metà del Settecento con il Catasto Teresiano, viene introdotto un criterio razionale di individuazione geometrico-particellare del bene immobile e una meticolosa procedura di determinazione della rendita per il calcolo dell’imposta prediale. Si avviano così le operazioni per la prima catastazione condotta con criteri moderni sul territorio bergamasco, ovvero per tutta quella parte dell’attuale provincia che era sottoposta a Venezia, mentre per i ventiquattro comuni ex milanesi le rilevazioni erano già state fatte al tempo del catasto cosiddetto Teresiano. Nel dipartimento del Serio i lavori iniziano nel 1808 sotto la direzione dell’ingegner Giuseppe Manzini e si concludono nel 1813. In tale occasione viene composta la prima mappa di Bergamo in scala 1:2000; il documento, fonte di straordinaria importanza per la conoscenza del tessuto urbano, è conservato all’Archivio di Stato di Milano (una Pianta di Bergamo dell’ingegner Giuseppe Manzini – Acquaforte – è conservata presso la Biblioteca civica A. Mai).

Si procedette alla realizzazione di un nuovo ordinamento territoriale, strutturato secondo una più ordinata geografia dipartimentale, e in linea con un’ottica tutta urbano-centrica si procedette persino ad una ricognizione urbana ed extraurbana del territorio circostante, con l’evidente finalità di procedere verso la costituzione di un regesto generale dei beni architettonici, archeologici e ambientali di maggiore risonanza popolare.

A tale scopo, il pittore bergamasco Marco Gozzi (1759-1839) ricevette l’incarico, prima dal governo francese e poi da quello austriaco, di fornire annualmente all’amministrazione quadri di paesaggi che rilevassero topograficamente alcuni spazi di vedute e paesaggi del territorio lombardo, e con lui si inaugurò il filone del paesaggio moderno lombardo.

Avviso riguardante le estrazioni del lotto, 1804

I diversi provvedimenti adottati in materia sociale, assistenziale, religiosa, culturale, scolastica, sanitaria (questi ultimi determinando la costruzione di campisanti fuori dall’abitato) e urbanistica, produssero evidenti effetti sulla struttura della città, che subito dopo il passaggio delle truppe francesi si vide cambiare volto attraverso una serie di opere pubbliche, concepite secondo un ottica di decoro cittadino.

Bergamo, Cimitero di Valtesse, soppresso nel 1920. Con l’Editto di Saint-Cloud, emanato in Francia nel 1804 per motivi d’igiene e di salute pubblica, il seppellimento doveva  avvenire non più nelle chiese, nei sagrati o negli spazi ad essi adiacenti (“Coemeterium Plebis”), ma in appositi recinti da collocarsi fuori dalle mura cittadine: nascevano così i moderni cimiteri,  che ancora chiamiamo “campisanti” a ricordo del loro antico uso

 

DUE PAROLE SULLA FIERA

Il periodo della dominazione napoleonica segna l’ampliamento delle dimensioni del commercio fieristico, preparando l’economia bergamasca ad entrare nel più vasto mercato lombardo e a trarne presto vantaggi, per confronto concorrenziale con la dinamica presenza industriale milanese.

Durante il periodo napoleonico, in tempo di fiera si commerciavano panni di lana, ferrarezza, pietre coti, tele bianche (cotone), sete; il tutto rappresentava il sostentamento della città e del suo territorio

Tra i provvedimenti per il miglior funzionamento, l’ordine e l’organizzazione generale della fiera, nel 1809 si provvede a spostare le botteghe del ferro e nel 1810 il mercato dei bovini, trasferito dal Lazzaretto alla fiera.

Insieme agli altri, anche i provvedimenti di decoro pubblico contribuiscono a fare della fiera un luogo d’incontro e di cultura di tutta la popolazione bergamasca.

D’altro canto però le guerre aggravano anzitutto il problema dell’insufficiente produzione di frumento e gli eventi europei incidono negativamente anche sullo scarso sviluppo della rete viaria (il commercio di transito che da Venezia alla Svizzera, Germania e Olanda passava per la dogana di Bergamo, era via via scemato anche a causa della mancata manutenzione della strada della Val S. Martino e della Ca’ S. Marco).

 

LA CITTA’ NEL PERIODO NAPOLEONICO

In seguito alla soppressione di tutti gli istituti religiosi, avviata nel 1797 e portata a termine nel 1810-1811 con relativo incameramento dei beni, nell’ottica della riorganizzazione dei centri di potere i conventi e i monasteri vengono convertiti in caserme, uffici doganali, carceri, case di lavoro, ospedali, ospizi (mentre il previsto nuovo manicomio presso il Convento di Astino non verrà realizzato).

All’architetto viennese Leopoldo Pollack è affidata la risistemazione ad uso di carcere dell’enorme complesso edilizio dell’ex convento di S. Agata, anche se il progetto verrà realizzato solo per piccoli lotti a causa di difficoltà burocratiche e finanziarie.

Bergamo, ex-convento di Sant’Agata, fronte del cortile interno. Il complesso conventuale eretto dai Teatini nella prima metà del Seicento, è stato adibito a carcere dal 1797 al 1977

 

Pianta dell’edificio delle carceri di S. Agata, architetto Pollack (Archivio di Stato di Bergamo, Tribunali Giudiziari, bb 1775 c 1776)

 

Sezioni dell’edificio delle carceri di S. Agata, architetto Pollack (Archivio di Stato di Bergamo, Tribunali Giudiziari, bb 1775 c 1776)

Il principio della concentrazione delle opere di beneficenza nella Congregazione di carità (1807) comporta l’unificazione nella Casa del Conventino dell’Istituto delle orfane.

L’Orfanatrofio femminile presso la Casa del Conventino, nel 1906

Il cosiddetto bando della mendicità (era fatto divieto ai mendicanti di questuare per le strade) determina l’istituzione dell’Ospedale della Maddalena per incurabili ed inabili al lavoro.

Il portone della chiesa della Maddalena, in via S. Alessandro

Il convento dei francescani di S. Maria delle Grazie viene trasformato nel 1811 in Albergo per i poveri (casa di ricovero delle Grazie), fuori delle Muraine.

Il chiostro del convento dei francescani di S. Maria delle Grazie

 

Affacciato sullo slargo di Porta Nuova, l'”Albergo dei poveri” (ex convento francescano di S. Maria delle Grazie), istituito nel 1811

La legislazione scolastica, che prevede tra l’altro l’apertura di scuole pubbliche presso ogni sede parrocchiale (1801), porta con la riforma del nuovo liceo dipartimentale all’acquisto dell’ex convento di Rosate (1803) e alla fondazione dell’Istituto musicale (1805).

Il colle di Rosate, culminante in corrispondenza del Liceo Sarpi (Ph Walter Barbero, da “Bergamo”)

 

Parte della Città col convento di S. Grata, gli archi della cinta medioevale, il convento a destra di S. Maria di Rosate e il Palazzo a sinistra dei Sozzi (sec. XVI) ora Seminario (Raccolta Conte Piccinelli)

Sull’onda rivoluzionaria che diffondeva certo aggiornamento ad una modernità con opere utilmente pubbliche, entro il primo decennio dell’Ottocento si eressero una serie di edifici, che rientravano in quel processo di espansione delle infrastrutture e dei servizi che è proprio della politica urbanistica napoleonica.

Si completava così il maggior teatro della città in piano, il teatro Riccardi, ricostruito da Bortolo Riccardi dopo un terribile incendio e riaperto al pubblico nel 1799.

Il Teatro Riccardi sul Sentierone, in seguito riadattato e intitolato a Gaetano Donizetti

Nel 1797, mentre cadeva la repubblica di Venezia era in corso di costruzione del grande Palazzo Grumelli-Pedrocca (lungo l’attuale via S. Salvatore) su progetto di L. Pollack: un estremo aggiornamento stilistico in una Bergamo alta che aveva ormai perso la funzione di centro cittadino e dove – ironia della sorte – i  nobili che in gran parte la occupavano si riconoscevano nelle colte intuizioni linguistiche dell’architetto viennese.

Palazzo Grumelli Pedrocca (1797), in via S. Salvatore, progettato dal Pollack (Ph Walter Barbero, da “Bergamo”)

 

L’ingresso di Palazzo Grumelli Pedrocca (1797), in via S. Salvatore, progettato dal Pollack (Ph Walter Barbero, da “Bergamo”)

Ed è proprio alla presenza dell’aristocrazia che si deve il più importante intervento architettonico realizzato in Bergamo alta nei quindici anni della presenza napoleonica, quando, nel 1803, una società di nobili appositamente formatasi, commissiona al Pollack il progetto di un teatro (teatro della Società o dei Nobili, oggi noto come Teatro Sociale) che sostituisca la poco dignitosa sistemazione provvisoria (dal 1797) di un teatro nel Palazzo della Ragione e faccia concorrenza all’unico vero teatro della città (esistente dal 1770 davanti alla fiera).

Sezione del Teatro Sociale, disegnata dall’architetto viennese Leopold Pollack

 

Il Teatro Sociale, realizzato tra il 1806 e il 1809 su disegno dell’architetto Pollack, prende corpo all’interno di una delle più complesse operazioni edilizie sperimentate nel cuore della città antica. Pur non rinunciando a un disegno rigorosamente neoclassico, la Pollack usa accortamente i materiali per armonizzare il grande edificio al contesto medievale, cosciente della funzione di recupero della storia

L’area prescelta, alle spalle dell’ex Palazzo del Podestà e affacciata sulla via principale (attuale via B. Colleoni), è significativa della volontà di rilanciare la “centralità” (se non altro mondana) di Bergamo alta; e in effetti, con la restaurazione austriaca sul Lombardo-Veneto Bergamo alta verrà ad essere interessata da una serie di interventi che la riproporranno, se non come unico polo della centralità urbana, come uno dei luoghi di più alto interesse della vita cittadina, il primo dei quali, nel 1818, sarà la sistemazione a sede dell’“Ateneo di Scienze, Lettere e Arti”, laddove il portico, costruito nel 1759 sul fontanone visconteo (a est di S. Maria Maggiore), sembra voler indicare nelle sedi istituzionali della cultura uno degli strumenti per la rivitalizzazione della città alta: una tendenza che persisterà nel successivo periodo austriaco (2).

(2) A questi interventi seguirà infatti l’’apertura del Conservatorio musicale, la sistemazione a biblioteca del Palazzo della Ragione, la costruzione della grande sede del liceo-ginnasio sul sito dell’appositamente demolito convento di S. Maria di Rosate,  oltre che la nuova sede del Seminario vescovile e gli  interventi volti a restituire il circuito delle mura veneziane all’uso civile.

Particolare del portico, costruito nel 1759 sul fontanone visconteo, ad est di S. Maria Maggiore, laddove nel 1818 avverrà la sistemazione a sede dell’“Ateneo di Scienze, Lettere e Arti”, istituito con decreto napoleonico il 25 dicembre 1810 allo scopo di fondere in un unico organismo l’Accademia degli Eccitati e quella degli Arvali, secondo la tendenza illuminista volta a riformare e unificare gli istituti culturali.  Ma sarà solo nel 1818 che l’Imperial Regia Delegazione Provinciale disporrà di dare come sede definitiva il pubblico locale del Civico Museo, sopra il Fontanone in Piazza Duomo

 

Si collocano nel quadro delle avanguardie culturali europee eminenti figure di bergamaschi come Lorenzo Mascheroni, letterato e scienziato. Patrimonio di pochi singolari personaggi sono i fermenti di studiosi solitari o riuniti in associazioni, opere di scienziati, atti munifici dettati da un nuovo e più aperto concetto di cultura, estesa all’intera comunità (nell’immagine, l’inaugurazione del monumento a Lorenzo Mascheroni, il 5 settembre 1897, nel Boschetto di Santa Marta)

Ai margini della città antica, nello storico borgo San Tomaso, l’Accademia, voluta dal conte Giacomo Carrara, assume più nobile forma su disegno di Simone Elia, concludendosi nel 1810.

L’Accademia, fondata nel 1780 dal conte Giacomo Carrara, comprende una scuola di disegno secondo il gusto del tempo orientata al recupero della misurra classica, ed una galleria di 1500 dipinti aperta al pubblico con “chiara e antiveggente liberalità”

 

La chiesetta di S. Tomaso, demolita nel 1868 per la sistemazione della nuova piazza dell’Accademia

Da leggere invece nell’ottica nella celebrazione del potere sono i progetti che si susseguono per la trasformazione dell’Obelisco di Prato, che viene dedicato a Napoleone…

L’obelisco dedicato a Napoleone Bonaparte. L’obelisco era stato eretto in realtà in onore del podestà e vice capitano della Repubblica Veneta  Gianfranco Correr per essersi tanto prodigato durante la grave carestia del 1775. A seguito dell’invasione francese del 1797, venne dedicato a Napoleone, ma nel 1801, con l’occupazione austro-russa della città, l’intestazione venne rimossa. Con il ritorno delle truppe francesi in Bergamo, si riportò il nome di Napoleone sull’obelisco, dal quale peraltro venne cancellato intorno al 1815. Ma le peripezie dell’intitolazione non finiscono qui

…nonché i diversi monumenti di architettura effimera che nel periodo vengono eretti in città e l’abbellimento di porta Osio, all’incrocio tra via Moroni e via Palma il Vecchio, che ora rappresenta la nuova direttrice principale verso Milano.

Costantino Rosa, La diligenza per Milano a Porta Osio, 1850

 

Porta Osio, la porta aperta nelle muraine sulla direttrice per Milano. Di questa porta oggi resta una costruzione che si pensa possa essere stato il casello del dazio

Si fa progettare dall’architetto G. Quarenghi un disegno per costruire fuori Porta Osio un arco di trionfo da erigere per l’arrivo imminente a Bergamo di Napoleone Bonaparte. Il progetto non fu mai realizzato.

Progetto di G. Quarenghi per un arco trionfale da erigersi a Porta Osio (Bergamo) in onore di Napoleone Bonaparte (B. Belotti, Storia di Bergamo e dei bergamaschi, ed. Bolis, Bergamo, 1989)

Si provvede all’edificazione della strada di Circonvallazione fuori delle Muraine.

 

Via Pitentino, oggi Frizzoni, nel 1916. La cosiddetta Strada di Circonvallazione lambiva esternamente gran parte del tracciato delle Muraine – a sua volta costeggiato dalla Roggia Serio – che racchiudevano i Borghi della Città Bassa e si raccordavano alle Mura veneziane di Città Alta nei pressi di Porta Sant’Agostino da una parte e di Porta San Giacomo dall’altra

Con la caduta di Venezia e la conquista napoleonica, perduto il ruolo di città di frontiera Bergamo vede ulteriormente indebolito il ruolo strategico-militare della cinta murata cinquecentesca; venute meno tutte le preoccupazioni di carattere difensivo, la poderosa macchina bellica abbandona la funzione di struttura militare e a poco a poco prende a trasformarsi in un privilegiato luogo di passeggio, affacciato sulla città e la pianura.

Nelle vedute settecentesche come quella di Fossati, riprese dal Fortino presso la chiesa di S. Maria del Giglio, cogliamo la perdita ormai imminente della funzione militare delle Mura: benché ancora dotate di un forte risalto protettivo, le vedute ci restituiscono un’atmosfera serena, con figure che passeggiano e cavalieri.

Bergamo Alta vista da Porta S. Giacomo – Giorgio Fossati (1704 – 1785). Con la fine della dominazione veneta e l’ingresso dei Francesi in città, la vita civile prende il sopravvento sui vincoli militari, la città comincia progressivamente a riappropriarsi dei suoi spazi e a  fiorire

Sulla scia di una tendenza ormai in atto, nel 1781 il podestà Alvise Contarini propone di trasformare in passeggiata le Mura da S. Giacomo a S. Agostino, tratto che doveva essere molto frequentato se nel 1795 si doveva già provvedere al restauro dei “divisati deliziosi passeggi e giardini pubblici”, e all’abbassamento del tratto di vecchie mura pericolanti fuori Porta S. Giacomo, lungo la strada che porta a Borgo S. Leonardo (3).

(3) Monica Resmini, Le Mura, cit. in bibliografia.

F.B. Werner, Veduta prospettica di Bergamo, Ausburg, 1740 (Archivio Storico A. Mai, Bergamo)

Scompaiono i cannoni, vengono tolte le garitte e demoliti i terrapieni. I ponti lignei di accesso alle porte delle Mura vengono sostituiti da ponti in muratura, e le porte definitivamente aperte.

Porta S. Giacomo – Ex voto – Anonimo, 1727. Il dipinto, con lo stemma dei Tasso e la carrozza della contessa M. Tasso, mostra ancora le garitte sullo spalto e la struttura in legno con il ponte levatoio, che nel 1780 verrà sostituito con archi in pietra dal Podestà veneto Alvise Contarini  (Bergamo, proprietà S. Angelini)

 

Scorcio su Porta S. Giacomo con la rampa di raccordo in muratura, in una xilografia settecentesca

Le idee illuministiche di decoro urbano, legate a uno sfruttamento più razionale degli spazi, portano con sé nuovi canoni estetici che impongono l’ampio utilizzo del viale alberato.

Porta S. Giacomo e il viale alberato fino a S. Agostino, in una ripresa datata 1903

Lungo la cinta bastionata, il primo ad essere piantumato, a ippocastani e platani, è il tratto tra Porta S. Agostino e Porta S. Giacomo; resi più accessibili e “alla moda”, i baluardi cominciano ad animarsi di cittadini a passeggio.

Dopo la piantumazione di questo primo tratto, viene sistemata a verde l’area nei pressi della Porta di S. Alessandro. Il modello del viale alberato sperimentato sulle Mura verrà adottato anche nei nuovi rettifili realizzati in città.

Pietro Ronzoni, Complesso di Sant’Agostino: veduta meridionale dal Baluardo di San Michele, 1837 (Milano, Quadreria dell’800). Nell’agosto del 1837 viene aperto al pubblico passagio la barriera delle Grazie di Porta Nuova dove erano stati costruiti i Propilei; poi nel settembre dell’anno successivo, a Bergamo, avviene la storica visita dell’imperatore Ferdinando I d’Austria. Il grande evento favorisce la costruzione della strada che unisce i Propilei di Porta Nuova alla Porta Sant’Agostino, denominata Ferdinandea, appunto, in onore dell’Imperatore. Il tracciato del viale (oggi intitolato a Vittorio Emanuele II) è costeggiato dagli alberi e nella parte finale incontra l’antica porta Sant’Agostino

Acquisiti da parte dell’amministrazione comunale i terreni degli spalti, si provvederà a piantumare il tratto da Porta S. Giacomo a Porta S. Alessandro.

Verranno effettuati degli imponenti interventi neoclassici, in linea con la tendenza che per tutto il Settecento vedrà l’apertura, nella città sul colle, di cantieri privati per la trasformazione o l’edificazione di palazzi signorili.

Palazzo Medolago Albani, costruito dal 1873 al 1891 dall’Arch. Simone Cantoni. Caratteristico il lampione a gas (ripresa del 1910 circa)

Con il tempo, anche il colle di S. Vigilio, posto al culmine della città, si ricoprirà di una folta cortina alberata e di una serie di ville di delizia, sorte per godere dell’invidiabile posizione panoramica.

Nelle aree poste ai piedi delle Mura, orti e vigneti si riappropriano dei pendii collinari, assediandoli con le loro volute e tappezzandoli di calde policrome: svanito il timore che eventuali nemici possano mimetizzarsi nella macchia e avvicinarsi senza essere visti, la severa e fredda cinta di pietra si trasforma in un bucolico giardino pensile.

In dipinto ottocentesco, di cui non si conosce l’autore, è ambientato sullo spalto del convento di S. Agostino, dove alcuni uomini sono intenti nel gioco delle bocce (Bergamo, proprietà S. Angelini)

La Pianta della città e del territorio di Bergamo, realizzata da Stefano Scolari nel 1680, mostra la doppia cortina presente nella città: le mura venete, che circondano l’abitato sul colle, e la barriera daziaria delle Muraine, che dalle Mura scende a contenere i borghi come abbracciandoli.

Planimetria prospettica di Bergamo Alta e dei Borghi – Incisione veneta stamp. da Stefano Scolari, Venezia, metà secolo XVII (uff. Tecnico Comune di Bergamo)

Quasi due secoli dopo, le mappe ad opera dell’ingegner Manzini, realizzate a cinquant’anni di distanza l’una dall’altra (1816 e 1863), rifletteranno i mutamenti avvenuti per le infrastrutture e l’estensione dell’edificato nella parte centrale dell’Ottocento, mutamenti che hanno seguito i vincoli imposti dalle cinte murarie ma hanno anche sottolineato la necessità e la possibilità di un loro superamento.

Pianta della Città di Bergamo e dei Borghi esterni redatta nel 1816 dall’ingegnere e architetto Giuseppe Manzini

L’EVOLUZIONE DEI CONFINI DELLA CITTA’ IN UN ARTICOLO

Nonostante la vicenda territoriale del Comune di Bergamo suggerisca l’immagine di un nucleo che si allarga o si ritrae senza spostare il suo centro né il suo asse, soprattutto negli ultimi due secoli la storia dei confini del Comune di Bergamo è abbastanza tormentata.
“Il tramonto del XIV secolo coglieva Bergamo nel pieno della signoria viscontea, dopo aver sostanzialmente esaurito un’esperienza municipale durata oltre due secoli.
Negli statuti cittadini – che ancora si emanavano nonostante le mutate condizioni politiche – le comunità di Colognola, Daste, Dalcio, Palazzo, Grumello e Calvi erano invece riportate come Comuni autonomi.
Anche la descrizione confinaria del 1392 escludeva la maggior parte di queste entità – dai limiti non sempre ben precisati – mentre comprendeva i territori di Torre Boldone e di Rosciano, ora frazione di Ponteranica. Colognola e le altre comunità citate, insieme con Lallio e Curnasco, sarebbero comunque state presto annesse al territorio di Bergamo, che sotto il dominio veneziano non subì cambiamenti di rilievo.

Le «grandi manovre» iniziarono nel 1797 quando Valtesse, Redona, Torre Boldone, Colognola, Grumello del Piano, Curnasco e Lallio si costituirono in Comuni autonomi.
Il decreto del 1805, che favoriva – ma sarebbe meglio dire imponeva – l’accorpamento dei piccoli municipi, avrebbe ispirato però una decisa inversione di tendenza.
Fu infatti il periodo napoleonico a segnare, per pochi anni soltanto, la nascita di una «grande Bergamo» che aveva accorpato ben 28 comuni della cintura (compresi Ponteranica, Seriate e Stezzano) e vedeva la circoscrizione cittadina confinare direttamente con Nembro, Zanica e Zogno.
Si era creato un maxi distretto amministrativo- dove il Comune coincideva con il cantone bergamasco – che era anche il simbolo del ruolo preminente affidato al capoluogo.

I provvedimenti legislativi seguiti alla Restaurazione si preoccuparono di restituire a tutti i Comuni della cintura la loro autonomia.
Intorno al Comune cittadino, ora confinato territorialmente al centro città, si costituiva in municipio il Circondario dei Corpi Santi, corrispondente ai Comuni censuari di Valle d’Astino, Boccaleone e Castagneta.
La nuova entità amministrativa – che riesumava una partizione territoriale del periodo veneziano – ebbe però vita brevissima perché nel 1818 fu di nuovo incorporata alla città.

L’inizio del ’900 vide il riproporsi dei tentativi di aggregazione dei Comuni finitimi. Nel 1918 il Municipio di Bergamo deliberò la richiesta di annettere a sé i territori di Valtesse, Redona, Colognola, Grumello del Piano e in parte di Ponteranica, incontrando l’ovvia opposizione dei Comuni interessati.

Non se ne parlò più fino al 1927, quando la commissione reale incaricata della riorganizzazione municipale diede parere favorevole a tutte le richieste d’annessione, eccezion fatta per quella del Comune di Seriate.

Nemmeno il dopoguerra vi operò modifiche importanti, eccezion fatta per una permuta del 1954 con Orio al Serio, necessaria alla ricostruzione del cimitero distrutto per far posto al campo di aviazione, e per una rettifica di confine con Ponteranica nel 1969.

L’ultima variazione in ordine di tempo risale al 1983, con l’annessione della borgata di Nuova Curnasco e di alcune aree appartenenti a Treviolo. Da quel momento Bergamo raggiunse l’attuale estensione di 3960 ettari” (4).

(4) Prove tecniche di “Grande Bergamo” – Paolo Oscar. L’Eco di Bergamo, 8 ottobre 2000.

Riferimenti

Da: Fondazione Bergamo nella Storia (riferimento essenziale)

Walter Barbero, Bergamo, Electa, 1985.

A cura di Paolo Cesaretti, Le Mura. Da Antica Fortezza a Icona Urbana. Testi di Monica Resmini, Renato Ferlinghetti e Gianmaria Labaa. Bolis, 2016.

Il boschetto di Santa Marta e l’ippocastano che non c’è più

Ai giorni nostri il Sentierone è una lunga ed elegante vetrina che siamo soliti attraversare in fretta, ma un tempo era un luogo d’incontro dove tutto invitava a rallentare il passo.

Il viale Vittorio Emanuele – così si chiamava la Strada Ferdinandea dopo l’Unità d’Italia – era diviso a metà da un lato dall’antica Fiera, un grande centro commerciale ante litteram nel cuore della città, e, dall’altro, dal “Boschetto” di Santa Marta, un rigoglioso triangolo verde compreso tra il il lungo viale e via XX Settembre, che si allungava verso via Borfuro all’altezza del monumento di Lorenzo Mascheroni.

Inizi Novecento, Porta Nuova: la Strada Ferdinandea, così chiamata in omaggio all’imperatore austriaco ed alla sua visita in città, avvenuta nel 1838

Al soleggiato Sentierone e al trambusto della Fiera, luogo di contrattazioni e divertimenti, si contrapponeva il verde cupo del boschetto che per quasi un secolo ha ristorato intere generazioni di borghigiani e persino, in più occasioni, gli invasori, specie dopo la ripiantumazione nel 1849 della sua metà inferiore verso lo sbocco di via Borfuro.

1920: Piazza Cavour e il Boschetto di Santa Marta, per quasi un secolo luogo di ritrovo estivo alla cui ombra si ripararono passanti e perditempo. A sinistra, il busto di Lorenzo Mascheroni, inaugurato nel settembre del 1897

Fittamente piantato a ippocastani, il “Boschetto” celava al suo interno la chiesa e il monastero trecenteschi delle Domenicane, custodendo sotto la sua ombra discreta anche alcuni di quei monumenti che ora si trovano sparsi nel centro cittadino: quello di Cavour, quello di Lorenzo Mascheroni e l’obelisco, svettante altissimo nell’attuale piazza Vittorio Veneto.

Il monumento marmoreo a Cavour, inaugurato nel 1913 dal re Vittorio Emanuele III, cambiò più volte domicilio essendo stato persino nei giardinetti presso il Municipio vecchio, “coperto di una leggera patina verde-vergogna” (Luigi Pelandi). Accanto, è ancora visibile il portico della chiesa di S. Marta

 

La chiesa e il Boschetto di S. Marta, con  il busto eretto alla memoria di Lorenzo Mascheroni

L’obelisco, che tutti credono attribuito a Napoleone Bonaparte, in realtà era stato eretto in precedenza in onore del podestà e vice capitano della Repubblica Veneta  Gianfranco Correr (che in quel periodo stava lasciando la città), per essersi tanto prodigato durante la grave carestia del 1775. A seguito dell’invasione francese del 1797 l’obelisco venne dedicato a Napoleone, ma nel 1801, con l’occupazione austro-russa della città, l’intestazione venne rimossa. In seguito, il ritorno delle truppe francesi in Bergamo riportò il nome di Napoleone sull’obelisco dal quale peraltro venne cancellato intorno al 1815.

Trafiletto tratto da “Un giorno a Bergamo, guida della città”, 1892

Ma le peripezie dell’intitolazione non finiscono qui e  il seguito lo scopriremo presto.

Piazza Vittorio Veneto con l’Obelisco dedicato “A Bonaparte l’Italico 1797”. L’attuale medaglione che decora il dado del basamento è opera di Costante Coter ed è stato posto soltanto nel 1939

Nel bel mezzo del “Boschetto”, ch’era liberamente aperto a tutti, per anni aveva dimorato una famiglia di girovaghi con una carrozza sgangherata. E a dimostrazione della libertà concessa al luogo, il ramaio Cornali, che qui aveva la sua bottega, era solito appendere sui rami degli ippocastani le gabbie dei volatili che catturava: un piccolo arbitrio sul quale il Comune chiudeva un occhio.

Acquaforte di Sandro Angelini (“Bergamo d’altri tempi” – Istituto Italiano d’Arti Grafiche – Bergamo).

Al boschetto era stata anche eretta la prima edicola della città e verso il 1875 si era stanziato con un chiosco-baraccone il libraio Bortolo Fantini detto Ol Barbù, un tipo bonario, gran compratore e rivenditore di libri usati, presso cui talvolta si poteva acquistare a buon mercato qualche antica edizione abbastanza rara. Con i suoi libri il buon Fantini aveva così istituito una biblioteca circolante.

“Boschetto di S.ta Marta visto dal lato ovest. 1887”. Disegno a matita

Ma in una brutta notte primaverile del 1884 un incendio gli portò via ogni cosa e da allora dovette arrangiarsi a vendere merce di vario genere, aggirandosi col suo carretto.

Nelle sere d’estate, Bernardo Moro, detto Pèia, allestiva ai confini del boschetto la sua  baracca di burattini; durante gli intervalli la moglie passava fra il pubblico porgendo in una mano il bussolotto per raccogliere le offerte e reggendo con l’altra una lanterna.

Quest’angolo della Bergamo dell’Ottocento è rappresentato in un quadro del pittore Gabriele Rosa, con la baracca tra i cittadini che frequentavano il passeggio sul quale si affacciavano gli edifici affastellati attorno all’antica Fiera, con i suoi variopinti Caffè.

La baracca di Bernardo Moro nella più antica testimonianza del teatro dei burattini a Bergamo in un dipinto di Gabriele Rosa del 1840, intitolato “Spettacolo di burattini sul Sentierone durante la Fiera di Sant’Alessandro”

Questo stato di grazia perdurò fino a che, all’inizio degli anni Venti, non si avviarono le demolizioni nell’area per far posto agli edifici del centro piacentiniano.

Bergamo, 1922-1924: una fase della demolizione degli edifici dell’antica Fiera, per far posto al nuovo centro di Città Bassa progettato dal giovane architetto romano Marcello Piacentini

Insieme agli edifici della Fiera si decise di abbattere anche il Boschetto di Santa Marta e con esso il “piantù”, uno splendido esemplare di ippocastano cresciuto regolarmente, come natura comanda, senza alcun taglio dei rami alla base ed altre riduzioni alla chioma, e di cui solo le immagini possono restituirci  la bellezza e la maestosità.

Il maestoso ippocastano che svettava sul Sentierone accanto al complesso di S. Marta, abbattuto il 19 novembre del 1923 a seguito dell’apertura di via Crispi e della realizzazione della Banca Bergamasca, che prese il posto del demolito complesso conventuale (Raccolta Lucchetti)

Furono in molti in quel 1923 a chiedere che “ol piantù” fosse risparmiato, ma non vi furono ragioni: l’abbattimento dell’amato monumento verde, che era stato il simbolo di un’epoca e di un luogo, lasciò un vuoto incolmabile  nell’animo dei Bergamaschi.

“Era l’ultimo testimone vivente del buon tempo passato: all’ombra ristoratrice dei suoi rami fronzuti, quante generazioni avevano riposato, ed avevano sognato!

Fanciulli, si giocava a rimpiattino dietro l’enorme tronco; giovanotti, si faceva all’amor platonico con la morosetta del core; vecchi, si rievocava il passato, chiacchierando, fra una pipata e l’altra! Povero, grande amico piantone! Se n’è andato andato anche lui…” (Sereno Locatelli Milesi).

L’abbattimento del “piantù”, avvenuto il 19 novembre del 1923 fra il commosso rimpianto della cittadinanza. Alle sua spalle l’obelisco e la Torre dei Caduti in costruzione

Tutti rimpiansero le quiete passeggiate sul Sentierone, gli assolati pomeriggi estivi trascorsi nella gradevole penombra del boschetto e le lunghe serate passate chiacchierando con gli amici sotto le enormi fronde di quello che tutti ormai chiamavano ol piantù.

In quell’occasione, anche “La Rivista di Bergamo” diede voce all’ippocastano sacrificato:

“Bergamaschi carissimi, sono il più formidabile campione degli ippocastani di secolari memorie che stano cadendo sotto la scure. Quale sventura! Sotto l’ombra ospitale dei nostri rami quanti tra voi, grandi e piccini, avete trascorso ore serene di riposo, soprattutto in estate. Ed è questa la vostra riconoscenza? Stiamo cadendo sotto i colpi della scure uno dopo l’altro; fino a ieri avevamo però sperato di non essere tutti sacrificati alle nuove bellezze edilizie di Bergamo. Invece non c’è pietà. Addio, boschetto di Santa Marta! Lo confesso: egoisticamente mi illudevo che le mie maestose forme e lo splendore candido della mia veste quandè primavera bastassero a salvarmi; e mi ero rassegnato ad assistere impotente alla fine dei miei confratelli. Invece, toccherà anche a me. Qui tra l’altro Bergamo mi volle quando non contava più di trentamila anime; e ora i suoi sessantamila abitanti mi sopprimono. Ma lasciatemelo dire: prima della fine di questo secolo, allorquando i cittadini saranno centoventimila, io sarei salito tanto alto nel cielo da costituire, con numerosi figli miei, il più meraviglioso ornamento della natura di Bergamo. Peccato, centomila volte peccato” (1).

Così, quando si decise di abbattere anche l’ultimo albero superstite del Boschetto per far posto a una una banca, anche il “Merica”, famoso cantastorie di Bergamo, si sbizzarrì dedicandogli una delle sue canzoni più accorate.

Su questo terreno si era deciso di costruire la sede della Banca Bergamasca di Depositi e Conti Correnti, abbattendo sia il boschetto che gran parte del convento di Santa Marta, di cui fortunatamente si salvò il chiostro, oggi celato nell’elegante galleria omonima.

Febbraio 1923: la posa della prima pietra della Banca Bergamasca, nella zona di S. Marta. A edificio ultimato, la cerimonia di inaugurazione, prevista per i primi giorni del mese, fu rimandata in segno di lutto dopo il disastro della diga del Gleno, avvenuto proprio il primo dicembre

La costruzione della banca rientrava nella seconda fase dei lavori per il nuovo centro: un lotto che coprì 2383 metri quadri dell’area e si elevò sino a quattro piani fuori terra (oltre gli ammezzati), con portici su tutti e quattro i lati e con una spesa iniziale prevista di tre milioni e mezzo, da ultimarsi in tre anni.

Un carro della Ote, con un grosso trasformatore elettrico, verosimilmente avviato verso la stazione ferroviaria, si ferma per una foto ricordo davanti alla Torre dei Caduti di nuova costruzione, affiancata sulla destra dal palazzo già della Banca Bergamasca (ora Ubi Banca), inaugurato nel 1926 su progetto di Marcello Piacentini ma affidata a Giovanni Muzio per l’architettura e la decorazione interna

Già nel 1924 il nuovo centro aveva assunto un carattere che lasciava intravedere, sull’area del vecchio Prato di S. Alessandro, il suo armonioso ed elegante aspetto.

Nella aerofotografia del 1924 il centro piacentiniano si avvia a compimento: sono costruite la Banca d’Italia e la Torre dei Caduti (di Marcello Piacentini), la Camera di Commercio (di Luigi Angelini); nel 1925 sarà aperto il blocco di edifici sul Sentierone (di Marcello Piacentini). E’ in costruzione il Palazzo di Giustizia (di Marcello Piacentini, con la direzione di Ernesto Suardo). Accanto al Palazzo di Giustizia, di fronte al Teatro Nuovo, tra il 1927 e il 1928, sarà costruito quello che doveva essere il Palazzo delle Poste e Telegrafi (di Marcello Piacentini)-(M. Mencaroni Zoppetti – a cura di – L’Ospedale nella città – Vicende storiche e architettoniche della Casa Grande di S. Marco. Collana: Storia della sanità a Bergamo – 1. Fondazione per la Storia Economica e Sociale di Bergamo)

A sancire il nuovo status politico-urbanistico di Bergamo Bassa, si elevava la Torre dei Caduti, dedicata alla memoria e all’onore dei caduti bergamaschi e costruita anche per esaltare e consolidare il nazionalismo unitario, come esplicitamente detto nel discorso di inaugurazione pronunciato da Mussolini il 27 ottobre 1924.

La messa in opera sulla torre dei Caduti della statua della Vittoria, opera dello scultore Faino (“Bergamo nelle vecchie fotografie”, D. Lucchetti)

 

Lo scenografico balcone della Torre dei Caduti nel giorno della sua inaugurazione, il 27/10/1924, avvenuta alla presenza di Mussolini. Nell’immagine figura anche Antonio Locatelli, non ancora podestà di Bergamo (Archivio fotografico – Fondazione Bergamo nella Storia)

 

Il bagno di folla di Benito Mussolini, attorniato dalle autorità militari e civili, dopo l’inaugurazione della Torre dei Caduti, destinata a diventare il simbolo di Città Bassa (Archivio fotografico – Fondazione Bergamo nella Storia)

Il gioiellino che aveva preso il posto dell’amato giardino entrò cosi a far parte del nuovo centro, ormai affacciato alla “modernità”. Bergamo perdeva il suo Boschetto, ma grazie alla lungimiranza dei progettisti e degli amministratori dell’epoca, lasciava ai posteri una magnifica, invidiabile vista su Città Alta.

1930 circa: “Il nuovo centro della fiera”. “Schierata e raggruppata sulle sue splendide mura come un diadema su una nobile fronte. ella pare dire al Borgo che sta ai suoi piedi, sempre più ricco, sempre più prosperoso di industrie e di commerci: ‘Tu trionferai a patto che io sia in vista. Più diverrai possente e più vorrai evitare l’onta e il danno de i tuoi abitatori, alzando gli occhi, non vedano più la Madre’. E il comandamento è stato obbedito. E ora, man mano che i lavori si avviano a soluzione, il progetto Piacentini dà al nuovo centro un aspetto architettonico abbastanza sobrio per evitare ogni contrasto sgradevole con la scena squisitamente pittoresca dell’altura” (Ettore ]anni, per “Emporium”)-(Ph “Bergamo nelle vecchie fotografie”, D. Lucchetti)

 

Note

(1) Dal numero di settembre-ottobre del 1923, “La Rivista di Bergamo”.

Riferimenti

“Il Novecento a Bergamo – Cronache di un secolo”. Di Pilade Frattini e Renato Ravanelli. A cura di Ornella Bramani – Vol. II. UTET. Anno 2013.

“La Rivista di Bergamo”, numero di settembre-ottobre del 1923

“Bergamo di una volta”, Umberto Zanetti. Ed. Il Conventino.