Forse a qualcuno è sfuggita la rocambolesca vicenda che qualche anno fa si è svolta nel Consiglio comunale di Bergamo: un’interrogazione presentata dalla Lega Nord, che ha avuto per protagonisti Palazzo Calepio, edificio storico ubicato in via Osmano angolo via Porta Dipinta (nonchè abitazione del sindaco Gori) e una lapide risalente all’epoca veneta, che sembrava svanita nel nulla.
Nell’interrogazione Ribolla, consigliere della Lega, sottolineava l’importanza storica della lapide che rappresenta una “Bocca delle denunce segrete”, un manufatto “citato in particolare nell’estratto della carta tecnica comunale Pr8-Vincoli e tutele, vincolo 89, del piano delle regole del Pgt. E nei libri di Bortolo Belotti ‘Storia di Bergamo e dei bergamaschi’ e di Vanni Zanella ‘Bergamo città’ del 1977”, come si legge nell’articolo dell’Eco di Bergamo.
Ribolla chiedeva a sindaco e assessori se non ritenessero “opportuno accertare quanto prima gli eventi che hanno portato alla presunta eliminazione della storica lapide da Palazzo Calepio, sottoposto a vincolo culturale, auspicando che tale lapide non sia andata perduta e che, al contrario, sia al più presto ripristinata”.
La querelle fu prontamente risolta dal sindaco Gori, che in serata replicò rassicurando il consigliere leghista con una fotografia della storica lapide, scattata di persona, e dichiarando che in realtà la lapide “È sempre lì”, sulla facciata nord del palazzo in cui si trova il mio appartamento” (1).
Com’era dunque possibile che un manufatto di tale portata, che si trova sotto il davanzale di una delle finestre della facciata, potesse sfuggire allo sguardo indagatore del consigliere Ribolla (e non solo)?
La risposta è alquanto semplice e dipende dal fatto che un tempo la bocca era raggiungibile a livello della strada in quanto il terreno circostante era maggiormente elevato, mentre le trasformazioni avvenute la rendono oggi in posizione elevata e poco visibile.
L’antica pratica della Denuncia Segreta (2), che garantiva l’accusatore da un’eventuale vendetta da parte del denunciato, era una consuetudine molto diffusa nella Repubblica di Venezia, ma nonostante tale sistema incentivasse la delazione (“per la gioia di corvi e spioni, traditori e sicofanti, informatori e confidenti”), bisogna tenere presente che esso era soggetto ad un rigoroso – almeno sulla carta – sistema di “autoregolamentazione” in quanto le denunce, pur garantite dal segreto, non potevano rigorosamente essere anonime, pena la loro distruzione (“rigettate e subito bruciate”).
Al di là della correttezza o meno dell’applicazione delle leggi, va comunque considerato che la segretezza della denuncia restava una condizione necessaria alla sicurezza dello Stato (uno Stato comunque più evoluto rispetto a molti altri stati dell’epoca), e quando le denunce anonime riguardavano il suo interesse, esse venivano sottoposte all’attento vaglio del Consiglio dei Dieci(massimo tribunale preposto alla sicurezza dello Stato che a Venezia amministrava l’attività penale della giustizia), che in caso positivo procedeva seguendo la medesima prassi delle denunce firmate o presentate personalmente (3).
In questo caso il povero imputato era costretto a difendersi da solo, non avendo diritto alla difesa (4).
La denuncia segreta si attuava mediante particolari contenitori (chiamati “cassele”), simili alle odierne cassette postali, disseminati per la città di Venezia e in particolare nei pressi e all’interno del Palazzo Ducale, destinati a raccogliere le denunce segrete destinate ai Magistrati.
Nelle “cassele” i delatori introducevano segnalazioni dei reati più svariati, dalle bestemmie agli illeciti contro il patrimonio, alla corruzione, ai brogli elettorali, contro i fabbricanti di gazzette – monete dal valore di due soldi – false, ecc., e sebbene molto spesso si trattasse di delazioni prive di ogni fondamento, dovute all’invidia o all’odio di una persona verso l’altra, altre volte queste segnalazioni salvarono anche la stessa sicurezza della Serenissima.
Il nome di bocche deriva dal fatto che tali contenitori recavano spesso, esteriormente scolpito, l’aspetto di fauci spalancate, al disopra della dicitura del tipo di denunce che erano destinate a raccogliere.
Il fatto, poi, che spesso tali bocche fossero rappresentate in forma di muso leonino, a ricordare il leone di san Marco, simbolo dello Stato veneziano, è all’origine del comune nome di Bocche di Leone (in veneziano: Boche de Leon), o Bocche per le Denunce Segrete (Boche per le Denunzie Segrete), entro cui l’accusatore introduceva il suo messaggio.
Si vocifera che a Bergamo vi fossero almeno altri due esemplari di Bocche delle denunce segrete: uno nel rione di Boccaleone in via Gabriele Rosa (da cui per qualcuno deriverebbe il toponimo della località), mentre l’altro pare fosse collocato sul muro dell’antico ospedale San Marco (poi ospedale Maggiore), che probabilmente in virtù della sua vicinanza all’edificio della Fiera, recava incise le seguenti parole: “Denonzie segrete in materia di biave e castagne”.
Ma il toponimo “Boccaleone” era già in uso nel 1200, quando si chiamava “Oris Leonis” e poi “Bouchalionum”, molto prima quindi dell’avvento a Bergamo della Repubblica di Venezia.
Un esemplare in bergamasca di “Bocca delle denunce” perfettamente conservato, si trova invece a lato di un portone di ingresso del palazzo di Clusone, dove si può notare ancora la lapide delle “Denonzie secrete in materia di sanità anno 1795”.
E per concludere, una curiosità.
L’atto primo dell’opera La Gioconda di Amilcare Ponchielli s’intitola “La bocca del leone” perché uno dei personaggi, Barnaba, durante il monologo “O monumento!”, inserisce proprio in una bocca di Leone una denuncia che accusa i due amanti Enzo e Laura.
Note
(1) Da www.ecodibergamo.it
(2) La pratica della Denuncia Segreta è riscontrabile negli Statuti medievali di moltissime città. Vari sono i termini che denotano questo tipo di denunciante: persona secreta, fin’hora secreta, per hora secreta, ecc. “Lo storico Paolo Preto ci informa su questo particolare tipo di denuncia: «Come si scrive e si inoltra una denuncia segreta? Il denunciante secreto, o chi agisce per conto di persona secreta che si riserva di comparire in un secondo momento, scrive, o si fa scrivere da altri, se è analfabeta o non vuol correre il rischio di far riconoscere la propria calligrafia, la polizza, cedola, scrittura, denuncia, su un foglio di carta e lo chiude in una busta con il nome della magistratura, o del magistrato in carica in quel momento; se chiede una taglia, una voce liberar banditi o altro compenso previsto dalla legge, precisa che comparirà, o di persona o tramite terzi, per la riscossione, e munisce la denuncia di un contrassegno, stracciando un lembo del foglio (o di un altro piccolo foglio allegato) su un riquadro dove è disegnato un ghirigoro e si trattiene lo scontro o incontro (cioè il lembo stracciato), che poi esibirà, o farà esibire, “per conseguir il premio ed beneficio”: oppure pratica un taglio circolare, della dimensione di una lente di occhiale, e trattiene la “particola” di carta. Spesso la denuncia viene inoltrata direttamente al magistrato, o al suo segretario, in ufficio o anche nella sua abitazione, chiusa in una sopracoperta, cioè una doppia busta, per meglio conservare la riservatezza o l’anonimato; talvolta è consegnata a un nobile estraneo alla magistratura cui si riferisce, il quale poi la consegna ai Dieci. C’e chi la manda per posta ordinaria (ma è caso raro), chi tramite un amico o un fante della magistratura; chi risiede in terraferma, e non si fida (caso frequente) di consegnarla a un rettore o altro magistrato locale e neppure di infilarla in una cassella o bocca di pietra, la manda per corriere, in sopracoperta, ai Dieci o agli Inquisitori, o ai loro segretari e fanti, o a un amico veneziano, che poi ne cura l’inoltro” (Tarocchi e inquisitori).
(3) “E occorreva il giudizio positivo dei 5/6 del Consiglio ( che in realtà era formato da almeno 17 persone) perché la segnalazione anonima fosse mandata avanti e non respinta. L’azione giudiziaria si apriva poi con un’altra ballottazione che doveva ricevere i 4/5 dei consensi e che poteva ripetersi fino a cinque occasioni successive. Solo a questo punto l’indagine seguiva la prassi comune alle denunce firmate o presentate personalmente”(Andreina Franco Loiri Locatelli per Bergamosera).
(4) “Ben diverse erano le procedure riguardanti denunce di reati privi di risvolti politici. Eliminate le segnalazioni anonime, quelle firmate facevano il loro corso presso i tribunali ordinari dei diversi gradi. Le prove venivano in genere escusse in pubblico e gli imputati avevano diritto alla difesa. I non abbienti venivano difesi da avvocati d’ufficio. L’istituto del gratuito patrocinio fu presente a Venezia fin dal Duecento e considerato obbligatorio anche per i rei confessi o per gli imputati che rifiutavano la difesa” Andreina Franco Loiri Locatelli per Bergamosera).
(5) Bergamogreen, “Clusone: fra arte, religione e cultura”.