Storia e fascino della Funicolare di Città Alta, uno dei simboli di Bergamo

Tra la fine del Settecento e la seconda metà dell’Ottocento, il centro politico, sociale ed economico di Bergamo si sposta sempre più dalla città alta alla città bassa, dove soprattutto dopo l’Unità d’Italia vanno a concentrarsi tutti gli uffici amministrativi, le banche, le infrastrutture, le attività industriali e i collegamenti, proiettati verso il capoluogo lombardo ed oltre grazie alla nascita della stazione ferroviaria e dello scalo merci nel 1857.

I borghi sono sempre più popolosi e nuove case sorgono lungo le tradizionali vie d’accesso alla città, che trova il suo punto di incontro nel Sentierone.

In particolare, tale processo è accelerato alla metà dell’Ottocento dall’epidemia di colera, divampata velocissima a causa del cedimento dell’antico sistema fognario, dovuto al sovraccarico abitativo lungo le affollate cortine di Bergamo Alta.

Per scongiurare il declino e l’isolamento della città sul colle si intensifica la discussione sul suo risanamento e riguardo a un mezzo di trasporto collettivo che la colleghi alla città delineata al piano.

Già nel 1856 l’ingegner Angelo Ponzetti propone una linea di tram a cavalli che partendo dall’antica Fiera raggiunga il palazzo del Municipio (attuale Biblioteca Angelo Mai) compiendo l’ultimo tratto dentro un tunnel lungo oltre 60 metri.

Viene poi sperimentata, con esito disastroso, la “locomotiva Thompson”, suscitando ilarità e sberleffi, finché finalmente, dopo un lungo dibattito riguardo i mezzi più disparati per congiungere le due parti di città, nel 1887 arriva la soluzione definitiva.

E pare che al momento gli amministratori, messi alle strette da una sottoscrizione, non vedessero di buon occhio l’espandersi della Città, che allora contava poco più di 30.000 abitanti. Alcuni mesi dopo però, agli albori del Novecento le vetturine facevano la spola più o meno regolarmente, tessendo la loro trama a tutte le ore, avvicendandosi all’intenso traffico delle vie del borgo e sollevandosi in pochi minuti nel silenzio riposante, fra le bellezze artistiche e il paesaggio meraviglioso, disteso sotto le Mura veneziane.

L’UMORISTICO ESITO DELLA LOCOMOTIVA THOMPSON

Dopo una serie di proposte (1), nel 1872 per raggiungere Bergamo Alta viene sperimentata la locomotiva “Thompson”, una locomotiva stradale a vapore che dovrebbe percorrere il tratto dalla stazione ferroviaria al viale Vittorio Emanuele fino alle Mura, per poi arrestarsi in Colle Aperto.

La Locomotiva stradale a vapore realizzata dalla ditta Thompson, sperimentata a Bergamo nel 1872 per raggiungere Città Alta,  giunse per l’occasione dall’Inghilterra, Il mezzo avrebbe dovuto percorrere le vie cittadine collegando la città bassa a quella alta.  A causa di guasti continui, la sua carriera fu breve

Ma, narrano le cronache, il veicolo è lento, goffo e malfunzionante: “Dalla stazione la macchina Thompson entra in città per farsi vedere. Il mostro che cammina finisce il suo primo esperimento nell’officina Galli per qualche riparazione. Poi prove e riprove, finché nel settembre si decreta di confinarla nel Lazzaretto”.

Corrono allora per la città una serie di satire all’indirizzo della povera locomotiva.

“E sö, e sö, e sö – la Thompson la va sö – al la dovra ol cont Roncall – per menà i so siure ’in Borg Canal. – La careta del cont Roncall – la ria miga in Borg Canal – e la s’ferma in mes al vial. – Povra Thompson! – Poer cont Roncall! – E sö, e sö, e sö – la Thompson la va piö- ’l se rompit la sentürela – gna ’l magna ’la giösta piö” (nella fotografia, il Conte Roncalli)

Dopo aver compiuto alcune corse e dopo una serie di guasti, il veicolo finisce dunque dal rottamaio. Ma il desiderio di collegare la Bassa con l’Alta Città riceve una nuova spinta e dopo tre proposte (2) subito naufragate, arriva quella giusta

LA PROPOSTA VINCENTE: LA FUNICOLARE DI FERRETTI

Maggiore fortuna incontra infatti la proposta dell’ingegnere emiliano Alessandro Ferretti (1851-1930),  protagonista indiscusso nella progettazione di impianti di risalita e trasporto su binari e a fune in Italia, dall’ultimo ventennio dell’Ottocento agli anni Venti del Novecento, in un contesto legato al progresso industriale e al conseguente sviluppo delle infrastrutture.

L’ingegnere Alessandro Ferretti, il “Leonardo da Vinci” delle funicolari, nasce a Fabrico di Reggio Emilia il 14 marzo 1851 ed è ricordato in una lapide posta alla stazione inferiore di Viale Roma. Egli non fu solo un “funicolarista”: inventore e visionario, progettò opere avveniristiche e mai realizzate perché insostenibili per ragioni economiche e tecniche: dagli ascensori per edifici storici, come quello con propulsione ad aria compressa per la Torre degli Asinelli a Bologna, alle migliorie per le comunicazioni con un nuovo telegrafo a gas ed alle applicazioni di impianti in ambito agricolo e militare. Fu autore di numerosi brevetti, oggetto di privativa industriale

Giunto a Bergamo, aveva già progettato e costruito ferrovie, funicolari e teleferiche, fra le quali le funicolare di Mondovì, Genova e Monreale, gli impianti a Bologna per il colle della Guardia e per il colle di San Michele in Bosco, la teleferica di Valestra (Reggio Emilia) della lunghezza di ben cinque chilometri.

Le mura veneziane prima della realizzazione dell’impianto della funicolare, ancora prive dell’arco per il passaggio delle vetture

Coadiuvato dal collega bergamasco ingegner Luigi Valzelli (3) nel 1885  presenta un progetto per la realizzazione di una funicolare fra Città Alta e Città Bassa, da porre in collegamento con una modesta rete di tram a cavalli di adduzione alla stessa, nel tratto tra la stazione inferiore della funicolare e la stazione ferroviaria.

Disegno per il progetto della funicolare, inaugurata nel 1887

Di lì a poco, l’ingegner Ferretti ottiene in concessione dal Comune non solo il servizio della funicolare bensì l’intero trasporto cittadino, che si fonda sul tram  a cavalli (che a breve diventerà a vapore), costituendo a tale scopo la “Ferrovia Ferretti” (4).

Il tram a cavalli in città, percorre il tratto tra Piazza Pontida e Borgo Santa Caterina, mentre l’altra linea interessa il tratto stazione ferroviaria-stazione inferiore della funicolare; entrambe le linea verranno presto sostituite dal tram a vapore ed elettrificate nel 1898, sei anni dopo la funicolare

 

Gli impianti originari della funicolare, progettata e gestita da Alessandro Ferretti

L’impianto della funicolare, mossa da una macchina a vapore, viene collaudato ufficialmente il 19 novembre 1887 e dopo meno di un anno di lavori, il 20 settembre 1887 incominciano le corse tra la stazione di viale Vittorio Emanuele II e piazza Mercato delle Scarpe.

La cortina muraria veneziana presenta ora l’arco di apertura per il passaggio della funicolare. Ai piedi delle mura il monastero di Matris Domini

 

Il tunnel attraversa il “bastione cento piante” nel tratto della piattaforma di S. Andrea. La Funicolare di Bergamo Alta, uno dei due impianti di funicolare della città di Bergamo, è il primo collegamento fra la la città bassa e quella alta, realizzato da Alessandro Ferretti nel tratto viale Vittorio Emanuele II e piazza Mercato delle Scarpe

Per Ferretti è il coronamento della sfida tecnologica inseguita per decenni: la Funicolare di Bergamo, da sempre considerata il suo migliore impianto, rappresenta senza dubbio il suo capolavoro ed uno dei gioielli più belli della nostra città, apprezzato dai bergamaschi e dai numerosi turisti in visita.

La Funicolare di Monte dei Cappuccini a Torino, progettata da Ferretti, prototipo della Funicolare di Bergamo. Ferretti fu anche il progettista di brevetti applicati in svariati ambiti, in particolare il freno di sicurezza: un sistema di frenatura automatica in caso di rottura della fune che diviene elemento caratterizzante degli impianti Ferretti tanto da chiamarsi “sistema di sicurezza Ferretti”

“Ciò che sembrava un sogno ai più, ardimento pericoloso ai meno, oggi è un fatto compiuto”: era il 1887 e sul giornale “Il Campanone” l’ingegner Alessandro Ferretti presentava così la nostra funicolare, il cui prototipo è quello messo a punto nel 1884 sul Monte dei Cappuccini di Torino, ideato per le esposizioni universali: la prima funicolare della Penisola, cui seguirà quella di Mondovì.

Viene dunque realizzato un impianto di tipo tradizionale a binario unico, con due vetture “a va e vieni” che si scambiano a metà percorso, che partendo  dalla stazione di viale Vittorio Emanuele II attraversa le mura veneziane e porta sin nel cuore della città alta, nel Palazzo Rota già Suardi in piazza Mercato delle Scarpe.

Costruita con impianto di tipo tradizionale con due vetture in salita e discesa, la funicolare per Bergamo Alta fu inaugurata nel 1887 (fotografia del 1900)

 

La stazione superiore della Funicolare di Bergamo, ricavata nell’ex cortile di palazzo Rota già Suardi in piazza Mercato delle Scarpe (fotografia del 1901)

Ha solo una battuta d’arresto alla sua prima corsa in discesa,  a causa del blocco di una ruota che costringe gli eleganti passeggeri, reduci da una rappresentazione al Teatro della Società (odierno Teatro Sociale) a ridiscendere a piedi.

L’aspetto dell’originaria stazione inferiore della funicolare, in viale Vittorio Emanuele II

LA CESSIONE DELLA FUNICOLARE E L’ARRIVO DELL’ELETTRICITA’

Ma evidentemente, al ruolo del gestore Ferretti preferisce quello dell’imprenditore, perché il 29 aprile del 1890 cede l’intera azienda (funicolare e servizio di tram a cavalli) alla costituenda Società Anonima Funicolare e Tramvia (SAFT), per 449.000 lire (5).

Con altro atto, 1 settembre 1890, il Comune accorda quindi alla nuova Società la facoltà di elettrificare la linea tranviaria fra la stazione ferroviaria e la stazione bassa della Funicolare, il cui esercizio a trazione elettrica verrà inaugurato alcuni anni più tardi, l’8 ottobre 1898.

IL SERVIZIO MIGLIORA

Nel 1892 la società alla quale l’ingegner Ferretti aveva venduto la funicolare e due linee tranviarie decide di sostituire il sistema a trazione a vapore con la trazione elettrica, nonostante in quel periodo le vie siano ancora illuminate dai lampioni a gas.

Scrive Luigi Pelandi che quando la la città era ancora illuminata con i lampioni a gas, Bergamo era servita dal “gasista”, che passava per la contrada con il lungo bastone a fiamma accesa, soffermandosi agli angoli per l’accensione. Era l’ultimo saluto della sera ed il primo risveglio del mattino. E quanti accidenti si sentivano mandare al lampione perché il più delle volte l’accensione ritardava o non avveniva per tante cause esterne!

La funicolare è così il primo mezzo pubblico a funzionare a Bergamo grazie all’elettricità ma bisognerà attendere altri sei anni perché il tram a cavalli tra la stazione ferroviaria e la funicolare venga sostituito dal tram elettrico.

Nel 1892 l’impianto della funicolare fu dotato di un motore elettrico. Dopo sei anni anche il tram a cavalli che percorreva il tratto tra la stazione ferroviaria e la funicolare venne sostituito dal tram elettrico

Le caratteristiche dell’impianto rimangono pressoché invariate ma grazie al motore elettrico le prestazioni migliorano. Le vetture, della portata di 24 persone, vengono tenute in servizio anche per buona parte delle ore notturne e i passeggeri aumentano di anno in anno: se nel 1892 sono 373.146, dieci anni dopo, nel 1902, il loro numero è quasi raddoppiato.

La stazione inferiore della Funicolare nel 1905. Pelandi ricorda l’edificio che immette alla Funicolare sul principio del secolo “come l’entrata ad una galleria senza luce e senza decoro alcuno e portava a pensieri poco sicuri sula propria sorte! Tanto valeva salire la Scaletta e raggiungere la Porta di S. Giacomo”

Nel novembre 1907, dopo una lunga vertenza la proprietà degli impianti e l’esercizio passano ufficialmente al Comune, costituitosi in Azienda Municipalizzata Funicolari e Tranvie Elettriche (AMFTE), l’antesignana dell’odierna ATB.

La funicolare nel 1908

La municipalizzazione dell’Azienda è confermata dall’esito di un referendum il 7 luglio 1907. Un importante consenso popolare espresso dai 2.484 sì contro 111 no su un totale di 2.595 votanti (il 46% degli aventi diritto al voto).

Moneta dell’Azienda Municipale Funicolari e Tranvie – Bergamo

Nel 1917 si delibera la trasformazione completa della funicolare per aumentarne la capacità di trasporto e ridurre al minimo le sospensioni di servizio. L’impianto originario assume nella nuova versione dell’ing. Zaretti, costruita dalla Stigler Otis, le caratteristiche di due impianti di ascensori su piano inclinato mossi da due argani indipendenti.

Termina la Grande Guerra e tra l’agosto del 1921 e l’ottobre del ‘22, l’AMFTE può rinnovare radicalmente la funicolare di Città Alta, per la quale viene creato un doppio binario, rifatti i meccanismi dei motori e degli apparecchi di sicurezza.

Le nuove vetture “panoramiche” (così chiamate perché consentivano, grazie alle ampie vetrate, di ammirare il paesaggio durante il tragitto), introdotte durante il rinnovo dell’impianto fra il 1921 e il 1922

 

Le nuove vetture “panoramiche” e il doppio binario introdotti durante il rinnovo dell’impianto fra il 1921 e il 1922. La linea è assimilabile a due funicolari monocabina indipendenti. Infatti ogni vettura è dotata di un proprio sistema fune-motore che può agire autonomamente; i due corrispondenti contrappesi scorrono verticalmente in un pozzo collocato in asse alla stazione superiore. Grazie a questo, al di fuori degli orari di punta, può essere utilizzata in servizio una sola cabina

 

Viene rifatta anche la stazione di Viale Vittorio Emanuele II e la facciata di quella di Piazza Mercato delle Scarpe.

Stazione inferiore della funicolare: l’inaugurazione della rinnovata funicolare nel 1921

 

La stazione superiore della Funicolare di Bergamo nel 1927

 

Dopo la Grande Guerra si lavora al rinnovo dell’impianto

Con la nuova sistemazione, in prossimità della stazione superiore scompare il ponticello che fino ad allora aveva concesso di utilizzare l’antichissima via degli Anditi.

A sinistra, il percorso originario della funicolare e il panoramico terrazzo-restaurant in stile neogotico del palazzo che ospita la stazione superiore: vi era il ponticello che consentiva ancora di utilizzare l’antichissima via degli Anditi in corrispondenza del passaggio di ronda medioevale. A destra, dopo la trasformazione del 1921, il grande arco e il ponticello non esistono più e sono visibili le nuove vetture “panoramiche”

Per la temporanea chiusura dell’impianto viene introdotto un servizio sostitutivo di vetture filoviarie, tra le prime utilizzate in Italia, che arrivano fino a Colle Aperto.

Le vetture filoviarie impiegate tra l’agosto del 1921 e l’ottobre del ‘22,  nel periodo del  rinnovo dell’impianto della funicolare, nel tratto fra la stazione inferiore della funicolare e Colle Aperto

 

Le vetture filoviarie impiegate tra l’agosto del 1921 e l’ottobre del ‘22,  nel periodo del  rinnovo dell’impianto della funicolare, nel tratto fra la stazione inferiore della funicolare e Colle Aperto

 

Le vetture filoviarie impiegate tra l’agosto del 1921 e l’ottobre del ‘22,  nel periodo del  rinnovo dell’impianto della funicolare, nel tratto fra la stazione inferiore della funicolare e Colle Aperto

 

Le vetture filoviarie impiegate tra l’agosto del 1921 e l’ottobre del ‘22,  nel periodo del  rinnovo dell’impianto della funicolare, nel tratto fra la stazione inferiore della funicolare e Colle Aperto

Fino al 1925 i capannoni di rimessaggio dei tram dell’AMFTE si trovavano proprio nel fabbricato adiacente la stazione inferiore della funicolare, in viale Vittorio Emanuele II, mentre la direzione e gli uffici si trovavano più a monte in un caseggiato distrutto per regolare il viale in quel punto, onde permettere la stesura dei fili per il filobus. Nel 1930, vi verrà eretta la Casa dei mutilati e invalidi di guerra.

La Stazione inferiore della funicolare, in Viale Vittorio Emanuele II. A fianco, il fabbricato dove fino al 1925 sorgevano i capannoni di rimessaggio dei tram dell’AMFTE, in seguito ricoverati in nuove aree messe a disposizione del Comune: oltre all’edificio della centrale elettrica presso l’ex barriera Sant’Antonio, all’imbocco di via Pignolo, un’area presso l’ex Porta Broseta, dove trovò posto anche la direzione. E ciò fino alla costruzione del nuovo deposito in via Coghetti, che accolse tutto l’apparato dell’Azienda Municipalizzata Funicolari e Tramvie Elettriche (divenuta ATB dal 1979)

 

Il fabbricato adiacente alla stazione inferiore della funicolare nel 1949. L’arco di ingresso della stazione risale al rinnovo del 1921-’22

 

L’ingresso della stazione inferiore della funicolare, con l’arcata d’accesso risalente al 1921-’22 e i filobus introdotti dopo la seconda Guerra mondiale, a partire dalla linea 1, ossia nel tratto compreso tra la  stazione bassa della funicolare e la stazione ferroviaria, seguita dalle linee principali che attraversavano il centro cittadino (il filobus di destra proviene da Colle Aperto)

L’ADDIO ALLE VECCHIE “PANORAMICHE”  

Altri interventi sono necessari nel 1954 ma soprattutto nel 1963-64, quando viene costruita una nuova stazione sul Viale Vittorio Emanuele II, dove si decreta l’addio della vecchia arcata d’accesso.

L’aspetto moderno della nuova stazione delle funicolare e del nuovo edificio a lato, un tempo occupato dal capannone di rimessaggio, sostituito da quello del Caffè Funicolare, provvisto di un’ampia terrazza al piano superiore

 

In quel periodo, dopo decenni di onorato servizio, il vecchio modello delle “panoramiche” esce totalmente dalla scena.

1963: la vecchia panoramica è pronta per la rottamazione, mentre l’aspetto della stazione è già stato rinnovato

L’impianto, che era già stato rinnovato nel 1922, viene totalmente rifatto ed anche le vetture vengono sostituite.

Una delle due nuove vetture introdotte con il rinnovo del 1963

 

Una delle due nuove vetture introdotte con il rinnovo del 1963

 

Il cambio di una delle due vetture nel 1963

 

Le nuove vetture introdotte con il rinnovo del 1963

Nel 1988, scaduta la concessione governativa, le “panoramiche” sono sostituite da altre due vetture da 55 posti di costruzione Ceretti e Tanfani, molto più funzionali.

Da oltre 130 anni la funicolare collega il centro di Bergamo con la Città Alta, che raggiunge in 2 minuti e 40 secondi portandosi in piazza Mercato delle Scarpe, già sede di numerose attività commerciali. A motivo della peculiare conformazione dell’impianto i due binari presentano lunghezze diverse, pari a 240 e 234 rispettivamente per le vie di corsa destra e sinistra.metri. Il dislivello coperto è pari a 85 metri, con una pendenza massima del 52%. Ogni carrozza, due vetture arancio fiammante  di costruzione Ceretti & Tanfani, trasporta 50 passeggeri

Ma l’intervento maggiore, anche se meno evidente, riguarda l’intero sistema di trazione e gli impianti di sicurezza (lo stesso avvenne nel 1991 per la funicolare di S. Vigilio): sarà l’ultimo importante restauro, a distanza di un secolo dalla prima corsa, cui seguiranno a cadenze regolari revisioni generali dell’impianto, con la completa sostituzione dell’automazione nel 2008 e l’aggiornamento del sistema di salita nel 2016.

Pur essendo passati più di centotrent’anni dall’inaugurazione, la funicolare non ha mai perso il suo ruolo di principale attrice del trasporto pubblico bergamasco e continua a trasportare i passeggeri (oggi per un massimo di 600 all’ora) senza soluzione di continuità, mantenendo intatto il fascino dell’emersione ritmata verso la luce di Città Alta, che ne ha fatto uno dei simboli di Bergamo.

 

Note

(1) Al progetto diell’ing. Angelo Ponzetti, del 1865, seguì quello dell’ing. Tommaso Agudio, il costruttore della funicolare torinese di Superga, che venne preso in serio studio dal Comune, tanto da pubblicarsi il programma della sottoscrizione d’abbonamento. La ferrovia di congiunzione tra la città bassa e quella alta avrebbe dovuto partire dall’allora Piazza Cavour, per arrivare al Mercato delle Scarpe, il che avrebbe comportato la demolizione di casa Marieni, ove stabilire una terrazza con porticato aperto. Una stazione intermedia sarebbe stata collocata in prossimità di casa Serassi, sulla via Vittorio Emanuele. Si fissava il prezzo dell’abbonamento per la prima, la seconda e la terza classe.Secondo il progetto, il Comune avrebbe concorso con un sussiduo annuo di L. 5.000 per 10 anni. Ma più tardi il progetto fu abbandonato. Il 25 febbraio 1870 l’ingegnere Angelo Ponzetti presentava al Comune lo studio per una funicolare lungo la strada Vittorio Emanuele e le Mura di S. Giacomo da esercirsi con motore idraulico mediante l’utilizzazione di altra delle cascate esistenti lungo la roggia sul lato orientale della Fiera. Il progetto non ebbe nessuna attuazione (Luigi Pelandi, La Strada Ferdinandea, Op. Cit.).

(2) Nel 1879 l’ingegnere Sigismondo Ghilardi propose un tram a vapore da Porta Nuova a Colle Aperto, mentre nel 1885 l’ingegner Fermo Coduri e il signor Fedenco Chiari presentarono al consiglio comunale i progetti per una rete tranviaria a cavalli in città bassa e una funicolare tra città bassa e città alta, subito naufragati. Venne poi quello dei fratelli Chitò di Solto, esercenti un’officina meccanica a Bergamo. La loro funicolare avrebbe dovuto far capo a Piazza Baroni, salendo poi il viale Vittorio Emanuele, per finire, come quella d’oggi, sul Mercato delle Scarpe. I fratelli Chitò avevano anche esposto al pubblico un modellino in movimento. La mancanza di fondi, per dare il via al progetto, non permise di proseguire nell’impresa (Luigi Pelandi, La Strada Ferdinandea, Op. Cit.).

(3) L’ing. Bergamasco Luigi Valzelli (1852-1911) aveva già dato alla città ben chiare prove con lavori, studi e dimostrazioni in materia di tecnica elettrica e di edilizia: “posso affermare che fu sua l’idea della famosa Direttissima (Ferrovia elettrica Bergamo-Milano) tanto poi caldeggiata dal povero Pesentù. Me ne dà conto esatto e circostanziato un opuscolo del 1904: Cose Ferroviarie – Pro direttissima Bergamo-Milano (Tipografia R. Gatti): “la magnifica idea venne lanciata dall’ing. Valzelli per la prima volta… ed ebbe il battesimo del pubblico favore domenica 29 aprile 1893, in una solenne adunanza presso la Camera di Commercio”. E come della direttissima, così di altri numerosi progetti edilizi, l’ing. Valzelli fu non solo l’antesignano, ma l’anima. E’ sua la funicolare del Sacro Monte di Varese. Preziosi sono i suoi studi su una radicale riforma della nostra stazione ferroviaria e sul raggruppamento delle stazioni delle valli. Non v’era in quel tempo quesito di qualche importanza in ordine ai mezzi di trasporto ed allo sviluppo edilizio cittadino, senza che esso venisse risolto direttamente od indirettamente, col contributo prezioso dei suoi studi e della sua esperienza. E fu del Valzelli l’idea della Ferrovia della Valle Brembana e della Valle Cavallina”. A quei tempi — secondo quanto scrisse L’Eco del 2 maggio 1911 — il Valzelli fu definito un precursore dalla vista sicura in materia di progresso tecnico (Luigi Pelandi, La Strada Ferdinandea, Op. Cit.).

(4) Nel gennaio del 1887 la Ferrovia Ferretti ottenne, oltre alla concessione della funicolare, anche quella dell’intero servizio di trasporto pubblico cittadino, per una durata di 80 anni. La funicolare di Bergamo Alta fu terminata nel medesimo anno, entrando in servizio il 20 settembre 1887. Per la firma del contratto tra la Ferrovia Ferretti e il Comune, Luigi Pelandi riporta la data del 1° gennaio 1887, “col deposito di L. 20.000, quale cauzione. A Ferretti spetta, oltre alla gestione dell’intero sistema di trasporto, anche la costruzione dell’impianto della funicolare. Era allora sindaco il conte Gianforte Suardi (Luigi Pelandi, La Strada Ferdinandea, Op. Cit.).

(5) Per Pelandi si tratta di 470.000 lire. Il capitale proveniva pressoché tutto dalla Banca Piccolo Credito, tanto che gli umoristi del tempo ebbero a dire che la Funicolare stava diventando la via del paradiso, come allusione alle persone firmatarie ed al presidente: avvocato Luigi Salvi! (L. Pelandi, Op. cit.)

Bibliografia

Graziola G Zaninelli S. Il trasporto pubblico a Bergamo. ATB 1907-1997. Giuffrè Editore, Milano. Opuscolo edito da ATB per il centenario.

Giovanni Cornolò e Francesco Ogliari, La funicolare Bergamo Bassa – Città Alta (1887 – in esercizio), in Si viaggia… anche all’insù. Le funicolari d’Italia. Volume primo (1880-1900), Milano, Arcipelago edizioni, 2004, pp. 144-181, ISBN 88-7695-261-6.

Pino Capellini, La funicolare di Bergamo Alta, Bergamo, Arnoldi, 1988.

Luigi Pelandi, Attraverso le vie di Bergamo scomparsa II – La Strada Ferdinandea. Collana di Studi Bergamaschi, a cura della Banca Popolare di Bergamo.

Locandina della mostra dedicata alla figura di Alessandro Ferretti nel 2017,  inaugurata da ATB e Fondazione Bergamo nella storia nell’ex Ateneo di Bergamo Alta in occasione dei centodieci anni dalla nascita di ATB – Azienda Trasporti Bergamo (1907) – e dei centotrent’anni trascorsi dall’inaugurazione della Funicolare di Bergamo (1887)

La vicenda dello scomparso ospedaletto di Sant’Antonio in Prato (dove oggi sorge Palazzo Frizzoni)

Come osservato qui, da Vienne, cittadina francese che conserva le spoglie di S. Antonio abate e che dal XII secolo aveva mostrato il potere taumaturgico del Santo, il culto si diffuse rapidamente in tutta Europa (ed oltre), dove fiorirono rapidamente numerose fondazioni antoniane con una serie pressoché infinita di luoghi di culto ed ospedali al Santo dedicati.

In Italia i primi ospitali sorsero lungo la via francigena che collegava Delfinato e Italia, presso la Precettoria di S. Antonio a Ranverso in Val di Susa (ante 1188), poi a Roma, Teano e presso Napoli.

Sant’Antonio Abate, il grande eremita egiziano la cui devozione era legata alla cura dell’ergotismo, causato dall’ingestione di prodotti derivati dalla segale cornuta, malattia molto diffusa fra I poveri a causa della cattiva alimentazione. Nelle immaginette ricorre l’immagine del Santo, diffusa dagli stessi antoniani, raffigurato con accanto un porcellino e con in mano  una campanella ed un bastone terminante a forma di tau

Il culto si diffuse anche nella Bergamasca ed in città vennero fondati due hospitali intitolati al Santo: nel 1208 quello di Sant’Antonio in foris, appena fuori la porta di S. Antonio e all’imbocco di borgo Palazzo e, verso la fine del XIV secolo in luogo dell’attuale Palazzo Frizzoni, l’ospedale di Sant’Antonio “in Prato” (o “di Vienne”), entrambi con annessa chiesa.

In Contrada di Prato, l’ex- chiesa di S. Antonio di Vienne e poco oltre il monastero di S. Marta. Le colonne di Prato, davanti all’attuale via Borfuro, delimitarono il confine della Fiera fino al 1882 (disegno di G. Trécourt)

La chiesa e l’annesso ospizio per malati e pellegrini si trovavano in Contrada di Prato, sulla strada che dal Prato di S. Alessandro portava alla chiesa di S. Leonardo. Ma esistendo già una chiesa con ospizio nel borgo di S. Antonio, si aggiunse la dicitura di Antonio “in Prato” o di S. Antonio di Vienne per evitare che la dedicazione scelta potesse dare adito a confusione.

Al centro dell’immagine, l’ex- chiesa di S. Antonio di Vienne (dal 1586 dedicata alle SS. Lucia e Agata), in Contrada di Prato (incisione del 1815 ca. Proprietà Conte G. Piccinelli, Milano)

I frati antoniani erano giunti a Bergamo verso la fine del Trecento e vi si erano insediati, ma è difficile oggi stabilire se essi siano stati gli effettivi promotori della sua edificazione; di certo l’ospedale fu fondato per iniziativa laica tra il 1380 e il 1382: la tradizione ne fa risalire la fondazione a Gerardo (morto tragicamente nel 1380) della nobile famiglia cittadina dei De la Sale, ma un documento conservato nel fondo pergamene dell’archivio della Mia attesta la contemporanea presenza di un certo frate Francesco, “un armigero di ignota provenienza”, che nel 1382 è citato come edificatore della chiesa e dell’Ospedale di San Antonio in Prato (non era in “habito religioso”, ma “portabat pannos lungos et signum S. Antonii scilicet unum T super pectore”) (1).

(1) Maria Mencaroni Zoppetti (a cura di), L’Ospedale nella città – Vicende storiche e architettoniche della Casa Grande di S. Marco. Collana: Storia della sanità a Bergamo – 1. Fondazione per la Storia Economica e Sociale di Bergamo.

La riunificazione degli ospedaletti medioevali nell’Ospedale Grande di S. Marco: la resistenza dei frati di S. Antonio de Vienne

Così come stava accadendo in altre città, anche a Bergamo verso la metà del Quattrocento si deliberò l’accorpamento di 11 ospedaletti sparsi tra il colle e il piano in un unico grande organismo (l’Ospedale Grande di S. Marco), al fine di ottimizzare i servizi e creare un’unica dirigenza, esercitando così un maggior controllo (2).

(2) Le prime notizie di un sistema ospedaliero compiuto di Bergamo risalgono al 5 novembre del 1457, quando il Vescovo Giovanni Barozzi (1449-1465) approva i Capitula hospitalis novi et magni structi in civitate Bergami. Insieme ai Rettori della città aveva infatti ottenuto l’autorizzazione di fondare un Ospedale Grande che riunisse in sé tutte le strutture di assistenza al malato e tutti i luoghi pii dediti alla cura sanitaria e all’assistenza paramedica. I  beni degli ospedaletti avrebbero costituito il fondo economico necessario alla realizzazione del progetto.

La veduta prospettica di Alvise Cima, nella tela conservata presso la Biblioteca Civica Mai. Dall’azione congiunta del Vescovo Barozzi e della municipalità, nel 1457 viene deciso di riunire sotto un’unica direzione gli ospedali di Sant’Erasmo fuori dalla porta di Borgo Canale, di Santa Grata inter vites in Borgo Canale, di San Lorenzo dell’omonimo borgo, di San Bernardo presso il ponte della Morla sulla strada di Valtesse, di San Tommaso della Gallinazza dentro porta di Santa Caterina, di Santa Caterina fuori le mura, legato alla parrocchiale, di Sant’Antonio in foris,  fuori porta S. Antonio, del monastero di Santo Spirito, situato nei pressi del monastero dei Celestini, di San Lazzaro in Borgo San Leonardo, di San Vincenzo in contrada di San Cassiano, di Santa Maria Maggiore in Contrada Ante Scolis

Il documento firmato nel 1458, delibera “che il nuovo ospedale dovrà essere costruito nel luogo dell’ospedale di S. Antonio o altrove, qualora lì non fosse possibile”, avviando un’annosa disputa che vede da una parte la resistenza degli antoniani, decisi a difendere strenuamente privilegi e concessioni acquisiti nel tempo (dopo essere stata per un certo periodo in mano alla MIA, nel 1453 i frati di Vienne avevano ottenuto da Papa Nicolò la chiesa e l’ospedale) e, dall’altra, la cittadinanza, che non solo li considera abusivi all’interno della struttura “sorta a vantaggio dei poveri e su iniziativa di una famiglia bergamasca”, ma li rimprovera anche di elemosinare per sostenere la loro comunità e la precettoria d’appartenenza (quella già osservata di Ranverso, in Piemonte), trascurando del tutto l’ospedale e la chiesa.

La diatriba verrà risolta alla fine del Cinquecento, quando il vescovo Barozzi decide di accorpare l’ospedaletto di S. Antonio in Prato all’Ospedale Grande di S. Marco (di cui diviene una dipendenza), permettendo ai frati di restare nella loro sede, dove continuarono a esercitare attività di accoglienza per malati e pellegrini e a celebrare nella loro chiesa, che con l’unione decretata nel 1457 era divenuta parte dell’Ospedale Maggiore.

E poichè la chiesa di S. Marco, costruita (1572) nel perimetro dell’Ospedale Grande era solo chiesa cimiteriale per i degenti del nosocomio ed aveva un battistero per il battesimo degli esposti, per volontà degli amministratori dell’Ospedale Grande nella chiesa di S. Antonio di Vienne veniva celebrata ogni giorno una messa (3).

La chiesa di S. Antonio nel frattempo si era ampliata: “.. era ampia e non disadorna. Aveva quattro altari; la scuola dei Disciplini, che si riunivano in sagrestia; la scuola del Divino Amore, che si riuniva sopra la porta maggiore dove c’era una grande volta in forma di pulpito” (tribuna) (4).

(3) Nella chiesa di S. Marco, costruita 1572 nel perimetro dell’Ospedale Grande, venivano sepolti coloro che nell’ospedale morivano; c’era inoltre un fonte battesimale per il battesimo dei bambini esposti (come da atti della visita pastorale di S. Carlo Borromeo del 1575). C’erano poi due altari, il maggiore e quello di S. Marco, e c’era il SS. Sacramento, ma si celebravano messe solo nel giorno dedicato a S. Marco, poichè, secondo gli accordi presi dal momento dell’unione degli ospedali, una messa quotidiana veniva celebrata nella chiesa di S. Antonio di Vienne in Prato (M. Mencaroni Zoppetti, op. cit.).

(4)  A.G. Roncalli, Gli Atti della visita pastorale di S. Carlo Borromeo (1575), Firenze 1937, Vol. I, La Città, parte II, p. 140.

L’ingresso laterale della chiesa di S. Antonio di Vienne, davanti alla quale si faceva mercato, in un disegno ottocentesco (elaborazione tratta da M. Mencaroni Zoppetti, op. cit.)

I frati di S. Antonio di Vienne vi rimasero fino al 1586, anno in cui il complesso, che era adiacente al convento femminile di Sant’Agata, fu acquisito dalle monache domenicane provenienti dalla Valle di Santa Lucia Vecchia, che lo ridedicarono alle Sante Lucia e Agata (5).

Dopo le soppressioni napoleoniche attuate alla fine del 1798, tutto il complesso venne acquistato nel primo Novecento dalla famiglia Frizzoni, e demolito per far posto alla loro residenza cittadina poi divenuta Municipio della città di Bergamo.

(5) D. Calvi, Effemeridi sagro profane di quanto di memorabile sia successo in Bergamo sua diocese et territorio, vol. III, p. 398, 11 dicembre 1586 “Le monache di S. Lucia fuori delle mura di Bergamo, havendo fin l’anno passato comprate le habitationi e Chiesa dell’Ospitale di S. Antonio in Prato contiguo a S. Agata, vennero in questo giorno ad habitarvi formandosi delle due chiese di S. Antonio e di S. Agata una Chiesa sola con titolo di S. Lucia e Agata”.

Palazzo Frizzoni, edificato tra il 1836 e il 1840 dall’architetto bresciano Rodolfo Vantini ed attualmente sede del Municipio di Bergamo. L’edificio è sorto sull’area occupata dall’antica chiesa e annesso ospedale di S. Antonio di Vienne

Data l’impossibilità di utilizzare l’ospedale di S. Antonio, su cui erigere l’Hospital Grande di San Marco, nelle sedute comunali si avanzarono le ipotesi più varie finchè, nel 1474, si scelse un’area poco lontana, ai margini dello stesso Prato di S. Alessandro: si trattava di un terreno di proprietà dell’ospedale stesso, sul prato Bertellio (prato di S. Bartolomeo?), in una zona pianeggiante, chiusa a sud dalle Muraine, a monte del luogo dove sin dall’alto Medioevo si svolgeva la grande Fiera annuale dedicata al patrono della città: un punto a cui era possibile convergere da ogni parte dell’abitato e in posizione equidistante rispetto ai borghi di S. Alessandro a ovest e di S. Antonio a est, come indicato nella veduta prospettica di Alvise Cima,  dove il complesso ospedaliero e la chiesa annessa sono indicati come PEPITALE S. ANTONIO.

La supposta Bergamo quattrocentesca un un particolare della veduta di Alvise Cima, conservata presso la Biblioteca Civica Mai. In verde, la zona in cui si trova l’ospedale di Sant’Antonio (oggi Palazzo Frizzoni), posto accanto al convento di S. Marta. In azzurro, l’Ospedale di San Marco, al centro dell’antica Bergamo, ai margini del Prato di S. Alessandro, risulta formato da tre corpi di edifici collegati da un loggiato. A destra la chiesa (costruita nel 1572), priva di campanile e con il fronte al rustico, si affianca al corpo occidentale  (PEPITALE) connesso al chiostro, affiancato dal brolo (orto officinale). Verso est un edificio più basso si congiunge con quella che dovrebbe essere la Cappella dell’Ospedale.  La vasta area verde restituisce l’idea della salubrità del luogo antistante il  prato che si estende sino alle Muraine, solcato dalla Seriola Nuova che lambisce il convento di S. Bartolomeo e raggiunge la Porta del Raso

 

Anche nell’immagine della città secentesca formulata da Macherio e poi da Stefano Scolari, la facciata della chiesa di S. Marco appare in una modesta forma a capanna, probabilmente in arenaria. Sono visibili due cortili, il loggiato di fronte al prato, l’edificio della Dogana veneta e il tezzone del salnitro, che serviva per la fabbricazione della polvere pirica e dove, terminato l’evento, venivano ricoverate le baracche di legno della fiera. Il tezzone è abbattuto nel 1820 e trasformato in mercato del grano

 

La fabbrica dell’Ospedale Grande di San Marco si avvia dal 1478 e termina nella prima metà del Cinquecento; è ampliata all’inizio del Settecento e quasi interamente demolita nel 1937, per il nuovo assetto assunto dal centro della città bassa. La sua conduzione venne affidata ai frati del vicino convento delle Grazie

Del grandioso edificio rinascimentale dell’Hospital Grande di San Marco, demolito negli anni Trenta del secolo scorso, il ricordo più vistoso e bello è la chiesa dedicata a San Marco che, costruita nel 1572 nel perimetro dell’ospedale, ha assunto fogge barocche nel corso del Settecento.

L’interno della chiesa (qui ritratta nel primo Novecento) a una navata, è d’impianto quattrocentesco ma viene riformato all’inizio del Settecento, pochi anni dopo la costruzione del quarto braccio della crociera dell’ospedale. Fra il 1726 e il 1728 il prospetto, sino ad allora in semplice arenaria, viene rinnovato con il rivestimento marmoreo dalle eleganti forme barocche da Giovanni Ruggeri e impreziosito dal portale e dalle statue di coronamento dello scultore Giovanni Sanz. Nel 1747 le pareti e il soffitto vengono affrescati dal comasco Carlo Innocenzo Carloni che affrescò sulla volta l’Eucarestia, sui pennacchi della cupola i quattro evangelisti, nella cappella di destra la Vergine Assunta, e in quella di sinistra San Camillo De Lellis, fondatore dell’Ordine dei chierici regolari ministri degli infermi, sicuramente quegli stessi chierici che operarono nella struttura (Mencaroni Zoppetti, cit.)

Dopo l’ingresso (1586) delle domenicane di S. Lucia Vecchia nel convento di S. Antonio, la messa verrà celebrata nella chiesa di S. Marco (6), che da allora comincerà ad esser nominata “chiesa di S. Antonio” nonostante la sua dedicazione a S. Marco ed alla Vergine, in omaggio alla Serenissima.

(6) E a tal fine verranno mantenuti dall’ospedale un priore e un cappellano (A.G. Roncalli, Gli Atti della visita pastorale… Cit., pp. 158-159).

In un particolare del cabreo della Fiera di Bergamo, disegnato dall’agrimensore Bernardino Sarzetti nel 1723, la chiesa dell’Ospedale Grande, intitolata ai SS. Marco e alla Vergine, è indicata come Chiesa di S.to Antonio. Si noti, sul lato destro,  la cappella dei morti con il portico

La chiesa e l’ospedale di S. Antonio di Vienne, come detto verranno acquistati nel primo Novecento dalla famiglia Frizzoni e demoliti per far posto al palazzo di famiglia, oggi  Municipio della città di Bergamo, cancellando qualsiasi testimonianza dell’antico complesso.

Bibliografia

Maria Mencaroni Zoppetti (a cura di), L’Ospedale nella città – Vicende storiche e architettoniche della Casa Grande di S. Marco. Collana: Storia della sanità a Bergamo – 1. Fondazione per la Storia Economica e Sociale di Bergamo.

Santa Lucia, la festa della luce, tra passato e magia

E finalmente Dicembre con la sua magia.

Il periodo dell’anno in cui ci si stringe l’uno accanto all’altro nella convivialità delle feste tanto attese e desiderate, in un tripudio di regali, luci, abbondanza e….calorie.

Da che mondo è mondo, questo è il nostro modo per celebrare il solstizio d’inverno, quel momento in cui, tra il 21 e il 22 dicembre, dopo aver toccato il punto più basso dell’orizzonte il sole ricomincia a salire, regalandoci di giorno in giorno minuti di luce che prepareranno la natura al risveglio.

Il Solstizio d’Inverno non cade sempre lo stesso giorno, ma oscilla fra il 21 e il 22 Dicembre; questo perché noi utilizziamo un calendario chiamato gregoriano che suddivide l’anno in 365 giorni. Ma dal momento che alla Terra occorrono 365 giorni e 6 ore (circa) per completare la sua orbita attorno al sole, il disavanzo si riassesta grazie all’anno bisestile che, con l’aggiunta di un giorno in più, incorpora e integra le 6 ore lasciate indietro degli anni precedenti. Nel 2018 la data del Solstizio d’Inverno sarà dunque venerdì 21 dicembre, alle ore 22:22

Con la fine della caduta del sole, il solstizio invernale segna perciò l’inizio di una stagione che già nasconde in sé il seme della primavera.

Ed è appunto in questo periodo che attraverso i simboli legati alla alla luce celebriamo la speranza e il desiderio del risveglio: con l’albero di Natale illuminato, la stella cometa che guida i Re Magi, il ceppo che rimane acceso nella notte di Natale o con i grandi falò accesi nella festa di Sant’Antonio: tutte ricorrenze che affondano le radici nelle celebrazioni pagane legate al culto del Sole.

Varese: un maestoso falò per S. Antonio, festeggiato il 17 gennaio. L’antica usanza contadina è legata al delicato e importante momento di passaggio dal buio alla luce, dal letargo della natura al suo risveglio e alla vita 

Tra le feste situate a ridosso del solstizio d’inverno e legate alla luce,  quella di Santa Lucia è la festa per eccellenza e vedremo il perché.

CHI ERA SANTA LUCIA

La futura Santa siracusana, poco più che una ragazzina, apparteneva a una famiglia benestante. Orfana di padre, era stata promessa a un concittadino pagano. Quando la mamma Eutichia si ammalò gravemente, Lucia si recò in pellegrinaggio a Catania, sul sepolcro di Sant’Agata, per invocarne l’intervento. Durante la preghiera Lucia si assopì e vide in sogno Agata dirle: Lucia, perché chiedi a me ciò che puoi ottenere tu per tua madre? Nella visione Agata le preannunciava anche il martirio e il suo patronato sulla città. Ritornata a Siracusa e constatata la guarigione della madre, Lucia le comunicò la ferma decisione di consacrarsi a Cristo e di donare tutti i suoi averi ai poveri. Il pretendente, insospettito e preoccupato nel vedere la desiderata sposa donare tutto il suo patrimonio, verificato il rifiuto di Lucia, la denunciò alle autorità romane come cristiana. Erano gli anni delle persecuzioni di Diocleziano, e questa accusa equivaleva a una sicura sentenza di morte.

Santa Lucia davanti al giudice, particolare della pala di Santa Lucia, Lotto, 1532 – Pinacoteca civica di Jesi. Secondo la Legenda Aurea la santa si era rifiutata di adorare gli idoli pagani, per questo viene portata davanti al giudice, il console romano Pascasio. La sua posa verticale inflessibile simboleggia la sua fede incrollabile

Subì un processo in cui il Tribunale non riuscì a farla abiurare in alcun modo, e resistette anche di fronte alle minacce di essere esposta tra le meretrici.  Venne decapitata o, secondo alcune fonti, uccisa con una pugnalata alla giugulare, dopo le torture atroci inflittale dal console romano Pascasio, che non voleva piegarsi ai segni straordinari che attraverso di lei Dio stava mostrando.

Il culto di Lucia quale santa patrona degli occhi e della vista, si afferma a partire dal XIV secolo, quando nell’iconografia appare l’emblema degli occhi che la Santa tiene in mano (o su un piatto, o su una coppa) e che sarebbe da ricollegarsi con l’etimologia del nome Lucia (da Lux, luce)

Le sue spoglie riposano a Venezia dal 1203, qui giunte dopo una serie di vicissitudini storiche. Dopo aver peregrinato a lungo per le chiese di Venezia, dal 1863 sono state accolte in una cappella della Chiesa di San Geremia, da quel momento intitolata anche a Santa Lucia.

Le spoglie di S. Lucia sono conservate gelosamente a Venezia da oltre sette secoli, dopo essere state cedute a Costantinopoli (1040) ed essere state riportate in Italia nel corso della quarta Crociata guidata dal Doge veneto Enrico Dandolo.  L’urna contenente le sue spoglie è stata costruita col materiale della chiesa palladiana di Santa Lucia, abbattuta nel 1861 per dar spazio alla stazione ferroviaria di Venezia, che ne conserva tuttora il nome

 

Nel 1955 l’allora Patriarca di Venezia Angelo Roncalli, futuro papa Giovanni XXIII, fece porre una maschera d’argento sul volto, per proteggerlo dalla polvere

SANTA LUCIA A BERGAMO 

La devozione alla Santa si diffuse rapidamente e giunse nella Bergamasca probabilmente introdotta dagli eremitani agostiniani,  che nei secoli passati officiavano nella chiesa di San Nicola da Tolentino a San Pellegrino, adiacente al loro monastero, poi soppresso (1), mentre in città la prima chiesa dedicata Santa si trovava nella Valle di Santa Lucia Vecchia accanto all’attuale Tempio Votivo, dove oggi si trova la chiesa del Santo Nome di Gesù. 

La Valle di S. Lucia Vecchia in una ripresa del 1884

In questo luogo, esterno alle muraine, sorgeva dal 1337 il convento delle Domenicane con l’annessa chiesa titolata alla santa siracusana.

L’antica chiesa di Santa Lucia nella valle di Santa Lucia Vecchia (da Diego Gimondi e Salvatore Greco, “Santa Lucia – Tradizioni brembane e siracusane“. Ferrari Editrice)

Ma a causa della posizione isolata del sito, nel 1586 le monache decisero il loro trasferimento nel monastero di S. Agata, in Contrada di Prato (attuale Piazza Matteotti), occupato fino a quel momento dalle Umiliate di S. Agata de Rasolo.

Nei pressi del monastero di S. Agata in Contrada di Prato, corrispondente all’attuale via XX Settembre

Con l’arrivo delle Domenicane, il monastero di S. Agata assunse così la doppia titolazione di Santa Lucia e Sant’Agata.

Il monastero di S. Lucia e S. Agata in Contrada di Prato, al centro dell’immagine (incisione del 1815 ca. Proprietà Conte G. Piccinelli, Milano)

SANTA LUCIA, LA NOTTE PIU’ LUNGA CHE CI SIA

La festa di Santa Lucia rientra a pieno titolo tra le feste situate nel contesto invernale legate alla luce, essendosi letteralmente sovrapposta alle antiche feste pagane legate al culto del Sole, celebrate il giorno del solstizio d’inverno.

Fino a cinque secoli fa infatti, prima della riforma del calendario giuliano ad opera di Papa Gregorio XIII, il solstizio d’inverno cadeva proprio il 13 dicembre, nel giorno legato alla celebrazione liturgica di Santa Lucia. La Chiesa Cattolica l’aveva posta proprio al 13 dicembre per sostituirla alle celebrazioni pagane legate al solstizio, facendo della Santa la portatrice cristiana della luce, colei che attraverso il martirio ha testimoniato il cammino della sua fede.

Nel 1582, per rimediare a certi errori di calcolo astronomico commessi secoli prima da Giulio Cesare (il “redattore” del calendario giuliano), Papa Gregorio XIII aveva dato una “sforbiciata” al calendario di una decina di giorni (2) facendo slittare in avanti il solstizio d’inverno, che dal 13 passava al 21-22 dicembre. Ma mantenendo per il 13 la festa di S. Lucia, si mantenne anche il detto popolare, che recita:

E’ così che Santa Lucia, “portatrice di luce” ha anche il grato compito di portare i doni ai bambini in molte zone d’Italia – a Bergamo, come nel bresciano, nel Trentino e nelle province di Udine, Cremona, Lodi, Mantova, Piacenza, Parma, Reggio Emilia e Verona – come dell’Austria, in Boemia e in Svezia, dove la festa della Santa, “regina di luce”, rappresenta un momento di allegria prenatalizia nel momento più buio dell’inverno nordico.

In Svezia, la Santa vestita di bianco porta una corona di candele e offre delle focaccine allo zafferano dal nome curioso: lussekatter (il gatto di Lucia)

 

LE ORIGINI DELLA FESTA

Secondo un’usanza ormai consolidata, nei giorni che precedono la festa i bambini consegnano le letterine nella chiesa della Madonna dello Spasimo in via XX Settembre – chiamata ormai da tempo “di S. Lucia” -, mentre il Sentierone si anima di bancarelle rinnovando l’antica festa che un tempo si celebrava intorno alla chiesa dedicata alla Santa.

Il rito della consegna delle letterine nella chiesa della Madonna dello Spasimo in via XX Settembre

La si incontrava in Contrada di Prato, verso la strada che conduceva al popoloso borgo di S. Leonardo, poco oltre le colonne marmoree chiamate “di Prato”.

Le colonne di Prato, poste all’altezza dell’imbocco dell’attuale via Borfuro, delimitarono il confine della Fiera dal 1620 al 1882 (disegno di G. Trécourt)

 

In Contrada di Prato, la chiesa di S. Lucia e S. Agata. Accanto, ai limiti del Boschetto di S. Marta sorgeva l’omonimo monastero, di cui è sopravvissuto solo un chiostro e, in fondo, la chiesa di S. Bartolomeo

Sul fianco della chiesa si apriva un grande portone che introduceva all’interno, sovrastato da una grande volta.

Contrada di Prato, verso S. Leonardo. La chiesa di S. Lucia e S. Agata (ex S. Antonio di Vienne) era ampia e non disadorna; era divisa in tre grandi navate con quattro pilastri centrali, aveva quattro altari e un grande coro. Le fonti parlano di pregevoli pitture di Daniele Crespi e di Cristoforo Baschenis; di pale del Cariani del Cavagna e di un quadro raffigurante S. Lucia di Giacomo Cotta (incisione del 1815 ca. Proprietà Conte G. Piccinelli, Milano)

Allora come oggi, a S. Lucia si facevano tre giorni di festa con grande concorso di folla e nei dintorni della chiesa si allestiva un mercato affollato di banchetti e bancarelle, mentre le monache distribuivano ai bambini i deliziosi biscottini da loro preparati.

L’ingresso laterale della chiesa di S. Lucia e S. Agata in un disegno ottocentesco. Da sempre in questo spazio si faceva mercato

Dietro il versamento di un obolo alle monache, i mercanti esponevano nei loro banchetti merce di ogni sorta: panni, cappelli e berrette, stoffa, merletti, guanti, tela, refe, stringhe, zoccoli, corde, fusi e rocchetti, coperte, carta per bachi da seta, manichini in pelle, calze di lana di bambagia e di stame, masserizie in legno e in ferro e, naturalmente, non mancavano sacchi di castagne.

Le contadine, racconta il Reverendo Angelini, non sono sciocche e prima di comprare esaminano a fondo e con perizia, minuziosamente, l’articolo che vogliono acquistare.

La Contrada di Prato, davanti al monastero delle SS. Lucia e Agata

Con l’arrivo dei Francesi, a fine Settecento la chiesa ed il convento vennero soppressi per poi essere acquisiti dalla famiglia Frizzoni, che li demolirono nel 1825 per costruirvi la loro residenza di città, poi divenuta sede del Municipio di Bergamo.

Piazza Cavour, Palazzo Frizzoni, attuale sede del Municipio di Bergamo, edificato tra il 1825 e il 1840 sull’area un tempo occupata dal convento di S. Lucia e S. Agata da Rodolfo Vantini

Dopo il periodo delle soppressioni, la festa venne reintrodotta nella vicina chiesa della Madonna dello Spasimo, che dopo la soppressione del 1797 era stata adibita per due anni a sala per il Circolo Costituzionale, per essere riaperta al culto grazie agli Austriaci nel 1799.

Da allora, in questa chiesa adottata come chiesa “ufficiale” di S. Lucia, si è rinnovata la straordinaria devozione alla martire, il cui simulacro è stato collocato in una cappelletta laterale che è poi l’indirizzo terrestre al quale i bambini portano le letterine nei giorni che precedono la festa.

In prospettiva, a sinistra della cortina edilizia è visibile il campanile della chiesa intitolata alla Madonna dello Spasimo, eretta nel 1592 e riedificata a più riprese sino al 1768, a spese degli abitanti di borgo San Leonardo

La leggenda popolare ha da sempre ammantato di magia quella che per i bambini è una notte speciale che li vede trepidanti nell’attesa dell’evento.

La festa di Santa Lucia in Città Alta nel 1969

 

I doni per la festa di Santa Lucia in Città Alta, nel 1968

 

La festa di Santa Lucia al Seminarino di Città Alta, metà anni Sessanta

Un tempo c’era chi preparava le scarpe pulite, sperando di rivederle ricolme di dolci l’indomani; chi andava in cerca di paglia per nutrire l’asinello; chi per ingolosirlo appendeva alle finestre dei mazzetti di carote oppure esponeva alla finestra uno zoccolo colmo di crusca per l’asinello e un bicchier d’acqua per Santa Lucia.

Accanto a tutto ciò veniva posto un lumino acceso alla finestra, ad indicare la presenza di bambini.

Ancor oggi, i bambini pongono in tavola un po’ di cibo per l’asinello e una tazza di latte per la Santa (che l’indomani troveranno semivuota e magari con una leggera impronta di rossetto..), rinnovando a loro insaputa il rito pagano del “pegno”.

Naturalmente dovranno coricarsi presto e tenere gli occhi ben chiusi, perché ai bambini ancora svegli Santa Lucia getterà la cenere negli occhi senza lasciare alcun regalo!

Nell’attesa tenderanno ansiosi l’orecchio per udire i campanellini che ne annunciano l’arrivo, finché il sonno non avrà finalmente la meglio.

Ancora un secolo fa – scriveva Antonio Tiraboschi – alla vigilia della festa i bambini venivano portati a vedere “quelle due lunghe grandi fila di banchette ricoperte di dolci, di mille maniere, e fra sacchi ricolmi di noci e di castagne affumicate… Mi reco a passeggiare tra quei banchetti che, coi loro vari paramenti e con i loro tendoni illuminati di sotto producono un bellissimo effetto: mi fermo davanti a quei sacchi di noci e dì castagne, in mezzo ai quali è conficcata una candela, e mi diverto a sentire i vari inviti che dai venditori si indirizzano ai presenti: ‘I e ché i bei biligòcc de la Alota'” (3).

E cosa trovavano l’indomani i nostri nonni, fuori dalla finestra? …Beh, ben poco per la verità: pastefrolle, caldarroste, carrube, castagne bollite, noci, nocciole, arachidi, cachi, mandarini, fichi secchi e croccanti fatti in casa con nocciole, acqua e zucchero, sandaletti, scarpe, oppure maglioni e calze pesanti di lana necessarie per l’inverno.

I regali per le bambine di solito erano bambole di legno o di pezza fatte dalla nonna, mentre i bambini trovavano giocattoli di legno come cavallini, carriole, trenini e fucili, oppure biglie e fionde.

Mentre oggi?

Beh, oggi è tutta un’altra storia.

Note

(1) Diego Gimondi e Salvatore Greco, “Santa Lucia – Tradizioni brembane e siracusane“. Ferrari Editrice.

(2) Perché questa sfasatura? Il conquistatore delle Gallie, quando volle mettere ordine nel computo dei giorni e degli anni ad uso dei romani e dei loro sudditi, si rivolse all’astronomo egiziano Sosigene. Questi fissò l’anno di 365 giorni e sei ore. In realtà, dicono gli esperti, doveva essere di 365 giorni, cinque ore, quarantotto minuti primi e 46 secondi. Quell’errore di una dozzina di minuti fu tale da portare scompiglio nel calendario per i secoli futuri. Fu un astronomo gesuita tedesco che propose di sopprimere dieci giorni in ottobre. Perché proprio in quel mese? Perché, spiegò il gesuita, ottobre è il mese che conta meno feste religiose e anche perché gli uomini d’affari lavorano poco in quel periodo”.

(3) Antonio Tiraboschi, Manoscritto, Festività Bergamasche.

Bibliografia
P. Donato Calvi, Effemeridi Sacro Profane. 1676.
Martino Compagnoni, Folclore Bergamasco. Editrice Cesare Ferrari.
Diego Gimondi, Santa Lucia. Tradizioni brembane e siracusane, Centro Studi Francesco Cleri di Sedrina.
AntonioTiraboschi, Manoscritto. Festività Bergamasche, Biblioteca Mai.