Le origini dell’Istituto Italiano d’Arti Grafiche e la facciata dipinta in via Masone

Per capire le origini dell’Istituto Italiano d’Arti Grafiche, sono determinanti gli anni dal 1873, anno in cui sorge la società tipografica e casa editrice “Gaffuri e Gatti”, al 1893, anno della fondazione dell’Istituto Italiano d’Arti Grafiche, sorto in via S. Lazzaro – in luogo dell’odierno “Triangolo” – e trasferito  dal 1965 nel nuovo impianto di via Zanica: un’azienda che negli anni ha saputo contraddistinguersi per una produzione di altissima qualità e di rilievo internazionale: un’avventura editoriale senza pari, costellata dalle brillanti scelte imprenditoriali di Paolo Gaffuri (1849 – 1931), figura lungimirante intorno alla quale si articola il prestigio dell’azienda.

Paolo Gaffuri in un ritratto eseguito il 25 ottobre 1896. Nato a Bergamo nel 1849 da una famiglia modesta, a dodici anni iniziò a lavorare come apprendista tipografo. Ben presto la passione per il libro e la lettura lo portarono ad acquisire una buona cultura accompagnata da una sensibilità artistica e una grande perizia nell’industria tipografica. Fu stampatore ed editore. Nel 1883 fondò l’Istituto italiano d’Arti Grafiche che, grazie alle sue capacità, giunse a conquistare fama mondiale

Prima di fondare l’omonima società, Gaffuri e Gatti avevano lavorato insieme nella tipografia Pagnoncelli, un’officina situata in via S. Alessandro, dove poi si stabilì la Libreria Greppi e dove “bazzicavano il Fachinetti, il can. Finazzi, i bibliotecari Dossi e Tiraboschi e Pasino Locatelli, Gabriele Rosa, il conte Lochis ed altri egregi studiosi del tempo. Colà stamparono i loro primi lavori Angelo Mazzi, Elia Fornoni, l’ing. Ponzetti, Elia Zerbini ed altri” (1).

Via S. Alessandro (Raccolta Gaffuri, Biblioteca Civica di Bergamo)

Era una tipografia ottocentesca che portava avanti anche una propria attività editoriale e che per tenersi in vita sviluppava anche quella del commercio librario. In questa azienda Gaffuri era impiegato come commesso, mentre Gatti, come contabile.

Gaffuri aveva lavorato da Pagnoncelli a partire dal 15 settembre 1861, da quando cioè, dodicenne, era entrato come apprendista: nel 1864 era stato promosso a commesso della libreria con l’incarico di redigerne il catalogo.

Egli aveva iniziato una vera e propria formazione da autodidatta studiando sui testi a sua disposizione, in particolare il Manuel du libraire et de l’amateur de livres di Jacques Charles Brunet e l’Enciclopedia Pomba, oltre che leggendo i testi della libreria Pagnoncelli. E proprio il periodo formativo di Paolo Gaffuri rivestità un’importanza fondamentale nella fondazione e poi nella direzione dell’“Istituto Italiano d’Arti Grafiche”.

LA FONDAZIONE DELLA “GAFFURI E GATTI”

Ma un contenzioso tra Pagnoncelli e Bolis (2), che finì per indebolire entrambi gli editori, indusse Gaffuri a guardare altrove per individuare prospettive più sicure per il proprio futuro. La concomitante crisi finanziaria della tipografia Sonzogni di Bergamo alta, divenne per il ventiquattrenne Gaffuri e il suo collega Gatti, un’occasione per mettersi in proprio, e ai primi di agosto del 1873, entrambi lasciavano la tipografia Pagnoncelli per acquistare la tipografia Sonzogni, intraprendendo un nuovo cammino, quasi avventuroso, in un momento critico per la storia italiana.

Della tipografia Sonzogni, Luigi Pelandi specifica che si trattava di una piccola tipografia, che aveva i suoi torchi in via Gombito, di fronte alla scalinata di Piazza Vecchia

Neanche un mese dopo venivano definite le trattative per la modifica della ragione sociale della “Gaffuri e Gatti”, nata come società in nome collettivo e trasformata in accomandita semplice per l’ingresso di due soci accomandanti: i Fratelli Cattaneo, stampatori, e Federico Alborghetti (1825-1887), comproprietario-direttore del giornale “La Provincia Gazzetta di Bergamo” (nel 1877 trasformata definitivamente in “Gazzetta provinciale di Bergamo”, organo quotidiano del liberalismo moderato bergamasco).

Con l’ingresso dei nuovi soci, il capitale sociale della “Gaffuri e Gatti” veniva subito raddoppiato, passando dalle 16.000 lire iniziali a 32.000 lire. Dal 1° gennaio 1874 il giornale riportava il nome della nuova stamperia (3).

La nuova azienda definì subito la propria strategia editoriale e commerciale. Dal punto di vista delle scelte editoriali, le opere stampate nei primi anni erano prevalentemente costituite da studi di impostazione erudita e di argomento letterario, archeologico e artistico, e riflettevano chiaramente la fisionomia culturale degli autori, per lo più insegnanti e giornalisti. Si trattava di intellettuali attivi nelle istituzioni culturali cittadine, legati all’esperienza risorgimentale e caratterizzati da un orientamento politico liberale moderato, quasi sempre cattolici, attenti studiosi delle specifiche tradizioni culturali locali, delle quali si facevano nel contempo custodi e interpreti nel contesto postrisorgimentale (4).

NON SOLO TIPOGRAFIA: INIZIA LA STAMPA DEI CALENDARI (E SARA’ UN SUCCESSO)

Grazie all’esperienza maturata da Pagnoncelli, Gaffuri sapeva bene che per garantire sicurezza economica del neonato stabilimento tipografico, avrebbe dovuto da subito affiancare all’attività editoriale altre attività produttive e commerciali, fra le quali egli individuò la stampa dei calendari: un settore da cui era possibile ottenere commesse sicure e nel quale c’era carenza di offerta da parte dei concorrenti. Questo aspetto si rivelò fondamentale per il futuro professionale dello stesso Gaffuri (5).

Le ragioni principali di questa scelta dipendevano da una concomitanza di fattori. La crisi (6) della tipografia Sonzogni, rilevata da Gaffuri e Gatti, era stata innescata dalla perdita. all’inizio degli anni ’70, di una delle poche commesse sicure: la stampa della modulistica per le amministrazioni locali, fatto che costituì una ghiotta occasione per la tipografia dei F.lli Cattaneo (presente a Bergamo dagli anni ’50 ed ora consociata di “Gaffuri e Gatti”), che portò avanti tale attività diventando uno dei principali fornitori per le amministrazioni locali, dalle quali avevano ottenuto, quasi a condizioni di monopolio, anche la concessione della vendita dei calendari, che acquistavano sul mercato milanese per poi rivenderli nel territorio bergamasco,

Con la nascita della sua tipografia, Gaffuri aveva ottenuto dai consociati la stampa in proprio dei calendari, avvalendosi della litografia (di cui a quei tempi, a Bergamo, era attrezzata solo la tipografia Manighetti-Mariani).

La pubblicazione dei calendari si inseriva nel più ampio contesto della produzione, sia locale che nazionale, anche di almanacchi: un genere di largo consumo e di sicuro successo commerciale, anche grazie alle potenzialità didattico-divulgative insite in questo tipo di prodotti (Pelandi ricorda che il primo campionario di almanacchi eseguiti in litografia dai Gaffuri e Gatti è del 1877).

Alla produzione di calendari ben presto si affiancò la stampa di tappezzerie in carta, stampati per ufficio (block-notes, memorandum, ecc.) e altre tipologie simili, quali diari, ricettari, blocchi a sfoglio, ecc., e in particolare, dal 1878, i libri da messa e di preghiera, tutti prodotti che richiedevano attenzione anche all’aspetto grafico e decorativo.

Ne derivò un successo commerciale assai significativo. Per questo, accanto all’attività editoriale, la produzione tipografica commerciale finì per assumere un ruolo determinante nell’economia dell’azienda, che dal 1879 ebbe il suo primo rappresentante nel vicentino Pietro Robbioni.

L’ESPANSIONE DELL’ATTIVITA’ E IL TRASFERIMENTO DA BERGAMO ALTA A VIA MASONE

L’ampio ventaglio di prodotti rappresentati nel catalogo dell’azienda (cartoni per fotografi, attestati per scuole, assortimento di colli di bottiglie di vini e liquori, etichette e rubriche per cartoleria, sottomani in carta cerata, bordure in oro, chiaroscuro, a colori, a fiori, cartelli, campioni di fatture e cambiali, ecc.) consentì alla “Gaffuri e Gatti” di affermarsi e ampliarsi, tanto da cambiare la sede e trasferirsi da Bergamo alta a via Masone in Bergamo bassa, dove esisteva un vecchio stallazzo fra le case Piccinelli, di fronte all’attuale Palazzo delle Poste.

Casa Piccinelli in via Masone (Raccolta Gaffuri)

Preso in affitto lo stabile, la ditta ottenne che fosse rimesso a nuovo e ricoperto di dipinti a tempera e graffito dal pittore Giuseppe Carnelli, con allegorie rappresentanti le Arti Grafiche. Tale decorazione doveva fare intendere – per usare le parole di Luigi Pelandi – che là dentro l’arte della stampa in colore era coltivata e curata.

Facciata dello stabilimento “Gaffuri e Gatti” in via Masone, con le decorazioni  eseguite nel 1881 dal pittore Giuseppe Carnelli (Raccolta Gaffuri, Biblioteca Civica di Bergamo)

 

Versione in b/n della facciata dello stabilimento “Gaffuri e Gatti” in via Masone (Raccolta Gaffuri, Biblioteca Civica di Bergamo)

 

Particolare della facciata dello stabilimento “Gaffuri e Gatti” in via Masone, dipinta da Giuseppe Carnelli (Raccolta Gaffuri, Biblioteca Civica di Bergamo)

 

Particolare della facciata dello stabilimento “Gaffuri e Gatti” in via Masone, dipinta da Giuseppe Carnelli (Raccolta Gaffuri, Biblioteca Civica di Bergamo)

 

Particolare della facciata dello stabilimento “Gaffuri e Gatti” in via Masone, dipinta da Giuseppe Carnelli (Raccolta Gaffuri, Biblioteca Civica di Bergamo)

L’autore dei dipinti, il pittore Giuseppe Carnelli (1838-1909), era definito da Luigi Pelandi “artista di natura e d’istinto, maestro di ogni tecnica pittorica, tanto che per lui non esisteva alcun segreto né per la tempera, né per l’affresco o per la pittura a olio”. Per almeno sette anni Carnelli eseguì cartelloni, disegni, litografie, coi quali contribuì a fare la fortuna dello Stabilimento. Il pittore risiedette a lungo in via Broseta al numero 27 e pressoché di fronte abitava nei suoi anni giovanili Paolo Gaffuri, amicissimo di Carnelli.

Carnelli Giuseppe autoritratto

Come afferma il Pelandi, agli inizi degli anni ‘60 del Novecento tali decorazioni erano già sparite e stavano sparendo anche quelle della casa vicina, già dei nobili Piccinelli, rappresentanti dei bambini che danzavano o giocavano, eseguiti dal pittore Alberto Maironi. La casa di via Masone, già adibita a tipo-litografia Gaffuri, divenne più tardi la Scuola Tecnica Principe Amedeo Di Savoia (7).

Casa Piccinelli in via Masone (Raccolta Gaffuri, Biblioteca Civica di Bergamo)

Nella nuova sede la “Gaffuri e Gatti” poté finalmente aggiornare i propri impianti: dal 1880 si sviluppò quindi anche il settore cromolitografico.

Oltre alla vasta gamma proposta, a Gaffuri interessava affermarsi attraverso la qualità dei prodotti, sia commerciali che editoriali, che dovevano contemplare anche un fine estetico-educativo.

A questo scopo, accanto a incisori e stampatori tedeschi, egli chiamò a collaborare artisti e illustratori italiani di notevole rilievo, come Gabriele Chiattone e Cesare Tallone (all’epoca direttore dell’Accademia Carrara di Bergamo), o come i pittori bergamaschi Alberto Maironi e Giuseppe Carnelli, l’autore dei dipinti murali della sede di via Masone.

La “Gaffuri e Gatti” diventò così un’azienda all’avanguardia in Italia per la stampa cromolitografica e per il materiale illustrato in genere.

Sono suoi, infatti, i primi cartelloni murali per pubblicità italiani: quelli che pubblicizzano i pianoforti Ricordi e Finzi, i panettoni Bai e le Assicurazioni generali di Venezia. Sono della “Gaffuri e Gatti” anche le cromolitografie per il “Giornale per i bambini” uscito a Roma dal 1881 e diretto da Ferdinando Martini.

Manifesto pubblicitario dei pianoforti Ricordi e Finzi, disegnato da Aleardo Terzi (cromolitografia)

La qualità dell’illustrazione, dunque, divenne un aspetto centrale dell’azienda, tanto da suggerire già nel 1880 a Gaffuri, l’idea di realizzare una rivista illustrata di arte e letteratura, intitolata “La Cartella”, aperta a collaborazioni non legate all’ambito locale: un progetto non realizzato con la “Gaffuri e Gatti”, ma che anticipava idealmente la successiva esperienza di “Emporium”.

Nonostante i successi commerciali, le potenzialità dell’azienda dovettero però scontrarsi con le difficoltà di gestione e la sproporzione tra gli obiettivi che si volevano raggiungere e i mezzi finanziari a disposizione. Il successo commerciale degli inizi aveva infatti portato la “Gaffuri e Gatti” ad ampliare il capitale immobilizzato negli impianti, assumendosi con ciò un notevole impegno debitorio, non coperto dal capitale sociale, tanto che l’eccessiva esposizione finanziaria nel 1882 determinò la crisi dell’azienda.

A dieci anni di distanza dalla fondazione della “Gaffuri e Gatti e cioè nel 1883, i consociati F.lli Cattaneo rilevarono la società, ma, significativamente, mantennero il marchio e il nome dei predecessori come segno di continuità per un’azienda che si era fatta apprezzare sul mercato editoriale e tipografico.

Nacque così la “Fratelli Cattaneo successi Gaffuri e Gatti”, di cui Gaffuri, perduto il ruolo del socio, ne divenne il direttore, mentre – come ricorda Pelandi – Raffaele Gatti ritornò per pochi anni in Fiera, ove aprì una piccola tipografia ed un negozio di libri sulla fronte verso il Sentierone.

In tal modo Gaffuri si svincolava dalle questioni amministrative per potersi concentrare su ciò che più gli stava a cuore già dai tempi di Pagnoncelli: realizzare un vero e proprio progetto editoriale.

Litografi e stampatori dello stabilimento Gaffuri e Gatti con i prodotti del loro lavoro (20 aprile 1890)

Nonostante i fratelli Cattaneo intendessero passare in un futuro la nuova azienda ai nove figli, Gaffuri continuava a perseguire un obiettivo molto ambizioso: quello di svincolare la casa editrice dalla conduzione familiare dei F.lli Cattaneo per fondare una società per azioni anonima, dove i capitali di finanziatori esterni avrebbero consentito progetti di ben più ampio respiro. A tal fine, nel maggio del 1887 Gaffuri, attraverso una lettera-circolare rivolse un appello ai potenziali finanziatori, che conteneva già le premesse progettuali per l’istituzione di quello che, di lì a pochi anni, divenne l’IIAG. L’appello proponeva la costituzione di una società per azioni che, su base finanziaria solida, potesse rilevare l’azienda dei F.lli Cattaneo, dar luogo ad un potenziamento dell’attività tipo-litografica e, contemporaneamente, realizzare un più pieno e razionale uso degli impianti anche attraverso una rinnovata e solida produzione editoriale.

Giardino interno dell’Istituto Italiano d’Arti Grafiche, in via S. Lazzaro (Raccolta Gaffuri, Biblioteca Civica di Bergamo)

 

Giardino interno dell’Istituto Italiano d’Arti Grafiche, in via S. Lazzaro (Raccolta Gaffuri, Biblioteca Civica di Bergamo)

 

Giardino interno dell’Istituto Italiano d’Arti Grafiche, in via S. Lazzaro (Raccolta Gaffuri, Biblioteca Civica di Bergamo)

I F.lli Cattaneo, galvanizzati dal successo commerciale raggiunto e spinti dalla necessità di reggere la concorrenza, continuarono a ingrandire lo stabilimento, investendo una quantità di capitale superiore alle loro reali disponibilità, senza attuare un piano amministrativo che permettesse loro di tener sotto controllo la situazione economica, ma vivendo piuttosto alla giornata. Gaffuri vedeva chiaramente che tale politica societaria era destinata ad entrare in crisi non appena fosse diminuita la disponibilità del capitale finanziario. In pratica, l’azienda si trovava nella stessa situazione che, nel 1882, aveva determinato il passaggio dalla “Gaffuri e Gatti” alla società dei F.lli Cattaneo.

Veduta dalla terrazza dell’Istituto Italiano d’Arti Grafiche, in via S. Lazzaro (Raccolta Gaffuri, Biblioteca Civica di Bergamo)

A favorire la trasformazione della “F.lli Cattaneo successi Gaffuri e Gatti” in Istituto Italiano d’Arti Grafiche fu anche la questione della sede. I F.lli Cattaneo avevano una loro propria sede, e non avevano mai voluto accorpare in un unico stabilimento la loro azienda originaria con la ditta che avevano ereditato dalla “Gaffuri e Gatti”, la cui sede era nel centro di Bergamo.

Via S. Lazzaro, nei pressi dell’Istituto Italiano d’Arti Grafiche (Raccolta Gaffuri, Biblioteca Civica di Bergamo)

Così, quando la “F.lli Cattaneo successi Gaffuri e Gatti”, in fase di espansione, si era trovata nella necessità di trovare una sede più adeguata alle proprie necessità, i Fratelli Cattaneo si erano impegnati finanziariamente per acquistare nuovi locali dove trasportare gli impianti.

La storica sede di via S. Lazzaro dell’Istituto Italiano di Arti Grafiche (Raccolta Gaffuri, Biblioteca Civica di Bergamo)

L’amministratore della F.lli Cattaneo, Augusto Coffetti, era riuscito a trovare uno stabile in via S. Lazzaro, occupato da un setificio bergamasco poi fallito. La nuova sede era spaziosa e conteneva macchine ed attrezzi per le officine di tipografia, litografia, legatoria, verniciatura, con officine di falegnameria e meccanica. Il personale, tra operai, impiegati e “artisti”, comprendeva 350 persone.

La storica sede di via S. Lazzaro dell’Istituto Italiano di Arti Grafiche, in una delle fotografie custodite nell’archivio della società

 

Panorama dall’Istituto Italiano di Arti Grafiche in via S. Lazzaro (Raccolta Gaffuri, Biblioteca Civica di Bergamo)

 

Istituto Italiano d’Arti Grafiche, via S. Lazzaro, 1907. Laboratorio all’aperto in piena luce per i Chimigrafi

 

terrazza fotografica e fotomeccanica dell’Istituto Italiano d’Arti Grafiche. Mancando l’illuminazione elettrica, per molte operazioni si utilizzava la luce del giorno (foto e testo Raccolta Lucchetti)

E così, all’inizio del 1892, “trovato l’edificio, preparato il piano per una metodica suddivisione delle officine, degli ateliers, dei reparti, occorrevano i capitali sufficienti per dar vita al nuovo organismo, all’Istituto Italiano d’Arti Grafiche”. Tuttavia, proprio l’ampliamento aveva determinato ulteriori esposizioni finanziarie da parte dei Cattaneo, che non erano più in grado di sostenere i debiti contratti con le banche.

Il salone macchine tipografiche dell’Istituto (1890-1915)

 

Il reparto di Fotoincisione presso l’Istituto Italiano d’Arti Grafiche

 

Fotoincisori dell’Istituto Italiano d’Arti Grafiche (6 giugno 1913)

Per Gaffuri era giunto il momento per realizzare quel passaggio da azienda familiare a società per azioni già ipotizzato nel 1887. Il primo passo in questa direzione furono i contatti intrattenuti da Gaffuri con Lorenzo Limonta, presidente della Banca popolare di Bergamo, che, dal canto suo, sondò accuratamente le reali possibilità di sviluppo della casa editrice.

L’Istituto Italiano d’Arti Grafiche, via S. Lazzaro

 

Padiglione Arti Grafiche nel 1894 al castello sforzesco durante esposizioni Riunite

Primo tangibile risultato dell’incontro tra i due fu il fatto che venne subito sospesa la domanda di copertura dei crediti precedentemente avanzata dalla Banca popolare ai F.lli Cattaneo e, anzi, fu concessa una cospicua somma per portare a compimento la produzione di calendari e almanacchi, dal momento che la produzione era ormai giunta al milione di copie annue, considerate anche le esportazioni in America Latina.

Interno della legatoria dell’Istituto Italiano d’Arti Grafiche; la preparazione di una strenna per “La Patria degli italiani”, pubblicato a Buenos Aires per più di cinquant’anni (1890-1915) – (Raccolta D. Lucchetti)

Da parte loro, i Cattaneo avrebbero dovuto cedere l’azienda alla futura società qualora l’esercizio commerciale fosse risultato in attivo, come Gaffuri sosteneva. I Cattaneo tentarono in tutti i modi, nei mesi successivi, di evitare di dover cedere l’azienda, ma alla fine dovettero desistere.

Richard Vogel, il “primo stampatore litografo” dell’Istituto Italiano d’Arti Grafiche, festeggiato per il 25° anno d’impiego (giugno 1902)

 

Lo zurighese Paolo Kohberg nella sala di cromatura (22 agosto 1909)

 

Il bavarese Augusto Fentsch, capo della sezione fotomeccanica

 

Gino Amati e Cesare Villa: due maestri di fotografia e di fotocromia, dipendenti dell’Istituto Italiano d’Arti Grafiche (Raccolta Lucchetti)

La costituzione della nuova società, denominata “Istituto italiano d’Arti Grafiche”, divenne ufficiale dal 24 giugno 1893, data del rogito notarile. Tra i fondatori figuravano undici nomi, provenienti dal mondo delle professioni di Bergamo e provincia, anche se i soci effettivamente sottoscrittori del capitale sociale iniziale furono solo cinque; tra i nomi figuravano naturalmente anche quelli di Limonta e Gaffuri, il quale ultimo venne nominato direttore generale. Luigi Caldirola ricoprì la carica di direttore tecnico e Giovanni Cottinelli quella di direttore amministrativo oltre ad esser nominato, poco tempo dopo, anche vicepresidente. Il primo presidente del consiglio d’amministrazione fu lo stesso Limonta, in carica fino alla morte, avvenuta il 15 novembre 1911.

Reparto disegnatori dell’Istituto Italiano d’Arti Grafiche. Come si evince dal nome stesso dell’istituto, intitolato alle Arti grafiche, la principale peculiarità dello stabilimento editoriale fondato a Bergamo nel 1893 fu la poligrafia artistica, nella quale l’IIAG riuscì ad acquisire una posizione d’eccellenza nelle tecniche della riproduzione a stampa (litografia, cromolitografia, fotolitografia, ecc.), potenziando e valorizzando il ruolo dell’illustrazione nelle sue produzioni editoriali, distinguendosi anche per l’attenta e spesso raffinata cura editoriale con cui venivano realizzati libri e riviste (Raccolta D. Lucchetti)

 

Don Clienze Bortolotti, direttore de “L’Eco di Bergamo” dal 1903 al 1925, in visita all’Istituto

Da questo momento iniziava una nuova vicenda per l’istituto editoriale, i cui sviluppi editoriali si intrecciano con l’esperienza della rivista illustrata “Emporium”, stampata a partire dal 1895, che si rivelerà, nel lungo termine, uno strumento efficace di propaganda dell’attività editoriale dell’Istituto. Una prova ulteriore, in tal senso, è costituita dal fatto che, nel 1892, cioè appena un anno prima della fondazione dell’IIAG, l’azienda diretta da Gaffuri aveva assunto la stampa della rivista illustrata “Arte italiana decorativa e industriale” diretta da Camillo Boito.

A partire dal 1895, con Arcangelo Ghisleri Gaffuri ideò e pubblicò presso l’Istituto, la rivista “Emporium”, che riscosse un notevole successo internazionale per la novità dei contenuti, la qualità della veste grafica, l’importanza data alle immagini, la vastità di orizzonti, implicita nel sottotitolo “Rivista mensile illustrata d’arte letteratura scienze e varietà”. La rivista uscì fino al 1964. Negli anni Venti divennero frequenti le copertine d’autore, firmate dal disegnatore; sempre diverse fino ai primi anni Trenta, rifletterono gli stili dell’epoca. Dal 1932 le copertine divennero solo grafico-pittoriche; dal 1937 riportarono fotografie di opere d’arte e dal 1942 non vennero più illustrate ma solo colorate per annata. Parteciparono alla realizzazione delle copertine i più importanti grafici e illustratori italiani: Giovanni Guerrini, Publio Morbiducci, Leonella Nasi, Giulio Cisari, Erberto Carboni, Diego Santambrogio, Giulio Rosso, e soprattutto Ugo Nebbia (sue le copertine di soggetto bellico) e Fortunato Depero

 

Il salone macchine tipografiche dell’Istituto (1890-1915)

 

Uno scatto leggermente diverso, eseguito negli stessi istanti

Del resto, l’attenzione all’aspetto artistico era non solo già stata posta pubblicamente con la qualità grafica di moltissimi prodotti della “Gaffuri e Gatti” prima e della “F.lli Cattaneo successi Gaffuri e Gatti” poi, ma reso evidente anche in termini visivi sulla facciata della vecchia sede di via Masone, decorata appositamente per mettere in evidenza proprio le “Arti grafiche”. Ricorda Luigi Pelandi che al nuovo, complesso organismo, quando dovette assumere l’aspetto commerciale di un’azienda “anonima”, fu dato il nome di “Istituto”, perché le istituzione delle “Arti Grafiche” vi dovevano trovare costante asilo, inserendo il beneficio commerciale e industriale su di un costante progresso tecnico di tutti i rami coltivati. Quello che altrove sarebbe stato superfluo, qui fu sentito indispensabile.

Istituto Italiano d’Arti Grafiche

Gaffuri diresse l’istituto fino al 1910. Raccolse una collezione, dispersa tra l’Accademia di Brera, la sede milanese del Touring Club Italiano e la Biblioteca Angelo Mai, che “deve essere considerata come una fonte importante, e in larga parte inesplorata, di informazioni sull’editoria popolare” (8).

La regina Margherita in visita all’Istituto Italiano d’Arti Grafiche nel 1906 (Raccolta Gaffuri, Biblioteca Civica di Bergamo)

 

1913: visita del re Vittorio Emanuele III all’Istituto Italiano d’Arti Grafiche. Questa fotografia, probabilmente eseguita da Cesare Villa, fu consegnata al re prima che lasciasse l’Istituto. Data l’epoca – scrive Lucchetti – il fatto è da ritenersi eccezionale (Raccolta di cartoline  D. Lucchetti)

 

Il re Vittorio Emanuele III in visita all’Istituto Italiano d’Arti Grafiche (1913)

 

Due ali di folla, con bandiere, applausi e grida di “Viva il re”, al passaggio a Porta Nuova del corteo con l’auto – scortata dai carabinieri in bicicletta – con Vittorio Emanuele III in visita alla città  il 23 settembre 1913. In quell’occasione, il re presenziò anche all’inaugurazione del monumento a Cavour; alla posa della prima pietra dell’lstituto Tecnico in foro Boario e alla Cappella Colleoni, quando egli domandò: “in quale sarcofago è il corpo del condottiero? Nessuno gli seppe rispondere e nacque cosi il dilemma del cadavere scomparso, avallato da una sommaria ispezione (da “Fotografi pionieri a Bergamo” di Domenico Lucchetti. Foto di Don Giuseppe Locatelli  

Nonostante i brillanti successi in termini culturali e in seguito a rilevanti cambiamenti nella gestione della società, nel 1915 Gaffuri venne licenziato dalla società da lui stesso creata, sostituito da Ezio Sangiovanni. Grande fu il suo rammarico: “Sortirò dall’azienda che ho creata, povero, cacciato con le forme più odiose […] espulso come un ingombro, perseguitato […] poi sarà quel che sarà per me e per l’Istituto”, scriveva con amarezza il 25 febbraio di quello stesso anno ad Arcangelo Ghisleri.

Foto ricordo degli impiegati a Paolo Gaffuri (26 giugno 1915)

 

L’uscita dei lavoratori per la pausa pranzo

Bergamo, a riconoscenza delle sue grandi capacità imprenditoriali e editoriali che portarono la cittadina al centro dell’editoria lombarda, gli intitolò una via nel quartiere di Loreto. La morte lo colse nel 1931 e la casa natale lo ricorda in un’epigrafe.

NOTE

(1) Luigi Pelandi, “Attraverso le vie di Bergamo scomparsa. III. Il Borgo S. Leonardo”. Banca Popolare di Bergamo. Co-Editore: Edizioni Bolis. Bergamo, 1965 (Collana di studi bergamaschi).

(2) Come spesso accadeva a quei tempi, accanto all’attività tipografica e ad una propria attività editoriale, per tenere in vita l’azienda, soggetta alla dura concorrenza del mercato locale, la Pagnoncelli sviluppava anche quella del commercio librario. Ma tra il 1868 e il 1871, gli editori Pagnoncelli e Bolis si contesero la stampa dei quotidiani locali e la relativa concessione degli Atti giudiziari. Contenzioso che finì per indebolire entrambi gli editori e indusse Gaffuri a cercare prospettive più sicure per il proprio futuro (Anna Martinucci. Università degli studi di Milano, “Le origini dell’Istituto italiano d’arti grafiche: per un’illustrazione di qualità”).

(3) Luigi Pelandi scrive che dopo l’acquisizione della tipografia Sonzogni, “La società Gaffuri e Gatti prese in affitto otto botteghe in Fiera dal signor Marco Spinelli. Esse vennero subito adattate ad uso officina ed ivi collocati i banchi di tipografia, il materiale ed i torchi già Sonzogni. In altra tresenda, e precisamente di faccia all’Intendenza di Finanza, era venuta ad installarsi una piccola tipografia per la stampa della “Provincia Gazzetta di Bergamo”, amministrata da Licurgo Spinelli, un buon patriota, ma catttivo amministratore. Il dottor Felice Alborghetti, direttore e comproprietario del giornale, propose ed ottenne dalla nuova società la gestione e la stampa del periodico; infatti il 1° gennaio del 1874 il giornale porta il nome della Stamperia Gaffuri e Gatti” (Luigi Pelandi, “Attraverso le vie di Bergamo scomparsa. II. La strada Ferdinandea”. Banca Popolare di Bergamo. Co-Editore: Edizioni Bolis. Bergamo, 1963. Collana di studi bergamaschi).

(4) Tra i titoli di questi primi anni si possono ricordare: Pasino Locatelli, I casi di Bernardo Strozzi: pittore genovese, 1875, appartenente alla collana “Nuova collezione di novellieri contemporanei”; Antonio Tiraboschi, Usi pasquali nel Bergamasco, 1878; Emile Zola, Il Capitano Burle, prima traduzione italiana di Augusto Barattani, 1881; Elia Zerbini, Angelo Mai e Giacomo Leopardi, 1882. Tra i testi stampati nel catalogo “Gaffuri e Gatti” figurano anche pubblicazioni d’occasione, come il volume del 1875 dedicato a Gaetano Donizetti e Johann Simon Mayr, tipiche glorie culturali locali da valorizzare nel contesto nazionale (Anna Martinucci. Università degli studi di Milano, “Le origini dell’Istituto italiano d’arti grafiche: per un’illustrazione di qualità”).

(5) Pelandi ricorda che “ad incisore litografico della nuova sociatà era stato assunto un recluso delle carceri di S. Francesco, certo Dolfin, condannato per fabbricazione di biglietti falsi. Abilissimo disegnatore, il recluso fece scuola al primo gruppo di incisori bergamaschi, i quali ben presto diedero prove di buon gusto e di padronanza del nuovo sistema di riproduzione, tanto che dai calendari a semplici ornamenti si passò ben presto a quelli a figura ed a composizione” (Luigi Pelandi, Attraverso le vie di Bergamo scomparsa. II. La strada Ferdinandea”. Op. Cit.).

(6) La vita precaria delle tipografie locali era caratterizzata da un’alternanza di passaggi, scanditi da cessione ad altri tipografi o da successioni ereditarie. Prima di diventare “Gaffuri e Gatti”, la tipografia Sonzogni aveva attraversato varie fasi: nata nel 1804 come tipografia di Ignazio Duci, questi l’aveva ceduta a Luigi Sonzogni, al quale era succeduta la figlia Angela sposata Salvi. Per il sostanziale disinteresse del marito di quest’ultima (Domenico Salvi detto “Fidelì”, specifica Luigi Pelandi) e per incapacità organizzativa, la tipografia Sonzogni aveva perso, all’inizio degli anni ’70, una delle poche commesse sicure: la stampa della modulistica per le amministrazioni locali, attività svolta già durante la dominazione austriaca. La stampa della modulistica venne immediatamente colta come occasione di lavoro dalla tipografia di Pietro Cattaneo, presente a Bergamo dagli anni ’50, che pubblicava un giornale locale per conto di Pagnoncelli (Anna Martinucci. Università degli studi di Milano, “Le origini dell’Istituto italiano d’arti grafiche: per un’illustrazione di qualità”).

(7) Luigi Pelandi, “Attraverso le vie di Bergamo scomparsa. II. La strada Ferdinandea”. Op. Cit.).

(8) Edoardo Barbieri, Francesco Novati e l’editoria popolare, in Produzione e circolazione del libro a Brescia tra Quattro e Cinquecento. Atti della seconda Giornata di studi: ” Libri e lettori a Brescia tra Medioevo ed età moderna”, Brescia, Università Cattolica del Sacro Cuore, 4 marzo 2004, a cura di Valentina Grohovaz, Milano, Vita e Pensiero, 2006, p. 146.

Da: Anna Martinucci. Università degli studi di Milano, Le origini dell’Istituto italiano d’arti grafiche: per un’illustrazione di qualità.