L’avvincente vicenda del Battistero, indagando tra Curia, sotterranei della Basilica e corte della Canonica

Dal portico del Palazzo della Ragione, il Battistero nel 1936 con alle spalle il Palazzo vescovile

Oltre le ariose arcate del Palazzo della Ragione, fra i ricami del protiro di Giovanni da Campione e la mole caleidoscopica della Cappella Colleoni, s’innalza un po’ in disparte l’edificio ottagonale del Battistero. Concepito in epoca viscontea come fonte battesimale della basilica di Santa Maria Maggiore, vi restò per quasi tre secoli sino a che cominciò il suo peregrinare: più volte venne smontato, trasferito e ricomposto, finché la vicenda si concluse con la decisione di collocarlo nella posizione in cui oggi si trova, sul lato ovest della Piazza del Duomo, in asse con la facciata del Duomo e quasi a ridosso della Cappella Colleoni. Per come si presenta oggi, il capolavoro gotico dell’architettura trecentesca campionese si mostra frutto di un rimontaggio “in stile”, tappa finale di alterne vicissitudini entro le quali l’integrità della realizzazione di Giovanni da Campione è certo venuta meno, inducendo a chiedersi quanto di originario sia possibile rintracciare nel complesso, così come ci è pervenuto.

Il Battistero dal Porticato del Palazzo della Ragione, prima del 1912

Il Battistero fu eretto nel 1340 su progetto de magister comacino Giovanni da Campione, perché fosse collocato all’interno della basilica di S. Maria Maggiore, la chiesa della città, che la tradizione vuole costruita con le offerte dei cittadini bergamaschi.

La basilica, edificata a partire dal 1137, era sorta sui resti di un’antica chiesuola risalente all’VIII secolo, nota con il nome di S. Maria vetus .

La Basilica di S. Maria Maggiore venne riedificata sui resti di S. Maria vetus a partire dal 1137, e ultimata solo nel 1273, anno della sua solenne dedicazione. In quel tempo si stava formando il grande complesso episcopale che interessa l’area dell’attuale piazza Duomo, con il riadattamento romanico della chiesa di S. Vincenzo (posto sotto l’attuale Duomo), la costruzione del Palazzo vescovile e della Cappella di Santa Croce

Per tutti gli abitanti della città e del suburbio, la celebrazione del rito del Battesimo in basilica era un’antica consuetudine; il Sabato Santo il vescovo vi si recava in processione per benedire il fonte e celebrare il battesimo (1), con la partecipazione di tutta la comunità cittadina.

La Basilica di Santa Maria Maggiore, sorta sulle rovine dell’antichissima S. Maria vetus. La basilica era la chiesa battesimale della cattedrale di San Vincenzo, come risulta del resto dalla sua struttura a pianta centrale (G. Elena, Piazza Ateneo verso il 1870)

Ma da dove proveniva l’acqua del fonte battesimale, di cui si dice fosse “unico per città e suburbio”? E soprattutto, è lecito chiedersi se il canale che lo alimentava si trovasse anche in precedenza in quel punto; ovvero se il rito del battesimo venisse celebrato anche nell’antica chiesuola di S. Maria, sulle cui rovine era poi stata eretta la maestosa basilica.

L’ANTICO ACQUEDOTTO E IL FONTE BATTESIMALE

Nel medioevo le acque provenienti da Sudorno e Castagneta si congiungevano in un serbatoio situato all’altezza dell’attuale bastione di S. Alessandro, da dove formavano un unico condotto che si dirigeva all’interno della città facendo capo ai tre grandi partitori dell’Orto degli Albani, del Mercato del Lino e del giardino del Vescovado: i capisaldi della distribuzione idrica all’interno della città. Dei tre, si è mantenuto solo il partitore del Vescovado, dal quale si diramavano numerose canalizzazioni minori che distribuivano l’acqua verso le più importanti utenze della città.

Partitore del Vescovado. E’ indicato il canale maggiore e le diramazioni per la fontana di S. Maria Maggiore (Antescolis) per il Fontanone e per la fontana si S. Michele (Ph B. Signorelli e N. Basezzi, G.S.B. le Nottole, cit.)

Una delle importanti diramazioni era costituita da due canali che passavano longitudinalmente sotto la basilica di Santa Maria Maggiore.

A destra, la fontana di Antescolis (XII secolo), posta a ridosso della Basilica di S. Maria Maggiore, caratterizzata da due aperture

Un canale attraversava un vano ipogeo di forma circolare, tuttora esistente sotto la sagrestia della basilica  e fuoriuscendo proseguiva nella grande cisterna viscontea detta Fontanone.

Vano ipogeo a pianta circolare con soffitto a volta in cotto esistente sotto la sagrestia di Santa Maria Maggiore. Era attraversato dall’acquedotto che, provenendo dal partitore del Vescovado, correva longitudinalmente sotto il pavimento della Basilica per alimentare poi la cisterna del Fontanone Visconteo (Ph B. Signorelli e N. Basezzi, G.S.B. le Nottole, cit.)

 

In un piccolo vano ipogeo del sotterraneo della sacrestia di S. Maria Maggiore, passano il canale Magistrale ed il condotto per il Fontanone visconteo

 

Nei sotterranei dell’Ateneo, scavato nella viva roccia si trova il gigantesco serbatoio d’acqua del “Fontanone”, alimentato dagli acquedotti dei colli (Sudorno e Castagneta). Fu fatto erigere nel 1342 da Giovanni e Luchino Visconti, per garantire la sopravvivenza e la resistenza della città nell’eventualità di un assedio

 

Nell’area appena a sud dell’Ateneo, insieme al ritrovamento dei resti di una domus di età romana, venne individuata una vasca-fontana alimentata da una condotta d’acqua in piombo, materiale utilizzato per le condutture in epoca romana

All’interno del vano ipogeo, si è rinvenuta una più antica struttura muraria contenente un tubo circolare in bronzo, testimonianza di un precedente impianto idrico (2).

Resti di un’antica canalizzazione nell’ipogeo di Santa Maria Maggiore, testimoniante l’esistenza di un antico impianto idrico. L’ipotesi circa l’esistenza di un antico acquedotto sotto le fondazioni della basilica, era già stata avvalorata dal Fornoni (Ph B. Signorelli e N. Basezzi, G.S.B. le Nottole, cit.)

Non è quindi improbabile che anche la chiesuola di S. Maria vetus (VIII secolo) fosse dotata di un fonte battesimale alimentato da un antico acquedotto, e che potesse trovarsi, se non nello stesso punto, non molto distante da quello in cui venne collocato il Battistero nel 1340.

Questi, doveva essere posizionato sotto l’ultima volta della navata minore destra, dove ora si trova il Monumento funebre al cardinale Guglielmo Longhi, di fronte all’altare dedicato a san Giuseppe, poi rimosso (3).

Basilica di S. Maria Maggiore, il Monumento funebre al cardinale Guglielmo Longhi, nell’arca in fondo ala parete

Sembrano confermare questa considerazione anche il passaggio collegante l’Aula Picta della Curia vescovile, attraverso la quale passavano i diaconi e il clero durante i riti del Sabato Santo; passaggio che in seguito venne coperto da un arazzo.

Giuseppe Rudelli, Il Vescovo Conte Dolfin che dal Vescovado si reca in S. Maria Maggiore, attraverso la porta ora murata (Bergamo, propr. L. Angelini)

 

Basilica di S. Maria Maggiore. Accanto al monumento funebre al cardinale Guglielmo Longhi, l’arazzo che cela il passaggio collegante il passaggio per dell’aula della Curia

E sembra confermare tale considerazione anche la bifora murata dell’aula della Curia, che fino all’inzio del XIV secolo gettava un fascio di luce sul fonte battesimale.

Ingresso della Curia vescovile (da Stoylab)

 

La bifora della parete est dell’Aula della Curia, posta all’attuale ingresso del Palazzo Episcopale, realizzata contestualmente al cantiere della Basilica, metteva in comunicazione visiva l’Aula della Curia con l’altare maggiore, con cui è in asse, forse per dotare di legittimazione sacrale atti o giuramenti. Una volta tamponata, è diventata una sorta di sacello incassato, quasi un richiamo alla “confessio” della basilica di S. Alessandro (distrutta nel 1561 per far posto alle mura veneziane), con i tre santi  realizzati dopo la divisione in altezza dell’Aula: Alessandro, supposto primo evangelizzatore di Bergamo, galoppa al centro della lunetta, sovrastando – e mettendo in comunicazione con gli zoccoli del cavallo – le due luci in cui campeggiano gli altrettanto leggendari primi due vescovi di Bergamo, Narno e Viatore: niente di più efficace per sottolineare il peso della Chiesa bergamasca delle origini

LE TENSIONI TRA IL VESCOVO E LA MIA E LA QUESTIONE DEL BATTISTERO

Se la notizia dello spostamento del Battistero in S. Vincenzo nel 1613 è nota, non sono chiare tuttavia le motivazioni finora addotte per giustificarne il trasferimento.

A un certo punto della sua vicenda, il Battistero, che fino ad allora aveva goduto di un proprio spazio all’interno della basilica, comincia la lunga serie delle ricollocazioni che lo vedrà più volte oggetto di smembramenti, ricostruzioni e trasferimenti.

Nell’incisione di Giuseppe Berlendis, datata 1840 con il titolo Piazza Vescovile, il Battistero non compare ancora

I problemi sorsero alla metà del Quattrocento con l’ingresso in diocesi del nuovo vescovo, il patrizio veneto Giovanni Barozzi, il quale trovava strano che la chiesa che ospitava il fonte battesimale cittadino fosse amministrata da un consorzio di laici.

Iniziarono così un secolo e mezzo di controversie tra il vescovo e i reggenti della MIA, legati al possesso della basilica (alla sua gestione e alla nomina dei sacerdoti che dovevano officiarvi).

Nel 1454 il papa Nicolò V confermava appieno al Consorzio i privilegi di cui essa godeva, riaffermandone l’indipendenza da qualsivoglia autorità laica ed ecclesiastica.

Sottratta dal diretto controllo del vescovo, da quel momento la basilica venne gestita secondo le regole del Consorzio, cosa che di fatto non impedì il verificarsi di continui contrasti con i canonici della cattedrale, che non perdevano occasione per rivendicare diritti sulla basilica.

Un ultimo, “ingombrante” ostacolo – e non solo per le sue imponenti dimensioni – si frapponeva tra la MIA e il pacifico godimento di Santa Maria Maggiore: la presenza all’interno della chiesa del fonte battesimale trecentesco, che offriva ai vescovi il “pretesto” per visitare la basilica ed inoltre acuiva i rapporti con i canonici, che lo consideravano di propria pertinenza e che avevano più volte insistito perché la chiave del fonte – che era custodita dal sacrista della basilica – fosse loro consegnata.

La MIA aveva cercato di disciplinarne l’utilizzo, facendo addirittura redigere appositi atti notarili in cui appariva chiaro che vescovi e canonici si servivano del fonte per benevola concessione del Consorzio. Nonostante tutto, però, la situazione riguardo al battistero restava intricata.

Poiché il battistero causava molto incomodo alla chiesa, non solo per le grandi dimensioni del fonte ma pure per le liti sorte intorno al suo utilizzo, per risolvere definitivamente la questione i reggenti della Misericordia lo offrirono in dono ai canonici perché lo accogliessero nella loro chiesa.

L’interno di Santa Maria Maggiore in un’incisione del 1843

Dopo un primo tentativo in tal senso, avanzato nel 1599 (fallito, anche perché i canonici non avevano lo spazio necessario per accogliere il fonte nella cattedrale), l’occasione si ripresentò nel 1611 quando, in occasione del battesimo del figlio del podestà di Bergamo, il vescovo Emo non si limitò ad amministrare il sacramento ma compì una vera e propria visita del fonte e dell’intera basilica: un affronto che la MIA non poteva tollerare, e che si risolse con l’intercessione di Emo il quale, pur di levar ogni seme di discordia convinse i canonici ad accettare l’offerta del Consorzio, che di propria iniziativa si impegnava al ‘trasloco’ del vecchio battistero, assumendosi anche l’onere della sua nuova sistemazione nella cattedrale di S. Vincenzo (intitolata a Sant’Alessandro Martire solo a partire dal 1689).

Il 18 gennaio 1613, nella sala delle udienze dell’episcopio, si giunse così alla sentenza definitiva: i rettori stabilirono che entro due settimane tutto il vase battismale … che si ritrova nel battisterio nella chiesa sopradetta di S. Maria [fosse] a spese … di detta Misericordia levato et trasportato nella chiesa cathedrale di S. Vincenzo.

Il prezzo che la MIA aveva dovuto pagare era davvero ingente: dopo quasi tre secoli di permanenza in basilica, questo capolavoro d’arte trecentesca venne sacrificato solo per salvaguardare un superiore interesse, ossia la libertà e l’immunità della chiesa di Santa Maria Maggiore (4).

Scorcio di Piazza Duomo, ancora priva del Battistero

COMINCIA UN LUNGO VIAGGIO

Nel 1613 la vasca battesimale venne dunque spostata in S. Vincenzo trasferendo di fatto il sacramento del battesimo alla giurisdizione della cattedrale.

In merito alle sorti successive del battistero e fino alla sistemazione del 1856 nel cortile della canonica, circolano notizie diverse e contraddittorie.

Pare che alla metà del ‘600, dati i lavori di decorazione delle campate eseguiti in Duomo, il battistero fosse ormai decisamente d’intralcio e che da qui si decidesse di smontarlo e portarne i pezzi nella sede della MIA in via Arena.

La sede della MIA in via Arena

Nel 1691, i rilievi ed alcune statue che costituivano l’apparato decorativo interno ed esterno del monumento furono reimpiegati in una cappella del Duomo (5), mentre numerose altre parti andarono disperse o perdute (6).

Di fatto, nel 1856, con l’intento di restituire al Battistero le sue forme trecentesche, il monumento venne ricomposto nell’angusto cortile della Canonica, posta all’interno del passaggio Cà Longa, tra Piazza Vecchia e via Mario Lupo, dove se ne percorrono i due lati consecutivi chiusi da un porticato e con cancellata di ferro: uno degli angoli più nascosti di Città Alta nel quale val la pena soffermarsi brevemente a curiosare.

Pietro Ronzoni. Il Palazzo della Ragione dal Cortile dei canonici

IL RIPRISTINO NEL CORTILE DELLA CANONICA DELLA CATTEDRALE

Il Palazzo della Ragione dal Cortile dei canonici in una ripresa molto simile alla precedente

Il ripristino fu affidato all’architetto bolognese Raffaello Dalpino, che tuttavia vi apportò ingenti modifiche prevedendo numerose aggiunte e ammodernamenti dell’apparato scultoreo.

Il Battistero ricomposto nel cortile della canonica che, sebbene già alterato nel suo aspetto originario, ci restituisce la più antica immagine fotografica giunta sino a noi (Bergamo nelle vecchie fotografie, D. Lucchetti)

Sostituì la più bassa zoccolatura originaria con un alto basamento in marmo nero di Gorno, sul quale murò alcune lapidi sepolcrali di alcuni vescovi, rimosse poi nella sistemazione del 1898-99 operata dall’architetto Muzio.

Il Battistero nel cortiletto dei Canonici. 18-09-1900 (esempio di cartolina venduta dopo la mutazione del soggetto; da D. Lucchetti). Il Battistero di Santa Maria Maggiore, spostato dalla basilica nel 1613 e dopo una serie di traversie interamente ricostruito nel 1856, con aggiunte e rifacimenti, dall’architetto Dalpino nel cortile della canonica, dove rimase fino al 1898-’99

Lapidi molto simili compaiono anche nelle fotografie che ci restituiscono l’aspetto otto/novecentesco del cortile, apposte sulla parete laterale esterna della Cappella del Crocefisso: si tratta di lapidi tombali di vescovi, canonici e prelati, recuperate dal rifatto pavimento della Cattedrale.

Cortile della canonica, Sulla parete rivestita in cotto, corrispondente alla parete laterale della Cappella del Crocefisso, le lapidi tombali recuperate dal rifatto pavimento della Cattedrale.  La Cappella del Crocefisso è un’aggiunta costruita dall’architetto Raffaello Dalpino nel 1855. Prende nome da un Crocifisso del ’500 posto sull’altare e corrisponde alla seconda cappella di sinistra del Duomo. Il lato in pietra grigia risale invece al 1459 e fu costruita sui disegni del Filarete

Di fatto, il cortile della canonica è citato come ex cimitero e sappiamo che nell’ultimo decennio del ‘Seicento, anche l’area che attualmente corrisponde alla nuova Cripta dei vescovi, veniva utilizzata come cimiteriale.

Sulla parete di fondo le lapidi tombali di vescovi, canonici e prelati,  affisse sul basamento: sono le stesse disposte inferiormente lungo tutta una parete del cortile della canonica?

Nel cortile, fra l’altro, vi è anche una colonna molto singolare, tozza, rotonda, liscia e molto semplice, nel tipo di quelle che si innalzavano ai crocicchi delle strade dopo la venuta di S. Carlo Borromeo a Bergamo, o di quelle innalzate dopo la grande peste del 1627-30 narrata dal Manzoni, periodo a cui si fa risalire la sua erezione.

La colonna, probabilmente secentesca, con alle spalle le lapidi tombali dei vescovi, canonici e prelati

LA SISTEMAZIONE DEFINITIVA

1886: il Battistero non è ancora stato collocato in Piazza Duomo; la facciata del Duomo è ancora priva del rivestimento marmoreo e la sommità del Palazzo della Ragione è ancora priva della merlatura

Nel 1898 Virginio Muzio venne incaricato dal podestà Ciro Caversazzi di trovare una migliore posizione all’edificio, che presentava gravi segni di degrado a causa dell’umidità del cortile.

Il Battistero nel cortiletto dei Canonici. 18-09-1900 (esempio di cartolina venduta dopo la mutazione del soggetto; da D. Lucchetti)

Non essendo ormai possibile riportarlo all’interno di Santa Maria Maggiore, Muzio decise di collocarlo nella Piazza del Duomo in modo tale da colmare “splendidamente” l’unica parte disadorna della piazza, lasciando la vista di quel po’ di verde e del cielo che contrastando con “il cospicuo gruppo di monumenti antichi ancor oggi la rende così caratteristica” (7). L’attenzione alla collocazione ambientale rappresenta la cifra stilistica ricorrente nella produzione di Muzio.

Dalla loggia della sede vescovile. La definitiva sistemazione dell’edificio nell’attuale collocazione, sul lato ovest di Piazza Duomo, venne realizzata nel 1898-’99 dall’architetto Virginio Muzio, che lo trasferì sull’area donata dal vescovo Guindani, apportandovi ulteriori modifiche

Egli cercò, per quanto possibile, di riportare il Battistero alle sue forme originarie basandosi sulla sola testimonianza grafica esistente dell’antico assetto, pubblicata da Padre Donato Calvi e conservata presso l’Accademia Carrara (8).

Si tratta di un’incisione realizzata nel 1676 da Simone Durello, quando già era avvenuto il trasferimento del manufatto nella cattedrale. Il disegno, piuttosto schematico e con inevitabili concessioni al gusto barocco (come le improbabili volute sulla copertura), riporta però i tratti essenziali della struttura ottagonale, a partire dalle proporzioni meno slanciate, studiate in relazione all’invaso interno della basilica, dove il Battistero doveva assumere ben altra monumentalità, e in cui Giovanni da Campione dovette operare con la stessa fine intelligenza del tessuto architettonico preesistente che mostrerà negli altri interventi per la basilica.

Il battistero di Giovanni da Campione in un’incisione realizzata nel 1676 da Simone Durello, con le pareti scandite da colonnine e le Virtù, collocate in nicchie incassate agli angoli. Altre statue erano poste sul cornicione e vi era un angelo sopra la lanterna (Accademia Carrara – Gabinetto di Disegni e Stampe)

Nella ricomposizione attuata da Muzio in vista della collocazione all’esterno, l’ottagono venne notevolmente sopraelevato rispetto alla configurazione originaria, con l’inserimento dell’alto basamento esterno in conci di marmo grigio di Gazzaniga e del rivestimento superiore in pietra di Verona a fasce alterne, che gli conferirono le giuste proporzioni in rapporto agli altri edifici della Piazza.

L’intera struttura ottagonale, sopraelevata da Muzio, è di nuova realizzazione

Pur riprendendo il sistema originario, venne realizzata ex-novo l’intera copertura piramidale in marmo, con le ricche cornici e le statue con le Beatitudini che s’innalzano lungo la nuova copertura e con l’aggiunta sulla cuspide della statua di un arcangelo, di fattura relativamente moderna.

Il Battistero nella posizione attuale in una ripresa datata 24 – 4 – 1904. Manca il Palazzo Vescovile, edificato nel 1906

L’incisione di Durello riporta anche la fitta sequenza delle colonnine (come oggi, sormontate da capitelli fogliacei e con protomi umane ed animali): una sorta di diaframma traforato che metteva in relazione l’interno della struttura con l’esterno, escludendo dunque la necessità di finestre munite di imposte vere e proprie.

La sequenza delle colonnine sormontate da capitelli fogliacei e con protomi umane e animali, nella zona superiore delle pareti perimetrali, ancor’oggi mette in relazione l’interno della struttura con l’esterno

Ed è curioso osservare che per le due grandi polifore ai lati del portale sulla facciata della Cappella funeraria del Colleoni, realizzate negli anni Settanta del Quattrocento, l’Amadeo s’ispirò proprio alle cortine diafane del Battistero, mentre la policromia di quella stessa facciata, richiama a suo modo l’alternanza cromatica espressa nel portale nord della basilica.

Per le due grandi polifore ai lati del portale sulla facciata della Cappella Colleoni, l’Amadeo s’ispirò proprio alla sequenza delle colonnine del Battistero

 

S. Maria Maggiore, 1901. La policromia della Cappella Colleoni (Amadeo) richiama l’alternanza cromatica espressa nel portale nord della basilica di S. Maria Maggiore, opera dei Maestri campionesi, insieme al protiro meridionale e al portalino di nord-est, affacciato su Piazza Reginaldo Giuliani

Diversamente da oggi, la griglia delle colonnine si disponeva su sette lati della struttura, dal momento che un lato era occupato dalla porta, che era architravata, mentre nella ricostruzione di fine Ottocento vi fu inserito un elemento estraneo al complesso battesimale: un portalino trecentesco che i documenti dicono provenire da una cappella del Duomo: segnale che nel XIV secolo alcuni interventi scultorei, forse riconducibili anch’essi alla maestranza campionese, interessarono evidentemente anche la cattedrale romanica.

La nuova e definitiva sistemazione del Battistero in Piazza Duomo. Nella ricostruzione di Muzio è stato inserito un portalino trecentesco, di cui si dice fosse l’ingresso della Cappella di San Benedetto costruita a fianco della cattedrale romanica (visibile nel Museo degli Scavi e del tesoro del Duomo), in omaggio a Papa Benedetto XII (la foto è datata 1905)

 

15 – 08 – 1905. il Battistero sul lato ovest della piazza, frutto di un rimontaggio “in stile” a seguito di numerose vicissitudini. Non v’è ancora il Palazzo Vescovile, costruito nel 1906

LE VIRTU’

Le otto statue angolari esterne in pietra di Verona, collocate alla quota delle colonnine, raffigurano le Virtù teologali e cardinali, a cui corrisponde il proprio opposto nella fascia inferiore, dove compaiono figurette rappresentanti i Vizi su cui le Virtù stesse trionfano: sotto la Giustizia sta una scena di omicidio; sotto la Prudenza un uomo che tiene in mano forse un serpente o altri animali; sotto la Temperanza un ingordo; sotto la Pazienza una donna che si dispera; sotto la Speranza un suicida; sotto la Fede un donna con i pugni alzati (che bestemmia?); sotto la Fortezza (recante un macigno) un vecchio adagiato a terra con topi che lo assalgono; sotto la Carità un avaro che stringe la borsa del denaro.

Il Battistero in Piazza Duomo. Da una serie stampata in tricromia dall’Istituto Italiano d’Arti Grafiche nel 1905 ca., riservata al mercato francese (D. Lucchetti)

Si tratta di pezzi tra i più straordinari dell’intero corpus di sculture campionesi a Bergamo, frutto di un vero e proprio virtuosismo tecnico e stilistico.

Statua della Virtù

All’interno, la statua del Battista, in parte dorata, è citata nell’inventario dei pezzi trasportati in cattedrale nel 1613: collocata entro una stretta edicola trilobata nella parete di fronte alla porta d’ingresso, in origine doveva sovrastare, forse sotto un baldacchino, il fonte battesimale. Presenta caratteri di grande affinità con le Virtù, per l’austera concentrazione formale e la nettezza quasi rude dei piani.

Le otto formelle marmoree a bassorilievo, con episodi neotestamentari, oggi murati sulle pareti interne del Battistero, ornavano in origine i lati della vasca battesimale (i pezzi sono tra quelli descritti nel citato inventario dei pezzi trasportati in Duomo nel 1613).

Interno del Battistero. La statua di San Giovani Battista con brocca e patena e alle pareti le formelle marmoree a bassorilievo, con episodi neotestamentari

I pannelli, con figure sottilmente intagliate, rappresentano la vita e la passione di Cristo (Annunciazione; Natività; Adorazione dei Magi; Presentazione al tempio; Battesimo; Cattura, Giudizio e Flagellazione; Crocifissione; Deposizione dalla Croce).

I pezzi che più da vicino si rapportano con le austere figure delle Virtù e pertanto sono forse da ascrivere ad un intervento più diretto di Giovanni, sono i rilievi dell’Adorazione dei Magi e della Presentazione al tempio e forse dell’Annunciazione, mentre – da come si evince soprattutto nelle scene più affollate (Cattura, Crocifissione e Deposizione dalla Croce) – è stata ravvisata l’influenza della plastica toscana, anche coeva, temperata però da forti influenze nordiche, tale da convincere della collaborazione di almeno tre maestri, tutti cooperanti all’interno di un piano iconografico predefinito e tutti sovrastati dalla forte personalità dell’autore.

la vasca battesimale, ricostruita da Muzio

Le altre sculture all’interno del Battistero, sei statue di figure angeliche montate su mensole, sono troppo compromesse dai restauri, se non addirittura totalmente ricostruite sulla base di frammenti, da rendere opportuna per il momento una sospensione del giudizio, da parte degli studiosi.

Note

(1) Valsecchi 1989, p. 127.

(2) B. Signorelli e N. Basezzi, G.S.B. le Nottole, Gli antichi acquedotti di Bergamo, edito dal Comune di Bergamo, Assessorato all’Urbanistica, 1992.

(3) Andreina Franco Loiri Locatelli, la Basilica di Santa Maria Maggiore, 12-13, La Rivista di Bergamo, Giugno 1998, p. 12.

(4) A cura di Francesca Magnoni, Santa Maria Maggiore. Un profilo storico.Testi di Attilio Bartoli Langeli, Paolo Cavalieri, Gianmarco De Angelis, Francesca Magnoni.

(5) Muzio, p. 83 fig. 52; Pinetti, 1925, p. 174. in: Cristina Ranucci, “GIOVANNI di Ugo da Campione”. Dizionario Biografico degli Italiani – Volume 56, 2001).

(6) Muzio, p. 83 fig. 52; Pinetti, 1925, p. 174, in: Cristina Ranucci, “GIOVANNI di Ugo da Campione”. Dizionario Biografico degli Italiani – Volume 56, 2001).

(7) Muzio, Note e ricorsi della Esposizione d’arte sacra in Bergamo, Istituto Italiano d’Arti Grafiche, Bergamo, 1899, pp. 82-83; si veda anche: Il Battistero di Bergamo, in “Emporium”, novembre 1898, p. 399 e ss.; Angelo Pinetti, Cronistoria artistica di Santa Maria Maggiore. Il Battistero, in “Bergomum”, 1925, n° 4, pp. 167-183; Angelo Meli, Il crollo di una fantasia diventa comune: dove sorgeva in Santa Maria Maggiore il Battistero, in “L’Eco di Bergamo”, 13 gennaio 1963, p. 3.

(8) D. Calvi, Effemeride sacro-profana di quanto di memorabile sia successo in Bergamo, Milano 1676-1677, I, alla data 7 aprile 1340.

Riferimenti Essenziali

Arnaldo Gualandris, “Monumenti e colonne di Bergamo”, a cura del Circolo Culturale G. Greppi. Bergamo, 1976 (con introduzione di Alberto Fumagalli).

Fabio Scirea Il complesso cattedrale di Bergamo (Academia.edu)

Saverio Lomartire, Magistri Campionesi a Bergamo nel Medioevo – Da Santa Maria Maggiore al Battistero. In Svizzeri a Bergamo, nella storia, nell’arte, nella cultura, nell’economia, dal ‘500 ad oggi. Campionesi a Bergamo nel Medioevo.

Giovanni di Ugo da Campione, Treccani.

A cura di Francesca Magnoni, Santa Maria Maggiore. Un profilo storico (Academia.edu). Testi di Attilio Bartoli Langeli, Paolo Cavalieri, Gianmarco De Angelis, Francesca Magnoni.

Roberto Cassanelli (a cura di), “Bergamo e il suo territorio: Battistero”, Arte gotica in Lombardia, Sesaab, Bergamo, 2007, pagg. da 108 a 113.

B. Signorelli e N. Basezzi, G.S.B. le Nottole, Gli antichi acquedotti di Bergamo, edito dal Comune di Bergamo, Assessorato all’Urbanistica, 1992.

Fotografie e disegni del Battistero, in: Ricomposizione del Battistero di S. Giovanni in Piazza Duomo, Bergamo, 1898/1899 {opere esposte nella Mostra “Virginio Muzio. Architetture (1889-1904). Biblioteca A. Mai, Bergamo}.

Il Tesoro della Catterale di Bergamo nell’antica chiesa di S. Vincenzo

Nell’antica Cattedrale di San Vincenzo, rinvenuta nel 2004 nell’area sottostante il Duomo di Bergamo, oltre la struttura affrescata dell’iconostasi si estende un suggestivo dedalo di camere sepolcrali con soffitto a volta (ricavate già a partire dalla rifondazione dell’architetto Filarete), raggiunte le quali si può ammirare il Tesoro della Cattedrale, un’accurata selezione di preziosi oggetti d’arte sacra scelti in base al criterio suggerito dai consulenti scientifici, i professori Giovanni Romano e Saverio Lomartire.

L’iconostasi della Cattedrale di San Vincenzo evoca le solenni celebrazioni officiate dal vescovo e dai canonici, nelle occasioni solenni rivestiti dei sontuosi paramenti, di cui il museo conserva alcuni esemplari. Radunati nell’aula, i fedeli erano esclusi dalla partecipazione visiva alle sacre cerimonie ma ne ascoltavano il rituale potendo vedere solo i santi vivacemente raffigurati, che mediavano il loro rapporto con la divinità

La selezione, coerentemente alle diverse fasi architettoniche che hanno interessato l’antica cattedrale, si è attenuta al limite cronologico cinque-seicentesco,  escludendo perciò i superbi pezzi dell’epoca barocca che costituiscono  la maggior parte del Tesoro.

Le preziose testimonianze esposte, di cui il presente post offre un breve spaccato, sono confluite in cattedrale in tempi diversi, custodite per la loro importanza e preziosità. Provengono per lo più dalla dotazione della Cattedrale di San Vincenzo ma anche da altre  chiese della città (come la croce di San Procolo, ad esempio).

(Credits Photo Thomas Mayer)

Viene quindi offerta l’occasione di ammirare da vicino e nelle migliori condizioni il Piviale e la Pianeta di S. Vincenzo, del XV secolo; la trecentesca Croce di Ughetto e quella quattrocentesca del Carmine in argento e cristallo di rocca; alcuni calici e reliquiari; l’icona di origine cretese della Madonna dei Canonici; l’affresco delle Opere di Misericordia sinora esposto al Museo diocesano e proveniente proprio dall’antica cattedrale (fu ritrovato dal Fornoni durante i lavori del 1906).
Inoltre, due imponenti lapidi sepolcrali, quella del vescovo Bucelleni e quella del canonico Bresciani la cui tomba, data l’importanza del prelato, venne portata dalla Basilica alessandrina in S. Vincenzo quando la basilica fu atterrata dai Veneziani nel 1561.

Nell’apertura del muro presbiteriale è collocata la cosiddetta Croce del Carmine, dal luogo di provenienza, parte del ricco corredo del Tesoro della Cattedrale, il cui progetto museale si deve all’architetto Giovanni Tortelli, sotto l’egida della Fondazione Bernareggi. È probabile che la splendida oreficeria sia opera della bottega dei Da Sesto, una famiglia operante a Venezia nella prima metà del XV secolo. La croce è particolarmente suggestiva per la presenza, nei bracci, del cristallo di rocca, una varietà di quarzo apprezzato per essere assolutamente incolore e trasparente

Antiche fonti (1) e ricerche recenti (2) ricordano l’esistenza, nell’antica cattedrale di San Vincenzo, di due cori (il chorus magnus, più grande, riservato ai canonici e il chorus parvus, di minori dimensioni, nella cappella di San Pietro), tre altari (San Vincenzo, Santa Maria, San Pietro) e quattro cappelle in chiesa (San Silvestro, San Sebastiano, San Benedetto, Santa Margherita), cui aggiungere quella di Santa Trinità voluta dal vescovo Adalberto. V’erano inoltre due cappelle esterne (Santa Croce e San Cassiano)

Secondo il cerimoniale liturgico della Chiesa di Bergamo riportato da Barozzi, modellato su antiche consuetudini, la recinzione delimitava gli stalli del chorus magnus, posti ante altare e occupati secondo una precisa gerarchia: l’arcidiacono sedeva alla destra del vescovo (dotato di faldistorio mobile, utile alle cerimonie che richiedevano una particolare collocazione rispetto all’altare), mentre il prevosto di Sant’Alessandro alla sua sinistra.

Il pulpito, in posizione non precisata, era sormontato da una croce argentea.

Sopra l’altare maggiore, ornato di antependium, si ergeva la crux magna, estraibile dal piedistallo per essere portata in processione quale simbolo della Bergomensis Ecclesia.

Con scrupolo è descritto il rituale legato ai vasa sacra, la cui consistenza in età romanica è restituita dagli atti del 1189.

Apprendiamo inoltre che il thesaurus comune alle canoniche di San Vincenzo e Sant’Alessandro  – ma custodito presso la prima – era composto da:

– quattro croci con asta, fra cui la crux magna, e quattro senza;
– un cherubino con croce; un calice d’oro e uno d’argento;
– sei corone votive d’argento; tre evangeliari, uno d’oro e due d’argento;
– un messale e un lezionario d’argento;
– un turibolo, due candelabri e due reliquiari d’argento;
– un reliquiario d’oro e uno di avorio; un altare portatile con bordure in oro e argento;
– tavolette di avorio per il canto; una tavoletta di avorio scolpita;
– due casule con stole;
–  manipoli.
(Valsecchi 1989).

(1) Si ricavano preziose informazioni su San Vincenzo nel Medioevo dall’integrale trascrizione nonché dal puntuale commento del Liber ordinarius del vescovo Giovanni Barozzi(1449-1464), minuta del cerimoniale liturgico della Chiesa di Bergamo, modellato su antiche consuetudini (Gatti 2005-2006 e Gatti 2008).
(2) Ricaviamo altre informazioni sull’edificio attraverso le ricerche di Gian Mario Petrò nelle fonti archivistiche notarili. Almeno otto gli altari documentati nella cattedrale di San Vincenzo, compreso quello della sacrestia, e due cori, uno più grande riservato ai canonici ed un altro di minori dimensioni nella cappella di San Pietro.

 

LA CROCE DI UGHETTO

La Croce di Ughetto, straordinario manufatto di arte orafa, prende il nome dal suo principale esecutore, Ughetto Lorenzoni da Vertova, il quale l’ha realizzata nel 1386 per conto dei Canonici del Capitolo di Sant’Alessandro

La Croce di Ughetto, forse l’opera più rappresentativa del Tesoro della cattedrale, in origine era arricchita da 34 reliquie miracolose, sigillate sotto la sua preziosa oreficeria.
La grande croce processionale prende il nome dal suo principale esecutore, Ughetto Lorenzoni da Vertova, il quale l’ha realizzata su disegno del pittore Pecino Pietro da Nova nel 1386 per conto dei Canonici del Capitolo di Sant’Alessandro.

Essa proviene dunque dalla distrutta Basilica alessandrina, ed è questo il motivo per cui il Santo appare vistosamente abbigliato come un cavaliere medievale in sella al suo destriero, mentre sullo sfondo si staglia il profilo ideale della città di Bergamo, conquistata alla fede cristiana.
Grazie a un inventario sappiamo che nell’imminenza dell’abbattimento della Basilica alessandrina (1561), la croce di Ughetto venne portata in solenne processione nella Cattedrale di S. Vincenzo insieme – oltre ai paramenti sacri, organi, campane e corredo liturgico -, alle sacre reliquie: il Capitolo di S. Alessandro perdeva definitivamente la propria sede e da quel momento i canonici Capitoli di S. Vincenzo e di S. Alessandro si trovarono a convivere fino a che non vennero definitivamente unificati (1689) sotto le insegne di S. Alessandro.

Particolare di S. Alessandro nella croce di Ughetto, realizzata nel 1386 per conto dei Canonici del Capitolo di Sant’Alessandro, motivo che giustifica la presenza vistosa del Santo

La croce fu rinnovata nel 1614, anno in cui fu sancita la provvisoria riunificazione dei due Capitoli di S. Vincenzo e di S. Alessandro: il restauro della croce è quindi la concreta manifestazione di questo tentativo di unità, tanto che la fisionomia originale della croce è stata stravolta e piegata a questo scopo.

In origine il recto esibiva il Cristo crocifisso tra la Vergine e S. Giovanni, in alto un Angelo e ai piedi S. Alessandro a cavallo; il verso esibiva il Cristo glorioso tra i quattro evangelisti e ai piedi Santa Grata.

Nell’operazione di restauro (oltre alle vere e proprie aggiunte seicentesche) il Cristo crocifisso medievale è stato sostituito con un altro più recente, recuperato da una croce del Capitolo di San Vincenzo.

 

CROCE DI SAN PROCOLO

La crocetta metallica riceve  il suo nome dal fatto di essere conservata unitamente alle reliquie di San Procolo, vescovo di Verona martirizzato nel IV secolo. I sui resti pervennero in Cattedrale insieme a quelli dei Santi Fermo e Rustico, anch’essi martirizzati nel IV secolo e che un’antica “Passio” menziona come originari di Bergamo.
Le reliquie di questi Santi dopo vari spostamenti sono giunte a Verona nella seconda metà dell’VIII secolo e verso la metà del secolo successivo parte delle reliquie sono state trafugate da mercanti bergamaschi e portate nella chiesa di San Fermo a Bergamo.
Nel 1575 Carlo Borromeo ha ordinato la traslazione delle reliquie in Cattedrale ed è questo il motivo che spiega la presenza della croce in questo luogo. Alcuni fori marginali non a caso rendono probabile la sua originaria applicazione su una cassetta reliquiario.

Croce di Procolo – Autore ignoto – (Ambito longobardo?) IX/X secolo. Originariamente le reliquie del santo si trovavano nella chiesa di san Fermo e furono portate successivamente in Cattedrale. La croce è sbalzata su una lamina argentea dai bordi profilati da un listello rialzato. La fattura, meno sfarzosa e complessa rispetto alle altre croci del Tesoro, è affascinante per sua semplicità e per il rigore simbolico dato dalla centralità del corpo di Cristo, che estendendosi lungo tutta la superficie del manufatto rimanda al sacrificio eucaristico. Il corpo di un uomo vivo, con gli occhi aperti, che ha attraversato la morte e che ora vive

Lo stile ci permette di assegnare una datazione. Il primo elemento significativo ci è fornito dal perizoma lungo fino alle ginocchia e mosso da pieghe. Questo tipo di veste non la ritroviamo prima del IX secolo. Un secondo motivo è rappresentato dai pollici in abduzione; sistema adottato non oltre il secolo XI. Quindi la datazione deve aggirarsi intorno al IX-X secolo.

La figura del Cristo domina tutta l’ampiezza della croce: il capo è eretto e dotato di aureola crucifera; il volto è imberbe, secondo un tipo fisionomico diffuso in età tardo antica e altomedievale; gli occhi sono aperti; le mani recano visibili i segni dei chiodi.
Il torace è robusto e ben modellato; le gambe non sono incrociate e i piedi non sono sovrapposti, ma ruotano verso l’esterno senza alcun segno dei chiodi.
Nella parte superiore sono presenti le raffigurazioni del sole e della luna.

 

LA BORSA PER IL CORPORALE

La borsa per corporale è un manufatto nato per custodire il corporale, un telo di tessuto che si stende sull’altare per posarvi calice e patena durante la celebrazione eucaristica.
La borsa era utilizzata nel tragitto che porta dalla sacrestia all’altare, e viceversa.

Il tema del Cristo eucaristico è espresso secondo un modello iconografico molto diffuso e strettamente aderente alla funzione dell’oggetto liturgico.

La Borsa per il corporale, con decorazione a tema eucaristico, è in velluto di seta ricamato con filati in seta e filati metallici, pittura a tempera, applicazioni di pailettes, di manifattura lombarda

La figura di Gesù regge la croce, arricchita con i tre chiodi che ne sostenevano il corpo, da cui ora penzolano due flagelli, con allusione, assieme alla corona di spine, a due momenti della passione che precedettero la crocifissione: flagellazione e incoronazione di spine.
Con gesto enfatico, Cristo si rivolge al calice che sta per ricevere il frutto del suo sacrificio.

Alcuni elementi fanno risalire la borsa a poco prima della metà del Quattrocento (1430 – 1450 ca.): le difficoltà prospettiche nell’assetto della composizione (si noti, ad esempio, la diversa inclinazione dei tre chiodi della croce) rendono incerta e traballante la posizione occupata da Cristo nello spazio. Le sproporzioni innaturali di alcuni dettagli (l’ingigantita mano destra, con l’ingenua profilatura delle unghie, o l’enorme calice che sta per accogliere il disco eucaristico), così come l’andamento sinuoso della preziosa veste di Cristo e le folte e arzigogolanti ciocche della sua capigliatura, conferiscono all’immagine un forte accento tardogotico.

 

IL PIVIALE DI SAN VINCENZO

Il sontuoso piviale di San Vincenzo è un ampio mantello che proviene dalla cattedrale, dove è segnalato per la prima volta in un inventario del 1593. L’epoca della sua realizzazione è però di molto anteriore, risalendo allo scorcio del Quattrocento, periodo dell’episcopato di Lorenzo Gabrieli (1484-1512).

La stola (o stolone) di questo paramento riporta cinque figure per lato di santi, realizzate a ricamo con parti a riporto acquarellate. Si dice che il manto pesi 100 chilogrammi

 

Manifattura lombarda, 1490-1510, particolare del piviale di San Vincenzo, raffigurante S. Alessandro a cavallo. Tessuto laminato in oro, argento e seta policroma, Bergamo, Fondaz. Bernareggi

Questa veste liturgica– costituita da un manto semicircolare lungo fino ai piedi, arricchito da uno stolone e da un cappuccio ricamati – era utilizzata nelle celebrazioni più solenni (3).

Al centro dello stolone è raffigurato Dio Padre benedicente; sui due bordi i Santi Pietro, Andrea, Giovanni episcopo (?), Vincenzo e Maria Maddalena (a destra); e i Santi Marco, Alessandro, Paolo, Gerolamo e Caterina d’Alessandria (a sinistra). Infine sul cappuccio è rappresentato l’episodio narrativo dell’Adorazione dei Magi, d’ispirazione foppesca (4).
Proprio la presenza dei Santi Vincenzo e Alessandro (all’epoca, rispettivamente patroni della Cattedrale e della chiesa cittadina che ne conserva le reliquie), oltre a quella di San Marco (protettore della Serenissima, entro i cui confini amministrativi era inserita Bergamo), lega il manufatto a doppio filo alla storia della città e della sua cattedrale.

(3) Il luogo di realizzazione di questo indumento liturgico è certamente l’area nord italiana. Esso è confezionato in un tessuto laminato d’oro con effetti di quadrettatura, su una base di armatura rossa. Il suo tessuto è caratterizzato dalla presenza del disegno a “melagrana”, molto in voga tra il 1420 e il 1550. Il motivo a melagrana si unisce nella trama al fiore di loto e alla pigna, facendo risalire l’origine dei tessuti alla seconda metà del XV secolo. Agli inizi del XVI secolo è da attribuire, invece, la composizione della trama, per via della suddivisione a scacchiera degli scomparti ogivali e l’evidente stilizzazione del formulario vegetale, elementi tipici di quegli anni. Sia lo stolone che il capino (il cappuccio sul retro del piviale) conservano un ricamo a riporto, con filati serici policromi, filati metallici e parti in tessuto dipinte. Le maglie ogivali disposte secondo un andamento a teorie orizzontali sfalsate, includono un fiore di cardo delimitato ai margini da rami fiorati.
(4) La puntuale ripresa dell’Adorazione dei Magi dall’invenzione foppesca dipinta nel perduto tramezzo di Sant’Angelo a Milano (nota tramite le derivazioni diffuse in diverse chiese lombarde dei Minori Osservanti), serve a istituire un ulteriore legame con la cultura figurativa lombarda e, più in particolare, al magistero di Foppa. I dieci Santi che appaiono sullo stolone abitano nicchie (o formelle) architettoniche non dissimili da quelle – rappresentate in pittura – del polittico di Bernardino Butinone e Bernardo Zenale a Treviglio e del polittico di Santa Maria delle Grazie di Vincenzo Foppa, datato al 1476 (ora alla Pinacoteca di Brera a Milano). Anche la posa della Madonna e di S. Giuseppe fanno presagire stilemi di inizio Cinquecento (con un’evidente richiamo al dipinto di Giacomo Borlone nell’Oratorio dei Disciplini a Clusone, databile intorno al 1470).

I preziosi calici del Tesoro della Cattedrale (Credits Photo Thomas Mayer)

 

L’ELEMOSINA DEI CONFRATELLI DELLA MISERICORDIA

Il lacerto con I confratelli della Misericordia (sinora esposto al Museo diocesano e proveniente proprio dall’antica cattedrale), è quello provieniente dalla zona scavata da Elia Fornoni nel 1906.
La rappresentazione riguarda la confraternita intitolata a Santa Maria della Misericordia, più nota come MIA, una delle associazioni locali più antiche della città e che in origine si radunava nella chiesa di San Vincenzo. Tra gli obblighi della confraternita, che aveva intenti spirituali e caritativi, figurava la distribuzione dell’elemosina ai poveri.

L’affresco fu dipinto negli stessi anni della fine del Duecento in cui si metteva mano alla decorazione dell’iconostasi.

Elemosina dei confratelli della Misericordia (Autore ignoto, ambito lombardo – ca. 1280). L’opera raffigura i quattro confratelli del sodalizio che distribuiscono l’elemosina. Due confratelli (dotati di copricapo e di un abito più ricercato, sono probabilmente i canevari), porgono una forma di pane e una brocca a un povero, seguiti da altri due, dalla veste più dimessa (forse i servi) che portano in spalle un sacco (di pane) e una fiasca (di vino). Il movimento del corteo è molto solenne e il pittore ha enfatizzato la distanza sociale che separa chi dona da chi riceve, con la figura del povero rappresentato in scala minore e collocato in posizione marginale

 

LA MADONNA DEI CANONICI DELLA CATTEDRALE

Fra le opere figurative del Tesoro, si contempla anche l’icona della Madonna dei Canonici della Cattedrale.

La Madonna dei Canonici della Cattedrale, un’icona di scuola cretese del XV secolo, nota anche come Madonna della Consolazione, assimilabile ad una Madonna Nera (Credits Photo Thomas Mayer)

 

Riferimenti
– Le domande di un visitatore, le risposte di una guida. Testi di Simone Facchinetti. Litostampa Istituto Grafico srl – Bergamo, 2012.
– Academia.edu – Fabio Scirea Il complesso cattedrale di Bergamo.
– Cattedrale di Bergamo.