Signori
In nome del Comitato per un ricordo a Lorenzo Mascheroni, ho l’onore di consegnare al sindaco di Bergamo questo busto opera di scalpello valente. I sottoscrittori, col porre questo ricordo, credettero non solo di compiere un atto doveroso, ma pensavano che se nulla si fosse fatto a Bergamo avrebbe potuto essere giustamente accusata di ingiustificabile, colpevole obblio verso uno dei suoi figli più illustri.
Con queste parole di Gianforte Suardi, presidente del comitato per l’erezione del monumento, iniziò la cerimonia per la consegna del busto alla Municipalità.
Parole che a prima vista sembrerebbero di lode alla città perché inaugurava un monumento al Mascheroni, ma che in realtà erano un rimprovero.
Se non ci fosse stato quel comitato promotore, il nome del letterato sarebbe stato dimenticato, tanto é vero che sebbene il comitato si fosse costituito nel lontano 1892, patrocinato dal Casino degli Artisti, Operai e Professionisti, in cinque anni riuscì a raccogliere solo 1533,80 lire, più 112,95 d’interessi, e di conseguenza non poté che ordinare allo scultore Ernesto Bazzarro, milanese, un monumento, anzi, se vogliamo essere precisi un busto, del valore di milleseicento lire.
Il busto è bello, anche se è stato adoperato marmo di Candoglia con venature rossigne; d’altra parte l’artista era valente, faceva infatti parte della terna emersa dal concorso per il monumento al Donizetti.
Il Mascheroni scolpito è molto somigliante, somiglianza però, se vogliamo credere ai giornalisti dell’epoca, fortuita in quanto all’inizio lo scultore aveva modellato un naso che trasformava completamente il viso del letterato.
Caso volle che mentre si stava sistemando il monumento in luogo, si ruppe la gru, il busto cadde e si scheggiò il naso; lo scultore, presente, provvide alla riparazione e da essa sortì questo naso camuso che rese i lineamenti più somiglianti.
Ma per tornare al rimprovero di Gianforte Suardi alla cittadinanza, possiamo intravederlo anche nello svolgimento della cerimonia di inaugurazione, fatta alla chetichella senza nessun apparato speciale; mancava la solita sfilata di associazioni, di personalità e di autorità, anzi quest’ultime rimasero sino quasi all’ultimo in municipio per poi rifugiarsi all’ombra del boschetto di santa Marta in attesa dell’inizio della cerimonia.
Il 5 settembre del 1897 era una giornata calda e lo scoprimento del busto, discorsi e musica, non durarono che mezz’ora. Due bande suonavano per l’inaugurazione e nello stesso tempo fungevano anche da calamita per i cittadini che, in quella giornata di festa passeggiavano numerosi per il Sentierone.
Non stupisce quindi il fatto che allo scoprimento del busto ci fosse un solo battimano e che Gianforte Suardi si soffermasse nel suo discorso di consegna del monumento soprattutto sulla vita di Lorenzo Mascheroni forse nel timore, per non dire convinzione, che molti dei presenti non la conoscessero e che qui riportiamo: Lorenzo Mascheroni, nato nel 1750 nella tranquilla e romita ma casa di Castagneta, a vent’anni – vestito già l’abito sacerdotale – è professore di retorica e, poco appresso, di eloquenza, di fisica, di filosofia nel collegio mariano: è già valente, gentile poeta.
Datosi con tutta la forza del poderoso suo ingegno allo studio delle matematiche, nel 1785 pubblicava l’opera sua magistrale “Nuove ricerche sull’equilibrio delle volte” che lo pone a paro de’ matematici più illustri e inviandone una copia a Paolina Suardo Grismondi, la decantata Lesbia Cidonia, la accompagna con versi squisiti, che lo pongono a paro dei poeti più rinomati.
Rivelatosi con quest’opera, al mondo scientifico, Pavia lo vuole professore di matematica nel suo ateneo. L’amore della gloria e la guerra sorda e continua che alcuni colleghi gli muovono in patria lo determinano ad allontanarsi dalla madre vecchia dal fratello pazzo, dai suoi cari luoghi.
Nella nuova residenza il poeta scrive l’indimenticabile invito a Lesbia, che gli ottiene le lodi del Parini, lo scienziato le note al calcolo integrale di Eulero, alcune opere minori e la geometria del compasso, che gli attira l’ammirazione del Bonaparte, gli procura i famigliari colloqui col generale nella tranquillità della villa di Mombello, donde è balzato nella vita politica. Siamo nel 1797: orfà precisamente un secolo.
Nominato membro del corpo legislativo a lui si deve, in gran parte, il nuovo piano di pubblica istruzione della Cisalpina; è inviato a Parigi a partecipare ai lavori della Commissione, nominata dai vari stati per l’unificazione dei pesi e delle misure. Caduta la Cisalpina, perduta la cattedra, ridotto perciò in strettezze, il Mascheroni deve cercare nell’insegnamento di che campare la vita. I disagi, le fatiche del nuovo stato nel rigido inverno parigino, i dolori per le sventure della patria lo fanno cadere ammalato e lo trascinano alla tomba. Il vincitore di Marengo, dopo la strepitosa vittoria, restituisce al Mascheroni la cattedra di Pavia: e il nostro grande concittadino, dal letto di morte detta, con effusione di cuore, la lettera di ringraziamento, ma la sua mano non ha più la forza di apporvi la firma. Si spegne nel luglio del 1800.
Bonaparte fa ritardare i funerali dal mezzogiorno alle sei per potervi intervenire, e ne è solo impedito dalle sue gravi occupazioni. L’istituto di Francia si fa rappresentare da La Place, De-Lambre, Prony e Le Gendre, che sorreggono i quattro angoli del drappo mortuario. Vincenzo Monti, piangendo, getta le ultime manate di terra sulla fossa del poeta, suo collega ed amico. L’Italia perde prematuramente un letterato, un poeta, uno scienziato, un politico, un uomo dalle più elette virtù, un patriota”.
Nota
Autore del testo: Arnaldo Gualandris, Busto a Lorenzo Mascheroni, in “Monumenti e colonne di Bergamo”, a cura del Circolo Culturale G. Greppi. Bergamo, 1976 (con introduzione di Alberto Fumagalli).