La Bergamo godereccia dei teatri di una volta, tra centro, borghi e periferie

Non si può certo dire che in passato Bergamo sia stata a corto di teatri, soprattutto negli anni della Belle Époque, quando erano in molti ad uscire la sera e a riempire teatri e ritrovi, in Città Bassa come in Città Alta.

A cavallo fra Otto e Novecento Bergamo Bassa poteva vantare, accanto al teatro massimo della città (il vecchio “Riccardi”, nel 1897 intitolato a Donizetti), la presenza di due teatri – l’Ernesto Rossi e il Givoli -, che  sorgevano in Piazza Baroni nei pressi dell’odierna Casa della Libertà, nello spazio tradizionalmente legato allo spettacolo e al divertimento che gravitava intorno all’antica Fiera.

L’immagine, antecedente al 1897, mostra una giostra in Piazza Baroni, affiancata dal Teatro (o Politeama) Givoli, visibile a sinistra (Foto Don Giuseppe Locatelli – Raccolta Domenico Lucchetti)

C’è una fotografia che li ritrae l’uno accanto all’altro, in quella Piazza Baroni che da secoli accoglieva tendoni e baracche provvisorie, allestite per ogni sorta di  spettacolo e divertimento.

Il Politeama Givoli (poco prima della demolizione, avvenuta nel 1897) e, sulla destra, il Teatro Ernesto Rossi di proprietà di Luigi Dolci. Quest’ultimo venne abbattuto nel 1894. La fotocartolina venne eseguita tra l’82 e l’84 (Raccolta D. Lucchetti)

Non molto belli ma abbastanza capienti, tra i due, il Givoli era il più grande e fu l’ultimo a scomparire (1897) per dare spazio, al di là della Roggia Nuova, al Teatro Nuovo (detto allora “Nuovo Politeama”, inaugurato nel 1901), da edificarsi secondo i criteri di eleganza dettati dal clima di modernità che ormai si andava respirando nel centro cittadino.

Un singolare documento del 1897 mostra l’abbattimento del Politeama Givoli e la costruzione del Teatro Nuovo (il Teatro Rossi era stato demolito tre anni prima) – (Raccolta D. Lucchetti)

Un paio d’anni prima dell’inaugurazione del Nuovo, e cioè nel 1899, il capomastro Antonio Dolci costruiva, a pochi passi dalla Stazione ferroviaria, il Politeama Novelli, che ebbe vita breve perché nel 1903 Nicolò Rezzara aveva proposto di edificare in quel luogo la Casa del Popolo, entro la quale venne ricavato il Teatro Rubini, sorto nel 1907.

Ne seguirono altri: il 1923 fu la volta dell’ Augusteo, costruito in Borgo Palazzo e rimasto in attività – pare – fino allo scoppio della Seconda guerra mondiale, quando la sala venne requisita per ricavarne una mensa.  Nel 1927 fu invece  inaugurato il Duse, sulla Rotonda dei Mille: il teatro dei grandi spettacoli di rivista dell’epoca, demolito nel ’68.

Disseminati tra i borghi e le periferie,  oltre ai teatri di quartiere (il già citato  Augusteo, oppure il Del Borgo in Piazza Sant’Anna ), vi furono anche quelli dei collegi (in primis il teatro del collegio Sant’Alessandro) e degli oratori, fra i quali quello dell’Immacolata, dei Celestini in Borgo Santa Caterina, delle Grazie, di Boccaleone, di Redona (poi Qoélet) o del più recente S. Andrea, in via Porta Dipinta.

In Città Alta erano ormai in decadenza due teatrini che avevano funzionato per tutto l’Ottocento, quello di piazza Mascheroni e il San Cassiano; a partire dagli anni Trenta cominciò poi a funzionare il Teatro del Seminarino, mentre il Sociale chiuse nel ’32.

Rappresentazione teatrale al Teatro del Seminarino in Bergamo Alta

Vi erano poi i teatri del dopolavoro; importante fu la Sala del Mutuo Soccorso di via Zambonate nonché il teatro Minerva del dopolavoro ferroviario presso la Stazione.

Un locale di cui non si parla più, eppure ha fatto la storia: la sede del Mutuo Soccorso in via Zambonate, nel 1921. La fotografia rappresenta un momento di grande festa (con banda musicale) dell’Associazione Proletaria Escursionisica ospitata nel caseggiato del Mutuo Soccorso

Vi era un piccolo teatro anche in via Torquato Tasso, dove si esibiva l’Estudiantina, un’orchestrina di chitarre e mandolini (1).

Ritratto di gruppo di una classe dell’Estudiantina Bergamasca (prima metà del XX sec.) – (Archivio fotografico Sestini – Archivio Domenico Lucchetti. Fondo Ritratti bergamaschi)

Si è vagheggiato anche di un certo teatro “Smeraldo”, aperto negli anni ’40-’50 in Viale Vittorio Emanuele di fronte al civico 12, ma di questo non abbiamo certezza.

Tra i tanti , a fare la storia sono stati in cinque: il Sociale, il Donizetti (già Riccardi), il Nuovo, il Rubini e il Duse. I primi due realizzati in particolare per ospitare spettacoli d’opera lirica, anche se mai mancò la prosa seria, per la quale si accoglievano anche le compagnie di giro quando erano nei paraggi (come non pensare a Emma e Irma Gramatica, Angelo Musco, Gualtuero Tumiati, Maria Melato, Ruggero Ruggeri, Ermete Novelli). E poi il varietà, la danza, le riunioni pugilistiche, i trasformismi (Fregoli come grande richiamo), i comizi, le giocolerie, le donne barbute, le donne cannoni, le lotte con i tori, per poi approdare, in molti casi, al cinema.

Tanti teatri dunque, grandi e piccoli,  dalla cui storia emerge il ritratto di una Bergamo musicale e godereccia, straordinariamente vivace e vissuta: una geografia molto ramificata di locali, che ha regalato per molto tempo svago, cultura, occasioni di incontro e tanto, tanto benessere.

Alla fine del Novecento, il Rubini e il Duse erano morti e sepolti da un po’, mentre del Nuovo sopravviveva ormai il suo fantasma (non parliamo poi della strage dei piccoli teatri e del Sociale ancora da recuperare). In poco più di cinquant’anni Bergamo aveva distrutto un patrimonio artistico che fondava la sua identità sociale, culturale e civile, non preoccupandosi nemmeno di costruire un museo del teatro, a disposizione dei bergamaschi,  in cui fossero esposti disegni, cartelloni, biglietti, foto che documentassero la sua storia.

Resisteva l’Auditorium in Piazza della Libertà, che, sempre legato all’associazione cinefila Lab80, poteva contare sulla sua super sala che era anche perfetta come teatro.

Sparito l’Augusteo, il teatro Minerva del dopolavoro ferroviario, il Salone del Mutuo Soccorso in via Zambonate, il teatro della Casa del fascio e dei sindacati in via Scotti, “il bel teatrino liberty del Collegio Sant’Alessandro, ora un triste auditorium in cemento armato! Ma quando mai i teatri si fanno in cemento armato?!”, lamentava Mimma Forlani (2).

TEATRO ROSSI (GIA’ TEATRO DELLE VARIETA’)

Artefice della nascita del primo teatro stabile, dopo il “Riccardi”, fu un ex capomastro intraprendente, attratto dal mondo dello spettacolo: quel Luigi Dolci che già aveva gestito il “Riccardi” fino al 1879, per poi gestire il Teatro delle Varietà, del quale Luigi Pelandi ci ha tramandato notizie.

Teatro Ernesto Rossi, già Teatro delle Varietà, in Piazza Baroni

Il Teatro delle Varietà era una gran baracca fissa con basi in muratura, che si trovava in Piazza Baroni (presso il Torresino di mattina), dov’era presente almeno dal 1881 (3). La prima rappresentazione portata su quelle tavole era stata l’Aida, recitata da marionette.

Il teatro aveva subìto sensibili trasformazioni per cura del proprietario Luigi Dolci, su disegno del figlio Antonio. L’interno aveva due ordini di gallerie e poteva contenere un massimo di 1200 persone.

Narrano le cronache del tempo che il teatro doveva essere un ambiente “aristocratico”, e per quanto fosse disposto per qualunque produzione, doveva destinarsi soprattutto a trattenimenti di prosa. Vi si esibirono le migliori compagnie drammatiche del tempo, ma vi furono anche concerti celebri, pianisti e violinisti di cartello (4). Sta di fatto però che il popolino lo chiamava “ol filatòi del Dolci”, perché amene coppiette di innamorati “filavano” tranquillamente nell’oscurità della sala.

Il Teatro Rossi, in Piazza Baroni (Raccolta avv. D. Cugini) 

Nel 1883 questo teatro assunse il nome di Teatro Rossi, in omaggio al grande attore Ernesto Rossi, che vi aveva tenuto una serie di recite nella primavera di quell’anno. Il Teatro Rossi venne demolito nel febbraio del 1894 poiché il Dolci non volle saperne di pagare la tassa annuale di posteggio all’amministrazione dell’Ospedale.

L’attore Ernesto Rossi all’epoca in cui diede il nome all’omonimo teatro (Raccolta D. Lucchetti)

E’ interessante notare che il suo ultimo impiego fu per un congresso socialista, relativo all’approvazione dello statuto regionale (5).

Il Teatro Rossi, in Piazza Baroni, strutturato sul preesistente Teatro delle Varietà da Luigi ed Antonio Dolci, poteva contenere 1200 persone. Fu così chiamato in omaggio al grande attore Ernesto Rossi, che ne calcò le scene nella stagione di primavera del 1883. Doveva essere un teatro aristocratico, ma in verità veniva chiamato “ol filatòi del Dolci” perché frequentato da amene coppiette. Venne demolito nel febbraio del 1894, poiché i Dolci non vollero pagare all’Ospedale Maggiore un aumento di affitto per il terreno (tempera di G. Gaudenzi)

POLITEAMA GIVOLI

Vita breve ebbe poi il Politeama Givoli, che fu edificato nel 1882 accanto al Teatro delle Varietà, là dove ogni anno per la stagione fieristica stazionava un circo equestre, che in bergamasco si chiamava bal di caài. Costruito su progetto dell’architetto Gaetano Gallizioli, venne definito una “mostruosità” da un giornale del tempo.

Il Politeama Givoli al centro della fotografia, posto tra la Fiera e l’Ospedale di S. Marco (annullo postale 5 giugno 1899, fototipia – Raccolta Lucchetti)

Il teatro, costruito in muratura e legno, aveva tre ordini di palchi ed una vastissima platea che poteva contenere 2500 persone (6).

Il Politeama Givoli in una tempera del pittore G. Gaudenzi

Le cronache del tempo lo descrivono come un ambiente popolare e più che altro destinato a spettacoli di circhi equestri e di varietà: in quegli anni, il termine Politeama veniva usato di frequente e si riferiva ad un luogo dove venivano rappresentati spettacoli di vario tipo: prosa, lirica, varietà, concerti, circo equestre, comizi, esperimenti “scientifici” e, più tardi, anche il cinematografo.

Nel 1894 e nel ’96 Filippo Turati vi tenne due famosi discorsi: “i socialisti sono i veri conservatori” e “la politica del proletariato” (7).

La Fiera vista da Porta Nuova: sulla destra si riconosce il fronte del Politeama Givoli (Raccolta Lucchetti)

Il 2 novembre del 1897 vennero iniziati i lavori di demolizione perché l’amministrazione ospedaliera rivendicò a sé l’uso dell’area sulla quale sorgeva il teatro, e alla fine di quel mese la Piazza Baroni era completamente vuota! (8).

Una rivista militare davanti al Politeama Givoli, in una fotografia del 6 giugno 1897. Fu costruito nel 1882 su progetto dell’architetto Gallizioli. Venne definito una “mostruosità”; aveva però tre ordini di palchi e ben 2500 posti in platea. Si adattava perciò ad ospitare circhi e spettacoli popolari. Fu abbattuto nel novembre del 1897, poiché l’Ospedale Maggiore, proprietario del terreno, volle libera l’area (Raccolta Lucchetti) 

POLITEAMA NUOVO

Mentre si abbatteva il Politeama Givoli, su di un terreno situato al di là della Roggia Nova, che a quel tempo scorreva a cielo aperto, si edificava, sull’area dell’ex giardino Piccinelli, il Teatro Nuovo, detto allora “Nuovo Politeama”, in quanto avrebbe dovuto rappresentare un po’ di tutto.

Dalla Rivista di Bergamo n.48 Dicembre 1925

 

Teatro Nuovo. Progettato nel 1897 (anno in cui il “Donizetti” assume l’attuale denominazione) da Gattermayer e Albini sull’area del giardino Piccinelli (attuale angolo via Verdi/ Largo Belotti), sul modello del Dal Verme di Milano, fu inaugurato il 23 marzo 1901 con La sonnambula di Bellini. L’edificio, ampliato nel 1928 da Cesare Ghisalberti e Camillo Galizzi, fu successivamente trasformato in sala cinematografica da Alziro Bergonzo, che eliminò le quinte, i palchetti, le gallerie a ferro di cavallo e il grande palcoscenico

Ma la costruzione, iniziata nel giugno del 1897, andò per le lunghe a causa di diverse inadempienze degli appaltatori. Gli impresari appaltanti, Giovanni Givoli e Innocente Carnazzi, dopo aver ricorso a giudizio, furono felici di liberarsi del fabbricato, cedendolo a Carlo Ceresa. Questi fece portare a termine la costruzione e – poiché si eccepiva sulla stabilità delle gallerie – ottenne il permesso di agibilità con un singolare espediente, che viene così riferito da Luigi Pelandi: “Fatta caricare’ dai suoi coloni di Stezzano, su una lunga fila di carri, una innumerevole quantità di sacchi di frumento, li fece collocare vicinissimi gli uni agli altri. Poi mise per beffa il cartello: tutto esaurito, e una bella sera, sfolgorante il teatro di luce, chiamò la commissione dei tecnici per constatare la gravità, la quantità, la qualità ed eccezionalità del pubblico così pesantemente assorto. La commissione vide, commentò ed autorizzò a pieni voti l’esercizio teatrale” (9). E finalmente il 23 marzo 1901, il Teatro Nuovo fu inaugurato con una rappresentazione de “La Sonnambula” di Vincenzo Bellini.

L’interno del Teatro Nuovo da poco inaugurato (Raccolta D. Lucchetti)

Fu con il geniale e temerario Pilade Frattini, impresario del Nuovo dal 1904 al 1915, che si ebbero le rappresentazioni più stravaganti e variate: con Frattini divenne la sala più polivalente della città, ospitando opere liriche, operette, commedie e drammi, concerti, conferenze, comizi, balletti, esperimenti scientifici, giochi popolari, spettacoli circensi, incontri di pugilato e lotta…

Pilade Frattini, uomo singolare ed impresario geniale del primo Novecento. Gestore del Caffè Nazionale (divenuto “Frattini”), co-gestore del Teatro Nuovo dal 1904 nonché animatore del Teatro Donizetti. Ma fu al Nuovo che scaricò tutto il suo estro, portando persino una corrida di tori (riproduzione da Raccolta D. Lucchetti)

Fu proprio al Nuovo che nel 1913 si organizzò il primo incontro di Boxe, in una serata d’accademia di ginnastica e scherma, mentre nel novembre del ‘28 il teatro Duse iniziò ad ospitare importanti manifestazioni di pugilato, che interessarono poi anche altri locali cittadini: oltre che al Nuovo, presso la sala Vittoria in P.zza S. Spirito, nella palestra dell’Atalanta in via Verdi, al Teatro Sociale, al cinema varietà Augustus in Borgo Palazzo e al Teatro Minerva del dopolavoro Ferrovieri.

Sotto Frattini vi fu la storica esibizione (1911) della Compagnia Futuristica Marinetti & Co (due anni prima “Le Figaro” aveva pubblicato il famoso Manifesto del Futurismo), suscitando scandalo tra i benpensanti e invettive anticlericali durante lo spettacolo. Nel 1915 Il teatro ospitò Luigi Pirandello in veste di direttore artistico di una compagnia teatrale che si esibì in “Sei personaggi in cerca d’autore”.

Fra i nomi celebri, Pietro Mascagni, Emma Gramatica, Fregoli, il grande giocoliere bergamasco Enrico Rastelli, ma anche, per la gioia dei bambini, il “nano Bagonghi”, così come l’indimenticabile Ettore Petrolini, Tito Schipa, ma anche D’Annunzio e Mussolini. L’elenco potrebbe continuare all’infinito, in quello che per lustri è stato l’unico teatro popolare della Città, solo più tardi affiancato dal glorioso “Duse”.

Nel corso della sua storia il Nuovo ha avuto diversi assetti, determinati dalle necessità che di volta in volta emergevano nel mondo dello spettacolo e della vita sociale e culturale della città. Nel tempo l’edificio si è progressivamente ridotto ed ha perso quell’assetto tipico dei teatri di fine Ottocento/primi Novecento del secolo scorso.

Nel 1928 è stato ampliato e sistemato su progetto degli architetti Galizzi e Galimberti nonché abbellito con una decorazione dal severo gusto artistico, così da rendere il Teatro degno del nuovo centro cittadino. Nel 1965 si è messa nuovamente in atto una ristrutturazione massiccia, ad opera dell’architetto Alziro Bergonzo, che lo ha trasformato definitivamente in una grande e modernissima sala cinematografica (del vecchio e glorioso teatro resta ormai praticamente la facciata verso Largo Belotti), diventando una sala da Prime Visioni (‘Rocky’ e ‘Jesus Christ Superstar’ vi tennero il cartellone per settimane) ma tenendo anche qualche spettacolo musicale o di cabaret teatrale.

Dopo aver attraversato un periodo di decadenza e dopo ripetuti tentativi di riqualificare il locale con programmazioni cinematografiche di livello, nell’estate del 2005  il cinema Nuovo ha chiuso definitivamente i battenti.

POLITEAMA NOVELLI

Un paio d’anni prima dell’inaugurazione del Nuovo, e cioè nel 1899, sempre per merito di quell’Antonio Dolci (figlio di Luigi) già interessato alla ristrutturazione del divenuto teatro Rossi, nacque il Politeama Novelli, edificato all’inizio del “viale della stazione”, nel giardino Codali, acquisito dal Dolci. A inaugurarlo, la sera del 16 novembre, fu invitato Ermete Novelli, che mise in scena un  magistrale “Papà Lebonnard”, con la sua compagnia al completo.

Come ricorda Luigi Pelandi nella sua Bergamo scomparsa, “fu una bazza per la cassetta e un trionfo per il grande attore, già abituato del resto a imponenti ovazioni dei teatri italiani ed esteri per quella sua mimica ampollosamente espressiva eppur tanto spontanea, passante dalle note ilari e bonarie a quelle della più commovente drammaticità”. Come poi usava a quel tempo, il Politeama Novelli ospitò anche diverse conferenze. Una in particolare aprì sui giornali un dibattito acceso: l’aveva tenuta l’avvocato Federico Maironi “contro la convenzione per la trasformazione dei tram cittadini”. Gli oratori erano molto contesi dai teatri, che a Bergamo proprio non mancavano (10).

Il Politeama, nei pressi dell’attuale via Novelli, era sorto riadattando la grande e singolare serra di un giardino preesistente, che apparteneva al floricoltore Codali. Come mostrato dall’immagine sottostante, vi era anche un laghetto, alimentato dalla roggia Ponte Perduto, che d’’estate fungeva da “piscina”, rigorosamente riservata alla popolazione maschile e affittata a 10 centesimi, mentre d’inverno lo specchio d’acqua ghiacciava diventando pista da pattinaggio e rifornendo ghiaccio per uso domestico. La serra fu poi trasformata in teatro.

La ripresa mostra il Giardino e il laghetto del floricoltore Codali, che in questo luogo teneva una grande serra, trasformata in teatro da Antonio Dolci nel 1899. La ripresa fu effettuata all’altezza dell’attuale Palazzo Dolci intorno al 1890, tra l’attuale viale Papa Giovanni e via Ermete Novelli. L’edificio a destra dovrebbe corrispondere al retro dell’odierno Hotel Piemontese, mentre quello a sinistra è un ampliamento del piccolo bar-ristorante in fronte al piazzale della Stazione, dove ad oggi si sono avvicendati numerosi esercizi di ristorazione

Nel 1903, Nicolò Rezzara propose di edificare sull’area del giardino Codali la Casa del Popolo (attuale sede de L’Eco di Bergamo). Il teatro ebbe dunque vita brevissima: fu abbattuto nel 1904 e la Casa del Popolo (oggi conosciuta come Palazzo Rezzara) si inaugurò l’8 maggio 1908, nella vasta area oggi compresa tra viale Papa Giovanni XXII, via Paleocapa e via Novelli.

Il Politeama Ermete Novelli, sorto nel 1899 nei pressi di via Ermete Novelli riadattando la grande e singolare serra del preesistente Giardino Codali. In alto si riconosce la mole della Casa del Popolo, costruita agli inizi del Novecento cambiando la fisionomia del viale della stazione. Fu proprio l’attore Ermete Novelli, con la sua compagnia, a tenere lo spettacolo con il quale si inaugurò la nuova sala. Che tuttavia non durò molto venendo tutta la zona coinvolta nelle trasformazioni del nuovo centro, che interessarono anche i lati del viale della stazione (Archivio Fotografico Sestini – Archivio Domenico Lucchetti)

Era il periodo in cui l’area circostante la Stazione andava acquisendo la fisionomia che conosciamo, con la via Paleocapa già delineata e con in testa Palazzo Dolci e Casa Paleni in viale Roma, con la sua ricca facciata liberty.

Palazzo Dolci su Viale Roma nel 1920. Eretto negli anni ‘70 dell’Ottocento, l’edificio rappresenta un segno architettonicamente dominante dell’incrocio tra via Paleocapa e il viale della Stazione, dove esprime il linguaggio eclettico del tempo. Il viale è ombreggiato dalle grandi chiome degli ippocastani, ampie e non maltrattate da maldestre potature

 

La Casa del Popolo, progettata su incarico del Consiglio direttivo dell’Unione delle Istituzioni Sociali Cattoliche Bergamasche, presieduto da Rezzara. Virginio Muzio vi eseguì gli scavi e posa della prima pietra (1904), ma l’edificio venne variamente realizzato da Ernesto Pirovano e completato nel 1908, anno della sua inaugurazione

Nella Casa del Popolo, oltre alle istituzioni cattoliche erano presenti anche un albergo, un ristorante, negozi, appartamenti, la redazione de “L’Eco”, la Banca Piccolo Credito, la cappella, sale di lettura, biliardo e il teatro Rubini. L’allora Viale della Stazione fu ribattezzato viale Roma – denominazione che mantiene anche oggi nel tratto tra Porta Nuova e via Petrarca -, mentre il tratto tra la stazione e Porta Nuova fu intitolato a Papa Giovanni XXIII.

La Casa del Popolo, tra l’allora viale Roma e via Paleocapa, sulla quale si affaccia l’ingresso del Teatro Rubini

TEATRO RUBINI

Costruito all’interno della Casa del Popolo, con ingresso in via Paleocapa, fu inaugurato la sera del 16 novembre 1907 con l’opera “Poliuto” di Donizetti, per restare in attività per quasi 80 anni, guadagnando un posto d’onore nell’immaginario collettivo della città.

Interno del Teatro Rubini (Archivio Luciano Galmozzi). Aveva una grande platea e tre ordini di palchi; le logge erano sostenute da una serie di graziose colonnine, le balaustre erano di ferro battuto e le decorazioni, di stile floreale. Un teatro moderno, comodo, elegante, capiente e, grazie alla buona acustica, adatto a spettacoli di musica e prosa. Il ridotto del teatro era in comoda comunicazione con una sala da caffè annessa all’Albergo Moderno, che faceva servizio da buffet

In teatro approdarono spettacoli d’ogni tipo, dalla prosa al varietà, dalla commedia dialettale ai concerti, ma un mese dopo l’inaugurazione, il Rubini accolse anche il cinematografo, che fu, sin dall’inizio, l’attività più sistematica, risultando da questo punto di vista, in certi anni, il locale più attivo della città.

Fu rinnovato nel 1954, aumentandone la capienza e cancellandone l’impronta stilistica originaria e nel 1974, quando divenne “Rubini 2000” e – ahinoi – nel 1987, data anche la crisi delle sale cinematografiche, venne sostituito dal Centro Congressi Giovanni XXIII.

Con i suoi 1.500 posti a sedere fra platea e galleria, aveva offerto per decenni film per famiglie, le anteprime dei western di Sergio Leone e tutti i cartoni animati di Disney.

L’ingresso in via Paleocapa del cine-tetro Rubini, nel 1959

 

Il cinema teatro Rubini  negli anni Sessanta. La fotografia fu scattata in occasione del film “Questo pazzo, pazzo, pazzo, pazzo mondo”, pellicola americana del 1963. Erano gli anni in cui le sale cinematografiche andavano ancora forte in Italia, ma negli anni Settanta cominciò il declino che portò a una progressiva riduzione del numero di sale. Nella foto si vede anche la bottega del barbiere Algeri, aperta nel 1936 e ancora oggi in attività

 

Interno del cine-teatro Rubini negli anni Sessanta

Con il nome di Rubini 2000 divenne frequentatissimo negli anni Settanta  anche per una serie di importanti concerti, come la prima uscita ufficiale della Premiata Forneria Marconi in veste di supporto dei Procol Harum. Vi si esibirono inoltre gli Area, il Banco del Mutuo Soccorso, Arthur Brown, i Pooh e molti altri.

L’atrio del cine-teatro Rubini nel settembre del 1959, con tanto di locandina (“Un condannato a morte è fuggito”).

 

Austerity 1973: davanti al Teatro Rubini

TEATRO DUSE

Fra tutti il più amato e compianto. Intitolato alla grande Eleonora Duse, nacque nel travagliato clima del Ventennio grazie a una sottoscrizione fra amici facoltosi, per soddisfare il bisogno di un nuovo teatro dove poter rappresentare opere liriche e lavori drammatici; un teatro che avesse minori pretese rispetto al massimo della città – il Donizetti – e maggiori agi rispetto al Nuovo.

Affacciato su Piazza Garibaldi, il bel teatro dalla pregevole facciata in stile neoclassico vantava la bellezza di 2.500 posti a sedere e funzionava egregiamente sia da cinema che da teatro. Ospitò le più varie attività: dall’opera seria ai concerti, dalla prosa all’avanspettacolo, dai dibattiti politici e culturali ad esibizioni circensi e incontri di pugilato, da pregevoli concerti jazz a concerti di musica leggera, intrecciando la propria storia con quella personale di molti bergamaschi. Nonostante l’acustica fosse il suo tallone d’Achille, il Duse fu molto più di un teatro: fu per decenni un punto di svago, di ritrovo, di socializzazione, regalando a molti bergamaschi serate memorabili.

Il compianto Teatro Duse, alla Rotonda dei Mille. Inaugurato nel 1927, è stato il teatro dei grandi spettacoli di rivista dell’epoca, poi il declino: nel 1968 fu demolito

Calcarono il suo palcoscenico nomi importanti e sostituì degnamente il Donizetti quando chiuse per lavori. Indimenticabile anche il Teatro di Varietà, con ballerine e truccatissime soubrette – allora popolarmente chiamate le donnine – ma anche le Compagnie di Rivista di Totò, Wanda Osiris, Macario, Walter Chiari, Renato Rascel, Josephine Baker, Paola Borboni, Dario Fo.

Dopo oltre quarant’anni di onorata attività, nel 1968 fu demolito per essere sostituito da un edificio di architettura “Brutalista”, con parcheggio aereo e un cinema sotterraneo, mentre il monumento di Garibaldi continuava a fare bella mostra di sé nel bel mezzo della rotonda, ormai assediato dalle auto e declassato a spartitraffico.

Duse, interno

All’alba della sua demolizione, un cartello manoscritto affisso da un ignoto all’ingresso del Teatro, recitava: “Da domani, tra una diffusa sensazione di malinconia, si darà inizio all’opera di rimozione delle strutture del palcoscenico e, successivamente, si arriverà alla vera e propria demolizione dell’edificio: Bocca amara per la Città. Non è che gli altri teatri cittadini stiano meglio, anzi! Certo, non sono in via di demolizione, ma… In fondo anche questi cambiamenti sono il sintomo di una mutazione culturale e di costume che la Città sta vivendo. Al suo posto sorgerà un moderno edificio per residenze ed uffici ed un parcheggio: l’edificio, destinato a morire, e con esso il Teatro, oggi si può ancora guardare e fissarlo nella mente, a futura memoria, infatti, in questi giorni è meta di curiosi e di nostalgici… e pensare che solo domenica sera, due giorni fa, il Teatro era ancora pieno di spettatori i quali, alla fine dell’ultimo spettacolo, hanno salutato il loro Teatro con un fragoroso e prolungato applauso, e la malinconia: la si poteva toccare con mano” (11).

La storia di questo teatro è minuziosamente raccontata QUI.

TEATRO AUGUSTEO

In una laterale di via Borgo Palazzo, in via Anghinelli 23, c’era era un piccolo teatro, che dopo un abbandono durato oltre 40 anni, nel 2007 è stato demolito per costruire abitazioni di lusso. Vi si accedeva da un portoncino di Borgo Palazzo, al numero 28.

L’insegna dello scomparso Teatro Augusteo in via Borgo Palazzo. Il teatro si trovava in via Anghinelli

Un vecchio numero dell’ “Eco” riporta che la costruzione della palazzina che ospitava il teatro fu affidata all’impresa Crialesi da un certo Gentili e a giugno ’23 la ditta Camillo Roncelli fu “incaricata di eseguire gli importanti impianti elettrici di proiezione, illuminazione, ventilazione, aspirazione, effetti scenici nel nuovo grande Teatro Augusteo”.

Esterno Teatro Augusteo, via Anghinelli (BG) – (Proprietà Dario Cangelli)

Aggiunge che “per inaugurare il nuovo teatro l’impresario Rumor, incaricato della gestione, riuscì a portare a Bergamo addirittura uno spettacolo de Les Folies Bergères.  

Teatro Augusteo, via Anghinelli (BG) – (Proprietà Dario Cangelli)

E al taglio del nastro, il sabato 8 settembre 1923, c’era anche una celebrità dell’epoca”, il mitico nuotatore Enrico Tiraboschi, che aveva da poco compiuto la la memorabile traversata della Manica da Calais a Dover in 16 ore e 25 minuti, “tanto da meritarsi una copertina della Domenica del Corriere disegnata da Beltrame”.

Essendo un teatrino di quartiere ospitò gli intrattenimenti più vari: oltre a quelli “classici” (prosa, varietà ed anche proiezioni cinematografiche), organizzò anche spettacoli destinati ai militari così come diversi eventi sportivi, come gli incontri di pugilato che si disputarono nel maggio del ’25, cui parteciparono “molti tra i più forti pugilatori italiani, primo fra tutti l’aspirante al titolo europeo, Bosisio”. Quella della boxe nei teatri era una tradizione ereditata dal teatro Nuovo (dove il primo incontro in assoluto risaliva al 1913) e poi trasmessa al Duse, a partire dal novembre del 1928.

All’Augusteo si tenne anche un incontro di pugilato con Livio Minelli, che nel 1940 aveva debuttato al Teatro Duse da professionista, portando a Bergamo il titolo Europeo ed Italiano dei pesi Welter il 4 marzo del ‘49 per poi partire per una tournée negli Stati Uniti

Il teatro restò in attività per una ventina d’anni, poi – sembrerebbe -, allo scoppio della Seconda guerra mondiale la sala venne requisita per ricavarne una mensa. Finita la guerra “l’immobile fu venduto e utilizzato come sala per l’esposizione di mobili, infine nei primi anni 2000 passò a un’immobiliare e fu inserito nel progetto di ristrutturazione del palazzo, con la realizzazione di unità abitative” (12).

Teatro Augusteo, via Anghinelli (BG) – (Proprietà Dario Cangelli)

 

Teatro Augusteo, via Anghinelli (BG) – (Proprietà Dario Cangelli)

 

Teatro Augusteo, via Anghinelli (BG) – (Proprietà Dario Cangelli)

Il palazzo dell’insegna esiste ancora, pur senza il monumentale balcone. Come tanti altri teatrini scomparsi, anche questo ha animato per un certo periodo la vita di un borgo, in una città che traboccava di vita.

IL TEATRO MINERVA, UN TEATRINO (SCOMPARSO) PRESSO LA STAZIONE
Quella sottostante è una rara immagine del Teatro Minerva del dopolavoro Ferrovieri, presso la Stazione Ferroviaria di Bergamo, risalente al 1938. Sappiamo, grazie ad alcune testimonianze, che il locale era già attivo almeno dal 1928.

Il palco del Teatro Minerva del dopolavoro Ferrovieri, presso la Stazione Ferroviaria di Bergamo, nel 1938. La rara immagine, datata 14 ottobre 1938, riprende l’orchestra Imperial Jazz, con alla tromba il signor Luigi Nessi, che in quel teatro aveva suonato anche per l’orchestra di Gorni Kramer e che smise di suonare nel ’46 dopo la fine della stagione estiva al casinò di San Pellegrino (per gentile concessione della figlia, Laura)

Quella del Minerva è stata anche una delle due sale da ballo esistenti a Bergamo nel dopoguerra (l’altra doveva trovarsi in Borgo Santa Caterina, forse chiamata Cristallo), vocazione proseguita negli anni Sessanta, quando il locale, che era noto come Piper, era assai frequentato (sicuramente esistente negli anni 66/67).

Nel corso del tempo il teatrino ospitò spettacoli di vario genere: dagli incontri di pugilato a spettacoli di varietà e di magia, e nel biennio ‘57/’58 vi si tenne uno spettacolo ispirato al “Musichiere”. In seguito vi fu un periodo in cui la sala fu utilizzata per giocare con le “Policar”, macchinine elettriche che correvano sulle piste con il pattino.

Ma quello che gli adulti di oggi ricordano con particolare emozione era lo spettacolo organizzato in occasione dell’Epifania per i figli dei ferrovieri, dopo il quale i bimbi ricevevano un regalo.

Il teatro si trovava nel lungo edificio posto a destra rispetto la facciata della Stazione; visto dal lato dei binari, costeggiava molti metri del binario tronco, quello per Lecco. All’interno c’era anche una piccola mensa e bar per i dipendenti.

IL TEATRO GREPPI (ORATORIO DELL’IMMACOLATA) 

Merita di essere ricordato anche lo splendido e glorioso Teatro Greppi (ancora esistente), fondato nel 1903 nell’Oratorio dell’Immacolata – oggi Sala Greppi -, con la sua struttura decorativa di primo novecento, il suo affresco di gusto settecentesco che la avvolge tutta e la impreziosisce, la sua loggia e il suo palcoscenico profondo. Il teatro sopravvive nella memoria di tutti gli abitanti del borgo che abbiano frequentato l’oratorio da ragazzi,  se non più per la proposta di rappresentazioni da parte delle due compagnie esistenti, per l’uso del teatro come sala cinematografica fino alla fine degli anni ‘70 del ‘900. L’Associazione Sala Greppi, dal 1981, ha poi gestito la sala per proposte musicali di altissimo livello, curando il mantenersi della sala stessa in modo tale da essere vissuta.

Il Teatro Greppi, nell’Oratorio Dell’Immacolata, nel 1914. Nel 1903, nel cuore di Bergamo, grazie all’intuizione di don Luigi Palazzolo e di Giuseppe Greppi, nasceva l’Oratorio dell’Immacolata, primo di città e provincia. L’Oratorio custodisce al suo interno un prezioso Teatro di primo Novecento, un “piccolo Donizetti”, da più di un secolo a servizio delle giovani generazioni, che vi hanno trovavano casa tra musica, teatro, incontri, formazione, cinematografia. Il Teatro, insieme all’adiacente Chiesa, fu il primo nucleo dell’Oratorio a essere realizzato

 

Il teatro Greppi oggi

RINATO A NUOVA VITA: IL S. ANDREA IN CITTA’ ALTA

Il Teatro S. Andrea è stato ricavato nella cripta della chiesa omonima, in via Porta Dipinta, costruita fra il 1840 e il 1847 sulla base di un edificio dell’ottavo secolo d.C. L’ambiente ipogeo fu destinato per circa un secolo a conservare opere provenienti da altri luoghi di culto, oltre che da quello preesistente. Una prima versione del teatro fu realizzata per volontà del parroco Antonio Galizzi che, nel 1951, fece realizzare nella cripta un cineteatro completo di palco, quinte, sipario più una cabina per proiezioni cinematografiche. Nel tempo, l’attività cine-teatrale venne tuttavia meno e lo spazio fu destinato ad altri usi, principalmente oratorio e spazio sportivo, fino alla sua chiusura negli anni ‘90. Solo nel 2018 l’ambiente sotterraneo della chiesa è tornato ad essere a tutti gli effetti un teatro. La sala può ospitare fino a 100 persone e si sviluppa secondo un impianto unico: all’abside e al presbiterio della chiesa sovrastante corrisponde la platea, mentre sotto la navata si sviluppano sipario e palco. Ai lati del sipario campeggiano decorazioni raffiguranti le maschere di Arlecchino e Pulcinella, realizzate da Albano Pressato negli anni Cinquanta. Dal 2020 si è unito all’arredamento un altro pezzo d’eccezione: il pianoforte gran coda Steinway del 1932, già appartenuto a Giorgio Zaccarelli e donato al teatro dai figli, e posizionato nella parte absidale.

Il Teatro S. Andrea, in via Porta Dipinta, sorto  nel 1951 nella cripta dell’omonima chiesa, per volontà del parroco Antonio Galizzi.  Chiuso negli anni ‘90, è stato recuperato nel 2018

Siamo sicuri che questo lungo elenco potrebbe continuare  …e chissà cos’altro avrebbe da raccontare.

NOTE

(1) Pilade Frattini, Renato Ravanelli, “Il Novecento a Bergamo – Cronache di un secolo”. A cura di Ornella Bramani. Vol. II, UTET,  Anno 2013.

(2) Pilade Frattini, Renato Ravanelli, “Il Novecento a Bergamo – Cronache di un secolo”, Ibidem.

(3) Luigi Pelandi assicura che il 14 agosto del 1881, le “Notizie Patrie” segnalavano la presenza di una baracca stabile, il Teatro delle Varietà. Aggiunge inoltre che nella Piazza Baroni non esistevano edifici in muratura ad uso teatri prima del 1880 (Luigi Pelandi, “Attraverso le vie di Bergamo scomparsa II – La Strada Ferdinandea”. Collana di Studi Bergamaschi, a cura della Banca Popolare di Bergamo. Poligrafiche Bolis, Dicembre 1963).

(4) Il Pelandi trasse tale notizia da Elia Dolci, Spettacoli lirici nei teatri di Bergamo – 1784-1894 (Luigi Pelandi, “Attraverso le vie di Bergamo scomparsa II – La Strada Ferdinandea”, Ibidem).

(5) L’ultima comparsa risale il 28 gennaio 1894, allorché in questo luogo di ritrovo si tenne un grande congresso socialista per la discussione ed approvazione dello Statuto della Confederazione Regionale appena allora costituita. Vi avevano aderito 77 società sopra le 107 costituite in Lombardia (Luigi Pelandi, “Attraverso le vie di Bergamo scomparsa II – La Strada Ferdinandea”, Ibidem).

(6) Luigi Pelandi, “Attraverso le vie di Bergamo scomparsa II – La Strada Ferdinandea”, Ibidem).

(7) Comune di Bergamo, Piano di Recupero ex Teatro Cinema Nuovo. Relazione illustrativa generale. Ottobre 2018.

(8) Luigi Pelandi, “Attraverso le vie di Bergamo scomparsa II – La Strada Ferdinandea”, Ibidem.

(9) Luigi Pelandi, “La Rivista di Bergamo”, numero di giugno del 1926.

(10) Pilade Frattini, Renato Ravanelli, “Il Novecento a Bergamo – Cronache di un secolo”, Ibidem.

(11) “La nostalgia senza tempo dei cinema a Bergamo negli Anni Ottanta”. L’Eco di Bergamo, 6 maggio 2021.

(12) “Sulle tracce dell’«Augusteo» Il teatro sparito di Borgo Palazzo”. L’Eco di Bergamo, 6 settembre 2016. E’ però scritto ne “Il Novecento a Bergamo” (Op. Cit.) che il teatro “fu chiuso nel 1933 e adibito a magazzino di mobili”.

Riferimenti principali

Umberto Zanetti, “Bergamo d’una volta”, Artigrafiche Mariani & Monti. Ponteranica – Bergamo, 1983.

Pilade Frattini, Renato Ravanelli, “Il Novecento a Bergamo – Cronache di un secolo”. A cura di Ornella Bramani. Vol. II, UTET,  Anno 2013.

Luigi Pelandi, “Attraverso le vie di Bergamo scomparsa II – La Strada Ferdinandea”. Collana di Studi Bergamaschi, a cura della Banca Popolare di Bergamo. Poligrafiche Bolis, Dicembre 1963.

Domenico Lucchetti, “Bergamo nelle vecchie fotografie”. Grafica Gutenberg, 1976.

Dal Foro Boario alla Malpensata fra Ottocento e Novecento, alla scoperta della città

L’ANTEFATTO STORICO

Con la dominazione austriaca (1815-1859), a Bergamo si avviano i primi consistenti processi di mutamento della città in senso moderno, che segnano un periodo di forte espansione economica e di una gestione della cosa pubblica esemplare dal punto di vista del’efficientismo amministrativo e della organizzazione urbana.

Nella prima metà del secolo, con l’ascesa della nuova borghesia produttiva lo “scivolamento” della città al piano si fa più consistente, portando a compimento le trasformazioni della struttura urbana già avviate nel periodo napoleonico.

La Fiera e la città alta sullo sfondo

Dal 1732 l’antichissimo mercato di Bergamo, posto a metà fra i borghi, può finalmente avvalersi di una Fiera stabile in muratura, disposta su un’area quadrata con 540 botteghe. Verso sud il Sentierone, parallelo alle Muraine, diventa un’arteria per il collegamento dei borghi.

Il centro della Fiera di pietra, oggi Piazza Dante, in cui si trova, ultimo ricordo del complesso, la bella fontana opera di G. B. Caniana del 1734, incorniciata da una serie di alti alberi che nascondono i casotti delle botteghe del vecchio complesso

Con l’erezione dei Propilei in stile neoclassico nel 1837, nella Barriera daziaria delle Grazie viene aperto il varco di Porta Nuova, rappresentando simbolicamente l’ingresso monumentale alla città degli affari.  

Il 20 agosto 1837, in coincidenza con l’apertura della Fiera di S. Alessandro viene inaugurata Porta Nuova (ampliando la Barriera daziaria delle Grazie), il nuovo e simbolico accesso alla città degli affari, delimitato dai propilei neoclassici disegnati da Giuseppe Cusi e realizzati da Antonio Pagnoncelli: al di là delle Muraine l’unico edificio era la Fiera; al di qua era campagna

L’anno successivo (1838), in occasione della visita a Bergamo di Ferdinando I d’Austria inizia la costruzione del primo tratto della Strada Ferdinandea (futuro Viale Vittorio Emanuele),  che, partendo da Porta Nuova laddove s’incontrano le due spine dei borghi che da Città alta si protendono al piano, sale con un lungo rettilineo tagliando gli orti e i grandi broli dei monasteri fino alla Porta di Sant’Agostino.

Grazie alla Ferdinandea, da un lato viene superata quella frattura con Città Alta creata a partire dal 1561 con la costruzione delle mura veneziane e, dall’altro, si viene a creare una vera e propria arteria moderna, che presto diverrà la spina dorsale intorno alla quale verrà ridisegnato l’intero volto della città.

La Strada Ferdinandea, ora viale Vittorio Emanuele, ancora di larghezza modesta, con il viale alberato e il palazzo Stampa. Da Porta Nuova, dopo aver disegnato un’ampia curva poco oltre il monastero Matris Domini, la strada sale per le ortaglie sotto le mura di S. Giacomo per ricongiungersi con la Porta di S. Agostino. Il suo tracciamento ebbe come risultato lo straordinario potenziamento dell’area della Fiera, fronteggiata dalla porta e tangente alla nuova strada, che venne terminata nel 1845 (la ripresa è del 1915)

Nel 1857, quando la ferrovia raggiunge Bergamo viene eretta la Stazione Ferroviaria – in asse con Porta Nuova – e lo scalo merci.

Il piazzale della Stazione Ferroviaria prima della costruzione della fontana (1910 circa)

Demolita la quattrocentesca chiesa di S. Maria delle Grazie – che avrebbe impedito la prosecuzione assiale del viale -, la Strada Ferdinandea viene prolungata verso sud fino alla stazione (chiamandosi in questo tratto viale Napoleone III), completando la spina dorsale della futura “Città Bassa”, attorno alla quale si sviluppa una intensa attività edilizia ed urbanistica che, soprattutto dopo gli anni post-unitari, porterà alla formazione di un nuovo centro.

Nella “corografia datata 1878” è evidente la risistemazione della zona delle “Grazie”. La chiesa, , consacrata una prima volta nel 1427, fu demolita nel 1856 per aprire il rettifilo che da Porta Nuova conduce alla Stazione Ferroviaria (costruita quando la ferrovia raggiunse Bergamo), eretta in asse con l’apertura nelle Muraine, e la sua collocazione condiziona ancor’oggi lo sviluppo urbanistico della città. L’attuale Piazzale degli Alpini è ancora indicato come Piazza d’Armi, nonostante a questa data l’area sia da tempo occupata dal Mercato del Bestiame (da “L’Ospedale nella città”, Op. cit. nei Riferimenti)

Intanto con l’800 si va sempre più consolidando il trasferimento delle sedi del potere amministrativo e statale nei pressi della Fiera, con la costruzione di edifici pubblici di corrente tardo-neoclassica disposti lungo il corso che unisce i due borghi centrali, quello di S. Leonardo e quello di S. Antonio, che ancora si configurano come il margine netto di passaggio tra l’urbano e la campagna.

Nel frattempo la finanza bergamasca si evolve e modernizza attraverso lo sviluppo del sistema bancario e la collocazione di nuove sedi, mentre alla fine del secolo si osserva la costruzione del Manicomio e del Ricovero (1892), del Cimitero monumentale (1896) e del Teatro Donizetti (già Teatro Riccardi). Decisivo per l’espansione della città sarà l’abbattimento delle Muraine nel gennaio del 1901, mentre la discussione sulla Fiera darà luogo alla costruzione del centro piacentiniano.

Nella zona che dal 1857 è chiamata “Campo di Marte”, poi Piazza Cavour e oggi piazza Matteotti, si costruisce il palazzo del Comando militare, che negli anni ’70 diverrà sede degli Uffici comunali. Di fronte, dal 1836 è già edificato Palazzo Frizzoni (attuale sede del Municipio), sorto sull’area dell’antico complesso ospedaliero di S. Antonio di Vienne. Con l’avvio dell’industrializzazione urbana lungo via XX Settembre (antica Contrada di Prato) sorgono le nuove residenze della borghesia mercantile, a pochi passi dagli edifici produttivi stanziati lungo i corsi d’acqua che circondano le  Muraine

 

Con la metà dell’800, lungo la Contrada di S. Bartolomeo, oggi via T. Tasso sorge la Scuola dei Tre Passi; nell’area del Mercato dei Bovini si costruisce il Palazzo della Pretura, che nel 1874 diventerà sede del Comune (trasferito nel 1933 a Palazzo Frizzoni), mentre tra il 1864 e il 1871 vengono edificati il Palazzo della Prefettura e quello della Provincia. Infine, l’emblematico trasferimento del Municipio dalla Piazza Vecchia al Palazzo della Pretura. Nel frattempo anche qui sorgono le nuove residenze della borghesia mercantile: questi i primi significativi interventi del periodo nella città bassa, mentre altri interventi riguardano Città Alta con le opere degli architetti Bianconi, Crivelli e Berlendis, testimonianti il favorevole atteggiamento dell’amministrazione austriaca

 

Porta S. Antonio, aperta nel circuito delle Muraine in corrispondenza dell’attuale via Pignolo Bassa e in direzione della via Borgo Palazzo. Nonostante i due borghi centrali di S. Antonio e di S. Leonardo si configurino ancora come il margine netto di passaggio tra l’urbano e la campagna, la città si è espansa ben oltre, in direzione di borgo Palazzo e borgo Santa Caterina, dove l’insediamento delle manifatture e di altre attività produttive ha innescato un notevole incremento della densità residenziale

L’AREA DELLA STAZIONE

Il monumentale, sovradimensionato rettifilo intitolato a Napoleone III (oggi viale Papa Giovanni XXIII), espressivo di un’epoca caratterizzata dal monumentalismo neoclassico e dalla moda del passeggio, viene delimitato da filari e alberature che ne evidenziano il ruolo e l’importanza.

La panoramica più antica della città, risalente al 1865, riprende il secondo tratto della Strada Ferdinandea visto dalla stazione. Dopo la sua demolizione (1856) per la formazione del secondo tratto della Ferdinandea, la chiesa delle Grazie presenta la cupola ancora in costruzione, mentre lungo il viale sono state disposte le giovani alberature. Proprio nell’anno in cui viene scattata questa fotografia, il Mercato del Bestiame viene trasferito presso la Piazza d’Armi, delimitata ad est, in corrispondenza dell’attuale via Foro Boario, dalla struttura del Bersaglio con il suo lungo corridoio di tiro

Le mappe catastali del 1853 e del 1866 depositate presso l’Archivio di Stato di Bergamo documentano le trasformazioni avvenute nell’area a sud del monastero delle Grazie: una zona ancora  fortemente rurale (se si esclude il monastero, due case coloniche, le fabbriche del Salnitro e per la filatura del Cotone nonché un piccolo deposito per le bestie infette), che, come detto, con la scelta localizzativa della Stazione Ferroviaria e la creazione del grande viale Napoleone III – prosecuzione della Ferdinandea -, manifesta il primo segno di apertura a sud della città.

La Stazione Ferroviaria fu costruita nell’ambito del progetto della ferrovia Ferdinandea (Milano-Venezia) e fu inaugurata il 12 ottobre 1857 assieme al tronco Treviglio-Bergamo-Coccaglio. Entro il 1900 si realizzò il primo collegamento ferroviario tra Bergamo e i centri maggiori della pianura (Milano, Brescia, Lodi, Lovere) e con i territori delle due valli a nord (Seriana e Brembana); il consolidamento i rapporti con i centri commerciali circostanti, cui corrispose un rinnovamento del ruolo territoriale di Bergamo, rese definitivamente obsoleta la Fiera come perno economico della città

Gli spazi ad est del viale, sul sito dell’attuale piazzale degli Alpini, vengono riorganizzati mediante la creazione della Piazza d’Armi (nota come “Campo di Marte” e luogo di esercitazione militare), in funzione della quale, sull’estremità orientale, in corrispondenza dell’attuale via Foro Boario viene costruita la struttura del “Bersaglio” con il suo lungo corridoio di tiro.

 

Per creare la piazza d’Armi, viene deviata e canalizzata la roggia Morlana, di cui abbiamo una bella testimonianza.

Dal Foro Boario verso Città Alta intorno al 1895. E’ visibile la chiesa di S. Maria delle Grazie e a destra l’edificio del Macello comunale. Oltre alla roggia Morlana, qui ritratta, l’area era attraversata dalla roggia Nuova e dalla roggia Ponte Perduto (nome curioso, forse derivante da un ponte scomparso), che si origina dalla Morlana in Borgo Palazzo, dalla quale si dirama proprio in questa zona (Raccolta Lucchetti)

L’esigenza di donare una nuova funzione agli spazi e ai luoghi della città bassa richiede una nuova collocazione degli usi esistenti e pertanto, in seguito al nuovo progetto della sede della Provincia nel 1865 il Mercato del Bestiame viene trasferito nella Piazza d’Armi, proseguendo il suo lungo itinerare, vecchio quanto la storia della città.

Carretti al Foro Boario (Mercato del Bestiame) ai primi del Novecento. Il palazzo dell’Istituto Tecnico non è ancora stato realizzato e si intravede il Macello, nell’omonima via parzialmente tracciata

Nasce da qui la denominazione di Foro Boario (in latino Forum Boarium o Bovarium), toponimo mutuato da un’area sacra e commerciale dell’antica Roma collocata lungo la riva sinistra del fiume Tevere, tra i colli Campidoglio, Palatino e Aventino, che prese il nome dal mercato del bestiame che vi si teneva.

A destra del viale della Stazione il Foro Boario, corrispondente all’attuale Piazzale degli Alpini ed adiacenze, delimitato a sud dal piccolo bar-ristorante, già presente entro il 1876, soglia alla quale la via del Macello (attuale via A. Maj) è già tracciata a realizzata fino alla rogge Nuova e Morlana, delimitando dal 1890 il lato nord del piazzale con il nuovo Macello  comunale

I MERCATI DEL BESTIAME NEL TEMPO

Se in antico i mercati si tenevano nell’antica “Platea S. Vincentii” (attuale area del Duomo), dove a cadenze fisse affluivano i prodotti del territorio (sale, biade, formaggi, ferramenta e panni, bestiame…), con lo straordinario sviluppo commerciale nel periodo della dominazione veneziana il mercato cittadino si frazionò in alcune piazze che nella loro attuale denominazione ancora richiamano l’antico ruolo merceologico: Mercato del Fieno, Mercato del Pesce, Mercato del Lino (ora piazza Mascheroni), Mercato delle Scarpe, dove – afferma Luigi Volpi –  si teneva il mercato degli asini e dei buoi, spostato nel 1430 a Porta Dipinta.

Nel medioevo, per i loro affari tessitori e commercianti facevano riferimento alle barre di ferro riproducenti le misure in uso a Bergamo, murate nella facciata settentrionale di S. Maria Maggiore. Esse testimoniano non solo il ruolo mercantile di questo centro ma anche della necessità di garantire il valore delle misure locali ai mercanti provenienti da altre sedi. Il controllo delle misure dei panni era affidato ai consoli del paratico dei tessitori, sottoposti a giuramento

Nel Duecento in tutta la città solo una beccheria gestita dal Comune era autorizzata alla macellazione e alla vendita e doveva essere già localizzata nell’attuale via Mario Lupo nelle botteghe di proprietà dei Canonici di San Vincenzo. Dopo due secoli le beccherie erano quattro, di cui una in borgo Pignolo, una in San Leonardo e una in Sant’Antonio.

Via Mario Lupo, già via delle Beccherie, dove erano le botteghe della macelleria, di proprietà dei Canonici di San Vincenzo (l’istituzione della Canonica risale al IX secolo)

la “Domus Calegariorum”, in piazza Mercato delle Scarpe, ospitava anche il Paratico dei Beccai (macellai), dove oggi sorge il palazzo della funicolare.

Piazza Mercato delle Scarpe (così chiamata dalla fine del Trecento) e il palazzo della funicolare, fatto costruire da Guidino Suardi sull’area già occupata dalla Domus Calegariorum et Becariurum

Intanto nella città al piano, già prima dell’anno Mille, in coincidenza con le festività del santo patrono si teneva  una grande fiera annuale nel Prato di S. Alessandro, dove con il tempo confluirono tutti i mercati della città, divenendo ben presto un centro economico e finanziario di grande importanza nel circuito delle fiere cittadine italiane ed europee: tanto che alla metà Cinquecento, grazie alla sua grande capacità produttiva Borgo S. Leonardo sembra già somigliare a una piccola città nella città, mentre cresce la tendenza al trasferimento di funzioni sempre più importanti del centro cittadino – la Città alta – verso la città Bassa (trasferimento che aumenterà significativamente con l’erezione delle mura veneziane, erette fra il 1561 e il 1595, ritrovando nuovo vigore nel Sette/Ottocento).

La più antica veduta del Prato di S. Alessandro, risalente al 1450. Dall’alto medioevo, nel vasto slargo a ridosso delle Muraine, in coincidenza con la festività del santo patrono si teneva una fiera provvisoria che ben presto assunse rilevanza internazionale. In questo luogo, a metà tra I borghi di S. Antonio e di S. Leonardo, affluivano le maggiori vie di transito (da un codice agiografico conservato nella Biblioteca di Mantova)

 

A pochi passi dalla Fiera, nel 1454 vengono eretti i portici intorno alla piazza del Borgo S. Leonardo (attuale Piazza Pontida), cuore pulsante della vecchia Bergamo

Nel vasto prato di S. Alessandro, la scarsa durata della manifestazione commerciale (pochi giorni alla fine di agosto), non pretendeva strutture o infrastrutture speciali, se non terreno sgombro ed acqua; ma il sistema di seriole e rogge già esistente e perfezionato nel Quattrocento garantiva il buon funzionamento del periodico affollarsi, oltre che di merci, anche di bestiame, qui presente sin dal 1579 in un mercato settimanale; nel 1593 i Rettori concessero che si tenesse i primi quattro giorni della prima settimana intera di ogni mese.

Anche se non è semplice stabilire come fosse distribuito tale mercato, è noto che in fiera, insieme alle più svariate mercanzie locali affluiva il bestiame allevato nella pianura e nelle valli, da dove scendevano in gran numero animali provenienti da zone specializzate in allevamenti: cavalli da Selvino, pecore da Clusone e Parre (1), muli (dei quali si faceva molto uso nelle miniere per il trasporto del minerale, del carbone, del ferro, ecc.), buoi e vitelli dalla valle Seriana, per i quali si conservava libera una determinata zona.

Da una relazione fatta dagli ispettori della Repubblica Veneta nel 1591 si parla di un mercato dei cavalli lungo la strada che va dal borgo di S. Antonio a S. Leonardo, mentre Gelfi allude per quel periodo ad un mercato del bestiame, specialmente bovino, che si teneva i primi tre giorni della prima settimana del mese (2).

Il bestiame diretto in città sostava nella piana di Valtesse (in antico detto Tegies o Teges per le sue tettoie atte al ricovero delle bestie), dove in parte doveva essere allevato.

La piana di Valtesse dalla Montagnetta (Baluardo di S. Lorenzo)

Nel Settecento, presso il Prato di S. Alessandro si tenevano due mercati del bestiame: uno a maggio e l’altro dal primo all’otto novembre, in occasione del “mercato dei Santi” (il terzo dei mercati annuali cittadini insieme a quelli di S. Antonio e S. Lucia), dove veniva commerciato “bestiame d’ogni specie ed in copiosa quantità”.  Più tardi il governo napoleonico dispose l’allontanamento del mercato del bestiame dalla zona del Sentierone, con la dichiarata volontà di migliorare le porte di accesso alla Fiera, come vetrina della città moderna.

Costantino Rosa, “Il Sentierone e la Fiera”. La Bergamo al piano è dominata dalla grande Fiera di pietra, edificata tra il 1732 ed il 1740 e per molto tempo un importante centro di scambi commerciali di livello nazionale ed internazionale. Sul fondo la città alta, cuore invece dell’attività politica ed amministrativa della vecchia Bergamo (Bergamo, proprietà dr. E. Tombini)

Tralasciando le tante notizie contraddittorie riportate dalle fonti per l’Ottocento, una una carta del 1809 attesta il Mercato dei Cavalli tra il Portello delle Grazie e il Teatro Riccardi (oggi Donizetti), mentre  nella Pianta del 1816 disegnata dal Manzini l’indicazione generica di Mercato del Bestiame compare tra l’attuale Prefettura e l’allora Teatro Riccardi (3), non molto distante dal vecchio Campo di Marte (Piazza d’Armi).

Dislocazione della Fiera di Bergamo in una carta del 1809. Cerchiato in rosso il Mercato dei Cavalli, tra il Portello delle Grazie e il Teatro Riccardi (da M. Gelfi, Op. cit.)

 

Pianta di Bergamo del 1816 disegnata dall’ing. Manzini. Nell’area antistante il quadrilatero della Fiera, il Campo di Marte da un lato e il Mercato del Bestiame dall’altro: quest’ultimo si estendeva tra l’attuale Prefettura e l’allora Teatro Riccardi, oggi Donizetti (M. Gelfi, Op, cit. per la didascalia)

 

Tra Piazza Cavour e via XX Settembre ai primi del Novecento. Solo pochi decenni prima la vasta area antistante la Fiera era occupata solo dal Teatro Riccardi; un’area così grande da ospitare il Mercato del Bestiame e la Piazza d’Armi, dove si esercitavano i soldati della guarnigione

Dopo la metà dell’Ottocento, in previsione della costruzione della sede della Provincia si realizzò un nuovo Mercato del Bestiame presso la nuova Piazza d’Armi, nel grande prato che presto assunse il nome di Foro Boario: un’ampia zona che comprendeva l’area dell’attuale Piazzale degli Alpini e della Stazione delle Autolinee.

Pecore al pascolo al Foro Boario

 

Mandria di bovini al Foro Boario

IL FORO BOARIO, IL MERCATO DEL BESTIAME E IL MACELLO

Come osservato, nel 1857, con l’erezione della Stazione Ferroviaria e l’apertura dell’attuale Viale Papa Giovanni XXIII la città aveva aperto un varco verso sud, continuando quell’opera di rinnovo urbano che era cominciata nel 1837 con l’apertura della Porta Nuova e l’erezione dei Propilei – ingresso monumentale e qualificato alla città degli affari -, seguita immediatamente dall’apertura della Strada Ferdinandea.

Tutta l’area a sud delle Muraine iniziava ad assumere una nuova configurazione, cambiando il volto di un’area che da rurale si apprestava a diventare “urbana”.

Attraverso le mappe del 1876 e del 1892, leggiamo le trasformazioni avvenute nella zona, che riscontriamo anche  nelle tante immagini giunte a noi.

Dal 1865 il nuovo Mercato del Bestiame occupa dunque la Piazza d’Armi presso la Stazione, e suddiviso in Mercato dei Cavalli, dei Bovini e dei Suini (4), attira una vivace folla di compratori e venditori, animando tutta la zona.

Una bellissima fotografia di Cesare Bizioli, risalente al 1885, rende bene l’idea della collocazione del Mercato, posto in corrispondenza dell’attuale piazzale degli Alpini.

Panoramica della Fiera di Bergamo sul “Prato Sant’Alessandro” vista dalle Mura di Città Alta, così come si presentava nel 1885. Davanti alla Fiera il Teatro Riccardi e verso destra i propilei. Oltre l’ultima cortina edificata la chiesa delle Grazie e, al centro dell’immagine, la vasta area non edificata del Foro Boario, preceduta dall’edificio del Macello e da un primo abbozzo dell’attuale via A. Maj (foto di Cesare Bizioli – Raccolta Lucchetti).

Almeno dal 1876 si inizia a tracciare la via del Macello (attuale via A. Maj) fino alla rogge Nuova e Morlana, ed entro il ’92 la via sarà completata, delimitando il lato nord del piazzale con il nuovo fronte del Macello comunale (1890), che possiamo ammirare nelle splendide immagini che seguono.

A fianco del Foro Boario, davanti al nuovo Macello comunale, realizzato nel 1890, la via del Macello (oggi A. Maj) in costruzione, con il Gamba de Lègn carico di pietrame della ditta Fabbrica Lombarda Cementi Riuniti. La via, parzialmente già tracciata almeno dal 1876,  sarà completata nel 1892

 

Via del Macello in costruzione, in un’immagine posteriore al 1890, anno di realizzazione del Macello (Foto Solza)

Intanto, entro il 1876, all’imbocco del piazzale della Stazione sorge il piccolo bar-ristorante intestato a Luzzana Maddalena, poi divenuto Albergo Stazione ed oggi sede di Mc Donald, in Piazzale Guglielmo Marconi.

L’attuale viale della Stazione, all’imbocco del quale sorge il piccolo bar-ristorante intestato a Luzzana Maddalena – oggi sede di Mc Donald – indicato sulla mappa del 1876. In lontananza, la cupola delle Grazie è completata sebbene non si noti il campanile, rialzato successivamente. Si notino le giovani alberature lungo il viale, ancora mancanti in via del Macello (attuale via A. Maj)

 

Il viale nel 1880. Il bar-ristorante ha mantenuto la dimensione originaria, mentre lungo il viale è stato piantumato anche il tratto vicino alla Stazione. Alle spalle del bar-ristorante, il Foro Boario e il primo tratto di via del Macello, anch’esso piantumato. L’edificio del Macello non è ancora realizzato (Foto di Andrea Taramelli)

 

Il viale dopo il 1890: il caffè-ristorante è stato sostituito da un “Caffè Ristorante con Alloggio” in muratura

 

L’Albergo Stazione (1891?)

Alla soglia del 1892 il Foro Boario, dopo la copertura delle rogge e alcuni accorpamenti compare nella sua massima estensione, con le due gradinate che lo delimitano verso il viale per superare il dislivello e il fronte est corrispondente all’attuale via Foro Boario delimitato dal muro dell’ex-Bersaglio.

Pianta di Bergamo del 1893. Si può notare la costruzione delle ferrovie e del Mercato del Bestiame (Foro Boario), così come il nuovo nome della Strada Ferdinandea, suddivisa in  viale Vittorio Emanuele e viale Napoleone III. La Piazza d’Armi è spostata fuori città, tra via Suardi e via S. Fermo

All’interno, compare la tettoia per l’alloggiamento dei cavalli, realizzata nel 1889 ed in seguito ridimensionata.

La tettoia per l’alloggiamento dei cavalli, realizzata nel 1889 e ridimensionata alla soglia dell’1898

Mentre il grande viale e l’area del Foro Boario acquistano via via una loro definizione, a  sud è comparso l’edificio della Ferrovia della Valle Seriana (1882-1884 circa) ed entro il 1906 sarà realizzato quello liberty della Valle Brembana, rappresentando una nuova opportunità economica e un
ulteriore radicamento della centralità di Bergamo nel contesto
montano.

L’edificio della Ferrovia della Valle Seriana, voluta per permettere un più agevole scambio di merci tra le industrie presenti in valle e il resto del territorio nazionale. Quello liberty della Valle Brembana verrà realizzato nel 1904-1906

Nel 1892 la via Paleocapa è ancora da attuare ma già delineata, con in testa il nuovo Palazzo Dolci, eretto in stile eclettico all’incrocio con il viale della Stazione.

Palazzo Dolci, eretto negli anni ‘70 dell’Ottocento, rappresenterà un segno architettonicamente dominante dell’incrocio tra via Paleocapa e il viale della Stazione, dove esprime il linguaggio eclettico del tempo. Il viale è ombreggiato dalle grandi chiome degli ippocastani, ampie e non maltrattate da maldestre potature

 

Veduta da Palazzo Dolci intorno al 1890, tra l’attuale viale Papa Giovanni e via Ermete Novelli. In quest’area, nel 1899 sorgerà il politeama Ermete Novelli e nel 1908 la Casa del Popolo, dove ha sede L’Eco di Bergamo. L’edificio a destra dovrebbe corrispondere al retro dell’odierno Hotel Piemontese, mentre quello a sinistra è un ampliamento del piccolo bar-ristorante intestato a Luzzana Maddalena, in  fronte al piazzale della Stazione, dove ad oggi si sono avvicendati numerosi esercizi di ristorazione. La ripresa mostra il Giardino  e il laghetto del floricoltore Codali (che vi teneva una grande serra), alimentato dalla roggia Ponte Perduto. D’estate fungeva da “piscina”, rigorosamente riservata alla popolazione maschile e affittata a 10 centesimi, mentre d’inverno lo specchio d’acqua ghiacciava diventando pista da pattinaggio e rifornendo ghiaccio per uso domestico. La serra fu poi trasformata in teatro (proprietà Dolci)

 

Il Politeama Ermete Novelli, sorto nel 1899 nella via Ermete Novelli riadattando la grande e singolare serra del preesistente Giardino Codali. In alto si riconosce la mole della Casa del Popolo, costruita agli inizi del Novecento cambiando la fisionomia del viale per la stazione. Fu proprio l’attore Ermete Novelli, con la sua compagnia, a tenere lo spettacolo con il quale si inaugurò la nuova sala. Che tuttavia non durò molto venendo tutta la zona coinvolta nelle trasformazioni del nuovo centro, che interessarono anche i lati del viale della stazione

Oltre il viale della Stazione si sta delineando la passeggiata in continuità del viale stesso con alcuni edifici sparsi .

Foro Boario e Macello

Verso la fine dell’Ottocento, sul lato orientale è quasi completamente aperta la via Foro Boario, impostata sul sito dell’antico Bersaglio, a collegare l’area del Macello con la Stazione Ferroviaria.

Primi del Novecento: il Macello comunale (cerchiato in rosso) affiancato da Casa Benaglio-Nava (in giallo) delimita a nord l’area del Foro Boario. A destra la via Foro Boario (in verde), è rimarcata da una fila di alberi. L’appartenenza ai Benaglio potrebbe riferirsi ai conti Benaglio, famiglia di antichissime origini, da sempre in ruoli chiave nell’amministrazione della città (tra le diverse residenze possedute a Bergamo, la più nota è Villa Benaglia presso S. Matteo a Longuelo). Nel mappale del 1901 l’edificio risulta di proprietà di Nava Giuseppina fu Battista (Roberto Brugali per Storylab), forse l’acquirente successiva Quest’ultima, come indicato in una non ben precisata Guida della città, potrebbe appartenere alla famiglia dei custodi del Macello

 

Il Foro Boario nel 1900, con la cupola della ottocentesca chiesa di S. Anna a far capolino sullo sfondo (Foto di Giovanni Limonta). La via a sinistra, sopraelevata rispetto al piazzale e dove sono assiepati molti spettatori è Via Angelo Maj. Visibile poco più avanti il complesso del Macello Comunale (1890). L’edificio visibile all’interno del Foro dovrebbe corrispondere alla struttura a croce evidenziata nel mappale del 1898. Tutta l’area cambiò volto dal 1921, in seguito alla costruzione dell’Istituto Tecnico Vittorio Emanuele II e alla realizzazione dell’antistante giardino pubblico

 

1897: un gruppo di operai lavora al completamento di via del Macello. Sulla destra è già realizzata la piccola struttura con pianta a croce, visibile nel mappale del 1898

 

Via del Macello nel 1885

 

1910: il viale del Macello sullo sfondo, perpendicolare a via Foro Boario (Raccolta D. Lucchetti)

Agli albori del Novecento, la qualificazione architettonica di tutta l’area ulteriormente viene favorita dalla realizzazione in stile liberty della Stazione della Valle Brembana (1904-1906 arch. R. Squadrelli).

L’edificio della F.V.B a destra e, a sinistra, quello della F.V.S. all’inizio del ‘900

 

La piazza antistante la Stazione Ferroviaria in una foto anteriore al 1912, ancora priva della fontana. Il viale mostra le trottatoie riservate al passaggio dei carri; i tram passavano invece ai lati del viale, doppiando la rotonda occupata da alcune palme, per dirigersi in centro e fino alla stazione della funicolare

 

La nuova fontana della Stazione, inaugurata il 15 giugno 1912 per celebrare il completamento del nuovo acquedotto di Algua, che da quel momento avrebbe alimentato le abitazioni private e le fontane pubbliche al posto della condotta che scendeva dalle sorgenti di Bondo Petello, sopra Albino, che in tempi siccitosi lasciava i rubinetti asciutti. La fontana – un elemento decorativo di notevole efficacia – offrì anche l’occasione per sistemare il piazzale con quattro aiuole contornate dall’elegante barriera in ferro battuto, poi rimosse (la ripresa è dei 1921)

Nel frattempo in viale Roma emergono, in posizione frontale al Foro Boario Casa Paleni (1902-1904), commissionata da Enrichetta Zenoni Paleni a Virginio Muzio e dalla ricca facciata in stile liberty.

Casa Paleni, tra via Novelli e viale Papa Giovanni XXIII. Le trifore curvilinee che decorano tutto il primo piano e gli ornati che vivacizzano la superficie della facciata, furono realizzati in cemento dalla stessa ditta Paleni, che si occupò anche della decorazione della chiesa di Santa Maria delle Grazie

Emerge poi per la compattezza anche se con una composizione più rigida la Casa del Popolo, progettata inizialmente da Virginio Muzio (scavi e posa della prima pietra risalgono al 1904), ma variamente realizzata da Ernesto Pirovano e completata nel 1908, anno della sua inaugurazione.

La Casa del Popolo, l’edificio oggi conosciuto come Palazzo Rezzara, ospita anche la sede de L’Eco di Bergamo. L’edificio fu progettato su incarico del Consiglio direttivo dell’Unione delle Istituzioni Sociali Cattoliche Bergamasche, presieduto da Rezzara

 

La Casa del Popolo, all’angolo tra viale Papa Giovanni XXIII e via Paleocapa. Oltre alle istituzioni cattoliche erano presenti anche un albergo, un ristorante, negozi, appartamenti, la redazione de “L’Eco”, la Banca Piccolo Credito, la cappella, sale di lettura, biliardo e il teatro Rubini che tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio dei Novanta fu sostituito dal Centro Congressi Giovanni XXIII. L’allora Viale della Stazione fu ribattezzato viale Roma – denominazione che mantiene anche oggi nel tratto tra Porta Nuova e via Petrarca -, mentre il tratto tra la stazione e Porta Nuova fu intitolato a Papa Giovanni XXIII

 

Via Paleocapa nel 1910, epoca in cui cominciavano a spuntare diversi villini liberty, solo in parte sopravvissuti. Al numero 9 sorgeva Villa Schubiger (1905-1910), tuttora esistente,  affiancata fino al 1967 da Villa Tadini (al civico 11) e da Casa Zanchi poco più distante, progettata da Ulisse Stacchini, molto attivo in quel di Milano

Dagli inizi del Novecento, anche se in tutto il territorio bergamasco la zootecnica restava una una coltura piuttosto povera e poco evoluta, il Mercato del Bestiame era diventato il principale della Lombardia, grazie alla posizione strategica delle città che catalizzava la produzione proveniente soprattutto dai distretti montani.

Carretti al Foro Boario e il Macello, nel 1903. La ripresa è scattata dall’attuale stazione delle autolinee

Ogni settimana venivano messi in vendita circa 15.000 cavalli, 2.000 fra muli e asini, 25.000 bovini adulti, 2.000 vitelli, 3.000 tra pecore e capre e 3.000 suini (l’afflusso nel corso dell’anno variava a seconda dell’andamento stagionale).

Il mercato, però, serviva soprattutto per l’esportazione, dato che la popolazione operaia era vegetariana “per necessità”, causa le scarse disponibilità economiche (5).

Il Foro Boario agli inizi del Novecento (sicuramente ante 1912 perché manca ancora la fontana della Stazione)

 

Un gregge di pecore al pascolo ripreso nel 1910 da Romeo Bonomelli dal Foro Boario (da Fotografi pionieri a Bergamo, di Domenico Lucchetti)

Tuttavia, verso il 1915, quando il Foro Boario perse la sua agibilità a causa della costruzione di nuovi edifici, il Mercato del Bestiame venne trasferito alla Malpensata, a quei tempi estrema periferia. Nel frattempo, in occasione delle celebrazioni del centenario del Donizetti (1897) si faceva strada l’idea di riqualificare architettonicamente ed urbanisticamente sia il viale Vittorio Emanuele e sia il Foro Boario, porta d’ingresso alla città dalla stazione: i lavori per la costruzione dell’Istituto Tecnico Vittorio Emanuele II e del giardino antistante (attuale piazzale degli Alpini) si avvieranno a partire dal 1921.

Palazzo Nuovo, eretto nel corso del Seicento e attualmente sede della Biblioteca Civica  Angelo Mai, ancora privo della facciata, completata negli anni 1926-27 dallo Scamozzi. L’ex Municipio divenne dal 1873 sede dell’Istituto Tecnico Vittorio Emanuele II (collocato in precedenza presso il Palazzo della Pretura Nuova in via Tasso 4) e venne adattato per ospitare anche la sezione industriale, che inizialmente si trovava in vicolo Aquila nera (trovando poi sede definitiva presso l’ex stabilimento della Società Automobili Lombarda, denominato Esperia). Agli inizi del Novecento, dati i grandi mutamenti che coinvolgevano l’economia e il sistema produttivo della nascente industria, si decise di unificare tutte le sezioni dell’Istituto (alla morte del re intitolato Regio Istituto Tecnico Vittorio Emanuele II) in un’unica sede in Foro Boario, nei pressi della stazione, completandola nel 1936

Intanto il Consiglio Comunale decideva di concentrare diversi mercati presso il Foro e nel 1909 deliberava di adattare 1.700 mq da destinare ad un eterogeneo “Mercato delle verdure”,  da tenersi parallelamente al Mercato del Bestiame.  Si commerciavano prodotti come latticini, granaglie (frumento, granoturco, orzo, segale), riso, lenticchie, fagioli e patate, che costituivano l’alimentazione principale per la maggior parte delle persone (6): con la riqualificazione del Foro Boario, il Mercato delle verdure dovette  confluire – se non tutto, almeno in parte – presso la struttura a pianta ellittica del Mercato ortofrutticolo, costruita su progetto di Ernesto Pirovano (1913-16), con l’affaccio principale su via S. Giorgio. Sotto i suoi porticati liberty avveniva la vendita quotidiana di frutta e verdura, mentre l’edificio principale ospitava gli uffici di controllo e i depositi merci.

Il Mercato Ortofrutticolo di via San Giorgio alla Malpensata, per metà demolito nel 1970, quando vennero abbattuti i  tre corpi di fabbrica porticati che sorgevano in posizione arretrata rispetto a via San Giorgio. A partire dal ’75 l’edificio principale ha ospitato nei locali al primo piano la biblioteca rionale San Tomaso, mentre ora è quasi totalmente dismesso, così come i porticati sopravvissuti alle demolizioni, ormai degradati

IL CICLODROMO/IPPODROMO E BUFFALO BILL

Alla fine dell’Ottocento, fuori la vasta area del Foro Boario, verso l’attuale via Fantoni venne realizzata la struttura del Ciclodromo, teatro di sfide fra corridori ciclisti anche stranieri – dove di certo non mancavano le scommesse – utilizzato anche come Ippodromo.

Nelle intenzioni della società che lo gestiva (la “Società Bergamasca di Sport e Ciclodromo”) avrebbe dovuto essere un grande impianto sportivo, il primo in città per le riunioni velocipedistiche.

La struttura, presente nelle piante dell’epoca, dovette restare in uso per  una ventina d’anni, dal momento che in una cartina del 1920 non è più evidenziata.

Bergamo dall’alto. Foto del 1924 della Società Airone. E’ visibile l’ampia zona libera dell’ex Foro Boario, ora occupata dall’Istituto Tecnico Vittorio Emanuele II e dal giardino antistante. Il Ciclodromo sorgeva poco oltre, in prossimità dell’attuale via Fantoni

In un secondo momento, un altro Ippodromo sarà realizzato nell’area tra l’ex Lazzaretto e i Celestini, da dove dovrà sloggiare nel 1928 per l’erezione dello Stadio Brumana: nella seconda piantina infatti l’Ippodromo accanto al Lazzaretto compare in concomitanza con la struttura del Ciclodromo presso il Foro.

Gli avventori erano accolti all’ingresso da una facciata posticcia, dipinta in stile neogotico su di un rivestimento in legno, con la denominazione della Società in bella mostra.

Carrozze e calessi in attesa di clienti davanti al Ciclodromo, tra la fine dell’Otto e l’inizio del Novecento. Sull’insegna spicca la scritta “Società Bergamasca di Sport e Ciclodromo”. La biglietteria staccava biglietti di prezzo diverso a seconda dei posti occupati lungo la pista: in piedi 50 centesimi; nel palco una lira, mentre per la loggia bisognava sborsare due lire (da Fotografi pionieri a Bergamo di Domenico Lucchetti. Foto di Cristoforo Capitanio)

La pista ebbe un ospite d’eccezione, Buffalo Bill, che all’inizio del secolo si esibì in città per ben due volte (compreso il 1906) a distanza di pochi anni, offrendo uno spettacolo ricco di connotazioni esotiche, non solo con indiani d’America ma anche con cosacchi, arabi, africani… Vi fu anche la singolare sfida con un ciclista bergamasco, Perico, e dopo un’emozionante gara, il grande cow boy a cavallo batté il concorrente in velocipede.

Buffalo Bill a Brescia (per gentile concessione di Livio Beneceretti)

Nel 1906, lo show si svolse in una struttura coperta (un tendone da circo?), sfruttando l’energia di un potente generatore elettrico. I dettagli di questo evento sono descritti minuziosamente da L’ Eco di Bergamo del 3 maggio 1906.

IL MERCATO DEL BESTIAME ALLA MALPENSATA: NASCE IL MERCATO DEL LUNEDI’  

Verso il 1915 dunque, il riassetto di tutta l’area del Foro Boario e la costruzione di nuovi edifici  avevano dato luogo al trasferimento del Mercato del Bestiame nell’allora periferico piazzale della Malpensata, reso agibile in seguito alla recente dismissione del Cimitero di San Giorgio, che si trovava tra la chiesa omonima e il piazzale.

Cappella al cimitero di San Giorgio, alla Malpensata, dismesso nel 1909 quando già da qualche anno era in funzione il Monumentale; la sua struttura resistette in loco fino agli anni ’40

E fu grazie al nuovo Mercato del Bestiame, che si teneva il lunedì, che si consolidò l’usanza di allestire alla Malpensata il grande ed eterogeneo “mercato del lunedì”, dove sino a poco tempo fa si smerciavano i prodotti più svariati.

Ripresa fotografica del 1925 circa: i l nuovo Mercato del Bestiame trasferitosi alla Malpensata verso il 1915 (Raccolta Lucchetti)

Il lunedì, giorno di mercato, i primi a riversarsi in città erano i mandriani provenienti dal contado, che si davano di turno e di cambio ogni qualche lunedì; viaggiavano sistemati per lo più su carri e carretti trainati da cavalli e talvolta da muli, stracolmi di bovini destinati al macello o al mercato che lo concerneva.

“Tentavano l’avventura nella città e i meno timidi addirittura all’ingresso di quelle case un po’ riposte le cui vestali, come se li trovavano davanti, subito li portavano al lavandino del servizio annesso alle stanze fatali per un cautelare ‘rigoverno’. Un’operazione sempre opportuna prima degli abbandoni a mercenarie lascivie”.

Per le povere bestie, il viaggio verso Bergamo “era una tappa interlocutoria verso la soluzione finale che gli animali presentivano e denunciavano in lamentazioni struggenti; lamentazioni che nella bella stagione risvegliavano subito quei cittadini che dormivano con le finestre aperte. C’era poi anche il sottofondo, il grufolio dei porcelli contrappuntato, nel periodo pasquale, dai belati delle caprette che già vedevano il figlioletto sgozzato, arrostito e offerto in bella vista tra verdi grasèi e gialle polente”. A questi suoni si univano le urla dei venditori.

Ripresa fotografica del 1925 circa: i l nuovo Mercato del Bestiame trasferitosi alla Malpensata verso il 1915 (Raccolta Lucchetti)

Dopo le bestie e i mandriani, al mercato arrivavano i mediatori – col fazzoletto al collo tenuto da un anello – i venditori e i rivenditori, così come gli acquirenti di granaglie e di concimi, gli allevatori con i loro esperti di fiducia, i rappresentanti delle ditte produttrici di attrezzi e macchine agricole.

Ripresa fotografica del 1925 circa: i l nuovo Mercato del Bestiame trasferitosi alla Malpensata verso il 1915 (Raccolta Lucchetti)

Tutti armati di taccuini e di matite copiative, si allogavano ai tavolini dei caffè e delle mescite del centro, dove alcune osterie raccoglievano i mediatori delle valli ed altre quelli della pianura. Solitamente il Caffé Dondena (poi demolito) raccoglieva i subalterni, mentre i “padroni” si recavano al Cappello d’Oro, dove poi avrebbero pranzato.

Appena fuori Porta Nuova, sorsero presto numerosi alberghi e ristoranti per accogliere i viaggiatori. Il Cappello d’Oro, a sinistra della fotografia, assicurava anche il noleggio di carrozze

Nel secondo pomeriggio, dopo aver congedato i mercanti ormai ubriachi (qualcuno diretto alla corriera ed altri a piedi, spingendo col bastone fino a casa le bestie acquistate), costoro prendevano la via di quelle case dove già avevano indugiato i giovani mungitori, aggirandosi in quei vicoli intorno a Piazza Pontida, dai nomi un po’ misteriosi (del Bancalegno, dei Dottori, di San Lazzaro, della Stretta degli Asini) dove “pulsava la presenza, domiciliare e lavorativa, di signorine o ex signore, talora anche un po’ sul declino, dai fascinosi nomi d’arte: la Parigina, la Sigaretta, la Fornarina, l’Avorio Nero, la Nuvola. Le favorite degli operatori del lunedì che più potevano spendere e che potevano anche concedersi una cenetta al Ponte di Legno” (7).

Quando il sole cedeva alla sera e si rinfrescava l’aria, Città alta si profilava nel cielo nitida e sola, ed estranea ai mercati del Borgo sembrava una gran dama, che dal suo balcone assisteva sorridente a una festa di paese.

Resistettero quei lunedì non troppo oltre l’ultimo dopoguerra.

Negli anni Cinquanta, specialmente in occasione del “mercato del lunedì” il palazzo della Borsa Merci fu a lungo sede di contrattazioni ed infine si pensò alla realizzazione di un nuovo Mercato del Bestiame e di nuovo Macello pubblico.

Il palazzo della Borsa Merci, realizzata nel 1954 su progetto di Marcello Piacentini per conto della Camera di Commercio di Bergamo. L’edificio si sviluppa tra viale Vittorio Emanuele II e via Francesco Petrarca e costituisce il completamento del disegno urbano per l’odierna piazza Libertà. I locali per le contrattazioni venivano affittati singolarmente. Il piano interrato ospitava i servizi della borsa e alcuni locali adibiti a esposizioni temporanee dominati dalla presenza di un pilastro centrale che Angelini rivestì con ventidue tipi diversi di marmi, provenienti dalle valli bergamasche, che costituiscono un’allegoria della maschera di Arlecchino. Angelini  l’artefice delle soluzione spaziali adottate per gli interni, di cui progettò anche gran parte dell’arredo. L’edificio ospita oggi diverse attività commerciali e amministrative

LA TRADIZIONE DEL LUNA PARK

Come testimoniato dalle tante immagini giunte a noi, per molto tempo l’antesignano del Luna Park trovò la sua collocazione ideale nell’allora Piazza Baroni, sull’area oggi compresa tra il Palazzo di Giustizia e il Palazzo della Libertà, a pochi passi dai pazienti ricoverati presso il vecchio Ospedale di San Marco, a lungo costrette a condividere la promiscuità con gli schiamazzi e gli olezzi provenienti dall’area.

Era la parte riservata al divertimento della Fiera di Sant’Alessandro, che richiamava un gran numero di persone dalla provincia e dalle regioni vicine. Arrivavano giocolieri, saltimbanchi, piccoli circhi, ambulanti; meraviglie e attrazioni di ogni genere: le oche ammaestrate, la donna barbuta, il gorilla, la balena impagliata. Ma venivano presentate anche le meraviglie del secolo, compresa la fotografia, che un fotografo ambulante portò a Bergamo poco dopo l’invenzione di Daguerre.

Accanto a Piazza Baroni, la futura via Verdi (anche via Tasca ancora non esiste) fa da spartiacque alle baracche e ai tendoni che costituiscono la parte più ludica della Fiera, quella degli animali da circo e dei fenomeni da baraccone. Un articolo dell’”Eco” riferisce che il 24 agosto del 1908, in occasione della festa di Sant’Alessandro in fiera, in Piazza Baroni si promuovevano diverse iniziative. Sul fondo si distinguono, sulla sinistra la facciata del tempio evangelico, uno dei primi edifici del nuovo centro cittadino, ai margini della via Ferdinandea ora viale Vittorio Emanuele II; sulla destra il campanile della chiesa di S. Alessandro in Colonna (terminato nel 1905) e a destra l’Ospedale di San Marco (fondato nel 1458 e completato nel ‘500), demolito nel 1937

 

Scene di vita dalla vecchia Fiera del “Prato S. Alessandro”. Dai tendoni sullo sfondo si nota che la zona è quella dedicata ai divertimenti nello spazio esterno ai casotti

Con l’abbattimento della Fiera verso la fine degli anni Venti, il Luna Park trovò una sede più idonea presso il Foro Boario, dove – racconta Luigi Pelandi – si ergeva solitamente un grande anfiteatro a mo’ d’arena e dove soprattutto durante il periodo della Fiera si combinavano delle ascensioni con il globo aerostatico, esercizi di acrobazia, esibizioni ginniche, corse di cavalli, ed altro ancora.

Acrobati motociclisti nel 1915 in Piazza Baroni o presso il Foro Boario? Un dubbio sollevato da Adriano Rosa in Storylab: “Il presunto vincitore è posto su una motocicletta, e alle sue spalle è presente una struttura che pare essere circolare, tipica di quelle dove si svolgono le acrobazie dette “giro della morte”. Inoltre anche sullo sfondo compaiono disegni di motociclette. Infine si notano due scritte “Faust” e “Radames”, che rimandano a due famose opere liriche (Radames, indirettamente, è un personaggio dell’Aida). Se ricordo bene ciò che ho letto da qualche parte, questi spettacoli venivano effettuati in una struttura eretta in Piazza Baroni o in Foro Boario”

 

Un “ottovolante” al Foro Boario, nel 1929

In seguito, per un breve periodo si posizionò nei giardini della Casa del Popolo (sede odierna de L’Eco di Bergamo) e successivamente, per un certo periodo (verosimilmente nel dopoguerra) dovette sostare nel grande campo incolto che si estendeva tra l’attuale piazza della Repubblica e viale Vittorio Emanuele.

Appena dopo la seconda guerra mondiale, la zona tra l’attuale piazza della Repubblica e viale Vittorio Emanuele era ancora un campo incolto. Sullo sfondo, Casa S. Marco (1938), la Casa Littoria (Casa della Libertà, 1936) e il Palazzo delle Poste, inaugurato nel 1932

Agli albori degli anni Cinquanta, la costruzione del palazzo dell’INPS e la riqualificazione del piazzale costrinsero i baracconi della Fiera di Sant’Alessandro a trasferirsi sul piazzale di terra battuta della Malpensata, dove periodicamente, da qualche tempo doveva stazionare il Circo equestre, di cui si conserva una testimonianza.

Anni Cinquanta: il Circo di Darix Togni – domatore di tigri – alla Malpensata. Alle spalle si riconosce l’edificio della “Bonomelli”,  prima dei vari ampliamenti e ristrutturazioni susseguitesi negli anni. L’edificio con le quattro finestre sovrapposte fa ora parte di un’ala che arriva fin quasi alla ex pista di pattinaggio su ghiaccio

Una fotografia datata 1957/58 – Elefanti alla “Zuccheriera” di Porta Nuova – attesta per quegli anni la presenza di un Circo equestre nelle vicinanze del centro; l’abbigliamento estivo dei bambini lascia supporre che la ripresa sia stata eseguita in primavera, in occasione dell’allestimento del Circo alla Malpensata.

Elefanti all’ “abbeverata” di Porta Nuova (la Zuccheriera) nel 1957/58 (Fondo Fausto Asperti – Museo delle storie di Bergamo)

 

Una rara immagine dei baracconi della Fiera di S. Alessandro, intorno alla fine degli anni Cinquanta, con il piazzale della Malpensata ancora spoglio. In quello che allora veniva chiamato “Autosprint”, il circuito a forma di 8 visibile in primo piano, sfilarono in un primo tempo delle automobiline piuttosto veloci che ricordavano la Giulietta spider, venendo poi sostituite da Go Kart. In secondo piano si vede l’Autoscontro mentre a destra si intravedono le famose “Gabbie”

 

Via Don Bosco dal piazzale della Malpensata intorno alla fine degli anni Cinquanta, come si evince anche dal “grattacielo” di via Tiraboschi visibile in alto a destra e risalente a quel periodo. La ripresa fu scattata dalla ruota panoramica della fiera, della quale si intravede uno scorcio di baraccone in primo piano. “Cosi’ si presentava l’incrocio Via Carnovali-Via Don Bosco, con quel distributore (marchio Caltex, se ricordo bene), che resto’ lì per molto tempo, fino alla fine degli anni ’70. Una zona molto cambiata, quasi tutti gli edifici sulla sinistra sono stati demoliti, sostituiti da enormi condomini. Il grande edificio del gasometro, la cui demolizione è stata completata da poco per la costruzione del parcheggio, è appena fuori quadro, Ci sono due campanili visibili: quello piccolo a sinistra è della Chiesa di San Giorgio, quello più alto è quello, inconfondibile, di S. Alessandro. La foto fu scattata ad Agosto, quando sul piazzale della Malpensata si teneva il Luna Park” (Adriano Rosa per Storylab. Fotografia caricata da Pietro Bellavita)

In occasione della sistemazione del piazzale della Malpensata, messo a punto nel ’64, il Luna Park della festa patronale di Sant’Alessandro si trasferì presso il Piazzale della Celadina, dove rimase per una cinquantina d’anni finché di recente non venne spostato in un’area adiacente.

Piazzale della Malpensata, 1964

LA RIQUALIFICAZIONE DEL FORO BOARIO E LA COSTRUZIONE DELL’ISTITUTO TECNICO VITTORIO EMANUELE II

Mentre la nascita, tra  il 1882 e il 1906, degli edifici delle Ferrovie delle Valli  rappresenta un primo segno di qualificazione architettonica dell’area, sull’ampio piazzale si realizzano interventi tesi a razionalizzare e concentrare diverse attività, destinando – come detto – 1700 mq del foro per il Mercato delle verdure.

Con le celebrazioni del centenario del Donizetti (1897) comincia tuttavia a farsi strada un progetto di più ampio respiro, teso a riqualificare il viale Vittorio Emanuele e il Foro Boario, che costituiscono la porta d’ingresso alla città dalla stazione.

L’evoluzione novecentesca del viale della Stazione, poi viale Roma ed oggi Papa Giovanni XXIII

La decisione di collocare sul sito il nuovo palazzo per accogliere l’Istituto Tecnico Vittorio Emanuele II (concepito come embrione di una cittadella degli Studi), realizzando il nuovo giardino pubblico antistante, sarà determinante nella definizione dell’attuale area del piazzale.

 

Dopo la posa della prima pietra il 23 settembre 1913 alla presenza del re Vittorio Emanuele III, l’edificio verrà costruito in due diverse fasi, di cui gli studi riportano date discordanti.

Due ali di folla, con bandiere, applausi e grida “Viva il re!” al passaggio a Porta Nuova del corteo con l’auto – scortata da carabinieri in bicicletta – sulla quale sfila Vittorio Emanuele III in visita alla città il 23 settembre 1913. In questa occasione il re presenzia alla posa della prima pietra dell’lstituto Tecnico in Foro Boario e all’inaugurazione del monumento a Cavour. Inoltre compie una visita l’lstituto Italiano d’Arti Grafiche ed un’altra in Città Alta e alla Cappella Colleoni (da “Fotografi pionieri a Bergamo” di Domenico Lucchetti – Foto di Giuseppe Locatelli)

Il progetto, che prevedeva per il complesso un’impostazione a C e a prospetto lineare con un corpo centrale emergente, fu affidato all’ing. Michele Astori, ma venne indetto un concorso di architettura per la facciata nel 1913, vinto da Marcello Piacentini. Luigi Angelini coordinerà i lavori, su cui poi interverrà con delle modifiche l’ing. Ernesto Suardo.

La prima ala venne terminata nel 1922 e completata nel 1934-1936 con la variante del corpo centrale disegnato dal Piacentini (8), mentre il complesso è completato nel 1936 e nell’ottobre dello stesso anno è inaugurata l’ala nuova (9).

La fabbrica del primo lotto (1818) dell’Istituto Tecnico Vittorio Emanuele II. A lavori ultimati, comprendeva 13 aule, 6 aule speciali, 6 di disegno, 4 laboratori (fisica, elettrotecnica, chimica generale, chimica industriale)

 

Il secondo lotto dell’Istituto Tecnico Vittorio Emanuele II, completato nel 1936. Venne occupato dall’Istituto Industriale, che nel 1919 trovò sede nella ex fabbrica di automobili Esperia, lasciando dunque spazio al neonato liceo scientifico. L’edificio fu infatti fortemente voluto per i grandi mutamenti che coinvolgevano l’economia e il sistema produttivo della nascente industria

 

 

In una foto del 1924, il primo lotto dell’Istituto Tecnico Vittorio Emanuele, concluso nel 1922. In primo piano il nuovo giardino realizzato nei primi anni Venti da P. Pesenti. Costruita la prima ala dell’Istituto Tecnico e realizzato il primo impianto dei giardini pubblici, l’area del Foro Boario ospiterà gli stand della Fiera campionaria (che in precedenza si teneva nel cortile del Palazzo Tre Passi) e gli espositori – industriali, artigiani, commercianti, agricoltori – raddoppieranno

 

Una fotografia priva di data, con l’impianto del giardino non ancora ultimato e piantumato

Nel corso dei lavori del primo lotto il Comune realizza il primo impianto dei giardini pubblici che, seppur diverso rispetto al progetto iniziale (10), è ben evidenziato nelle foto aeree del 1924 con la rete geometrica dei vialetti e il parterre della sezione centrale che enfatizza l’architettura aulica e monumentale del nuovo edificio.  Le due ampie piazzole ai lati erano destinate ad aree di sosta.

Volo aerea del 1924, dettaglio sul Foro Boario e contesto (Civica Biblioteca Angelo Mai Bergamo), Si noti anche l’ampio viale allineato con il muro di cinta meridionale delle scuole, a delimitare il confine del giardino. Nel 1927 sono citati alcuni aceri, due magnolie, due laurus a palle e cinque laurus a piramide

 

Da Raccolta Lucchetti (l’annullo postale è del 1930). Nel 1922 l’edificio in Foro Boario ospita il l Regio  Istituto Tecnico, ridotto alla sola sezione Commercio – Ragioneria

Mentre l’intero Foro si anima Foro con la presenza di alcuni chioschi e di strutture di svago, Bergamo cresce; di lì a poco, tra il 1933 e il ’36 verrà realizzata la nuova Stazione delle Autolinee, che si raccorderà al giardino pubblico – posto a una quota inferiore – mediante un’ampia gradinata di collegamento.

Bergamo dall’alto. Foto del 1924 della Società Airone. L’Istituto Tecnico Vittorio Emanuele II nell’area dell’ex Foro Boario, come si presentava al termine della prima fase della sua costruzione. Si nota la Chiesa delle Grazie con ancora il vecchio campanile, mentre dietro la cupola, nell’attuale via Taramelli è visibile la ciminiera del Cotonificio Reich. Oltre la via A. Maj, verso le vie Bono, Rovelli e David emergono le tante fabbriche dell’epoca: la lombarda Cementi, Molini Bergamo, Cesalpinia, Agnelli, Molini Callioni, ed altre. In lontananza, la ciminiera più alta: quella del Linificio e Cotonificio Oetiker di via A, Maj

 

L’ARRIVO DELLA STAZIONE DELLE AUTOLINEE CANCELLA LA TORRE E LO STADIO “BARLASSINA”

Nel 1957 la stazione è sottoposta ad una complessiva ristrutturazione per la realizzazione della Stazione delle Autolinee, in occasione della quale viene innalzato il grande arco di sostegno in cemento e tiranti e della struttura delle pensiline: il terminal venne ritenuto all’avanguardia.

La Stazione dellle Autolinee vista da sud. Venne realizzata nel 1957, con il grande arco di sostegno  della struttura delle pensiline. Oltre ai negozi e bar, la zona era provvista anche di un albergo diurno con docce pubbliche

 

La nuova Stazione delle Autolinee con a fianco, l’edificio liberty della Ferrovia della Valle Brembana, opera dell’arch. Squadrelli

E’ probabilmente in questa occasione che viene demolita l’alta torre che sorgeva a lato del fronte sud-est dell’Istituto Tecnico, la cui collocazione si precisa in alcune immagini di repertorio.

1924: a destra dell’Istituto Tecnico Vittorio Emanuele II, la torretta di Piazzale Marconi. Come ipotizzato nei commenti di Storylab, poteva trattarsi di una cabina elettrica appartenente alla società privata Orobia

 

La torretta di Piazzale Marconi, presso il Foro Boario

La ritroviamo in altre due riprese eseguite probabilmente per immortalare la piena del torrente Morla del ’37 e del ’49.

A sinistra, la torre in Piazzale Marconi nel 1949, verosimilmente demolita intorno al 1965 per la realizzazione della Stazione delle Autolinee. Il piazzale è allagato probabilmente a causa della piena della Morla di quello stesso anno. Lo stadio “Barlassina”, demolito negli anni Cinquanta, si trovava proprio oltre la muraglia sovrastata dalla scritta (casuale quanto azzeccata) “Masera” (“a macero” nel dialetto locale) (Archivio Wells)

 

Un’altra immagine della , la torre in Piazzale Marconi nel 1937, probabilmente scattata in occasione della piena della Morla registrata dalle cronache. Poco distante, l’edificio della Stazione della Valle Brembana

 

Estratto da Piano regolatore della Città di Bergamo del 1906, il corso del torrente Morla nellarea della Stazione Ferroviaria (Archivio Ra.pu)

Ed è probabilmente a causa della realizzazione della Stazione delle Autolinee che viene abbattuto il piccolo Stadio Barlassina (11) che sorgeva a fianco della F.V.B. e di cui è difficile reperire la data di costruzione.

Inizi anni Cinquanta: la demolizione dello Stadio Barlassina, nell’area dove venne realizzata la Stazione delle Autolinee. Quei vagoni ferroviari dovrebbero appartenere alle Ferrovie delle Valli. Il tamburo a destra dovrebbe essere quello di S. Anna; l’edificio a destra è ancora esistente (anche se ridotto nelle volumetrie) quasi all’incrocio tra le vie Foro Boario e Bono, così come gli edifici retrostanti

Si è osservato che l’origine del nome Barlassina potrebbe derivare dall’arbitro più famoso degli anni Trenta, Rinaldo Barlassina – di origine novarese – scomparso a Bergamo nel 1946 per un incidente stradale. Se ciò fosse vero, il campo di calcio dovette perdurare solo per pochi anni in quanto il piccolo stadio, con il fondo in in terra battuta, venne demolito agli inizi degli anni Cinquanta.

La struttura occupava parte dell’area dell’attuale Stazione delle Autolinee e confinava con la FVB.

Pizzale Marconi nel 1953: il “Barlassina”, che sorgeva a lato della F.V.B., è da poco scomparso per fare spazio alla rinnovata Stazione delle Autolinee (Foto Wells)

D’estate il campo ospitava il celebre torneo detto “Notturno”,  poi sostituito dal “Palio 18 Isolabella” che negli anni ’50/’60 si teneva ogni sera d’estate e con grande affluenza di pubblico sul campo dell’Olimpia nell’Oratorio di Borgo Palazzo, a cui partecipavano – profumatamente pagati e sotto falso nome – anche calciatori professionisti (12).

IL DOPOGUERRA E LA NASCITA DEL “GIARDINO LUSSANA”

Nel Dopoguerra, tra i vari progetti avviati per la ricostituzione del patrimonio arboreo delle aree verdi pubbliche devastate durante la seconda guerra mondiale, si avvia quello del “Giardino Lussana”, nome che assume il giardino antistante l’Istituto Vittorio Emanuele II.

Dopo qualche variante apportata nel luglio del ’46 viene realizzato il nuovo giardino progettato da Luigi Angelini, con il viale in asse con la facciata dell’Istituto e l’aiuola centrale con piazzola. Le immagini raccontano la sua evoluzione.

Come previsto nell’atto di cessione del lotto di terreno, le piantumazioni hanno  lasciato libera la visuale dal viale Roma al corpo centrale della facciata principale dell’Istituto Tecnico

 

Il  giardino in un immagine antecedente al 1962

 

Il Giardino Lussana ancora privo del monumento all’alpino in una foto non datata

Nel frattempo via Paleocapa va assumendo il volto attuale.

Via Paleocapa, con a sinistra l’ex Casa del Popolo, oggi Palazzo Rezzara, con visibili l’ingresso dell’Hotel Moderno e del Cinema Rubini (sostituito tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio dei Novanta dal Centro Congressi Giovanni XXIII). A destra il Palazzo Dolci

DAL MONUMENTO ALL’ALPINO AL DECLINO E ALLA RINASCITA DELL’AREA

Nella Bergamo da tempo privata di un monumento dedicato agli alpini ed in seguito alle pressanti richieste degli alpini bergamaschi, nel 1957 si decide finalmente di issare in città un nuovo monumento. Per la collocazione la scelta cade sul Giardino Lussana, ed in seguito a un concorso nazionale vengono affidate agli arch. Giuseppe Gambirasio, Aurelio Cortesi e Nevio Armeggiani la progettazione, la collocazione e la realizzazione dello slanciato monumento con vasche d’acqua dedicato agli alpini, mentre la scultura bronzea dell’Alpino arrampicante è di Peppino Marzot.

La posa della prima pietra avvenne il 31 gennaio del 1960 e per desiderio degli alpini bergamaschi l’inaugurazione viene fatta coincidere con l’adunata nazionale degli alpini, che si terrà a Bergamo il 18 marzo del 1962.

L’altezza del monumento diventa un preciso riferimento urbano, accentuando maggiormente la centralità dell’impianto del giardino – titolato d’ora in avanti Piazzale degli Alpini -, a scapito della visione del palazzo dell’Istituto Tecnico.

Il monumento all’Alpino nel piazzale degli Alpini. Al fine di valorizzare il monumento, nella fontana non vengono realizzati giochi d’acqua

 

Pianta topo-idrografica della città di Bergamo e sobborghi dell’Istituto Geografico Militare, compilata e disegnata dall’Ing. Roberto Fuzier nel 1896. Sono indicate le rogge principali e i canali secondari derivati. L’area è ricca di corsi d’acqua: in corrispondenza della fontana la roggia Nuova e la Coda Morlana si uniscono dando origine alla roggia Ponte Perduto

Negli anni 80 inizia il declino della Stazione delle Autolinee, con l’aumento degli scippi, delle rapine e soprattutto dello spaccio di droga. La sala d’aspetto diventa un bazar dello spaccio e ostello per sbandati e clochard di ogni sorta.

Clochard in viale Roma, anni ’70

Mentre crescono le retate e i presidi delle forze dell’ordine, e crescono le telecamere, si muove anche la solidarietà con l’istituzione del camper di Don Fausto Resmini e i volontari della Caritas. Nel 2010 iniziano i lavori per riqualificare il piazzale degli Alpini per la costruzione del moderno Bergamo Science Center (arch. Giuseppe Gambirasio e Marco Tomasi), finchè non si approda all’ennesimo restyling dell’area, frutto di storia recente.

 

VECCHI RICORDI DI VIA ANGELO MAJ

Nel 1953 il vecchio Macello comunale di via A. Maj fu spostato alla Celadina e poco dopo la sua demolizione fu costruito l’istituto Secco Suardo.

Via Angelo Maj e, in primo piano, il vecchio macello cittadino. L’immagine è antecedente al 1953, anno in cui il vecchio macello della città fu spostato alla Celadina. Dopo il trasferimento l’edificio fu demolito per fare posto all’istituto Secco Suardo (Archivio Wells)

Nella stessa via, oggi trasfigurata, c’erano altre attività storiche come il Mulino Oleificio Callioni, la Trattoria del Bue Rosso e l’edificio del Monopolio di Stato. Quest’ultimo era stato costruito prima della seconda guerra mondiale e per tantissimi anni aveva mantenuto la stessa impostazione: tabacchi sulla destra, sale sulla sinistra, un ampio cortile ombreggiato da un grande fico al centro.

Poi i Monopoli arrivarono al capolinea, con l’affidamento della manifattura e della distribuzione del tabacco ai privati ponendo fine a una delle ultime testimonianze di quella che può essere considerata una vera e propria epopea.

Uno dei carretti che si aggiravano in città per conto del Monopolio di Stato. Trasportava sale e tabacchi, raggiungendo anche Città Alta, forse percorrendo il viale delle Mura per evitare che il ronzino si affaticasse lungo le ripide strade. Il capo chino, le orecchie basse e il passo lento, per le strade piane del centro, sono un ricordo familiare per molti. Questo  carretto doveva circolare ancora intorno alla metà degli anni Settanta, come si evince anche dalle automobili riprese, e c’è chi lo ricorda ancora almeno oltre la metà degli anni Ottanta, anche se in un primo periodo il cavallo bianco veniva utilizzato alternativamente ad un cavallo marrone. Negli ultimi periodi venne invece utilizzato un cavallo nero

 

1979: l’ultimo cavallo che trainò il carretto del Monopolio; il conducente era il signor Magri. Il carretto è ripreso all’altezza della ricevitoria del Totocalcio, a fianco del Teatro Donizetti. E’ strano che in un periodo come quello il monopolio si servisse ancora di un carretto per recapitare le sue merci. O forse, chissà, può essere stata una scelta del “carrettiere”: forse non lo sapremo mai, ma ci resta pur sempre questo bellissimo ricordo (Ph Giuseppe Preianò)

Dopo la loro privatizzazione, avvenuta tra la fine degli anni Novanta e gli inizi del nuovo secolo, nel giugno del 2005 lo storico deposito di via A. Maj è stato ceduto dallo Stato e destinato a complesso residenziale e negozi, evocando nel  nome (Residenza Monopoli) i gloriosi trascorsi.

In lontananza il profilo del vecchio Macello, prima del 1953

Pur pur non presentando alcun pregio artistico,  l’intervento edilizio, eseguito su progetto dell’architetto Pietro Valicenti, ha mantenuto, ristrutturandolo, il fronte su via Maj perché legato al vincolo imposto dal vecchio piano regolatore. L’unica modifica ha riguardato l’ampliamento dei riquadri sulla facciata che sono stati rimpiazzati da ampie finestre.

 

Note

(1) A Bergamo la lana era prodotta e commerciata già dal Duecento e nel ‘500 Bergamo, Milano e Como, costituivano di gran lunga la principale area laniera italiana e una delle principali d’Europa, cosicché, nella seconda metà del ‘500, grazie al raggio d’azione internazionale dei potenti mercanti bergamaschi legati soprattutto alla manifattura della lana (settore fondamentale in ambito tessile bergamasco), la grande Fiera di Bergamo godeva del suo massimo splendore. La manifattura tessile legata soprattutto al settore laniero legato ai panni di lana della Val Gandino (una delle  componenti essenziali della Fiera) si esaurì rapidamente con la caduta della Repubblica di Venezia, per gli ostacoli posti al commercio internazionale e dal ripetuto variare dei regimi doganali, che nel periodo napoleonico favoriscono i mercati francesi. Il settore laniero era ormai incapace di reggere la concorrenza lombarda, soprattutto milanese (da M. Gelfi, La fiera di Bergamo: il volto di una città attraverso i rapporti commerciali, Ed.Junior, 1993).

(2) M. Gelfi, Op, cit.

(3) M. Gelfi, Op, cit.

(4) Comune di Bergamo – Area Politiche del Territorio – Concorso di Progettazione per tre piazze a Bergamo: Piazza Carrara, Piazzale Risorgimento, Piazzale Alpini. Luigi Pelandi (Op. cit.) afferma che nel 1857 al Foro Boario fu trasportato il Mercato bovino e, nel 1870, anche quello equino. Al mercato equino, Luigi Volpi (Op. cit.) aggiunge anche il mercato fessipede.

(5) LA S.A.B. AUTOSERVIZI – Più di cent’anni ma non li dimostra. Ricerca condotta da: Chiara Caccia, Stefano Negretti, Maria Grazia Pirozzi.

(6) Ibidem.

(7)  Rievocazione di Emilio Zenoni in: Pilade Frattini, Renato Ravanelli, Op. cit.

(8) Comune di Bergamo – Area Politiche del Territorio – Concorso di Progettazione per tre piazze a Bergamo, Op, cit.

(9) A cura di Giovanni Luca Dilda, La sezione ottocentesca dell’archivio del Vittorio Emanuele II.

(10) La realizzazione dell’impianto, progettato dall’arch. Michele Astori, fu rimandata per via del conflitto mondiale e probabilmente non venne eseguita. Esso era impostato su un viale centrale ad enfatizzare la facciata del palazzo e un viale perpendicolare aderente alla facciata per dare continuità e attenzione alla visuale con città alta, ma non è chiaro se in un primo momento fosse stata adottata la soluzione del viale centrale. Il disegno è conservato presso la Civica Biblioteca Mai Bergamo. Nel 1923 la Giunta approvava un progetto di sistemazione a giardino «con piante, vialetti e pietre» di cui rimane un disegno (Comune di Bergamo – Area Politiche del Territorio – Concorso di Progettazione per tre piazze a Bergamo, Op, cit.).

(11) Pilade Frattini e Renato Ravanelli, Op. cit.

(12) Pilade Frattini e Renato Ravanelli, Op. cit.

Riferimenti principali

Comune di Bergamo – Area Politiche del Territorio – Concorso di Progettazione per tre piazze a Bergamo: Piazza Carrara, Piazzale Risorgimento, Piazzale Alpini.

“Il Novecento a Bergamo – Cronache di un secolo”. Di Pilade Frattini e Renato Ravanelli. A cura di Ornella Bramani – Vol. II. UTET. Anno 2013.

Mauro Gelfi, La fiera di Bergamo: il volto di una città attraverso i rapporti commerciali, Ed.Junior, 1993.

Luigi Volpi, Vecchie botteghe bergamasche. La Rivista di Bergamo (anno sconosciuto).

Maria Mencaroni Zoppetti (a cura di), L’Ospedale nella città – Vicende storiche e architettoniche della Casa Grande di S. Marco. Collana: Storia della sanità a Bergamo – 1. Fondazione per la Storia Economica e Sociale di Bergamo.

Luigi Pelandi, Passeggiando per le vie di Bergamo scomparsa – La Strada Ferdinandea – Collana di Studi Bergamaschi – A cura della Banca Popolare di Bergamo. Bergamo, Poligrafiche Bolis, 1963.

Mariola Peretti, L’ex Mercato ortofrutticolo di Bergamo, terra di nessuno.

Luigi Angelini, Il volto di bergamo nei secoli, Bolis, 1952.

A cura di Giovanni Luca Dilda, La sezione ottocentesca dell’archivio del “vittorio emanuele II”.

RINGRAZIAMENTI

A Storylab e in particolare a Giuliano Rizzi, Adriano Rosa , Roberto Brugali, Adriano Colpani, Duccio Crusoe e Sergio Meli per Casa Benaglio-Nava in via del Macello e per alcune preziose  informazioni concernenti il Luna Park,  lo Stadio Barlassina, la torretta presso la Stazione, il Circo Togni alla Malpensata nonchè il Ciclodromo.