Il Ponte della Regina, l’anima di Almenno, nascosta e dimenticata

Fotografie di Maurizio Scalvini

L’antico Lemine, il comprensorio dal quale ebbero origine i due Almenno (San Salvatore e San Bartolomeo), per secoli fu, a partire dai romani, uno dei più importanti centri del territorio bergamasco, raggiungendo il culmine nel corso della dominazione longobarda. Un luogo denso di memorie storiche e consacrato da un non comune patrimonio d’arte, rappresentato dalle chiese antichissime che qui sono sorte allo scemare delle paure dell’anno Mille, ed ancor prima, costituendo le più emblematiche ed importanti della cultura romanica in Lombardia.

Basti pensare all’incredibile santuario della Madonna del Castello in Almenno S. Salvatore, che, sorto in un luogo di cruciale importanza, racchiude in sé quasi duemila anni di storia inglobando ben tre edifici sacri, essendo stato sede del Pagus e della Pieve, i due vasti comprensori amministrativi nei quali fu suddiviso il territorio rispettivamente in età romana e medioevale.

Il santuario della Madonna del Castello, costruito all’inizio del Cinquecento ed oggi intitolato a Santa Maria Addolorata, ingloba la chiesa di San Salvatore, sede della Pieve in età medioevale

Una scia di edifici antichissimi, che dalle sponde del Brembo continua dipanandosi lungo le sponde dell’Adda e che induce a chiedersi il perché di questo concentrarsi di edifici romanici in una zona della Bergamasca che in quel periodo non era attraversata d itinerario storico importante, come poteva essere per esempio quello della Via Francigegna, lungo la quale erano sorte  basiliche, monasteri e ospizi per i pellegrini.

Non va dimenticato che per la vasta plaga di Lemine transitava la Strada della Regina, l’antica via militare romana che portava alle Rezie, supportata nel periodo tardoimperiale da un ponte monumentale (il Ponte di Lemine, meglio noto come “Ponte della Regina”), eretto sul sito dell’attuale Madonna del Castello per il passaggio di truppe, uomini e merci, e presto divenuto importante crocevia di traffici e di comunicazioni.

Il suo volto, o meglio, ciò che ne rimane, sfugge ai tanti automobilisti che da Almè percorrono la strada per Almenno, a volte ignorando anche l’esistenza di una storica via militare, che, ormai celata sotto prati ed edifici, corre da quasi due millenni sotto l’inaccessibile strapiombo scavato nella roccia dalla corrente del fiume Brembo.

Al termine di via Ponte Regina, in Almè, un’area privata (nel riquadro rosso) impedisce l’accesso al terrazzo fluviale affacciato sui ruderi del Ponte della Regina (nell’immagine), eretto tra le due sponde opposte di Almè e Almenno S. Salvatore, a poca distanza da sito dal sito in cui è sorto il santuario della Madonna del Castello (Ph Maurizio Scalvini)

Come fu destino di altri importanti ponti romani, intorno al Ponte di Lemine convergevano numerose strade, lungo le quali sorsero insediamenti (vici), villae e luoghi di culto, e più tardi torri, palazzi e castelli che in molti casi han trovato la loro ragion d’essere proprio in relazione con questo antico ponte.

Il Pagus di Lemine, uno dei distretti territoriali  della Bergamo romana, doveva grosso modo corrispondere alla Pieve medioevale, comprendendo le Valli Imagna, Brembilla e Brembana fino a tutto S. Pellegrino Terme (1). Perciò non stupisce il fatto che in età romana il distretto di Lemine costituisse una corte imperiale, una vera e propria corte posseduta personalmente dall’imperatore romano,  passata dai re invasori dell’era barbarica ai re longobardi, che la “restaurarono” istituendovi una curtis regia.

L’importanza del sito della Madonna del castello in epoca romana è attestata anche da il ritrovamento nei pressi di un altare dedicato al dio Silvano, conservato al Museo Archeologico di Bergamo, dai resti di un impianto produttivo e da quelli un grande complesso residenziale che ha restituito  migliaia di frammenti di pregevole intonaco dipinto: una vera e propria rarità nel panorama bergamasco

L’imperatore doveva risiedere in quel palazzo romano di età augustea venuto alla luce sul sito della Madonna del Castello, a breve distanza dal Ponte della Regina; utilizzato come residenza saltuaria dai sovrani che qui si sono avvicendati, il palazzo fungeva da sede di controllo civile, militare ed economico di tutto il territorio circostante.

Attigua al sacro palazzo vi era la cappella palatina, un luogo di culto dedicato al Santo Salvatore, di cui si rintracciano parte dei muri perimetrali nella cripta che in seguito le è stata addossata. Nella cripta della Pieve rimane quindi un ricordo tangibile e prezioso dell’antica cappella palatina.

Ma per quale motivo? Nel X secolo i Conti di Lecco, nuovi signori della corte di Almenno, avevano fortificato tutta l’area attorno al loro palazzo cingendola di mura; la cappella, trovandosi sul perimetro delle mura venne trasformata in cripta, e sopra di essa venne realizzata una nuova chiesa: la Pieve di San Salvatore.

Delle quattro colonne che sostengono la copertura della cripta, tre sono d’epoca romana, compresi i capitelli recuperati in loco da un antico costruttore.

La cripta della Pieve alla Madonna del Castello è un edificio a pianta rettangolare diviso a metà da una fila di 4 colonne (di cui tre d’età romana) che sostengono le vele della copertura. Una parte dei muri perimetrali della cripta appartengono all’antica cappella palatina

 

Varcata la grande porta situata a destra del tempietto posto in corrispondenza dell’altare del Santuario, si entra nell’antica Pieve di San Salvatore, eretta sopra la cripta altomedievale. La pieve era una chiesa a cui venivano affidati i compiti pastorali propri della parrocchia, quali l’amministrazione dei sacramenti e la riscossione delle decime

Ma le sorprese non finiscono, perché agli inizi del Cinquecento la Pieve di San Salvatore venne inglobata nel santuario della Madonna del Castello, di cui oggi costituisce la parete di fondo.

Il cinquecentesco santuario della Madonna del Castello si presenta composto in due parti, due chiese distinte ma tra loro congiunte poiché la facciata dell’antica chiesa plebana dedicata a San Salvatore, risalente al IX secolo, costituisce la parete di fondo del grande edificio rinascimentale ad archi trasversi che oggi rappresenta la chiesa principale del santuario e che comunica con l’antica basilica per mezzo di una porta situata a destra dell’altare maggiore 

Il sito della Madonna del Castello, cresciuto all’ombra dell’antica strada militare romana e del suo ponte, era dunque la sede di una corte imperale romana, mantenutasi tale fino al periodo longobardo e poi passata a nuovi signori.

Sul fianco della rupe a strapiombo sulla quale sorge il santuario della Madonna del Castello, un terrazzo fluviale posto alla destra idrografica del fiume Brembo, si apre una grotta con una sorgente chiamata “fontana del Ròch”, la cui presenza fa ipotizzare che in epoca romana qui vi fosse un Ninfeo, un edificio dedicato al culto di una ninfa. Nel tardo impero i ninfei vennero spesso utilizzati come struttura portante dei battisteri paleocristiani. Un accostamento interessante potrebbe essere costituito dal ritrovamento dei resti di una vasca battesimale sotto l’attuale pavimentazione della Pieve di San Salvatore, all’interno del santuario della Madonna del Castello (Ph Maurizio Scalvini)

Ma prima di poter tracciare le grandi strade militari, i Romani dovettero preoccuparsi di sedare le resistenze indigene delle vallate e le continue incursioni provenienti dalle Alpi, che soprattutto sul finire dell’età repubblicana e primo augustea facevano delle vallate orobiche un’area militarmente turbolenta.

Dall’altura del Santuario di Sombreno, la veduta sulla piana dei due Almenno, cui fa da quinta l’Albenza con la Roncola, tra la Valle S. Martino e la Valle Imagna

Le vette del Resegone, dell’Albenza, del Canto Alto, del Misma e del Torrezzo costituivano il limite del mondo romanizzato, una linea lungo la quale i Romani avevano disposto una sorta di  “strada di arroccamento”, che fungeva da confine tra l’area romanizzata e non.

Ad Almenno, naturale sbocco della Valle Imagna,  questa linea correva a sud dell’Albenza, dove sulle alture collinari dei monti Castra e Duno, esistevano presidi militari facenti parte del sistema difensivo romano lungo il confine.

Sulla sinistra i due cocuzzoli della collina di Castra, in una foto aerea del 1952. La collina ospitò un accampamento romano, un distaccamento di confine presumibilmente col passaggio dai Galli ai Romani, nell’ultimo periodo della Roma Repubblicana

La postazione sul Monte Castra, sorta nella fase di passaggio dai Galli ai Romani,  venne supportata da un acquedotto, che correva per due chilomentri sul fianco dell’Albenza.

Il tracciato dell’acquedotto romano dalla Valle Pessarola in Comune di Strozza, a Castra, L’acquedotto in cocciopesto, che correva sui fianchi dell’Albenza, dalla località Piscina, posta nella valle dell’Amagno, giungeva al Corno di Cantagallo in Val Settimana e terminava alla Forcella di Castra (sede di un accampamento romano), raggiungendo una lunghezza di due chilometri

L’accampamento di Duno era invece sorto come baluardo gallico per poi essere assorbito nel sistema difensivo romano lungo il confine di quel territorio che dall’epoca longobarda si chiamerà Lemine (2).

Veduta aerea (parziale) della collina di Duno (1952), termine celtico indicante un luogo fortificato, posta al confine di Almenno, dove l’Imagna confluisce nel Brembo. Tutta la sommità della collina è recintata da un muro lungo circa 900 metri e largo da 60 cm a un metro, formato da borlanti cementati disposti a lisca di pesce (la linea continua mostra quelli ancora visibili), mentre la sommità appare livellata e disposta a terrazzi sorretti da muri di sostegno (Almenno S. Salvatore, Archivio Parrocchiale)

Entrambi i presidi costituivano una difesa dalle incursioni che potevano giungere dalla Valtellina attraverso la Valle Imagna.

La collina di Duno e in secondo piano quella di Vigna, anch’essa sede di ritrovamenti, viste dal monte Ubione. Nella zona d’ombra, i gradoni che tagliano il fianco nord (Almenno S. Salvatore, Archivio Parrocchiale)

Le due postazioni vennero abbandonate quando nel 43 a.C. gli eserciti romani, sotto il comando del console Decimo Bruto (luogotenente della Gallia Cisalpina) assoggettarono gli ultimi irriducibili della popolazione locale liberando tutta la fascia collinare orobica. A quel punto i confini si spostarono in cima alle vallate più turbolente (es. Valcamonica e Valtellina), nel periodo in cui la Cisalpina cessava di essere una provincia per diventare uno degli undici distretti d’Italia.

Fu solo allora che i Romani poterono fondare la Comum-Bergomum-Brixia, la grande arteria militare che tagliava longitudinalmente buona parte del nord Italia passando ai margini dei rilievi, dislocando lungo tutto il suo percorso una serie di presidi militari (3).

Il fiume Brembo all’altezza dei resti del Ponte della Regina e il monte Ubione sullo sfondo (Ph Maurizio Scalvini)

La strada riprendeva il tracciato dell’antica via “pedemontana”, che secoli prima era percorsa dai traffici tra gli Etruschi e principi celti d’Oltralpe; traffici che avevano arricchito anche il nostro territorio permettendo lo sviluppo di un centro protourbano sul Colle di Bergamo (4).

Un avanzo del pilone appartenuto al Ponte della Regina, sulla sponda almennese. Sullo sfondo fa capolino il campanile della chiesa della Madonna del Castello (Ph Maurizio Scalvini)

Alla lenta penetrazione dei coloni corrispose lo sfruttamento delle terre conquistate; la  centuriazione interessò l’area compresa tra il Brembo e i torrenti Tornago e Armisa, fino ai ponti della Regina e del Tarchino (5). Fu così che crebbero quegli aggregati rurali cresciuti all’ombra della strada militare, come Agro, Borgo e Campino, i cui abitanti dovevano lavorare su quei terreni che venivano disboscati lungo le prime vie di comunicazione.

Disegni dei reperti archeologici romani del la villa rustica in Campino, sorta grazie alla vicinanza di corsi d’acqua (“Ritrovamento Malliani in Campino”, da Vimercati Sozzi, Spicilegio archeologico nella provincia di Bergamo dall’anno 1835 all’anno 1868 –  Biblioteca civica A. Mai)

In età imperiale la via militare per Como andava acquisendo ulteriore importanza: i passi che dalla città lariana conducevano al cuore dell’Europa erano ormai percorribili in tutta sicurezza e le città d’oltralpe fungevano da centro di confluenza e di smistamento per tutta l’Europa, delle merci che arrivavano ai principali porti del Mediterraneo centrale (6).

E fu proprio allora, data l’importanza commerciale assunta dalla Bergomun-Comum, che la strada venne supportata dalla realizzazione del Ponte della Regina, un ponte monumentale voluto dall’imperatore Traiano, per permettere un passaggio rapido e sicuro agli eserciti diretti verso le Rezie.

La presenza più grandiosa della presenza romana ad Almenno sono i ruderi del Ponte della Regina ad Almenno San Salvatore, costruito nel II secolo d.C. sfruttando un isolotto al centro del Brembo. Inserito nel sistema viario della via pedemontana, il ponte era crocevia del passaggio militare e commerciale verso l’Europa (Ph Maurizio Scalvini)

Le sue grandi dimensioni erano giustificate dal superamento del considerevole avvallamento che separa le due sponde, costituendo un esempio di quella capacità costruttiva romana della quale si trovano tracce in varie parti dell’impero. L’impatto ambientale e paesaggistico fu così notevole da suscitare l’attenzione, oltre che degli storici, anche di poeti e di pittori come Lorenzo Lotto, uno dei massimi esponenti della pittura lombarda.

Nella rappresentazione di paesaggio, la pittura riprese più volte l’iconografia del ponte della Regina. Dettaglio dalle “Nozze mistiche di S. Caterina” di L. Lotto (1523)

Dell’imponente manufatto, celebre per la sua grandiosità e per la sua vita millenaria, attualmente si conservano una pila (restaurata nel 1985) e le tracce di altre due. Ma in origine, secondo la ricostruzione dell’ing. Elia Fornoni (7) l’imponente struttura era composta da otto arcate impostate su sette pile, per una lunghezza totale di circa 180 metri, un’altezza di 25 e una larghezza di 6 metri e mezzo.

Del ponte di Lemine sono sopravvissuti i resti di una pila e le tracce di altre due. Ripresa eseguita dalla sponda di Almenno (Ph Maurizio Scalvini)

Il Ponte di Lemine, sebbene non raggiungesse l’audacia costruttiva di quello di Traiano costruito sul Danubio – assai più lungo e con il piano in legno -, era tuttavia un’opera grandiosa, singolarmente somigliante al ponte romano di Alcantara, meglio conservato, costruito nello stesso periodo sul fiume Tago.

In un punto più lontano dalla riva, nel grande campo emerge il pilone della sponda di Almenno. La figura umana lascia intuire l’imponenza dell’antico ponte, che, unico manufatto di rilievo lungo la strada Bergamo-Como, fu importante per le attività e i traffici passanti per la valle S. Martino (Ph Maurizio Scalvini)

Il manufatto protrasse la sua esistenza sin verso la fine del XV secolo, permettendo una stretta relazione tra le due opposte sponde, tra i centri romanici di Lemine e la sede della corte regia di Almè, occupata poi dai Ghisalbertini, di cui restano tracce nel castello e nella chiesa di S. Michele.

Il ponte della Regina in un particolare della “Carte militaire du moyen age rappresentant le theatre de la guerre”. Dipinto a colori su pelle (cm 40×56), prima metà del sec. XV. Biblioteca Nazionale di Parigi (Gritti, 1997)

Lo sviluppo di Almenno ricevette inoltre un grande contributo dalla vicinanza all’Isola Brembana, il cui ruolo strategico, dal punto di vista militare e degli approvvigionamenti, era legato sia alla Bergomum-Comum che a Milano, città che in età tardoantica era stata eletta a rango di capitale dell’impero: e non a caso, lungo la linea che dal Brembo si diparte verso l’Adda, una decina di centri hanno dato vita alle più importanti chiese romaniche sorte intorno all’anno Mille quasi seguendo un percorso immaginario che dalle sponde del Brembo si snoda fino all’Adda. Un percorso che vede in S. Tomè l’emergenza di spicco e dove talvolta si avverte la presenza del fiume nei ciottoli levigati, come nella basilica di Santa Giulia, a Bonate Sotto. Un itinerario che prosegue fino all’abside romanica della parrocchiale di San Bartolomeo a Marne e alla chiesa di San Fermo, poco distante dalla strada romana tra Bergamo e Milano, per attestarsi, dopo aver superato numerose chiese antichissime, a Vaprio d’Adda, dove sorge la chiesa romanica di San Colombano.

INRESSANTI INCONTRI LUNGO L’ITINERARIO DELLA VIA BERGOMUM-COMO

Varie ipotesi sull’effettivo itinerario della Bergomum-Comum si sono succedute nel tempo, anche seguendo le indicazioni fornite dalle fonti antiche, tra le quali la Tabula Peutingeriana (carta geografica del III secolo d.C. dipinta su pergamena, conservata nella Biblioteca Imperiale di Vienna), in cui risulta essere documentata insieme alle principali direttrici viarie romane

La via militare Bergamo-Como si trova indicata nel segmento III della Tabula Peutingeriana, che la mostra al centro verso l’alto, con le indicazioni Como, Bergamo, Leuceris, Brescia. Dubbi permangono per quanto concerne il percorso da Almenno a Como, sia per l’identificazione dei fiumi Ubartum e Umana che non trovano corrispondenze con gli attuali corsi d’acqua, e sia sul possibile errore di posizionamento della località Leuceris, identificata dal Rota con Lovere, dal Mazzi con Lecco, dalla Cantarelli e dal Manzoni con Chiari, quest’ultima ritenuta l’ipotesi più probabile (Bergamo, Biblioteca Civica S. Mai)

Il tracciato si snodava con un percorso di quasi 60 km lungo una stretta fascia pedemontana della Lombardia centrale, attraversando le attuali provincie di Bergamo, Lecco e Como, e si svolgeva in posizione intermedia tra l’ambiente montano delle prealpi orobiche a Nord e la fascia delle risorgive dell’alta pianura a Sud, correndo a settentrione dei laghi brianzoli.

Da Bergomum, il ponte era raggiungibile partendo dalla strada di San Lorenzo sulla cerchia delle mura, che scendendo fino a Valtesse varcava la Morla a Pontesecco, risaliva la collina della Ramera per raggiungere il piano della Rovere a Petosino e poi Cavergnano tra Almé e Bruntino; da qui, con un rettilineo dolcemente degradante fino al ciglio del Brembo, si presentava al Ponte di Lemine. Non è difficile immaginare le truppe varcare il Brembo ad Almenno per immettersi sulla grande arteria lastricata.

Sembra che dalla città, la strada fosse larga oltre quattro metri, con un fondo assai curato, tutta selciata e in qualche punto anche lastricata. Di fatto la sua presenza, unitamente alla direttrice che dalla porta Sant’Alessandro conduce alla piana verso Mozzo, ha condizionato fortemente l’assetto del territorio.

Per la restante parte del percorso permangono dubbi, non ancora completamente chiariti dai ritrovamenti archeologici.

Come indicato dal Fornoni, partendo dal Ponte di Lemine a Ca’ Plazzoli il tracciato, oggi celato sotto i campi ancora coltivati, proseguiva lontano dall’abitato di Almenno San Bartolomeo, fino al ponte del Tarchino sul torrente Tornago, nei pressi di San Tomè.

Lungo la ripa che scende verso il corso del Tornago, è sorta la Rotonda di San Tomè, a poca distanza dal tracciato della Bergomum-Comum

Un ponticello che nonostante i rifacimenti subiti nel corso dei secoli, porta ancora un’impronta della sua origine romana. Oggi avvolto dalla vegetazione selvaggia, è guardato dall’alto da quello in cemento armato della nuova strada per la Val S. Martino.

Il modesto ponte del Tarchì sul Tornago, eretto sul viadotto su cui correva la strada militare romana in prossimità dello sbocco nel Brembo. Anticamente chiamato ponte del Diavolo, fu realizzato in epoca medievale (XII-XIII secolo) probabilmente come rifacimento di un manufatto romano. La struttura, con arco singolo, presenta muratura in conci squadrati e allineati fino alla chiave dell’arco, mentre superiormente è realizzata in pietra e meno rifinita e in ciottoli di fiume, a tratti disposti a spina di pesce

Alcuni resti rinvenuti sotto il presbiterio di San Tomè parlano dell’esistenza in questo luogo di un antico tempio pagano, forse dedicato a Pale, la dea silvestre, come farebbe supporre una lapide ritrovata non lontano.

Rotonda di San Tomè

Ed è proprio qui, all’ombra della Rotonda, che tombe romane del I secolo indicano l’esistenza di un luogo di sepoltura.

Le tombe romane rinvenute sul sito dell’attuale Rotonda di S. Tomè

La strada romana passava in questo punto tagliando per il fitto bosco che degradava verso il Brembo. Il viandante vi giungeva attraverso i campi che si estendono fino alla Val San Martino o dopo aver superato il Brembo, imbattendosi nel tempio della dea che lo invitava alla sosta.

In questo stesso luogo, tra il VII e l’VIII secolo, un ignoto architetto innalzò l’edificio romanico, riutilizzando le pietre dell’antico tempio pagano per abbellire i capitelli, ornati da sculture primitive.

Ancor’oggi, al riparo della nicchia formata dagli alberi che circondano l’inconfondibile sagoma cilindrica, riusciamo a cogliere lo stretto rapporto che lo lega a questa parte più antica del territorio. Un rapporto che non smette di colpire la nostra immaginazione e affascinarci.

Il Mazzi ricostruisce il tracciato successivo, verso occidente: dice che dal Tornago la via volgeva verso Barzana, passava poi poco discosta da Arzenate e da qui si dirigeva verso S. Sosimo e Gromlongo, raggiungendo Pontida, per poi proseguire a Cisano e Caloziocorte.

Ma per lo studioso P.L. Tozzi è verosimile che con le operazioni della centuriazione (di cui restano tracce fino a Brembate di Sopra), i Romani preferissero superare il Brembo più a valle, a Briolo o a Ponte S. Pietro, rendendo i collegamenti fra Bergamo e Lecco più diretti.

L’antichissimo ponte a doppia arcata di Briolo

Altri studi ritengono più probabile che la via puntasse su Como transitando per Brivio. Ci muoviamo comunque entro il campo delle ipotesi, anche se si ritiene che l’esistenza di percorsi alternativi fosse molto probabile: a Olginate, in provincia di Lecco, in corrispondenza di un restringimento si sono individuati i piloni di un monumentale ponte romano del III secolo d.C. per l’attraversamento dell’Adda (8); poggiava su 16-18 pile, aveva una lunghezza di m 150 ed una larghezza di m 4. Secondo Tozzi questi resti non sembrano una prova decisiva che vi passasse la Bergomum-Comum o perlomeno che vi passasse sempre ed esclusivamente; casomai il ponte poteva riferirsi a una variante del percorso affermatasi in età imperiale avanzata, o anche servire a una via da Milano per Lecco, da dove sicuramente per via lacustre, ma probabilmente anche terrestre, si perveniva a Chiavenna, quindi in Valtellina e, attraverso il passo dello Spluga si raggiungevano il Reno ed il lago di Costanza, dunque l’Europa centrale (9).

In ogni caso, grazie al ponte di Olginate si potenziarono i collegamenti tra Bergamo e Como e tra Milano e Lecco, passando per Monza (10).

IL PONTE FRA CURE E MANOMISSIONI

Anche dopo la caduta dell’Impero Romano la strada mantenne la sua importanza di infrastruttura viaria cruciale per tutto il territorio pedemontano, e nel medioevo, come è provato dalle spese di manutenzione previste e imposte dagli Statuti di Bergamo, divenne, se non l’unica, la principale via di comunicazione con la Val S. Martino, servizio che non si esaurì del tutto anche dopo l’apertura di nuovi sbocchi. Per questa sua importanza, anche il ponte subì numerosi interventi di ripristino e restauro.

Il corso del  Brembo in località Molina, da una carta topografica del 1777. Da notare i ruderi del Ponte di Lemine, la seriola, gli edifici dei molini e della segheria (Dipartimento del Serio. Serie acque. Cartella n. 21. Bergamo, Archivio di Stato)  (Prefettura del Dip. Serio, b. 21)

 

Particolare del Ponte e della Strada della Regina

E’ facile immaginare che la struttura possa aver subito danneggiamenti durante le invasioni barbariche e una mancata o inadeguata opera di manutenzione, in particolare nella seconda metà del millennio; senza contare che durante le scorrerie e le distruzioni verificatesi nel Bergamasco alla fine del XII secolo nel corso delle lotte tra guelfi e ghibellini, la struttura potrebbe essere stata sottoposta a gravi danni.

E’ con l’autunno, con le prime nebbie, il sole pallido, il lieve fruscio delle foglie sotto i piedi, che il fascino del luogo e della sua storia colpiscono il visitatore e la sua immaginazione. Nell’immagine, i resti del ponte sulla sponda di Almè  (Ph Maurizio Scalvini)

 

Sponda di Almè: al centro fra i due piloni sono evidenti i recenti rimaneggiamenti subiti dal manufatto, che, realizzato per la via militare che portava alla Rezia, rimase in uso fino al XV secolo, e cioè fino alla rovinosa alluvione del 1493 (Ph Maurizio Scalvini)

Nessuno comunque avrebbe potuto fermare, oltre alle accanite devastazioni delle guerre, il secolare logorìo delle acque, tanto che nell’arco del XIII secolo le fonti cominciano a fornire alcune informazioni evidenziando il vero e proprio calvario per le casse del comune e dei villaggi fortemente interessati nel ripristinare al meglio la struttura, indicando ad esempio la realizzazione di un pilone nella parte mediana del ponte che vent’anni dopo risulta già molto eroso alle fondamenta, e segnalando la presenza di alcuni resti rovesciati che opponendosi al corso del fiume potevano danneggiare ulteriormente gli stessi piloni (11).

Resti del Ponte di Lemine nel 1894 (da Elia Fornoni, Il Ponte di Lemine, Tavv. I e II)

E’ probabile che le continue riparazioni e addirittura ricostruzioni cui il ponte fu sottoposto nel corso de XIII secolo ne abbiano compromesso la stabilità, in particolare a causa dei considerevoli gorghi provocati dalla costruzione di nuovi piloni, eretti, per ragioni di economia, sfruttando come basi quelli crollati e adagiati sul greto del fiume, ritenuti sufficientemente consistenti.

Resti del Ponte di Lemine nel 1894 (da Elia Fornoni, Il Ponte di Lemine, Tavv. I e II)

La maldestra riparazione e le periodiche turbolenze delle acque furono le cause maggiori dei danni che via via si verificarono nel tempo, fino al crollo del 1493.

IL ROVINOSO CROLLO DEL 1493

Rimasto in uso sino al XV secolo e superata l’ingiuria del tempo, il ponte resistette fino all’alluvione del 1493, quando, già compromesso dai rifacimenti, il 31 agosto crollò rovinosamente sotto l’impeto della piena eccezionale del Brembo, che danneggiò altri ponti e strade causando numerose vittime. Il Ponte della Regina perse così cinque archi: due per ogni estremità e un altro poco appresso.

Restarono in piedi solo le tre arcate centrali, sopra le quali rimasero bloccate per ben tre giorni trentasei persone in balia della furia del fiume. Per mantenerle in vita veniva loro lanciato del pane con le fionde; vennero soccorse con scale e corde solo quando l’acqua tornò ad un livello normale.

Le tre arcate superstiti si opposero al Brembo per ben trecento anni: una cedette il 15 giugno del 1783, le altre due dieci anni dopo, ormai logore per l’azione costante dell’acqua.

Disegno dei ruderi del Ponte di Lemine o della Regina eseguito nel 1784 dal Lupi (Codex diplomaticus, 1784-1799)

Dell’opera monumentale un poeta ne rievocò la memoria: …Tu, lungo spettro, fra le rive appari, ed in colonna, su le vane arcate, ripassano cantando i legionari (12).

IL MITO DELLA REGINA

Dopo la caduta del ponte, la storia della struttura ha iniziato ad intrecciarsi con le antiche tradizioni longobarde. Il suo ricordo e la presenza delle rovine sull’acqua ha colpito la fantasia popolare facendo sorgere tra gli abitanti della zona il mito che lo voleva attribuito a una regina longobarda: da alcuni alla grande regina Teodolinda e da altri alla commovente figura di Teutperga, rifugiatasi a Pontida dopo il ripudio dell’imperatore Lotario e poi, secondo la leggenda, animosa fondatrice del Monastero di Fontanella (13), dove sarebbe ancora sepolta. Avvolto in questo alone di leggenda, l’antico “Pontis de Brembo”, o “ponte de Lemine”, ha iniziato a chiamarsi “Ponte della Regina”, anche se qualcuno ha pensato che il nome potesse alludere a un intervento sul ponte in epoca longobarda.

“Dintorni di Bergamo”: avanzi del ponte di Lemine, una suggestiva rievocazione ottocentesca del Ponte delIa Regina nell’incisione di Boromèo Gilberto (1815-1885)

Nel nome, vi fu anche chi ravvisò un’interpretazione popolare della parola “Rezia”, la zona della Alpi Retiche verso cui conduceva la strada romana che attraversava il ponte sul Brembo.

L’ASPETTO ORIGINARIO DEL PONTE

Dato che i resti del vetusto ponte costituivano un pericolo per le opere di presa sulla sponda sinistra, il 28 marzo del 1893 il Prefetto della Provincia di Bergamo ne ordinò la demolizione, che fu eseguita dalla ditta dell’ing. Ceriani & C., proprietaria del Linificio e Canapificio Nazionale di Villa d’Almé. All’ing. E. Fornoni fu affidato l’incarico di studiare il manufatto affinché fossero demolite “sole parti dell’èra media”, salvaguardando quelle d’epoca romana.

Dall’osservazione dei resti emergevano le modifiche subite dal ponte nel corso de tempo: il manufatto originario era formato da grossi conci di pietra arenaria (cavata nella vicina località Merletta) che misuravano sino a m 1,75 di lunghezza e m 0,70 di altezza; una solida muratura di cava costituiva il paramento interno e le pietre combaciavano nel paramento esterno.

Negli interventi successivi, osservava invece materiali più scadenti e una diversa tecnica costruttiva, con un nucleo centrale composto da sassi di fiume e un rivestimento di pietre più piccole e grezze, unite da abbondante malta.

Le modifiche subite nel corso della sua storia sono evidenti ancor’oggi, osservando i differenti materiali che compongono quanto ne rimane, dove accanto a grossi conci di pietra arenaria troviamo pietre grezze e sassi di fiume legati grossolanamente.

Sponda di Almè: la massiccia e imponente struttura delle parti più antiche (Ph Maurizio Scalvini)

 

Il confronto con la figura restituisce la misura dell’imponenza dei ruderi del Ponte della Regina (Ph Maurizio Scalvini)

Effettuando rilievi sui reperti e sulla scorta delle versioni offerte da alcuni studiosi del passato (14), il Fornoni ne ipotizzò l’aspetto originale paragonandolo al coevo ponte romano costruito ad Alcantara sul fiume Tago, in cui la spalla centrale culminava fino al parapetto per sorreggere un arco trionfale dedicato a Traiano.

Ricostruzione grafica del ponte romano di Lemine secondo l’ipotesi dell’ing. Elia Fornoni, secondo il quale il ponte doveva essere lungo complessivamente m. 184 e alto m. 24,31; formato da otto archi con due raggiature diverse ma medesimo piano d’imposta e dotato di due esili spalle; i piloni dovevano essere sette, muniti da spalle formanti complessivamente una pianta esagonale: di queste solo quella centrale doveva culminare fino al parapetto come il coevo il ponte di Alcantara, dove i cappucci delle pile avevano lo scopo di sorreggere “le spalle o piedritti di un arco trionfale dedicato a Trajano”

 

Il ponte romano costruito ad Alcantara sul fiume Tago in epoca traianea

Le ripetute modifiche subite dal ponte nella sua storia e in particolare la rifondazione dei piloni, rendendo irriconoscibile la struttura primitiva ha dato luogo nel tempo a svariate interpretazioni.

Esisteva anche una seconda ipotesi circa la forma del ponte originario, abbozzata da C.M. Rota e studiata nei minimi particolari dall’ing. G.S. Paganoni,  che presentò il ponte in sette archi, sei piloni e senza spalle ai lati, ma impiantato direttamente sulle sponde rocciose del fiume, con la lunghezza di m. 209,43 e l’altezza di m. 24,25

Abbandonato il percorso antico che su di esso si snodava, sono andate perdute le tracce e riferimenti che per ben oltre un millennio avevano segnato questo ambito del nostro territorio: le nuove direttrici, impostate più a monte, hanno guidato altrove le attenzioni. Ed è strano che nell’ampliamento dell’abitato di Almenno non sia mai stato pensato un adeguato riferimento alla presenza dell’antica strada romana e del suo ponte, i cui resti meriterebbero, per importanza storica, un’attenta  rivalutazione in rapporto con l’ambiente circostante.

UNA CURIOSITA’

Fonti attendibili dicono che nel 1512, a seguito del crollo del ponte della Regina avvenuto alla fine del Quattrocento, in sua vece venne ripristinato il porto di Clanezzo per assicurare le comunicazioni alle valli Imagna e S. Martino

Una barca doveva collegare le due sponde finché ad Almenno non si fosse realizzato un nuovo ponte, il quale, contrariamente alle intenzioni iniziali, venne realizzato solo nel 1628 non ad Almenno bensì a Clanezzo, situata più a monte dell’antico tracciato (15).

Il ponte ligneo di Clanezzo costruito nel 1628, apparteneva alla Serenissima ma nel 1648 fu venduto a Girolamo Santino d’Adda e veduto nel 1673 alla comunità della Valle Imagna. Solo nel 1878, dopo l’ennesima piena che distrusse il porto di Clanezzo, al suo posto fu definitivamente realizzata, con piloni in gusto neogotico una passerella pedonale sospesa (Gamba, 2000) – (Ph Maurizio Scalvini)

Dopo essere stato distrutto da una piena, fu realizzata una nuova struttura in legno e l’idea di recuperare il ponte di Lemine venne così definitivamente abbandonata.

Solo verso la metà del XVI secolo i suoi resti furono coinvolti in un progetto di più larga scala redatto dall’ingegnere idraulico veronese Isepo de li Pontoni per la formazione di un canale anche parzialmente navigabile derivato da fiume Brembo e diretto alla città di Bergamo in direzione Paladina-Curno-Broseta. Il progetto però non venne attuato in quanto, in prossimità del ponte, si sarebbero dovuti realizzare costosissimi scavi nella roccia.

Nonostante l’avvenuto crollo del 1493 Isepo de li Pontoni intendeva utilizzare i massicci piloni rimasti in piedi per il suo progetto di diga per la formazione di un canale navigabile derivato dal Brembo, 1583 (Gritti, 1997)

Un ex-voto apposto su una parete del santuario della Madonna del Castello, sembra comunque indicare che ancora verso la fine dell’Ottocento una barca collegasse le due sponde affacciate sul Brembo.

La scena di un naufragio nel Brembo, nell’ex-voto datato 1883 apposto su una parete del santuario della Madonna del Castello. Sullo sfondo a destra il santuario della Madonna del Castello, mentre a sinistra, abbarbicato sul cocuzzolo della collina, è riconoscibile il Santuario di Sombreno

 

Note

(1) Gli storici suppongono che pieve e pagus dovessero abbracciare approssimativamente lo stesso territorio. Secondo il Mazzi la pieve di Lemine comprendeva tutta la Valle Imagna, la piccola valle del torrende Borgogna con Palazzago, fino ai confini con la Val San Martino, spingendosi anche sulla sinistra del Brembo, estendendovi il suo nome con Almé (Lemen) e Villa d’Almé (Villa Leminis), e abbracciando nel suo ambito almeno i territori di Bruntino e di Sedrina. Indicazioni del Rotulum Decimarum Leminis 1353 confermano che anche la Valle Brembilla sino ai confini della Val Taleggio, tutta la sponda destra del Brembo con Zogno e S. Pellegrino fino a Fuipiano, ampie zone del piano, come Locate, Ambivere, Tresolzio e forse Chignolo (“rationes decimarum”), appartenevano al pagus Lemennis (da Manzoni, Op. Cit. in bibliografia).

(2) Lemine (o, nelle sue varianti, Lemmenne, Leminne, Leminis, Lemennis), è il toponimo con cui nel Medioevo si individuava un vasto comprensorio territoriale ad occidente del fiume Brembo che aveva costituito una corte regia longobarda.

(3) Lungo il percorso della Comum-Bergomum-Brixia si sono rinvenuti alcuni reperti archeologici databili tra il I secolo a.C. e il I secolo d.C.: a e Monte Castra ad Almenno, a Caslino, Castelmarte e Incino.

(4) Nella fase preromana (VIII-IV a.C.) la via pedemontana svolgeva un ruolo strategico e commerciale unendo gli insediamenti etruschi del mantovano con i paesi transalpini attraverso l’abitato di Como. Indizio dell’antichità del tracciato sono una seria di reperti rinvenuti su alture poste controllo del possibile tracciato viario (Duno, Vercurago, Chiuso) che presentano sia materiali affini alla cultura locale di Golasecca di frammenti di ceramiche greche ed etrusche. Verso la metà del IV a.C. si assiste ad una maggiore influenza della cultura di matrice transalpina celtico-insubre che modifica la struttura degli insediamenti e il sistema commerciale precedente favorendo la città di Milano. In età romana la via pedemotana costituiva l’asse Est-Ovest, della centuriazione relativa al territorio di Almenno.

(5) L’area compresa tra gli attuali Almenno S. Salvatore e Almenno S. Bartolomeo presenta tracce di centuriazione, in particolare nelle località Agro e Bosenta, area compresa tra Brembo, Tornago e Arrisa; si inseriscono nell’impianto di centuriazione il cosiddetto Ponte della Regina sul Brembo, la località di Stazanum, nei pressi del ponte sulla valle del Tornago, e lo stesso ponte sul Tornago. All’interno di una maglia centuriata compresa tra I tre corsi d’acqua esistevano probabilmente ville rustiche, la cui presenza è indirettamente testimoniata dal ritrovamento di una tomba tardoromana in località Campino, nel campo detto la Noca.

(6) La strada romana Comum-Bergomum-Brixia venne tracciata dai Romani a partire dall’89 a.C., momento in cui venne concesso alla Transpadania il diritto latino. Dal III secolo d.C. connetteva l’antica Aquileia, nel Veneto, con i territori d’oltralpe attraverso Como, da dove raggiungeva la provincia romana della Rezia, posta in corrispondenza dell’attuale Canton Grigioni e del Tirolo, e da lì l’Europa centrale. Venne soggiogata sotto Augusto nel 16 d. C. dopo due lunghe campagne contro i Rezi, i Celti e i Vindelici, che permisero di raggiungere i valichi in condizioni di assoluta sicurezza. Da allora la città lariana divenne il perno di un sistema di comunicazioni che comprendeva il lago, i passi del S. Bernardino, del Maloja, del Septimer, del Julier e, se si vuole, dello Spluga, del Lucomagno e del Gottardo. Gli sbocchi erano il Rodano, il lago di Costanza, il Reno, il Danubio e con essi tutte le città (a cominciare da Coira = Curia Raetorum) che fungevano da centro di confluenza e di smistamento per tutta l’Europa delle merci che arrivavano ai principali porti del Mediterraneo centrale. In questo quadro Como acquistò il ruolo di intermediaria fra il centro Europa, l’Italia e l’Oriente, anche perché la direttrice Milano-Como-Spluga-Brigantium era la più breve per raggiungere il Reno, grazie alla navigazione longitudinale del Lario, che con notevole risparmio di tempo (almeno due giorni) e di fatica, rispetto al percorso di terra, portava a Summus Lacus, ove cominciava il percorso trasversale della Raetia per l’alta valle del grande fiume europeo. Roma ne perse il controllo nel IV sec. d. C. quando venne invasa dai alemanni, bavari e svevi.

(7) E. Fornoni, Il Ponte di Lemine, Bergamo 1894; dello stesso autore anche L’antica Corte di Lemine: il Ponte sul Brembo. L’ipotesi ricostruttiva di Fornoni venne fatta sulla scorta degli studi precedenti di Lupo, Rota e Mazzi.

(8) Degrassi 1946.

(9) Storia economica e sociale di Bergamo. Secondo Cantarelli (Carta Archeologica della Lombardia, cit. in bibliografia) un secondo tracciato più diretto passava tra il Brembo e Brivio (ove furono notate in passato tracce di un ponte antico) e si manteneva più lungo il versante dei colli che precedono Bergamo (Fontana, la Madonna della Castagna).

(10) Storia economica e sociale di Bergamo.

(11) Proprio nell’arco del XIII secolo le fonti cominciano a fornire alcune informazioni evidenziando il vero e proprio calvario per le casse del comune e dei villaggi fortemente interessati nel ripristinare al meglio la struttura. Queste continue attenzioni sono dimostrate anche dal fatto che lo Statuto cittadino impegnava il Podestà alla verifica annuale dei ponti, (per il caso di Almè le ricognizioni vennero effettuate tre volte l’anno).
Nel 1208 e nel 1209 il Comune di Lemine dovette contrarre un prestito di 20 lire imperiali per restaurare il ponte sul Brembo. Il 19 novembre del 1250 i sovrintendenti al pontis novus de Lemen chiesero ed ottennero dai maestri che lavoravano al ponte l’opportunità di realizzare una pillam….in medio ponte. Ancora nel 1273 il Comune di Bergamo mandò alcuni deputati ed il perito Bertramo de Forzella a vedere e riferire su una pila que est multum smaganiata propter fondamentum…quod multum est cavatum sub glera ipsius Brembi. I sovrintendenti riferirono poi sulla necessità di rimuovere alcuni resti rovesciati i quali, opponendosi al corso del fiume potevano danneggiare ulteriormente gli stessi piloni. Nel 1283 infine la vicinia di S. Pancrazio pagò quattro lire e mezza imperiali imposite ipse vicinancie pro Pergami occasione reformationis pontis de Lemine.

(12) Bortolo Belotti, Poeti e poemi del Brembo, 1931.

(13) P. Manzoni, Op. Cit. in bibliografia.

(14) Per quanto concerne la forma e le dimensioni del ponte, Fornoni si rifà a quella originata dal Lupi e poi accettata con piccole variazioni da G.B. Rota, da Maironi da Ponte e dall’Ab. Calepio, confortata dal punto di vista storico e architettonico dal Mazzi e dallo stesso Fornoni, il più profondo e completo studioso della questione.

(15) P. Mazzariol, 1997.

Riferimenti essenziali

Paolo Manzoni, Lemine dalle origini al XVII secolo. Comune di Almenno S. Salvatore. Comune di Almenno S. Bartolomeo. Bergamo, Poligrafiche Bolis, 1988.

Carta Archeologica della Lombardia – II La Provincia di Bergamo – I Il territorio dalle origini all’altomedioevo. A cura di Raffaella Poggiani Keller. Ed. Panini, Modena, 1992.

Fondazione per la storia economica e sociale di Bergamo – Istituto di studi e ricerche, Storia economica  e sociale di Bergamo – I primi millenni – Dalla preistoria al medioevo. Volume II. Bergamo, Poligrafiche Bolis, marzo 2007.

Per uno studio del territorio di Almè in epoca romana

Reportage fotografico di Maurizio Scalvini, che ringrazio  per le utilissime indicazioni raccolte sul campo e per la preziosa collaborazione.

Almè, via Ponte Regina: l’antico tracciato che conduce a ciò che rimane dell’omonimo, grandioso ponte romano che si estendeva fra le opposte sponde di Almenno e Almè
Collocato all’imbocco della Valle Brembana sulla sponda sinistra del fiume Brembo, a circa otto chilometri dal capoluogo orobico, il comune di Almè sorge nei pressi di un’area di notevole rilevanza naturale, il “Piano del Petosino”, bacino lacustre singlaciale e interglaciale sede di fossili paleontologici e di ritrovamenti archeologici.
Tracce di popolamento protostorico sono state rilevate in tutta l’area all’imbocco delle valli Brembana e Imagna, nel territorio di Lemine, un vasto comprensorio territoriale racchiuso tra la sponda occidentale del Brembo e quella orientale dell’Adda, che per secoli mantenne una posizione di preminenza su tutto il circondario, e il cui nome si lega essenzialmente all’istituzione della pieve ed alla curtis regia longobarda.
L’origine del toponimo Lemine (1) sembra, secondo gli storici, giustificare una presenza celtica in Almè .
Poco distante, il Dunum di Clanezzo, fortificazione di matrice celtica della I età del Ferro erroneamente attribuita ai Galli (2), posta alla confluenza tra il torrente Imagna e il fiume Brembo,  presenta la struttura tipica di un oppidum,  riconducibile alla cultura Golasecchiana e alla stirpe degli Orobi.
Si tratta di un insediamento posto  a controllo della via pedemontana, il cui tracciato costituiva un’importante direttrice di traffico che, in direzione Est-Ovest, metteva in comunicazione Como (nel V secolo punto di mercato in cui si incontravano gli itinerari commerciali fra i popoli transalpini e quelli dell’Etruria centro Italica) con Brescia via Bergamo, passando per Almenno (3).
Un percorso  riconfermato in epoca romana, quando diviene tracciato militare (la celebre “Strada della Regina”) congiungendo Aquileia (Friuli) con la Rezia (Svizzera)  attraverso Verona, Brescia, Bergamo e Como, ripercorrendo così l’antica direttrice Bergamo-Como di matrice protostorica (4) e divenendo asse  della centuriazione relativa al territorio di Almenno.

Da V. Gastaldi Fois, ‘La rete viaria romana nel territorio del Municipium di Bergamo’ in ‘Rendiconti dell’Istituto Lombardo’, 105, 1971

In quanto crocevia militare e commerciale verso l’Europa, la Strada della Regina percorreva un territorio immerso in un’area militarmente turbolenta, occupato da diversi presidi militari.

Via Ponte Regina si diparte dalla vecchia stazione ferroviaria di Paladina da dove, per un lungo tratto, scorre tra anonime abitazioni ed edifici industriali. Solo a partire dall’incrocio con via Riviera (nell’immagine) si scorgono, a lato della stretta sede stradale, gli alti muri di ciotoli per la protezione di frutteti, orti, giardini, che fanno rimpiangere l’integrità di strade unitariamente fiancheggiate da case coloniche dai caratteristici loggiati in legno

Percorsi un centinaio di metri, quando la via si restringe in prossimità di una curva, le montagne si profilano in lontananza, insieme alla familiare sagoma del campanile della “Madonna del Castello” di Almenno

Ecco le case di via Ponte Regina osservate dal loro lato più agreste, che sfugge ai tanti automobilisti che percorrono questa viuzza per sfuggire alle code della Statale, probabilmente ignorando che stanno viaggiando su un’importantissima, secolare, via di comunicazione

Non a caso ad Almenno la postazione romana fortificata sulla colline di Duno (il Dunum di Canezzo ormai incluso nel sistema difensivo romano) e di Castra (5), in una posizione dominante gli accessi alle valli Imagna e Brembana, svolse la funzione di proteggere la Strada della Regina –  lungo la quale erano sorti accampamenti – dalle incursioni provenienti dalle valli; incursioni dovute alla resistenza indigena che continuò anche dopo la latinizzazione dell’ager bergomense.

All’altezza di un antico edificio in borlanti, via Ponte Regina compie una decisa curva a gomito per infilarsi lungo una lieve discesa lunga un centinaio di metri. Interessante è lo spigolo dell’edificio, rimarcato da grosse pietre squadrate

Al termine della discesa vi è il salto verticale della rupe che si affaccia sul fiume Brembo. Dalla sponda di Almè, il Ponte della Regina sorgeva proprio laddove ora si scorge un muretto
Nel I sec. a. C. le vittorie sui Galli (6) estesero la presenza romana nelle nostre zone portando una sorta di stabilità: nell’89 a.C. fu esteso il diritto romano alle città indigene transpadane, nel 49 a.C., quando Bergomum divenne municipium (7), la Bergamasca venne divisa in distretti (a loro volta suddivisi in più piccoli insediamenti), dislocati in particolare lungo le vie romane nei punti strategici e militari.

Uno dei distretti con cui i romani divisero la bergamasca fu appunto il pagus Lemennis.
Avente il centro amministrativo in Almenno S. Salvatore, presumibilmente nei pressi della Madonna del Castello, il pagus comprendeva diversi vici, fra cui quello di Almè (Lemene).

Le valli orobiche furono liberate dai rischi delle intemperanze degli avversari più irriducibili solo nel 43 a.C.; fu solo quindi in seguito a questa data che cominciò una lenta penetrazione dei coloni, insieme alla romanizzazione della popolazione locale e allo sfruttamento delle terre conquistate.

Questa colonizzazione si concretizzava con la formazione di nuovi insediamenti, nuclei o edifici sparsi di carattere rurale, o con l’integrazione di quelli esistenti, in particolare in quelli situati nei punti strategici e militari.
Tali insediamenti dovevano essere costituiti da edifici realizzati con materiali poveri o ricavati dalle risorse locali (legno, pietre di fiume).

A sorpresa sotto il malandato asfalto emerge il vecchio selciato, una preesistenza probabilmente medioevale, ma che induce inevitabilmente a domandarsi cosa possa celare lungo tale percorso
Si può ipotizzare che il territorio della futura Almè sia uscito da un certo isolamento solo dopo la conquista romana della Valle Padana, e più precisamente in occasione dei lavori per la costruzione della via militare per la Rezia (la Strada della Regina), che proprio in quest’area richiese opere di notevole impegno.
Ai confini dell’attuale territorio di Almè pare infatti siano stati eseguiti i lavori per il taglio del passo fra Almè e Bruntino al colle Cavergnano (un nome chiaramente di origine romana) e poi quelli per la costruzione del grande ponte sul Brembo, il celebre Ponte della Regina, il cui intervento, in particolare, richiedendo una prolungata presenza di tecnici, operai e soldati nella zona, fa supporre che essa abbia dato luogo all’impianto di insediamenti stabili che trovarono nel fertile pianoro riparato dai monti un luogo ideale, destinato ad attrarre anche parte della popolazione locale (in prossimità del punto di innesto del grande ponte sulla riva del Brembo sopravvive ancora il toponimo Fornaci, attestato già nel 1220, che sembra derivare proprio dalla presenza di un’officina, impiantata in età romana, per approntare i materiali necessari alla costruzione del ponte).

Il sito su cui sorgeva il Ponte della Regina, con in primo piano il punto d’innesto del pilone poggiante sulla sponda di Almè. Si nota un notevole salto verticale: rispetto al greto del fiume la struttura si elevava di circa 27 metri!

Il rettangolo rosso evidenzia i ruderi del pilastro di Almè; il rettangolo giallo indica i resti sommersi sulla sponda di Almenno; il rettangolo azzurro indica il grande pilone di Almenno. La linea color ciclamino è perfettamente in asse ai due pilastri su cui sorgeva il ponte ed anche Maurizio, scattando dalla sua postazione, si sente “perfettamente in asse” con questa emozione! (Elaborazione di Maurizio Scalvini)

Ed infine, visualizzata dalla sponda di Almenno, la rupe da cui si dipartivano i piloni dell’imponente Ponte della Regina, con in primo piano i resti del pilastro di Almè. Contrassegnato in rosso, il punto esatto in cui termina la via Ponte Regina, da cui si dipartiva il piano del ponte che fu a lungo percorso dagli eserciti romani e dove attualmente sorge il muretto da cui sono state scattate queste belle immagini

Certamente quindi, la presenza di una infrastruttura di rilievo quale è il Ponte della Regina favorì la formazione di insediamenti romani nella zona.

Ricostruzione del ponte di Lemine di Elia Fornoni, 1894. Il monumentale ponte di Lemine, o ponte della Regina, edificato per l’attraversamento del Brembo all’altezza di Almenno S. Salvatore, sorse (II sec d.C.) lungo la Strada della Regina, che ricalcava un antichissimo itinerario commerciale già ripercorso dai celti lungo il territorio di Lemine

Proprio il nucleo di Almè potrebbe essere sorto e sviluppatosi come caposaldo attestato in prossimità del ponte romano: la testimonianza documentaria di due torri medievali nel luogo detto corobiolo (dal latino quadrivium), ad est della Torre d’oro, potrebbero giustificare la presenza più antica del presidio.

Un documento del 867 d.C. cita un fundo et vico Larno oggetto della permuta tra Garibaldo, vescovo di Bergamo, e un certo Pietro di Presionico. La definizione contemporanea di vico e fundo è ritenuta associabile ad un insediamento attorniato da terre coltivabili (l’uso del termine vico e fundo in epoca altomedievale può autorevolmente giustificare un’antica presenza romana).

Strutture difensive medievali presso il Ponte della Regina (Gritti, 1997)

L’analisi della toponomastica locale ricavata da documenti medievali ci permette di ipotizzare una frequentazione del territorio di Almè suddivisa in diverse aree. Si individua quindi un’area detta dell’Arme – che ricorda l’antica dizione – entro la quale, racchiuso tra i torrenti Rino e Quisa, vicino alla via di Sombreno, poteva sorgere un insediamento ora scomparso: una trama catastale di particolare interesse proprio in questo sito potrebbe far pensare ad una derivazione dell’antico frazionamento.
Lo stesso dicasi per il toponimo Caprinium (Cavergnano), nome antichissimo di una località che si ricollega alla romana gens Caprinia.
S’individua poi la località 10 Pertiche situato tra Almè e Larno lungo l’asse diretto a Sud, a Agro collocato tra Villa d’Almè e Almè.

Particolare della carta dei dei luoghi dei ritrovamenti, delle famiglie del culto di Santi romani in Lemene e Val Breno, su un’ipotesi di maglia di centuriazione (elaborazione: Studio Gritti). In evidenza la toponomastica locale relativamente alle località dell’Arme, Caprinium e 10 Pertiche

Proseguendo verso sud lungo la medesima direttrice si incontrano altri nuclei, vici, quali Palatina, Scanum e Motium, dei quali sono stati scoperti pochi reperti pressochè tutti riferibili al I-II sec. d.C., e quindi in coincidenza di un effettivo progresso della società bergamasca.

Particolare della carta dei dei luoghi dei ritrovamenti, delle famiglie del culto di Santi romani in Lemene e Val Breno, su un’ipotesi di maglia di centuriazione (elaborazione: Studio Gritti). In evidenza la toponomastica locale per quanto concerne le località Palatina, Scanum e Motium, in cui sono riaffiorati reperti databili I-II sec. d.C.

Di grande suggestione è anche l’osservazione del culto dei Santi locali: vi si ritrovano dediche tutte ipoteticamente riconducibili al periodo tardo romano: tra queste S. Faustino e Giovita (Villa d’Almè), a S. Maria e S. Giovanni Battista (Almè, Mozzo), a S. Maria, S. Alessandro e SS. Fermo e Rustico (Sombreno e Paladina), a S. Vito (Ossanesga), a SS. Cosma e Damiano (Scano).

Inoltre, grazie al ritrovamento di alcune lapidi nei vici lungo la Valbreno, a Mozzo e a Ponte S. Pietro si conoscono il nome di alcune famiglie in parte di origine celtica (che testimomierebbero di una base sociale indigena) e in parte in relazione con l’area di Piacenza, d’altra parte legata a Bergamo come facente parte della tribù Voturia. Tra i personaggi di rilievo Marco Maesio Massimo, e la famiglia Calidii.

Carta dei dei luoghi dei ritrovamenti, delle famiglie del culto di Santi romani in Lemene e Val Breno, su un’ipotesi di maglia di centuriazione (elaborazione: Studio Gritti). Nella colonna a destra s’individua il culto dei Santi Romani riferito ad ogni singola località. Nella colonna a sinistra sono elencati i nomi di alcune famiglie locali, individuati mediante il ritrovamento di lapidi dislocate lungo il territorio
L’unica testimonianza archeologica rilevante nel territorio di Almè è il ritrovamento di un’ara dedicata al dio Silvano in località Cavergnano, che fu successivamente depositata nel campanile di Almè. L’ara, riferibile al II secolo, venne dedicata alla divinità da Marziale Reburro, probabilmente di derivazione celtica, figlio di Publio e di Igia (8).

La presenza di diversi insediamenti è testimoniata dal ritrovamento di numerose testimonianze archeologiche, la più importante delle quali è un’Il ritrovamento dell’ ara votiva al dio Silvano (II sec.), trovata proprio nell’area circostante il ponte, in loc. Cavergnano

Per quanto riguarda le direttrici viarie, sono stati individuati due tracciati che dal Ponte della Regina raggiungevano Bergamo, passando per Almè.

Strutture difensive nel comparto nord-ovest di Bergamo (elaborazione Studio Gritti)

Un tratto, inizialmente rettilineo, percorreva un tracciato che, passando per Almè, si dirigeva verso Brughiera, Petosino, Ramera, Ponte Secco, Valverde, fino alla porta di S. Lorenzo.

Si ipotizza poi che vi fosse un altro tratto – quello ritenuto più sicuro – che, passando per Almè, percorreva la spina dorsale che da Sombreno, salendo da Fontana, raggiungeva le pendici del colle di Bergamo accedendo alla città attraverso porta S. Alessandro, la porta occidentale (9).

Altre direttrici oltre a quelle sopracitate ebbero nuovo impulso a partire dalla fondazione della colonia di Piacenza (218 a.C.).

Da un punto di vista archeologico-topografico, l’originaria scelta insediativa del nucleo di Almè, potrebbe riallacciarsi ad un ipotetica direttrice proveniente da Sud: ovvero al percorso storico della transumanza (l’antica via Bergamo-Crema), l’antico tracciato di origine preromana che dalla pianura conduceva ai pascoli brembani disegnando l’asse Mozzo-Scano-Ossanesga-Sombreno-Paladina-Almè, lo stesso che proseguendo verso sud sarebbe poi divenuto in epoca romana, un asse di riferimento per la centuriazione, forse riferibile al cardo n. XX indicato dal Tozzi, ovvero il cardo massimo della prima centuriazione del territorio bergamasco (10). E ciò in relazione a quanto supposto in recenti studi.

Se così fosse, anche la via per Sombreno, prolungamento naturale del cardo, risalterebbe nella regolarizzazione centuriata delle terre adiacenti.
Alcuni ritrovamenti d’epoca romana e l’aiuto della toponomastica locale, ovvero l’indicazione circa la presenza di famiglie riconducibili all’area di Piacenza, sembrerebbero avvalorare questa ipotesi, testimoniando quindi l’esistenza di insediamenti romani presumibilmente impostati sulla centuriazione.

E’ lecito dunque chiedersi se esisteva una centuriazione nella piana di Almè. Le tracce rilevabili all’oggi sono piuttosto esili ma, osservando i catasti ottocenteschi si intravede una suddivisione dei terreni perpendicolare alla direttrice sopracitata, seguita dai luoghi ritenuti presenti in epoca romana:
Motium, Scanum, Ossanisga e Palatina.

Dal catasto ottocentesco. In generale i sistemi di misurazione e valutazione dei possedimenti risultano essere molto spesso tra gli elementi portanti su cui si basa una ricostruzione storica. Questo vale in particolare nel caso di Almè, sia per la questione della omonimia con Almenno (la già citata definizione Lemene), sia per la carenza di memorie storiche locali

 

Almè, mappa catastale del periodo Lombardo-Veneto, primo rilievo (Archivio di Stato di Milano)

Si potrebbe quindi scorgere una divisione particellare che suscita particolare attenzione individuando due diversi orientamenti.

Particolare della carta dei dei luoghi dei ritrovamenti, delle famiglie del culto di Santi romani in Lemene e Val Breno, su un’ipotesi di maglia di centuriazione (elaborazione: Studio Gritti)

Il primo, continuativo a quello presente nella piana sottostante, sarebbe individuabile sia in una griglia particellare nell’area presumibilmente occupata dall’antico vico Larno, sia lungo l’asse che da Sud conduce alla strada della Regina nel sito anticamente detto 10 Pertiche.

Il secondo, comprendente l’abitato di Lemene ed i terreni e SE, sarebbe invece impostato secondo la direttrice della Strada della Regina.
Verso Nord, la presenza dei toponimi corobiolo e agro nonchè del centro di Villa Lemene ci potrebbero indicare un prolungamento della centuriazione fino alla base collinare.

NOTE
(1) La comunità di Almè ed il suo territorio, fino a quasi tutto il XVI secolo, sono sempre stati indicati nei documenti con il nome LEMINE o LEMENE, esattamente come la vicina comunità di Almenno, stabilita sull’opposta riva del fiume. Per questo, l’analisi di ogni documento relativo alle due comunità presuppone un laborioso accertamento che possa stabilire con sicurezza a quale di esse si riferisca il documento in questione.
(2) Secondo il Rota (Origine di Bergamo, lib. III) “dun” è un’espressione che nel linguaggio gallico significa “colle o monte”; nella Gallia oltremontana si hanno infatti numerosi esempi di città situate in luoghi elevati i cui nomi finivano in “dun”, che poi i latini modificarono in “dunum”.
(3) La cultura di Golasecca, civiltà sviluppatasi nella regione dei laghi lombardi, tra il Po e l’arco alpino, si trovava in posizione di rilievo nei rapporti economici tra la civiltà etrusca e, oltralpe, quella celtica. Tale situazione, oltre al naturale sviluppo di una rete viaria locale, favorì il formarsi di direttrici di traffico comprese in lunghe rotte commerciali, sulle quali si attestarono anche centri urbani quali Como (nel V secolo punto di mercato in cui si incontravano gli itinerari commerciali fra i popoli transalpini e quelli dell’Etruria centro Italica), Bergamo e Brescia. Tra queste, vi erano quelle definite come la Transalpina e la Pedemontana. La Transalpina, in direzione NO-SE, congiungeva la valle del Reno con Felsina e l’area del Mincio seguendo il tracciato passo di S. Bernardino – Bellinzona – Canton Ticino – Como – Brembate – Fiume Mincio e Mantova. La Pedemontana, in direzione E-O, metteva in comunicazione Como, centro nodale per l’accesso a Nord, con Brescia via Bergamo (De Marinis annota che da Bergamo il tracciato forse si divideva in due direttrici: “a nord attraverso la valle S. Martino si perveniva a Chiuso e quindi a Lecco….a sud seguendo il corso del Brembo si poteva passare l’Adda all’altezza di Brembate e di Trezzo” e quindi proseguire per Como – cfr. R.C. De Marinis, 1995, p.4 -).
Altre vie ipotizzate erano quelle che seguivani i corsi dei principali fiumi quali l’Adda, il Serio, l’Oglio, nonchè le valli Seriana e Cavallina e, infine, un tracciato tradizionalmente usato per la transumanza attraversante Crema – Mozzanica – Bariano – Morengo – Cologno – Urgnano – Zanica. Da qui si ipotizza una biforcazione conducente ai pascoli subalpini, verso Est, in valle Seriana e, verso Ovest, in valle Brembana.
(4) Fra il III e il II sec. a.C. si assiste a una decisa penetrazione romana verso Nord. La necessità di un controllo di un territorio più ampio e l’introduzione di una politica intesa al dominio disciplinato delle popolazioni autoctone viene attuata dalla repubblica romana mediante l’imposizione di nuovi tracciati, la razionalizzazione di quelli esistenti, e l’applicazione del sistema di centuriazione. In area lombarda si favorirono i collegamenti di pianura. Questi privilegiavano i percorsi da Milano verso Novara, Pavia, Piacenza, Cremona, Brescia, Bergamo e Como.
(5) Alle pendici della collina di Castra, sono venuti alla luce i resti di di un acquedotto di epoca romana, il cui impianto idrico consisteva in un condotto in calcestruzzo con sezione ad “U”, privo di copertura, della lunghezza di circa 2 km, che prelevava l’acqua da una cascata portandola fino alla forcella di Castra.
(6) Man mano i Romani avanzavano verso il nord Italia, la reazione tenace dei Celti fu domata dopo 5 anni di aspra guerra; le ultime due resistenze, specie nelle valli, furono fiaccate dal console Valerio nel 196 a. C.. Cosicché Roma portò oltre il Po la sua potenza ed il nostro territorio fu certamente latinizzato (in sequenza le vittorie furono: 222 a.C. sull’Oglio, 199 a.C. sul Mincio, 198 a.C. a Como, 196 a.C. a Milano (Cfr. P.Manzoni, Lemine dalle origini al XVI secolo, Bergamo 1988, p. 19).
(7) Nel Bergamasco i confini non dovevano inizialmente oltrepassare le cime dell’Albenza, del Resegone e del Canto Alto.
Nel I sec. a. C. le vittorie sui Galli (in sequenza le vittorie furono: 222 a.C. sull’Oglio, 199 a.C. sul Mincio, 198 a.C. a Como, 196 a.C. a Milano (Cfr. P.Manzoni, Lemine dalle origini al XVI secolo, Bergamo 1988, p. 19) estesero la presenza romana nelle nostre zone portando una sorta di stabilità: nell’89 a.C. fu esteso il diritto romano alle città indigene transpadane, nel 49 a.C. Bergomum divenne municipium (Il “municipio” romano era diviso in distretti, a loro volta suddivisi in più piccoli insediamenti, dislocati in particolare lungo le vie romane nei punti strategici e militari.
Fu solo nel 43 a.C. quando le valli orobiche vennero assoggettate al dominio romano liberando tutta la fascia collinare dai rischi delle intemperanze degli avversari più irriducibili, che cominciò una lenta penetrazione dei coloni, insieme alla romanizzazione della popolazione locale e allo sfruttamento delle terre conquistate. Questa colonizzazione si concretizzava con la formazione di nuovi insediamenti, nuclei o edifici sparsi di carattere rurale, o con l’integrazione di quelli esistenti, in particolare in quelli situati nei punti strategici e militari.

(8) Silvano, dio romano forse assimilabile ad una divinità agreste celtica Cfr. M. Vavassori (a cura di), Le antiche lapidi di Bergamo e del suo territorio. Materiali, iscrizioni, iconografia, in “Notizie archeologiche bergomensi”, n. 1, 1993, pp. 145-146.

(9) E’ importante, a tale proposito, precisare che le direzioni delle vie principali che si dipartono (e convergono) dalle antiche porte della città, furono fissate già dai tempi antichi, almeno dal periodo romano, quando le probabili porte della cinta romana, erano, così come oggi, orientate secondo quattro punti principali (in qualche modo riconducibili ai quattro punti cardinali) che si aprivano verso Milano, Brescia, Como e la Valle Seriana, corrispondenze che furono poi confermate dalle aperture principali di quella medievale e poi fissate in quelle della fortezza veneta: Porta S. Alessandro – verso Ovest -, Porta S. Giacomo – verso Sud -, Porta S. Agostino – verso Est -, Porta S. Lorenzo – verso nord.
(10) “Conseguentemente all’ammissione dello ius Latii (89 a.C.), iniziò la centuriazione del territorio bergamasco. Studi precedenti hanno individuato due fasi distinte: la prima, interamente compresa nell’area pianeggiante del territorio, riferibile all’epoca dell’ammissione, la seconda, in parte sovrapposta alla precedente, realizzata in epoca augustea in una situazione meglio definita militarmente. Seguendo le indicazioni del Tozzi la prima centuriazione venne orientata secondo l’asse Spirano-Stezzano. In seguito la Cantarelli ha ipotizzato come Cardo massimo, il tracciato di riferimento per la prima centuriazione, l’antica via Bergamo-Crema – anticamente usata per la transumanza – passante per Verdello e identificata dal Tozzi come cardo XX: Se così fosse, anche la via per Sombreno, prolungamento naturale del cardo, risalterebbe nella regolarizzazione centuriata delle terre adiacenti” (Gritti, op cit.)

Riferimento principale
A cura di Andrea, Luigia e Pietro Gritti, “Almè, l’antico nucleo e il territorio”, 1997.

Un ringraziamento alla gentilissima signora che ha aperto a Maurizio i cancelli del suo cortile, postazione ideale per gli scatti fotografici presenti nel post.

L’articolo è pubblicato anche in Due passi nel mistero