Non si può certo dire che in passato Bergamo sia stata a corto di teatri, soprattutto negli anni della Belle Époque, quando erano in molti ad uscire la sera e a riempire teatri e ritrovi, in Città Bassa come in Città Alta.
A cavallo fra Otto e Novecento Bergamo Bassa poteva vantare, accanto al teatro massimo della città (il vecchio “Riccardi”, nel 1897 intitolato a Donizetti), la presenza di due teatri – l’Ernesto Rossi e il Givoli -, che sorgevano in Piazza Baroni nei pressi dell’odierna Casa della Libertà, nello spazio tradizionalmente legato allo spettacolo e al divertimento che gravitava intorno all’antica Fiera.
C’è una fotografia che li ritrae l’uno accanto all’altro, in quella Piazza Baroni che da secoli accoglieva tendoni e baracche provvisorie, allestite per ogni sorta di spettacolo e divertimento.
Non molto belli ma abbastanza capienti, tra i due, il Givoli era il più grande e fu l’ultimo a scomparire (1897) per dare spazio, al di là della Roggia Nuova, al Teatro Nuovo (detto allora “Nuovo Politeama”, inaugurato nel 1901), da edificarsi secondo i criteri di eleganza dettati dal clima di modernità che ormai si andava respirando nel centro cittadino.
Un paio d’anni prima dell’inaugurazione del Nuovo, e cioè nel 1899, il capomastro Antonio Dolci costruiva, a pochi passi dalla Stazione ferroviaria, il Politeama Novelli, che ebbe vita breve perché nel 1903 Nicolò Rezzara aveva proposto di edificare in quel luogo la Casa del Popolo, entro la quale venne ricavato il Teatro Rubini, sorto nel 1907.
Ne seguirono altri: il 1923 fu la volta dell’ Augusteo, costruito in Borgo Palazzo e rimasto in attività – pare – fino allo scoppio della Seconda guerra mondiale, quando la sala venne requisita per ricavarne una mensa. Nel 1927 fu invece inaugurato il Duse, sulla Rotonda dei Mille: il teatro dei grandi spettacoli di rivista dell’epoca, demolito nel ’68.
Disseminati tra i borghi e le periferie, oltre ai teatri di quartiere (il già citato Augusteo, oppure il Del Borgo in Piazza Sant’Anna ), vi furono anche quelli dei collegi (in primis il teatro del collegio Sant’Alessandro) e degli oratori, fra i quali quello dell’Immacolata, dei Celestini in Borgo Santa Caterina, delle Grazie, di Boccaleone, di Redona (poi Qoélet) o del più recente S. Andrea, in via Porta Dipinta.
In Città Alta erano ormai in decadenza due teatrini che avevano funzionato per tutto l’Ottocento, quello di piazza Mascheroni e il San Cassiano; a partire dagli anni Trenta cominciò poi a funzionare il Teatro del Seminarino, mentre il Sociale chiuse nel ’32.
Vi erano poi i teatri del dopolavoro; importante fu la Sala del Mutuo Soccorso di via Zambonate nonché il teatro Minerva del dopolavoro ferroviario presso la Stazione.
Vi era un piccolo teatro anche in via Torquato Tasso, dove si esibiva l’Estudiantina, un’orchestrina di chitarre e mandolini (1).
Si è vagheggiato anche di un certo teatro “Smeraldo”, aperto negli anni ’40-’50 in Viale Vittorio Emanuele di fronte al civico 12, ma di questo non abbiamo certezza.
Tra i tanti , a fare la storia sono stati in cinque: il Sociale, il Donizetti (già Riccardi), il Nuovo, il Rubini e il Duse. I primi due realizzati in particolare per ospitare spettacoli d’opera lirica, anche se mai mancò la prosa seria, per la quale si accoglievano anche le compagnie di giro quando erano nei paraggi (come non pensare a Emma e Irma Gramatica, Angelo Musco, Gualtuero Tumiati, Maria Melato, Ruggero Ruggeri, Ermete Novelli). E poi il varietà, la danza, le riunioni pugilistiche, i trasformismi (Fregoli come grande richiamo), i comizi, le giocolerie, le donne barbute, le donne cannoni, le lotte con i tori, per poi approdare, in molti casi, al cinema.
Tanti teatri dunque, grandi e piccoli, dalla cui storia emerge il ritratto di una Bergamo musicale e godereccia, straordinariamente vivace e vissuta: una geografia molto ramificata di locali, che ha regalato per molto tempo svago, cultura, occasioni di incontro e tanto, tanto benessere.
Alla fine del Novecento, il Rubini e il Duse erano morti e sepolti da un po’, mentre del Nuovo sopravviveva ormai il suo fantasma (non parliamo poi della strage dei piccoli teatri e del Sociale ancora da recuperare). In poco più di cinquant’anni Bergamo aveva distrutto un patrimonio artistico che fondava la sua identità sociale, culturale e civile, non preoccupandosi nemmeno di costruire un museo del teatro, a disposizione dei bergamaschi, in cui fossero esposti disegni, cartelloni, biglietti, foto che documentassero la sua storia.
Resisteva l’Auditorium in Piazza della Libertà, che, sempre legato all’associazione cinefila Lab80, poteva contare sulla sua super sala che era anche perfetta come teatro.
Sparito l’Augusteo, il teatro Minerva del dopolavoro ferroviario, il Salone del Mutuo Soccorso in via Zambonate, il teatro della Casa del fascio e dei sindacati in via Scotti, “il bel teatrino liberty del Collegio Sant’Alessandro, ora un triste auditorium in cemento armato! Ma quando mai i teatri si fanno in cemento armato?!”, lamentava Mimma Forlani (2).
TEATRO ROSSI (GIA’ TEATRO DELLE VARIETA’)
Artefice della nascita del primo teatro stabile, dopo il “Riccardi”, fu un ex capomastro intraprendente, attratto dal mondo dello spettacolo: quel Luigi Dolci che già aveva gestito il “Riccardi” fino al 1879, per poi gestire il Teatro delle Varietà, del quale Luigi Pelandi ci ha tramandato notizie.
Il Teatro delle Varietà era una gran baracca fissa con basi in muratura, che si trovava in Piazza Baroni (presso il Torresino di mattina), dov’era presente almeno dal 1881 (3). La prima rappresentazione portata su quelle tavole era stata l’Aida, recitata da marionette.
Il teatro aveva subìto sensibili trasformazioni per cura del proprietario Luigi Dolci, su disegno del figlio Antonio. L’interno aveva due ordini di gallerie e poteva contenere un massimo di 1200 persone.
Narrano le cronache del tempo che il teatro doveva essere un ambiente “aristocratico”, e per quanto fosse disposto per qualunque produzione, doveva destinarsi soprattutto a trattenimenti di prosa. Vi si esibirono le migliori compagnie drammatiche del tempo, ma vi furono anche concerti celebri, pianisti e violinisti di cartello (4). Sta di fatto però che il popolino lo chiamava “ol filatòi del Dolci”, perché amene coppiette di innamorati “filavano” tranquillamente nell’oscurità della sala.
Nel 1883 questo teatro assunse il nome di Teatro Rossi, in omaggio al grande attore Ernesto Rossi, che vi aveva tenuto una serie di recite nella primavera di quell’anno. Il Teatro Rossi venne demolito nel febbraio del 1894 poiché il Dolci non volle saperne di pagare la tassa annuale di posteggio all’amministrazione dell’Ospedale.
E’ interessante notare che il suo ultimo impiego fu per un congresso socialista, relativo all’approvazione dello statuto regionale (5).
POLITEAMA GIVOLI
Vita breve ebbe poi il Politeama Givoli, che fu edificato nel 1882 accanto al Teatro delle Varietà, là dove ogni anno per la stagione fieristica stazionava un circo equestre, che in bergamasco si chiamava bal di caài. Costruito su progetto dell’architetto Gaetano Gallizioli, venne definito una “mostruosità” da un giornale del tempo.
Il teatro, costruito in muratura e legno, aveva tre ordini di palchi ed una vastissima platea che poteva contenere 2500 persone (6).
Le cronache del tempo lo descrivono come un ambiente popolare e più che altro destinato a spettacoli di circhi equestri e di varietà: in quegli anni, il termine Politeama veniva usato di frequente e si riferiva ad un luogo dove venivano rappresentati spettacoli di vario tipo: prosa, lirica, varietà, concerti, circo equestre, comizi, esperimenti “scientifici” e, più tardi, anche il cinematografo.
Nel 1894 e nel ’96 Filippo Turati vi tenne due famosi discorsi: “i socialisti sono i veri conservatori” e “la politica del proletariato” (7).
Il 2 novembre del 1897 vennero iniziati i lavori di demolizione perché l’amministrazione ospedaliera rivendicò a sé l’uso dell’area sulla quale sorgeva il teatro, e alla fine di quel mese la Piazza Baroni era completamente vuota! (8).
POLITEAMA NUOVO
Mentre si abbatteva il Politeama Givoli, su di un terreno situato al di là della Roggia Nova, che a quel tempo scorreva a cielo aperto, si edificava, sull’area dell’ex giardino Piccinelli, il Teatro Nuovo, detto allora “Nuovo Politeama”, in quanto avrebbe dovuto rappresentare un po’ di tutto.
Ma la costruzione, iniziata nel giugno del 1897, andò per le lunghe a causa di diverse inadempienze degli appaltatori. Gli impresari appaltanti, Giovanni Givoli e Innocente Carnazzi, dopo aver ricorso a giudizio, furono felici di liberarsi del fabbricato, cedendolo a Carlo Ceresa. Questi fece portare a termine la costruzione e – poiché si eccepiva sulla stabilità delle gallerie – ottenne il permesso di agibilità con un singolare espediente, che viene così riferito da Luigi Pelandi: “Fatta caricare’ dai suoi coloni di Stezzano, su una lunga fila di carri, una innumerevole quantità di sacchi di frumento, li fece collocare vicinissimi gli uni agli altri. Poi mise per beffa il cartello: tutto esaurito, e una bella sera, sfolgorante il teatro di luce, chiamò la commissione dei tecnici per constatare la gravità, la quantità, la qualità ed eccezionalità del pubblico così pesantemente assorto. La commissione vide, commentò ed autorizzò a pieni voti l’esercizio teatrale” (9). E finalmente il 23 marzo 1901, il Teatro Nuovo fu inaugurato con una rappresentazione de “La Sonnambula” di Vincenzo Bellini.
Fu con il geniale e temerario Pilade Frattini, impresario del Nuovo dal 1904 al 1915, che si ebbero le rappresentazioni più stravaganti e variate: con Frattini divenne la sala più polivalente della città, ospitando opere liriche, operette, commedie e drammi, concerti, conferenze, comizi, balletti, esperimenti scientifici, giochi popolari, spettacoli circensi, incontri di pugilato e lotta…
Fu proprio al Nuovo che nel 1913 si organizzò il primo incontro di Boxe, in una serata d’accademia di ginnastica e scherma, mentre nel novembre del ‘28 il teatro Duse iniziò ad ospitare importanti manifestazioni di pugilato, che interessarono poi anche altri locali cittadini: oltre che al Nuovo, presso la sala Vittoria in P.zza S. Spirito, nella palestra dell’Atalanta in via Verdi, al Teatro Sociale, al cinema varietà Augustus in Borgo Palazzo e al Teatro Minerva del dopolavoro Ferrovieri.
Sotto Frattini vi fu la storica esibizione (1911) della Compagnia Futuristica Marinetti & Co (due anni prima “Le Figaro” aveva pubblicato il famoso Manifesto del Futurismo), suscitando scandalo tra i benpensanti e invettive anticlericali durante lo spettacolo. Nel 1915 Il teatro ospitò Luigi Pirandello in veste di direttore artistico di una compagnia teatrale che si esibì in “Sei personaggi in cerca d’autore”.
Fra i nomi celebri, Pietro Mascagni, Emma Gramatica, Fregoli, il grande giocoliere bergamasco Enrico Rastelli, ma anche, per la gioia dei bambini, il “nano Bagonghi”, così come l’indimenticabile Ettore Petrolini, Tito Schipa, ma anche D’Annunzio e Mussolini. L’elenco potrebbe continuare all’infinito, in quello che per lustri è stato l’unico teatro popolare della Città, solo più tardi affiancato dal glorioso “Duse”.
Nel corso della sua storia il Nuovo ha avuto diversi assetti, determinati dalle necessità che di volta in volta emergevano nel mondo dello spettacolo e della vita sociale e culturale della città. Nel tempo l’edificio si è progressivamente ridotto ed ha perso quell’assetto tipico dei teatri di fine Ottocento/primi Novecento del secolo scorso.
Nel 1928 è stato ampliato e sistemato su progetto degli architetti Galizzi e Galimberti nonché abbellito con una decorazione dal severo gusto artistico, così da rendere il Teatro degno del nuovo centro cittadino. Nel 1965 si è messa nuovamente in atto una ristrutturazione massiccia, ad opera dell’architetto Alziro Bergonzo, che lo ha trasformato definitivamente in una grande e modernissima sala cinematografica (del vecchio e glorioso teatro resta ormai praticamente la facciata verso Largo Belotti), diventando una sala da Prime Visioni (‘Rocky’ e ‘Jesus Christ Superstar’ vi tennero il cartellone per settimane) ma tenendo anche qualche spettacolo musicale o di cabaret teatrale.
Dopo aver attraversato un periodo di decadenza e dopo ripetuti tentativi di riqualificare il locale con programmazioni cinematografiche di livello, nell’estate del 2005 il cinema Nuovo ha chiuso definitivamente i battenti.
POLITEAMA NOVELLI
Un paio d’anni prima dell’inaugurazione del Nuovo, e cioè nel 1899, sempre per merito di quell’Antonio Dolci (figlio di Luigi) già interessato alla ristrutturazione del divenuto teatro Rossi, nacque il Politeama Novelli, edificato all’inizio del “viale della stazione”, nel giardino Codali, acquisito dal Dolci. A inaugurarlo, la sera del 16 novembre, fu invitato Ermete Novelli, che mise in scena un magistrale “Papà Lebonnard”, con la sua compagnia al completo.
Come ricorda Luigi Pelandi nella sua Bergamo scomparsa, “fu una bazza per la cassetta e un trionfo per il grande attore, già abituato del resto a imponenti ovazioni dei teatri italiani ed esteri per quella sua mimica ampollosamente espressiva eppur tanto spontanea, passante dalle note ilari e bonarie a quelle della più commovente drammaticità”. Come poi usava a quel tempo, il Politeama Novelli ospitò anche diverse conferenze. Una in particolare aprì sui giornali un dibattito acceso: l’aveva tenuta l’avvocato Federico Maironi “contro la convenzione per la trasformazione dei tram cittadini”. Gli oratori erano molto contesi dai teatri, che a Bergamo proprio non mancavano (10).
Il Politeama, nei pressi dell’attuale via Novelli, era sorto riadattando la grande e singolare serra di un giardino preesistente, che apparteneva al floricoltore Codali. Come mostrato dall’immagine sottostante, vi era anche un laghetto, alimentato dalla roggia Ponte Perduto, che d’’estate fungeva da “piscina”, rigorosamente riservata alla popolazione maschile e affittata a 10 centesimi, mentre d’inverno lo specchio d’acqua ghiacciava diventando pista da pattinaggio e rifornendo ghiaccio per uso domestico. La serra fu poi trasformata in teatro.
Nel 1903, Nicolò Rezzara propose di edificare sull’area del giardino Codali la Casa del Popolo (attuale sede de L’Eco di Bergamo). Il teatro ebbe dunque vita brevissima: fu abbattuto nel 1904 e la Casa del Popolo (oggi conosciuta come Palazzo Rezzara) si inaugurò l’8 maggio 1908, nella vasta area oggi compresa tra viale Papa Giovanni XXII, via Paleocapa e via Novelli.
Era il periodo in cui l’area circostante la Stazione andava acquisendo la fisionomia che conosciamo, con la via Paleocapa già delineata e con in testa Palazzo Dolci e Casa Paleni in viale Roma, con la sua ricca facciata liberty.
Nella Casa del Popolo, oltre alle istituzioni cattoliche erano presenti anche un albergo, un ristorante, negozi, appartamenti, la redazione de “L’Eco”, la Banca Piccolo Credito, la cappella, sale di lettura, biliardo e il teatro Rubini. L’allora Viale della Stazione fu ribattezzato viale Roma – denominazione che mantiene anche oggi nel tratto tra Porta Nuova e via Petrarca -, mentre il tratto tra la stazione e Porta Nuova fu intitolato a Papa Giovanni XXIII.
TEATRO RUBINI
Costruito all’interno della Casa del Popolo, con ingresso in via Paleocapa, fu inaugurato la sera del 16 novembre 1907 con l’opera “Poliuto” di Donizetti, per restare in attività per quasi 80 anni, guadagnando un posto d’onore nell’immaginario collettivo della città.
In teatro approdarono spettacoli d’ogni tipo, dalla prosa al varietà, dalla commedia dialettale ai concerti, ma un mese dopo l’inaugurazione, il Rubini accolse anche il cinematografo, che fu, sin dall’inizio, l’attività più sistematica, risultando da questo punto di vista, in certi anni, il locale più attivo della città.
Fu rinnovato nel 1954, aumentandone la capienza e cancellandone l’impronta stilistica originaria e nel 1974, quando divenne “Rubini 2000” e – ahinoi – nel 1987, data anche la crisi delle sale cinematografiche, venne sostituito dal Centro Congressi Giovanni XXIII.
Con i suoi 1.500 posti a sedere fra platea e galleria, aveva offerto per decenni film per famiglie, le anteprime dei western di Sergio Leone e tutti i cartoni animati di Disney.
Con il nome di Rubini 2000 divenne frequentatissimo negli anni Settanta anche per una serie di importanti concerti, come la prima uscita ufficiale della Premiata Forneria Marconi in veste di supporto dei Procol Harum. Vi si esibirono inoltre gli Area, il Banco del Mutuo Soccorso, Arthur Brown, i Pooh e molti altri.
TEATRO DUSE
Fra tutti il più amato e compianto. Intitolato alla grande Eleonora Duse, nacque nel travagliato clima del Ventennio grazie a una sottoscrizione fra amici facoltosi, per soddisfare il bisogno di un nuovo teatro dove poter rappresentare opere liriche e lavori drammatici; un teatro che avesse minori pretese rispetto al massimo della città – il Donizetti – e maggiori agi rispetto al Nuovo.
Affacciato su Piazza Garibaldi, il bel teatro dalla pregevole facciata in stile neoclassico vantava la bellezza di 2.500 posti a sedere e funzionava egregiamente sia da cinema che da teatro. Ospitò le più varie attività: dall’opera seria ai concerti, dalla prosa all’avanspettacolo, dai dibattiti politici e culturali ad esibizioni circensi e incontri di pugilato, da pregevoli concerti jazz a concerti di musica leggera, intrecciando la propria storia con quella personale di molti bergamaschi. Nonostante l’acustica fosse il suo tallone d’Achille, il Duse fu molto più di un teatro: fu per decenni un punto di svago, di ritrovo, di socializzazione, regalando a molti bergamaschi serate memorabili.
Calcarono il suo palcoscenico nomi importanti e sostituì degnamente il Donizetti quando chiuse per lavori. Indimenticabile anche il Teatro di Varietà, con ballerine e truccatissime soubrette – allora popolarmente chiamate le donnine – ma anche le Compagnie di Rivista di Totò, Wanda Osiris, Macario, Walter Chiari, Renato Rascel, Josephine Baker, Paola Borboni, Dario Fo.
Dopo oltre quarant’anni di onorata attività, nel 1968 fu demolito per essere sostituito da un edificio di architettura “Brutalista”, con parcheggio aereo e un cinema sotterraneo, mentre il monumento di Garibaldi continuava a fare bella mostra di sé nel bel mezzo della rotonda, ormai assediato dalle auto e declassato a spartitraffico.
All’alba della sua demolizione, un cartello manoscritto affisso da un ignoto all’ingresso del Teatro, recitava: “Da domani, tra una diffusa sensazione di malinconia, si darà inizio all’opera di rimozione delle strutture del palcoscenico e, successivamente, si arriverà alla vera e propria demolizione dell’edificio: Bocca amara per la Città. Non è che gli altri teatri cittadini stiano meglio, anzi! Certo, non sono in via di demolizione, ma… In fondo anche questi cambiamenti sono il sintomo di una mutazione culturale e di costume che la Città sta vivendo. Al suo posto sorgerà un moderno edificio per residenze ed uffici ed un parcheggio: l’edificio, destinato a morire, e con esso il Teatro, oggi si può ancora guardare e fissarlo nella mente, a futura memoria, infatti, in questi giorni è meta di curiosi e di nostalgici… e pensare che solo domenica sera, due giorni fa, il Teatro era ancora pieno di spettatori i quali, alla fine dell’ultimo spettacolo, hanno salutato il loro Teatro con un fragoroso e prolungato applauso, e la malinconia: la si poteva toccare con mano” (11).
La storia di questo teatro è minuziosamente raccontata QUI.
TEATRO AUGUSTEO
In una laterale di via Borgo Palazzo, in via Anghinelli 23, c’era era un piccolo teatro, che dopo un abbandono durato oltre 40 anni, nel 2007 è stato demolito per costruire abitazioni di lusso. Vi si accedeva da un portoncino di Borgo Palazzo, al numero 28.
Un vecchio numero dell’ “Eco” riporta che la costruzione della palazzina che ospitava il teatro fu affidata all’impresa Crialesi da un certo Gentili e a giugno ’23 la ditta Camillo Roncelli fu “incaricata di eseguire gli importanti impianti elettrici di proiezione, illuminazione, ventilazione, aspirazione, effetti scenici nel nuovo grande Teatro Augusteo”.
Aggiunge che “per inaugurare il nuovo teatro l’impresario Rumor, incaricato della gestione, riuscì a portare a Bergamo addirittura uno spettacolo de Les Folies Bergères.
E al taglio del nastro, il sabato 8 settembre 1923, c’era anche una celebrità dell’epoca”, il mitico nuotatore Enrico Tiraboschi, che aveva da poco compiuto la la memorabile traversata della Manica da Calais a Dover in 16 ore e 25 minuti, “tanto da meritarsi una copertina della Domenica del Corriere disegnata da Beltrame”.
Essendo un teatrino di quartiere ospitò gli intrattenimenti più vari: oltre a quelli “classici” (prosa, varietà ed anche proiezioni cinematografiche), organizzò anche spettacoli destinati ai militari così come diversi eventi sportivi, come gli incontri di pugilato che si disputarono nel maggio del ’25, cui parteciparono “molti tra i più forti pugilatori italiani, primo fra tutti l’aspirante al titolo europeo, Bosisio”. Quella della boxe nei teatri era una tradizione ereditata dal teatro Nuovo (dove il primo incontro in assoluto risaliva al 1913) e poi trasmessa al Duse, a partire dal novembre del 1928.
Il teatro restò in attività per una ventina d’anni, poi – sembrerebbe -, allo scoppio della Seconda guerra mondiale la sala venne requisita per ricavarne una mensa. Finita la guerra “l’immobile fu venduto e utilizzato come sala per l’esposizione di mobili, infine nei primi anni 2000 passò a un’immobiliare e fu inserito nel progetto di ristrutturazione del palazzo, con la realizzazione di unità abitative” (12).
Il palazzo dell’insegna esiste ancora, pur senza il monumentale balcone. Come tanti altri teatrini scomparsi, anche questo ha animato per un certo periodo la vita di un borgo, in una città che traboccava di vita.
IL TEATRO MINERVA, UN TEATRINO (SCOMPARSO) PRESSO LA STAZIONE
Quella sottostante è una rara immagine del Teatro Minerva del dopolavoro Ferrovieri, presso la Stazione Ferroviaria di Bergamo, risalente al 1938. Sappiamo, grazie ad alcune testimonianze, che il locale era già attivo almeno dal 1928.
Quella del Minerva è stata anche una delle due sale da ballo esistenti a Bergamo nel dopoguerra (l’altra doveva trovarsi in Borgo Santa Caterina, forse chiamata Cristallo), vocazione proseguita negli anni Sessanta, quando il locale, che era noto come Piper, era assai frequentato (sicuramente esistente negli anni 66/67).
Nel corso del tempo il teatrino ospitò spettacoli di vario genere: dagli incontri di pugilato a spettacoli di varietà e di magia, e nel biennio ‘57/’58 vi si tenne uno spettacolo ispirato al “Musichiere”. In seguito vi fu un periodo in cui la sala fu utilizzata per giocare con le “Policar”, macchinine elettriche che correvano sulle piste con il pattino.
Ma quello che gli adulti di oggi ricordano con particolare emozione era lo spettacolo organizzato in occasione dell’Epifania per i figli dei ferrovieri, dopo il quale i bimbi ricevevano un regalo.
Il teatro si trovava nel lungo edificio posto a destra rispetto la facciata della Stazione; visto dal lato dei binari, costeggiava molti metri del binario tronco, quello per Lecco. All’interno c’era anche una piccola mensa e bar per i dipendenti.
IL TEATRO GREPPI (ORATORIO DELL’IMMACOLATA)
Merita di essere ricordato anche lo splendido e glorioso Teatro Greppi (ancora esistente), fondato nel 1903 nell’Oratorio dell’Immacolata – oggi Sala Greppi -, con la sua struttura decorativa di primo novecento, il suo affresco di gusto settecentesco che la avvolge tutta e la impreziosisce, la sua loggia e il suo palcoscenico profondo. Il teatro sopravvive nella memoria di tutti gli abitanti del borgo che abbiano frequentato l’oratorio da ragazzi, se non più per la proposta di rappresentazioni da parte delle due compagnie esistenti, per l’uso del teatro come sala cinematografica fino alla fine degli anni ‘70 del ‘900. L’Associazione Sala Greppi, dal 1981, ha poi gestito la sala per proposte musicali di altissimo livello, curando il mantenersi della sala stessa in modo tale da essere vissuta.
RINATO A NUOVA VITA: IL S. ANDREA IN CITTA’ ALTA
Il Teatro S. Andrea è stato ricavato nella cripta della chiesa omonima, in via Porta Dipinta, costruita fra il 1840 e il 1847 sulla base di un edificio dell’ottavo secolo d.C. L’ambiente ipogeo fu destinato per circa un secolo a conservare opere provenienti da altri luoghi di culto, oltre che da quello preesistente. Una prima versione del teatro fu realizzata per volontà del parroco Antonio Galizzi che, nel 1951, fece realizzare nella cripta un cineteatro completo di palco, quinte, sipario più una cabina per proiezioni cinematografiche. Nel tempo, l’attività cine-teatrale venne tuttavia meno e lo spazio fu destinato ad altri usi, principalmente oratorio e spazio sportivo, fino alla sua chiusura negli anni ‘90. Solo nel 2018 l’ambiente sotterraneo della chiesa è tornato ad essere a tutti gli effetti un teatro. La sala può ospitare fino a 100 persone e si sviluppa secondo un impianto unico: all’abside e al presbiterio della chiesa sovrastante corrisponde la platea, mentre sotto la navata si sviluppano sipario e palco. Ai lati del sipario campeggiano decorazioni raffiguranti le maschere di Arlecchino e Pulcinella, realizzate da Albano Pressato negli anni Cinquanta. Dal 2020 si è unito all’arredamento un altro pezzo d’eccezione: il pianoforte gran coda Steinway del 1932, già appartenuto a Giorgio Zaccarelli e donato al teatro dai figli, e posizionato nella parte absidale.
Siamo sicuri che questo lungo elenco potrebbe continuare …e chissà cos’altro avrebbe da raccontare.
NOTE
(1) Pilade Frattini, Renato Ravanelli, “Il Novecento a Bergamo – Cronache di un secolo”. A cura di Ornella Bramani. Vol. II, UTET, Anno 2013.
(2) Pilade Frattini, Renato Ravanelli, “Il Novecento a Bergamo – Cronache di un secolo”, Ibidem.
(3) Luigi Pelandi assicura che il 14 agosto del 1881, le “Notizie Patrie” segnalavano la presenza di una baracca stabile, il Teatro delle Varietà. Aggiunge inoltre che nella Piazza Baroni non esistevano edifici in muratura ad uso teatri prima del 1880 (Luigi Pelandi, “Attraverso le vie di Bergamo scomparsa II – La Strada Ferdinandea”. Collana di Studi Bergamaschi, a cura della Banca Popolare di Bergamo. Poligrafiche Bolis, Dicembre 1963).
(4) Il Pelandi trasse tale notizia da Elia Dolci, Spettacoli lirici nei teatri di Bergamo – 1784-1894 (Luigi Pelandi, “Attraverso le vie di Bergamo scomparsa II – La Strada Ferdinandea”, Ibidem).
(5) L’ultima comparsa risale il 28 gennaio 1894, allorché in questo luogo di ritrovo si tenne un grande congresso socialista per la discussione ed approvazione dello Statuto della Confederazione Regionale appena allora costituita. Vi avevano aderito 77 società sopra le 107 costituite in Lombardia (Luigi Pelandi, “Attraverso le vie di Bergamo scomparsa II – La Strada Ferdinandea”, Ibidem).
(6) Luigi Pelandi, “Attraverso le vie di Bergamo scomparsa II – La Strada Ferdinandea”, Ibidem).
(7) Comune di Bergamo, Piano di Recupero ex Teatro Cinema Nuovo. Relazione illustrativa generale. Ottobre 2018.
(8) Luigi Pelandi, “Attraverso le vie di Bergamo scomparsa II – La Strada Ferdinandea”, Ibidem.
(9) Luigi Pelandi, “La Rivista di Bergamo”, numero di giugno del 1926.
(10) Pilade Frattini, Renato Ravanelli, “Il Novecento a Bergamo – Cronache di un secolo”, Ibidem.
(11) “La nostalgia senza tempo dei cinema a Bergamo negli Anni Ottanta”. L’Eco di Bergamo, 6 maggio 2021.
(12) “Sulle tracce dell’«Augusteo» Il teatro sparito di Borgo Palazzo”. L’Eco di Bergamo, 6 settembre 2016. E’ però scritto ne “Il Novecento a Bergamo” (Op. Cit.) che il teatro “fu chiuso nel 1933 e adibito a magazzino di mobili”.
Riferimenti principali
Umberto Zanetti, “Bergamo d’una volta”, Artigrafiche Mariani & Monti. Ponteranica – Bergamo, 1983.
Pilade Frattini, Renato Ravanelli, “Il Novecento a Bergamo – Cronache di un secolo”. A cura di Ornella Bramani. Vol. II, UTET, Anno 2013.
Luigi Pelandi, “Attraverso le vie di Bergamo scomparsa II – La Strada Ferdinandea”. Collana di Studi Bergamaschi, a cura della Banca Popolare di Bergamo. Poligrafiche Bolis, Dicembre 1963.
Domenico Lucchetti, “Bergamo nelle vecchie fotografie”. Grafica Gutenberg, 1976.