Sul Sentierone alla vecchia Fiera, tra il “Nazionale” ed altri Caffè

Il Sentierone con i suoi famosi “Caffè”, nel 1914

Verso la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento, nei locali della Fiera che si affacciavano su Sentierone fiorivano quattro splendenti caffè-ristoranti: il Gambrinus, verso la chiesa di San Bartolomeo, punto di ritrovo dei giornalisti e dei tifosi di sport: calcio e soprattutto ciclismo;  il Centrale, all’ingresso della Fiera, frequentato da professionisti ed impiegati e più tardi trasformato in Cinema Centrale; il Bramati, ritrovo preferito di alcuni giornalisti, frequentato da pensionati e da studenti e sede di dibattiti e comizi politici. Ultimo, ma non ultimo, il Nazionale, presso il torresino che guardava verso Porta Nuova, più o meno nella stessa posizione in cui si trova l’attuale: era frequentato dalla gioventù “bene” e grazie al vulcanico Pilade Frattini divenne il centro della vita mondana della città, o meglio, il simbolo della Belle Époque in salsa orobica.

Quattro torri angolari delimitavano i lati dell’ ”insigne fabrica” della Fiera. Erano rozze, basse, tutt’altro che slanciate: perciò venivano chiamate “torresini”. Nei due torresini prospicienti l’Ospedale di San Marco (di cui oggi resta solo la chiesa) avevano le loro sedi il Tribunale della Sanità e i Conservatori della Fiera. Nel torresino che dava verso il portello delle Grazie (in fotografia) erano gli uffici delle Vettovaglie: qui sorgeva il caffè Nazionale. Il torresino vicino alla chiesa di San Bartolomeo, ospitava il Tribunale della Giustizia: accanto sorgeva il caffè Gambrinus e, nel mezzo, il Bramati ed il Centrale (chiuso nel 1914 per dare spazio al Cinema Centrale)

IL CAFFE’ GAMBRINUS

Presso il torresino della Giustizia, e proprio tra le ultime botteghe affacciate sul Sentierone, era il Gambrinus, vicino alla chiesa di San Bartolomeo. Caffè alla moda e punto di ritrovo dei giornalisti, era frequentatissimo dai commercianti ma soprattutto dei tifosi di sport: durante le corse di ciclismo, il Gambrinus era il centro delle informazioni sull’andamento delle competizioni.

Il Gambrinus, presso la Fiera

Fra i giornalisti, alcuni si salutavano fraternamente, altri si guardavano in cagnesco dopo essersi lanciati accuse ed insulti sulle colonne dei rispettivi  giornali. Tra i tifosi di sport invece, il più appassionato era certamente il Gamba, il suo eroe era Enrico Brusoni, allora campione italiano del ciclismo su strada.  

Il Sentierone nel 1914, nei pressi del Gambrinus. Tramanda il Pelandi che il Gambrinus era condotto prima del 1900 da Aristide Mangili, a cui seguì Gamba e più tardi Aroldo Carini, venuto dalla “Cervetta” e poi passato al caffè del Teatro Donizetti, Tra i giornalisti del Gambrinus, Giulio Pavoni, Franco Armando Tasca, Massinari,  Parmenio Bettòli, Carlo Zumbini, Adobati, salumiere con negozio in viale Roma e corrispondente a tempo perso del “Secolo”, quotidiano radicale milanese (1)

Ma questo caffè  era soprattutto rinomato per le battute umoristiche che partivano dal cosiddetto tavolo degli aristocratici, attorno al quale convenivano verso sera l’avvocato Giuseppe Brignoli, il dottor Francesco Negrisoli, il giornalista-scrittore Giovanni Banfi, lo scultore Alfredo Faino, che non era ancora partito per la Francia e che aveva il domicilio in Fiera.

La tavola del Gambrinus era la calamita di quei clienti che cercavano l’allegria come aperitivo all’ora del pranzo. La sorgente del buon umore partiva dalla triade Banfi, Faino Brignoli, quest’ultimo umorista più unico che raro.

Lo scultore Alfredo Faino in posa nel suo studio durante la realizzazione della imponente statua della Vittoria da collocare nella Torre dei Caduti (Archivio fotografico – Fondazione Bergamo nella Storia)

 

Il caravaggino Giovanni Banfi, autore dei noti “Racconti della Bassa”, negli anni intorno al 1907 scriveva per la “Gazzetta della Provincia” (di cui diventerà direttore), che si stampava presso Ia tipografia Isnenghi, la quale aveva l’officina in via Verdi, dove sorse il cinema “Mignon” poi divenuto Ritz (nella foto). Banfi, che dedicava notevole spazio alla critica teatrale, è ricordato da Umberto Zanetti come elegante e inappuntabile, col guanto penzolante, le ghette, il bastoncino da passeggio con il pomolo d’argento e la cravatta all’ultima moda. Con Faino e Vincenzo Monetti “formava un trio spensierato di scanzonati bohémiens”. Banfi è scomparso nel 1959

Nella bella stagione aleggiava lungo il Sentierone il suono delle orchestrine che si esibivano all’aperto per i clienti dei Caffè. Si udivano i valzer viennesi di Strauss e quelli parigini di Waldteufel, la napoletana “Santa Lucia” e il “Sogno” di Schumann, le melodie della “Vedova allegra” di Franz Lehar, le note della celebre barcaiola di Offenbach; in certe sere domenicali si potevano ascoltare un tenore o un soprano intonare raffinate melodie, oppure un bravo violinista creare atmosfere piene di magia.  Il blues, il dixieland e i ritmi sincopati erano ancora di là da venire (2).

I componenti di questi complessi musicali erano giovani professionisti diplomati, che avevano alle spalle anni di studi rigorosi e che tuttavia non disdegnavano di suonare nei café chantant o nelle sale cinematografiche quando si chiudevano i sipari sulle ultime rappresentazioni delle varie stagioni operistiche cittadine (quella di carnevale al Nuovo, quella di mezza quaresima al Sociale e quella di Fiera al Donizetti). Tra questi suonatori, Oreste Tiraboschi (che dal 1913 faceva parte dell’orchestra “Gaetano Donizetti” diretta dal maestro Achille Bedini), che aprì più tardi un negozio di strumenti musicali. Renzo Avogadri (Rasghì), celebre componente del Ducato di Piazza Pontida, era al violino. 

IL CAFFE’-RISTORANTE CENTRALE

Il Centrale seguiva al Gambrinus. Caffè-ristorante di buona nomea, era frequentato da numerosi professionisti e da impiegati di concetto, che qui convenivano coi gruppi familiari per “ciacole” serali e per combinare lunghe partite a scopa, partite di “famiglia” che duravano fino alla chiusura dell’esercizio.

La Fiera nel 1908

Ma un giorno del 1914 il Caffè Centrale, condotto da Bernardo Speranza e da Giuseppe Tiraboschi detto Dindo, cessò la sua attività. Nel locale, opportunamente riattato, il 15 agosto iniziarono le proiezioni del Cinema Centrale, diretto da Pietro Airoldi, lo stesso gestore del Cinema Salone Radium, il primo cinematografo di Bergamo. Dopo aver dato – fra l’altro – alcuni “numeri” di varietà, tutti sboccatucci e licenziosetti, il Centrale, acquisito da Giulio Consonno, ridimensionò i richiami erotici e dirottò la programmazione verso il repertorio poliziesco. Giulio Consonno darà nuovo spazio agli spettacoli di varietà prima rilevando il Teatro Nuovo e poi edificando il Teatro Duse.

Quando la vecchia Fiera verrà demolita e sorgerà il nuovo centro di Bergamo, il Cinema Centrale sopravviverà all’angolo del Quadriportico del Sentierone.

Il Cinema Centrale, nel nuovo centro piacentiniano, prima della ristrutturazione (per gentile concessione di Antonella Ripamonti). Il primitivo Cinema Centrale (quello nella vecchia Fiera) iniziò le proiezioni il 15 agosto 1914. “Fra una pellicola e l’altra si arrotola il lenzuolo dello schermo e si diverte il pubblico con scenette comiche, balletti e altri “numeri” di varietà, tutti sboccatucci e licenziosetti. I rampolli della “Bergamo bene” accorrono a frotte e sperperano i loro centesimi nella nuova sala, che i genitori scandalizzati definiscono “uccellanda diabolica”. A sera, quando gli uccellini irretiti si degnano di rincasare, odono compunti i brontolamenti materni e subiscono contriti le severe lavate di capo dei padri infuriati  (Umberto Zanetti, “Bergamo d’una volta”, cit. in Riferimenti)

IL CAFFE’ BRAMATI

Il Caffè Bramati si apriva dopo il cancello della seconda tresanda. Il proprietario era il signor Camillo, un ometto sempre serio, dignitoso, con un berretto di seta nera con visiera in testa e leggermente claudicante. Di lui il Pelandi ricordava  (anche) i gustosi spuntini: prosciutto cotto alto un dito, innaffiato da un certo vinello frizzante, al prezzo di una lira, mancia compresa.

Caffè Bramati, “bigliardi, birreria”

Il “Bramati” era il ritrovo preferito di alcuni giornalisti di quel tempo e fra essi, Carlo Zumbini, il direttore della “Gazzetta Provinciale”, il battagliero competitore di Parmenio Bettòli, allora direttore-proprietario-fondatore della “Nuova Gazzetta”. La “Provinciale” parteggiava per il partito moderato conservatore, l’altra doveva essere l’organo del partito monarchico liberale. La lotta fra i due giornali, o meglio fra i due giornalisti, fu decisa, aspra, senza quartiere. Altro habitué era Francesco Scarpelli, che dirigeva il “Giornale di Bergamo” ma fu costretto a lasciare la nostra città perché inviso ai fascisti.  

Vicino al “Bramati” aveva sede il “Club di ricreazione” sorto dopo la chiusura del “Casino dei Nobili”, già funzionante al primo piano della casa Goggi in via XX Settembre e come esso svolgente, in tono più modesto, le stesse finalità. Casa Goggi, ritrovo soprattutto delle famiglie degli impiegati statali, faceva parte di uno stabile acquistato nel 1882 da Grazioso Goggi, dove si trovava anche lo storico negozio Goggi (a destra della foto), che era preceduto dalla altrettanto storica Libreria Conti. Grazioso Goggi aveva creato, oltre alla facciata, un libero passaggio pedonale comunicante con via Zambonate, all’interno del quale esponeva le sue merci

IL CAFFE’ NAZIONALE

Di tutti, il Nazionale era il più rinomato. Il caffè ristorante occupava parte del torresino rivolto verso Porta Nuova ed altre botteghe sino al primo cancello della Fiera.

Il torresino rivolto verso Porta Nuova era occupato dal caffè Nazionale insieme ad altre botteghe, sino al primo cancello della Fiera

Il locale era stato rilevato da Pilade Frattini, un impresario dotato di tanta originalità ed inventiva, geniale scopritore di talenti ed organizzatore impareggiabile di molti spettacoli teatrali.

Il Caffè Nazionale, già Trattoria della Speranza. Sui cristalli, facevano bella vista fotografie di ballerine “mezzo ignude”, di soubrettes, di balletti can-can, di musicanti, giocolieri, cantanti alla moda. “Una meraviglia. I bigotti, passando, chiudevano gli occhi, si facevano il segno della croce, pronunciavano segrete preghiere” (Raccolta D. Lucchetti)

 

Frattini Pilade, il vulcanico impresario che acquistò il Caffè Nazionale nell’anno 1900 (gestendo dal 1904 anche il Teatro Nuovo, nonché il Casinò di San Pellegrino), trasformandolo da caffè-ristorante-birreria a una sorta di café chantant, con tanto di teatrino, scuotendo la sonnacchiosa Bergamo

Capitato a Bergamo intorno al 1900,  l’aveva rilevato da Pietro Balicco, che a sua volta l’aveva acquistato nel 1894, trasformando la Trattoria della Speranza in Caffè Nazionale.

Sul Sentierone, il Caffè Nazionale, frequentato dalla gioventù “dorata” di Bergamo. La clientela, per quei tempi, sufficientemente spensierata, godeva dell’ammirazione di chi non poteva varcare le solenni “soglie” (la ripresa è del 1907)

Il Frattini mise al banco della cassa Emilia, la consorte – un’affascinante bionda – e per richiamare gente assunse in servizio, in qualità di camerieri, degli autentici cinesi, vestiti all’orientale: tutta la città parlava divertita di questi camerieri esotici, che incuriosivano per le ciabatte dipinte, i paludamenti sgargianti e i capelli raccolti a codino.

Caffè-ristorante Nazionale. Il cartellone pubblicitario con le opere liriche al Teatro Donizetti fornisce una doppia indicazione: sull’anno in cui venne scattata la fotografia (dopo il 1897, quando il teatro venne inaugurato nel nome di Gaetano Donizetti) e sulla stagione (era d’autunno) – (Archivio Fotografico – Museo delle Storie di Bergamo)

Frattini introdusse i concerti musicali “senza aumento delle consumazioni”, si inventò svariate iniziative che ora definiremmo di marketing e cercò, riuscendoci, di far sì che il Nazionale fosse più di un esercizio pubblico, ma il centro della vita mondana, artistica e intellettuale, portandovi una ventata di aria metropolitana.

Da una rivista del 1900

All’interno del locale, oltre a riservare alcune salette al gioco – sua perenne e fatale passione -, Frattini fece un teatrino di varietà, una specie di “cabaret” nel quale si esibì per una quindicina d’anni il fiore dei cantanti famosi, dei musici, delle soubrette, delle ballerine, dei comici e dei giocolieri dell’epoca. Per il suo teatrino aveva costruito persino i camerini degli artisti ed un apposito fondale.

In questa foto risalente ai primi anni del Novecento, il grande Salone Teatro del Nazionale nell’Antica Fabbrica della Fiera, ai tempi in cui il locale era gestito da Pilade Frattini. Il salone, nel quale si tenevano anche feste e dei banchetti, era posto al piano superiore e venne a un certo punto affittato da Frattini al rinomatissimo Circolo Commerciale Agricolo e Industriale, che raccoglieva i maggiori commercianti ed industriali di città e provincia fra i quali il “Pesentù”, il fautore della direttissima Bergamo-Milano

Scriveva Geo Renato Crippa che a frequentare il locale erano “i ricchi di città e di borgate, la crème della nobiltà, i viveurs e gli elegantoni, quelli che portavano il cappello verde, gli abiti confezionati da Prandoni in Milano, calzavano le scarpe del classico Assuero Rota di Città Alta, frequentavano il Cappello d’Oro ed il Concordia di Viale Roma, magari sostenevano ‘donnette’ di qualche avvenenza, pagandole a ‘mesata’ (era molto chic), non mancavano ogni mattina, sul tardi, di sbarbarsi dal barbiere ‘Biffi’ di Via Torquato Tasso”. Questi signori, potevano in verità vantarsi di una visitina – una volta tanto – “al Cova, al Savini od al Bonola di Milano, ai Casinò di San Remo o di Montecarlo, celando tali scappate alle fedelissime consorti, alle fidanzate, alle madri intransigenti e sospettose.

Al Nazionale arrivavano, in gruppo, per l’aperitivo; non più il ‘bianchino’ delle trattorie, del Garibaldi o del Gambrinus, bensì il Campari, il Carpano, il Cinzano ed il Martini o, più fine ancora, il Costumé Cannetta , un rosé milanese di classe”.

Alle cinque del pomeriggio qualche elegante divetta ingaggiata dal Frattini si degnava di fare un’apparizione lungo il Sentierone per farsi ammirare dagli snob. Le dame dell’aristocrazia e le signore della borghesia sbirciavano passeggiando sussiegose e le loro occhiate tradivano fuggevolmente l’invidia.

“Tediose sofferenze turbavano le signore altolocate alle quali, in diverse oocasioni, l’entrata era vietata. Per il Nazionale, a Bergamo, si farneticava. Se non stavano più nella pelle le nobildonne scontente dei raggiri, delle bugie e del grosso di fandonie ad esse propinate da padri, mariti e figli, addirittura le giovinette accoravansi di essere tralasciate a profitto di ‘divette’ straniere delle quali si narravan ‘mirabilie’ a ripetizione. Bizzarrie scuotevan dame e fanciulle sino ad obbligarle a trascorrere sul Sentierone, all’Isacchi , ore ed ore, in attesa spietata di assistere al passaggio delle ‘compagnie’ contrattate per serate illuminanti. Lo scodinzolamento delle ‘invidiate’ succedeva, quasi sempre, intorno al mezzogiorno o alle cinque del pomeriggio. Le critiche rattristavano i purlottii e le denuncie dei salotti i più affollati. Non mancavamo, mai, recriminazioni, accuse, denuncie e qualche lacrimuccia. Le constatazioni ferivano e come” (Geo Renato Crippa, in Riferimenti)

Nel 1906 al Nazionale arrivò persino il cinematografo, o meglio, il Cinematografo Ungari, che proiettava “vedute modernissime, riflettenti fatti seri di attualità, educativi, istruttivi, nonché aneddoti umoristici”.

Al café chantant di Pilade Frattini giunse anche Gea della Garisenda, bella e agilissima. Il suo “Inno a Tripoli” fu un trionfo. Il pubblico andò in visibilio vedendo la brunetta emiliana entrare in scena con un cappello da bersagliere in testa, nuda sotto una grande bandiera tricolore, che l’avvolgeva tutta, ed ascoltandola effondere la generosa voce di mezzo-soprano nelle note marziali di “Tripoli, bel suol d’amore…”.

Grande Caffè Ristorante Nazionale. Si noti anche la dicitura “Ristorante Frattini”

Pietro Mascagni, a Bergamo per assistere ad una recita della sua “Cavalleria”, che si dava al Donizetti sotto la prestigiosa direzione del napoletano Leopoldo Mugnone, volle godersi lo spettacolo della ”diva” seduto in prima fila nel teatrino del Nazionale.

Il primo “Nazionale” sul Sentierone, nei locali della demolita Fiera. Come indicano le scritte sul muro, il celebre caffè ospitava anche la sede dell’Automobil club e il Garage Frattini (da “C’era una volta….” di Pino Capellini, Ferruccio Arnoldi Editore)

Quando l’estroso e geniale caffettiere, che dal 1908 dispose di un aereo personale, diventò impresario, con Giovanni Ceresa, del Teatro Nuovo, non finì di far strabiliare. Da buon impresario teatrale (suo a Roma il teatro Frattini), gestì il Nuovo in prima persona, facendone uno dei teatri italiani più vivi e à la page, trasformandolo in un vero e proprio centro d’attrazione per ogni genere di spettacoli. Grazie a lui il teatro divenne la sala più polivalente della città, rendendo memorabili i primi anni del Novecento.

Quando a San Pellegrino si aprirono le sale da gioco, Frattini era il patron del Casinò: alla sua esperienza, alla sua vivace spregiudicatezza ricorsero i promotori e gli organizzatori. Fra lo sfoggio degli smoking e lo sciupio dello champagne, un fiume di denaro affluì da Milano al centro termale brembano. ll patron tentò qualche colpo al banco da gioco ed ebbe fortuna.

Poi venne la guerra del ‘15-’18, con le inevitabili restrizioni; bardature, oscuramento, tesseramento, limitazioni di generi di lusso. Il Nazionale languiva. Dopo la disastrosa rotta di Caporetto, arrivarono anche a Bergamo numerosi militari feriti e si allestì per loro una infermeria nella sede del vecchio Ricovero delle Grazie. La gente non pensava più a divertirsi.

All’inizio del 1917 Frattini pensò bene di disfarsi dell’esercizio, cedendo il locale al pasticcere Luigi Isacchi (1-1-1917), noto per avere creato il tipico dolce bergamasco della polènta e osèi. Nel vecchio café chantant, adibito a pasticceria, regnava ora un discreto silenzio; all’ora del tè qualche signora sedeva ai tavolini biancodorati in stile impero per sorseggiare compostamente un bicchierino di rosolio: Bergamo – scriveva Crippa – si trovava ora “spenta e muta, ricadendo nella sua monotonia, nei ritorni alle preferenze ineleganti. Quanti la sera vestivano lo smoking si persero come nebbia di pianura…. Il floscio riportò Bergamo alla sua semplicità ancestrale”.

Un giorno, richiamato dalla passione del gioco, Pilade Frattini andò a Stresa e puntò ostinatamente un numero alla roulette per tutta la notte: all’alba, disperato, dopo aver dilapidato una fortuna, stramazzò al suolo. Un colpo apoplettico lo aveva stroncato: era il 1920.

Il Sentierone nel 1920. Questa parte della Fiera fu l’ultima ad essere abbattuta, mentre dietro già si costruiva (Raccolta D. Lucchetti)

Di tutti i locali incontrati nel corso della nostra passeggiata, il  Nazionale è l’unico dei quattro che ha continuato a vivere – dapprima come caffè-ristorante e poi solo come caffè – anche dopo l’abbattimento della Fiera e la costruzione del Centro piacentiniano: e lo si deve anche alla notorietà del vecchio locale e alle iniziative di Pilade Frattini.

Dopo Frattini, sarà Pietro Bardoneschi ad averlo in gestione, quando aprirà la nuova e attuale sede sotto i portici, che nel 1925 vedrà nascere anche il primo Rotary Club della cittadina.

Il bar del ristorante Nazionale dopo la riedificazione (1923) nel quadro del più vasto progetto urbanistico curato dall’architetto Marcello Piacentini

 

Uno dei saloni da pranzo del ristorante Nazionale dopo la riedificazione (1923) nel quadro del più vasto progetto urbanistico curato dall’architetto Marcello Piacentini. Il servizio di ristorazione continuò sino a quando, intorno agli anni novanta, il Nazionale si ridusse a solo Caffè

 

Uno dei saloni da pranzo del ristorante Nazionale dopo la riedificazione (1923) nel quadro del più vasto progetto urbanistico curato dall’architetto Marcello Piacentini

Nel 1936, sotto quei portici prese posto il caffè Balzer, con la sua sobria e nobile eleganza, impostata da una famiglia originaria del Liechtenstein. Balzer e Nazionale, che non mancavano mai in ogni reportage dal Sentierone, accoglievano gli spettatori che uscivano dal Teatro Donizetti, tenendo aperto anche fino alle due di notte.  

In quegli anni, quando la tradizione del caffè come luogo d’incontro era ancora viva e intellettuali, artisti e “bella gente” passavano le giornate ai tavolini, sul Sentierone c’era un dualismo alla Coppi e Bartali: dall’altra parte della strada, sempre nel ’36 nel palazzo della Popolare era stato aperto un caffè il cui nome ricordava l’euforia da Impero: il Moka Efti, famoso nel Dopoguerra per i concerti serali e diventato poi l’attuale Caffè del Colleoni.

Bergamo, anni trenta; il maestro Sala con la sua orchestra al caffè Nazionale sul Sentierone (proprietà A. Sala, in Riccardo Schwamenthal, Jazz a Bergamo. Ricordi, testimonianze, documenti dagli anni trenta agli anni Settanta- Archivio Storico Bergamasco. Nuova Serie n. 2, maggio-agosto 1995)

 

Bergamo, 1945. L’orchestra di Aldo Sala al caffè Moka Efti sul Sentierone: Aldo Sala pianoforte, Angelo Kadaelli batteria, Orlando Mazzoleni contrabbasso, Rino Gabellinl sassofono tenore, Gian Maria Berlendis violino; [?] Canavesi tromba, Ada Bondi cantante (proprietà A. Sala, in Riccardo Schwamenthal, Jazz a Bergamo. Ricordi, testimonianze, documenti dagli anni trenta agli anni Settanta- Archivio Storico Bergamasco. Nuova Serie n. 2, maggio-agosto 1995)
Il celebre Moka Efti del secondo Dopoguerra, ha visto i più bei nomi del jazz italiano e locale esibirsi per il pubblico bergamasco. Mitico il suo aperitivo “giallo” Martini con oliva verde, servito in coppetta da cocktail “Martini”. Oggi i locali sono occupati dal bar Colleoni 

All’estremo  dei portici, verso Largo Belotti, era invece attivo il Savoia, chiuso in età repubblicana nel 1956 (?).

Caffè Savoia sul Sentierone

In quello stesso ’56, al Nazionale si erano ritrovati gli artisti che avevano firmato il manifesto del Gruppo Bergamo. Ma nel 1945 il Nazionale-Concordia era stato anche una mensa di guerra.

Tra alti e bassi, è arrivata la chiusura a giugno 2006. Il locale ha riaperto esattamente dopo un anno di ristrutturazione con un nuovo nome “212 barcode” (212 è il prefisso dell’area di New York) e un arredo postmoderno. Tra cambi di gestione e licenze contese, finite nelle aule del tribunale, il 1° settembre 2011 il locale a riacquisito il nome Nazionale, ma non la vecchia atmosfera: se oltre un secolo fa nelle sue eccentricità Pilade Frattini aveva preso come camerieri degli autentici cinesi, con vestiti orientali e tanto di codino (come dovevano essere nell’immaginario dell’epoca), i cinesi, senza codino, prendevano ora in gestione il locale, per tenerlo fino al  2015, quando subentrava un’altra società cinese, che ha chiuso i battenti  alla fine del 2020. Si mormora che il Nazionale sia in procinto di rifarsi il look con importanti lavori di ristrutturazione, che puntano a farlo tornare tra i locali simbolo e più frequentati del centro.

Note 

(1) Negli ultimi anni dell’Ottocento a Bergamo si pubblicavano tre quotidiani: “L’Eco di Bergamo”, d’ispirazione cattolica, diretto da Gian Battista Caironi; la “Gazzetta Provinciale”, organo indipendente diretto da Parmenio Bettòli; e l’”Unione”, foglio liberale diretto da Enrico Mercatali. L’”Unione”, fondata nel 1891, ebbe vita breve; cessò le pubblicazioni nel 1900. Vi aveva fatto le ossa Franco Armando Tasca, il quale poi diresse il “Giornale di Bergamo”, emigrando infine a Pavia dove diresse un altro giornale, spegnendosi in tarda età. Scrittore intelligente e fecondo, aveva anche trovato il tempo per scrivere una storia di Bergamo, che fu pubblicata a puntate dal “Gazzettino” di San Pellegrino Terme Luigi Pelandi, “Attraverso le vie di Bergamo scomparsa. II. La strada Ferdinandea”.  Banca Popolare di Bergamo. Co-Editore: Edizioni Bolis. Bergamo, 1963 (Collana di studi bergamaschi).

(2) “…in certe sere domenicali si potevano ascoltare un tenore nelle melodie di Tosti e di Denza e un soprano nella “Leggenda valacca” di Braga e nelle raffinate ariette in stile antico di Stefano Donaudy, nonché un bravo violinista nella “Serenata medioevale” di Silvestri, nella romanza andalusa di Sarzate, e in qualche virtuosa variazione su temi zingareschi (…) I componenti di questi complessi musicali erano giovani professionisti diplomati, che avevano alle spalle anni di studi rigorosi e che tuttavia non disdegnavano di suonare nei café chantant o nelle sale cinematografiche quando si chiudevano i sipari sulle ultime rappresentazioni delle varie stagioni operistiche cittadine (quella di carnevale al Nuovo, quella di mezza quaresima al Sociale e quella di Fiera al Donizetti). Tra questi suonatori, Oreste Tiraboschi, un violoncellista mantovano diplomatosi nel 1909 presso l’Istituto Donizetti; dal 1913 faceva parte dell’orchestra “Gaetano Donizetti” diretta dal maestro Achille Bedini. Il complesso (due pianoforti: Tironi e Briccoli; due violini: Avogadri e Pesci; due violoncelli: Airoldi e Tiraboschi) eseguiva musica da camera nella sede di via Pignolo. Il Tiraboschi aprì più tardi un negozio di strumenti musicali. Altri musicisti, Osvaldo Legramanti, contrabbassiste; Giovanni Marigliani, violinista; Eugenio Tironi… (“Umberto Zanetti, “Bergamo d’una volta”. Ed. Il conventino, 1983).

Riferimenti

Umberto Zanetti, “Bergamo d’una volta”. Ed. Il conventino, 1983.

Luigi Pelandi, “Attraverso le vie di Bergamo scomparsa. II. La strada Ferdinandea”.  Banca Popolare di Bergamo. Co-Editore: Edizioni Bolis. Bergamo, 1963 (Collana di studi bergamaschi).

Geo Renato Crippa, “Bergamo così (1900 – 1903?)”.

Il glorioso Cine-Teatro Nuovo: dai fasti alla decadenza

Inaugurato nel 1901, nell’epoca d’oro del teatro, il Politeama Nuovo ha avuto una non ingloriosa storia per tutta la prima metà del Novecento venendo considerato, ancora negli anni Trenta, “l’unico teatro popolare di Bergamo”. Sul suo palcoscenico si sono avvicendati a ritmo quasi vertiginoso spettacoli di ogni genere, e si può dire che nel primo quarto di secolo ne abbia davvero viste di tutti i colori: le cronache ricordano esperimenti scientifici, veri e propri spettacoli circensi (i “magnifici stalloni ammaestrati” di Guillaume o il record d’incasso ottenuto dal Circo Gatti, sempre con non meno di 2500 spettatori); esibizioni di giocoleria (uno per tutti: Enrico Rastelli, con il pubblico in delirio) e incontri di pugilato; corride con tori, esibizioni di celebri illusionisti e trasformisti (il grande Fregoli e Tiberio Alba, trasformista, caricaturista, equilibrista, violinista); cani “commediografi”, musei di anatomia, esperimenti di telepatia (celebri quelli di autosuggestione e magia del professor Majeroni); tornei di lotta femminile, giochi di prestigio, contorsionismo e persino l’esibizione di un fachiro (le cronache riportano quella del “fachiro indiano” Abdul Rahman).

Teatro Nuovo (Museo delle Storie di Bergamo – Archivio Fotografico Sestini – Archivio Domenico Lucchetti)

E non mancarono certo le opere liriche (tra gli spettacoli memorabili del primo quarto di secolo, una Traviata, “con una autentica parigina, la Daugerville, che prima non aveva mai cantato in italiano”; una Lucia di Lammermoor con una Graziella Pareto sommersa d’applausi e da fiori, e in onore della quale fu addirittura fatta coniare una medaglia d’oro); la prosa con le migliori compagnie di cartello (di Ermete Novelli, di Virginia Talli, di Ruggero Ruggeri, di Ermete Zacconi: sempre serate di “tutto esaurito”), il cabaret, l’avanspettacolo e le immancabili operette brillanti, che ebbero il potere di colmare la cassa del teatro grazie alle vedette e agli esilaranti comici più in voga.

In questo teatro di così nobili tradizioni si esibirono tra gli altri il celebre direttore d’orchestra Pietro Mascagni, i tenori Tito Schipa e Toti dal Monte, la diva Gea della Garisenda; ospitò Luigi Pirandello, vi si avvicendarono i più noti personaggi della commedia (dalla Duse a Emma Gramatica, da Tina di Lorenzo a Maria Melato, da Marta Abba all’indimenticabile Ettore Petrolini) e vi si tennero spontanee manifestazioni cittadine: da quelle “vibranti di amor patrio” a importanti comizi politici. Non mancarono quindi le conferenze con personalità come Gabriele D’Annunzio, Mussolini (ai tempi direttore dell’”Avanti!”) e Tommaso Marinetti nonché illustri studiosi e grandi patrioti come il martire Cesare Battisti: l’elenco potrebbe continuare all’infinito, in quello che per lustri è stato l’unico teatro popolare della Città, solo più tardi affiancato dal glorioso “Duse”.

Nel corso del tempo il teatro ha subito diverse modifiche, determinate dalle necessità che di volta in volta emergevano nel mondo dello spettacolo e nella vita sociale e culturale della città: costruito agli albori del Novecento su progetto degli architetti Gattemayer e Albini e sul modello del Del Verme di Milano, venne ampliato nel 1929 da Cesare Ghisalberti e Camillo Galizzi e massicciamente ristrutturato a metà degli anni Sessanta, quando venne definitivamente adibito a cinematografo dall’architetto Alziro Bergonzo: sparirono allora le storiche quinte, i palchetti, le gallerie a ferro di cavallo e il grande palcoscenico, che tanto aveva dato ai bergamaschi. Nel tempo l’edificio si è quindi progressivamente ridotto, perdendo quell’assetto tipico dei teatri di fine Ottocento/primi Novecento, di cui ai giorni nostri si ravvisa solo la facciata. Dopo aver attraversato un periodo di decadenza e dopo ripetuti tentativi di riqualificare il locale con programmazioni cinematografiche di livello, nell’estate del 2005  il cinema Nuovo ha chiuso i battenti e ancor oggi è alla ricerca di una nuova rinascita.

L’attuale Largo Belotti (ex via Masone) con la vecchia Fiera prima della costruzione del Teatro Nuovo

 

Il teatro Nuovo appena costruito (1901)

LA NASCITA DEL “NUOVO”

Nel giugno del 1897 Innocente Carnazzi e Giovanni Givoli, impresari dello spettacolo, affidavano a due capomastri milanesi, Felice Taccani e Angelo Locatelli, la costruzione del Politeama Nuovo da edificarsi su progetto degli architetti Gattermayer e Albini (1). I due impresari – nel resoconto di Luigi Pelandi – avevano acquistato alcuni mesi prima un migliaio di metri quadrati di terreno dal dottor Giovanni Piccinelli, spinti dal miraggio di certa fortuna nell’esercizio di un teatro moderno a Bergamo dopo la soppressione del Teatro Rossi e la demolizione del Politeama Givoli, che sorgevano in Piazza Baroni: il “Duse” infatti era di là da venire e in Città Bassa funzionava solo il Donizetti, il teatro massimo della città.

Teatro Nuovo

Mentre si abbatteva il Givoli (una “mostruosità” secondo le cronache del tempo), al di là della roggia Nuova aveva già messo le fondamenta il Nuovo Politeama, così chiamato perché come il suo predecessore avrebbe dovuto rappresentare un po’ di tutto.

Un singolare documento del 1897 mostra l’abbattimento del Politeama Givoli e la costruzione del Teatro Nuovo (il Teatro Rossi era stato demolito tre anni prima) – (Raccolta D. Lucchetti)

Il Nuovo venne su fra mille difficoltà, soprattutto di carattere economico: la costruzione, iniziata nel giugno del 1897, andò per le lunghe a causa di diverse inadempienze degli appaltatori. Gli impresari appaltanti, Giovanni Givoli e Innocente Carnazzi, dopo aver ricorso a giudizio, furono felici di liberarsi del fabbricato, cedendolo a Carlo Ceresa, che ai primi di marzo del 1901 fece portare a termine la costruzione (2).

Da un vecchio numero de La Rivista di Bergamo (da sinistra a destra): Innocente Carnazzi (ideatore del Teatro Nuovo), Carlo Ceresa (il primo proprietario del Nuovo), Ernesto Terzi (il primo imprersario del Nuovo)

Ma anche il Ceresa ebbe le sue grane; infatti la commissione tecnica non era convinta della stabilità delle gallerie, forse perché prevenuta da un imprevedibile incidente mortale occorso durante l’abbattimento delle gallerie del Givoli. Ma il Ceresa non si perse d’animo: con una lunga fila di carretti fece portare dai suoi coloni di Stezzano una grande quantità di sacchi di frumento, tanti da stipare le gallerie. Poi, dopo aver acceso tutte le luci ed aver affisso per beffa il cartello “tutto esaurito”, chiamò la commissione tecnica, la quale ovviamente diede il benestare (3).

Il Teatro Nuovo, sorto sull’area del giardino del dottor Giovanni Piccinelli (attuale angolo via Verdi/ Largo Belotti), fu terminato nel 1901 su progetto degli architetti Gattemayer e Albini (1897) e sul modello del Del Verme di Milano. Venne inaugurato il 23 marzo dello stesso anno, con la gestione Regazzoni – Givoli – Terzi. La facciata era molto diversa da quella attuale

 

E’ il 17 gennaio 1900. Carlo Ceresa – che ha rilevato il Teatro Nuovo, in corso di costruzione, da Giovanni Givoli e Innocente Carnazzi, – scrive alla contessa Felicita Murari Bra di Verona: “Signorina, Le invio la cartolina del Nuovo Teatro che ho fatto costruire testé qui a Bergamo, e che è stato la causa diretta di assorbire completamente il mio individuo, in modo tale di farmi anche dimenticare nella fausta occasione del principio del secolo le amicizie le più care e più preziose” (da Pilade Frattini e Renato Ravanelli, “Il Novecento a Bergamo. Cronache di un secolo”, Cit. in Riferimenti)

 

Anche la copertura è stata privata della caratteristica cupola. Per costruire il teatro fu sacrificato un migliaio di metri quadrati di terreno; il cancello posto a sinistra del teatro immetteva in un quartiere di villini immersi nel verde. Le macerie che si vedono sono un residuo della della vecchia Fiera in demolizione

L’ASPETTO DEL TEATRO DELLE ORIGINI

La struttura dell’originario “modernissimo Politeama” non presentava il tradizionale giro di palchetti, ma una triplice fila di gallerie, le due inferiori disposte ad anfiteatro e sorrette da un doppio ordine di colonne in acciaio e in ghisa.

Così si presentava il Teatro Nuovo al suo interno poco dopo l’inaugurazione. Un vero e proprio teatro “d’eccellenza”. Il progetto risale fine dell’Ottocento sulla base del gemello milanese, il Dal Verme; era impostato su tre gallerie e una platea (da D. Lucchetti, “Bergamo nelle vecchie fotografie”)

 

Teatro Nuovo nel 1901 (Foto Ogliari, dalla Rivista di Bergamo n. 6, Giugno 1926)

Luigi Pelandi annotava che il teatro era stato costruito sopra una intelaiatura di ferro, stimando il peso dei metalli usati in 24.000 chili di poutrelles, 6.600 di piombo per la copertura della cupola, 1300 di colonne in acciaio, 22.000 di colonne in ghisa, 16.000 di ferramenta.

La sala poteva contenere almeno 1800 persone.

Teatro Nuovo (annullo postale 12 settembre 1905 – Raccolta D. Lucchetti)

Denunciava inoltre il Pelandi, agli esordi del teatro, il poco sfondo del palcoscenico e l’acustica che non rispondeva in modo confortevole a causa della soverchia elevazione della prima galleria; inoltre, l’alto basamento che cingeva la platea troppo al di sopra del piano (4).

L’INAUGURAZIONE E I PRIMI SPETTACOLI

Il Nuovo fu inaugurato il 23 marzo 1901 con una rappresentazione de La sonnambula di Vincenzo Bellini, replicata quattro volte, e malgrado lo spettacolo cadesse in tempo di Quaresima e durante la settimana di Passione, sia per la novità e sia per la bontà dello spettacolo il teatro fece cinque serate di buona cassetta. Nell’occasione fu scritturata la spagnola Giuseppina Huguet, e il soprano dette vita a una deliziosa Amina con un canto di una grazia e di una sensibilità davvero indimenticabili. Vi furono un’infinità di chiamate ed un interminabile lancio di fiori. Fu, quella, una settimana di grandi piogge a Bergamo e in qualche punto la Morla minacciò di straripare.

L’interno del Teatro Nuovo da poco inaugurato (Raccolta D. Lucchetti)

Subito dopo la Sonnambula andarono in scena i primi spettacoli di prosa: Edipo re, La bisbetica domata, Amleto, Kean e Nerone. Protagonista principale Gustavo Salvini che era al massimo del suo fulgore: il pubblico, elettrizzato e fremente, lo acclamò a sazietà.

Medaglione ad alto rilievo collocato al centro del timpano triangolare che sovrasta la facciata principale (da “Comune di Bergamo, Piano di recupero ex teatro cinema Nuovo, angolo via Verdi/Largo Belotti”, Cit. nei Riferimenti)

Quell’anno – ricorda Luigi Pelandi – arrivò anche il circo, che fece fare affari d’oro al botteghino. Era il famoso Guillaume, “che tenne occupata la platea con i suoi cavalli ammaestrati, con impressionanti acrobatismi e con i suoi clown, più o meno spiritosi”. Il 1901 si chiuse con gli spettacoli della Compagnia di prosa di Alfredo De Sanctis, prima attrice Emma Gramatica.

Alla Fiera nel  1902, con Il Teatro Nuovo sullo sfondo

Al Nuovo avvenne persino la prima storica “rivolta” contro le spettatrici che prendevano posto con vistosi cappelli piumati dando luogo a curiose guerricciole terminate solo dopo che la moglie dell’impresario inaugurò la moda di entrare a teatro a capo scoperto sfoggiando una chioma d’oro indimenticabile. Da quel momento i cappelli furono lasciati nel guardaroba del teatro.

IL NUOVO CON PILADE FRATTINI

Nel 1904 il Nuovo divenne comproprietà di Carlo e Giovanni Ceresa, Italio Bissolaro e il geniale e temerario Pilade Frattini (5), che tenne l’impresa teatrale fino al 1915.

Il torresino delle Vettovaglie, che guarda verso Porta Nuova, occupato dal Caffè Ristorante Nazionale, nel 1889, due anni prima dell’arrivo di Pilade Frattini. In fondo, sulla destra, si riconosce la mole del Teatro Givoli, abbattuto nel novembre del 1897 (Raccolta D. Lucchetti)

Caffettiere elegante ed impresario infaticabile, Frattini si era stabilito a Bergamo nell’anno 1900 ed aveva acquistato il Caffè Nazionale, che apriva le sue vetrine sul Sentierone, facendone un ritrovo alla moda ed impiantandovi all’interno un piccolo teatro di varietà, nel quale si esibì per una quindicina d’anni il fiore dei cantanti famosi, dei musici, delle soubrettes, delle ballerine, dei comici e dei giocolieri dell’epoca.

Era il Frattini di una attività fenomenale, sempre in moto fra Bergamo e Milano. Ebbe in gestione anche il Casinò di San Pellegrino Terme (dove troneggiava alla roulette), frequentato al suo tempo da editori, musicisti, artisti, giornalisti e scrittori famosi (Luigi Pirandello, Arnaldo Fraccaroli, Marco Praga, Pompeo Molmenti, Sabatino Lopez). Fu anche animatore del Teatro Donizetti, dove seppe portare delle vere primizie, tra cui (1906) la prima assoluta de l’Amica,  scritta e diretta dallo stesso Pietro Mascagni. Nelle varie stagioni d’opera fece venire a Bergamo Umberto Giordano, Francesco Cilea e Giacomo Puccini e per ciascuno preparò accoglienze fastose e ricevimenti lussuosi. Ma fu al Nuovo che scaricò tutto il suo estro, portando sul palcoscenico spettacoli di grido ed esibizioni tra le più stravaganti.

Pilade Frattini (Milano, 1872 – Bergamo, 1920), comproprietario del Teatro Nuovo dal 1904 al 1915. Impresario infaticabile, dotato di tanta originalità ed inventiva, fu stroncato nel pieno della sua frenetica e inesauribile attività da un colpo apoplettico

 

Il caffè Nazionale, sulla fine dell’800 subentrò alla Trattoria della Speranza, situata nei medesimi locali. Il Caffè occupava parte del torresino ed altre botteghe fino al primo cancello della Fiera. Ciò che Frattini riuscì a fare e ad organizzare ha dell’incredibile: nel suo caffè erano  frequenti gli spettacoli (aveva allestito un teatrino con camerini). vi arrivò il cinematografo Ungari e pure frequenti erano le più varie riunioni culturali

Da buon impresario teatrale (suo a Roma il teatro Frattini), gestì il Nuovo in prima persona, facendone uno dei teatri italiani più vivi e à la page. In pratica lo trasformò in un vero e proprio centro d’attrazione per ogni genere di spettacoli e grazie a lui il teatro divenne la sala più polivalente della città: fu sede di opere liriche, operette, commedie e drammi, balletti, conferenze, comizi, eventi sportivi, esperimenti scientifici, illusionismo, giochi popolari, spettacoli circensi (il cosiddetto bal di caài).

Gli anni ai primi del Novecento furono memorabili. Per la prima volta a Bergamo si esibì una compagnia di “danzatori negri africani”; talmente giganteschi che terrorizzarono quanti incontrarono per strada prima dello spettacolo. Sul palcoscenico del Nuovo si esibì anche il “lottatore più forte del mondo”, il triestino Raicevich, che affrontò un colosso di colore che si chiamava Anglio e si diceva fosse un mezzo cannibale. In quegli anni fu persino organizzata, in teatro, un’autentica corrida, ma l’uccisione del toro fu proibita.

I famosi fratelli Raicevich ritratti intorno al 1910. I lottatori operavano negli spettacoli della Fiera (Raccolta D. Lucchetti)

Frattini era pure dotato di un grande intuito musicale e di buon fiuto: a lui si deve la straordinaria scoperta di quel genio musicale che fu il violinista Vasha Prioda: lo prelevò da un’orchestrina di un caffè milanese e lo fece debuttare al Nuovo, dove tenne un concerto anche il virtuoso pianista polacco Miecio Horszowski: “Dopo tanti anni questi nomi non diranno più niente alle nuove generazioni, abbruttite dalle stramberie assordanti e sgraziate dei cantautori e dalla zotiche e insulse balordaggini della musica leggera di massa, divenuta spregevole oggetto di consumo, e tuttavia basterà ascoltare qualche vecchia incisione riversata dai gloriosi cilindri di Edison o dai fruscianti dischi a settantotto giri per rendersi conto dell’eccellenza di quei virtuosi solisti”, scrisse Umberto Zanetti nella sua “Bergamo d’una volta”.

Con Frattini, arrivarono al Nuovo gli artisti più prestigiosi, come il mitico giocoliere internazionale Enrico Rastelli con i prodigi di equilibrio nonché l’imbattibile trasformista Leopoldo Fregoli, inventore del trasformismo teatrale e trasformista per antonomasia, che nei suoi spettacoli comprendeva anche alcuni brevi film da lui stesso interpretati. A costoro vanno aggiunti Ferravilla, gli illusionisti Mister Tomba e Elsa Barocas. Vi declamarono inoltre  le loro poesie Trilussa, Barbarani, Pascarella, Lino Selvatico.

In cartellone anche le compagnie di prosa fra le più famose e compagnie di operette fra le maggiori. Frattini portò sulle scene del Nuovo Tommaso Salvini (che insieme a Ernesto Rossi e Adelaide Ristori formava la triade dei principali attori del teatro italiano di metà Ottocento) col suo grave repertorio greco, shakespeariano e alfieriano; l’indimenticabile quartetto Galli, Guasti, Sichel, Ciarli con le sue commedie francesi; Tani, con le sue operette; “La Nave” di D’Annunzio in forma di dramma, il meglio delle compagnie dialettali (Ferravilla, Zugo, Musco); gli attori più famosi, come Gandusio, Falconi, Monaldi con la moglie, la bellissima Fernanda Battiferri. Cantanti lirici come il baritono emiliano Riccardo Stracciari, che in pieno clima verista, dopo il tramonto di Battistini, costituì un esempio vivente della scuola italiana di canto dell’Ottocento.

Frattini fece recitare le compagnie di Ermete Novelli, di Virginio Talli, di Ruggeri e Borelli, organizzò una celebrazione dell’impresa dei Mille con una conferenza d’Innocenzo Cappi e la partecipazione di ventotto reduci garibaldini.

Sempre prodigo di sorprese, nel 1904 chiamò sul palcoscenico la Compagnia comica del Gran Togo Mandrigos, un’autentica, scatenata e numerosissima tribù africana, che eseguì dei numeri sbalorditivi divertendo moltissimo il folto pubblico.

Dopo i primi abbattimenti del 1909, si evidenziano la Chiesa e l’Ospedale di San Marco. Sulla destra, il Teatro Nuovo (Raccolta D. Lucchetti)

 

La foto-cartolina (annullo postale del 25 aprile 1916) mostra la Piazza Baroni dopo i primi abbattimenti della Fiera, con a destra il Teatro Nuovo e sulla sinistra, la Chiesa e l’Ospedale di San Marco. La Piazza Baroni fu il luogo dove si effettuava la “Fiera mobile”, con mercatini e spettacoli viaggianti (sino al 1897 vi fu anche il Teatro Givoli) – (Raccolta D. Lucchetti)

Ancora al Nuovo diede un concerto nel 1908 il maestro Enrico Toselli, autore di una celeberrima serenata, cavallo di battaglia di tutti i soprani da salotto. Presente la principessa di Sassonia di cui in quel tempo si era fatto un gran parlare.

Nel 1910, il 26 e 27 febbraio, si tenne un torneo internazionale di lotta, con in palio un premio di mille lire. Tra i partecipanti, il campione del mondo Paul Pos, il campione russo Romanoff, quello italiano Masetti, quello francese Aimable de la Calmette e, con molti altri lottatori di fama, il campione dei campioni Pedersen.

Il 10 ottobre 1910 al Teatro Nuovo la Compagnia di Emma Gramatica tenne la prima delle due recite straordinarie sulla Reginetta di Saba, un lavoro di Ettore Maschino. Un giornale dell’epoca ne annunciava l’evento informando sui prezzi d’ingresso: platea una lira; prima loggia una lira e cinquanta; seconda loggia sessanta centesimi; loggione quaranta centesimi- poltrone due lire e posti numerati di prima loggia una lira oltre l’ingresso alla prima loggia.

Nel 1911, sotto l’egida del comitato bergamasco della Società Dante Alighieri, si proiettò il film L’Inferno; in una breve orazione introduttiva Innocenzo Cappi inneggò alla nuova conquista della cinematografia nazionale: la pellicola era lunga mille metri.

Ne mancarono conferenze con studiosi illustri, dicitori di fama e grandi patrioti: da Cesare Battisti a Gabriele D’Annunzio. A quest’ultimo, Frattini corrispose una notevole somma per venti “conferenze aviatorie” (“Per il dominio dei cieli”) che dovevano svolgersi in prestigiosi teatri italiani: il poeta, preteso anticipatamente e intascato graziosamente il compenso, onorò parzialmente l’impegno tenendone prima a Milano, quindi a Torino con esito entusiastico, poi a Bergamo al Teatro Nuovo intorno al 1910, interrompendo la tourneé per dissapori con lo stesso Frattini e riparando poi a Parigi. Ma aggiunge Umberto Zanetti che “Il caffettiere-impresario salutò senza rancore la proiezione di “Cabiria” al Donizetti nel 1914, ben sapendo che il poeta, ancora squattrinato e indebitatissimo sebbene in suolo francese, aveva ceduto la fama del suo nome unicamente per coniare il titolo del film. Frattini fu degno ancora una volta del suo stile e dei suoi mezzi facendo propagandare lo spettacolo – cosa mai veduta prima di allora – con un lancio di volantini da un aeroplano. In teatro, durante la proiezione, un’orchestra suonò la “Sinfonia del fuoco” di Ildebrando Pizzetti”.

Sempre in tema di conferenze, sono ricordate anche quelle (brillanti) di Innocenzo Cappa, Fradeletto, Barzilai e Pastonchi.

Presso il Nuovo è apposta una lapide con corona metallica commemorativa dedicata al patriota martire Cesare Battisti, “che prima della guerra mondiale 1915-18 vaticinò la vittoria delle nostre armi ed una più grande Italia con Trento e Trieste (da Luigi Pelandi, “Attraverso le vie di Bergamo scomparsa. II. La strada Ferdinandea”, Cit. nei Riferimenti)

Nel maggio del 1911, accompagnati dalla fama di “violenti rivoluzionari” arrivarono al Nuovo i Futuristi. La coraggiosa e sprezzante Compagnia Futuristica Marinetti & Co. (Filippo Tomaso Marinetti, Umberto Boccioni, Carlo Carrà, Giovanni Acquaviva, Luigi Russolo e Giacomo Balla) sconcertò il pubblico suscitando polemiche a non finire con lo spettacolo Intonarumori: si ripeterono in sala le stesse indignate proteste che avevano accolto l’esibizione futurista a Milano.

Lotta femminile al Teatro Nuovo, 1911

Nel 1913 intervenne anche Benito Mussolini (allora direttore dell’ “Avanti!”), acclamatissimo. Scriveva L’Eco di Bergamo che “Mentre il proletariato affollava il circo equestre in piazza Baroni, un discreto numero di borghesi ha versato 50 centesimi a beneficio dell’Avanti! e ha raggiunto il teatro Nuovo; tutti però sono rimasti prudentemente vicini il più vicino possibile alla porta a sentire e a vedere Benito Mussolini. Il direttore dell’Avanti! ha parlato del socialismo; più precisamente del suo socialismo”.

Sempre nel 1913 vi si organizzò il primo incontro di Boxe, in una serata d’accademia di ginnastica e scherma (disciplina che il Teatro Duse iniziò ad ospitare dal novembre del ‘28).

Nel 1915 il teatro ospitò Luigi Pirandello in veste di direttore artistico della compagnia teatrale che si esibiva in Sei personaggi in cerca d’autore e con in platea l’avvocato Alfonso Vajana nelle vesti di critico teatrale. Per il giugno dello stesso anno è ricordato anche un Barbiere di Siviglia con cantanti tutte femminili.

Ricorda Luigi Pelandi che Frattini ingaggiò anche molte cantanti di cartello. Fra queste, un successo personale ottenne in particolare la bella e agilissima Gea della Garisenda (autrice di successi come l’inno patriottico A Tripoli), che cantò ne La vedova allegra e nel Sogno di un valzer, con un teatro stipato all’inverosimile e il proscenio subissato da una pioggia di garofani e rose. Umberto Zanetti scrisse che “Sotto le finestre della diva, che alloggiava all’Albergo Concordia, le ovazioni dopo lo spettacolo continuarono fino alle ore piccole”. La diva si esibì anche presso café chantant di Pilade Frattini.

UN CENNO AGLI SPETTACOLI DOPO FRATTINI

Anche in seguito, e probabilmente sul solco lasciato da Pilade Frattini, il Nuovo non si fece mancare niente. Nel febbraio del 1916 ospitò Pietro Mascagni; nel 1917 vi tornò la Compagnia di Emma Gramatica. Quell’anno fu in realtà un susseguirsi di Compagnie teatrali comiche e operettistiche, lirica, varietà, illusionismo, lotta. Sempre nello stesso anno, e per diversi anni, il teatro ospitò anche esibizioni circensi, in coincidenza con la Fiera.

La satira negli anni Venti (da “Comune di Bergamo, Piano di recupero ex teatro cinema Nuovo, angolo via Verdi/Largo Belotti”, Cit. nei Riferimenti)

Con un ritmo ben regolato e a scadenza fissa, vi erano al Nuovo dai venti ai trenta cambiamenti di spettacoli annuali, saliti a 40 nel 1923.

Nel febbraio del 1918 il Teatro Nuovo veniva requisito per quattro mesi per ospitare i soldati delle terre invase: “i cittadini fecero a gara per rendere ai disgraziati fratelli meno dolorosi i loro cupi pensieri”. Il teatro riaprì nel 1918 con la Compagnia teatrale Zago /Compagnia Veneziana e vi si esibì Fregoli con grande successo e visibilio del pubblico.

Con la Grande Guerra, l’epidemia di Spagnola colpì anche la nostra città e con il 15 ottobre del 1918 il teatro dovette chiudere per 5 mesi. A fine anno, il sig. Ceresa vendeva il teatro ai sigg. Resta e Bonfiglio di Milano, che nel 1927 cedevano l’impresa teatrale al sig. Giulio Consonno. Quest’ultimo, che per anni aveva gestito il Donizetti, iniziò l’attività al Nuovo l’11 maggio e sempre in quell’anno iniziò a gestire il Teatro Duse, appena costruito.

La satira negli anni Venti (da “Comune di Bergamo, Piano di recupero ex teatro cinema Nuovo, angolo via Verdi/Largo Belotti”, Cit. nei Riferimenti)

Se per il 1920 si registrò la presenza a teatro della Compagnia drammatica Riva-Lotti-Fortis, quello successivo fu l’anno d’oro per l’impresario e per il locale: la fine della guerra scatenava frenesia e una gran voglia di divertimento e in città i cinematografi si raddoppiarono. Si diradò la programmazione di prosa e prese campo l’operetta con grandi pienoni di pubblico: fra le tante, si distinsero le soubrette Odette Marion e Alda Borelli, che vi arrivò a luglio.

Per il ‘23 si ricorda l’esibizione (musica e balletto) del coro dei “Cosacchi del Kuban” (1923), corpo corale cosacco che si era formato dopo lo scoppio della rivoluzione del 1917 e prendeva il nome da uno dei migliori e più antichi collettivi artistici russi (il Coro dell’esercito dei Cosacchi del Kuban, risalente al 1811).

Il 24 febbraio 1924 al Nuovo si tenne il primo comizio fascista. La cronaca de “L’Eco di Bergamo” riportava: “Ha parlato per circa un’ora e mezzo l’onorevole Ezio Maria Gray esaltando il fascismo e i fascisti che, ha detto, si sono imposti il compito di valorizzare le energie nazionali e di fare da correttivo fra le classi sociali e quindi da potenti pacificatori sociali”.

Nella aerofotografia del 1924 è ben visibile il Teatro Nuovo (nel tondo), con la caratteristica cupola che sovrasta la sala. I lavori per il nuovo Centro si stanno avviando a compimento: sono costruite la Banca d’Italia e la Torre dei Caduti (di Marcello Piacentini), la Camera di Commercio (di Luigi Angelini); nel 1925 sarà aperto il blocco di edifici sul Sentierone (di Marcello Piacentini). E’ in costruzione il Palazzo di Giustizia (di Marcello Piacentini, con la direzione di Ernesto Suardo). Accanto al Palazzo di Giustizia, di fronte al Teatro Nuovo, tra il 1927 e il 1928, sarà costruito quello che doveva essere il Palazzo delle Poste e Telegrafi (di Marcello Piacentini)

Quello seguente fu un anno di calma per il teatro, con spettacoli prevalentemente lirici di buon livello, mentre nel maggio del ‘27 vi si esibì la Compagnia Nazionale delle grandi attrazioni, attirando, in alcune sere, fino a 2500 spettatori. Fra le attrazioni maggiori si distinse il grande giocoliere bergamasco Enrico Rastelli, mentre per la gioia dei piccoli spettatori arrivò il “nano Bagonghi” personalità indimenticabile. Ma la cronaca del periodo ricorda per quell’anno anche Ettore Petrolini.

L’AMPLIAMENTO DEL NUOVO NEL 1929

Le nuove tecniche teatrali imposero nuove esigenze ambientali e sceniche, tali da portare, nel 1929, a un rifacimento e a un ampliamento – grazie all’acquisto di terreni circostanti -, che investirono tutto il grande edificio.

Il progetto era degli architetti Cesare Galimberti e Camillo Galizzi, mentre la ristrutturazione fu decisa con la consulenza tecnica dell’ingegner Cesare Albertini della Scala di Milano.

Fu deciso l’ampliamento del palcoscenico – di oltre otto metri -, che venne dotato dei più recenti meccanismi. Vennero sistemate la platea, le gallerie e le logge, prevedendo 600 posti a sedere in più; ampliata anche la sala d’accesso e l’attiguo caffè, formate nuove sale per il pubblico, camerini per gli artisti, ideati nuovi impianti per l’illuminazione e il riscaldamento.

Il Teatro Nuovo dopo il rifacimento del 1929 (Foto Wells, 14 dicembre 1955 – Per gentile concessione di Antonella Ripamonti)

L’ingrandimento, così come la decorazione di severo gusto artistico, dovevano rendere il teatro degno del nuovo centro cittadino.

Interno del Teatro Nuovo (Archivio D. Lucchetti)

 

Il Nuovo e il palazzo delle Poste in costruzione (1931)

Le cronache ricordano in particolare il 1944, perché a calcare le scene del Nuovo furono i memorabili Tito Schipa e Toti dal Monte, grandi cantanti lirici dell’epoca, ricordati da Nino Filippini Fantoni come voci meravigliose, capaci di rapire e portare in atmosfere paradisiache nel tempo buio, terribile e disumano della guerra.

Il Nuovo – sulla destra – era ancora teatro nell’attesa di essere trasformato in cinematografo. Sulla sinistra, all’angolo con via Petrarca, c’è il bar Anselmo, storico ritrovo nerazzurro. Immancabile l’esposizione della bandiera quando l’Atalanta vinceva. Prima del restauro piacentiniano, la via si chiamava Masone (che allora iniziava alla Torresina, di fronte alla chiesa di San Bartolomeo), poi assunse il nome di via Adua e infine di largo Belotti (da “C’era una volta…” di Pino Cappellini, Ferruccio Arnoldi Editore)

TEATRO NUOVO E DINTORNI NEGLI ANNI ’50, IN IMMAGINI

Largo Belotti e Teatro Nuovo nel 1950

 

Largo Belotti e Teatro Nuovo nel 1950.  Le “due città” a confronto (Foto Wells)

 

 

Largo Belotti, 1954 il Teatro Nuovo con il lato sud completamente a vista in seguito all’abbattimento dell’edificio che ne celava una parte

 

 

Largo Belotti: l’edificio della Cariplo in costruzione, 1957

 

Il Teatro Nuovo intorno al 1957, con a lato l’edificio della Cariplo in costruzione

 

Largo Belotti: l’edificio della Cariplo ormai ultimato, tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio degli anni Sessanta

 

Il Teatro Nuovo nel 1959. E’ visibile all’angolo il negozio di articoli sportivi “Cominelli Sport”, gestito da Severo Cominelli, campione dell’Atalanta e cannoniere principe della storia della squadra (superato in seguito da Doni)

LA CONVERSIONE A CINEMATOGRAFO

Nel 1965 si mise nuovamente in atto una ristrutturazione massiccia, che trasformò definitivamente il teatro in una grande e modernissima sala cinematografica e decretò la fine dei fasti vissuti all’inizio del XX secolo. Per la verità, la funzione esclusiva di cinematografo doveva essere attiva ancor prima della ristrutturazione del ‘65, come si evince da un articolo de “L’Eco” nel quale si legge che nell’ottobre del ‘51 il Nuovo era già totalmente adibito a cinema (6). E’ dunque plausibile pensare che in un primo momento il cinematografo fosse affiancato all’attività teatrale.

Scompariva così, inghiottito dalle ruspe, il vecchio e glorioso teatro (del quale restava ormai solo la facciata verso Largo Belotti), per far posto a una moderna sala attrezzata quasi come un Cinerama: riaperti i battenti il 2 dicembre del 1967, il primo film proiettato nel nuovo assetto fu l’americano “La battaglia dei giganti” in 70 mm. Technicolor, ultra-vision e con suono stereofonico, che poteva ora rivaleggiare con le migliori sale d’Italia. Il tutto, a sessant’anni anni dai primi tremolanti e grigi film muti.

Ricordata dalla Rivista di Bergamo come “una sala costruita ex novo dopo la completa demolizione di quella esistente: nulla più è rimasto, tranne la facciata verso largo Belotti, del vecchio e glorioso teatro che l’anziana generazione, baldanzosa nel primo triennio del secolo, nostalgicamente ricorda come “IL TEATRO” per antonomasia”. I lavori furono eseguiti dall’impresa edile Colleoni, su progetto dell’arch, Alziro Bergonzo, in collaborazione con il geometra Luciano Carzaniga. “Fautrice del rinnovamento, che ha dotato Bergamo di una sala moderna, la Società Teatro Nuovo” (l’immagine è tratta da La Rivista di Bergamo n. 12 – Dicembre 1966, pag. 17-19)

Il progettista della ristrutturazione interna fu il ben noto architetto bergamasco Alziro Bergonzo, che forte della progettazione del Manzoni di Milano, poté attenersi alle tecniche più aggiornate in materia di costruzione di sale cinematografiche.

Al tempo di tale radicale ristrutturazione, la gestione del Nuovo era affidata al comm. Giuseppe Spiaggia, figura di spicco in un settore che, dopo i fasti degli anni Cinquanta e in parte Sessanta, aveva già iniziato un cammino di fatale e drastico ridimensionamento.

La sala aveva ora milletrecento posti a sedere (980 in platea e 320 in galleria, successivamente ridotti a 900 per motivi di sicurezza) ed uno schermo di metri 13×6; da ogni poltroncina (tutte imbottite e ricoperte di stoffa blu, come quelle del Manzoni di Milano), la visibilità veniva favorita dalla platea ascendente verso lo schermo.

Sopra le pareti, anch’esse imbottite e ricoperte di stoffa, spiccavano appliques a più bracci che diffondevano un’illuminazione calda e confortevole; gli altoparlanti alle pareti assicuravano una perfetta stereofonia, favorita anche dalla spessa imbottitura di materiale acustico (ed ignifugo) delle pareti e dai pannelli assorbenti del soffitto, riflettenti il suono.

Gli impianti di proiezione, installati dalla Prevost, fornivano una proiezione limpida con fedelissima audizione del suono. Lo spazioso atrio d’ingresso era ricoperto in stucco lucido venato di tinta bluette. Altrettanto ampi i disimpegni (scale e servizi).

LA DECADENZA 

Dopo essere stato trasformato in cinematografo (indimenticabili, negli anni Settanta le Prime Visioni di Rocky e Jesus Christ Superstar, che tennero il cartellone per settimane), e dopo un periodo in cui aveva ospitato numerose compagnie di riviste, il Nuovo decadde sempre di più e, a partire dal ‘78, nel disperato tentativo di risalire un po’ la china si diede ai film a luci rosse. All’indomani dell’inaugurazione del “nuovo corso” la cassiera faceva sapere a un cronista del “Giornale di Bergamo” che “la morale e il prestigio sono una cosa, i guadagni un’altra; e non vi sono dubbi che i guadagni si fanno con i film porno, tanto che ora l’incasso quotidiano è superiore a tutte le più rosee previsioni”.

Locandina di ieri e di oggi (da “Comune di Bergamo, Piano di recupero ex teatro cinema Nuovo, angolo via Verdi/Largo Belotti”, Cit. nei Riferimenti)

In questi anni vi furono continue proteste, denunce e prese di posizione anche violente contro il dilagare dei film a luci rosse, che aveva contagiato anche altre sale della città (7). Anche il Ducato di Piazza Pontida non perse occasione, al “rasgamento della vecchia”, per bruciare sul rogo in piazza il cinema e la pornografia.

Nel 1983 i giornali annunciavano che presto si sarebbero spente le ‘luci rosse’ che fino ad ora avevano “fatto precipitare un teatro di fama come il Nuovo”. Ma la specie di stagione teatrale dedicata soprattutto a vedettes della canzone e del cabaret non servì a rianimare il locale, che nell’85 fu il primo a lanciare a Bergamo il noleggio di film in Vhs, seguito solo più tardi dai negozi “specializzati”: l’ennesimo fendente per le sale cinematografiche che, come quella del Nuovo, erano da tempo in agonia.

Nel luglio 2017 è stata avviata la dismissione delle poltroncine mediante un’operazione che prevedeva la vendita a fronte di un’offerta economica a beneficio dei Frati minori Cappuccini di Bergamo per la mensa dei Poveri; operazione che ha riscosso un notevole gradimento oltre ad aver generato una cospicua somma devoluta in beneficenza (da L’Eco di Bergamo, martedì 4 luglio 2017)

Dopo ripetuti tentativi di riqualificare il locale con programmazioni cinematografiche di livello, coinciso con la gestioni Nolli-Signorelli, nell’estate del 2005 il cinema Nuovo ha chiuso definitivamente i battenti. Col tempo le condizioni dell’edificio sono andate peggiorando ed anche il progetto, annunciato nel lontano 2017, di aprire al suo interno uno spazio dedicato alla gastronomia d’eccellenza, non è andato in porto anche a causa dell’elevato costo dei materiali edili necessari per la ristrutturazione.

NOTE

(1) “Il progetto che gli architetti Gattemayer e Albini avevano elaborato fu approvato da una commissione artistica presieduta dall’architetto Camillo Boito. Direttori dei lavori furono designati l’ingegner Caccia e il professor architetto Odoni”. (Luigi Pelandi, “La Rivista di Bergamo”, numero di giugno del 1926). Un’altra fonte indica, per quanto riguarda la gestione del teatro nel 1901, i nomi di Regazzoni – Givoli – Terzi (Comune di Bergamo, Piano di recupero ex teatro cinema Nuovo, angolo via Verdi/Largo Belotti. Relazione illustrativa generale, ottobre 2018. Progettista: Arch. Domenico Egizi).

(2) Nel resoconto di Luigi Pelandi, “I due impresari avevano acquistato alcuni mesi prima un migliaio di metri quadrati di terreno dal dottor Giovanni Piccinelli, spinti dal miraggio di certa fortuna nell’esercizio di un teatro moderno a Bergamo, dopo la soppressione del Teatro Rossi e la demolizione del Teatro Givoli, l’ordine contrattuale disponeva che il teatro fosse completamente finito per essere aperto al pubblico sei mesi dopo. Gli appaltatori dovevano a varie rate pagare L. 86 mila. Il conte Gabriele Camozzi ne assumeva la garanzia del pagamento. Ma il lavoro non era al secondo mese che già subiva soste impressionanti e da lì diffide e controdiffide causate da varie ragioni. Al febbraio del 1898 i lavori erano di ben poco proseguiti e già gli appaltanti avevano dato in anticipo poco meno della metà della somma dovuta! Del febbraio di quell’anno è un primo atto di citazione; il mese dopo la prima sentenza, e poi perizie e contro perizie e sentenze e ricorsi fino al giugno del 1899, senza che nel frattempo si procedesse gran che nella costruzione. Finalmente, in seguito a una vigorosa azione spiegata dai signori Carnazzi e Givoli, il Teribunale di Bergamo autorizzava i medesimi a condurre a termine la costruzione del Politeama e condannava i due appaltatori nei danni e nelle spese. Ricorrevano questi in Appello e poi in Cassazione, ma in tutti i giudizi rimanevano soccombenti. Carlo Ceresa rilevava il teatro; pochi anni dopo lo faceva portare finalmente a termine ai primi del marzo 1901..” (Luigi Pelandi, “Attraverso le vie di Bergamo scomparsa. II. La strada Ferdinandea”.  Banca Popolare di Bergamo. Co-Editore: Edizioni Bolis. Bergamo, 1963. Collana di studi bergamaschi).

(3) Luigi Pelandi,La Strada Ferdinandea, Ibidem.

(4) Luigi Pelandi,La Strada Ferdinandea, Ibidem.

(5) Domenico Lucchetti, “Bergamo nelle vecchie fotografie”. Grafica Gutemberg, 1976.

(6) Un articolo de “L’Eco di Bergamo” datato 6 Ottobre 1951 informa che già a quella data il Nuovo era totalmente adibito a cinema. “…inavvertita è passata da breve tempo la ricorrenza cinquantenaria di un teatro cittadino che ha avuto una non ingloriosa storia nella vita cittadina per tutta la prima metà del nostro secolo. Ci riferiamo al “Teatro Nuovo”, ora totalmente adibito a cinema”.

(7) “Le proiezioni avevano suscitato un mare di polemiche. In particolare nel 1976 c’erano state non poche pubbliche proteste per la proiezione al Capitol di Mondo porno oggi, un lungometraggio “a sensazione su quel che si fa nel mondo quanto a sesso e perversioni sessuali”. Lettere di cittadini indignati ai giornali, anche una sfilata per le vie della città. Su un grande cartello la scritta ‘Basta con le donne oggetto di film pornografici’. Un anno più tardi il Nuovo fu denunciato per l’esposizione di una locandina oscena (Erotic sex Orgasm, il titolo del film)…” (Pilade Frattini e Renato Ravanelli, “Il Novecento a Bergamo – Cronache di un secolo”. A cura di Ornella Bramani – Vol. II. UTET. Anno 2013).

Riferimenti principali

Pilade Frattini e Renato Ravanelli, “Il Novecento a Bergamo – Cronache di un secolo”. A cura di Ornella Bramani – Vol. II. UTET. Anno 2013.

La Rivista di Bergamo n. 6 – Giugno 1926.

La Rivista di Bergamo n. 12 – Dicembre 1966.

Umberto Zanetti, “Bergamo d’una volta”. Ed. Il conventino, 1983.

Luigi Pelandi, “Attraverso le vie di Bergamo scomparsa. II. La strada Ferdinandea”.  Banca Popolare di Bergamo. Co-Editore: Edizioni Bolis. Bergamo, 1963 (Collana di studi bergamaschi).

Comune di Bergamo, Piano di recupero ex teatro cinema Nuovo, angolo via Verdi/Largo Belotti. Relazione illustrativa generale, ottobre 2018. Progettista: Arch. Domenico Egizi.

Ultima modifica 26/02/2023

La Bergamo godereccia dei teatri di una volta, tra centro, borghi e periferie

Non si può certo dire che in passato Bergamo sia stata a corto di teatri, soprattutto negli anni della Belle Époque, quando erano in molti ad uscire la sera e a riempire teatri e ritrovi, in Città Bassa come in Città Alta.

A cavallo fra Otto e Novecento Bergamo Bassa poteva vantare, accanto al teatro massimo della città (il vecchio “Riccardi”, nel 1897 intitolato a Donizetti), la presenza di due teatri – l’Ernesto Rossi e il Givoli -, che  sorgevano in Piazza Baroni nei pressi dell’odierna Casa della Libertà, nello spazio tradizionalmente legato allo spettacolo e al divertimento che gravitava intorno all’antica Fiera.

L’immagine, antecedente al 1897, mostra una giostra in Piazza Baroni, affiancata dal Teatro (o Politeama) Givoli, visibile a sinistra (Foto Don Giuseppe Locatelli – Raccolta Domenico Lucchetti)

C’è una fotografia che li ritrae l’uno accanto all’altro, in quella Piazza Baroni che da secoli accoglieva tendoni e baracche provvisorie, allestite per ogni sorta di  spettacolo e divertimento.

Il Politeama Givoli (poco prima della demolizione, avvenuta nel 1897) e, sulla destra, il Teatro Ernesto Rossi di proprietà di Luigi Dolci. Quest’ultimo venne abbattuto nel 1894. La fotocartolina venne eseguita tra l’82 e l’84 (Raccolta D. Lucchetti)

Non molto belli ma abbastanza capienti, tra i due, il Givoli era il più grande e fu l’ultimo a scomparire (1897) per dare spazio, al di là della Roggia Nuova, al Teatro Nuovo (detto allora “Nuovo Politeama”, inaugurato nel 1901), da edificarsi secondo i criteri di eleganza dettati dal clima di modernità che ormai si andava respirando nel centro cittadino.

Un singolare documento del 1897 mostra l’abbattimento del Politeama Givoli e la costruzione del Teatro Nuovo (il Teatro Rossi era stato demolito tre anni prima) – (Raccolta D. Lucchetti)

Un paio d’anni prima dell’inaugurazione del Nuovo, e cioè nel 1899, il capomastro Antonio Dolci costruiva, a pochi passi dalla Stazione ferroviaria, il Politeama Novelli, che ebbe vita breve perché nel 1903 Nicolò Rezzara aveva proposto di edificare in quel luogo la Casa del Popolo, entro la quale venne ricavato il Teatro Rubini, sorto nel 1907.

Ne seguirono altri: il 1923 fu la volta dell’ Augusteo, costruito in Borgo Palazzo e rimasto in attività – pare – fino allo scoppio della Seconda guerra mondiale, quando la sala venne requisita per ricavarne una mensa.  Nel 1927 fu invece  inaugurato il Duse, sulla Rotonda dei Mille: il teatro dei grandi spettacoli di rivista dell’epoca, demolito nel ’68.

Disseminati tra i borghi e le periferie,  oltre ai teatri di quartiere (il già citato  Augusteo, oppure il Del Borgo in Piazza Sant’Anna ), vi furono anche quelli dei collegi (in primis il teatro del collegio Sant’Alessandro) e degli oratori, fra i quali quello dell’Immacolata, dei Celestini in Borgo Santa Caterina, delle Grazie, di Boccaleone, di Redona (poi Qoélet) o del più recente S. Andrea, in via Porta Dipinta.

In Città Alta erano ormai in decadenza due teatrini che avevano funzionato per tutto l’Ottocento, quello di piazza Mascheroni e il San Cassiano; a partire dagli anni Trenta cominciò poi a funzionare il Teatro del Seminarino, mentre il Sociale chiuse nel ’32.

Rappresentazione teatrale al Teatro del Seminarino in Bergamo Alta

Vi erano poi i teatri del dopolavoro; importante fu la Sala del Mutuo Soccorso di via Zambonate nonché il teatro Minerva del dopolavoro ferroviario presso la Stazione.

Un locale di cui non si parla più, eppure ha fatto la storia: la sede del Mutuo Soccorso in via Zambonate, nel 1921. La fotografia rappresenta un momento di grande festa (con banda musicale) dell’Associazione Proletaria Escursionisica ospitata nel caseggiato del Mutuo Soccorso

Vi era un piccolo teatro anche in via Torquato Tasso, dove si esibiva l’Estudiantina, un’orchestrina di chitarre e mandolini (1).

Ritratto di gruppo di una classe dell’Estudiantina Bergamasca (prima metà del XX sec.) – (Archivio fotografico Sestini – Archivio Domenico Lucchetti. Fondo Ritratti bergamaschi)

Si è vagheggiato anche di un certo teatro “Smeraldo”, aperto negli anni ’40-’50 in Viale Vittorio Emanuele di fronte al civico 12, ma di questo non abbiamo certezza.

Tra i tanti , a fare la storia sono stati in cinque: il Sociale, il Donizetti (già Riccardi), il Nuovo, il Rubini e il Duse. I primi due realizzati in particolare per ospitare spettacoli d’opera lirica, anche se mai mancò la prosa seria, per la quale si accoglievano anche le compagnie di giro quando erano nei paraggi (come non pensare a Emma e Irma Gramatica, Angelo Musco, Gualtuero Tumiati, Maria Melato, Ruggero Ruggeri, Ermete Novelli). E poi il varietà, la danza, le riunioni pugilistiche, i trasformismi (Fregoli come grande richiamo), i comizi, le giocolerie, le donne barbute, le donne cannoni, le lotte con i tori, per poi approdare, in molti casi, al cinema.

Tanti teatri dunque, grandi e piccoli,  dalla cui storia emerge il ritratto di una Bergamo musicale e godereccia, straordinariamente vivace e vissuta: una geografia molto ramificata di locali, che ha regalato per molto tempo svago, cultura, occasioni di incontro e tanto, tanto benessere.

Alla fine del Novecento, il Rubini e il Duse erano morti e sepolti da un po’, mentre del Nuovo sopravviveva ormai il suo fantasma (non parliamo poi della strage dei piccoli teatri e del Sociale ancora da recuperare). In poco più di cinquant’anni Bergamo aveva distrutto un patrimonio artistico che fondava la sua identità sociale, culturale e civile, non preoccupandosi nemmeno di costruire un museo del teatro, a disposizione dei bergamaschi,  in cui fossero esposti disegni, cartelloni, biglietti, foto che documentassero la sua storia.

Resisteva l’Auditorium in Piazza della Libertà, che, sempre legato all’associazione cinefila Lab80, poteva contare sulla sua super sala che era anche perfetta come teatro.

Sparito l’Augusteo, il teatro Minerva del dopolavoro ferroviario, il Salone del Mutuo Soccorso in via Zambonate, il teatro della Casa del fascio e dei sindacati in via Scotti, “il bel teatrino liberty del Collegio Sant’Alessandro, ora un triste auditorium in cemento armato! Ma quando mai i teatri si fanno in cemento armato?!”, lamentava Mimma Forlani (2).

TEATRO ROSSI (GIA’ TEATRO DELLE VARIETA’)

Artefice della nascita del primo teatro stabile, dopo il “Riccardi”, fu un ex capomastro intraprendente, attratto dal mondo dello spettacolo: quel Luigi Dolci che già aveva gestito il “Riccardi” fino al 1879, per poi gestire il Teatro delle Varietà, del quale Luigi Pelandi ci ha tramandato notizie.

Teatro Ernesto Rossi, già Teatro delle Varietà, in Piazza Baroni

Il Teatro delle Varietà era una gran baracca fissa con basi in muratura, che si trovava in Piazza Baroni (presso il Torresino di mattina), dov’era presente almeno dal 1881 (3). La prima rappresentazione portata su quelle tavole era stata l’Aida, recitata da marionette.

Il teatro aveva subìto sensibili trasformazioni per cura del proprietario Luigi Dolci, su disegno del figlio Antonio. L’interno aveva due ordini di gallerie e poteva contenere un massimo di 1200 persone.

Narrano le cronache del tempo che il teatro doveva essere un ambiente “aristocratico”, e per quanto fosse disposto per qualunque produzione, doveva destinarsi soprattutto a trattenimenti di prosa. Vi si esibirono le migliori compagnie drammatiche del tempo, ma vi furono anche concerti celebri, pianisti e violinisti di cartello (4). Sta di fatto però che il popolino lo chiamava “ol filatòi del Dolci”, perché amene coppiette di innamorati “filavano” tranquillamente nell’oscurità della sala.

Il Teatro Rossi, in Piazza Baroni (Raccolta avv. D. Cugini) 

Nel 1883 questo teatro assunse il nome di Teatro Rossi, in omaggio al grande attore Ernesto Rossi, che vi aveva tenuto una serie di recite nella primavera di quell’anno. Il Teatro Rossi venne demolito nel febbraio del 1894 poiché il Dolci non volle saperne di pagare la tassa annuale di posteggio all’amministrazione dell’Ospedale.

L’attore Ernesto Rossi all’epoca in cui diede il nome all’omonimo teatro (Raccolta D. Lucchetti)

E’ interessante notare che il suo ultimo impiego fu per un congresso socialista, relativo all’approvazione dello statuto regionale (5).

Il Teatro Rossi, in Piazza Baroni, strutturato sul preesistente Teatro delle Varietà da Luigi ed Antonio Dolci, poteva contenere 1200 persone. Fu così chiamato in omaggio al grande attore Ernesto Rossi, che ne calcò le scene nella stagione di primavera del 1883. Doveva essere un teatro aristocratico, ma in verità veniva chiamato “ol filatòi del Dolci” perché frequentato da amene coppiette. Venne demolito nel febbraio del 1894, poiché i Dolci non vollero pagare all’Ospedale Maggiore un aumento di affitto per il terreno (tempera di G. Gaudenzi)

POLITEAMA GIVOLI

Vita breve ebbe poi il Politeama Givoli, che fu edificato nel 1882 accanto al Teatro delle Varietà, là dove ogni anno per la stagione fieristica stazionava un circo equestre, che in bergamasco si chiamava bal di caài. Costruito su progetto dell’architetto Gaetano Gallizioli, venne definito una “mostruosità” da un giornale del tempo.

Il Politeama Givoli al centro della fotografia, posto tra la Fiera e l’Ospedale di S. Marco (annullo postale 5 giugno 1899, fototipia – Raccolta Lucchetti)

Il teatro, costruito in muratura e legno, aveva tre ordini di palchi ed una vastissima platea che poteva contenere 2500 persone (6).

Il Politeama Givoli in una tempera del pittore G. Gaudenzi

Le cronache del tempo lo descrivono come un ambiente popolare e più che altro destinato a spettacoli di circhi equestri e di varietà: in quegli anni, il termine Politeama veniva usato di frequente e si riferiva ad un luogo dove venivano rappresentati spettacoli di vario tipo: prosa, lirica, varietà, concerti, circo equestre, comizi, esperimenti “scientifici” e, più tardi, anche il cinematografo.

Nel 1894 e nel ’96 Filippo Turati vi tenne due famosi discorsi: “i socialisti sono i veri conservatori” e “la politica del proletariato” (7).

La Fiera vista da Porta Nuova: sulla destra si riconosce il fronte del Politeama Givoli (Raccolta Lucchetti)

Il 2 novembre del 1897 vennero iniziati i lavori di demolizione perché l’amministrazione ospedaliera rivendicò a sé l’uso dell’area sulla quale sorgeva il teatro, e alla fine di quel mese la Piazza Baroni era completamente vuota! (8).

Una rivista militare davanti al Politeama Givoli, in una fotografia del 6 giugno 1897. Fu costruito nel 1882 su progetto dell’architetto Gallizioli. Venne definito una “mostruosità”; aveva però tre ordini di palchi e ben 2500 posti in platea. Si adattava perciò ad ospitare circhi e spettacoli popolari. Fu abbattuto nel novembre del 1897, poiché l’Ospedale Maggiore, proprietario del terreno, volle libera l’area (Raccolta Lucchetti) 

POLITEAMA NUOVO

Mentre si abbatteva il Politeama Givoli, su di un terreno situato al di là della Roggia Nova, che a quel tempo scorreva a cielo aperto, si edificava, sull’area dell’ex giardino Piccinelli, il Teatro Nuovo, detto allora “Nuovo Politeama”, in quanto avrebbe dovuto rappresentare un po’ di tutto.

Dalla Rivista di Bergamo n.48 Dicembre 1925

 

Teatro Nuovo. Progettato nel 1897 (anno in cui il “Donizetti” assume l’attuale denominazione) da Gattermayer e Albini sull’area del giardino Piccinelli (attuale angolo via Verdi/ Largo Belotti), sul modello del Dal Verme di Milano, fu inaugurato il 23 marzo 1901 con La sonnambula di Bellini. L’edificio, ampliato nel 1928 da Cesare Ghisalberti e Camillo Galizzi, fu successivamente trasformato in sala cinematografica da Alziro Bergonzo, che eliminò le quinte, i palchetti, le gallerie a ferro di cavallo e il grande palcoscenico

Ma la costruzione, iniziata nel giugno del 1897, andò per le lunghe a causa di diverse inadempienze degli appaltatori. Gli impresari appaltanti, Giovanni Givoli e Innocente Carnazzi, dopo aver ricorso a giudizio, furono felici di liberarsi del fabbricato, cedendolo a Carlo Ceresa. Questi fece portare a termine la costruzione e – poiché si eccepiva sulla stabilità delle gallerie – ottenne il permesso di agibilità con un singolare espediente, che viene così riferito da Luigi Pelandi: “Fatta caricare’ dai suoi coloni di Stezzano, su una lunga fila di carri, una innumerevole quantità di sacchi di frumento, li fece collocare vicinissimi gli uni agli altri. Poi mise per beffa il cartello: tutto esaurito, e una bella sera, sfolgorante il teatro di luce, chiamò la commissione dei tecnici per constatare la gravità, la quantità, la qualità ed eccezionalità del pubblico così pesantemente assorto. La commissione vide, commentò ed autorizzò a pieni voti l’esercizio teatrale” (9). E finalmente il 23 marzo 1901, il Teatro Nuovo fu inaugurato con una rappresentazione de “La Sonnambula” di Vincenzo Bellini.

L’interno del Teatro Nuovo da poco inaugurato (Raccolta D. Lucchetti)

Fu con il geniale e temerario Pilade Frattini, impresario del Nuovo dal 1904 al 1915, che si ebbero le rappresentazioni più stravaganti e variate: con Frattini divenne la sala più polivalente della città, ospitando opere liriche, operette, commedie e drammi, concerti, conferenze, comizi, balletti, esperimenti scientifici, giochi popolari, spettacoli circensi, incontri di pugilato e lotta…

Pilade Frattini, uomo singolare ed impresario geniale del primo Novecento. Gestore del Caffè Nazionale (divenuto “Frattini”), co-gestore del Teatro Nuovo dal 1904 nonché animatore del Teatro Donizetti. Ma fu al Nuovo che scaricò tutto il suo estro, portando persino una corrida di tori (riproduzione da Raccolta D. Lucchetti)

Fu proprio al Nuovo che nel 1913 si organizzò il primo incontro di Boxe, in una serata d’accademia di ginnastica e scherma, mentre nel novembre del ‘28 il teatro Duse iniziò ad ospitare importanti manifestazioni di pugilato, che interessarono poi anche altri locali cittadini: oltre che al Nuovo, presso la sala Vittoria in P.zza S. Spirito, nella palestra dell’Atalanta in via Verdi, al Teatro Sociale, al cinema varietà Augustus in Borgo Palazzo e al Teatro Minerva del dopolavoro Ferrovieri.

Sotto Frattini vi fu la storica esibizione (1911) della Compagnia Futuristica Marinetti & Co (due anni prima “Le Figaro” aveva pubblicato il famoso Manifesto del Futurismo), suscitando scandalo tra i benpensanti e invettive anticlericali durante lo spettacolo. Nel 1915 Il teatro ospitò Luigi Pirandello in veste di direttore artistico di una compagnia teatrale che si esibì in “Sei personaggi in cerca d’autore”.

Fra i nomi celebri, Pietro Mascagni, Emma Gramatica, Fregoli, il grande giocoliere bergamasco Enrico Rastelli, ma anche, per la gioia dei bambini, il “nano Bagonghi”, così come l’indimenticabile Ettore Petrolini, Tito Schipa, ma anche D’Annunzio e Mussolini. L’elenco potrebbe continuare all’infinito, in quello che per lustri è stato l’unico teatro popolare della Città, solo più tardi affiancato dal glorioso “Duse”.

Nel corso della sua storia il Nuovo ha avuto diversi assetti, determinati dalle necessità che di volta in volta emergevano nel mondo dello spettacolo e della vita sociale e culturale della città. Nel tempo l’edificio si è progressivamente ridotto ed ha perso quell’assetto tipico dei teatri di fine Ottocento/primi Novecento del secolo scorso.

Nel 1928 è stato ampliato e sistemato su progetto degli architetti Galizzi e Galimberti nonché abbellito con una decorazione dal severo gusto artistico, così da rendere il Teatro degno del nuovo centro cittadino. Nel 1965 si è messa nuovamente in atto una ristrutturazione massiccia, ad opera dell’architetto Alziro Bergonzo, che lo ha trasformato definitivamente in una grande e modernissima sala cinematografica (del vecchio e glorioso teatro resta ormai praticamente la facciata verso Largo Belotti), diventando una sala da Prime Visioni (‘Rocky’ e ‘Jesus Christ Superstar’ vi tennero il cartellone per settimane) ma tenendo anche qualche spettacolo musicale o di cabaret teatrale.

Dopo aver attraversato un periodo di decadenza e dopo ripetuti tentativi di riqualificare il locale con programmazioni cinematografiche di livello, nell’estate del 2005  il cinema Nuovo ha chiuso definitivamente i battenti.

POLITEAMA NOVELLI

Un paio d’anni prima dell’inaugurazione del Nuovo, e cioè nel 1899, sempre per merito di quell’Antonio Dolci (figlio di Luigi) già interessato alla ristrutturazione del divenuto teatro Rossi, nacque il Politeama Novelli, edificato all’inizio del “viale della stazione”, nel giardino Codali, acquisito dal Dolci. A inaugurarlo, la sera del 16 novembre, fu invitato Ermete Novelli, che mise in scena un  magistrale “Papà Lebonnard”, con la sua compagnia al completo.

Come ricorda Luigi Pelandi nella sua Bergamo scomparsa, “fu una bazza per la cassetta e un trionfo per il grande attore, già abituato del resto a imponenti ovazioni dei teatri italiani ed esteri per quella sua mimica ampollosamente espressiva eppur tanto spontanea, passante dalle note ilari e bonarie a quelle della più commovente drammaticità”. Come poi usava a quel tempo, il Politeama Novelli ospitò anche diverse conferenze. Una in particolare aprì sui giornali un dibattito acceso: l’aveva tenuta l’avvocato Federico Maironi “contro la convenzione per la trasformazione dei tram cittadini”. Gli oratori erano molto contesi dai teatri, che a Bergamo proprio non mancavano (10).

Il Politeama, nei pressi dell’attuale via Novelli, era sorto riadattando la grande e singolare serra di un giardino preesistente, che apparteneva al floricoltore Codali. Come mostrato dall’immagine sottostante, vi era anche un laghetto, alimentato dalla roggia Ponte Perduto, che d’’estate fungeva da “piscina”, rigorosamente riservata alla popolazione maschile e affittata a 10 centesimi, mentre d’inverno lo specchio d’acqua ghiacciava diventando pista da pattinaggio e rifornendo ghiaccio per uso domestico. La serra fu poi trasformata in teatro.

La ripresa mostra il Giardino e il laghetto del floricoltore Codali, che in questo luogo teneva una grande serra, trasformata in teatro da Antonio Dolci nel 1899. La ripresa fu effettuata all’altezza dell’attuale Palazzo Dolci intorno al 1890, tra l’attuale viale Papa Giovanni e via Ermete Novelli. L’edificio a destra dovrebbe corrispondere al retro dell’odierno Hotel Piemontese, mentre quello a sinistra è un ampliamento del piccolo bar-ristorante in fronte al piazzale della Stazione, dove ad oggi si sono avvicendati numerosi esercizi di ristorazione

Nel 1903, Nicolò Rezzara propose di edificare sull’area del giardino Codali la Casa del Popolo (attuale sede de L’Eco di Bergamo). Il teatro ebbe dunque vita brevissima: fu abbattuto nel 1904 e la Casa del Popolo (oggi conosciuta come Palazzo Rezzara) si inaugurò l’8 maggio 1908, nella vasta area oggi compresa tra viale Papa Giovanni XXII, via Paleocapa e via Novelli.

Il Politeama Ermete Novelli, sorto nel 1899 nei pressi di via Ermete Novelli riadattando la grande e singolare serra del preesistente Giardino Codali. In alto si riconosce la mole della Casa del Popolo, costruita agli inizi del Novecento cambiando la fisionomia del viale della stazione. Fu proprio l’attore Ermete Novelli, con la sua compagnia, a tenere lo spettacolo con il quale si inaugurò la nuova sala. Che tuttavia non durò molto venendo tutta la zona coinvolta nelle trasformazioni del nuovo centro, che interessarono anche i lati del viale della stazione (Archivio Fotografico Sestini – Archivio Domenico Lucchetti)

Era il periodo in cui l’area circostante la Stazione andava acquisendo la fisionomia che conosciamo, con la via Paleocapa già delineata e con in testa Palazzo Dolci e Casa Paleni in viale Roma, con la sua ricca facciata liberty.

Palazzo Dolci su Viale Roma nel 1920. Eretto negli anni ‘70 dell’Ottocento, l’edificio rappresenta un segno architettonicamente dominante dell’incrocio tra via Paleocapa e il viale della Stazione, dove esprime il linguaggio eclettico del tempo. Il viale è ombreggiato dalle grandi chiome degli ippocastani, ampie e non maltrattate da maldestre potature

 

La Casa del Popolo, progettata su incarico del Consiglio direttivo dell’Unione delle Istituzioni Sociali Cattoliche Bergamasche, presieduto da Rezzara. Virginio Muzio vi eseguì gli scavi e posa della prima pietra (1904), ma l’edificio venne variamente realizzato da Ernesto Pirovano e completato nel 1908, anno della sua inaugurazione

Nella Casa del Popolo, oltre alle istituzioni cattoliche erano presenti anche un albergo, un ristorante, negozi, appartamenti, la redazione de “L’Eco”, la Banca Piccolo Credito, la cappella, sale di lettura, biliardo e il teatro Rubini. L’allora Viale della Stazione fu ribattezzato viale Roma – denominazione che mantiene anche oggi nel tratto tra Porta Nuova e via Petrarca -, mentre il tratto tra la stazione e Porta Nuova fu intitolato a Papa Giovanni XXIII.

La Casa del Popolo, tra l’allora viale Roma e via Paleocapa, sulla quale si affaccia l’ingresso del Teatro Rubini

TEATRO RUBINI

Costruito all’interno della Casa del Popolo, con ingresso in via Paleocapa, fu inaugurato la sera del 16 novembre 1907 con l’opera “Poliuto” di Donizetti, per restare in attività per quasi 80 anni, guadagnando un posto d’onore nell’immaginario collettivo della città.

Interno del Teatro Rubini (Archivio Luciano Galmozzi). Aveva una grande platea e tre ordini di palchi; le logge erano sostenute da una serie di graziose colonnine, le balaustre erano di ferro battuto e le decorazioni, di stile floreale. Un teatro moderno, comodo, elegante, capiente e, grazie alla buona acustica, adatto a spettacoli di musica e prosa. Il ridotto del teatro era in comoda comunicazione con una sala da caffè annessa all’Albergo Moderno, che faceva servizio da buffet

In teatro approdarono spettacoli d’ogni tipo, dalla prosa al varietà, dalla commedia dialettale ai concerti, ma un mese dopo l’inaugurazione, il Rubini accolse anche il cinematografo, che fu, sin dall’inizio, l’attività più sistematica, risultando da questo punto di vista, in certi anni, il locale più attivo della città.

Fu rinnovato nel 1954, aumentandone la capienza e cancellandone l’impronta stilistica originaria e nel 1974, quando divenne “Rubini 2000” e – ahinoi – nel 1987, data anche la crisi delle sale cinematografiche, venne sostituito dal Centro Congressi Giovanni XXIII.

Con i suoi 1.500 posti a sedere fra platea e galleria, aveva offerto per decenni film per famiglie, le anteprime dei western di Sergio Leone e tutti i cartoni animati di Disney.

L’ingresso in via Paleocapa del cine-tetro Rubini, nel 1959

 

Il cinema teatro Rubini  negli anni Sessanta. La fotografia fu scattata in occasione del film “Questo pazzo, pazzo, pazzo, pazzo mondo”, pellicola americana del 1963. Erano gli anni in cui le sale cinematografiche andavano ancora forte in Italia, ma negli anni Settanta cominciò il declino che portò a una progressiva riduzione del numero di sale. Nella foto si vede anche la bottega del barbiere Algeri, aperta nel 1936 e ancora oggi in attività

 

Interno del cine-teatro Rubini negli anni Sessanta

Con il nome di Rubini 2000 divenne frequentatissimo negli anni Settanta  anche per una serie di importanti concerti, come la prima uscita ufficiale della Premiata Forneria Marconi in veste di supporto dei Procol Harum. Vi si esibirono inoltre gli Area, il Banco del Mutuo Soccorso, Arthur Brown, i Pooh e molti altri.

L’atrio del cine-teatro Rubini nel settembre del 1959, con tanto di locandina (“Un condannato a morte è fuggito”).

 

Austerity 1973: davanti al Teatro Rubini

TEATRO DUSE

Fra tutti il più amato e compianto. Intitolato alla grande Eleonora Duse, nacque nel travagliato clima del Ventennio grazie a una sottoscrizione fra amici facoltosi, per soddisfare il bisogno di un nuovo teatro dove poter rappresentare opere liriche e lavori drammatici; un teatro che avesse minori pretese rispetto al massimo della città – il Donizetti – e maggiori agi rispetto al Nuovo.

Affacciato su Piazza Garibaldi, il bel teatro dalla pregevole facciata in stile neoclassico vantava la bellezza di 2.500 posti a sedere e funzionava egregiamente sia da cinema che da teatro. Ospitò le più varie attività: dall’opera seria ai concerti, dalla prosa all’avanspettacolo, dai dibattiti politici e culturali ad esibizioni circensi e incontri di pugilato, da pregevoli concerti jazz a concerti di musica leggera, intrecciando la propria storia con quella personale di molti bergamaschi. Nonostante l’acustica fosse il suo tallone d’Achille, il Duse fu molto più di un teatro: fu per decenni un punto di svago, di ritrovo, di socializzazione, regalando a molti bergamaschi serate memorabili.

Il compianto Teatro Duse, alla Rotonda dei Mille. Inaugurato nel 1927, è stato il teatro dei grandi spettacoli di rivista dell’epoca, poi il declino: nel 1968 fu demolito

Calcarono il suo palcoscenico nomi importanti e sostituì degnamente il Donizetti quando chiuse per lavori. Indimenticabile anche il Teatro di Varietà, con ballerine e truccatissime soubrette – allora popolarmente chiamate le donnine – ma anche le Compagnie di Rivista di Totò, Wanda Osiris, Macario, Walter Chiari, Renato Rascel, Josephine Baker, Paola Borboni, Dario Fo.

Dopo oltre quarant’anni di onorata attività, nel 1968 fu demolito per essere sostituito da un edificio di architettura “Brutalista”, con parcheggio aereo e un cinema sotterraneo, mentre il monumento di Garibaldi continuava a fare bella mostra di sé nel bel mezzo della rotonda, ormai assediato dalle auto e declassato a spartitraffico.

Duse, interno

All’alba della sua demolizione, un cartello manoscritto affisso da un ignoto all’ingresso del Teatro, recitava: “Da domani, tra una diffusa sensazione di malinconia, si darà inizio all’opera di rimozione delle strutture del palcoscenico e, successivamente, si arriverà alla vera e propria demolizione dell’edificio: Bocca amara per la Città. Non è che gli altri teatri cittadini stiano meglio, anzi! Certo, non sono in via di demolizione, ma… In fondo anche questi cambiamenti sono il sintomo di una mutazione culturale e di costume che la Città sta vivendo. Al suo posto sorgerà un moderno edificio per residenze ed uffici ed un parcheggio: l’edificio, destinato a morire, e con esso il Teatro, oggi si può ancora guardare e fissarlo nella mente, a futura memoria, infatti, in questi giorni è meta di curiosi e di nostalgici… e pensare che solo domenica sera, due giorni fa, il Teatro era ancora pieno di spettatori i quali, alla fine dell’ultimo spettacolo, hanno salutato il loro Teatro con un fragoroso e prolungato applauso, e la malinconia: la si poteva toccare con mano” (11).

La storia di questo teatro è minuziosamente raccontata QUI.

TEATRO AUGUSTEO

In una laterale di via Borgo Palazzo, in via Anghinelli 23, c’era era un piccolo teatro, che dopo un abbandono durato oltre 40 anni, nel 2007 è stato demolito per costruire abitazioni di lusso. Vi si accedeva da un portoncino di Borgo Palazzo, al numero 28.

L’insegna dello scomparso Teatro Augusteo in via Borgo Palazzo. Il teatro si trovava in via Anghinelli

Un vecchio numero dell’ “Eco” riporta che la costruzione della palazzina che ospitava il teatro fu affidata all’impresa Crialesi da un certo Gentili e a giugno ’23 la ditta Camillo Roncelli fu “incaricata di eseguire gli importanti impianti elettrici di proiezione, illuminazione, ventilazione, aspirazione, effetti scenici nel nuovo grande Teatro Augusteo”.

Esterno Teatro Augusteo, via Anghinelli (BG) – (Proprietà Dario Cangelli)

Aggiunge che “per inaugurare il nuovo teatro l’impresario Rumor, incaricato della gestione, riuscì a portare a Bergamo addirittura uno spettacolo de Les Folies Bergères.  

Teatro Augusteo, via Anghinelli (BG) – (Proprietà Dario Cangelli)

E al taglio del nastro, il sabato 8 settembre 1923, c’era anche una celebrità dell’epoca”, il mitico nuotatore Enrico Tiraboschi, che aveva da poco compiuto la la memorabile traversata della Manica da Calais a Dover in 16 ore e 25 minuti, “tanto da meritarsi una copertina della Domenica del Corriere disegnata da Beltrame”.

Essendo un teatrino di quartiere ospitò gli intrattenimenti più vari: oltre a quelli “classici” (prosa, varietà ed anche proiezioni cinematografiche), organizzò anche spettacoli destinati ai militari così come diversi eventi sportivi, come gli incontri di pugilato che si disputarono nel maggio del ’25, cui parteciparono “molti tra i più forti pugilatori italiani, primo fra tutti l’aspirante al titolo europeo, Bosisio”. Quella della boxe nei teatri era una tradizione ereditata dal teatro Nuovo (dove il primo incontro in assoluto risaliva al 1913) e poi trasmessa al Duse, a partire dal novembre del 1928.

All’Augusteo si tenne anche un incontro di pugilato con Livio Minelli, che nel 1940 aveva debuttato al Teatro Duse da professionista, portando a Bergamo il titolo Europeo ed Italiano dei pesi Welter il 4 marzo del ‘49 per poi partire per una tournée negli Stati Uniti

Il teatro restò in attività per una ventina d’anni, poi – sembrerebbe -, allo scoppio della Seconda guerra mondiale la sala venne requisita per ricavarne una mensa. Finita la guerra “l’immobile fu venduto e utilizzato come sala per l’esposizione di mobili, infine nei primi anni 2000 passò a un’immobiliare e fu inserito nel progetto di ristrutturazione del palazzo, con la realizzazione di unità abitative” (12).

Teatro Augusteo, via Anghinelli (BG) – (Proprietà Dario Cangelli)

 

Teatro Augusteo, via Anghinelli (BG) – (Proprietà Dario Cangelli)

 

Teatro Augusteo, via Anghinelli (BG) – (Proprietà Dario Cangelli)

Il palazzo dell’insegna esiste ancora, pur senza il monumentale balcone. Come tanti altri teatrini scomparsi, anche questo ha animato per un certo periodo la vita di un borgo, in una città che traboccava di vita.

IL TEATRO MINERVA, UN TEATRINO (SCOMPARSO) PRESSO LA STAZIONE
Quella sottostante è una rara immagine del Teatro Minerva del dopolavoro Ferrovieri, presso la Stazione Ferroviaria di Bergamo, risalente al 1938. Sappiamo, grazie ad alcune testimonianze, che il locale era già attivo almeno dal 1928.

Il palco del Teatro Minerva del dopolavoro Ferrovieri, presso la Stazione Ferroviaria di Bergamo, nel 1938. La rara immagine, datata 14 ottobre 1938, riprende l’orchestra Imperial Jazz, con alla tromba il signor Luigi Nessi, che in quel teatro aveva suonato anche per l’orchestra di Gorni Kramer e che smise di suonare nel ’46 dopo la fine della stagione estiva al casinò di San Pellegrino (per gentile concessione della figlia, Laura)

Quella del Minerva è stata anche una delle due sale da ballo esistenti a Bergamo nel dopoguerra (l’altra doveva trovarsi in Borgo Santa Caterina, forse chiamata Cristallo), vocazione proseguita negli anni Sessanta, quando il locale, che era noto come Piper, era assai frequentato (sicuramente esistente negli anni 66/67).

Nel corso del tempo il teatrino ospitò spettacoli di vario genere: dagli incontri di pugilato a spettacoli di varietà e di magia, e nel biennio ‘57/’58 vi si tenne uno spettacolo ispirato al “Musichiere”. In seguito vi fu un periodo in cui la sala fu utilizzata per giocare con le “Policar”, macchinine elettriche che correvano sulle piste con il pattino.

Ma quello che gli adulti di oggi ricordano con particolare emozione era lo spettacolo organizzato in occasione dell’Epifania per i figli dei ferrovieri, dopo il quale i bimbi ricevevano un regalo.

Il teatro si trovava nel lungo edificio posto a destra rispetto la facciata della Stazione; visto dal lato dei binari, costeggiava molti metri del binario tronco, quello per Lecco. All’interno c’era anche una piccola mensa e bar per i dipendenti.

IL TEATRO GREPPI (ORATORIO DELL’IMMACOLATA) 

Merita di essere ricordato anche lo splendido e glorioso Teatro Greppi (ancora esistente), fondato nel 1903 nell’Oratorio dell’Immacolata – oggi Sala Greppi -, con la sua struttura decorativa di primo novecento, il suo affresco di gusto settecentesco che la avvolge tutta e la impreziosisce, la sua loggia e il suo palcoscenico profondo. Il teatro sopravvive nella memoria di tutti gli abitanti del borgo che abbiano frequentato l’oratorio da ragazzi,  se non più per la proposta di rappresentazioni da parte delle due compagnie esistenti, per l’uso del teatro come sala cinematografica fino alla fine degli anni ‘70 del ‘900. L’Associazione Sala Greppi, dal 1981, ha poi gestito la sala per proposte musicali di altissimo livello, curando il mantenersi della sala stessa in modo tale da essere vissuta.

Il Teatro Greppi, nell’Oratorio Dell’Immacolata, nel 1914. Nel 1903, nel cuore di Bergamo, grazie all’intuizione di don Luigi Palazzolo e di Giuseppe Greppi, nasceva l’Oratorio dell’Immacolata, primo di città e provincia. L’Oratorio custodisce al suo interno un prezioso Teatro di primo Novecento, un “piccolo Donizetti”, da più di un secolo a servizio delle giovani generazioni, che vi hanno trovavano casa tra musica, teatro, incontri, formazione, cinematografia. Il Teatro, insieme all’adiacente Chiesa, fu il primo nucleo dell’Oratorio a essere realizzato

 

Il teatro Greppi oggi

RINATO A NUOVA VITA: IL S. ANDREA IN CITTA’ ALTA

Il Teatro S. Andrea è stato ricavato nella cripta della chiesa omonima, in via Porta Dipinta, costruita fra il 1840 e il 1847 sulla base di un edificio dell’ottavo secolo d.C. L’ambiente ipogeo fu destinato per circa un secolo a conservare opere provenienti da altri luoghi di culto, oltre che da quello preesistente. Una prima versione del teatro fu realizzata per volontà del parroco Antonio Galizzi che, nel 1951, fece realizzare nella cripta un cineteatro completo di palco, quinte, sipario più una cabina per proiezioni cinematografiche. Nel tempo, l’attività cine-teatrale venne tuttavia meno e lo spazio fu destinato ad altri usi, principalmente oratorio e spazio sportivo, fino alla sua chiusura negli anni ‘90. Solo nel 2018 l’ambiente sotterraneo della chiesa è tornato ad essere a tutti gli effetti un teatro. La sala può ospitare fino a 100 persone e si sviluppa secondo un impianto unico: all’abside e al presbiterio della chiesa sovrastante corrisponde la platea, mentre sotto la navata si sviluppano sipario e palco. Ai lati del sipario campeggiano decorazioni raffiguranti le maschere di Arlecchino e Pulcinella, realizzate da Albano Pressato negli anni Cinquanta. Dal 2020 si è unito all’arredamento un altro pezzo d’eccezione: il pianoforte gran coda Steinway del 1932, già appartenuto a Giorgio Zaccarelli e donato al teatro dai figli, e posizionato nella parte absidale.

Il Teatro S. Andrea, in via Porta Dipinta, sorto  nel 1951 nella cripta dell’omonima chiesa, per volontà del parroco Antonio Galizzi.  Chiuso negli anni ‘90, è stato recuperato nel 2018

Siamo sicuri che questo lungo elenco potrebbe continuare  …e chissà cos’altro avrebbe da raccontare.

NOTE

(1) Pilade Frattini, Renato Ravanelli, “Il Novecento a Bergamo – Cronache di un secolo”. A cura di Ornella Bramani. Vol. II, UTET,  Anno 2013.

(2) Pilade Frattini, Renato Ravanelli, “Il Novecento a Bergamo – Cronache di un secolo”, Ibidem.

(3) Luigi Pelandi assicura che il 14 agosto del 1881, le “Notizie Patrie” segnalavano la presenza di una baracca stabile, il Teatro delle Varietà. Aggiunge inoltre che nella Piazza Baroni non esistevano edifici in muratura ad uso teatri prima del 1880 (Luigi Pelandi, “Attraverso le vie di Bergamo scomparsa II – La Strada Ferdinandea”. Collana di Studi Bergamaschi, a cura della Banca Popolare di Bergamo. Poligrafiche Bolis, Dicembre 1963).

(4) Il Pelandi trasse tale notizia da Elia Dolci, Spettacoli lirici nei teatri di Bergamo – 1784-1894 (Luigi Pelandi, “Attraverso le vie di Bergamo scomparsa II – La Strada Ferdinandea”, Ibidem).

(5) L’ultima comparsa risale il 28 gennaio 1894, allorché in questo luogo di ritrovo si tenne un grande congresso socialista per la discussione ed approvazione dello Statuto della Confederazione Regionale appena allora costituita. Vi avevano aderito 77 società sopra le 107 costituite in Lombardia (Luigi Pelandi, “Attraverso le vie di Bergamo scomparsa II – La Strada Ferdinandea”, Ibidem).

(6) Luigi Pelandi, “Attraverso le vie di Bergamo scomparsa II – La Strada Ferdinandea”, Ibidem).

(7) Comune di Bergamo, Piano di Recupero ex Teatro Cinema Nuovo. Relazione illustrativa generale. Ottobre 2018.

(8) Luigi Pelandi, “Attraverso le vie di Bergamo scomparsa II – La Strada Ferdinandea”, Ibidem.

(9) Luigi Pelandi, “La Rivista di Bergamo”, numero di giugno del 1926.

(10) Pilade Frattini, Renato Ravanelli, “Il Novecento a Bergamo – Cronache di un secolo”, Ibidem.

(11) “La nostalgia senza tempo dei cinema a Bergamo negli Anni Ottanta”. L’Eco di Bergamo, 6 maggio 2021.

(12) “Sulle tracce dell’«Augusteo» Il teatro sparito di Borgo Palazzo”. L’Eco di Bergamo, 6 settembre 2016. E’ però scritto ne “Il Novecento a Bergamo” (Op. Cit.) che il teatro “fu chiuso nel 1933 e adibito a magazzino di mobili”.

Riferimenti principali

Umberto Zanetti, “Bergamo d’una volta”, Artigrafiche Mariani & Monti. Ponteranica – Bergamo, 1983.

Pilade Frattini, Renato Ravanelli, “Il Novecento a Bergamo – Cronache di un secolo”. A cura di Ornella Bramani. Vol. II, UTET,  Anno 2013.

Luigi Pelandi, “Attraverso le vie di Bergamo scomparsa II – La Strada Ferdinandea”. Collana di Studi Bergamaschi, a cura della Banca Popolare di Bergamo. Poligrafiche Bolis, Dicembre 1963.

Domenico Lucchetti, “Bergamo nelle vecchie fotografie”. Grafica Gutenberg, 1976.